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ELISA CAMPOREALE

SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA:


PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI
Estratto da:

ATTI E MEMORIE
DELL’ACCADEMIA TOSCANA
DI SCIENZE E LETTERE
LA COLOMBARIA
VOLUME L X X V
NUOVA SERIE – LXI

ANNO 2010

FIRENZE
L E O S. O L S C H K I E D I T O R E
MMX
ELISA CAMPOREALE

SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA:


PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI

Alla nostra Elena Sofia, il cui arrivo ha gioiosamente


rivoluzionato la mia percezione del tempo.
L’orologio meccanico, la stampa e la polvere da sparo sono ritenute inno-
vazioni tecnologiche di importanza capitale per il mondo occidentale dell’era
pre-industriale. La velocità di diffusione dell’orologio pubblico in Europa è
considerata seconda solo a quella della stampa. La diffusione di orologi pub-
blici è registrata nelle fonti dalla fine del tredicesimo secolo. La presenza di
orologi con quadrante è documentata all’interno della navata di una chiesa
modello già nel Rationale divinorum officiorum di Guglielmo Durando, gover-
natore della Romagna e vescovo di Mend, opera stesa nel 1286 e rivista du-
rante l’ultimo anno di vita dell’autore, il 1296. Nella sua descrizione il cano-
nista piazza un «horologium per quod hore leguntur, id est colliguntur» 1 in
una interessante sequenza: stallo del coro, pulpito, orologio, tegole del tetto,
scale a chiocciola interne ai muri, gradini dell’altare, sacrario. Verrebbe per-
tanto da pensare che il meccanismo fosse collocato all’interno del vano delle
scale che permetteva la salita al pulpito e che il quadrante dal quale si calco-
lavano e si leggevano le ore fosse posto in alto, al di sopra dell’ambone e al di
sotto del soffitto.

MECCANICA A SERVIZIO DELLA COMUNITÀ : MACCHINE ORARIE E AUTOMI

Nel corso dei secoli i meccanismi degli orologi non sono stati ‘rispettati’ in
quanto testimonianza storico-tecnologica, ma se ne è privilegiato piuttosto il
buon funzionamento; pertanto i rotismi sono stati costantemente sottoposti
a modifiche tecnico-strutturali. Queste ultime, se ne hanno talora migliorato
l’accuratezza o le prestazioni, li hanno spesso alterati in modo irreversibile.
Allo stato attuale dei ritrovamenti, insieme con il noto esemplare inglese
della Cattedrale di Saint Mary di Salisbury, documentato in un contratto di
affitto del 1386,2 Chioggia vanta uno dei due meccanismi da orologio da torre

1 Il testo della citazione, tratta dal trentacinquesimo paragrafo del primo libro, è quello dell’e-

dizione critica pubblicata nel centoquarantesimo volume del Corpus Christianorum, a cura di An-
selme Davril e Timothy M. Thibodeau nel 1995, presente anche in Rationale divinorum officiorum
Guillelmi Duranti Liber I et III, a cura di S. Della Torre, M. Marinelli, Roma, 2001, pp. 22-23.
2 Sul movimento e sulle modifiche apportate nel corso del tempo all’esemplare della Cattedrale

di Salisbury, in uso fino al 1883 ed eseguito su committenza del vescovo Ralph Ergham, cfr. C.F.C.
BEESON, English Church Clocks 1280-1850. History and Classification, London-Chichester, 1971,
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più antichi del mondo, saldato nel


1386 (fig. 1).3 È musealizzato nella
Torre di Sant’Andrea, ma fino al
1842 era sulla Torre del Palazzo
Pretorio, insieme col suo quadran-
te, anch’esso oggi visibile sulla
Torre di Sant’Andrea e che in ori-
gine doveva essere in ventiquattro
ore. La cittadina veneta nel Tre-
cento possedeva certo buoni fab-
bri e tecnologi, dato che dette i
natali a gloriosi astronomi e orolo-
giai. Nel 1293 vi risiedeva Jacopo
Dondi, professore di medicina e
astronomia a Padova, che forse in-
cise le sue iniziali seguite dalla data
sul movimento di Serravalle di Vit-
torio Veneto sul quale si leggereb-
be ‘ID 1334’, orologio ancora in
attesa di uno studio sistematico.4
Fig. 1. Meccanismo di orologio (doc. 1386). Fer-
ro forgiato, Chioggia, Torre campanaria di San- Nel 1318 vi nacque il figlio di Ja-
t’Andrea. copo, Giovanni Dondi, creatore
del celebre Astrario di Padova,
perduto capolavoro di meccanica medievale realizzato probabilmente tra il
1348 e il 1364.5 Proseguendo con questa veloce mappatura delle prime pre-
senze di orologi in Italia, agli inizi del Trecento sono documentati orologi a

pp. 22, 46-47, M. SNELL, Clocks and clockmakers of Salisbury: 600 years of skill and invention, Sali-
sbury, 1986, pp. 149-157. Per una immagine e una traduzione in inglese del contratto di affitto dove
è menzionato un orologio nel campanile, contratto di una bottega di proprietà della cattedrale datato
14 gennaio 1386, cfr. A.J. DULEY, The Medieval Clock at Salisbury Cathedral, Salisbury, 1997, p. 5 e
fig. 3. Ringrazio Marisa Addomine per l’aiuto fornitomi nel reperimento di alcuni di questi testi.
3 Su questa macchina in ferro forgiato, rinvenuta in anni recenti, cfr. M. ADDOMINE – A. BUL-

LO – E. PENNESTRI, La scoperta a Chioggia di un orologio da torre del 1386, «La Voce di Hora»,
21, 2006, pp. 5-19.
4 Per notizie e una foto del quadrante in ventiquattro ore, ritrovato nel 1993-94 sulla Torre di

Serravalle di Vittorio Veneto, e per un inquadramento su orologi coevi che indicavano l’ora all’ita-
liana, cfr. E. CAMPOREALE, Telling Time in Florence Cathedral: the Frescoed Clock by Paolo Uccello
and Coeval Tuscan Public Clocks, «Interfaces. Image Texte Langage», 19-20/2, 2001-2002, pp. 187-
251: nota 16 a p. 194.
5 Sull’Astrario di Giovanni Dondi, realizzato in lega di rame e ‘visto’ l’ultima volta nel 1530,

segnalo solo L. PIPPA, Giovanni Dondi e il suo ‘Astrario’, in La misura del tempo. L’antico splendore
dell’orologeria italiana dal XV al XVIII secolo. Catalogo della mostra, a cura di G. Brusa, Trento,
2005, pp. 140-143 (con bibliografia).
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Orvieto 6 e in Sant’Eustorgio a Milano, luogo deputato alle sepolture dei primi


Visconti; nel 1335 fu installato a Milano un orologio pubblico da maglio che
batteva l’ora all’italiana nel campanile di San Gottardo in Corte, già cappella
palatina di Azzone Visconti, presso la quale tuttora si trova una Via delle Ore.7
Il passaggio delle conoscenze di orologeria meccanica 8 e la diffusione di
questa innovazione tecnica sono legati agli spostamenti delle maestranze, an-
che se, in qualche caso, ricerche condotte in parallelo in vari paesi portarono a
risultati simili, coevi e indipendenti.9 La tecnologia fu probabilmente svilup-
pata in Italia settentrionale e l’Italia esportò maestri orologiai in vari centri
d’Europa dal secondo terzo del Trecento, ne sono documentati già nel
1351 per la costruzione dell’orologio del Castello di Windsor in Inghilterra
e nel 1356 per quello di Perpignan in Francia.10
L’orologio da torre è un manufatto di pubblica utilità spesso voluto da go-
vernanti – dai Visconti agli Este – o da vari Comuni, e finanziato con fondi o

