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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI SASSARI

FACOLT DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Fisioterapia

Presidente Prof. A. Montella

La relazione tra fisioterapista e paziente, in ambito ambulatoriale e domiciliare, rischi e metodica relazionale.

Relatore: Prof. Andrea Montella

Correlatore: Dott. Raffaele Squintu Tesi di Laurea di: Sechi Carla Anna Adele

Anno Accademico 2007-2008

INDICE Introduzione ............................................................................................4 Capitolo 1 Quando il fisioterapista a farsi male ......................................6 1.1 I fattori di rischio in sanit..................................................................6 1.2 I fattori di rischio ................................................................................7 1.3 Rischi ergonomici..............................................................................7 1.3.1 Limitare i rischi............................................................................9 1.3.2 Studio sul rischio professionale ................................................11 1.3.3 Setting e campione ...................................................................13 1.3.4 Lo studio ...................................................................................14 1.3.5 Attribuzione delle classi di rischio e creazione della legenda delle posture ......................................................................................15 1.3.6 Patologie e disturbi pi frequenti a carico dellapparato osteoarticolare ............................................................................................26 1.3.7 Laboratorio permanente su leducazione alla movimentazione ...........................................................................................................27 1.4 Rischi trasversali: IL BOURN OUT ...............................................27 1.4.1 Implicazioni di carattere psicologico .........................................29 1.4.2 Burn out degli operatori sanitari ................................................32 1.4.3 Strategie per la prevenzione del Burn out.................................36 1.4.4 Test per la valutazione del Burn out .........................................38 1.4.5 Considerazioni .............................................................................42

Capitolo 2 Abilit comunicative-relazionali: la narrazione come modello dapproccio ............................................................................44 2.1 La relazione con il paziente in ambito sanitario...............................44 2.2 La narrazione come modello dapproccio........................................48 2.3 Il paziente al centro del processo di cura ........................................50 2.4 Il ragionamento clinico nelle professioni sanitarie ...........................51 2.5 Diagnosi funzionale e ICF ...............................................................52 2.6 Aspetti clinici e ragionamento clinico...............................................53 2.7 Ragionamento diagnostico e narrazione.........................................54 2.8 Requisiti per stabilire una relazione terapeutica..............................56 2.9 La comunicazione come strumento essenziale della cura ..............57 2.10 La fiducia.......................................................................................64 2.11 La comunicazione in riabilitazione.................................................64 2.12 Narrativa Based Medicine .............................................................67 2.13 Cos la Medicina narrativa?.........................................................69 2.13.1 Uno strumento per comprendere il paziente ...........................70 2.13.2 Uno strumento per riflettere sulla propria pratica clinica .........71 2.13.3 Uno strumento per formare gli operatori .................................72 2.13.4 Scrittura autobiografica come trattamento dintervento...........72 2.14 Alcuni progetti ...............................................................................74 2.15 Lo studio .......................................................................................75 2.15.1 Scopo e progetto dello studio .................................................75 2.15.2 Materiali e metodi campionamento .........................................76 2.15.3 Strumenti ................................................................................77 2.15.4 Risultati ...................................................................................80

2.16 Conclusioni ...................................................................................90 Bibliografia ............................................................................................94

I FISIOTERAPISTI, come gli infermieri, appartengono alla pi ampia classe degli operatori sanitari per i quali lavorare per la salute (altrui) IN MANIERA NON CORRETTA, fa male alla salute (propria).

Introduzione
In questa tesi si analizza il ruolo del fisioterapista nella sua relazione con le persone assistite, considerando anche le implicazioni di tipo fisico e psicologico che questa relazione comporta. Tale studio verr affrontato da un punto di osservazione particolare, quello di un fisioterapista che da 25 anni lavora in una struttura che si occupa prevalentemente di patologie neuromotorie, acute, croniche, progressive e strutturate che per lo stato di gravit spesso non consentono la trasportabilit del paziente in ambulatorio; in questo caso lintervento si svolge a domicilio con complicanze logistiche, di confronto e di comunicazione. Mentre oggigiorno il lavoratore tutelato da normative e leggi, anni fa soprattutto per alcune categorie ci non esisteva e il fisioterapista si ritrovava da solo ad operare in realt spesso difficili da gestire, dove la professionalit veniva spesso annullata dal tentativo di istaurare un rapporto con il paziente che sfociava in una familiarit che poco aveva a che fare con la relazionalit proficua che si sperava. Il rapporto che si protraeva per anni con una frequenza plurisettimanale, non aveva i risultati sperati proprio per lincompetenza nel gestire la relazione. Anche il luogo ambulatoriale o domiciliare, non garantiva un buon lavoro, e purtroppo questo problema lo si riscontra ancora, dovendo, il fisioterapista, adattarsi a situazioni logistiche sconvenienti per il proprio stato di salute fisica e questo non pu non minare una buona relazione con il paziente.

Qualcosa sicuramente cambiata nel corso degli anni. C pi consapevolezza e maggiore conoscenza dei rischi, ma non basta! Con questa ricerca si tenter di mettere dei punti fermi sulle situazioni maggiormente sfavorevoli e si proporranno delle soluzioni di facile applicabilit anche in contesti in cui ci si trova assolutamente soli. Allo stesso tempo si propone una tecnica di relazione che possa essere valida e semplice sia per loperatore che per il paziente, senza dimenticare mai che il protagonista della scena sempre il paziente. Nellesecuzione della ricerca si constatato che tutta la documentazione di cui la letteratura ricca, fa riferimento a strutture super efficienti, dove il lavoro e il lavoratore sempre tutelato, dove lorganizzazione capillare del lavoro vede la figura del fisioterapista come parte integrante di un contesto multi professionale. Anche in Italia diverse regioni operano in tal senso, e questo un gran passo avanti e proprio per questo si dato rilievo, in questo lavoro, ad alcuni studi svolti in Italia. Purtroppo,per, la realt in cui ci si trova ad operare spesso differente

Capitolo 1
Quando il fisioterapista a farsi male
La Relazione tra fisioterapista paziente non pu escludere il contatto fisico e psicologico che implicito nel trattamento riabilitativo.

Per far si che questo sia positivo e non generi delle problematiche di conduzione del rapporto necessario che il fisioterapista operi in un contesto sano.

1.1 I fattori di rischio in sanit


Il RISCHIO la probabilit che si verifichi un determinato fenomeno, nella fattispecie un evento che pu comportare un danno allintegrit psicofisica delloperatore durante lattivit lavorativa. LENTIT DEL RISCHIO definita dalla probabilit che si verifichi un evento negativo rapportata alla gravit del danno che ne pu derivare alloperatore. LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO predisposta ai sensi dellart.4 del D.Leg.vo 626/94 e rivisitata periodicamente, in conseguenza di modificazioni ai processi lavorativi, identifica e quantifica, laddove tecnicamente e scientificamente possibile, le situazioni che comportano presenza di rischi lavorativi residui.

Linfortunio non che un anello di una catena di eventi che hanno avuto esito sfavorevole, provocando un danno alloperatore. In base a quanto detto, la riduzione o leliminazione di situazioni rischiose, portano alla riduzione della probabilit di accadimento di incidenti e conseguentemente di eventi infortunistici.

1.2 I fattori di rischio


Lassistenza sanitaria unattivit complessa, nella quale gli operatori sono chiamati a svolgere una molteplicit di funzioni e ci li espone a svariati rischi professionali legati allambiente (impianti e strutture), allorganizzazione del lavoro (lavoro a turno, attivit sul territorio o in ospedale), allattivit sanitaria propria (assistenza al malato). In questo contesto si tratteranno i rischi lavorativi legati alla professione del fisioterapista: - RISCHI ERGONOMICI da movimentazione dei pazienti;

RISCHI TRASVERSALI

1.3 Rischi ergonomici


Gli infortuni legati al lavoro nelle professioni sanitarie colpiscono circa 35.000 lavoratori lanno. Il problema che pi interessa questi lavoratori la lombalgia, ma le problematiche non si riducono solo al rachide, interessano un ampio spettro di disturbi muscolo- scheletrici in generale, in particolar modo il cingolo scapolare e larticolazione del ginocchio. Per tutelare la salute dei lavoratori sono stati sviluppati diversi indici di valutazione: lo scopo di tali indici determinare il livello di pericolosit di una azione lavorativa o delle condizioni ambientali in cui essa avviene e, qualora queste risultassero tali da comportare un rischio per la salute, effettuare interventi mirati di correzione per ripristinare i livelli di rischio entro valori accettabili. Recentemente stato pubblicato un lavoro su uno studio fatto in Italia che affronta il tema dei rischi nella professione del fisioterapista e propone uno strumento specifico per la valutazione del rischio da postura e da

movimentazione carichi. Tale problema in genere viene sottovalutato in quanto si pensa che il fisioterapista conosca tutte le strategie per salvaguardare il suo fisico. Il rischio lavorativo del fisioterapista non legato alla possibilit di eventi traumatici ma piuttosto prevalentemente correlato allinsorgenza di problematiche muscolo-scheletriche da overuse, a valenza solitamente cronica. Si parla di rachialgie che vedono proprio tra i fisioterapisti una maggior incidenza, e patologie articolari da sovraccarico, specialmente a carico degli arti superiori. Viene da chiedersi se tra i fisioterapisti ci sia una consapevolezza dei rischi ai quali vanno incontro e pare che tra tutti i fisioterapisti intervistati purtroppo pochi di loro avevano seguito un corso aggiornato di mobilizzazione manuale dei carichi e buona parte di questi, pur possedendo le adeguate competenze di ergonomia posturale, non le applicava, o non aveva la possibilit di applicarle. Accade spesso infatti, che non il fisioterapista a muoversi male ma piuttosto sono le carenze strutturali del reparto, ambulatorio o del domicilio, a mettere il terapista nelle condizioni di non poter fare altrimenti. Alcuni esempi: i lettini non sono regolabili in altezza, gli spazi lavorativi non permettono unadeguata mobilit. In alcuni casi il fattore tempo ad incidere sulla completezza dellintervento, basti pensare che un trasferimento ausiliato, dove esiste, richiede pi tempo di uno fatto manualmente e spesso gli operatori hanno i minuti contati. Il fattore rischio, nel lavoro del fisioterapista, fondamentalmente legato a due fattori: i fattori individuali e quelli legati al posto di lavoro o strutturali. Entrambi i fattori possono essere distinti in modificabili e non modificabili. Per quanto riguarda i fattori individuali gli elementi non modificabili sono per esempio let e laltezza del fisioterapista: fisioterapisti pi anziani e di altezza pi elevata sono maggiormente soggetti a incorrere in problematiche muscolo-scheletriche. Gli elementi modificabili sono invece le posture adottate, la competenza in termini di mobilizzazione manuale e

ausiliata dei carichi. Durante lo studio emerso che al variare delle condizioni lavorative, il livello di rischio legato alle posture adottate dallo stesso fisioterapista variava di poco. come se lo stesso fisioterapista avesse un imprinting posturale proprio, che entro certi limiti, ripropone anche al variare delle situazioni. Non di minor importanza infine tra i fattori modificabili, anche la conoscenza e lutilizzo di tecniche di auto trattamento: un esempio tipico sono gli esercizi della scuola Mc Kenzie, che ha fatto delle posture preventive e di auto trattamento il proprio cavallo di battaglia. Per quanto riguarda invece i fattori strutturali, gli elementi modificabili sono quelli concernenti lausiliazione (lettini ad altezza regolabili, sollevatori, strumenti di trasferimento), mentre quelli non modificabili sono quelli dettati dagli spazi: ad esempio pi sono angusti o con dislivelli e pi costituiscono un sovraccarico funzionale per il lavoratore. 1.3.1 Limitare i rischi Per limitare i rischi vi sono delle accortezze che possibile mettere in atto. In primo luogo importante sottolineare che qualunque forma di mobilizzazione dei carichi deve essere ausiliata e solo in casi eccezionali (es. domicilio) pu essere effettuata manualmente, e comunque in questi casi, con laiuto di unaltra persona. Accade per troppo spesso che lazienda per problemi di budget costringa il fisioterapista a lavorare su lettini ad altezza fissa e completamente flessi su questi, o nel caso del domicilio il lavoro spesso svolto con il paziente che sta sul letto usato nel periodo antecedente la malattia la cui altezza a volte a livello del ginocchio delloperatore e generalmente, in entrambi le situazioni, i trasferimenti vengono fatti a spalla. Nel caso degli ambienti limitati, chiaro che risulta molto difficile, se non impossibile effettuare cambiamenti strutturali, ma senzaltro vero che deve essere applicata una logica di ottimizzazione di utilizzo degli spazi.

Per quanto riguarda il lavoratore fondamentale agire su tre fattori: informazione dei rischi, continuo aggiornamento in termini di mobilizzazione manuale ed ergonomia posturale, tecniche di auto trattamento. Solo cos si pu essere sicuri di aver fatto di tutto per limitare i potenziali rischi. Vi da dire inoltre che nella professione del fisioterapista vi un rischio di fondo ineliminabile. Alcune manovre terapeutiche, specialmente lassistenza e lesecuzione di tecniche di rieducazione neuromotorie come ad esempio in pazienti affetti da ictus, esercitano sollecitazioni sullapparato muscolo- scheletrico di livelli non trascurabili. In questi casi non possibile eliminare il rischio implicito nellesercizio terapeutico perch significherebbe limitarne la sua efficacia: la soluzione migliore sarebbe alternare i carichi di lavoro con dei sufficienti tempi di recupero. Anche per la tutela del paziente non ammissibile una mentalit lavorativa a catena di montaggio, anche se questa, in molti casi, la realt. Ogni causa ha sempre, comunque, una risoluzione, nel caso dei rischi le soluzioni per l abbattimento dei rischi, possono essere circoscritti alle seguenti parole chiave: - - - - - adeguata tutela dei diritti dei lavoratori, informazione aggiornata sulla legislazione, formazione professionale continua con corsi e workshop, periodici gruppi di confronto tra gli operatori, scambio di esperienze risolutive di problematiche riscontrate ed affrontate. Sembra una vera e propria rivoluzione ma invece una maggiore evoluzione formativa professionale.

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1.3.2 Studio sul rischio professionale Lo scopo dello studio la proposta di un nuovo metodo di valutazione del rischio professionale che sia specifico per il fisioterapista e che tenga conto non solo della realt ospedaliera, dove il metodo applicato ,ma anche della realt domiciliare di difficile valutazione. Mentre per tutti gli altri operatori sanitari,entro certi limiti, la tipologia del lavoro svolto pu essere definita e standardizzata, e il livello di rischio delle azioni lavorative pu essere valutato efficacemente con un indice, ad esempio il MAPO, per quanto riguarda i fisioterapisti il discorso diventa pi complesso, in quanto le azioni svolte non possono essere cos facilmente categorizzate. Il lavoro del fisioterapista, infatti, si adatta a innumerevoli fattori, tra cui il luogo in cui opera,la tipologia dei pazienti,le posture utilizzate e i movimenti effettuati, ed per questo che per tale figura professionale difficoltoso trovare un indice di valutazione che permetta di calcolarne il rischio lavorativo. La valutazione dei rischi avviene attraverso particolari strumenti, costituiti dagli indici e dalle schede di valutazione, che permettono di assegnare un punteggio di rischio alle varie attivit lavorative o ai vari ambienti di lavoro, o, nel caso degli operatori sanitari, ai vari reparti. Gli strumenti di valutazione del rischio fino ad oggi sviluppati sono numerosi e differenti tra loro. Tali strumenti, per calcolare i livelli di rischio di una certa attivit, tengono conto sia delle caratteristiche strutturali e funzionali dellambiente in cui si opera, sia degli elementi cinematici che caratterizzano lazione svolta. Per quanto concerne laspetto cinematico dellazione lavorativa svolta,la movimentazione manuale del carico pu costituire un rischio nei casi in cui: - - - il carico sia troppo pesante; ingombrante o difficile da afferrare; in equilibrio instabile o il suo contenuto rischia di spostarsi;

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collocato in una posizione tale per cui deve essere tenuto o maneggiato ad una certa distanza dal tronco o con una torsione o inclinazione del tronco.

E ancora, lo sforzo fisico impegnato nellazione pu rappresentare un rischio nei casi in cui: - - sia eccessivo; possa essere effettuato soltanto con un movimento di torsione o forte inclinazione del tronco: - - comporti un movimento brusco: venga compiuto con il corpo in posizione instabile.

Per la redazione di un nuovo indice di valutazione, adatto a studiare i livelli di rischio nel lavoro del fisioterapista, si tiene conto delle sopracitate caratteristiche e degli indici di valutazione precedentemente creati. Gli indici di valutazione in esame sono i seguenti: - - lindice MAPO (Mobilizzazione e Assistenza Pazienti Ospedalizzati) l indice REBA (Rapid Entire Body Assessment)

Per i fisioterapisti stato messo a punto uno studio che utilizza un indice in via di sperimentazione, creato nel 2009, da Filippo Zanella (4). Questindice apporta una modificazione allindice REBA per la creazione della scheda R.P.M (Rischio Posturale e da Movimentazione Carichi). Lindice MAPO, attualmente riconosciuto lunico dalle medicine del lavoro in ambito sanitario nazionale, tiene conto delle caratteristiche del reparto e relativi ausili in dotazione ma non di quelle del gesto lavorativo; il REBA prende in esame il gesto motorio e la postura mantenuta dal fisioterapista, ma non applicabile a posture ed azioni che cambiano continuamente e richiede tempi di calcolo relativamente lunghi per ciascuna postura

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esaminata. Il REBA, comunque, viene preso in esame dallo studio condotto dal Dott. Zanella in quanto permette di calcolare il valore di rischio associato ad una determinata azione o postura a partire da parametri che prendono in considerazione la posizione reciproca dei vari segmenti corporei. Rispetto al REBA il nuovo metodo di valutazione deve: permettere di calcolare il valore e la variazione dinamica del livello di rischio in tempo reale, tenere conto dei tempi di mantenimento e della tipologia di azione svolta (statica o dinamica) deve prendere in considerazione livelli di rischio addizionali, quali la tipologia di carico movimentato, la velocit della azione e la stabilit della base di appoggio, essere facilmente applicabile ed elaborabile elettronicamente. 1.3.3 Setting e campione Per lo studio sono stati presi in esame 9 fisioterapisti di tre reparti di degenza del presidio ospedaliero dellASL di Cesena:Terapia Intensiva, Centro Grandi Ustionati (Terapia Intensiva) e la Medicina Riabilitativa. La scelta non stata casuale in quanto anni prima gli stessi operatori di quei reparti erano stati valutati tramite applicazione di schede MAPO e i tre reparti risultavano sulla carta a rischio basso. Non era per cos percepito dagli operatori che lamentavano affaticamento e frequenti disturbi di carattere muscolo-scheletrico. La scelta dei fisioterapisti, per lo studio, stata fatta in base alla loro disponibilit, indipendentemente dallet, dal sesso e dalle caratteristiche fisiche. Essi lavoravano nel reparto da almeno cinque anni con contratto a tempo indeterminato. Dallanalisi dei risultati emerso che il rischio nella professione del fisioterapista fortemente legato alla specificit del reparto, allo stile individuale del lavoro e alla formazione del lavoratore in merito al rischio e alla prevenzione dello stesso. Il confronto con i dati ottenuti dallapplicazione delindice MAPO ha prodotto risultati parzialmente diversi. Lo studio interoperatore ha evidenziato una buona affidabilit del metodo di rivelazione.

