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Salute: La figura del medico oggi tra professione e missione - Articoli -


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Salute: La figura del medico oggi tra


professione e missione
di Leandro Mallamaci

La figura del medico, oggigiorno ancor più che in passato, riveste un ruolo di inestimabile importanza nel
percorso formativo di ogni individuo, così come della società nella sua accezione più ampia.

Questa affermazione, a una prima e disattenta analisi, risulta addirittura pleonastica nella sua banale
evidenza. In realtà, essa invita a tutta una serie di riflessioni le quali, pur riferendosi alle mille e mille
sfaccettature che l'attività professionale del medico presenta, non possono e non devono che condurre ad
un risultato comune: evidenziare le enormi difficoltà che, troppo spesso, finiscono col mortificare il
patrimonio scientifico e morale di ogni professionista. Non si tratta, dunque, di un elogio al medico fine a
se stesso, nè tantomeno di nascondere i demeriti e le pecche che qualsiasi attività può comportare,
figuriamoci una particolarmente complessa come quella medica. L'intento che ci si propone attraverso
queste righe è in realtà la speranza di fornire degli spunti in grado di sensibilizzare e informare non tanto e
non solo gli addetti al lavoro, quanto la collettività dei pazienti, il cui soddisfacimento è l'interesse primario,
se non esclusivo, al quale il servizio sanitario è finalizzato.

Se dunque la tutela della salute del proprio paziente è il bene assoluto che deve governare l'operato del
medico, allora non è affatto sforzo inutile il tentativo di individuare le strade efficaci per raggiungere
l'obiettivo desiderato. E tale individuazione passa da alcuni quesiti che il bravo professionista non può
sottovalutare.

Molto si è discusso sulla figura del medico, analizzata tanto dal punto di vista della professionalità che da
quello della sua moralità, o per meglio dire della sua umanità.

Entrambi gli aspetti debbono partecipare e supportare il quotidiano operato del bravo medico convivendo
secondo le regole della perfetta complementarietà. Se è vero che la preparazione continuerà ad essere il
parametro più valido per distinguere il medico più o meno abile, è altrettanto vero che la medicina non è
fatta solo di farmaci e di procedure burocratiche, ma è anche fondata su una diagnosi accurata e sul
rapporto tra medico di fiducia e paziente. Senza voler ricorrere allo stereotipo del medico condotto di
qualche anno fa, il quale racchiudeva le doti e le virtù di molteplici figure professionali fino a rappresentare
un vero e proprio punto di riferimento per l'intera collettività, bisogna tuttavia sottolineare l'importanza
dell'approccio del medico nei confronti del proprio paziente. Non vi è più alcun dubbio, come la stessa
letteratura scientifica ha più volte evidenziato, sull'utilità e sugli enormi benefici apportati ad una relazione
medico-paziente che si basi sulla logica confiance. Si intende con ciò che fiducia, confidenza e familiarità
devono essere i solidi pilastri su cui appoggiare tale delicato rapporto.

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Quali sono i benefici che si ricaverebbero da una siffatta impostazione? Molteplici e facilmente individuabili
quelli a favore del paziente: basti citare il sicuro aumento degli standard delle prestazioni favorito da una
ottimale conoscenza del passato clinico e della personalità del soggetto in esame. Evidentemente, il
paziente stesso si approssimerebbe alle cure e alle terapie con spirito di sicura collaborazione e favorevole
predisposizione mentale, garantite dalla stima che egli nutre nei confronti del professionista, non più visto
come dispensatore di servizi e favoritismi, bensì di salute.

Non minori sarebbero gli effetti positivi che avvantaggerebbero l'attività degli operatori.

Se la nuova logica del rapporto medico-paziente dovesse essere ispirata dal criterio della fiducia
professionale così come intesa da quanto detto in precedenza, è evidente che la vecchia concezione si
delinea con ben altre connotazioni, di segno opposto. Senza troppi giri di parole, si può affermare, con
spiacevole sicurezza, che l'utente medio è ben lungi dal ricercare quelle prestazioni altamente professionali
che i dirigenti sono in grado di fornire, quasi sempre si accontenta di prestazioni, per così dire, di tipo
clientelare. Mi riferisco alla continua domanda di semplici ricette e prescrizioni, o addirittura veri e propri
favori che poco hanno da spartire con la tutela della salute del cittadino, tutela per la quale il servizio è
predisposto. Va ribadito con forza e ancora una volta, che non è in discussione la salvaguardia della
professionalità della categoria, ma l'abbattimento di una mentalità ormai consolidata negli anni e spesso
favorita dalla compiacenza di parte della categoria stessa. Nessuno intende negare le precise
responsabilità che gravano sul singolo professionista, talvolta coinvolto in peccati tutt'altro che veniali.

La pratica medica deve evitare il rischio di essere considerata soltanto una professione. In essa,
professione, vocazione e missione si incontrano e si fondono. Tutti devono sforzarsi, e con tutti i mezzi a
disposizione, di onorare senza retorica il vecchio concetto secondo cui il medico esercita una missione. Ed
è in questa direzione che deve svilupparsi una sorta di dicotomia tra la mentalità del dirigente e quella del
paziente-utente: uno scambio tra richieste di prestazioni e offerta di servizi qualificati, al solo fine di tutelare
il bene più prezioso, la salute.

Inoltre, ulteriori riflessioni si impongono. La creazione di un rinnovato rapporto tra il medico e il paziente è
soltanto il primo passo dei tanti che occorrerebbe fare per vantare un servizio sanitario efficiente. Per
definirsi tale, un servizio sanitario deve riuscire ad assicurare la tutela della salute intesa come bene della
collettività. Risulterebbe utopistico, oltrechè pretenzioso, configurare un sistema sanitario assolutamente
perfetto e del tutto privo di carenze, tuttavia è pur vero che l'attuale organizzazione si caratterizza più per i
propri demeriti e le proprie lacune che per i suoi pregi. Il processo di regionalizzazione del servizio
sanitario, con il quale si attribuiscono all'ente locale le principali competenze in materia, sta risultando, alla
prova dei fatti, sbagliato nella forma e nella sostanza. Se l'intento voleva essere quello di decentrare
prestazioni e servizi ad un organo più vicino al cittadino, quindi maggiormente in grado di comprenderne e
soddisfarne i bisogni, è indubitabile che l'unico effetto tangibile sia stato quello di provocare il timore che ci
si stia avviando ineluttabilmente verso un sistema assicurativo privato che colpirà sempre più le classi
sociali povere.

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