6 Il fatto che un orologio sia documentato già nel 1305 in un convento di Orvieto non deve

portare a ritenere la città particolarmente all’avanguardia dal punto di vista tecnologico rispetto
ad altri centri italiani; è legato piuttosto al fatto che l’Archivio dell’Opera del Duomo di Orvieto
è ricchissimo, è stato ed è oggetto di studio. Per trascrizioni documentarie riguardanti la storia
dei più antichi orologi pubblici in Umbria, cfr. R. GIORGETTI, Orologi da torre in Umbria, Firenze,
2008, pp. 92-96, 220-221, 464-475.
7 Per i primi orologi pubblici di Milano, cfr. G. BRUSA , Il tempo e l’orologio, in La misura del

tempo. L’antico splendore dell’orologeria italiana dal XV al XVIII secolo. Catalogo della mostra, a cura
di G. Brusa, Trento, 2005, pp. 88-109: 90-91, L. PIPPA, Orologi e orologiai di Milano e della Lom-
bardia, in ivi, pp. 156-169: 157-158, M. ADDOMINE, Cenni di storia dell’orologeria da torre, in
MAT. Museo Arte Tempo di Clusone. Orologi da torre, Ginevra-Milano, 2008, pp. 17-29: 20-21.
Per una disamina delle citazioni documentarie di orologi pubblici in Italia, cfr. G. BRUSA, Early Me-
chanical Horology in Italy, «Antiquarian Horology», 18/5, 1990, pp. 486-496. Per un commento sul
brano riguardante l’orologio della Torre di San Gottardo del cronachista Galvano Fiamma, cfr.
G. DOHRN – VAN ROSSUM, History of the Hour. Clocks and Modern Temporal Orders, Chicago &
London, 1996 [1992], pp. 108-113.
8 Per una disamina delle caratteristiche meccaniche degli orologi da torre attraverso i secoli, dal

treno del tempo, al treno della suoneria, ai diversi tipi di scappamento e di suoneria, cfr. D. PONS,
Principi meccanici dell’orologeria da torre, in MAT. Museo Arte Tempo di Clusone. Orologi da torre,
Ginevra-Milano, 2008, pp. 31-41. Sull’evoluzione meccanica e tecnologica degli orologi da torre e la
classificazione dei meccanismi, cfr. ADDOMINE, Cenni di storia, pp. 21-29.
9 Sullo sviluppo dell’orologeria meccanica al di fuori dell’Italia, cfr. D. THOMPSON , Lo sviluppo

dell’orologio meccanico: il contesto europeo, in ivi, pp. 110-117.


10 Sui tre orologiai provenienti dall’Italia settentrionale al servizio di re Edoardo III nel 1352 e sul-

l’italiano Antonio Bovelli attivo a Perpignan, cfr. rispettivamente BEESON, English Church Clocks,
pp. 19-20, C.F.C. BEESON, Perpignan 1356. The Making of a Clock and Bell for the King’s Castle, Lon-
don, 1982. Per una suggestiva proposta che due dei tre italiani attivi a Windsor fossero Jacopo e Gio-
vanni Dondi, cfr. M. ADDOMINE, Richard of Wallingford ed il suo tractatus horologii astronomici, «La
Voce di Hora», 27, 2009, pp. 5-20: 18-20. Per questo e altri casi di maestranze italiane esportate, cfr.
BRUSA, Early Mechanical Horology, pp. 494-495, ripreso in ID., Il tempo e l’orologio, pp. 93-94. Per la
cronologia e la geografia della diffusione dell’orologio meccanico pubblico, cfr. G. DOHRN – VAN ROS-
SUM, The diffusion of the public clock in the cities of late medieval Europe 1300-1500, in J. H OOK –
B. LEPETIT, Le temps, la ville, le neuf. Reseau urban et la diffusion de l’innovation en l’Europe occidentale,
Paris, 1987, pp. 29-43, DOHRN – VAN ROSSUM, History of the Hour, pp. 129-134, 159-162, 169, 170, 189.
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sottoscrizioni pubbliche. La comunità si impegnava a garantirne la funziona-


lità e, se dotato di quadrante, la leggibilità. La funzione pubblica dell’orologio
è attestata dall’inquadramento del temperatore, o moderatore, dell’orologio.
Si tratta di uno dei pochi funzionari pubblici stipendiato in quanto tecnico
senza esser addetto alle tasse, alla difesa, alla giustizia, o senza esser strutturato
a corte o a palazzo. Il temperatore era responsabile dello strumento per la mi-
sura del tempo di una comunità. Aveva il compito di controllare e oliare quo-
tidianamente gli ingranaggi, di regolare manualmente la o le lancette, o indici
orari, per garantire l’accuratezza dell’indicazione oraria, di caricare il mecca-
nismo e di eseguire lavori di ordinaria manutenzione.11 Questa figura profes-
sionale garantiva la possibilità di misurare il tempo indipendentemente da fe-
nomeni celesti e cause estranee, una conquista di vasta portata. L’alto grado di
libertà con il quale nel corso del tempo autorità civiche o ecclesiastiche per-
misero a maestri orologiai di alterare i loro orologi pubblici con l’aggiunta,
la modifica, la sostituzione, la fusione, la perdita, il rinnovo, il trasferimento,
la vendita, di parti del movimento o di elementi della decorazione è indice di
un approccio tutt’ora diffuso: un orologio ai loro occhi doveva innanzitutto
fornire una indicazione oraria, e eventualmente planetaria, per una comunità
e solo secondariamente era considerato un’opera d’arte.12
Il panorama acustico urbano in era pre-industriale era verosimilmente ca-
ratterizzato da fonti di rumore come mezzi di trasporto, lavoro manuale, voci
umane e animali. L’intensità delle voci della città variava nel corso della gior-
nata. Ciò premesso, rispetto alla visibilità di un quadrante di un orologio pub-
blico, la portata del codice acustico della sua suoneria era più estesa. Prima
dello sviluppo e della diffusione dell’orologio portatile, l’ora di norma veniva
conosciuta dalla popolazione contando i rintocchi delle campane. Le campane
potevano esser collegate a orologi pubblici meccanici e esser suonate da auto-
mi batticampana. L’importanza di entrambi è attestata dal rapporto che si in-
staura con la comunità.
Le campane venivano dotate di un nome,13 come fossero entità con una
voce più o meno bella e più o meno intonata. Si assiste a un processo di ‘uma-

11 Riferimenti documentari a figure professionali di orologiai e temperatori sono state tracciate

dal 1270, cfr. DOHRN – VAN ROSSUM, History of the Hour, pp. 177-179. Il primo temperatore stipen-
diato in Italia è documentato a Orvieto, nel 1309. Sappiamo anche di qualche rischio corso nell’e-
sercizio della professione. Ad esempio il temperatore Giovanni da Lendinara nel 1436 cadde dalla
torre dell’orologio di Castronovo presso Ferrara, cfr. C.M. CIPOLLA, Le macchine del tempo. L’oro-
logio e la società (1300-1700), Bologna, 1981, pp. 22-23.
12 Su questi punti, cfr. CAMPOREALE , Telling Time, pp. 250-251. Su un discutibile recente in-

tervento di restauro sull’orologio di San Marco, cfr. R. ZAMBERLAN – F. ZAMBERLAN, A Controversial


Restoration, «Horological Journal», 143/1, 2001, pp. 53-56.
13 Per un elenco di nomi dati a campane in Toscana, cfr. R. GIORGETTI , Campane e fonditori in

Toscana, Poggibonsi, 2005, pp. 30-33.


SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 221

nizzazione delle campane’. Esemplare in questo senso è la vicenda della cam-


pana di San Marco a Firenze, chiamata ‘La Piagnona’ e assimilata cosı̀ al par-
tito savonaroliano. Commissionata da Cosimo il Vecchio de’ Medici verso il
1440, divenne il simbolo della rivolta antimedicea per aver suonato a stormo
il 6 aprile 1498 per chiamare a raccolta in difesa di Girolamo Savonarola, as-
sediato nel Convento domenicano di San Marco. Nello stesso anno, dopo l’e-
secuzione del predicatore, fu destinata all’esilio. Venne frustata e esposta a
pubblica ignominia durante il tragitto fino a destinazione, il convento france-
scano di San Salvatore al Monte, dove rimase per diversi anni.14
Gli automi batticampana a loro volta erano ‘battezzati’ e chiamati per no-
me dalla popolazione delle varie città di pertinenza, la quale ne sottolineava
cosı̀ le sembianze antropomorfe e ne oscurava la natura meccanica.15 Per
esempio il più antico batticampana ancora esistente in Italia, fuso nel 1348
a Orvieto, porta il nome di Maurizio (fig. 2),16 come la torre sulla quale si tro-
va. Anche a Siena il batticampana chiamato popolarmente Mangia ha dato il
nome alla torre del Palazzo Pubblico.17

