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METODOLOGIA DEL LAVORO

IN AMBITO SANITARIO
Docente Dr.ssa Alessandra Palma

MODELLI ORGANIZZATIVI ASSISTENZIALI


P. Motta, Formazione e Ricerca: Prospettive Teoriche e Cliniche nella Formazione Infermieristica, Nursing Oggi n. 2, 2000.

I modelli organizzativi di assistenza infermieristica di più frequente riscontro in letteratura


internazionale
sviluppatisi per lo più in Nord America e in Inghilterra, ed esportati poi in tutta Europa, sono:
1. Modello Funzionale (Functional Nursing);
2. Piccole équipe (Team Nursing);
3. Presa in Carico del Paziente (Primary Nursing);
4. Per Settore o Modulare (Modular Nursing);
5. Gestione del Caso (Case management Nursing).

1. MODELLO FUNZIONALE ( “Functional Nursing” o “modello per compiti”)


Il modello organizzativo del lavoro negli ospedali è tuttora quasi totalmente rappresentato da questo
tipo di modello, esso prende la sua ispirazione intorno agli anni ’50 in Inghilterra, dall’organizzazione
industriale che all’inizio del secolo scorso, con Tejlor, aveva rivoluzionato l’organizzazione del lavoro
dell’industria allo scopo si raggiungere la massima efficienza e la massima razionalità. Questo tipo di
organizzazione scompone il lavoro in tante operazioni da attribuirsi ai vari lavoratori. Quando nei
decenni successivi, anche il lavoro infermieristico dovette essere organizzato con criteri economici e
razionali, il metodo funzionale costituì il modello più idoneo e fu ampiamente adottato, perché risponde
all’esigenza di ottenere il massimo numero di prestazioni con un numero esiguo di risorse umane e
materiali.
Come è avvenuto nell’ambito del lavoro industriale, anche nel campo del lavoro infermieristico tuttavia,
si sono andati man mano evidenziando gli svantaggi di questa impostazione, svantaggi che
coinvolgono il personale infermieristico ma soprattutto il malato. Questa teoria infatti finalizza i suoi
interventi in funzione della maggiore produttività mediante operazioni che pongono la loro attenzione
sulla ripetitività degli atti assistenziali (aumentano la sicurezza dell’operatore), che vengono
assegnate alle medesime unità operative nell’ipotesi che ciò corrisponda a prestazioni più qualificate.
L’efficienza dell’organizzazione rappresentata dalla quantità delle prestazioni, non valorizza in eguale
modo la qualità delle prestazioni medesime.
Esse non sono in funzione di chi rappresenta la ragion d’essere dell’ospedale, cioè del cittadino
malato. Questa organizzazione non tiene conto delle potenzialità di ogni singolo operatore. Ogni
operatore è posto nel mosaico dell’organizzazione come “pedina” , con conseguente
spersonalizzazione dell’assistenza. Questo pone l’infermiere in difficile rapporto con l’utente al quale
non è in grado di soddisfare i bisogni, provocando insoddisfazione e disaffezione al lavoro. Il modello
funzionale o “per mansioni” o “per compiti”, comporta una concezione meccanicistica dell’infermiere,
infatti gli sono richieste una competenza tecnica ed una velocità di esecuzione che riducono così
l’assistenza ad una serie di “procedure tecniche”, che conducono alla segmentazione del lavoro, alla
routine, alla deresponsabilizzazione ed alla emarginazione dell’aspetto umano nei rapporti
interpersonali. L’attività infermieristica viene centrata in questo modo sul reparto anziché sull’utente,
si finisce così per compiere sul malato una serie di mansioni separate da parte di operatori diversi.
Questo genera malcontento e conflitti, passività nei confronti della professione, assenteismo. Nella
struttura per mansioni sono le “cose da fare” che preoccupano maggiormente l’infermiere, i malati
compaiono solo sullo sfondo. Un alternativa consiste nel prevedere una periodica rotazione dei
compiti (terapia orale, igiene del malato, giro visita, etc,) tra gli operatori di pari qualifica nell’unità di
degenza, ferma restando l’impostazione per ripartizione di compiti anziché di malati. Questa
alternativa, anche se interrompe la monotonia del lavoro del singolo operatore, non prevede
comunque il superamento dell’articolazione di tipo funzionale delle attività infermieristiche.

In sintesi: il modello funzionale è un sistema di erogazione dell’assistenza infermieristica che


prevede l’assegnazione di specifici compiti al personale in ragione del livello di competenza.
Caratteristiche: è basato sull’assegnazione di compiti specifici ripartiti per il personale di assistenza
di ogni turno; il caposala è la figura responsabile del complesso di cure fornite e mantiene la centralità
delle informazioni relative all’unità operativa.
Vantaggi:
assegnazione delle attività sulla base del livello di competenza;
elevato grado di abilità e rapidità nell’eseguire le medesime attività;
può essere gestito con poco personale e con poche risorse; 55
consente il controllo diretto delle attività svolte;
non crea confusione né sovrapposizione delle attività;
non richiede una intensa attività di coordinamento.