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1.3.4 Lo studio Con lintroduzione dei criteri di valutazione previsti dall ICF (Classificazione Internazionale del funzionamento, della salute e della disabilit, OMS 2001), si visto come sia importante garantire una standardizzazione dei dati e come sia fondamentale, per la loro gestione e trasmissione, che i dati raccolti abbiano un contenuto informativo il pi possibile numerico e il meno possibile qualitativo. Per lo sviluppo dellindice si individuato uno spettro di posture tipiche mantenute dai fisioterapisti nello svolgimento delle loro mansioni, attribuendo a queste posture un livello di rischio, sulla base delle quali valutare poi il livello di rischio del lavoro effettivamente svolto. Si effettuata un iniziale indagine fotografica per individuare eventuali tipicit nelle posture mantenute dai lavoratori. Lanalisi delle foto ha permesso di individuare le posture che si ripetevano e che potevano costituire una legenda per la valutazione vera e propria. La scheda di rilevamento che si doveva presentare doveva essere composta di due parti: 1) la parte da compilare, caratterizzata dai tempi di mantenimento delle posture, dal livello di rischio delle stesse, dalla tipologia di azione svolta e dagli eventuali fattori di rischio addizionali; 2) la parte che costituisce la legenda per il valutatore, da imparare a memoria, o consultare in fase di valutazione, con lo schema delle posture tipiche, i livelli di rischio e i distretti a rischio. La scheda di valutazione doveva pertanto soddisfare due esigenze contrastanti: essere il pi possibile completa, in modo da non tralasciare fattori di rischio importanti, ma essere al tempo stesso rapida, schematica e al tempo stesso facile da utilizzare.

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La scheda che si sarebbe creata avrebbe preso il nome di SCHEDA DI VALUTAZIONE R.P.M. (Rischio Posturale e da Movimentazione carichi). In seguito allanalisi delle foto, si riscontrato il ripetersi di alcune posture e si visto che, entro certi margini di accettabilit, le posture di lavoro potevano essere raggruppate in 31 grandi categorie. A queste posture individuate, che avrebbero dovuto costituire la legenda visiva per le schede di rilevamento del rischio, stato attribuito un iniziale punteggio, tramite analisi con indice REBA. In questo modo si potuto ordinare le posture in una prima approssimativa, graduatoria di rischio. Si passati successivamente a ordinare le posture in una seconda, approssimativa, graduatoria di rischio e successivamente a raggrupparle, in modo pi preciso, entro 5 differenti livelli di rischio. 1.3.5 Attribuzione delle classi di rischio e creazione della legenda delle posture Le 31 posture tipiche sono state sottoposte alla supervisione di uno staff di esperti (Consulente principale Dott.ssa Foschi Paola (4)) e sono state classificate tenendo conto del rischio comportato sia dal mantenimento della postura stessa che da quello legato al raggiungimento della stessa. Al fine di garantire un maggiore contenuto informativo, per ciascuna postura stato anche identificato il o i settori maggiormente coinvolti dal rischio, suddivisi in 3 distretti principali: 1) G (per Gambe, ovvero AAII, e in particolare larticolazione del ginocchio), 2) S (per Schiena, ovvero il rachide in toto), 3) B (per Braccia, ovvero AASS, e in particolare il cingolo scapolare). Le posture in cui veniva indicato il distretto a rischio, erano quelle di livello 2 o superiore, in quanto per quelle di livello 1 o 0 il distretto non

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era un fattore rilevante, a causa del basso livello di rischio implicato. Si ritenuto opportuno utilizzare le sigle G,S e B poich, anche se non esatte (avrebbero dovuto essere AAII, Rachide, AASS) permettevano in fase di valutazione, un riconoscimento logico- associativo molto pi rapido da parte del valutatore per indicare il distretto a rischio. Le posture sono quindi suddivise in questo modo: A) Posture di livello 0, rischio trascurabile: -in piedi, schiena e collo dritti, AASS flessi/abdotti non oltre i 60; -seduto, schiena dritta o poggiata; -steso; -cammino; -posture di riposo seduto o in piedi. B) Posture di livello 1, rischio trascurabile: -in piedi, schiena dritta, rachide cervicale flesso o ruotato, AASS flessi/ abdotti non oltre i 60 ; -in piedi, schiena flessa o ruotata, AASS di sostegno o poggiati; -seduto, schiena flessa o ruotata, AASS di sostegno o poggiati, piedi poggiati o no; -spingere la carrozzina su piano; -posizioni di riposo a terra o su lettino. C) Posture di livello 2, rischio medio: -in piedi, schiena lievemente flessa o ruotata, AASS non oltre i 60, (distretto a rischio S.);

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-seduto, piedi poggiati, schiena lievemente flessa o ruotata, AASS non oltre i 60, (distretto a rischio: S); -in ginocchio su piano morbido, schiena dritta,(distretto a rischio:G); -AAII a cavalier servente su piano morbido, schiena dritta, (distretto a rischio:G); -in piedi, schiena dritta, AASS flessi/abdotti oltre i 60, (distretto a rischio: B/S); -seduto, schiena dritta, piedi appoggiati a terra, AASS flessi/abdotti oltre i 60, (distretto a rischio B/S); -semiseduto un piede a terra,laltra gamba a ginocchio flesso, (distretto a rischio: G/S). D) Posture di livello 3, livello elevato -in piedi schiena molto flessa, (distretto a rischio : S) -seduto piedi a terra, schiena molto flessa,(distretto a rischio: S) -in piedi, schiena lievemente flessa, AASSS flessi/abdotti oltre i 60, (distretto a rischio: B/S); -seduto piedi a terra, schiena lievemente flessa, AASS flessi/abdotti oltre i 60, (distretto a rischio: B/S); -in piedi schiena dritta, AASS flessi/abdotti oltre i 90,(distretto a rischio: B); -seduto, schiena dritta, piedi poggiati a terra, AASS flessi/abdotti oltre i 90, (distretto a rischio: B); -in ginocchio su piano morbido, sedere poggiato sui talloni, schiena flessa, (distretto a rischio: G/S);

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-postura in accosciata, (distretto a rischio: G/S); -semiseduto, una gamba fuori dal lettino con piede non completamente poggiato, laltra gamba a ginocchio flesso, (distretto a rischio. G/S). E) Posture di livello 4, rischio eccessivo: -in piedi, schiena flessa di 90 o oltre, (distretto a rischio: S); -seduto su pavimento con AASS in assistenza al paziente, (distretto a rischio: S); -in ginocchio su piano rigido, (distretto a rischio: G); -AAII a cavalier servente su piano rigido, (distretto a rischio: G); -seduto, schiena flessa o ruotata, piedi non poggiati,(distretto a rischio: S). E stata quindi creata una legenda visiva delle posture, ad uso del valutatore durante lanalisi del rischio.

LEGENDA VISIVA
LIVELLO 0

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In piedi, schiena e collo dritti, arti superiori flessi/abdotti non oltre i 60

Seduto, schiena dritta o poggiata

Steso

Cammino

Posture di riposo seduto o in piedi

LIVELLO 1

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In piedi, schiena dritta, rachide cervicale flesso o ruotato, AASS flessi/abdotti non oltre i 60

In piedi, schiena flessa o ruotata, AASS di sostegno o poggiati

Seduto, schiena flessa o ruotata, AASS di sostegno o poggiati, piedi poggiati o no

Spingere la carrozzina su piano

Posture di riposo a terra o su lettino

LIVELLO 2

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In piedi, schiena lievemente flessa o ruotata, AASS non oltre i 60 ( distretto a rischio: S)

Seduto, piedi poggiati, schiena lievemente flessa o ruotata, AASS non oltre i 60 ( distretto a rischio: S)

In ginocchio su piano morbido, schiena dritta ( distretto a rischio: G)

AAII a cavalier servente su piano morbido, schiena dritta ( distretto a rischio: G)

In piedi, schiena dritta, AASS flessi/abdotti oltre i 60 ( distretto a rischio: B/S)

Seduto, schiena dritta, piedi poggiati a terra, AASS flessi/abdotti oltre i 60 ( distretto a rischio: B/S)

Semiseduto, un piede a terra, laltra gamba a ginocchio flesso ( distretto a rischio: B/S)

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LIVELLO 3

In piedi, schiena molto flessa (distretto a rischio: S)

Seduto, piedi a terra, schiena molto flessa (distretto a rischio: S)

In piedi, schiena lievemente flessa, AASS flessi/abdotti oltre i 60 (distretto a rischio: B/S)

Seduto, piedi a terra, schiena lievemente flessa, AASS flessi/abdotti oltre i 60 (distretto a rischio: B/S)

In piedi, schiena dritta, AASS flessi/abdotti oltre i 90 (distretto a rischio: B)

Seduto, schiena dritta, piedi a terra, AASS flessi/abdotti oltre i 90 (distretto a rischio: B)

In ginocchio sul piano morbido, sedere poggiato sui talloni, schiena flessa (distretto a rischio: G/S)

Postura in accosciata (distretto a rischio: G/S)

Semiseduto, una gamba fuori dal lettino con piede non completamente poggiato, laltra gamba a ginocchio flesso (distretto a rischio: G/S)

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LIVELLO 4

In piedi schiena flessa di 90 o oltre (distretto a rischio: S)

Seduto sul pavimento con AASS in assistenza al paziente (distretto a rischio: S)

In ginocchio sul piano rigido (distretto a rischio: G)

AAII a cavalier servente su piano rigido (distretto a rischio: G)

Seduto, schiena flessa o ruotata, piedi non poggiati (distretto a rischio: S)

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Per attribuire correttamente il livello di rischio a ciascuna postura,sono stati presi in esame altri 5 parametri aggiuntivi che sono: 1) Considerare se lazione lavorativa richiede una postura statica o un movimento dinamico; 2) Se si tratta di un movimento brusco o improvviso oppure di unazione lenta; 3) Se si sta mobilizzando un carico instabile (come ad esempio un paziente non collaborante o senza tenuta autonoma in ortostatismo); 4) Se si sta effettuando un movimento con una base instabile (senza un solido appoggio a terra); 5) Se si sta effettuando unazione faticosa.( Viene considerata come faticosa anche unazione che comporta la mobilizzazione di un carico minore di 20 Kg se loperazione vene percepita come soggettivamente faticosa da parte del fisioterapista, in quanto tiene in considerazione delle differenze individuali di costituzione degli operatori. Una volta creata una legenda stata realizzata una scheda di valutazione che tenesse conto di tutti gli aspetti precedentemente presi in considerazione. Questa includeva dati identificativi e di interesse statistico, come i dati del fisioterapista preso in esame, il reparto o luogo di lavoro,e lo stato del fisioterapista prima e dopo il rilevamento. La valutazione in genere viene fatta da personale esperto che si occupa di prevenire gli infortuni sul lavoro, limitando al massimo quelle che possono essere le assenze dal lavoro, in questo caso, per mal di schienada posture non corrette. Per chi svolge il proprio lavoro a domicilio, lacquisizione delle posture a rischio, permette, anche se in alcuni casi impossibile, di limitare il danno.

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SCHEDA DI VALUTAZIONE
Rilevatore: Reparto: Problemi di salute FT: Data: Fisioterapista: Altezza: Et: Peso: Effettuato corso mobilizzazione carichi:

Condizioni FT prima del rilevamento: Condizioni FT alla fine del rilevamento:


Movimento statico o dinamico? (schiena)

Tempo Inizio azione

Livello di rischio

Distretto a rischio (B/S/G)

Movimento improvviso?

Carico/base instabile?

Carico > 20Kg o azione faticosa?

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1.3.6 Patologie e disturbi pi frequenti a carico dellapparato osteoarticolare In letteratura sono sempre pi evidenti le associazioni tra le attivit di movimentazione carichi e dei pazienti, e le patologie osteo-articolari che colpiscono diversi distretti, oltre al rachide lombo-sacrale, in particolare il tratto cervicale e la spalla, ma anche il ginocchio. Per il rachide cervicale si rammenta la stretta connessione funzionale tra lo stesso, il passaggio cervico-dorsale e le spalle (il cingolo scapoloomerale) e la necessit di stabilizzare il sistema capo-collo sul tronco e sulle spalle per poter effettuare sforzi utilizzando gli arti superiori. In caso di sovraccarico biomeccanico ci pu evocare dolore a livello di C5-C6 e di C6-C7. Ci pu dare una semplice cervicalgia, o quella riflessa spondilogena a partenza da un segmento motore in crisi meccanica, o una cervicobrachialgia in caso di erniazione discale con compressione radicolare. Per la spalla alcune grossolane alterazioni anatomiche dellarticolazione scapolo-omerale, ma soprattutto lasimmetria funzionale tra gruppi muscolari effettori del movimento (insufficienza del sovra spinato e del capo lungo del bicipite rispetto al deltoide), lipercifosi dorsale, le spalle anteposte e intraruotate, possono favorire patologie da conflitto. Sono predisponenti le iperlassita capsulari, la riduzione dellextrarotazione, gli squilibri muscolari locali. Va inoltre ricordato che stress ripetuti a carico del cingolo scapolo omerale possono innescare lesioni tendinee della cuffia. Il gomito prevalentemente coinvolto in caso di movimenti ripetitivi. Possibile, se pur rara, una tendinopatia del tricipite allolecrano in chi esegue sforzi violenti e ripetuti. La rottura del tendine del bicipite se pure di natura infortunistica stata rilevata in quadri di tendinopatie croniche con successiva rottura da fatica.

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1.3.7 Laboratorio permanente su leducazione alla movimentazione Pensare ad uneducazione al movimento lavorativo corretto, significa estendere lattenzione dai problemi del rachide (back school) ai disturbi a carico di tutto il corpo che possono comparire con maggiore probabilit in seguito ad una attivit di movimentazione dei carichi, con particolare riferimento agli arti superiori e inferiori. Inoltre, la necessit di occuparsi del corpo nella sua globalit e limpossibilit di considerarlo in settori separati durante un percorso di ricerca di posture adatte e movimenti corretti, induce necessariamente ad un impostazione formativa pi vicina ad una scuola del corpoche non ad una scuola della schiena.

Sarebbe quindi utile, oltre ad utilizzare tutte le posture a basso rischio, riuscire a seguire semplici accorgimenti extra lavorativi come ad esempio fare dello sport utile per mantenere il corpo in movimento, evitare il sovrappeso, astenersi dal fumo, imparare tecniche di rilassamento capaci di ridurre lo stress evitando tensioni inutili che tendono a scaricarsi sulla schiena. Recenti studi hanno infatti dimostrato che esiste un legame tra mal di schiena e stress.

1.4 Rischi trasversali: IL BURN OUT


Lo stato di benessere dellindividuo non determinato semplicemente dalla sua piena efficienza fisica, ma anche dal mantenimento di un equilibrio psichico, sia interiore sia nellambito del sociale. Ogni volta che tale equilibrio turbato, la persona si trova in uno stato di disagio, cui risponde con una azione adattiva. In particolare, quando lambiente esterno pone delle richieste e oneri che sollecitano lindividuo a fornire prestazioni superiori al normale si crea una situazione di squilibrio che pu essere definita con il termine di stress. Lo stress quindi una reazione non specifica dellorganismo quando deve affrontare unesigenza e adattarsi ad una novit.

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Una delle situazioni in cui si innescano con maggior facilit condizioni di stress quella lavorativa e tra le professioni maggiormente a rischio vi sono senzaltro quelle sanitarie, in cui il personale si trova costantemente esposto a rapporti sociali obbligati (con i pazienti, con i familiari, con i colleghi) a prescindere dal proprio stato e dalla propria capacit emotiva; tali rapporti comportano inoltre anche oneri di responsabilit che sconfinano nella sfera etico- morale.

I PRINCIPALI FATTORI DI STRESS NEL LAVORO

Condizioni organizzative Il rapporto conflittuale uomoorganizzazione del lavorosistemi tecnologici

Motivi di stress Quando lorganizzazione del lavoro non ritenuta conforme alle capacit/possibilit delloperatore, Il sistema/la macchina determina tempi e processi di lavoro conflittuali; quando la tecnologia difficile da usare ovvero non conforme alla formazione, etc..