14 Per la vicenda della Piagnona, cfr. M. SCUDIERI , Arte fiorentina del secolo XV. Campana, in

EAD., San Marco. Guida completa al museo e alla chiesa, Firenze, 1995, p. 53, L. ARTUSI – R. LASCIAR-
REA , Campane, torri e campanili di Firenze, Firenze, 2008, pp. 41-44.
15 Per cenni su importanti automi italiani come quelli di Orvieto, Bologna, Udine nonché di

altri realizzati nel mondo germanico e inglese, cfr. B. FURLOTTI, L’orologio cittadino tra storia, reli-
gione, scienza e arte, in L’orologio di Piazza della Loggia. La misurazione del tempo tra tecnica e arte,
a cura di C.M. Belfanti, Brescia, 2001, pp. 23-31: 25-27, 29-30, M. VIDULLI TORLO, Gli automi bat-
tiore a Trieste: Michez e Jachez, «Atti dei Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste», 21, 2005, pp. 65-
122: 65-72. Per una rassegna diacronica e sul ruolo giocato dagli automi, cfr. S.A. BEDINI, The Role
of Automata in the History of Technology. Atti del simposio Automata and Simulated Life as a Central
Theme in the History of Science, «Technology and Culture», 5/1, 1964, pp. 24-42.
16 Maurizio è parte dell’orologio voluto dall’Opera del Duomo di Orvieto nel 1347, stando alla

lettura dei documenti di Lucio Riccetti, cfr. L. RICCETTI, Il cantiere edile negli anni della Peste Nera,
in Il Duomo di Orvieto, a cura di Id., Bari, 1988, pp. 191-194. Non concordo con Riccetti nel mettere
la costruzione dell’orologio in relazione colle necessità del cantiere della cattedrale. Non vedo un rap-
porto di subordinazione tra la commissione dell’orologio rispetto al cantiere, per regimentare gli
orari del quale può però esser stato utilizzato. Probabilmente batteva le ore all’italiana, cfr. G. BRUSA,
L’arte dell’orologeria in Italia: i primi duecento anni, «La Voce di Hora», 2, 1996, pp. 3-31: 12.
17 I motivi per cui l’automa di Siena fosse chiamato Mangia sono spiegati in vari modi. Per

esempio dal soprannome del vecchio campanaro del Comune ‘Mangiaguadagni’o dalla funzione
di scandire il tempo edace, che tutto consuma. Nel corso dei secoli fu rinnovato cinque volte, cfr.
A. CAIROLA, La Torre del Mangia, Siena, 1985, pp. 14-16, M. CORDARO, Le vicende costruttive, in
Palazzo Pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, a cura di C. Brandi, Siena-Milano,
1983, pp. 27-143: 57, 126. Sul ripristino del meccanismo dell’orologio e dell’automa ad opera di Dio-
nisio da Viterbo nel 1469 e sul nascere dell’interesse per l’orologeria e gli automi in Francesco di
Giorgio in seguito agli scambi con Dionisio, cfr. G. ERMINI, Campane e cannoni. Agostino da Piacenza
e Giovanni da Zagabria: un fonditore padano e uno schiavone nella Siena del Quattrocento (con qualche
nota su Dionisio da Viterbo e gli orologi), in L’industria artistica del bronzo del Rinascimento a Venezia
e nell’Italia settentrionale. Atti del Convegno Internazionale di Studi, a cura di M. Ceriana, V. Avery,
Verona, 2008, pp. 387-446: 413-414, 423. Forse per analogia, Mangia è anche il batticampana di
Casole d’Elsa, mentre, per restare a centri minori in Toscana, abbiamo Membrino a Castelfiorentino,
222 ELISA CAMPOREALE

Fig. 2. Automa batticampana, Maurizio (doc. 1348). Bronzo, Orvieto, Torre di Maurizio.

Coppie di automi collocati a battere l’ora ai due lati di una campana co-
noscono una certa fortuna, a partire dalla coppia che nel 1400 risulta già rea-
lizzata da Gaspare degli Ubaldini per la campana dell’orologio di Rialto a Ve-
nezia, individuato con quello del campanile di San Giovanni Elemosinario di
Rialto,18 campanile riedificato tra il 1398 e il 1410 dopo un crollo avvenuto
nel 1361. Nell’orologio di Don Gaspare, andato poi distrutto nell’incendio
di Rialto del 1514, l’azione dei «du’ homini» era annunciata ad ogni ora da
un automa in forma di gallo che fuoriusciva cantando.19 Questa coppia di bat-
ticampana ha costituito un importante precedente sul territorio per i ‘ziganti’

Mambrino a Gambassi Terme, Pulcinella a Montepulciano. Per una breve rassegna di automi ancora
esistenti in Toscana, cfr. CAMPOREALE, Telling Time, p. 224.
18 Una testimonianza del 1493 esalta lo spettacolo dei due batticampana, forse di legno, cfr.

A. PERATONER, L’orologio della torre di San Marco in Venezia: descrizione storica e tecnica e catalogo
completo dei componenti, Venezia, 2000, p. 18. Sulla storia della chiesa, cfr. U. FRANZOI – D. DI STE-
FANO, Chiesa di San Giovanni Elemosinario, in ID ., Le chiese di Venezia, Venezia, 1976, pp. 16-17.
19 Per la trascrizione della lettera dove sono contenuti questi dettagli con la quale Don Gaspare

degli Ubaldini si presenta e offre i suoi servigi ai Signori di Siena, cfr. G. MILANESI, Documenti per la
storia dell’arte senese, I, Siena, 1854, pp. 326-327.
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 223

Fig. 3. Automi batticampana, Mori di Venezia (doc. 1497). Bronzo, Venezia, Torre dell’Orolo-
gio di San Marco.

dell’Orologio di San Marco, fusi da Ambrogio delle Ancore nel 1497 (fig. 3),20
a loro volta estesamente imitati nell’entroterra della Serenissima.
Nella poesia popolare si arriva a far parlare i batticampana. I Mori di Trie-
ste per esempio, detti Michez e Jachez, compaiono in un poemetto satirico di
metà Settecento, mentre una conversazione tra i Mori di Brescia, detti Tone e
Batesta, ‘filogiacobini’ e la sottostante statua della Ludovica ‘filocattolica’ è
immaginata in una satira politica di epoca napoleonica.21 Sempre di epoca na-

20 Per dettagli meccanici, storici e per una sintesi sulle proposte di attribuzione di questa coppia

di batticampana, cfr. PERATONER, L’orologio della torre, pp. 17-18.


21 Sui testi di satire popolari connessi a entrambe queste coppie di automi, cfr. VIDULLI TORLO ,

Gli automi, pp. 71, 81.


224 ELISA CAMPOREALE

poleonica è un foglio anonimo dove si immagina un dialogo tra i due Mori di


Venezia, con Migliabecco perplesso per la caduta della Repubblica e Oliodoro
soddisfatto del cambiamento politico.22 Fuori d’Italia, versi anonimi furon de-
dicati alla perseveranza del batticampana di Digione in Francia o alla virtù di
Jack Blandifer dell’orologio di Wells.23
I batticampana, in francese Jaquemart e in inglese Jack of the clock, costi-
tuiscono una interessante categoria di sculture, spesso realizzate su commis-
sione pubblica e quindi documentate e databili con precisione. Connessi ad
un orologio, hanno il compito dell’indicazione acustica dell’ora. Si tratta di
un tipo di automa le cui forme umane richiamano forse la sagoma del campa-
naro o del soldato di ronda che annunciava le ore.24 Dovendo essere visti solo
a distanza e dal basso sono spesso di dimensioni maggiori alle umane e pre-
sentano una silhouette ben individuabile, si pensi a quella dell’automa vestito
da Pulcinella a Montepulciano.25 Presentano in genere anche una armatura
robusta, connessa alla loro funzione, mentre minore attenzione può essere ri-
volta alla resa minuta dei dettagli, talora caricati in senso espressionistico a
privilegiare una visione da lontano.26

22 Per brani di questo gustoso dialogo, cfr. PERATONER, L’orologio della torre, p. 33.
23 Per questi e altri testi di poesia popolare, per la descrizione dei numerosi automi che anima-
vano l’orologio di Niort e trattazioni degli automi di epoca moderna degli orologi di Berna, Stra-
sburgo e Messina, cfr. A. CHAPUIS – E. DROZ, De quelques horloges monumentales à automates, in
ID., Les Automates: figures artificielles d’hommes et d’animaux. Histoire et technique, Neuchatel,
1949, pp. 51-68: 52-55. I testi sono stati ripresi e tradotti in italiano in G.P. CESERANI, Gli automi.
Storia e mito, Roma-Bari, 19832, pp. 45-50: 47-48.
24 Anteriormente all’innovazione tecnica dell’orologio meccanico, indicare l’ora attraverso i rin-