Svantaggi
comunicazione con il personale ridotta e frammentaria;
impossibilità di seguire con sufficiente continuità e globalità il paziente;
estrema frammentazione delle cure;
approccio meccanicistico e impersonale;
lavoro ripetitivo, non si ha la soddisfazione di vedere qualcosa di fatto dell’inizio alla fine;
deresponsabilizzazione sull’assistenza complessivamente intesa

2. PICCOLE EQUIPE (Team nursing)


L’articolazione del lavoro, in questo modello prevede un piccolo gruppo di infermieri dedicati ad uno
stesso gruppo di malati; ogni membro dell’équipe ha assegnante delle specifiche funzioni o procedure
da eseguire per tutti i pazienti. Si sviluppa negli Stati Uniti negli anni ’50 per migliorare l’assistenza
infermieristica e la soddisfazione del paziente. Esso si estende rapidamente in Canada, e molti paesi
europei: Inghilterra, Svizzera, Svezia, Belgio; Francia.
In questo tipo di organizzazione il team è guidato da un infermiere leader che gestisce l’équipe
usando il processo di management: pianifica, organizza, dirige e controlla; stabilisce le priorità per il
paziente. Questo modello è basato sulla pianificazione e realizzazione di obiettivi assistenziali,
attraverso l’azione del gruppo. Gli infermieri svolgono funzioni di supervisione del personale ausiliario
e quelli più esperti supervisionano e insegnano a quelli meno esperti.
In questo tipo di modello, la scelta del piano di assistenza da erogare ad ogni paziente, avviene
attraverso la discussione e la decisione collettiva dell’équipe, che identifica i problemi e gli obiettivi
assistenziali. La riunione del team è giornaliera, dove vengono revisionati e sviluppati i piani di
assistenza. Si cerca di garantire la continuità assistenziale ma non sempre è possibile.
L’assegnazione dei pazienti può essere fissa e basata sul rapporto posto letto/operatore, oppure
variabile a seconda della complessità assistenziale del paziente. All’interno della Unità Operativa
vengono distinte delle “zone di competenza”, fisicamente distinte, la composizione dell’équipe
prevede la presenza di un infermiere qualificato (team leader) e di figure professionali di livello
inferiore.

In sintesi: Sistema di erogazione dell’assistenza infermieristica a un gruppo di pazienti da parte di un


team composto generalmente da infermieri, operatori tecnici, sotto la direzione e supervisione di un
infermiere esperto (leader nurse), durante uno specifico turno.
Caratteristiche:
- Pianificazione dell’assistenza e realizzazione di obiettivi assistenziali, attraverso l’azione del
gruppo;
- L’équipe è guidata da un infermiere leader che pianifica, interpreta, coordina, supervisiona e
valuta l’assistenza;
- Equipe composta da 2-3- operatori di diversa qualifica e un infermiere esperto capo équipe o
team leader;
- “zona di competenza”: 8-15 posti letto;
- il funzionamento del modello è possibile nelle ore diurne, con esclusine dei giorni festivi.

Vantaggi:
Migliore continuità assistenziale;
Migliore qualità delle informazioni cliniche ed assistenziale al malato ed ai familiari;
Migliore relazione infermiere-paziente-famiglia;
Maggiore possibilità di prendere decisioni;
Possibilità di applicare il piano di assistenza;
Personalizzazione dell’assistenza;
Migliore qualità dell’assistenza;
Aumento della motivazione e soddisfazione del personale:
Clima positivo e diminuzione dei conflitti all’interno dell’équipe;
Riduzione del numero di operatori che ruotano intorno al paziente;
Migliore coordinamento degli interventi;
Diminuzione degli errori.

Svantaggi
Applicazione del modello solo durante le ore diurne e prevalentemente nel turno del mattino;
Instabilità del capo équipe;
Instabilità nella composizione della équipe, a causa della rotazione degli operatori.