Il contenuto e la complessit del lavoro Il carico di lavoro La responsabilit I rapporti coi colleghi o coi Superiori I fattori ambientali

Arido, monotono e ripetitivo nelle operazioni di data-entry, pu diventare eccessivamente complesso nei lavori di programmazione Troppo elevato o troppo scarso Troppo bassa o troppo alta rispetto alle capacit personali Assenti o conflittuali Rumore, microclima ,spazi

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1.4.1 Implicazioni di carattere psicologico Accade troppo spesso che il lavoro delloperatore sanitario sia frequentemente visto come qualcosa di tecnico, di strumentale, di meccanico. In realt e soprattutto per quanto riguarda alcune figure sanitarie come gli infermieri e i fisioterapisti c un contatto con il paziente che include una relazione non solamente tecnica ma anche e soprattutto emotiva, e questa diventa sempre pi importante e a volte problematica se la paragoniamo al tempo che si trascorre insieme durante questo processo di cura. Non solo, la sua dimensione, varia anche dal posto in cui avviene: reparto ospedaliero, ambulatorio, domicilio. La necessit di interventi assistenziali continuativi porta a ridisegnare il sistema dei servizi socio-sanitari e a rivedere e razionalizzare i percorsi di cura e di contenimento dei costi socio-sanitari. Soprattutto per quanto riguarda le malattie croniche si tende a privilegiare gli interventi meno costosi, come lassistenza domiciliare, riservando quelli ospedalieri a situazioni pi complesse e di carattere acuto. In questo per si possono rilevare aspetti altamente positivi. La domiciliarizzazione delle cure sembra rispondere ad un obiettivo di diversa qualit delle prestazioni, collegato ad un insieme di valori che pongono la persona al centro dei servizi con le sue esigenze fisiche, psichiche e sociali, con il vantaggio che lindividuo si senta a casa sua con tutta lemotivit che questo stato comporta. In ambito domiciliare il paziente circondato dallaffetto dei propri familiari e diventa il protagonista del processo di cura che si svolge nei suoi confronti in un contesto per lui pi naturale. In ospedale il paziente che si trasferisce nel servizio sanitario; a domicilio loperatore che chiede il permesso di entrare a casa. In ospedale ci si pu dimenticare, per i molti compiti da svolgere, che lobiettivo il benessere della persona; quando si entra in casa , si trova il paziente, i familiari, gli oggetti che gli appartengono e

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sono parte della sua vita esperienziale e pertanto impossibile dimenticarsi che si l per lui. Mentre in ambito ospedaliero vi una stratificazione netta delle mansioni del personale, ci non avviene in ambito domiciliare dove, data la complessit del lavoro, i confini di chi opera appaiono sfumati. Al capezzale dellassistito loperatore sanitario si trova da solo, si espone in prima persona affidandosi al proprio bagaglio tecnico ed esperienziale ed consapevole di poter contare solo su se stesso per ci che riguarda le proprie azioni e le relative responsabilit. In ambiente domiciliare, trova consistenza non solo la professionalit di chi opera, ma diventa fondamentale il rapporto che si istaura tra operatore sanitario, paziente e nucleo familiare. In questi casi si deve non solo individuare quali sono i bisogni sanitari, ma cogliere quei segnali, spesso celati, di malessere sociale, di conflittualit legate alla difficolt di relazione, nonch sforzarsi di interpretare le situazioni di ansiet. La difficolt di chi lavora in questa area anche quella di trovare una risoluzione immediata ed appropriatamente efficace a situazioni che sovente lo coinvolgono emotivamente e professionalmente e che compaiono senza un grado di prevedibilit; problemi che data la loro imprevedibilit non possono essere regolamentati o codificati in anticipo. Vi sono alcune strutture che si occupano di riabilitazione quasi esclusivamente neuromotoria. Questo comporta un rapportarsi giornalmente con pazienti le cui patologie non sono solo un carico fisico ma rappresentano, forse molto di pi, un carico psicologico. Parliamo di ictus acuti, in remissione, strutturati; di sclerosi a placche a vari stadi, Parkinson e malattie similari, PCI, Alzheimer, neoplasie ecc. Questi frequentano il centro solo se vi sono le possibilit fisiche per raggiungerlo, altrimenti il loro trattamento viene svolto a domicilio. In entrambi i casi va tenuto presente che le persone elaborano le emozioni e i vissuti in linea con la loro peculiarit storica e psicologica. Unanalisi delle possibili

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reazioni, pu fornire indicazioni di carattere generale, che vanno completate da una capacit di ascolto attenta e individualizzata sulla persona che concretamente vive lesperienza della malattia. -Si pu presentare uno stato iniziale in cui scatta un meccanismo psicologico di negazione della malattia, a cui seguono angoscia e depressione. -Una fase di transizione in cui la persona accetta la diagnosi e laiuto che pu derivargli da un supporto psico-sociale. in grado solitamente di contenere langoscia e manifesta rabbia, depressione. -Segue una fase di risoluzione della crisi in cui scatta lapertura verso gli altri e la richiesta daiuto. La persona cerca di riorganizzare la sua vita e impara solitamente a convivere con il proprio stato. In tutti i casi comunque necessario lintervento dello psicologo perch non si pu delegare questo tipo di sostegno unicamente agli operatori sanitari e alla famiglia. Dopo tanti anni di lavoro si acquisisce una certa padronanza nel rapportarsi al paziente ma a volte ci si chiede se il modo di agire sia sempre giusto, se ci non crei quello stato di pesantezza psicologica che a volte porta allesigenza di scaricarla confrontandosi con i colleghi. Tutto ci fa pensare a quanto sia necessario avere a disposizione delle conoscenze appropriate, e allutilit di fornire ai nuovi laureati un mezzo valido con cui poter creare quella relazione positiva e costruttiva col paziente, senza cadere nel disagio e in quella sensazione di incompetenza che spesso assale. Prima di affrontare lesposizione di uno, tra le molteplici, metodi per impostare una relazione positiva con il paziente, si prender in visione quello che viene definito come il disagio in senso assoluto delloperatore sanitario: il burn out.

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1.4.2 Burn out degli operatori sanitari Burning-out Syndrome, o Sindrome del Burn out, un insieme di sintomi che testimoniano levenienza di una patologia comportamentale a carico di tutte le professioni ad elevata implicazione relazionale. Essa si distingue dallo stress che pu essere eventualmente una concausa del Burn out, cos come si differenzia dalle diverse forme di nevrosi, in quanto disturbo non della personalit ma del ruolo lavorativo. Il termine Burn out, che in italiano pu essere tradotto con il termine bruciato, ha fatto la sua prima apparizione nel lontano 1930 nel gergo dello sport, per indicare lincapacit di un atleta, dopo ripetuti successi, ad ottenere risultati positivi e/o a mantenere quelli acquisiti. Secondo E.Creegan, della Mayo Clinic, si tratta di una vera e propria malattia in preoccupante aumento, addirittura uno dei mali del secolo. Nel campo delle helping profession, gi dal 1975, la psichiatra americana Christine Maslach (5,6,7), durante un convegno, utilizzava questo termine per definire una sindrome caratterizzata da un esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacit personali; ed in questa occasione appunto che le viene attribuita la specifica identificazione di malattia professionale. Il contributo fondamentale alle ricerche sul Burnout da parte di C. Maslach riguarda anche lelaborazione successiva di uno strumento dindagine che a tuttoggi si rivela quello principalmente utilizzato: il Maslach Burn-out Inventory (8). Si tratta dunque di una particolare forma di reazione allo stress lavorativo tipica delle professioni daiuto nelle quali non si utilizzano solo competenze tecniche, ma anche abilit sociali ed energie psichiche per soddisfare i bisogni dellutenza, prerogativa delle professioni medica e infermieristica, ma anche assistenti sociali, fisioterapisti, personale di servizio, ecc. Il problema riguarda, almeno secondo E. Creegan, non solo chi in contatto con persone bisognose daiuto ma anche coloro che non riescono a ritagliarsi momenti di relax extra lavorativo azzerando in questo modo qualsiasi differenza tra

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casa e lavoro. Lesito finale di questo processo che vengono cancellati gli spazi extra lavorativi e ci si esaurisce dal punto di vista emozionale. Ma quali sono le cause? In base agli studi effettuati, le cause pi frequenti sembrano essere: il lavoro in strutture mal gestite, la scarsa o inadeguata retribuzione, lorganizzazione del lavoro disfunzionale, lo svolgimento di mansioni frustranti o inadeguate alle proprie aspettative, linsufficiente autonomia decisionale e sovraccarichi di lavoro. La sindrome si caratterizza per una condizione di nervosismo, irrequietezza, apatia, indifferenza, cinismo, ostilit degli operatori sanitari, sia fra loro, sia verso terzi. Queste manifestazioni psicologiche e comportamentali possono essere raggruppate in tre categorie di disturbo: lesaurimento emotivo, la depersonalizzazione, e la ridotta realizzazione personale. Lesaurimento emotivo consiste nel sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal proprio lavoro, per effetto di un inaridimento emotivo nel rapporto con gli altri. La depersonalizzazione si manifesta come un atteggiamento di allontanamento e di rifiuto nei confronti di coloro che richiedono o ricevono la prestazione professionale, il servizio o la cura. La ridotta realizzazione personale riguarda la percezione della propria inadeguatezza al lavoro, la caduta della autostima e la sensazione di insuccesso nel proprio lavoro. Il soggetto colpito da burn out manifesta una serie di sintomi che si possono distinguere in sintomi aspecifici (irrequietezza, senso di stanchezza, esaurimento, apatia, nervosismo, insonnia), sintomi somatici (ulcere, cefalee, aumento o calo ponderale, nausea, disturbi cardiovascolari, difficolt sessuali) e sintomi psicologici (depressione, bassa stima di se, senso di colpa, sensazione di fallimento, rabbia , risentimento, irritabilit, aggressivit, alta resistenza ad andare al lavoro, indifferenza, negativismo, isolamento, sospetto e paranoia, rigidit di

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pensiero e resistenza al cambiamento, difficolt nelle relazioni con lutenza, cinismo, atteggiamento colpevolizzante nei confronti dellutenza e dei colleghi di lavoro). Tale situazione di disagio induce molto spesso il soggetto ad abuso di alcol, di psicofarmaci o fumo. La sindrome del burn out potrebbe essere quindi paragonata ad una sorta di virus dellanima, perch sottile, invisibile, penetrante, continua e ingravescente. Se non si interviene determina lexitus volitivo ed energetico non solo lavorativo ma della persona. Linsorgenza della sindrome negli operatori sanitari, segue generalmente quattro fasi: 1) Entusiasmo idealistico: caratterizzata dalle motivazioni che hanno indotto gli operatori a scegliere un lavoro di tipo assistenziale; tali motivazioni sono spesso accompagnate da aspettative di onnipotenza, di soluzioni semplici, di successo generalizzato e immediato. C in tutto questo quasi una difficolt a leggere in modo adeguato il dato di realt; infatti esiste una logica secondo la quale il venire a capo di una situazione difficile non dipende dalla natura della situazione, ma essenzialmente dalle proprie capacit e dai propri sforzi. Se dunque il problema non viene risolto, significa che non si stati allaltezza. 2) Stagnazione: in questa fase loperatore continua a lavorare ma si accorge che il lavoro non soddisfa del tutto i suoi bisogni. Si passa in questo modo da un superinvestimento iniziale ad un graduale disimpegno dove il sentimento di continua delusione determina una chiusura verso lambiente di lavoro ed i colleghi. 3) Frustrazione: la pi critica del burn out. Il pensiero dominante delloperatore di non essere pi in grado di aiutare nessuno, con profonda sensazione di inutilit e di non rispondenza del servizio ai reali bisogni dellutenza. Il soggetto pu assumere atteggiamenti aggressivi e spesso mette in atto comportamenti di fuga come allontanarsi senza

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giustificazione dal posto di lavoro, fare pause prolungate o frequenti assenze per malattia. 4) Apatia: in questa quarta fase si assiste al passaggio graduale dall empatia allapatia. Durante questa fase si ha una vera e propria morte professionale. Questo progressivo susseguirsi di fasi da un livello molto alto di motivazione ad un livello di demotivazione riconducibile ad una visione del lavoro fortemente influenzata da una ideologia di tipo assistenziale, per la quale le figure sono ancora considerate come professionisti di un tipo di lavoro inadeguatamente retribuito e di beneficenza; lutente non un cliente ma un postulante a cui vene fatta lelemosina di una prestazione daiuto (G. Contessa, 1995). C da dire inoltre che il burn out non affatto un problema personale che riguarda solo chi ne affetto, ma una malattia contagiosa che si propaga in maniera altalenante dallutenza allquipe, da un membro dellquipe allaltro e dallquipe agli utenti. Riguarda quindi lintera organizzazione dei servizi, degli utenti, della comunit oltre che il singolo individuo. Le conseguenze di tutto ci sono ,come gi detto, molto gravi e si possono schematizzare in tre livelli: 1) Il livello degli operatori che pagano il burn out in termini personali, anche attraverso gravi somatizzazioni, ma soprattutto attraverso dispersione di risorse, frustrazioni e sottoutilizzazioni di potenziali. 2) Il livello degli utenti per i quali un contatto con gli operatori sociali in burn out risulta frustrante, inefficace e dannoso. 3) Il livello della comunit in generale che vede svanire forti investimenti nei servizi sociali. per possibile contenere linsorgere o le conseguenza del burn out con: - Linformazione, che mira a far conoscere questo fenomeno e ad offrire utili consigli per prevenirlo;

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La formazione, attraverso esperienze di gruppo o discussione di casi con lobiettivo di creare strumenti per far fronte al fenomeno;

Interventi specifici, attraverso la strutturazione,in base alle esigenze organizzative, di programmi anti stress studiati sulla mansione lavorativa e soprattutto attraverso lequilibrio del carico lavorativo con una corretta pianificazione del lavoro.

1.4.3 Strategie per la prevenzione del Burn out - - Sviluppo dello staff Ridurre le richieste imposte agli operatori da loro stessi attraverso lincoraggiamento ad adottare obiettivi pi realistici - Incoraggiare gli operatori ad adottare nuovi obiettivi che possano fornire alternative di gratificazione - Aiutare gli operatori a sviluppare ed utilizzare meccanismi di controllo e di feed-back sensibili a vantaggi a breve termine - Fornire frequenti possibilit di training per incrementare lefficienza del ruolo - Insegnare allo staff a difendersi mediante strategie quali lo studio del tempo e le tecniche di strutturazione del tempo - Orientare il nuovo staff fornendo un libretto che descriva realisticamente le frustrazioni e le difficolt tipiche che insorgono sul posto di lavoro - - Fornire periodici controlli di burn out a tutto lo staff Fornire consulenza centrata sul lavoro o incontri per lo staff che sta sperimentando elevati livelli di stress nel proprio lavoro

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Incoraggiare lo sviluppo di gruppi di sostegno e/o sistemi di scambio di risorse

Limitare il numero di pazienti di cui lo staff responsabile in un determinato periodo

Distribuire tra lo staff i compiti pi difficili e meno gratificanti ed esigere dallo staff che lavori in pi di un ruolo e programma

Pianificare ogni giorno in modo che siano alternate le attivit gratificanti e quelle non

Strutturare i ruoli in modo da permettere agli operatori di prendersi periodi di riposo quando necessario

Utilizzare personale ausiliario (e volontari) per fornire allo staff ordinario possibilit di riposo

Incoraggiare gli operatori a prendersi frequenti vacanze, anche con un breve preavviso se necessario

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Limitare il numero delle ore di lavoro di ogni membro dello staff Non incoraggiare il lavoro part time Dare ad ogni membro dello staff la possibilit di creare nuovi programmi

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Costituire varie fasi di carriera per tutto lo staff Sviluppo della gestione Creare programmi di training e di sviluppo per il personale attuale e futuro che si dedica alla supervisione, accentuando quegli aspetti del ruolo che gli amministratori del ruolo hanno gi difficolt ad affrontare

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Creare sistemi di controllo per i supervisori (indagini tra lo staff) e fornire al personale della supervisione un feed-back regolare sulle loro prestazioni

Controllare la tensione di ruolo nei supervisori e intervenire quando diventa eccessiva.

Soluzione del problema organizzativo e momento decisionale - Creare meccanismi formali di gruppo per la soluzione del problema organizzativo e la risoluzione del conflitto - Organizzare training per la risoluzione del conflitto e la soluzione dei problemi di gruppo per tutto lo staff - Accentuare lautonomia dello staff e la partecipazione alle decisioni

Obbiettivi del centro e modelli di gestione - - - Rendere gli obbiettivi chiari e compatibili per quanto possibile Sviluppare un forte ed originale modello di gestione Rendere la formazione e la ricerca i maggiori obiettivi del programma - Condividere le responsabilit delle cure e della terapia con i pazienti, le loro famiglie e la comunit sociale

1.4.4 Test per la valutazione del Burn out


Maslach e Jackson (8), hanno messo a punto un test (M.B.I.), per la valutazione del Burn out che attualmente il pi diffuso e utilizzato. Il M.B.I si compone di tre sottoscale che valutano le seguenti componenti: - ESAURIMENTO EMOTIVO: questa sottoscala valuta la sensazione di essere inaridito emotivamente ed esaurito dal lavoro

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DEPERSONALIZZAZIONE: la sottoscala misura in questo caso il grado di freddezza, impersonalit e distacco nei confronti degli utenti

REALIZZAZIONE PERSONALE: in questo caso si valuta la sensazione relativa alle proprie competenze e al desiderio di successo nel lavorare con gli altri.

Scheda valutazione burn out: M.B.I. (Maslach Burn out Inventory) La scheda un questionario, messo a punto ormai da alcuni anni e proposto dalla dott.sa Christina Maslach (1982), specifico per la valutazione qualitativa e quantitativa dello stato di burn out. costituito da 22 item suddivisi in tre sottoscale che valutano i tre diversi aspetti precedentemente descritti (esaurimento emotivo, depersonalizzazione e realizzazione professionale).