tocchi delle campane era compito dei campanari. Come poi i temperatori, anche questi professionisti
potevano essere stipendiati dal Comune. A Firenze ad esempio, dove il primo orologio pubblico fu
installato nel 1353, al 1290 erano sei i campanari del Comune, cfr. G. BOFFITO, Dove e quando poté
Dante vedere gli orologi meccanici che descrive in Par. X,139; XXIV,13; XXXIII,144?, «Giornale dan-
tesco», XXXIX, n.s. IX, 1936, pp. 45-61: 51. Campanari continuarono a esser stipendiati dal Co-
mune di Firenze anche dopo l’avvento dell’orologeria meccanica ed erano particolarmente apprezzati
nelle occasioni di festa quando si esibivano in concerti di vario tipo, cfr. ARTUSI – LASCIARREA, Cam-
pane, pp. 27-28. A Bologna, in una zona non raggiunta dalla suoneria dell’orologio pubblico (instal-
lato nel 1356), ancora nel 1576 un campanaro era attivo nella Chiesa dei Servi ed era stipendiato
dagli abitanti del quartiere. Per una trascrizione del documento del 1583 che lo riguarda e sulle fi-
gure delle vedette sulle torri con funzioni di batticampana, cfr. B. PODESTÀ, I primi oriuoli pubblici in
Bologna nei secoli XIV e XV. Dissertazione, «Atti e memorie della regia Deputazione di storia patria
per le provincie di Romagna», 8, 1869, pp. 141-165: nota 3, pp. 145-146.
25 Il batticampana Pulcinella ha dato il nome alla torre di Montepulciano dove si trova. L’in-

stallazione risale al 1680 in sostituzione di un altro automa detto Mangia, cfr. R. PIZZINELLI, Torre
di Pulcinella, in Umanesimo e Rinascimento a Montepulciano. Catalogo della mostra, Montepulciano,
1994, pp. 66-68, R. GIORGETTI, L’orologio sulla Torre «di Pulcinella» a Montepulciano, «Bullettino
senese di Storia Patria», 103, 1997, pp. 503-508: 503.
26 Si pensi ad esempio ai Macc de le ure di Brescia, coppia di statue di circa due metri di altezza.

In modo analogo al movimento dei Mori di Venezia, sono fissate su un asse verticale interno e de-
scrivono con il busto un movimento di rotazione battendo orizzontalmente i colpi con un martello
sulla campana. Per immagini e dettagli, cfr. rispettivamente M. MURARO, The Moors of the Clock
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 225

I congegni degli automi e degli orologi erano spesso opera delle stesse
maestranze e, analogamente a quanto avveniva per i meccanismi degli orologi,
gli automi furono riparati e modificati nel corso del tempo senza alcuno scru-
polo conservativo. Di numerosi automi sono pervenute solo notizie e non so-
no più esistenti perché consumati dall’uso. Per la categoria di batticampana
documentati e andati perduti, in Italia basti ricordare che Gaspare degli Ubal-
dini realizzò un «homo di metalo» per l’orologio della Torre del Vescovo di
Città di Castello nel 1399.27 Nel 1480 un Bambino batticampana è documen-
tato nell’orologio del Duomo di Prato.28 Nel 1549 Giovanni di Jacopo realizzò
due automi di legno per l’orologio della Torre del Papa di Orvieto, statue poi
ricoperte di fogli di ferro stagnato.29
Distruzioni hanno riguardato anche automi che fuoriuscivano una o più
volte al giorno al battere delle ore, in una sorta di sacra rappresentazione ite-
rata meccanicamente. Lo spettacolo del corteo di automi connesso con l’oro-
logio, con i vari personaggi che periodicamente fuoriuscivano da una apertura
per sfilare su una passerella mimando inchini o suoni di tuba per poi scompa-
rire in un’altra apertura sul lato opposto del quadrante, in certi casi prevalse
rispetto all’indicazione oraria o astronomica nell’attirare l’attenzione del pub-
blico. Viceversa le stesse sculture del ‘carosello’ se tirate giù dal movimento
dell’orologio – per usura o per cambiamenti apportati alla mostra – godettero
spesso di scarsa considerazione, tanto da cadere talora nell’oblı̀o una volta
scollegate dall’azione scenica automatizzata.
Qualche caso di automa oggi non più funzionante e di una certa antichità
è sufficiente a illustrare questa categoria. Automi in forma di angelo tubicino
furono aggiunti da Marchionne Toschi da Brescello nel 1431 all’orologio di
Reggio Emilia 30 e nel 1433 a quello di Parma.31 Dal 1512 circa un Sant’Apol-
linare usciva a ogni ora dall’orologio posto in facciata di San Sebastiano e San

Tower of Venice and Their Sculptor, «The Art Bulletin», 66, 1984/4, pp. 603-609, V. FORMICA – L. FOR-
MICA, Il restauro degli automi (i Macc de le ure), in Il tempo ritrovato: l’Orologio di piazza della Loggia
restaurato. Catatalogo della mostra, a cura di L. Casale, Brescia, 1986, pp. 91-99.
27 Sul batticampana di Città di Castello, cfr. MILANESI , Documenti, p. 326, GIORGETTI , Orologi

da torre in Umbria, pp. 538-539.


28 Sul Bambino di Prato, cfr. R. GIORGETTI , Gli orologi pubblici del Duomo e del Palazzo del

Podestà a Prato, «Archivio Storico Pratese», 71, 1995, pp. 119-125: 121, 124.
29 Sui batticampana della Torre del Papa a Orvieto, cfr. GIORGETTI , Orologi da torre in Umbria,

pp. 540-541.
30 Si veda anche E. MORPURGO , L’orologeria italiana: gli inizi del Quattrocento – (X), «La Cles-

sidra», 8/8, 1948, pp. 42-43: 43. L’Angelo tubicino di Reggio fu forse inglobato nel più tardo gruppo
di automi con l’Adorazione dei Magi oggi al Museo Civico, del quale si tratta a breve.
31 Sull’Angelo tubicino di Parma, cfr. E. MORPURGO , Dizionario degli orologiai italiani, Milano,

1974, p. 168, G. ADANI – M. FOSCHI – S. VENTURI, Piazze e Palazzi Pubblici in Emilia Romagna, Mi-
lano, 1984, pp. 112-119: 112.

15
226 ELISA CAMPOREALE

Marco a Ravenna a benedire chi guardava.32 Due statue con l’Arcangelo Ga-
briele e la Vergine Annunciata comparivano, nel Quattrocento, a Brescia fuori
dall’Orologio di Piazza della Loggia,33 e, nel Cinquecento, a Modena fuori
dall’orologio di Piazza Grande.34 Un orologio con diversi automi fu collocato
nel 1433 nella Torre dei Leoni del Castello Estense di Ferrara,35 ma figure
meccaniche animavano anche l’orologio della Torre di Rigobello nel rifaci-
mento del 1537 ad opera di Lionello Ranieri e Cristoforo da Ponte.36
Nei rari casi di gruppi di automi arrivati fino a noi e musealizzati in rac-
colte italiane, lo stato di conservazione ne tradisce l’uso prolungato e la par-
ziale esposizione all’aperto. Si pensi alle statue lignee dell’Adorazione dei Magi
con angeli tubicini oggi conservate nelle raccolte civiche di Bologna, parte del
rifacimento dell’orologio della torre del Palazzo Comunale commissionato nel
1444 (fig. 4),37 e di Reggio Emilia, menzionate nel contratto stipulato con
Gian Paolo Ranieri, allievo di Marchionne Toschi, per il rifacimento dell’oro-
logio del Palazzo del Comune del 1481 (fig. 5).38 Non è un caso che l’Orolo-
gio di San Marco, commissionato al figlio di Gian Paolo, Gian Carlo Ranieri,
nel 1493 39 comprendesse fin dall’origine una processione automatica dei Magi

32 Su Apollinare di Ravenna, cfr. F. GABICI , Il Tempo a Ravenna, in Il Grande Orologio Solare

del Planetario, Ravenna, 1997, pp. 5-11.


33 Sugli automi di Brescia, cfr. A. RAPAGGI – L. CASALE , Note storiche sull’architettura dell’oro-

logio di piazza della Loggia, in Il tempo ritrovato: l’Orologio di piazza della Loggia restaurato. Catalogo
della mostra, a cura di L. Casale, Brescia, 1986, pp. 11-39: 15.
34 Sugli automi di Modena, cfr. O. BARACCHI , Modena. Piazza Grande, Modena, 1981, p. 68.

35 Per la vicenda dell’orologio del Castello Estense Ferrara, spostato poi sulla Torre della Mar-

chesina, cfr. E. MORPURGO, L’orologeria italiana: Ferrara nella prima metà del Quattrocento (VII), «La
Clessidra», 30/7, 19742, pp. 24-25: 24.
36 La Torre di Rigobello crollò con il suo orologio nel 1553. Sull’opera di Lionello Ranieri, cfr.

MORPURGO, Dizionario, p. 143.