3. PRESA IN CARICO DEL PAZIENTE (PRIMARY NURSING)


S. Wright, autore britannico, sostiene che il Primary Nursing può essere visto come il ritorno a quella
che Florance Nightingale (1896) considerava come assistenza infermieristica di tipo professionale,
cioè “basata sull’assegnazione a un singolo infermiere “ben preparato” di un gruppo di pazienti.
L’infermiere si occupa complessivamente dei problemi relativi alla salute e all’igiene e fornisce
supporto alla famiglia”. Il Primary Nursing può rappresentare il ritorno al punto centrale del Nursing,
al cuore dell’assistenza infermieristica. Si sviluppa alla fine degli anni ’60 per ridurre la
frammentazione e discontinuità delle cure. Fu per primo descritto da Mathey nel 1970. Prevede che
un infermiere – Primary Nurse – eroghi l’assistenza totale mediamente a 4-6 pazienti (ma può variare
in funzione della durata della degenza, della complessità delle cure, dal numero del personale di
supporto, dai turni di lavoro), dei quali si assume la completa responsabilità delle cure prestate.
L’infermiere primary nurse, effettua l’accertamento sui pazienti e sviluppa il piano assistenziale, che
comprende anche la dimissione, mantiene la responsabilità sui pazienti assegnati nelle 24 ore per
tutta la durata della degenza o del contatto con la struttura ambulatoriale. Egli delega alcune attività
ad altre figure eventualmente presenti e valuta il risultato degli interventi. Durante la sua assenza dal
reparto gli altri infermieri e il personale di supporto in turno (che quindi fungono da “associate nurse”
o infermieri collaboranti) attuano il piano secondo quanto stabilito e delegato dall’infermiere
responsabile. L’infermiere primary nurse svolge un ruolo di grande responsabilità, che lo porta ad un
maggior senso di soddisfazione del proprio lavoro, una maggiore autonomia e autorità. Il modello
garantisce la continuità delle cure, la personalizzazione e la globalità dell’assistenza nonché la
soddisfazione dei pazienti. Questo modello può essere vissuto come stressante e ansiogeno per il
rischio di eccessivo carico di responsabilità a fronte di scarsa esperienza. Il Primary Nursing è uno
strumento organizzativo che aiuta gli infermieri a mettere in pratica sia le teorie che il processo di
nursing. L’infermiere che svolge il ruolo di primary nurse, varia a seconda della letteratura ma
sostanzialmente viene definito infermiere referente o infermiere responsabile.

In sintesi: Sistema di erogazione dell’assistenza infermieristica in cui un infermiere esperto, assume


la responsabilità dell’erogazione di tutte le cure infermieristiche richieste di un definito gruppo di
pazienti, rimanendone responsabile nelle 24 ore.
Caratteristiche:
- Ogni paziente è assegnato alle cure di un infermiere referente che è responsabile
dell’assistenza al paziente e alla famiglia dall’ingresso alla dimissione;
- Ogni infermiere referente è responsabile di un determinato numero di pazienti;
- Gli altri infermieri associati e le figure di supporto presenti in turno, attuano il piano secondo
quanto stabilito dall’infermiere referente, quando questi non è in servizio.

Vantaggi
Gli infermieri referenti, lavorano al massimo della loro capacità professionale, la responsabilità è
accentrata sull’infermiere responsabile;
Gli infermieri percepiscono un elevato grado di soddisfazione in quanto viene loro favorita autonomia
e indipendenza;
I pazienti sono soddisfatti per il fatto che sanno di avere un unico infermiere di riferimento;
Le cure sono erogate con continuità e in forma personalizzata, completa e globale.

Svantaggi
Richiede alti costi per il numero di infermieri rispetto al personale di supporto e per la maggiore
quantità di materiale necessario;
Richiede indipendenza, responsabilità ed esperienza per l’elaborazione di un piano di cure adatto a
ogni situazione;
Richiede un alto livello formativo;
Aumenta l’ansia e lo stress;
Può generare conflitti tra l’équipe infermieristica.

4. PER “SETTORE” O “MODULARE” (Modular Nursing)


Anche questo tipo di modello prevede la presa in carico del paziente. In questo tipo di modello, il
reparto di degenza viene suddiviso in aree o settori o moduli, con un numero medio di pazienti da 10
a 20. In ogni settore operano un gruppo fisso di infermieri pari al numero necessario per svolgere il
turno nelle 24 ore. Accanto all’infermiere del turno, operano le figure di supporto che si occupano
dell’assistenza di base assegnatagli dall’infermiere del turno, a seconda della complessità del
paziente. Il metodo di lavoro adottato è quello del processo infermieristico, sarà l’infermiere che
accoglie il paziente a stendere il piano di assistenza idoneo al tipo di problema presentato. I colleghi
dei turni successivi continueranno l’applicazione del piano programmato, apportandovi delle variazioni
autonomamente, se le condizioni del paziente modificano o ci sono eventi che lo richiedono. Questo
modello permette che il gruppo di infermieri assegnati al settore conosca bene i pazienti di cui è
responsabile ed è così in grado di fare una sintesi delle informazioni necessarie per identificare i
bisogni della persona malata, anche quando manca l’infermiere che ha steso il piano assistenziale
all’accoglimento. Non c’è un infermiere referente ma ogni infermiere, nel proprio turno di lavoro è
responsabile di quel determinato gruppo di pazienti. Questo tipo di modello prevede che gli infermieri
abbiano una grande forma di collaborazione e di rispetto delle reciproche professionalità e che siano
in grado di condurre un “gioco di squadra”.
In sintesi: Sistema di erogazione dell’assistenza in cui un infermiere esperto, assistito dal personale
di supporto, assume la responsabilità dell’erogazione di tutte le cure infermieristiche ad un gruppo di
pazienti durante il proprio turno di servizio.

Caratteristiche:
Ogni paziente è assegnato alle cure di un gruppo ristretto di infermieri;
Ogni infermiere è responsabile di tutti i pazienti del proprio modulo, durante il proprio turno di servizio;
L’infermiere durante il turno si avvale del personale di supporto per l’erogazione dell’assistenza di
base ai pazienti del settore di cui è responsabile.