Domande 1. Mi sento coinvolta/o emotivamente nel mio lavoro 2. Alla fine di una giornata lavorativa mi sento un oggetto 3. Mi sento stanca/o sin dal mattino allidea di dover affrontare un altro giorno di lavoro 4. Mi immedesimo facilmente nei sentimenti dei miei pazienti 5. Mi accorgo di trattare alcuni pazienti come degli oggetti 6. Lavorare con la gente tutto il giorno per me un vero stress 7. Affronto molto bene i problemi dei miei pazienti 8. Mi sento consumata/o dal mio lavoro

Quanto spesso? 0123456 0123456 0123456 0123456 0123456 0123456 0123456 0123456

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9. Mi sento positivamente influenzato dal 0123456 vissuto degli altri nel mio lavoro 10. Sono diventata/o pi insensibile verso gli 0123456 altri da quando faccio questo lavoro 11. Mi preoccupo che questo lavoro mi stia 0123456 indurendo 12. Mi sento piena/o di energia 0123456 13. Mi sento molto frustrata/o dal mio lavoro 0123456 14. Non mi interessa quello che succede ai 0123456 miei pazienti 15. Mi sembra di lavorare troppo 0123456 16. Lavorare a diretto contatto con la gente 0123456 molto stressante 17. Riesco facilmente a creare unatmosfera 0123456 rilassata con i miei pazienti 18. Mi sento esaurita/o dopo una giornata di 0123456 lavoro a contatto con i pazienti 19. Ho avuto molte gratificazioni da questo 0123456 lavoro 20. Mi sento sul ciglio del baratro 0123456 21. Nel mio lavoro affronto i problemi emotivi 0123456 con molta calma 22. Mi sembra che i pazienti si sfoghino con 0123456 me dei loro problemi Et:..Sesso: F/MMMG dal..
Legenda:
Mai = 0 Qualche volta lanno = 1 Una volta al mese = 2 Qualche volta al mese = 3 Una volta la settimana = 4 Diverse volte la settimana = 5 Tutti i giorni = 6

Interpretazione: (da consegnare separatamente) Esaurimento emotivo: domande 1,2,3,6,8,13,14,16,20 Totale inferiore a 17: basso Totale tra 18 e 29: moderato Totale superiore a 30: alto Depersonalizzazione: domande 5,10,11,15,22 Totale inferiore a 5: bassa Totale tra 6 e 11: moderata Superiore a 12: alta Gratificazione personale: domande 4,7,9,12,17,18,19,21 Totale superiore a 40: bassa

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Totale tra 34 e 39: moderata Totale inferiore a 36 Grado di burn out Esaurimento Emotivo Depersonalizzazione Gratificazione Personale >12 <36 6-12 34-39 <5 >40 5,10,11,15,22 4,7,9,12,17,18,19,21 Alto > 30 Moderato Basso 18-29 <17 Domande 1,2,3,6,8,13,14,16,20

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1.4.5 Considerazioni
Alcune conseguenze della sindrome del burn out comportano con evidenza conseguenze negative sia sul piano personale che su quello lavorativo. In particolare stata evidenziata la correlazione tra la presenza di burn out tra gli operatori e il deterioramento progressivo della qualit delle prestazioni sanitarie e delle modalit di erogazione delle prestazioni da parte del personale. Ulteriore correlazione stata rilevata tra il deleterio aumento lavorativo e le difficolt personali in ambito extralavorativo. In questi soggetti anche riscontrabile un maggiore livello di assenteismo e di turn-over. Le categorie maggiormente colpite risultano quelle in cui vi un maggiore impatto diretto con il paziente (infermieri,fisioterapisti,assistenti socio sanitari, ecc.). Abbiamo gi visto cosa fare per limitare e prevenire queste situazioni cos degradate e questo approccio deve essere ricondotto allinterno dei processi di miglioramento continuo della qualit (Continuing Quality Improvement) che devono oggi caratterizzare le scelte organizzative nella sanit. Le condizioni di burn out, solitamente derivanti dallquipe,compromettono ulteriormente la salute dellquipe, rendendo impossibile la relazione daiuto e impedendo qualsiasi possibilit di Miglioramento continuo della Qualit. Lattuale impostazione, come abbiamo visto, si basa sul coinvolgimento fin dallinizio di tutti gli operatori delle varie professionalit che, collaborando con la propria specificit, devono elaborare aspetti organizzativi, soluzioni di criticit, ecc., individuando anche gli indicatori per valutare la validit di quanto elaborato, avviando un processo continuo e condiviso di Miglioramento della Qualit. Qualora tali tecniche venissero introdotte in maniera corretta nella struttura sanitaria, chiaro che costituirebbero un importante momento di recupero e prevenzione rispetto al burn out. Il concetto di condivisione costituisce il requisito fondamentale per lavvio di un circolo vizioso che

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ponendo lutente al centro del processo organizzativo pone per anche il corpo degli operatori in correlazione con lutente, essendo il benessere di chi opera funzione di unoperativit positiva. In questo processo il ruolo del personale sanitario pi che importante fondamentale quanto indispensabile. In questo contesto di ricerca della qualit si inserisce la formazione continua delloperatore che deve essere correttamente formato e informato sul giusto coinvolgimento emotivo che deve caratterizzare la prestazione sanitaria, creando una corretta relazione tra idealit della professione e quotidianit della prestazione sanitaria. Il benessere delloperatore costituisce, senza alcun dubbio, un prerequisito per una buona relazione daiuto, per una situazione cio che vede lerogazione della prestazione sanitaria rispettosa della dignit umana dellutente e sensibile alle peculiarit delloperatore.

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Capitolo 2
Abilit comunicative-relazionali: la narrazione come modello dapproccio 2.1 La relazione con il paziente in ambito sanitario
La capacit di comunicare e di stabilire una relazione positiva ed emotivamente armonica col paziente e con i familiari oggi riconosciuta utile in ogni branca della medicina. La relazione fa parte della cura come ben sapevano molti medici del passato, quando vi era una certa impotenza sul piano diagnostico-terapeutico ma un forte legame con il paziente e lattivit di cura coincideva spesso con lanamnesi: la narrazione del disturbo agiva come una forza catartica come il migliore dei placebo. Oggi il medico capace di accurate diagnosi ed efficaci terapie ma la possibilit di contatto umano sempre pi ridotta nel quadro di una medicina che sempre pi capace di guarire ma dove, sorprendentemente, medici e pazienti vivono reciprocamente un rapporto di sospetto e delusione. La relazione quindi fa parte della cura e la medicina oggi sta riscoprendo questa risorsa tant che in ambito anglosassone si va affermando un nuovo approccio terapeutico sintetizzato dallo slogan from cure to care dalla cura al prendersi cura. quindi necessario che il medico e il personale sanitario vengano appositamente preparati al prendersi cura delle dinamiche relazionali ed emozionali che inevitabilmente emergono nel contatto con la sofferenza dellaltro. Una gestione costruttiva della relazione ancor pi necessaria nelle strutture che si occupano di malattie croniche. Tali malattie infatti, anche in ragione del loro aumento,

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hanno contribuito a cambiare radicalmente il concetto di salute: essere sani non pi considerato assenza di malattia e di sintomi ma significa piuttosto essere efficienti ed in grado di gestire il disagio che la patologia cronica comporta vivendo una situazione di stabilit e equilibrio bio psicosociale. Malattie reumatologiche, neurologiche, diabete, circolatorie, degenerative ecc. richiedono tempi di cura molto lunghi e non possono limitarsi alla prescrizione di farmaci o di altri rimedi ma implicano per lquipe sanitaria una presa in carico globale del malato, che costituisce un grande impegno sia sul piano dellassistenza propriamente medica, sia per quanto si istaura a livello emotivo-relazionale tra il paziente e lquipe curante. La continuit delle cure necessarie a tali pazienti ed il conseguente frequente incontro con essi e i loro familiari obbliga di fatto il personale sanitario a creare con essi relazioni umane strette; ulteriori relazioni vanno poi istaurate con molteplici altre figure professionali sanitarie e non, che la natura di tali patologie richiede. La medicina dei nostri tempi comporta infatti , sempre pi spesso, il contemporaneo intervento di pi operatori sanitari (medici di famiglia, specialisti, infermieri, psicologi, fisioterapisti,ecc.); pertanto la malattia diventa un luogo di incontro tra persone; incontro che pu essere costruttivo e gratificante fino a contenere importanti stimoli sul piano della crescita personale oppure distratto e inefficace o peggio ancora conflittuale e sofferto. Lesito dipende in larga misura dalle abilit comunicativo-relazionali del personale sanitario coinvolto e ci evidenzia limpellente esigenza di sviluppare negli operatori tali abilit. Una relazione efficace con i pazienti rappresenta unimportante componente nel piano di cura fin dal momento della comunicazione della diagnosi e della prognosi. Un buon scambio di informazioni pu ridurre difatti langoscia del paziente e migliorare il suo grado di collaborazione. Occorre inoltre evidenziare che una corretta gestione delle tecniche comunicative da parte di medici e altri operatori ha un impatto positivo non solo sul paziente (riduzione dellangoscia e miglioramento della compliance), ma anche sul professionista sanitario

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(diminuzione del numero dei colloqui, minore ansia nellaffrontare le tematiche della diagnosi, della prognosi e della cura) e sulla organizzazione (miglioramento della qualit della vita professionale e della relazione con colleghi e superiori). La capacit di comunicare con laltro quindi un elemento imprescindibile per chi opera in ambito sanitario, un primo passo verso quel ruolo di relazione complesso e delicato che le professioni sanitarie rappresentano. Oltre a considerare i disagi emozionali del malato e dei suoi familiari importante valutare anche la difficolt psicologica a cui va incontro lquipe nello svolgimento della sua attivit lavorativa, caratterizzata da una tensione emozionale creata dal continuo contatto con altri esseri umani la cui sofferenza fisica acuisce la vulnerabilit emozionale e la suscettibilit relazionale. Per svolgere bene il proprio compito e per provvedere al meglio alla cura degli altri, occorre che tutte le figure coinvolte nel processo di cura, abbiano prima di tutto cura di se stessi. Ci possibile solo se loperatore stato formato appositamente per riconoscere e governare tutte quelle istanze emozionali, spesso ambivalenti, che inevitabilmente emergono nel contatto, a volte frustrante, con la sofferenza dellaltro, mettendolo in grado di gestire tali emozioni senza esserne a sua volta travolto. Lacquisizione di strumenti per la gestione delle proprie e altrui tensioni permette dunque non solo un pi efficace rapporto terapeutico col paziente ma anche un migliore controllo dello stress professionale che spesso, se non ascoltato, porta alcuni operatori alla chiusura emotiva e al rivestirsi di una corazza di insensibilit ed avvia altri sulla strada del gi visto burn out. Lattenzione alla prevenzione in tale ottica porta quindi benefici a livello di salute e qualit della vita professionale individuale, con un deciso ritorno positivo sullorganizzazione di appartenenza attraverso il miglioramento delle prestazioni e del clima interno della stessa.

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Finalit -Migliorare la qualit del servizio nei confronti dellutenza, attraverso un miglioramento della qualit delle relazioni con i pazienti e le loro famiglie. -Migliorare la qualit della vita ed il benessere professionale degli operatori riducendo i livelli di stress e aumentando i livelli di gratificazione. Obiettivi -Esplicitare la dinamica dei processi comunicativi e i fattori che ne influenzano positivamente e negativamente lefficacia. -Approfondire gli aspetti pi significativi della comunicazione interpersonale con una particolare attenzione sia agli aspetti di contenuto (che cosa si dice) che a quelli di relazione (come si dice). -Evidenziare limportanza della comunicazione non verbale quale fonte informativa indispensabile per interpretare meglio il livello di relazione, il detto e il non detto. -Promuovere un processo di auto/eterosservazione dei comportamenti comunicativi e potenziare la capacit di ascolto. -Favorire losservazione e lindividuazione delle dinamiche relazionali che intervengono allinterno della relazione col paziente. -Proporre stili e modalit comunicative efficaci in rapporto ai bisogni e alle attese dei pazienti. -Individuare i punti di forza e di debolezza che possono emergere nello stile comunicativo del medico/infermiere/ operatore sanitario, al fine di rendere pi adeguata ed efficace la sua relazione con il paziente. -Promuovere la capacit di riconoscere, contestualizzare e gestire le proprie emozioni e quelle del paziente.

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-Facilitare lacquisizione di tecniche di base del counseling e di tecniche per la prevenzione e gestione dello stress professionale.

2.2 La narrazione come modello dapproccio


Quando si parla di sofferenza e malattia, si parla di esperienze che hanno una importanza fondamentale nella vita di ognuno di noi, molto pi complesse di una diagnosi clinica. Esse infatti coinvolgono la sfera emozionale, sociale e immaginaria della persona. Prendersi cura di una persona malata non significa solo diagnosticare e trattare la disfunzione, ma anche saper comprendere lunicit, il vissuto, i bisogni espressi e non espressi. Accanto allEvidence Based Medicine/Phisyotherapy, che fondamentale per dare risposte affidabili da un punto di vista terapeutico e verificate scientificamente, la Medicina Narrativa rappresenta un approccio umanistico al paziente, sostiene la necessit di contestualizzare i dati clinici integrando le evidenze scientifiche con informazioni che riguardano la percezione individuale dello stato di malattia e il significato che ad essa attribuito. La Narrative Based Medicine incontra il consenso della Medical Humanities, movimento culturale che sottolinea limportanza della partecipazione attiva del malato al processo di cura, sia nella progettazione che nella realizzazione, e riconosce il valore della personalit del paziente,della sua storia di sofferenza e del suo diritto allautodeterminazione. Un approccio di tipo narrativo verso la persona malata conduce a nuovi livelli di conoscenza dellimpatto della malattia sulla vita del paziente, delle qualit delle cure e del rapporto medico/operatore e paziente, e diventa uno strumento in grado di fornire informazioni qualitative utili per ridefinire la pratica clinica nel suo complesso. E opinione condivisa che il momento dellincontro con laltro non pu essere lasciato alla casualit della predisposizione personale e che i professionisti della salute debbano essere sempre pi preparati ad ascoltare, interpretare e ricevere le storie di malattia e di vita che i pazienti

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raccontano. Occorre quindi che tecniche relazionali, come ad esempio la Medicina Narrativa, vengano rivisitate da un punto di vista metodologico in maniera che non solo i medici ma anche gli operatori sanitari possano inserirle nella loro pratica clinica e avere cos delle risposte che possano essere sottoposte a verifiche.

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2.3 Il paziente al centro del processo di cura


La nuova formazione universitaria riconosce alle professioni sanitarie una autonomia nelloperare ridefinendo i confini professionali e il superamento del concetto tradizionale di cura. Sostituite le vecchie gerarchie si definito un nuovo modello di organizzazione multi professionale dove ogni operatore da il suo contributo. Quindi un passaggio da un modello centrato sul sapere e sulle decisioni del medico, al modello biopsicosociale, in cui la persona con un bisogno di salute da soddisfare al centro di un processo di cura che coinvolge una serie di competenze specialistiche ( lequipe multidisciplinare), e ha un atteggiamento attivo e responsabile verso le decisioni diagnostiche e terapeutiche che la riguardano. Gli ultimi Piani Sanitari Nazionali pongono laccento sullumanizzazione degli ospedali e su come garantire sempre la partecipazione e la dignit di tutti i cittadini che entrano in contatto con i servizi sanitari. Tutto questo attraverso il rispetto della vita e della persona umana, della famiglia e dei nuclei di convivenza, il diritto alla tutela delle relazioni e degli affetti, la considerazione e lattenzione per la sofferenza, la vigilanza per una partecipazione quanto pi piena possibile alla vita sociale da parte degli ammalati e la cura delle relazioni umane tra operatori e utenti. Curare non soltanto mettere in atto le migliori pratiche terapeutiche (to cure) ma anche prendersi cura della persona (to care) e accogliere chi vive una condizione di sofferenza. Il prendersi cura di qualcuno non sconfiggere la malattia di cui affetto ma anche cercare di comprendere il vero significato di quella sofferenza e considerare la persona nella sua unicit e interezza. La persona che soffre non una patologia da curare, ma un soggetto che conosce le situazioni in cui la sua malattia si sviluppata, ha una sua idea del suo corpo, delle sue abitudini e dei suoi valori; ha una storia di vita

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assolutamente unica che lo porta ad avere una sua personale esperienza di malattia. Anche lintervento riabilitativo non pu prescindere dal prendere in considerazione la storia e la biografia della persona. La riabilitazione infatti un processo che porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale, con la minor restrizione possibile alle sue scelte operative. La riabilitazione mette in atto una serie di strategie educative mirate a stabilire nuove modalit di relazione tra le condizioni di salute di un individuo e tutti i fattori contestuali in cui vive.

Per meglio comprendere come tale rivoluzione si sia insediata nella pratica clinica necessario descriverne levoluzione.

2.4 Il ragionamento clinico nelle professioni sanitarie


A questo scopo si sono prese in considerazione le teorie del ragionamento clinico nelle professioni sanitarie. Il ragionamento clinico un procedimento metodologico teso a cogliere segni e sintomi per ragionare su cosa sta succedendo al paziente, collegarli al bagaglio di conoscenze e al processo assistenziale in corso. Il modello dominante di ragionamento clinico sembra essere, secondo la letteratura consultata, il processo ipotetico- deduttivo: per giungere ad una diagnosi, si parte da un numero ristretto di dati, ritenuti sufficienti per poter iniziare ad individuare la malattia, sulla base degli indizi che vengono forniti dallevidenza clinica immediata. Cos il ragionamento clinico spesso usato come sinonimo di ragionamento diagnostico.

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2.5 Diagnosi funzionale e ICF


Il ragionamento diagnostico considerato un momento imprescindibile per poter progettare un appropriato percorso terapeutico. Anche in fisioterapia il tema della diagnosi di attualit e in continuo sviluppo. Pur non avendo il compito di identificare una malattia come fa il medico, il fisioterapista deve formulare una diagnosi sulla funzionalit del paziente, mettendo in risalto le menomazioni e le disabilit presenti. Il termine diagnosi viene utilizzato in ambiti diversi e assume un significato diverso a seconda del contesto in cui inserito. Non bisogna quindi confondere il ruolo diagnostico del fisioterapista rispetto a quello del medico o di altre professioni sanitarie; ciascuno allinterno del proprio campo dazione ha una competenza diagnostica che non deve invadere quella degli altri. La diagnosi che spetta al fisioterapista una diagnosi sulla funzionalit del paziente cercando inoltre di individuare il fattore chiave che ha condotto a quella disabilit. La diagnosi deriva dallesame e dalla valutazione e rappresenta lesito del processo di ragionamento clinico. In Italia la prima definizione di Diagnosi Funzionale stata introdotta nel 2001 e rappresenta una sintesi di quanto presente in letteratura: Il fisioterapista prima di iniziare il trattamento effettua una diagnosi funzionale della persona assistita. Il fisioterapista riconosce attraverso i dati che emergono dallesame clinico, dallanamnesi, dalle scale di valutazione e dalle indagini strumentali la situazione clinico-funzionale della persona assistita. Scopo della diagnosi funzionale di identificare le menomazioni esistenti o potenziali, le limitazioni funzionali e le abilit/disabilit della persona assistita, nonch di determinare la prognosi. La diagnosi funzionale stabilita dal fisioterapista il risultato del processo di ragionamento clinico e fornisce le indicazioni sulle quali basare e decidere il programma terapeutico- riabilitativo e le sue modalit di applicazione.