37 Sulle statue lignee di Bologna già pertinenti al corteo che ogni ora omaggiava una Madonna

col Bambino, cfr. G. PALTRINIERI, L’orologio di Piazza Maggiore, «Strenna storica bolognese», 50,
2000, pp. 371-414: 376-377, 381, 387, S. SABBATINI, Num. 103, in Lo spazio il tempo e le opere. Il
catalogo del patrimonio culturale. Catalogo della mostra, a cura di A. Stanzani, O. Orsi, C. Giudici,
Cinisello Balsamo, 2001, pp. 334-336.
38 Le statue dei Magi, dell’Angelo tubicino e della Madonna col Bambino di Reggio Emilia, por-

tano lunghe vesti fino a terra: la visione dal basso non rendeva necessaria l’esecuzione dei piedi. Fu-
rono restaurate più volte e risultano funzionanti in situ fino al 1846, cfr. F. MALAGUZZI VALERI, Oro-
logi meccanici del Rinascimento, in ID., Arte gaia, Bologna, 1926, pp. 71-84: 74-75, 78, fig. 50,
E. FARIOLI – A. MARCHESINI, Museo di Arte Industriale, in Musei civici di Reggio Emilia: guida alle
collezioni, Reggio Emilia, 1999, pp. 130-135: 131, fig. a p. 131.
39 L’orologio di San Marco fu commissionato a Gian Carlo Ranieri dalla Serenissima. Il qua-

drante fu svelato, sulla torre appositamente costruita, nel 1499. Dispone anche di un quadrante
non astronomico sul lato delle Mercerie. Il movimento fu rinnovato da Bartolomeo Ferracina che
lo completò nel 1759, per esser ancora modificato nel 1858-60. Sulla storia dell’orologio, cfr. PERA-
TONER , L’orologio della torre, pp. 11-48, R. ZAMBERLAN – F. ZAMBERLAN, The St. Mark’s Clock, Ve-
nice, «Horological Journal», 143/1, 2001, pp. 11-14. Per una presentazione sull’orologeria veneta,
cfr. G. GREGATO, Il tempo serenissimo, in La misura del tempo. L’antico splendore dell’orologeria ita-
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 227

Fig. 4. Automi, Angelo tubicino e Re Magi. Legno con lievi tracce di policromia, Bologna, Mu-
sei Civici d’Arte Antica, Collezioni Comunali d’Arte.

intorno al gruppo della Vergine col Bambino, ancora in loco.40 Stesso corteo
dei Magi che omaggiava una Madonna col Bambino, sorta di ‘marchio di fab-
brica’ della ditta Ranieri, presentava l’orologio astronomico della torre del Pa-
lazzo Comunale di Macerata, commissionato nel 1568 dai Magnifici Priori a
Giulio, Lorenzo Maria e Ippolito Ranieri su modello di quello di Venezia.
Il congegno era arricchito da un uccello che col becco suonava le ore, detto
popolarmente Cesare. Le statue lignee degli automi, realizzate a Reggio Emilia
nel 1570 e smantellate nel 1882, attendono in Pinacoteca Civica l’annunciato
ripristino del congegno.41

liana dal XV al XVIII secolo. Catalogo della mostra, a cura di G. Brusa, Trento, 2005, pp. 170-179:
171-173. Sulla torre dell’orologio segnalo solo L. OLIVATO – L. PUPPI, Mauro Codussi, Milano, 1977,
pp. 165-168, 208-214.
40 Sugli automi di Venezia e sul loro funzionamento, cfr. PERATONER , L’orologio della torre,

pp. 19-22, tav. III a p. 20.


41 Il ripristino dell’orologio di Macerata è stato annunciato sulla stampa per il 2010. Sugli

automi e il loro restauro, cfr. L. SIMI, Gli artefici dell’orologio di Macerata, in Le statue dell’orologio
della torre civica di Macerata (1568-1570), Macerata, 2005, pp. 19-22: 20, 36-37.
228 ELISA CAMPOREALE

Fig. 5. Automi, Madonna col Bambino, Re Magi e Angeli tubicini. Legno policromato, Reggio
Emilia, Musei civici, Museo di Arte Industriale.

Le epifanie di automi connesse con meccanismi di orologi potevano essere


anche molto più complesse dei casi italiani qui menzionati. Poteva trattarsi di
Annunciazioni, Adorazioni dei Magi o cortei di personaggi biblici, che appa-
rivano regolarmente allo scoccare dell’ora o solo, ad esempio, a mezzogior-
no.42 Queste manifestazioni erano rese spettacolari dai vari movimenti e suoni
‘emessi’ dagli automi, e, non fosse altro che per la condivisione dei soggetti e
degli ideatori, richiamavano lo spettacolo che argani e figuranti delle sacre
rappresentazioni offrivano all’interno delle chiese. Nel corso del Quattrocento
lo sviluppo, elaborato in particolare a Firenze, della scenotecnica in movimen-
to con macchine in grado di far volare o sollevare figuranti fanciulli cambiò la
fisionomia delle sacre rappresentazioni.
Le medesime figure professionali potevano essere detentrici delle compe-
tenze di meccanica necessarie per l’ideazione di macchine, che fossero argani
per il teatro o per il cantiere, per la tecnologia civile o militare – dai mulini,
alle chiuse, alle macchine da guerra – come per l’orologeria.43 Un nome per

42 Per una rassegna di automi parte di orologi pubblici del tre-quattrocento nel mondo inglese,

francese e germanico, cfr. DOHRN – VAN ROSSUM, History of the Hour, pp. 107-108.
43 Sulla polivalenza dei tecnologi, cfr. ivi, pp. 179-187, 193-196, CAMPOREALE , Telling Time,

pp. 219-222, ADDOMINE, Cenni, p. 20.


SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 229

tutti: Filippo Brunelleschi progettista e ingegnere capo della costruzione della


cupola di Santa Maria del Fiore,44 celebrato inventore di macchine 45 e co-
struttore di orologi.46 In una sorta di rapporto osmotico tra esperienze e pro-
blemi tecnici sviluppati in contesti diversi, si può menzionare l’applicazione
da parte dell’architetto-ingegnere di dispositivi funzionanti a molla sia nel co-
struire orologi di dimensioni ridotte 47 che nella macchina della mandorla per
la sacra rappresentazione dell’Annunciazione a Maria che ebbe come teatro la
chiesa di San Felice in Piazza a Firenze.48
Descrizioni e cronache ci restituiscono ‘ingegni’ in funzione, a servizio del-
la scenotecnica come dell’indicazione oraria, tali testi contribuiscono anche al-
la conoscenza della ricezione da parte della popolazione di queste innovazioni
tecniche: erano apprezzati e accolti come mirabilia e, oltre che intrattenere e
stupire, contribuivano a promuovere l’immagine della città.

44 Su documenti, fasi e tecniche della costruzione della cupola segnalo solo F.D. PRAGER –

G. SCAGLIA, Brunelleschi. Studies of His Technology and Inventions, Cambridge, 1970 e L. IPPOLITO –
C. PERONI, La cupola di Santa Maria del Fiore, Roma, 1997.
45 La traduzione dell’epigrafe latina composta da Carlo Marsuppini e posta sulla tomba di Ser

Pippo in Santa Maria del Fiore suona cosı̀: «Dio Santo. Quanto Filippo architetto fosse eccellente
nell’arte di Dedalo possono dare documento cosı̀ la mirabile cupola di questo celeberrimo tempio
come le macchine inventate dal suo divino ingegno. Per cui per le esimie doti della sua mente la pa-
tria grata dispose che il 15 maggio 1446 in questa terra il corpo del benemerito fosse sepolto». Per
una trattazione del monumento e della sua epigrafe, cfr. M. COLLARETA, Du portrait à la biographie:
Brunelleschi et quelques autres, in Le «Vies» d’artistes. Atti del convegno, a cura di M. Waschek,
Paris, 1996, pp. 41-53.
46 Sulla passione giovanile di Brunelleschi di costruire orologi di piccole dimensioni, si veda la

nota successiva. Per documenti sulla fornitura da parte di Brunelleschi dell’orologio pubblico di
Scarperia in Mugello e sulla garanzia da parte dell’ingegnere sul suo funzionamento nel primo pe-
riodo di vita dell’orologio, associazione di prestazioni di norma richiesta ai costruttori di orologi,
cfr. M. FONDELLI, Gli ‘oriuoli mechanici’ di Filippo di Ser Brunellesco Lippi. Documenti e notizie ine-
dite sull’arte dell’orologeria a Firenze, Firenze, 20002, pp. 1-33: 22.
47 Sul disegno ‘brunelleschiano’ della British Library con Meccanismo di orologio a molle elicoi-

dali (BLL, Ms. Additional 34113, fol. 156r), cfr. F.D. PRAGER, Brunelleschi’s Clock?, «Physis», 10/3,
1968, pp. 203-216. Sul problema di Brunelleschi orologiaio, cfr. anche CAMPOREALE, Telling Time,
pp. 216-219.
48 Sul modello della mandorla realizzato grazie a un disegno con didascalia di Bonaccorso