Vantaggi
Gli Infermieri lavorano per responsabilità di gruppi di pazienti anziché per mansioni e questo aumenta
la gratificazione e la responsabilità;
Questo tipo di modello favorisce lo sviluppo di autonomia nel programmare il piano di assistenza che
sarà portato avanti dai colleghi dei turni successivi;
Avendo un gruppo di pazienti ristretto da assistere gli infermieri conoscono meglio i malati di cui sono
responsabili.

Svantaggi
L’infermiere che stende il piano di assistenza può sentirsi valutato dai colleghi;
Può generare conflitti perché i colleghi del turno successivo possono non concordare sul piano di
assistenza identificato;
Può generare conflitti perché l’infermiere che stende il piano non concorda con le modifiche che
apportano i colleghi dei turni successivi;
Può generare frustrazione e senso di dipendenza al singolo infermiere che deve applicare un piano
di assistenza che altri hanno deciso.

5. GESTIONE DEL CASO (Case management nursing)


Spesso viene individuato come evoluzione del Primary Nursing o Primary Nursing di secondo livello.
Il Case Management è una metodologia di gestione dell’assistenza sanitaria. Questa metodologia
utilizza un processo di miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’assistenza basato sulla logica
del coordinamento delle risorse da utilizzare per trattare la specifica patologia di un paziente,
coinvolgendo le diverse strutture e organizzazioni del sistema sanitario in cui si trova. L’approccio al
Case Management è di considerare il paziente come entità che sta vivendo una condizione di malattia,
in un certo contesto e in un certo tempo. Questa logica/filosofia si è sviluppata in risposta alla
necessità di contenere i costi sanitari, ridurre la frammentazione nell’erogazione dei servizi e
rispondere ai bisogni sanitari con efficacia ed efficienza. Esso nasce quindi per garantire una gestione
dell’assistenza, basata sulla continuità assistenziale ed integrazione della risposta, per erogare servizi
mirati ai bisogni degli utenti, attraverso percorsi di cura personalizzati e controllare l’utilizzo delle
risorse in funzione delle reali necessità del paziente.
Il Case Management è una metodologia di managed care, per il miglioramento dell’efficacia e
dell’efficienza dell’assistenza sanitari, basato sulla logica di coordinamento delle risorse ogni specifico
di caso. In Europa questo tipo di gestione dell’assistenza ha portato ai seguenti risultati: riduzione
della domanda specialistica e ospedaliera, chiusura di padiglioni di ospedali in seguito alla riduzione
dell’utilizzo dei posti letto, aumento delle prestazioni ambulatoriali, di day surgery e di
ospedalizzazione a domicilio. Questo tipo di gestione del caso è risultato particolarmente adatto a
pazienti con malattie quali: diabete, tumori, ictus, malattie croniche, malattie mentali, per quelle
patologie per la cura delle quali sono previsti alti costi e per le quali è più facile elaborare protocolli.
Questo approccio richiede la necessità di sviluppare linee guida da parte delle istituzioni e dei
professionisti. Il ruolo che l’infermiere assume nella gestione del caso è determinate, come
coordinatore e facilitatore dell’assistenza; svolge un ruolo complementare al medico; è responsabile
del coordinamento dell’assistenza ad un gruppo di pazienti, assegnati per casistica uguale oppure
sulla base di un mix più o meno complesso, estesa anche dopo la dimissione. In Italia le prospettive
del Case Management sono: mantenimento delle persone anziane non autosufficienti nella comunità
e a domicilio; migliorare la qualità di vita e di assistenza; diminuire l’impegno e lo stress del caregiver;
Migliorare l’efficacia e l’efficienza dell’uso delle risorse pubbliche, a livello domiciliare e nell’assistenza
continuativa (long team care); favorire il contenimento dei costi; eliminare o ridurre la frammentazione
dei servizi sanitari e sociali, favorendo l’uso flessibile dei servizi; sviluppare forme di coordinamento
fra servizi, strutture ospedaliere, territoriali e domiciliari.

In sintesi: Sistema di erogazione di servizi sanitari ad un paziente in cui un infermiere esperto, nel
ruolo di case manager, agisce come un patrocinante del paziente attraverso il coordinamento delle
cure sanitarie in una varietà di setting.

Caratteristiche:
è una logica – filosofia di approccio del sistema sanitario, che si è sviluppata in risposta alle necessità
di contenere i costi sanitari, ridurre la frammentazione nell’erogazione dei servizi e rispondere ai
bisogni sanitari del cittadino con efficienza ed efficacia.