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Nellattuazione del processo diagnostico il fisioterapista pu richiedere ulteriori informazioni ad altri professionisti. Qualora il processo diagnostico riveli sintomi, segni clinici e risposte a test funzionali che non rientrano tra le competenze, le conoscenze o lesperienza del fisioterapista, questi indirizzer la persona assistita ad un altro professionista.

Sempre nel 2001 la World Health Organization ha pubblicato la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilit e della Salute, aggiornando e cambiando in termini pi positivi la classificazione precedente. Tale documento diventato un punto di riferimento per i fisioterapisti: il metodo di lavoro proposto da questa classificazione consente di cogliere tutte le variabili del paziente e di mettere in condizioni il fisioterapista di progettare un intervento riabilitativo globale. La diagnosi fisioterapica deve comprendere cio la rilevazione degli impairment strutturali e funzionali, lanalisi delle limitazioni delle attivit e dei problemi di partecipazione sociale del paziente. LICF propone inoltre di considerare anche gli eventuali fattori ambientali e personali che possono giocare un ruolo significativo nel recupero del paziente. LICF potenzialmente un ottimo metodo di lavoro per mettere il fisioterapista in condizione di valutare il paziente globalmente; purtroppo ad oggi non stata ancora stabilit quale sia la modalit migliore per utilizzare questo strumento nei vari ambiti dintervento del fisioterapista.

2.6 Aspetti clinici e ragionamento clinico


Il processo diagnostico caratterizzato da una anamnesi dettagliata, dalleffettuazione di test clinici e dallutilizzo di scale di valutazione che consentono di chiarire lo status funzionale del paziente. La formulazione di una diagnosi sulla funzionalit del paziente quindi unoperazione che comporta un certo tempo che spesso occupa tutta la prima seduta; in casi

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pi complessi servono anche pi sedute per comprendere chiaramente quali siano le strutture responsabili del disordine e quali siano i fattori eziologici correlati. La gestione del paziente e lanalisi dei dati raccolti con lintervista e con lesame obiettivo passa attraverso un processo mentale che viene definito ragionamento clinico. Oltre al ragionamento clinico effettuato dal fisioterapista, oggi si sottolinea limportanza del ragionamento clinico fatto assieme al paziente. Tale ragionamento detto collaborative reasoning viene definito come leducazione allapproccio consensuale verso linterpretazione dei risultati dellesame, lo stabilire gli obiettivi e le priorit, e lattuazione e la progressione dellintervento. Sembra infatti che il ragionare in collaborazione con il paziente consenta una maggiore comprensione e partecipazione del paziente stesso alla gestione del suo problema di salute

2.7 Ragionamento diagnostico e narrazione


Generalmente il ragionamento clinico del fisioterapista si muove tra due aree chiave di pensiero: - Comprensione, gestione del problema (ragionamento diagnostico e procedurale) - Comprensione e interazione con la persona (ragionamento narrativo e gestione comunicativa). In realt, una diagnosi completa ed esaustiva dovrebbe comprendere quello che si appreso sia dal ragionamento diagnostico riguardo i problemi fisici che dal ragionamento narrativo riguardo la persona. In altre parole, attraverso una valutazione e una gestione riflessiva, il fisioterapista cerca di individuare i problemi del paziente, allo stesso tempo tenta di capire la persona che ha di fronte e il contesto che sta dietro la pura sequenza cronologica degli eventi.

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Questo tipo di approccio detto anche ragionamento narrativo, richiede il tentativo di capire la storia personale del paziente, includendo la comprensione della sua esperienza di malattia e della sua prospettiva riguardo il problema. Il ragionamento narrativo offre la possibilit di comprendere i reali bisogni di cura della persona, di chiarire eventuali situazioni di errata interpretazione che potrebbero inficiare il rapporto fisioterapista paziente. Come J. Mezirow (22) dichiara: non tanto quello che accade alle persone ma come esse interpretano e spiegano quello che gli accaduto che determina le loro azioni, le loro speranze, la loro soddisfazione e il loro benessere emozionale e le loro prestazioni. Per Mezirow comprendere il paziente, le sue credenze, attitudini, emozioni e aspettative, significa comprendere ci che lui ha chiamato il significato della prospettiva del paziente. Il significato della prospettiva di un individuo viene acquisito ed evolve da una combinazione di esperienze personali, sociali, culturali dove consciamente o inconsciamente le interpretazioni, le attribuzioni, e le emozioni si fondono per comporre le sue visioni e sensazioni. La base del ragionamento narrativo la comprensione del significato della prospettiva del paziente che riflesso nei suoi racconti o nel contesto in cui le interpretazioni vengono elaborate. Nel contesto della fisioterapia, il significato della prospettiva dei pazienti diventa un filtro attraverso il quale deve passare la percezione e la comprensione di ogni loro nuova esperienza. Quando il significato della prospettiva del paziente giudicato controproducente per il recupero, pu influenzare negativamente la sua percezione riguardo ad alcuni interventi terapeutici, la gestione di se e le aspettative per il futuro.

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Per poter applicare il ragionamento narrativo con successo allo scopo di comprendere la persona necessaria una adeguata conoscenza dei fattori biopsicosociali e delle abilit comunicative.

Non bastano quindi attenzione e ascolto, ma necessario identificare combinazioni indicative di potenziali ostacoli per il recupero. In altre parole, le deduzioni del ragionamento narrativo non possono essere ridotte ad un corretto o non corretto giudizio empirico. Piuttosto lipotesi del fisioterapista riguardo il significato della prospettiva del paziente pu essere validato solo attraverso la giusta metodologia.

2.8 Requisiti per stabilire una relazione terapeutica


La relazione tra professionista e paziente fondamentale in quanto da essa dipende la motivazione e la collaborazione del paziente e anche la stessa costruzione del corpo, della persona, del se, la sottrazione o lattribuzione di una capacit di agire, la definizione e il riconoscimento dellessere umano. Durante il percorso terapeutico-riabilitativo, il fisioterapista stimola il paziente a sviluppare quei processi che lo aiutano a dare un senso alla malattia. Nello stesso tempo il paziente incoraggiato a esprimere pensieri e sentimenti sulla sua situazione. Pian piano diventa sempre pi consapevole dei cambiamenti che si verificano nel percorso di cura e impara a sfruttarli per ricevere soluzioni pi adattive. Possiamo dire che la complessit del rapporto fisioterapista-paziente attiva quelle strategie cognitive volte ad affrontare e modificare la situazione di non autonomia provocata dalla malattia, in un contesto di accoglienza. Ma anche il fisioterapista impara molto da questa esperienza e ci si tradurr in un rafforzamento delle proprie abilit o nellapprendimento di nuovi elementi. Questo processo di apprendimento e il relativo scambio di informazioni avviene allinterno di una relazione terapeutico-riabilitativa.

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La relazione terapeutica una particolare forma di rapporto tra una persona che cura e una persona che richiede tale cura. Tale relazione diviene veramente efficace quando loperatore sa istaurare una buona comunicazione con il malato. Il primo requisito rappresentato dal sapere prestare attenzione alla persona al fine di capire il suo modo di essere al mondo e la sua cultura. Per porsi in tale condizione necessario recuperare la sensibilit per capire i suoi bisogni, espressi o celati, attraverso il codice verbale o analogico (linguaggio del corpo, del gesto, della mimica) L. Mortari (23) definisce lattenzione come quella postura della mente che consente di comprendere laltro e di intervenire al momento opportuno, e ancora essa la condizione per costruire sapere a partire dallesperienza, andando aldil di una interpretazione routinaria del proprio lavoro. Una delle prime qualit che il professionista deve mettere in pratica nella costruzione di una relazione terapeutica con il proprio paziente sar quindi la ricettivit, intesa come quella postura interiore che permette di accogliere i pensieri e i sentimenti dellaltro, per comprenderne e sperimentarne il vissuto.

La comprensione della persona del paziente e la capacit del professionista di intervenire attivando una dimensione di ascolto empatico, sono elementi indispensabili per poter prendere decisioni e scegliere quale sia la soluzione migliore dadottare di fronte ad un problema scientifico.

2.9 La comunicazione come strumento essenziale della cura


Il cardine di questa esperienza la comunicazione.

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Sar il modello comunicativo adottato dalloperatore a stabilire le basi della relazione stessa. G.Palo (24)propone lesistenza di tre modelli comunicativi: il monologo, il dialogo dialettico e il dialogo dialogale, ai quali corrisponderebbero tre modelli mentali. IL MONOLOGO - loperatore parla senza curarsi delle reazioni del malato Si mostra direttivo e categorico, non disponibile ai chiarimenti. Stabilisce soggettivamente i problemi e i bisogni del malato correndo il rischio di non afferrare la realt di quella persona. IL DIALOGO DIALETTICO - il fisioterapista ascolta il paziente ma tende comunque ad utilizzare il contenuto del suo discorso per far risaltare le sue capacit dipotesi. Anche in questo caso loperatore rimane ancorato ai presupposti di una comunicazione ego centrata. Il malato potrebbe accettare le proposte del terapeuta in quanto questo detiene il potere dellintervento su cui pone molte aspettative. IL DIALOGO DIALOGALE - Questa modalit comunicativa rappresenta unimportante mutazione culturale. Loperatore si mette al servizio della persona malata consapevole di avere degli strumenti che potrebbero essergli utili, ma anche di poterli utilizzare al meglio solo conoscendo laltro. Loperatore dialogale non ritiene di essere detentore del sapere universale, ma di dover comprendere i reali bisogni del malato prima di dover procedere nel migliore dei modi. I tre modelli tradurrebbero nella modalit comunicativa il modo di essere, il modo di pensare, e di operare del fisioterapista. Ne potrebbero insomma stabilire lo stile. La comunicazione uno strumento essenziale della cura, da utilizzare con attenzione e non in modo casuale. Senza togliere valore alla sensibilit, al

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carattere e alla predisposizione innata individuale vanno acquisite le componenti che consentono di veicolare correttamente i messaggi. La comunicazione nasce e si sviluppa allinterno di un contesto relazionale e ambientale in cui tutti i messaggi che i soggetti producono e si scambiano acquisiscono significati specifici. Gli esseri umani hanno la capacit di usare moduli di comunicazione sia digitali o numerici, che analogici o non verbali (ne sono esempio il gesto, il contatto corporeo, la postura, il volto, lo sguardo, il tono della voce, la bocca, la risata, il silenzio). La comunicazione verbale trasmette informazioni, quella non verbale emozioni. Quando si comunica usando le parole la comunicazione segue il modulo digitale, perch le parole sono segni arbitrari che permettono una manipolazione seguendo regole logiche della sintassi che le organizza. La comunicazione analogica include le posizioni del corpo, i gesti, lespressione del viso, le inflessioni delle parole, ed ogni altra espressione non verbale di cui lorganismo capace, come pure i segni di comunicazione presenti in ogni contesto in cui vi sia uninterazione. La comunicazione non verbale prevale su quella verbale, in quanto il contenuto emotivo che accompagna la comunicazione passa prima del contenuto della comunicazione stessa. Il corpo ha un suo linguaggio che, a differenza di quello verbale, non pu essere controllato in modo consapevole dal soggetto, ed esprime in maniera pi efficace gli atteggiamenti e le emozioni proprie della persona pi del contenuto delle sue parole. Se non si adeguano i messaggi corporei al contenuto del messaggio, si rischia di trasmettere messaggi contraddittori ed inefficaci, talvolta persino dannosi, dal punto di vista comunicativo e relazionale. Ad esempio si pu trasmettere competenza e sicurezza professionale allassistito, ma esprimere paura con il tono della voce o con i gesti del corpo. Se si intende rassicurare un paziente si pu farlo efficacemente a patto che i gesti siano congruenti con le parole.

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Loperatore sanitario deve avere una comunicazione sempre congruente, cio gestita in modo tale che il piano del messaggio non sia in contraddizione con quello della relazione. Per una comunicazione efficace con il paziente, si richiede quindi lacquisizione della consapevolezza dellimportanza del proprio corpo nella relazione, dei propri gesti, dei canali di comunicazione non verbale, che richiedono di essere gestiti in modo equilibrato ed efficace. In relazione a quanto detto si capisce come in ogni istante, nella relazione con laltro, sia impossibile non comunicare in quanto, oltre alle parole, sia i gesti sia il silenzio veicolano messaggi personali specifici, che si possono tradurre in espressioni non verbali del corpo umano .Per quanto riguarda il silenzio ad esempio, difficile riscontrare un silenzio assoluto allinterno di una relazione. Spesso il silenzio compensato da posture corporee, mimiche facciali, movimenti oculari che sostituiscono ampiamente le parole. Sono spesso messaggi che interpretano e qualificano ci che si vuole comunicare. Certe volte il silenzio esclude la reciprocit nel senso che chi lo esercita richiede la non intrusione di altri. Ad esempio, nella pratica fisioterapica ambulatoriale e domiciliare capita a volte un mutismo elettivo da parte del paziente che occorre rispettare in quanto in quel momento il paziente non accetta nessuna intrusione. Ci in genere viene comunicato con la chiusura degli occhi, chiedendo quasi in questa maniera di essere lasciato in pace. La chiusura degli occhi, la rigidit corporea indicano un interpretazione corretta del silenzio. Chi esercita la comunicazione del silenzio cosciente di quello che vuole comunicare. Chi invece deve interpretare il silenzio deve compiere un notevole sforzo per non rischiare di male interpretare. Il silenzio in alcune circostanze rispetto di una interazione sociale quale la comunicazione. Lascoltare in silenzio infatti un modo di comunicare a chi parla lattenzione per quanto viene detto o comunicato. Spalancare gli occhi, prendere appunti stimolano chi parla ad interpretare che quanto sta comunicando positivo. Loperatore stesso, durante il suo intervento, utilizza momenti di silenzio per far s che il paziente possa interiorizzare e

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riflettere su quanto gli stato comunicato. Il silenzio, in sintesi, rappresenta uno scambio di comunicazione nella stessa misura in cui lo la comunicazione verbale. Esso pu rappresentare un dovere, una scelta, una forma di rispetto e di condizionamento. Esso una forma comunicativa quando serve, e se usato appropriatamente un alta forma comunicativa. Esistono numerose variabili che entrano in gioco e possono interferire sia positivamente, rinforzando e agevolando la comunicazione, che negativamente contribuendo ad aumentare le difficolt, ad alzare muri insuperabili che possono distorcere o addirittura creare fraintendimenti con pericolose ricadute sul processo di cura. Il comportamento umano in una situazione di interazione ha sempre valore comunicativo, vale a dire che comunque ci si sforzi non si pu non comunicare e lattivit o linattivit, il silenzio o le parole hanno tutti valore di messaggio; influenzano gli altri, e gli altri a loro volta, non possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicare anche loro. La stessa raccolta dei dati presuppone un colloquio con il paziente; anche la semplice azione del presentarsi ha valore di messaggio. Il colloquio deve tener conto del vissuto della persona relativamente ai suoi sentimenti rispetto alla sua situazione clinica, alle sue idee e interpretazione dei problemi, alle sue aspettative riguardo ci che deve essere fatto e a tutti i fattori contestuali che entrano in azione. La raccolta dati non costituisce una semplice azione burocratica ma un momento di costruzione della relazione comunicativa, pertanto, il colloquio viene guidato e costruito dalla capacit di saper fare domande, di saper ascoltare, di sapere esporre chiaramente, e sullautoconsapevolezza di ogni operatore sanitario. Utilizzare queste modalit definite da Palo dialogali implica una disponibilit allapertura e una capacit di mettersi nei panni dellaltro che

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potrebbero portare ad un eccessivo coinvolgimento personale. Per prevenire e limitare tale rischio necessaria unadeguata formazione. Nel 2002 lassociazione degli infermieri dellOntario (Registered Nursing Association of Ontario- RNAO) ha sviluppato un documento sullo stabilire una relazione terapeutica inserito tra le linee guide della best practice infermieristica che, con qualche modifica, pu essere utilizzato dalle altre professioni sanitarie. Il primo concetto che espresso nel documento lidea della relazione come valore, e si afferma che gli operatori devono acquisire le conoscenze necessarie per poter partecipare nella relazione terapeutica in modo efficace. Vengono cos elencate in dettaglio le conoscenze richieste per stabilire relazioni terapeutiche. CONOSCENZE DI BASE: principali teorie psicologiche per partecipare efficacemente alle relazioni terapeutiche acquisite attraverso una preparazione adeguata. CONOSCENZE DELLE TEORIE SULLO SVILUPPO INTERPERSONALE: per acquisire consapevolezza sullo sviluppo del se e sulla sua influenza sugli altri. CONOSCENZA DELLE INFLUENZE E DEI FATTORI DETERMINANTI LA DIVERSIT: per saper entrare in contatto con la diversit sociale, culturale, fisica ecc. CONOSCENZE DELLA PERSONA: capacit di identificare gli elementi significativi della persona in un determinato momento della sua vita. CONOSCENZE DELLO STATO SALUTE/MALATTIA: per modulare efficacemente la risposta terapeutica e relazionale. CONOSCENZE SULLE INFLUENZA GENERALE SULLA ASSISTENZA E SULLA POLITICA DELLA SALUTE: per comprendere tutti gli elementi che possono influenzare il contesto della cura e dellassistenza della persona, specificatamente agli aspetti professionali, organizzativi, politici e sociali.

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CONOSCENZE DEI SISTEMI: per fornire la cura e lassistenza strumentale alla persona e accedere a tutti i servizi necessari. Alle conoscenze vengono aggiunti i requisiti per stabilire relazioni terapeutiche che ci consentono di riflettere sulla pratica: # AUTO-CONSAPEVOLEZZA: capacit di effettuare un processo di riflessione sulle proprie azioni e i propri stati emozionali, per elaborare le risposte pi adeguate ai bisogni, agli obiettivi terapeutici e ai valori della persona. # AUTO- COSCIENZA: capacit di riconoscere che la propria esperienza modellata da molti fattori quali nazionalit, razza, cultura, salute, circostanze socio-economiche, ma anche genere, formazione, motivazioni, paure, ecc. Lautocoscienza permette di discriminare i propri valori da quelli della persona bisognosa di cura, evitando la possibilit di fraintendimenti nella relazione. # EMPATIA: capacit di vedere il mondo come lo vede e lo sente laltro, in modo da capire la sua esperienza soggettiva attraverso unattenta riflessione. Richiede la capacit di cogliere lesperienza vissuta dallaltro con un ascolto partecipe, escludendo qualsiasi forma di identificazione. Lempatia la porta per entrare dentro il mondo interiore della persona per avere la sua esperienza di malattia e contribuire alla creazione di una buona relazione umana e terapeutica.