Ghiberti, cfr. E. GARBERO ZORZI, Modello interpretativo della ‘mandorla’ per la rappresentazione
dell’Annunciazione nella chiesa di San Felice in Piazza, in Teatro e spettacolo nella Firenze dei Me-
dici. Modelli dei luoghi teatrali. Catalogo della mostra, a cura di E. Garbero Zorzi, M. Sperenzi,
Firenze, 2001, pp. 131-133. Su questa rappresentazione teatrale, cfr. EAD., I modelli dei luoghi tea-
trali a Firenze: introduzione a una riproposta, in ivi, pp. 17-37: 21-23, P. VENTRONE, ‘Una visione
miracolosa e indicibile’: nuove considerazioni sulle feste di quartiere, in ivi, pp. 39-51: 49-51.
230 ELISA CAMPOREALE

GRAFICA A SERVIZIO DELLA COMUNITÀ: I QUADRANTI

I quadranti, detti anche ‘mostre’, si diffondono all’esterno delle torri a


partire dalla seconda metà del Trecento.49 Rispetto a contare i rintocchi delle
campane era meno usuale la lettura dell’ora su un quadrante, ma comportava
un notevole vantaggio. La mostra forniva infatti una indicazione temporale li-
neare sempre visibile e computabile, mentre i rintocchi erano regolari ma er-
ratici; a seconda delle epoche e dei congegni, suonavano ogni ora, più rara-
mente ogni mezza ora o ai quarti e durante gli intervalli non era prevista
alcuna indicazione oraria.
La faccia esterna dell’orologio ha il potere di attirare e intrattenere l’oc-
chio e gode di una sua visibilità nel contesto urbano; è anche caratterizzata
da una leggibilità intrinseca. Sotto questi aspetti il disegno della mostra costi-
tuisce un primo interessante esempio di grafica, nel senso di produzione arti-
stica volta alla realizzazione di prodotti di comunicazione visiva. Si pensi an-
che solo all’alta qualità grafica della ruota oraria affrescata nel 1444 da Paolo
Uccello sulla controfacciata di Santa Maria del Fiore a Firenze (fig. 6) 50 con i
suoi ventiquattro armoniosi settori, caratterizzata da un bell’equilibrio tra spa-
zi bianchi e caratteri numerici con il disco centrale che fa da sfondo all’indice
orario dorato, disco verde chiaro in una prima versione, fatto correggere a di-
stanza di un mese nel più tradizionale blu dall’Opera.51 Le partizioni furono
scrupolosamente pianificate dal pittore, che si servı̀ di punti incisi a fresco con
una punta metallica sulla superficie muraria.52 Si tratta di una simulazione ad
affresco di una ruota oraria lapidea 53 e di quattro teste scolpite raffiguranti gli

49 Fino al secondo Trecento i quadranti orari erano presenti principalmente all’interno degli

edifici sacri, cfr. BRUSA, Early Mechanical Horology, p. 490, nota 22.
50 Per notizie e bibliografia su questo quadrante, sulla storia dell’orologio e per una sua conte-

stualizzazione in rapporto ad altri orologi quattro e cinquecenteschi presenti in Italia centro-setten-


tionale, cfr. CAMPOREALE, Telling Time, pp. 202-219. Per recenti illustrazioni dell’orologio, cfr.
A. PALMIERI, Antichi ‘oriuoli mechanici», in Le grandi meridiane fiorentine. Catalogo della mostra,
a cura di F. Camerota, Firenze, 2007, pp. 21-27: 23-24; L. BIGI – M. MUREDDU, L’orologio nel
Duomo a Firenze: l’unico al mondo che segna l’ora italica, Firenze, 2008, H. HUDSON, Paolo Uccello.
Artist of the Florentine Renaissance Republic, Saarbrücken, 2008, pp. 147-148.
51 Per una analisi dei documenti relativi alla commissione dell’affresco da parte dell’Opera di

Santa Maria del Fiore e alle successive modifiche richieste a Paolo Uccello, cfr. G. POGGI, Paolo Uc-
cello e l’orologio di S. Maria del Fiore, in Miscellanea di storia dell’arte in onore di Igino Benvenuto
Supino, Firenze, 1933, pp. 323-336.
52 Per uno studio sulla costruzione e distribuzione degli spazi all’interno del quadrante di Paolo

Uccello, cfr. G. BOTTICELLI – S. GIOVANNONI, L’orologio di Paolo Uccello nel Duomo fiorentino,
«Critica d’Arte», 44/166-168, 1979, pp. 177-181.
53 Per una puntualizzazione sull’iconografia delle quattro teste, confronti con mostre coeve che

presentano Evangelisti agli angoli o altri tipi di sculture dipinte, cfr. CAMPOREALE, Telling Time,
pp. 209-212.
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 231

Evangelisti, agli angoli entro


tondi.54 La ruota è inscritta
in un quadrato dalle cornici
profilate di pietra bianca. Nel-
la prima versione le modana-
ture di pietra dipinte erano
presenti sia a segnare la cir-
conferenza esterna della ruota
che quella interna. Quest’ulti-
ma profilatura fu poi coperta
di blu in seguito al cambia-
mento di colore del disco
centrale, eseguito dal pittore,
come detto, su richiesta
dell’Opera, l’istituzione inca-
ricata della gestione dei fondi
pubblici destinati alla costru- Fig. 6. PAOLO UCCELLO, Quadrante in ventiquattro ore
zione, decorazione e manu- con quattro teste di Evangelisti (doc. 1444). Affresco,
tenzione del complesso di Firenze, Santa Maria del Fiore, controfacciata.
Santa Maria del Fiore.
Nel Tre-Quattrocento non c’era un altro manufatto – meccanico e di ‘de-
sign’ – per il quale la decodificazione da parte del pubblico avesse una rilevan-
za simile. Molto più elementare per esempio era l’operazione richiesta per la
decodificazione di stemmi o insegne che potevano essere esposti sui muri delle
città. Gli stemmi o stendardi potevano esser associati ad un nome, solo se si
veniva a conoscenza di tale nome, magari informandosene. Le insegne dei ne-
gozi, se non consistevano nella merce stessa esposta fuori dalla bottega,55 po-

54 Già nel 1935 Georg Pudelko notava l’analogia delle teste affrescate da Uccello con le teste

dei Profeti che sporgono agli angoli dei rilievi della Porta Nord del Battistero fiorentino, realizzata da
Lorenzo Ghiberti e bottega negli anni 1404-1424. Paolo Uccello fu uno dei ventuno assistenti di
Ghiberti e lasciò la bottega nel 1415 quando probabilmente i ventotto rilievi erano terminati ed
era appena iniziato il lavoro sulle teste dei Profeti. La celebre trovata, derivata dall’imago clipeata ro-
mana, ritorna nella successiva Porta del Paradiso. Sulla realizzazione della porta, cfr. G. NUNZIATI,
Lorenzo Ghiberti. La porta Nord. Notizie storiche, in Lorenzo Ghiberti ‘materia e ragionamenti’. Ca-
talogo della mostra, Firenze, 1978, pp. 82-86. Sull’apprendistato di Paolo Uccello da Ghiberti, cfr.
D. REGGIOLI, Paolo Uccello e Masolino, in ivi, pp. 101-104.
55 Per restare nell’ambito dell’orologeria, si pensi alla bottega di orologiaio raffigurata in una

miniatura del De Sphaera codice conservato alla Biblioteca estense di Modena ed eseguito probabil-
mente da Cristoforo De Predis intorno al 1470. Il maestro orologiaio è rappresentato mentre lima a
mano i denti di una ruota (la fresatrice è posteriore), mentre l’aiuto a destra batte con un martello un
pezzo di metallo. Un trapano a volano per fare i fori è appeso alla parete di fondo e un orologio a pesi
non terminato è appeso fuori a mo’ di insegna. Per la prima segnalazione negli studi di orologeria,
cfr. E. MORPURGO, Una bottega di orologiai del Quattrocento, «La Clessidra», XV/1, 1959, pp. 3-5.
232 ELISA CAMPOREALE

tevano consistere in visualiz-


zazioni tridimensionali del no-
me del locale. Possiamo ad
esempio immaginare che l’in-
segna lignea con il sole raggia-
to dipinto su entrambi i lati
(fig. 7), nella Firenze del
Quattrocento fosse appesa
ad una catenella all’esterno
di un esercizio commerciale
‘del sole’.56 Tali insegne visua-
li prive di scritte potevano es-
sere comprese anche dagli il-
letterati, cosı̀ come le pietre
miliari ai lati delle strade pote-
vano essere utilizzate dai viag-
Fig. 7. Manifattura fiorentina del XV secolo, Insegna
di esercizio commerciale con sole raggiato. Legno poli- giatori con relativa facilità. La
cromo, Firenze, Museo di San Marco. mostra dell’orologio, soprat-
tutto se astronomica, necessi-
tava invece di una accurata lettura. Di conseguenza l’aspetto e la chiarezza
del quadrante erano cruciali per il passaggio corretto dell’informazione oraria
o planetaria.
Troviamo artisti di vario livello, a seconda delle zone e delle disponibilità,
chiamati a servire da ‘grafici’ per la comunità. Quantomai vari erano gli sce-
nari artistici dei centri che si dotavano o rinnovavano l’orologio pubblico nel
Quattro e Cinquecento, cioè da quando cominciamo ad avere estesa docu-
mentazione dei nomi degli artefici dei meccanismi e degli artisti coinvolti nelle
decorazioni dei quadranti.57 Gli orologi pubblici in Italia centro-settentionale