Vantaggi:
Massima individualizzazione dell’assistenza;
Continuità assistenziale anche a domicilio o nel territorio;
Uso razionalizzato delle risorse sanitarie per ogni specifico caso;
Individuazione degli ostacoli nel coordinamento dei servizi;
L’infermiere case manager segue il paziente e la famiglia in tutto il percorso di esperienza di malattia;

Svantaggi:
Può generare conflitti tra l’infermiere case manager e i servizi che non sono in grado di garantire
l’efficienza;
L’infermiere case manager può essere visto dai colleghi infermieri e di medici come un elemento “di
controllo” sulla programmazione degli interventi sul paziente;
Richiede grande abilità gestionale ed esperienza clinica – organizzativa, oltre che relazionale.
In Italia non è ancora sviluppata una mentalità di “uso razionale delle risorse”, intesa come: “non dare
tutto a tutti, ma dare il massimo ed il meglio a chi ne ha realmente bisogno”.
PROCESSO DI NURSING e
PIANO ASSISTENZIALE INDIVIDUALIZZATO (PAI)
Il Processo di nursing (processo assistenziale) è una serie di fasi ben pianificate e in successione,
ognuna delle quali può avvalersi della metodologia del problem solving che è un processo di
ragionamento utilizzato da tutti coloro che nella loro attività si trovano alle prese con problemi da
risolvere.

IL PROBLEM SOLVING

Identificazione del problema

metodo per la
Valutazione risoluzione dei Pianificazione

problemi

Attuazione

È composto da una serie di fasi che, il professionista esperto percorre mentalmente, per giungere a
definire esattamente qual è il problema che si trova ad affrontare e valutare quali azioni, tra le possibili
che si possono mettere in atto nella specifica situazione, potranno fornire la soluzione al problema
considerato. Utilizzare una strategia vuol dire seguire un procedimento logico e sistematico per
analizzare il problema e procedere all'acquisizione e all'organizzazione di tutte le informazioni
disponibili che portano poi alla decisione delle azioni per risolvere il problema.

Il processo di nursing è un metodo di risoluzione dei problemi, è sia mentale che scritto (il PAI -
piano di assistenza individualizzato è la progettualità espressa in forma scritta) e si articola in varie
fasi:

L’O.M.S. definisce il processo di nursing come: “un termine applicato ad un sistema di specifici
interventi assistenziali per la salute degli individui e delle famiglie e/o comunità. Comprende l’utilizzo
del metodo scientifico per il riconoscimento dei bisogni di salute del paziente/cliente/famiglia o
comunità e per selezionare tra questi quelli che possono essere realmente affrontati con le cure
infermieristiche; inoltre include la pianificazione del soddisfacimento di tali bisogni, l’erogazione
dell’assistenza e la valutazione dei risultati.”
Il termine processo indica una serie di azioni finalizzate ad ottenere un particolare risultato. È un
processo dinamico in quanto è costituito da una successione di fasi e presuppone l’adattamento
continuo in funzione dei bisogni dell’individuo, alla realtà in cui egli vive ed il momento in cui viene
preso in considerazione.

FASI DEL PROCESSO DI NURSING:


1° fase: accertamento (raccolta dati ed informazioni)
Si distinguono due tipi di rilevazione di dati:
OGGETTIVI: segni (dati rilevabili es. vomito, sudorazione algida, parametri, ecc.)
SOGGETTIVI: sintomi (identificati dall’operatore, riferiti dal paziente es. dolore, cefalea, nausea,
dispnea, ecc.)
La raccolta dei dati può essere fatta attraverso:
⚫ colloquio con l’utente o con i familiari
⚫ l’osservazione diretta (es. rossore, pallore)
⚫ l’analisi della documentazione (es. cartelle)
⚫ l’utilizzo di scale di valutazione specifiche al contesto da indagare.

TIPI DI ACCERTAMENTO
Accertamento iniziale o globale (anamnesi infermieristica vedi a titolo esemplificativo scheda
specifica già fornita): consente di avere un quadro generale delle condizioni di salute del paziente
al momento della presa in carico. Solitamente si esegue al primo contatto con la persona.
Accertamento mirato: parte integrante delle quotidiane cure infermieristiche, questa metodologia di
accertamento si concentra su un aspetto specifico per definire e valutare l’insorgenza e/o l’evoluzione
di un problema (ad esempio la valutazione delle caratteristiche e dimensioni di una lesione da
pressione).
Accertamento d’urgenza o emergenza: viene eseguito durante l’insorgenza di una crisi fisica o
psichica di un paziente per evidenziare i problemi che possono minacciarne la vita. (es. TRIAGE)
Accertamento di follow up o di rivalutazione (accertamento sistematico vedi a titolo
esemplificativo scheda specifica già fornita): si attua per rivalutare un particolare aspetto o
problema del paziente (ad esempio la capacità motoria di un paziente colpito da ictus) dopo un
periodo di tempo e consiste nel confrontare le condizioni attuali con quelle basali accertate ad esempio
all’ingresso in reparto o alla dimissione dallo stesso se seguito a domicilio.
2° fase: individuazione del problema (Diagnosi Infermieristica o Problema Collaborativo?)
“Dia” e “Gnosis” ovvero conoscenza attraverso i segni.
Le Diagnosi Infermieristiche descrivono la risposta umana (segni), reale o potenziale, ad un
problema di salute per il quale l’infermiere ha la competenza di trattamento in autonomia.
È la considerazione che viene fatta sui dati analizzati e che identifica i bisogni insoddisfatti, i problemi
esistenti o potenziali. Costituisce la base sulla quale scegliere gli interventi infermieristici volti a
raggiungere dei risultati di cui l’infermiere è responsabile.