# CONSAPEVOLEZZA dei confini e dei limiti del proprio ruolo professionale: in riferimento alla consapevolezza dello spazio professionale allinterno del quale costruire le relazioni terapeutiche e che solo in condizioni particolari pu essere violato.

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2.10 La fiducia
Unaltra componente fondamentale per costruire una buona relazione tra professionista sanitario e paziente la fiducia. La fiducia viene definita come la salda credenza basata sullesperienza in considerazione di qualit come onest, veridicit e giustizia. I fattori che contribuiscono a creare e mantenere la fiducia sono diversi: la capacit di prendere in carico la persona per qualunque sua esigenza legata alla cura, rispettandone le opinioni e il suo modo personale di sentire, la dimostrazione di competenza nelle attivit che si svolgono, il saper confortare pur senza invadere gli spazi delicati della personalit altrui.

2.11 La comunicazione in riabilitazione


Dopo aver definito quali devono essere i punti fermi per una appropriata relazione con il paziente occorre stabilire il modo in cui ci deve avvenire. Un cenno a ci che si definisce narrazione pu introdurre in quel mondo cosi straordinario in cui si fondono curante e bisognoso di cure. La narrativa uno strumento culturale molto antico. Le storie aiutavano le persone, gi dalla preistoria, a sopravvivere nella vita pratica ed erano anche usate per trasmettere, formare e rafforzare la morale della comunit, necessaria per sopravvivere. Le storie erano utili per immaginare il possibile corso degli eventi, necessarie per fare piani per il futuro e, presumibilmente ascoltare storie aiutava a comprendere e a valutare le intenzioni e la struttura della mente di altri esseri umani. Le storie avevano funzione di unione e divertimento. Le storie possono essere raccontate, in forma orale o scritta, dagli stessi interlocutori o da altri; possono essere rivolte a uno o pi interlocutori; trasmesse attraverso mezzi semplici come il parlato o pi complessi come lopera teatrale o la finzione cinematografica. Il racconto di storie fa parte del vivere quotidiano. Quando si incontra un amico o qualcuno con cui si vuole far conoscenza, ci si racconta. Quindi o si vive nella storia o si diventa

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ascoltatori delle storie degli altri. Molte istituzioni sociali (come la scuola o gli ospedali) sono quasi interamente caratterizzate dallopportunit di raccontare storie. Si vedr ora come anche i fisioterapisti siano coinvolti nel raccontare e nellascoltare storie di ogni tipo. I fisioterapisti ascoltano storie ogni volta che il paziente racconta quello che sta succedendo nella propria vita. Secondo J.Biorkenheim (25), le persone racconterebbero la propria vita nel tentativo di trovarne un senso. Ci sarebbe facilitato dal vederla come una storia comprensibile, con una trama, uno sguardo al passato, uno sguardo al presente e uno al futuro. Gli eventi, le esperienze, i pensieri e i sentimenti raccontati sono legati insieme dal significato che la persona ne d; cos una storia di vita diventa interpretazione della propria vita. Alcuni eventi ed episodi possono essere visti con un particolare significato: alcuni vengono selezionati mentre altri dimenticati o esclusi e talvolta la loro interpretazione, sia che riguardi il passato o i progetti per il futuro, viene trasformata o cambiata in base alla situazione attuale. Riflettere sulla propria storia pu significare una diversa interpretazione dei precedenti eventi della vita e portare la persona a cercare diverse prospettive realizzabili. In questo senso la narrativa pu essere usata in riabilitazione per ottenere una migliore comprensione dellesperienza di malattia delle persone e delle loro qualit di vita. I professionisti che ascoltano e sanno ascoltare hanno la possibilit di sviluppare le proprie capacit empatiche per capire meglio le esigenze degli altri, ma in parte il loro compito e anche quello di supportare chi deve essere riabilitato, nel tentativo di reinterpretare una nuova situazione di vita , a creare racconti che siano significativi. Nella prospettiva della narrativa, il compito della riabilitazione, pu essere inteso come laiuto dato alle persone per realizzare le loro storie di vita. Spesso il fisioterapista ha la responsabilit di creare lopportunit per i pazienti di vivere una vita significativa: raggiungere i loro obiettivi e rendere possibili e apprezzati i nuovi progetti. Questo significa non solo migliorare le funzioni che sono necessarie per realizzare gli obiettivi della singola persona ma anche guidarla e

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sostenerla nello sviluppo di nuovi progetti quando tali obiettivi sono resi difficili dalla complessit delle strutture sociali, culturali, dalla realt della malattia o della disabilit. Si creano cos delle nuove storie di vita che dovranno essere accettate e rispettate da chi viene riabilitato e dalle persone che sono importanti per lui/lei. Per le persone che devono intraprendere un percorso riabilitativo spesso importante ascoltare storie di persone che hanno esperienze similari. Questo permette di condividere con gli altri non solo le proprie esperienze , ma pu anche dare supporto e forza alla propria identit o aprire nuove prospettive. Il racconto di storie rappresenta anche una parte importante dellattivit degli operatori sanitari. La natura e la lunghezza delle storie che essi raccontano, dipendono oltre che dalla professione, dalla situazione e dagli interlocutori a cui sono dirette: ai pazienti, ai colleghi e agli studenti. I fisioterapisti raccontano storie ai loro pazienti quando: svolgono attivit di tipo educativo, danno spiegazioni e istruzioni sul trattamento, li aiutano ad immaginare lobiettivo da raggiungere. I fisioterapisti raccontano storie ai loro colleghi nei momenti di: passaggio di consegne, confronto personale su casi e situazioni difficili, trasmissione della propria esperienza con casi particolari.

In ambito formativo il racconto di storie un buon modo per: catturare lattenzione degli studenti, far ricordare le informazioni comunicate o facilitare lintegrazione della conoscenza teorica con una conoscenza pi applicativa. Inoltre il racconto di storie viene utilizzato come strumento didattico per sviluppare lattitudine empatica degli studenti o per aiutarli a prendere confidenza con situazioni di stress in cui potranno trovarsi quando inizieranno la loro pratica lavorativa.

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2.12 Narrativa Based Medicine


La sua ufficializzazione definitiva risale al 1999 quando sul British Medical Journal viene pubblicata una serie di articoli nei quali si parla esplicitamente di Narrative Based Medicine, anche se gi nel 1991 alcuni Autori, per lo pi medici, avevano pubblicato articoli sullimportanza della narrazione in medicina e nella loro pratica professionale; Katrin Montgomery Hunter nel 1991 pubblica il suo testo storico Doctors Stories The Narrative Structure of Medical Knowledge, Joanna Shapiro nel 1993 segnala limportanza della narrazione tra medico e paziente, Rita Charon nel 1995 pubblica un fondamentale articolo sugli Annals of Internal Medicine, nel quale ribadisce limportanza della narrativa nella pratica clinica. In realt la NBM nasce negli USA e pi precisamente da studi di antropologia medica effettuati dall Harvard Medical School. Studiosi quali L.Eisemberg, Byron J.Good e A.Kleiman (30), sostengono che la salute, la malattia e la cura, siano un prodotto culturale costruito sulla base di specifici linguaggi sociali. Non si tratta di una neutrale e oggettiva costruzione della realt ma piuttosto di un insieme di significati simbolici che modellano sia la realt, ovvero la clinica, sia lesperienza che il soggetto malato ne fa. Gli studi di antropologia sostengono che per capire la complessit della malattia occorre superare il modello biomedico pur non abbandonandolo. Kleiman afferma che N la patologia n lesperienza di malattia sono delle cose, delle entit; esse piuttosto rappresentano differenti modalit di spiegare la malattia, sono dunque differenti costruzioni sociali della realt. Kleiman stato tra i primi a distinguere tra malattia in senso biologico (disease) ed esperienza di malattia (illness), intesa come il modo in cui il malato, la sua famiglia e la rete sociale percepiscono, definiscono, spiegano, valutano la patologia (disease) e vi reagiscono. Successivamente sempre Kleiman introdurr un terzo termine per la malattia, quello di sickness definita come la

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comprensione di un disturbo/disordine nel suo significato generale, allinterno di una popolazione in relazione alle forze macrosociali (economiche, politiche, istituzionali). La triade diesase, illness, sikness, costituisce la base di riferimento per comprendere limportanza della narrazione, perch proprio attraverso il racconto che si costituisce il significato della malattia e della sua esperienza intesa come illness. Anche secondo Good, il processo di costruzione sociale della illness avviene attraverso la narrazione. Lindividuo racconta una storia quando cerca di capire un evento improvviso e doloroso, come lo la malattia, a cui non si riesce a dare un senso. Lesistenza spesso ricca di storie di malattia, che vengono raccontate o che si raccontano, ed proprio da queste storie che gli individui costruiscono la propria esperienza di malattia. Nel raccontare la malattia non ci si limita a descriverne gli eventi, ma si costruisce una trama e una temporalit che d quel particolare significato che lindividuo gli attribuisce anche in base ad un contesto culturale e sulla base di una specifica rete semantica della sickness. Allo stesso tempo la narrazione una rappresentazione dellesperienza altrui: attraverso di essa si possono comprendere i vissuti individuali di dolore e sofferenza, nonostante la difficile comunicabilit. La narrazione non soltanto una interpretazione dellesperienza di malattia ma il risultato di un rimodellamento delle interpretazioni della storia, che sia il paziente che loperatore sanitario fanno e da cui possibile creare una nuova interpretazione della malattia. Di conseguenza la decisione di sottoporsi ad un certo progetto terapeutico sar influenzata dal significato che il paziente e loperatore sanitario hanno costruito nella relazione terapeutica, attraverso le narrazioni. In base a questo nello svolgimento della pratica clinica dei diversi professionisti, sono fondamentali due aspetti: - Il riconoscimento dellimportanza del modo in cui il paziente si pone in relazione alla malattia, oltre ai disturbi anatomici e fisiologici; Ci

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che conta non solo la verit oggettiva, ma anche la verit soggettiva, che associata allio e varia da individuo a individuo e - linterpretazione delle narrazioni del paziente sullesperienza di malattia.

Durante la met degli anni 90 diventa importante, nel processo di cura, lutilizzo della narrazione in medicina: a partire da essa e con essa si avvia un rapporto pi adeguato con il paziente (diagnostico e terapeutico). A partire dal 1999 il numero di operatori sanitari che credono in essa e sulla sua applicazione aumentato considerevolmente.

2.13 Cos la Medicina narrativa?


Una delle maggiori esponenti e promotrici di questo approccio senza dubbio Rita Charon (31,32), la quale sostiene che: la medicina narrativa la medicina praticata con competenza narrativa, intesa come la capacit di saper riconoscere la rilevanza delle storie dei malati ascoltate o lette, comprendere e interpretare il loro significato e agire in base a tali racconti nello svolgimento della pratica clinica. In un periodo in cui vi un notevole passo avanti per quanto riguarda la ricerca scientifica si sviluppa linteresse anche per ci che sconosciuto e imponderabile, il particolare e il s: per il vissuto del malato, per il racconto della malattia e per le vite interiori dei clinici. Alcuni chiamano questo tipo di approccio lavoro centrato sul paziente, altri pratica consapevole, altri cura centrata sulla relazione o medicina narrativa. La medicina narrativa ricorda agli operatori sanitari che la malattia si nasconde tra le pieghe di una storia, che vi uninterazione tra chi racconta e chi ascolta e che essi sono sia testimoni della sofferenza del malato ma anche aggiustatori dei loro pezzi rotti. E evidente che questo tipo di approccio tenta di recuperare alcuni aspetti importanti che talvolta rischiano di essere sottovalutati dal crescente processo di specializzazione e tecnologizzazione della

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medicina: la sensibilit alla dimensione emozionale e culturale dellassistenza, il rispetto dellindividualit dei pazienti e limpegno etico dei professionisti. Lapplicazione delle abilit narrative pu assumer forme e funzioni differenti: prima di tutto un mezzo per comprendere e riconoscere i pazienti nel contesto delle loro vite e delle loro sofferenze ma pu essere un mezzo per far riflettere i medici e gli operatori sanitari sulla propria pratica clinica e per formare i futuri professionisti; la narrativa pu inoltre essere utilizzata come trattamento dintervento, come strumento o addirittura come tecnica di ricerca per raccogliere dati qualitativi sui processi di cura. 2.13.1 Uno strumento per comprendere il paziente Tra i medici e gli operatori sanitari ormai sempre pi diffusa lidea che nello studio delle malattie e del loro trattamento debbano essere prese in considerazione sia le informazioni statisticamente significative che le caratteristiche personali del paziente. Lintento della NBM quello di rendere il professionista capace di ascoltare e interpretare correttamente quello che il paziente tenta di dire riguardo la sua esperienza di malattia attraverso il racconto. Il racconto infatti non contiene solo quello che riguarda i sintomi, ma pi profondamente la sofferenza e le emozioni della persona che soffre. Le competenze narrative possono cos aiutare il professionista sanitario a sviluppare le proprie abilit nelladottare il punto di vista del paziente, immaginando la sua sofferenza e deducendo i suoi bisogni, ma anche a riflettere sulle proprie emozioni e su quello che loro stessi subiscono nel curare i pazienti. Rita Charon dice che Con un addestramento rigoroso e disciplinato in tali abilit narrative e la riflessione sulle proprie esperienze cliniche, i medici possono imparare ad assistere i loro pazienti proprio sulla base di quello che i pazienti dicono loro (nelle parole, nei silenzi, nei gesti).

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2.13.2 Uno strumento per riflettere sulla propria pratica clinica Le competenze narrative danno ai professionisti non solo i mezzi per comprendere il paziente, ma anche nuovi mezzi per conoscere la malattia stessa e riflettere sul significato della propria pratica clinica. Cos come fanno i pazienti, anche alcuni medici e operatori sanitari hanno voluto rappresentare a parole quello che essi attraversano nello svolgere il loro lavoro; oltre a documentazioni scientifiche scrivono anche documentazioni narrative sul significato delle interazioni umane, descrivendo anche aspetti emozionali e personali sulla cura di particolari pazienti. Alcuni Autori riportano che questo tipo di scrittura li aiuta a comprendere meglio la terribile esperienza di malattia e la vita dei loro pazienti e sostengono lipotesi che scrivere su se stessi e sui pazienti conferisce alla pratica medica una sorta di conoscenza che non ottenibile diversamente. Ecco come descrive e commenta Rita Charon, dellUniversit della Colombia: Pi io scrivo sui miei pazienti e su me stessa, pi mi rendo conto che la narrativa mi da accesso a una conoscenza, su me e sul paziente, che non avrei potuto raggiungere in alcun modo. Oltre alla caotica narrativa attuale, in futuro potranno emergere nuove forme di narrativa in cui poter esaminare e riflettere e rappresentare il nostro impegno con i pazienti.

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2.13.3 Uno strumento per formare gli operatori Negli ultimi anni nelle scuole statunitensi, i programmi di formazione dei medici e degli operatori sanitari hanno posto maggior attenzione alle competenze narrative identificandole e sviluppando metodi per insegnarle. In alcuni percorsi formativi stanno emergendo programmi di medicina narrativa o medicina basata sulla narrativa per insegnare aspetti specifici di competenze narrative, in particolare quellinsieme di abilit necessarie per recepire e ricevere le storie ascoltate e lette e attraverso di esse poter capire lesperienza dei pazienti di fronte alla malattia e modellare la propria pratica clinica in base ad esse. Inoltre, non viene solo data attenzione alla storia dei malati ma un numero sempre maggiore di tirocinanti viene incoraggiato a scrivere circa la propria pratica clinica e a sviluppare capacit riflessive. Nelle scuole di specializzazione statunitensi si va diffondendo la pratica di inserire corsi e seminari di letteratura e di scrittura riflessiva: si tratta di strumenti volti a stimolare la relazione empatica con il paziente. Gli esercizi di narrazione personale di malattia, in particolare, costituiscono un tentativo per far emergere, interpretare e tradurre da parte dello studente la propria personale esperienza di malattia. 2.13.4 Scrittura autobiografica come trattamento dintervento Il campo della narrativa che si sta sviluppando in medicina anche un trattamento di intervento che pu avere un potere terapeutico: sempre pi spesso i pazienti scrivono della loro esperienza di malattia non solo per darne testimonianza ma anche perch trovare le parole per contenere il caos che la malattia genera, permette a chi soffre di sopportarla meglio. Gi a partire dagli anni 50 si era registrato a livello internazionale lo sviluppo di un genere letterario chiamato autopathographies, ossia le scritture delle esperienze di malattia. Esse oltre a rappresentare un testo ricchissimo su cui basare la formazione degli operatori sanitari, vengono sempre pi proposte come terapie complementari riconoscendole un

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valore terapeutico tanto che si parla di therapeutic writing (o creative writing o expressive writing). La scrittura terapeutica quindi una pratica autobiografica che si rif allesperienza vissuta in prima persona. Il padre della terapeutic writing considerato lo psicologo americano James Pennebaker (34), che agli inizi degli anni 80 ha studiato gli effetti della scrittura delle proprie emozioni sulla salute degli individui, sia sani che malati. Fatta eccezione per alcune categorie di individui/pazienti (pazienti psicotici o di bassissimi livelli di scolarit per es.) la scrittura autobiografica viene utilizzata da pazienti con le pi disparate patologie (carcinoma mammario, asma, artrite reumatoide, malati terminali, sieropositivi) come strategia per far fronte a quell attacco allidentit che spesso la malattia rappresenta per il paziente. Per stimolare il racconto della propria esperienza di malattia possono essere usati anche linguaggi alternativi come il disegno, la scultura, il collage ecc. 2.13.5 Uno strumento per raccogliere dati qualitativi Accanto alle ricerche di tipo quantitativo, la medicina narrativa, permette di raccogliere quei dati di tipo qualitativo che indagano pi profondamente nel vissuto del paziente e la serie di relazioni che egli vive nel luogo di cura. La pratica autobiografica quindi unattivit che pu produrre delle trasformazioni, non solo nei pazienti ma anche nei professionisti della cura che leggendo le storie di malattia possono comprendere come migliorare i propri interventi, rendendoli sicuramente pi vicini ai bisogni dei pazienti. La narrazione quindi permette di comprendere gli effetti che la malattia ha sulle persone ma anche di valutare la qualit delle cure e il rapporto medico/operatore paziente ridefinendo la pratica clinica nel suo complesso. La forza di questo tipo di racconto si amplifica quando sono i professionisti della salute ad essere malati e si trovano a raccontare la loro esperienza di malattia, il loro percorso allinterno delle strutture sanitarie ed il loro rapporto con chi adesso li deve curare suggerendo