Su questo codice astronomico, cfr. E. MILANO, De Sphaera, in Astrologia arte e cultura in età rinasci-
mentale, a cura di D. Bini, Modena, 1996, pp. 45-76: 69-73. Sulla miniatura a tutta pagina che si
trova a fronte di Mercurio, intesa a rappresentare i suoi benefici influssi, cfr. Tavola XIX / c. 11r,
in ivi, pp. 138-141.
56 Questo manufatto ligneo proviene dalle demolizioni tardo-ottocentesche del centro di Fi-

renze, era murato in una bottega di Via Calimala. È stato ipotizzato che si tratti di una insegna di
speziale nel quartiere di Santa Maria Novella, quartiere di cui il sole è simbolo, e che facesse capo
all’omonimo convento domenicano, sulla facciata della cui chiesa è intarsiata nel marmo una imma-
gine del sole. Su questo pezzo, conservato al Museo di San Marco di Firenze, cfr. M. SFRAMELI, Il
centro di Firenze restituito, Firenze, 1989, p. 300, C. NENCI, Manifattura fiorentina del XV secolo. In-
segna di bottega con il sole raggiato, in L’uomo del Rinascimento. Leon Battista Alberti e le arti a Firenze
tra ragione e bellezza. Catalogo della mostra, a cura di C. Acidini, G. Morolli, Firenze, 2006, p. 210.
57 I casi di quadranti decorati da importanti artisti che seguono nel testo, non rendono condi-

visibile quanto sostenuto da Barbara Furlotti, che inquadra il rapporto tra arte e orologi come diffi-
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 233

sono particolarmente numerosi e oggi disponiamo di un panorama completo


della dotazione di certe regioni. La storia di quelli di Toscana e Umbria per
esempio è stata tracciata e resa nota sistematicamente, torre per torre, da Ren-
zo Giorgetti grazie a decennali ricerche d’archivio.
Si può dire che fosse tendenza diffusa selezionare artisti adatti al compito
e presenti sul territorio, mentre non era uso comune chiamare artisti da altri
centri per eseguire mostre orarie. Per questo le tecniche utilizzate per la de-
corazione del quadrante sono spesso quelle che avevano una tradizione sul
territorio, come l’affresco per la Toscana, ma anche per esempio la lavorazio-
ne delle ceramiche nei dintorni di Gualdo Tadino in Umbria 58 o di Borgo San
Lorenzo in Mugello.59 Si passa da artigiani semi-sconosciuti dei quali solo il
nome è noto dai documenti, a quadranti affidati a personalità note.
Ho già menzionato l’operato di Paolo Uccello per la mostra in Santa Ma-
ria del Fiore. Sempre a Firenze il miniatore Attavante degli Attavanti dipinse
la mostra di un celebre orologio di corte, il perduto Orologio dei Pianeti com-
pletato da Lorenzo della Volpaia nel 1510, donato dai Capitani di Parte Guel-
fa alla Signoria di Firenze ed esposto in Palazzo Vecchio.60
A Bologna, si deve alla bottega di Innocenzo da Imola il quadrante affre-
scato all’interno del complesso olivetano di San Michele in Bosco. Non era un
orologio pubblico nel senso più ampio del termine, in quanto fruibile solo da
membri di una comunità monastica, ma si trattava di un monastero importan-
te e meta privilegiata di soggiorni e visite da parte di pontefici, sovrani e uo-

cile e vede nel coinvolgimento a Firenze di un artista di fama come Paolo Uccello una rara eccezione,
cfr. FURLOTTI, L’orologio cittadino, pp. 28-31.
58 L’orologio presso uno degli ingressi di Fossato di Vico in Umbria, forse risalente al XVI se-

colo, presenta un quadrante in ventiquattro ore di ceramica realizzato nelle vicine manifatture di
Gualdo Tadino; per una immagine, cfr. E. STORELLI, Il Settecento, in La ceramica a Gualdo Tadino,
a cura di Id., Gualdo Tadino, 1985, pp. 53-54. L’unico meccanismo di orologio trovato a Fossato,
che batteva ventiquattro ore ed è probabilmente pertinente a questo quadrante, è ora nella Torre
Pubblica e porta la firma di Claudio e Tiziano Gricci e la data 1603. L’attività della famiglia Gricci
nel campo dell’orologeria è documentata a Fossato di Vico dal 1516, la bottega produsse orologi
pubblici per centri come Urbino, Perugia, Nocera Umbra, Ancona e Roma, cfr. CAMPOREALE, Tel-
ling Time, p. 195, nota 19, 232 fig. 9.
59 A Scarperia nel 1883, per la realizzazione del nuovo quadrante dell’orologio di Palazzo dei

Vicari, furono utilizzati un materiale lavorato sul territorio, la maiolica, e un artista locale, Leto Chini
di Borgo San Lorenzo, cfr. R. GIORGETTI, Antichi orologi da torre in Mugello e Val di Sieve, Firenze,
1999, pp. 105-114.
60 A Lorenzo Della Volpaia si deve anche una prima versione dell’orologio astronomico, del

1484. L’Orologio dei Pianeti fu rimosso dalla Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio nel 1666 e collocato
in un magazzino perché in cattive condizioni e da allora risulta disperso. Nel Memoriale di Francesco
Albertini si dice che il quadrante fu dipinto dal miniatore Attavante degli Attavanti, cfr. G. BRUSA,
L’orologio dei pianeti di Lorenzo della Volpaia, «Nuncius», 9/2, 1994, pp. 645-669: 661, M. MINIATI,
‘Un fabbro che sia buon maestro’. La produzione di strumenti scientifici a Firenze nel Cinquecento, in
Arti fiorentine. La grande storia dell’Artigianato. Volume terzo. Il Cinquecento, a cura di F. France-
schi, G. Fossi, Firenze, 2000, pp. 263-276, CAMPOREALE, Telling Time, p. 198, nota 31.
234 ELISA CAMPOREALE

mini di cultura.61 La mostra in


ventiquattro ore è ubicata su una
parete del dormitorio, oggi parte
dell’Istituto Rizzoli, e presenta, al-
l’interno della ruota oraria, una
ruota coi segni astrologici e all’e-
sterno una ghirlanda di frutti
con putti. Inoltre è sormontato
da un’immagine della Vergine col
Bambino e San Michele Arcangelo
che sconfigge il demonio (fig. 8).62
Giovan Battista Gaulli, detto
Baciccio, intorno al 1670 affrescò
il quadrante del Salone grande
del Palazzo della Cancelleria a Ro-
ma, dove si tenevano le udienze di
Rota, con Cronos, Apollo Helios e i
cavalli del Sole (fig. 9).63 L’artista
in questo periodo espresse la sua
creatività anche nel settore delle
Fig. 8. Cerchia di INNOCENZO DA IMOLA, Qua-
drante in ventiquattro ore con la Madonna col arti decorative. Per quanto riguar-
Bambino e San Michele Arcangelo che scaccia il da la decorazione di orologi, al
demonio. Affresco, Bologna, Istituto Rizzoli in Kupferstichkabinett dei Musei di
San Michele in Bosco, corridoio monumentale.
Stato di Berlino è conservata una
china preparatoria con Cronos
che sorregge un quadrante in sei ore per un orologio da realizzarsi forse in le-
gno dorato.64 Inoltre è datato 1670 un pagamento al pittore da parte del car-