Nel marzo del 1990, nella nona conferenza della North American Nursing Diagnosis Association
(NANDA), l’assemblea generale ha approvato una definizione ufficiale di Diagnosi Infermieristica:
“Un giudizio clinico sulle risposte dell’individuo, della famiglia o della comunità ai problemi di
salute/processi della vita, reali o potenziali. Le diagnosi infermieristiche costituiscono il
fondamento per selezionare gli interventi infermieristici atti a realizzare gli obiettivi dei cui
risultati è responsabile l’infermiere.”

La NANDA ci propone quattro modelli di diagnosi:


• Reali: condizione della persona o della famiglia o della collettività che è stata convalidata dai
dati raccolti dall’accertamento
• Rischio: giudizio clinico secondo il quale una persona, una famiglia o una comunità è più
vulnerabile nei confronti di un certo problema di altre in condizioni uguali o simili
• Benessere: presuppongono un termine qualificatore positivo come “miglioramento” o
“efficace”
• Sindrome: presuppone come termine qualificatore “sindrome da”.
• Si possono formulare diagnosi infermieristiche anche in relazione alla prevenzione delle
complicanze.

La diagnosi infermieristica si basa sui concetti di


NIC (nursing interventensions classification)
NOC (nursing outcomes classification).
In relazione agli obiettivi prefissati, si attuano gli interventi infermieristici del caso.
PROBLEMI COLLABORATIVI
L’infermiere non opera da solo, spesso la gestione dei problemi di salute degli utenti lo chiama a
collaborare in regime di multidisciplinarietà, cioè con altri gruppi professionali. Pertanto, vi sono
situazioni cliniche, non descrivibili con diagnosi infermieristiche, ma che richiedono comunque
interventi assistenziali di natura infermieristica.

3° fase: pianificazione di obiettivi e risultati


Gli OBIETTIVI sono risultati a cui tendere per la soluzione di un problema o per la soddisfazione di un
bisogno. Possono essere a breve-media-lunga scadenza.
Devono essere pertinenti, logici, legati alla realtà, misurabili e osservabili.
I RISULTATI ottenuti devono essere valutabili concretamente e se possibile devono essere accettati
e condivisi dal paziente.

4° fase: pianificazione dell’intervento


L'intervento può essere:
• Tecnico
• Relazionale
Potrà essere:
• Completamente sostitutivo
• Parzialmente sostitutivo: è importante dare spazio alle risorse residue del malato; intervento
riabilitativo sia a livello fisico che a livello psicologico
• Educativo: quando l’utente è in grado di gestirsi in modo autosufficiente, ma necessita di
indicazioni, informazioni. Questo tipo di intervento trova spazio soprattutto nell’assistenza
domiciliare dove è importante aiutare la persona a mantenere il più possibile l’autonomia.

5° fase: attuazione dell’intervento


Gli interventi attuati devono essere regolarmente registrati a dimostrazione di quanto è stato effettuato
rispetto a quanto è stato pianificato di effettuare.
Se il problema individuato è di competenza prettamente assistenziale l’infermiere rispondere sia della
pianificazione che della corretta ed effettiva attuazione degli interventi stessi. (Profilo Professionale
dell’infermiere: DM 739 del 1994).
Il personale infermieristico può avvalersi del personale di supporto:
- Operatore Socio Sanitario – OSS (Profilo Professionale dell’OSS: Accordo Stato Regioni del 22
febbraio 2001)
- Operatore Socio Sanitario con formazione complementare in ambito sanitario (Profilo
Professionale dell’OSSS: Accordo Stato Regioni del 16 gennaio 2003).
Nell’attribuzione delle attività all’OSS bisogna evidenziare che non si tratta di delega (concetto
applicabile tra pari livello di inquadramento giuridico affinché ci sia stassa assunzione di responsabilià)
ma di attribuzione.
Il concetto di attribuzione prevede che l’infermiere individui nel rispetto delle normative citate e di altri
fattori sotto elencati quali attività assistenziale pianificate possano essere attribuire al personale di
supporto ai fine del mero svolgimento dell’attività stessa.
6° fase: valutazione dei risultati
È importante verificare se l’intervento è stato:
• Efficace: ha raggiunto il fine precedentemente determinato
• Efficiente: ha prodotto l’effetto voluto rispettando il giusto rapporto fra grado di qualità del
risultato e grado di quantità delle risorse impiegate (economicità)
• Accettabile: è stato accettato dall’utente nel pieno rispetto della sua volontà.
STRUMENTI OPERATIVI
La Linee Guida (LG), il Protocolli (PRT), il Percorso Diagnostico - Terapeutico - Assistenziale
(PDTA), la Procedura (PRC) o l’ Istruzione Operativa (IO) sono strumenti indispensabili per la
corretta riuscita dell’azione assistenziali. Tutti i termini esaminati hanno significati differenti e non
devono mai essere utilizzati come sinonimi.