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cambiamenti possibili per migliorare e umanizzare lintero sistema sanitario1

2.14 Alcuni progetti


Sempre pi professionisti sanitari e pazienti, riconoscono limportanza delle storie di malattia che raccontano lun laltro, orali o scritte, sia sotto il profilo diagnostico che terapeutico, tanto che alcuni autori ipotizzano una loro raccolta sistemica. Lo scopo di un database di esperienze di singoli pazienti di collezionare, indicizzare e pubblicare, nella forma narrativa, le esperienze di malattia degli utenti del servizio medico-sanitario. In Italia tra il 2001 e il 2004, allinterno di un Programma Nazionale finanziato dal Ministero della Salute, sono stati attivati vari progetti sulla umanizzazione delle cure in diverse regioni tra cui la Toscana e l Emilia Romagna, che hanno utilizzato le storie di cura come strumento di valutazione dei servizi sanitari. LA.S.L. di Reggio Emilia ha realizzato, dall Ottobre 2005 al Giugno 2006, un progetto sperimentale su i percorsi di cura centrati sulla persona con specifici problemi di cronicit, con lo scopo di contribuire al miglioramento dellintegrazione delle attivit di cura e dei servizi nellarea socio-sanitaria con particolare riferimento al paziente cronico. Le professionalit coinvolte sono state sia medici che infermieri che fisioterapisti. La prima parte del progetto ha previsto una valutazione della qualit delle cure, con i tradizionali metodi quantitativi, affiancata da una valutazione qualitativa. Lindagine qualitativa, (seguendo la Narrative Based Medicine) stata condotta attraverso le narrazioni di malattia fatte

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.Dallaltra parte 2006, tre medici di fama internazionale colpiti da gravi patologie, vivono e raccontano il loro dolore, le loro paure , la loro rabbia e denunciano le disfunzioni del nostro sistema sanitario ed in particolare il rapporto medico paziente, concludono proponendo un decalogo per una riforma sanitaria e una medicina rimodellata a partire dalla sofferenza del paziente. Prof.Sandro Bortaccioni cardiochirurgo, Dott.Gianni Bonadonna Presidente Istituto Tumori di Milano, Prof.Francesco Sartori Direttore Dipartimento di Scienze chirurgiche toraciche e vascolari dellUniversit di Padova (36)

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dai pazienti, dai familiari e dai professionisti. La seconda parte del progetto, ha cercato di integrare le esperienze del paziente con le evidenze in letteratura per migliorare i percorsi e la qualit delle cure, e ha tentato di costruire strumenti metodologici e culturali comuni (linee guida, raccomandazioni) per lapproccio alla cronicit integrandoli con le informazioni ricavate dalle indagini narrative. Un progetto simile stato attivato dall A.S.L. di Firenze nel 2006, dopo una sperimentazione del 2004, e inserito nel Laboratorio Innovazione per la Salute. Il progetto chiamato NAME, NArrative based MEdicine, rientra nella logica di promozione della continuit assistenziale e di centralit della persona.(18)

2.15 Lo studio
Lo studio preso in considerazione stato realizzato presso Azienda Ospedaliero-Universitaria di Careggi Firenze.(34) 2.15.1 Scopo e progetto dello studio Lo scopo primario di questo studio quello di verificare se lapproccio e il ragionamento clinico narrativo sono presenti nella pratica professionale dei fisioterapisti. Il secondo obbiettivo quello di verificare se le competenze relazionali e narrative sono ritenute importanti e se sentita lesigenza di svilupparle anche allinterno dei percorsi formativi di base. Il metodo di studio scelto quello dellanalisi qualitativa, privilegiando la narrazione come strumento di indagine, seguita da una descrizione e interpretazione degli eventi rivelati. Del gruppo di ricerca fanno parte: un fisioterapista il primo ricercatore-, due altri fisioterapisti consulenti esperti- con varie competenze, e un psicologo consulente esperto esterno-. Lidea che ha guidato la semistrutturazione stata quella di testare il metodo narrativo come strumento di indagine per la raccolta di informazioni qualitative, verificare limportanza data dal gruppo di

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fisioterapisti allapproccio e al ragionamento narrativo e la necessit di una diversa formazione a tal proposito. 2.15.2 Materiali e metodi campionamento Per lo studio sono stati selezionati 2 gruppi di fisioterapisti: il primo lavora in un reparto in cui i pazienti sono affetti da patologia cronica fortemente invalidante che richiede lunghi tempi di degenza. Il lavoro svolto nella condivisione del piano terapeutico oltre che con il malato con un equipe multi professionale; Il secondo gruppo lavora in reparti differenti con pazienti affetti da un estesa variet di patologie, il periodo di ospedalizzazione del malato relativamente breve e il tempo a disposizione del trattamento riabilitativo variabile e comunque secondario ad altre pratiche mediche e assistenziali; oppure nel caso di eventi acuti, la situazione clinica condiziona costantemente sia il piano di trattamento sia la relazione tra operatore, paziente e personale del reparto. Criteri di inclusione: fisioterapisti assunti a tempo indeterminato che fossero presenti nel periodo dello studio. Criteri di esclusione: fisioterapisti che operano esclusivamente con pazienti che per et o patologia non sono in grado di poter comunicare in maniera diretta con loperatore, e fisioterapisti con sole funzioni direttive; fisioterapisti assenti dal lavoro per un periodo prolungato (malattia, maternit,ecc..); operatori non vedenti o ipovedenti, in quanto portatori di qualit percettive differenti. Il campione definitivo quindi composto da 15 fisioterapisti provenienti dallUnit Spinale e da 15 fisioterapisti provenienti da diversi reparti. S chiameranno per comodit Gruppo A e Gruppo B. Lanalisi dei risultati fatta sul campione totale, verr verificata mettendo i 2 gruppi a confronto. Ogni fisioterapista stato invitato ad esprimersi secondo la propria esperienza, su alcuni argomenti oggetto di studio, attraverso un intervista condotta dal ricercatore e guidata da un questionario semistrutturato con domande a risposta aperta. (Scheda 2). Gli informatori (fisioterapisti) erano liberi di argomentare le loro risposte come meglio credevano

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proponendo anche alcuni aspetti e idee personali. Affinch non vi fossero dubbi sullinterpretazione di alcune domande stato predisposto un breve glossario in modo da garantire un vocabolario comune. (Scheda 3). Il questionario semistrutturato stato preceduto da una breve introduzione esplicativa sullo scopo delle interviste (Scheda 1) e le interviste sono state audio registrate. Le interviste sono state eseguite nel Settembre 2008 per il gruppo A e nel Dicembre 2008 per il gruppo B. 2.15.3 Strumenti Il questionario semistrutturato stato costruito dallo stesso ricercatore dopo una ricerca bibliografica sia sul tema della Narrative Based Medicine e sui modelli del ragionamento clinico in fisioterapia. Dalla letteratura disponibile, sono emersi alcuni quesiti maggiormente ricorrenti tra i fisioterapisti e sulla base di questi sono state ricavate le domande presenti nel questionario. La progressione delle domande e il conseguente sviluppo dellintervista stato pensato seguendo la seguente logica: una prima parte (domande 1-5) inerente la concezione di quali siano le conoscenze e le competenze ritenute importanti per svolgere la pratica professionale fisioterapica, una seconda parte, (domande 6-12) centrata su quali sono le modalit di comportamento o di ragionamento clinico, e una terza parte (domande 13-14) mirate a raccogliere il punto di vista degli informatori sul possibile impegno dei percorsi formativi di base rispetto alle impostazioni pi umanistiche. Infine lultima domanda (domanda 15) offre la possibilit di poter aggiungere liberamente ulteriori riflessioni personali o eventuali quesiti sul tema.

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Introduzione allintervista

(scheda 1)

Questa intervista ha lo scopo di indagare quali potrebbero essere le modalit di ragionamento clinico (inteso come scelta degli obiettivi, della strategia dintervento, modalit di gestione, presa di decisioni di fronte al problema,ecc.) nella pratica professionale dei fisioterapisti e in particolare sullutilizzo dellapproccio di tipo narrativo, inteso come rilevazione del vissuto del paziente.

Le domande dellintervista

(scheda 2)

1.Quali ritieni debbano essere le tue competenze nellesercizio della tua pratica clinica? 2.Pensi che le competenze che hai elencato siano tutte di uguale importanza o che ci sia un ordine gerarchico? 3.Quali abilit pensi di aver sviluppato come fisioterapista negli ultimi dieci anni? 4.Quale pensi sia la tua fondamentale impostazione metodologica di pratica clinica? 5.Ritieni sia sufficiente applicare le pratiche suggerite dai protocolli o dalle evidenze scientifiche disponibili in letteratura? Perch? 6.Quali sono i principali fattori,esterni al contesto del trattamento, che influenzano la tua pratica clinica? 7.Quali fattori possono influenzare lesito del trattamento? 8.Quali sono le informazioni e i dati del tuo paziente che ritieni importanti ed utili per impostare e gestire il programma di trattamento?

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9.Pensi che conoscere in maniera pi approfondita il paziente possa indurti a modificare il tuo piano di trattamento? 10.Rispetto al programma di trattamento, generale e quotidiano,che peso pensi possa avere il modo in cui il paziente considera la sua situazione? 11.Ti accade di parlare dei tuoi pazienti o della tua relazione con loro, in termini di aneddoti o di racconti? 12.Pensi che la condivisione di tali racconti con altri colleghi ti aiuti ad analizzare la situazione? Perch? 13.Ritieni che la formazione di base ti abbia fornito gli strumenti (inteso come conoscenze teorico/pratiche) necessari per ascoltare, ricevere, interpretare, la storia del paziente? 14.Ritieni che lacquisizione di tali competenze debba far parte del tuo bagaglio professionale? Per quale motivo? 15.Dopo questa intervista puoi farmi un commento sui contenuti espressi da queste domande?

Glossario (1) Competenza: un insieme riconosciuto e

(scheda 3) provato, delle

rappresentazioni, conoscenze, capacit e comportamenti mobilizzati e combinati in maniera pertinente in un contesto dato./ possiamo affermare che una persona in possesso di una competenza quando dimostra di avere le capacit, abilit e conoscenze che gli permettono di svolgere un lavoro,anche articolato, sapendosi districare in quella determinata situazione, attivando e mobilizzando le proprie risorse. (2) Abilit: si intende unattitudine, una destrezza o una capacit innata o acquisita nel tempo con lesperienza o per mezzo di altre forme di

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apprendimento/ Capacit idoneit a compiere qualcosa, acquisita con lo studio e lesercizio/ E divenuto uso comune utilizzare il termine inglese skill per indicare il medesimo concetto. (3) Metodologico: che concerne il metodo. Metodo: modo di procedere razionale per raggiungere determinati risultati/ modo, criterio sistematico e funzionale di procedere in una attivit teorica o pratica, oculatamente finalizzato al raggiungimento dellesito prefissato. (4) Conoscenza approfondita: riferito a ci che si dice nellintroduzione: inteso come rilevazione del vissuto del paziente rispetto alla malattia, delle sue aspettative ed emozioni e progetti, del contesto di vita e culturale. 2.15.4 Risultati In sintesi, i risultati dello studio che ha privilegiato la narrazione, come strumento di indagine, ha portato a delle informazioni emerse dal racconto dei fisioterapisti intervistati che sono state raccolte, organizzate e analizzate secondo la costruzione di categorie concettuali, successivamente, dalla loro comparazione e relazione, sono stati descritti e interpretati i risultati emergenti. Per la verifica dei risultati sono stati utilizzati vari strumenti: analisi dei risultati comparati fra i due gruppi di informatori, utilizzo dei due ricercatori che hanno codificato i dati indipendentemente, correzione da parte dei partecipanti che hanno riletto la sintesi e linterpretazione delle risposte, consulenza di un professionista esperto esterno (psicologo) che ha ripercorso i passi del processo di analisi. Pi specificatamente,alla domanda: (1) Quali ritieni debbano essere le tue competenze nellesercizio della tua pratica clinica? Lintero campione ritiene le competenze tecniche fondamentali al fine di svolgere il lavoro di fisioterapista. L83% si dichiara ulteriormente a favore

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delle tecniche relazionali. Il 10% ritiene importante anche la capacit di affrontare la complessit dei casi con tecniche di problem solving. I fisioterapisti sono quindi consapevoli dellimportanza delle competenze relazionali e comunicative per svolgere la loro pratica clinica e avviare il processo di cura intendendo come competenze relazionali la capacit delloperatore di istaurare un clima di accoglienza, un rapporto di fiducia e di collaborazione. Latteggiamento empatico e una comunicazione efficace, unite alla capacit di valutare gli aspetti della personalit del malato, sono alla base della relazione sulla quale costruire il processo riabilitativo. Tornando ai fisioterapisti intervistati, alcuni di loro hanno specificato limportanza di possedere competenze relazionali non solo dirette alla persona malata ma anche alla gestione dei rapporti con i familiari del malato e con i colleghi di lavoro. Un altro aspetto da considerare la capacit di introspezione e di elaborazione dei propri sentimenti da parte dello stesso operatore. Infatti per una buona relazione di cura necessario che il professionista sia in grado di essere ricettivo verso i sentimenti e le esperienze dellaltro anche se questo pu comportare dei rischi per loperatore. Secondo gli intervistati, infatti, la competenza relazionale dovrebbe comprendere la capacit di controllare il proprio coinvolgimento emotivo. Nel confrontare i due gruppi emerso che chi dava una maggiore importanza alle tecniche relazionali erano i fisioterapisti del gruppo A e si ipotizzato che tale differenza fosse associata sia alle diverse patologie di cui sono affetti i pazienti seguiti dai due gruppi, sia alla conseguente differenza nei bisogni di cura dei malati rispettivamente trattati. A differenza dei malati trattati dal gruppo B, che opera nei reparti, i fisioterapisti dellUnit Spinale (gruppo A) operano nello stesso contesto con pazienti affetti dalla stessa patologia cronica e fortemente invalidante, il piano terapeutico condiviso con lo stesso paziente e con lequipe multi professionale, ma soprattutto, i tempi di

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degenza e di trattamento riabilitativo/fisioterapico sono lunghi e il tempo di trattamento quotidiano ben definito. (2) Pensi che le competenze che hai elencato siano tutte di uguale importanza o che ci sia un ordine gerarchico? Per il 76% dei fisioterapisti intervistati, competenze relazionali e tecniche hanno uguale importanza, addirittura il 13% ritiene le competenze relazionali pi importanti di quelle tecniche. Qua trova riscontro quanto sostengono alcuni Autori, per i quali linizio del trattamento terapeutico corrisponde al momento in cui si crea una buona relazione tra professionista e malato, definita terapeutica per i vantaggi che questo comporta nellevolversi del processo di cura. Ancora vediamo come sia necessaria lacquisizione delle competenze relazionali e comunicative con valenza terapeutica pari alle competenze prettamente tecniche. La minore importanza data dai fisioterapisti del gruppo B alle competenze relazionali sembra dovuta al fatto che essi effettuano trattamenti di breve durata che necessitano di un approccio di tipo educativo,dialettico. Essi devono convincere il malato a modificare i propri comportamenti per ottenere dei risultati velocemente, ma forse sottovalutano che la riuscita di tale approccio deve necessariamente reggersi sulla capacit di persuasione del fisioterapista e quindi sulle sue competenze relazionali. (3) Quale abilit pensi di aver sviluppato come fisioterapista negli ultimi dieci anni? Il 93% dei fisioterapisti dichiara di aver sviluppato prevalentemente

capacit tecniche e metodologiche, mentre il 53% sostiene di aver sviluppato soprattutto capacit relazionali. Naturalmente ha avuto un ruolo determinante la formazione continua di natura tecnica di questi ultimi anni, ma non da trascurare lo sviluppo delle capacit relazionali riferito dalla met dei fisioterapisti intervistati. Mentre lo sviluppo delle capacit tecniche coerente con lo sviluppo tecnico e metodologico, per quanto

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riguarda le capacit relazionali sembra che lesperienza della pratica clinica fornisca una valida opportunit di crescita. Linevitabile riflessione tesa al raggiungimento di uno scopo realistico, efficace ed accettabile dal contesto familiare e dal malato stesso, pu diventare una importante forma di apprendimento di modalit comunicative e anche valutative. presumibile che limpatto con situazioni complesse abbia portato gli operatori ad ampliare le proprie capacit relazionali. Ci appare evidente dal confronto tra i due gruppi infatti il numero maggiore dei fisioterapisti che hanno sviluppato competenze relazionali appartengono al gruppo A,(56%), mentre al gruppo B(54%) spetta uno sviluppo maggiore di competenze tecniche e metodologiche. (4) Quale pensi sia la tua fondamentale impostazione metodologica di pratica clinica? Il 100% dei fisioterapisti intervistati procede per obiettivi progressivi. Essi seguono un percorso che prevede la stessa prassi operativa, analizzano il problema attraverso una valutazione che comprende il dato funzionale e le potenzialit di miglioramento; si passa quindi alla progettazione e attuazione dellintervento perseguendo obiettivi a breve e lungo termine , la verifica del raggiungimento di tali traguardi avviene sia nel corso del trattamento che alla fine del rapporto. Si tratta di un percorso consolidato che identifica lo specifico dellintervento del fisioterapista e spiega la sostanziale omogeneit metodologica anche tra operatori formati in luoghi diversi. (5) Ritieni sia sufficiente applicare le pratiche suggerite dai protocolli o dalle evidenze scientifiche disponibili in letteratura? Perch? Per la quasi totalit dei fisioterapisti (93%) le evidenze non sono sufficienti a coprire le necessit di trattamento. Il 7% che le ritiene sufficienti proviene quasi completamente dal gruppo B, e si occupa di

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patologie, come i deficit respiratori e le cardiopatie, dove la pratica clinica maggiormente sostenuta da prove di evidenza scientifica e da linee guida pubblicate. Coloro che non si ritengono sufficientemente confortati dalle evidenze di efficacia attualmente disponibili, sottolineano che le caratteristiche dei pazienti e dei contesti lavorativi, rende necessario adattare gli interventi alle situazioni. Il trattamento che spesso viene deciso frutto della capacit di mettere in atto una strategia originale secondo le tecniche del problem solving. Tali soluzioni rispecchiano in genere lesperienza delloperatore che le utilizza. (6) Quali sono i principali fattori, esterni al contesto del trattamento, che influenzano la tua pratica clinica? L83% dei fisioterapisti intervistati ritengono che la propria pratica clinica sia influenzata da fattori ambientali legati alle caratteristiche del luogo di cura. Per il 40% dei soggetti dellintero campione, altri fattori che influenzano la pratica clinica, riguardano la sfera emozionale e psicologica del paziente. Ancora il 40% dei soggetti ritiene che la propria pratica clinica venga influenzata da fattori riferiti alla sfera emozionale delloperatore. Infine il 30% considera influenti anche i fattori legati alla sfera socio-ambientale del paziente: vale a dire famiglia, abitazione, ambiente sociale, cultura etnica e luogo di lavoro. Il maggior numero di risposte indicanti linfluenza dei fattori ambientali legati al processo di cura provengono dal gruppo B in quanto essi vengono a contatto con una realt pi variabile rispetto ai fisioterapisti del gruppo A che operano in un contesto fisso, dove i processi di gestione del malato sono standardizzati. Data la caratteristica della professione daiuto esercitata dai fisioterapisti, uniformemente diffusa limportanza attribuita ai fattori emozionali e psicologici del paziente e a quelli riguardanti la sfera del malato. E tuttavia rimarchevole la consapevolezza esercitata dai fattori personali del fisioterapista.