1. LINEA GUIDA (LG)


Secondo la definizione dell’Institute of Medicine le LG sono "raccomandazioni di comportamento
clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti [e
manager, NdA] nel decidere le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze
cliniche". Le LG sono prodotte da agenzie governative, da società scientifiche o da gruppi
multidisciplinari e si basano su analisi, valutazioni e interpretazioni sistematiche delle prove
scientifiche. Un’azienda sanitaria non ha la mission di produrre LG - progetto utopistico per risorse,
competenze e tempo - ma quella di implementare e verificare l’impatto dei percorsi assistenziali (PA),
previa ricerca, valutazione critica, selezione di una LG di riferimento e suo adattamento locale.
Essendo strumenti dichiaratamente concepiti come supporto e guida per il processo decisionale
clinico / assistenziale, le Linee Guida devono:
• dichiarare la qualità delle informazioni utilizzate (il livello delle evidenze);
• dichiarare l’importanza, la rilevanza, la fattibilità e la priorità della loro implementazione (la forza
delle raccomandazioni);
• esplicitare le alternative di trattamento e i loro effetti sugli esiti;
• avere caratteristiche di flessibilità e adattabilità alle mutevoli condizioni locali.
L’obiettivo delle LG è quello di fornire una guida, per i professionisti sanitari e per gli
utenti, sulla scelta di modalità assistenziali più appropriate in determinate situazioni cliniche
garantendo la chiarezza dei percorsi e delle responsabilità.

2. PROTOCOLLO (PRT)

Nell’interpretazione giuridica, il contenuto di un protocollo è vincolante per i professionisti; in altre


parole, se le LG forniscono raccomandazioni cliniche, flessibili per definizione, il termine protocollo
implica, senza precisarlo, che deve essere applicato a tutti i pazienti, esponendo il professionista e
l’organizzazione a potenziali rischi medico-legali se questo non avviene.
I Protocolli vengono realizzati per standardizzare le sequenze fisiche, mentali, operative e
persino verbali durante un intervento diagnostico e terapeutico allo scopo di ridurre la
variabilità ingiustificata di comportamento tra gli operatori sanitari.
Il Protocollo è una sequenza prescrittiva e vincolante di comportamenti diagnostico-
terapeutici ben definiti che risulta dall’adattamento all’uso in contesti locali delle Linee Guida,
con l’aggiunta di connotati operativi.
Si tratta di documenti definiti strumenti di integrazione orizzontale tra professionisti, poiché vengono
utilizzati dai medesimi professionisti che li redigono su basi scientifiche ed esperienziali e possono
essere impiegati solamente nello stesso contesto nel quale vengono elaborati.
Il Protocollo è uno strumento rigido, prescrittivo e vincolante che indica i comportamenti ritenuti
ottimali per una determinata situazione clinica e fornisce dettagli, quali:
• problemi clinico - assistenziali che devono essere affrontati e gestiti in base alla situazione
clinica;
• risultati che si intendono raggiungere;
• responsabilità;
• azioni e attività da eseguire;
• indicazioni, controindicazioni ed eccezioni;
• riferimenti normativi e documentali;
• indicatori e standard per la valutazione di efficacia;
• legenda con abbreviazioni, definizioni e terminologia.

Tra le finalità dei protocolli vanno ascritte, insieme ad altre, le seguenti:


• migliorare l’assistenza sanitaria in generale;
• assicurare interventi basati sulle più recenti evidenze scientifiche agli utenti;
• integrare e uniformare gli interventi assistenziali;
• definire e predisporre ala valutazione della pratica assistenziale;
• documentare le responsabilità degli infermieri e quella di altri operatori coinvolti;
• favorire l’inserimento di personale nuovo e di studenti.

3. PERCORSO DIAGNOSTICO - TERAPEUTICO - ASSISTENZIALE (PDTA)

Costituisce lo strumento finalizzato all’implementazione delle LG e risulta dall’integrazione di


due componenti: le raccomandazioni cliniche della LG di riferimento e gli elementi di contesto
locale (CL) in grado di condizionarne l’applicazione. Con una semplice formula: PDTA = LG + CL
Infatti, in ciascuna realtà assistenziale esistono ostacoli di varia natura (strutturali, tecnologici,
organizzativi, professionali, socio-culturali, geografico-ambientali, normativi) che impediscono
l’applicazione di una o più raccomandazioni delle LG. Pertanto, nella fase di adattamento della LG,
previa analisi del contesto locale e identificazione degli ostacoli, i professionisti devono verificare con
la direzione aziendale la possibilità di rimuoverli. Se questo non è possibile, la specifica
raccomandazione deve essere modificata nel PDTA, per non aumentare il rischio clinico dei pazienti
e quello medico-legale di professionisti e organizzazione sanitaria.

Esempio:

Raccomandazione clinica: "tutti i pazienti con emorragia digestiva superiore dovrebbero eseguire una endoscopia
entro 24 ore".

Ostacolo: il servizio di endoscopia digestiva eroga le prestazioni dal lunedì al venerdì, nella fascia oraria 8.00 - 16.00.

Proposta: attivazione della reperibilità endoscopica da venerdì (ore 16.00) a domenica (ore 14.00).

Se l’organizzazione, per ragioni di varia natura, non può accettare la proposta e rimuovere l’ostacolo, il PA deve
prevedere che "i pazienti con emorragia digestiva superiore che arrivano dalle 16.00 di venerdì alle 14.00 di domenica,
devono essere trasferiti in altra struttura in grado di eseguire l’endoscopia entro 24 ore".

Un PDTA è costituito da diversi processi assistenziali che, in relazione al numero di strutture e


professionisti coinvolti, possono essere molto semplici o estremamente complessi.
In ciascun PDTA, dopo aver definito il punto di ingresso (IN) e il punto di uscita (OUT) del paziente, è
necessario identificare le varie fasi del processo. In altri termini, bisogna sempre considerare non solo
gli aspetti clinici ma anche quelli organizzativi, condizionati da numerose variabili che caratterizzano
le diverse realtà assistenziali. Pertanto, se le LG raccomandano quali interventi sanitari (what)
dovrebbero essere prescritti a specifiche categorie di pazienti, un PDTA deve definire per ciascuna
fase del processo assistenziale:
• Who: i professionisti responsabili.
• Where: i diversi setting in cui viene erogato.
• When: le tempistiche cliniche e organizzative.
• How: la descrizione delle procedure operative.

Le singole fasi del processo vengono considerate appropriate o inappropriate, in relazione al grado di
aderenza alle raccomandazioni cliniche delle LG: il tasso di appropriatezza degli interventi sanitari
viene misurato attraverso gli indicatori di processo.

4. PROCEDURA (PRC) O ISTRUZIONE OPERATIVA (IO)


Definisce la sequenza di azioni tecnico-operative eseguite dal professionista e rappresenta
l’unità elementare del PDTA o del PRT, nei quali vengono erogate un numero variabile di procedure.
Le procedure non sono altro che successioni dettagliate, logiche e consequenziali di atti
tecnici e operativi e servono a circostanziare le modalità con le quali si realizzano determinate
azioni. Grazie ad esse tutto l’agire professionale diventa oggettivo, sistematico, uniforme e soprattutto
verificabile.
Al loro interno è raccolto un insieme di azioni professionali finalizzate ad un determinato obiettivo
che descrivono il “cosa” viene fatto e che sono in grado di ridurre il rischio, in particolar modo nelle
attività ad elevata complessità.
Il format delle Procedure prevede, dopo la redazione, la verifica e l’approvazione dell’elaborato; si
redigono procedure dirette alla standardizzazione della pratica infermieristica, procedure dirette
alla standardizzazione dei metodi e degli strumenti per la pratica infermieristica e procedure volte
alla standardizzazione dell’organizzazione delle attività infermieristiche e tecnico-alberghiere.
In ogni caso, elementi prioritari che compongono una procedura sono:
• titolo;
• obiettivo da raggiungere (output);
• campo di applicazione;
• responsabilità, strumenti di riferimento e registrazione;
• sequenza e descrizione delle attività da eseguire;
• indicatori con tabella di raccolta dati;
• riferimenti normativi e documentali e le procedure devono necessariamente:
• essere costruite dai professionisti dell’unità operativa nella quale verranno adottate ;
• essere condivise collegialmente da tutti gli utilizzatori;
• prevedere modalità condivise di aggiornamento e revisione da parte dell’équipe.

Citando un raro esempio virtuoso, i requisiti specifici per l’accreditamento delle strutture sanitarie in
Emilia Romagna prevedono che per ciascuna procedura il professionista possa avere un differente
livello di competence:
Livello I. Necessita di training.
Livello II. Può eseguire la procedura solo sotto supervisione.
Livello III. Può eseguire la procedura in autonomia.
Livello IV. Può effettuare supervisione.

5. CHECK LIST

Le checklist ci mettono al riparo da due grandi difficoltà dei professionisti del mondo sanitario, quello
della fallacità della memoria e quello del deficit di attenzione quando si compiono azioni
routinarie.
L’utilizzo di checklist permette di:
- abbattere la discrezionalità standardizzanto i passaggi fondamentali di una attività o di un
processo
- migliorare la performance dell’èquipe favorendo la comunicazione tra professionisti.
Esempio:
6. LE SCALE DI VALUTAZIONE

Le scale di valutazione sono strumenti validati dal punto di vista scientifico apparentemente intuitivi
che permettono una valutazione oggettiva di una determinata situazione studiata/analizzata. Per
studiare un determinato “ambito/fenomeno” la scala di valutazione adottata è definita a livello
aziendale o di UO/servizio. Questo in quanto, ovviamente, è necessario che tutti gli operatori utilizzino
il medesimo “metro di valutazione”. Es. per la valutazione del rischio cadute si usa una stessa scala
all’interno del medesimo servizio/UO e non scale diverse.
https://www.infermieriattivi.it/tecniche-e-tecnologie/scale-valutazioni-infermieristiche/1484-scale-di-
valutazione-infermieristiche-e-mediche.html
Le più comuni scale di valutazione:

SCALE DI VALUTAZIONE DISABILITA’ / DIPENDENDENZA


SCALE DI VALUTAZIONE RISCHIO CADUTE

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