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Nel complesso si vedono rappresentati tutti gli elementi della visione biopsicosociale caratteristica della presa in carico del paziente definita come globale. Il tutto rappresenta una serie di elementi, umani, fisici, spazio temporali che creano, determinano e caratterizzano la situazione e che sono presenti nellinterazione tra due soggetti. Questi possono influenzare sia la percezione dellinterpretazione sia lo scambio di informazioni e quindi la comunicazione. Nel contesto sanitario esistono numerose variabili che entrano in gioco e che possono interferire nella comunicazione e nella relazione. Tali fattori possono entrare in gioco positivamente, rinforzando e agevolando la creazione dei rapporti, oppure negativamente, contribuendo ad aumentare le difficolt o fraintendimenti che possono avere ricadute sul processo di cura. (7) Quali fattori possono influenzare lesito del trattamento? Per il 60% di tutti i fisioterapisti intervistati lesito del trattamento pu essere influenzato da fattori ambientali legati al luogo di cura. Il 67% ritiene che lesito del trattamento sia in relazione agli aspetti emozionali e psicologici del paziente. Per il 37% del campione i fattori personali che riguardano il professionista possono influenzare lesito del trattamento. La maggioranza dei colleghi che sostengono che lesito sia influenzato dai fattori ambientali, appartiene al gruppo B, dovendo operare in contesti diversificati per tempi brevi. La situazione si capovolge in riferimento ai fattori legati ai fattori emozionali e psicologici del paziente. In questo caso la maggioranza dei sostenitori di tali influenze appartengono al gruppo A, operativo nello stesso contesto per tempi pi lunghi. Una notevole importanza viene comunque attribuita dagli intervistati, ai fattori personali legati al fisioterapista. Non escluso infatti che lapprofondimento della relazione, porti il fisioterapista a dare maggiore importanza al fattore che ha imparato a conoscere meglio, o dal quale pu sentirsi coinvolto.

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(8) Quali sono le informazioni e i dati del tuo paziente che ritieni importanti ed utili per impostare e gestire il programma di trattamento? Il 90% degli intervistati, raccoglie informazioni che riguardano lo stato fisico e patologico del paziente per impostare il piano di trattamento. Il 73% da importanza alle informazioni riguardanti i fattori ambientali che dipendono dal paziente (famiglia, casa, ecc.). In apparente contraddizione con quanto detto in precedenza, solo il 40% da importanza ai fattori che riguardano laspetto emozionale e il vissuto del paziente. Si possono avanzare alcune ipotesi: a) I fisioterapisti hanno difficolt nel raccoglier, codificare ed interpretare informazioni riguardanti il vissuto della persona; b) non possiedono una metodologia che li guidi nellinterazione dei diversi fattori senza che ci li esponga al rischio di essere coinvolti oltre il proprio ruolo professionale, o di essere sospettati di tale errore. Tali ipotesi vengono sollecitate dalle risposte alle domande successive. (9) Pensi che conoscere in maniera pi approfondita il paziente possa indurti a modificare il tuo piano di trattamento? Nonostante il 40% abbia precedentemente asserito di non raccogliere dati sulla sfera personale del malato, ben il 97% di loro modifica il piano di trattamento previsto mano a mano che il rapporto con il paziente scende in profondit. Si specifica che con tale definizione viene intesa una conoscenza delle aspettative, dei progetti, del contesto di vita del paziente e questo pu tradursi in una maggiore comprensione del suo vissuto di malattia da parte delloperatore. Possiamo dire, in base ai risultati, che gli operatori utilizzano lapplicazione delle direttive consigliate dalle evidenze scientifiche che integrano con informazioni provenienti dal paziente. Ci influisce sulla personalizzazione del piano di trattamento. In altre parole, i

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fisioterapisti utilizzerebbero lapproccio narrativo integrando cos la loro pratica clinica, ma ci avverrebbe in modo inconsapevole o inespresso. (10) Rispetto al programma di trattamento, generale e quotidiano, che peso pensi possa avere il modo in cui il paziente considera la sua situazione? Il 93% dei fisioterapisti ritiene che il modo in cui il paziente considera la sua situazione ha un grosso peso rispetto al programma di trattamento, generale o quotidiano che sia, lespressione pi frequentemente utilizzata stata fondamentale. Solo il 7% proveniente dal gruppo B ritiene che questo aspetto abbia unimportanza relativa rispetto allo svolgersi del programma riabilitativo. (11) Ti accade di parlare di pazienti o della tua relazione con loro in termini di aneddoti o di racconti? (12) Pensi che la condivisione di tali racconti con altri colleghi ti aiuti ad analizzare la situazione? Perch? La totalit dei fisioterapisti afferma di parlare dei pazienti in termini di racconti,e il 93% pensa che la condivisione di tali racconti possa essere utile per analizzare la situazione. Ci quanto viene incoraggiato dalle diverse tecniche di problem solving ,ma soprattutto ricordiamo il valore che a questo aspetto viene attribuito dalla Narrative Medicine. Il 79% ritiene la condivisione del racconto uno strumento di confronto professionale, per il 32% permette di esprimere e confrontare le proprie emozioni, il 14% ,infine, lo utilizza in quanto la verbalizzazione di un evento o di una storia un modo per riflettere. Appare evidente, ancora una volta lutilizzo inconsapevole che i fisioterapisti del campione fanno della Narrative. Pur utilizzando la forma orale, e non quella scritta condivisibile in modo strutturato, essi esprimono bisogni e interessi comuni: apprendere dallesperienza e migliorare lapproccio clinico. Lo scambio di opinioni e di differenti prospettive pu attribuire nuovi significati

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alla storia e pu essere un supporto prezioso e chiarificatore al difficile compito di presa di decisione clinica. Il riconoscimento dellimportanza di questo tipo di pratica narrativa da parte degli operatori, suggerisce lidea che possa essere trasformata in un momento di apprendimento che sia funzionale agli operatori quanto alle persone che hanno bisogno di cure. Per questo auspicabile che tale pratica narrativa possa godere di momenti istituzionalizzati e di metodologie appropriate (13) Ritieni che la formazione di base ti abbia fornito gli strumenti (conoscenze teoriche/pratiche) necessari per ascoltare la storia del paziente? Il 70% del campione asserisce di non aver ricevuto alcuna formazione in merito, il 17% ha ricevuto solo strumenti marginali dalla preparazione di base e solo al 13% la formazione di base ha proposto programmi che fornissero conoscenze teoriche e pratiche per utilizzare le espressioni narrative. C da considerare che la domanda si basa sul sapere ascoltare la storia del paziente e non sulla capacit, oltre sullascoltarla, nel riceverla e interpretarla. Da una lettura degli argomenti di insegnamento dei corsi di laurea in fisioterapia, sembrano mancare per il momento proposte mirate a sviluppare le capacit comunicative e relazionali degli studenti. Si pu supporre che tale trascuratezza riguardi anche le loro capacit di narrazione. Le risposte date dai fisioterapisti alla domanda successiva, suggeriscono, invece, limportanza di tali competenze. Alcuni le ritengono addirittura prerequisiti indispensabili alla successiva pratica professionale. (14) Ritieni che lacquisizione di tali competenze debba far parte del tuo bagaglio professionale? Per quale motivo? La totalit degli intervistati (100%) daccordo sul fatto che lacquisizione di competenze sulla narrazione, debba far parte del proprio bagaglio professionale. Sarebbero ritenute utili sia per ampliare o sviluppare le capacit dei fisioterapisti di stendere un programma di trattamento efficace

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(63%), che per migliorare la propria professionalit (37%). In particolare giudicano utili lacquisizione di tali requisiti come modello di pratica riflessiva (auto-consapevolezza di se stessi e dei propri confini professionali, auto-coscienza, empatia). Dai commenti individuali risalta la consapevolezza degli operatori di argomenti gi esposti in letteratura. Accogliere una vera e propria storia di malattia, che vada aldil di una classica raccolta anamnestica, implica prestare attenzione non solo ai fatti biomedici, ma anche ai vissuti del paziente, a quella che abbiamo alluso come illness. Questa operazione richiede una rinnovata capacit di ascolto e di ricerca del significato da parte di ogni professionista e in particolare di quegli operatori sanitari, come lo sono i fisioterapisti, che sono coinvolti pienamente nel processo di co- costruzione della storia di malattia. Gli intervistati si sono inoltre dimostrati consapevoli della necessit di appropriarsi degli strumenti teorici e operativi per poter gestire i meccanismi che regolano i diversi aspetti comunicativi e relazionali, considerando che ogni paziente prova delle emozioni in relazione al suo problema o ai suoi problemi. Comprendere le aspettative del paziente, le sue emozioni e paure qualcosa di molto complesso che richiede anche una notevole competenza nelluso di tali tecniche. La loro consapevolezza si spinge oltre: per potersi prendere cura della persona malata, farsi carico della sofferenza altrui senza mettere a rischio la propria capacit di saper modulare la relazione terapeutica in base alle diverse problematiche che si possono presentare, necessario prima di tutto avere cura di se stessi e rinnovare la conoscenza di se stessi incastonandola nelle abilit cliniche. Tornando ai dati il 63% degli intervistati si dichiarato a favore di tale apprendimento e di questi il 53% appartiene al gruppo B e il 47% al gruppo A. Del 37% che sembra aver dato maggior importanza alla necessit di migliorare la propria professionalit il 55% proviene dal gruppo A e il 45% dal gruppo B.

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(15) Dopo questa intervista puoi farmi un commento sui contenuti espressi da tali domande? Lintervista ha aperto un dialogo tra ricercatore e informatore che ha condotto entrambi ad una profonda riflessione su alcuni concetti che riguardano la pratica professionale del fisioterapista. Tra le righe dei commenti rilasciati dagli intervistati emerso come lintervista abbia stimolato: interesse lintervista prende in considerazione un aspetto fondamentale di cui si parla troppo poco-, riflessione rispondere necessita una riflessione sui concetti e sul proprio operato, cosa che non siamo abituati-, introspezione ho un po realizzato come il mio comportamento allinterno mi sono guardata-, e proposte di cambiamento mi ha fatto pensare che in ambito formativo bisogna dare pi importanza a quello che riguarda la relazione Lintervista stessa ha introdotto nelloperato dei fisioterapisti una variabile che ha aperto la strada alla consapevolezza riguardo allimportanza e allutilizzo dellapproccio narrativo nella loro pratica clinica. Questo testimonia due importanti aspetti: lefficacia dellintervista nel suo intento di indagare sul tema prescelto e la forza della narrazione come mezzo per evocare le riflessioni degli intervistati.

2.16 Conclusioni
Il modello offerto dalla medicina narrativa si lega al concetto espresso dalle Medical humanities che adottano un approccio incentrato sulla singolarit della persona e sullunicit dellindividuo come modalit di comprensione del fenomeno in esame. Le discipline della medical humanities si propongono di dare origine a professionisti in grado di andare in profondit nellanalisi dellesperienza di malattia, insegnando prima ad osservare con attenzione il paziente e poi a scavare al di sotto della superficie del fenomeno patologico col quale essa si presenta. Allinterno di questo concetto la medicina narrativa si concentra sulla

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capacit di saper riconoscere la rilevanza delle storie dei malati, ascoltate o lette, per comprendere il significato che essi danno alla loro condizione/vissuto e per poter modellare la pratica clinica in base a questo nuovo tipo di conoscenza. Si tratta di un approccio relazionale che arricchisce latto terapeutico grazie ai racconti dei pazienti e degli stessi operatori sanitari e alla capacit di raccontare gli aspetti della salute e della malattia nelle loro rappresentazioni emotive oltre che tecniche. Lindagine qualitativa dello studio esposto ha voluto verificare se lapproccio e il ragionamento clinico narrativo sono presenti nella pratica professionale dei fisioterapisti, se le competenze relazionali e narrative sono ritenute importanti e se sentita lesigenza di svilupparle anche allinterno dei percorsi formativi di base. Il risultato ottenuto stato che: il metodo narrativo utilizzato come modello conoscitivo dellesperienza clinica del gruppo dei fisioterapisti si rivelato efficace sotto pi aspetti. Lesperienza della narrazione ha fornito loccasione e lo strumento per riflettere e interpretare se stessi e le proprie risposte alle situazioni assistenziali e ha costituito quella variabile in grado di coinvolgerli e di condurli ad una maggiore consapevolezza sulle loro modalit operative o di stesura del piano terapeutico. Questo metodo riuscito ad attivare lelaborazione, il confronto e la circolazione delle esperienze dimostrando cos la sua piena utilit come strumento di indagine per rilevare informazioni qualitative e personali. Lanalisi approfondita dellesperienza raccontata dai fisioterapisti ha rilevato limportanza che essi danno allaspetto relazionale, considerandolo fondamentale per la costruzione e lattuazione di un piano terapeutico efficace. Essi rivelano che la pratica clinica e lesito del trattamento possono essere influenzati dai fattori riferiti alla sfera emozionale e psicologica del paziente e alla sfera personale del fisioterapista oltre che dai fattori legati al luogo di cura e alla sfera socioambientale del paziente. Il vissuto della persona malata considerato un elemento determinante per lo svolgimento del programma riabilitativo tanto che sono disposti a modificare il piano di trattamento man mano che

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hanno la possibilit di conoscere in maniera pi approfondita le specifiche caratteristiche e volont del paziente. Lutilizzo del racconto di storie di malattie, illness narratives, e della relazione che si istaura tra operatore e paziente viene frequentemente utilizzato sia come mezzo di confronto sia come strumento di autoconsapevolezza e di riflessione. Tuttavia, nonostante ci, non sembrano utilizzare la narrazione di malattia resa dagli stessi pazienti come modalit di raccolta dati per rendere la programmazione di ogni piano terapeutico maggiormente aderente alle specifiche necessit di cura di ogni persona. Allinterno dei comportamenti di pratica clinica del gruppo degli informatori fisioterapisti e quindi possibile rilevare la presenza di elementi riconducibili al ragionamento di tipo narrativo sia nelle scelte operative che nella loro modalit di approccio al paziente, ma ci sembra verificarsi in maniera inconsapevole e senza una strutturazione metodologica. Per poter mettere in grado i professionisti di utilizzare nel migliore dei modi e proficuamente gli strumenti offerti dalla medicina narrativa necessaria una adeguata formazione in proposito che possa rafforzare e sviluppare le loro abilit relazionali e narrative. I fisioterapisti infatti sentono lesigenza di ampliare i modelli a loro disposizione per potersi avvicinare nel modo migliore alla complessit dei problemi della persona malata, e di sviluppare competenze relazionali riferendole come necessit per migliorare sia lefficacia (miglioramento delle capacit) sia la qualit (miglioramento della professionalit) della loro pratica clinica. Essi ritengono importante poter acquisire o rafforzare gli strumenti teorici- pratici di tipo narrativo fin dai percorsi formativi di base per intraprendere la loro attivit lavorativa con un bagaglio di conoscenze che tenga conto sia dellaspetto tecnico quanto di quello relazionale della loro professione. Nonostante i fisioterapisti siano stati selezionati allinterno di una struttura ospedaliera (Azienda Ospedaliera Universitaria di Careggi-Firenze), reclutati fra le diverse aree di competenza, e avessero a che fare con diverse patologie e diverse modalit organizzative di reparto, uguali risultati si otterrebbero se fossero

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intervistati fisioterapisti che svolgono il loro lavoro in strutture differenti o in ambito domiciliare, dove il fisioterapista spesso solo e le problematiche relazionali si avvertono maggiormente. Non sarebbe un male quindi considerare la possibilit di introdurre nel processo formativo dei fisioterapisti delle tecniche relazionali come ad esempio quelle che riprendono i contenuti e gli strumenti della medicina narrativa e delle medical humanites,sia come formazione di base che permanente, allinterno di attivit didattiche tradizionali (lezioni frontali, attivit pratiche, tirocini) o attraverso listituzioni di corsi ufficiali.

La vita non quella che si vissuta ma quella che si ricorda e come la si ricorda per raccontarla. (G.G.Marquez)

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