61 Per una storia dei soggiorni nel monastero olivetano di San Michele in Bosco di pontefici,

cardinali, sovrani, viaggiatori e intellettuali illustri, cfr. G. ROVERSI, Assedi, conviti, feste, papi, so-
vrani, scrittori: le vicende del luogo dal sec. XIII al XIX, in San Michele in Bosco, a cura di R. Renzi,
Bologna, 1971, pp. 85-167.
62 Il contratto per le pitture della sagrestia e del coro notturno è stipulato coi monaci olivetani

nel dicembre 1517; l’affresco è ritenuto opera di collaboratori di Innocenzo e forse più tardo del
1517, cfr. R. ROLI, Quattro secoli di pittura, in San Michele in Bosco, a cura di R. Renzi, Bologna,
1971, pp. 199-262: 201-202, S. VICINI, La Bottega di Innocenzo. Prototipi e seguaci, in Innocenzo
da Imola. Il tirocinio di un artista, a cura di C. Agostini, C. Pedrini, Bologna, 1993, pp. 103-105:
103, V. BONITO, L’orologio cinquecentesco del dormitorio, in L’Istituto Rizzoli in San Michele in Bosco.
Il patrimonio artistico del monastero e vicende storiche di cento anni di chirurgia ortopedica, a cura di
A. Cioni, A.M. Bertoli Barsotti, Bologna, 1996, pp. 152-157.
63 Per la prima pubblicazione e proposta di datazione su base stilistica, cfr. R. ENGGASS, Baciccio:

A New Fresco and Two Modelli, «The Burlington Magazine», CXVIII/881, 1976, pp. 589-590. Per una
recente analisi, cfr. F. PETRUCCI, Baciccio Giovan Battista Gaulli 1639-1709, Roma, 2009, pp. 182, 451.
64 Per un inquadramento dell’opera nel contesto della produzione di orologi d’arredo a Ge-
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 235

dinal Flavio Chigi per la pittura di


putti su uno specchio e per la mo-
stra di un orologio notturno.65
Passando a testimonianze gra-
fiche, alcuni disegni cinquecente-
schi serbano memoria di rifaci-
menti di mostre affrescate, oggi
non più visibili o mai realizzate.
Sono stati individuati progetti for-
niti da Lelio Orsi, incaricato dal
Comune di Reggio nel 1544 della
decorazione della Torre dell’Oro-
logio di Reggio Emilia, affreschi
eseguiti nel 1545 sulle quattro fac-
ce e oggi perduti. Un primo pro-
getto, i cui disegni sono conservati Fig. 9. GIOVAN BATTISTA GAULLI, Cronos, Apollo
al Louvre, prevedeva probabil- Helios e i cavalli del Sole, GIUSEPPE NICOLA NA-
mente quattro Allegorie delle Sta- SINI, Figure alate che sorreggono l’ovale. Affresco,
gioni coi segni zodiacali. La deco- Roma, Palazzo della Cancelleria, Salone grande o
Sala Riaria.
razione seguı̀ poi un altro schema
iconografico, forse più semplice,
che privilegiava il lato della torre rivolto verso la piazza e si doveva sviluppare
essenzialmente al di sopra e al di sotto del quadrante. Tale schema è stato ri-
condotto alla serie di disegni capeggiata da Apollo che guida il carro del Sole
preceduto da Aurora di Windsor (fig. 10).66
Nicolò dell’Abate fu coinvolto in un rifacimento della mostra dell’orologio
pubblico di Bologna. Quello della Torre dell’Orologio di Bologna, fu tra i pri-
mi orologi astronomici d’Italia, dato che dal 1451 fu dotato di mostra astro-

nova, di legno dorato e alti oltre due metri, cfr. M. NEWCOME SCHLEIER, Clock Designs by Genoese
Artists, «Artibus et Historiae», 20/40, 1999, pp. 125-130: 127-128. Su questa china, interpretata
come disegno per un orologio di bronzo, e sui progetti di Baciccio di cornici, medaglie, fregi, stemmi,
cfr. PETRUCCI, Baciccio, p. 87, fig. 102.
65 Sul pagamento del 1670, cfr. PETRUCCI , Baciccio, p. 654. È stata inoltre attribuita e poi

espunta dal catalogo del pittore la pittura su rame con la Verità scoperta dal Tempo di un orologio
ad altare del Museo Poldi Pezzoli di Milano. Su questo orologio da tavolo, cfr. T. CLIFFORD, Another
clock painted by Baciccio?, «The Burlington Magazine», CXVIII/885, 1976, pp. 852-855, M.C. PAO-
LUZZI, La Verità svelata dal Tempo che mette in fuga la Menzogna, in Giovan Battista Gaulli. Il Ba-
ciccio 1639-1709. Catalogo della mostra, a cura di M. Fagiolo dell’Arco, D. Graf, F. Petrucci, Milano,
1999, pp. 201-202, PETRUCCI, Baciccio, F40 a p. 670.
66 Per questa proposta e schede dei disegni, cfr. M. PIRONDINI , Numm. 10-18, in Lelio Orsi, a

cura di E. Monducci, M. Pirondini, Milano, 1987, pp. 56-62. Devo alla cortesia di Paolo Parmiggiani
questa segnalazione.
Fig. 10. LELIO ORSI, Apollo che guida il carro del Sole preceduto da Aurora (part.). Penna, in-
chiostro bruno e acquerello bruno con pentimenti a matita nera su carta bianca, Windsor Cas-
tle, Royal Library (inv. 0224).
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 237

nomica in ventiquattro ore. A quest’orologio, che dal 1537 batteva le ore alla
romana, cioè in quattro gruppi di sei ore ciascuno, furono effettuati importan-
ti restauri nel 1498 e nel maggio-giugno 1550, quando «horologium vetustate
colapsum restitutum picturisque ornatum est».67 Quest’ultimo rifacimento
non ci è arrivato, ma è sopravvissuto il progetto per la mostra ad opera di Ni-
colò dell’Abate (fig. 11).68
Ci sono pervenuti anche studi di artisti per mostre di orologi pubblici mai
realizzati. Uno di un certo interesse, finora ritenuto di Cecchino Salviati, ma
attribuibile a Giorgio Vasari, è per una mostra a muro pensata verosimilmente
per il Palazzo del Monte Comune a Firenze (fig. 12).69 Sappiamo infatti che
nel 1558 Vasari, su richiesta di Cosimo I, realizzò alcune modifiche nel Pala-
gio di Parte Guelfa, razionalizzando il suo interno per fare entrare nella sede
storica della Magistratura di Parte Guelfa anche gli Ufficiali del Monte, la cui
sede era stata alluvionata nel 1557. Il disegno della mostra è riferibile alle mo-
difiche vasariane a questo complesso perché presenta in alto, al di sopra dello
stemma mediceo, tre piccoli monti sormontati dal giglio analoghi a quelli dello
stemma della Magistratura del Monte Comune ancora visibile sopra l’ingresso
del Palagio su Via del Capaccio.70

67 La prima versione dell’orologio pubblico sulla Torre del Capitano di Bologna risale al 1356

ed era probabilmente priva di quadrante. Un nuovo orologio astronomico con mostra in ventiquattro
fu realizzato nel 1451 e durò fino al 1492, quando andò distrutto in un incendio. Ripristinato nel
1498, dopo i lavori del 1550 fu restaurato nuovamente nel 1598, quando, nel rifacimento della fac-
ciata di Palazzo pubblico furono ridipinte anche le cifre delle ore. Mostra e meccanismo furono com-
pletamente rinnovati nel 1774, cfr. B. PODESTÀ, I primi oriuoli pubblici in Bologna nei secoli XIV e
XV. Dissertazione, «Atti e memorie della regia Deputazione di storia patria per le provincie di Ro-
magna», 8, 1869, pp. 141-165: 156, PALTRINIERI, L’orologio di Piazza.
68 I dettagli dell’iconografia di questo progetto sono spiegati dalle didascalie che compaiono in

una copia del disegno che si trova al Kupferstichkabinett di Berlino. Sul disegno per la mostra del-
l’orologio di Bologna, cfr. S.M. BÉGUIN, Mostra di Nicolò dell’Abate. Catalogo della mostra, Bologna,
1969, pp. 96-98, D. CORDELLIER, Progetto per orologio monumentale, in Il Cinquecento a Bologna.
Disegni dal Louvre e dipinti a confronto. Catalogo della mostra, a cura di M. Faietti, Bologna,
2002, p. 244.
69 Devo alla generosità di Alessandro Cecchi questo suggerimento. Il disegno è conservato alla

Christ Church Library di Oxford, cfr. L. MORTARI, Francesco Salviati, Roma, 1992, pp. 11, 246-247.
70 Come per altri interventi di Vasari per Cosimo I, non sono conosciuti progetti relativi alle

trasformazioni del complesso, trasformazioni realizzate in poco meno di un anno. Sappiamo che
in seguito all’adattamento vasariano i Capitani di Parte Guelfa furono fatti ‘ritirare’ nel nucleo tre-
centesco del Palazzo con la Sala del Camino mentre la Sala Grande fu controsoffittata e divenne Sala
di Udienza e forse sede dell’archivio del Monte. Per consentire ingressi distinti, Vasari realizzò una
scala aggiuntiva a quella esterna su Piazza di Santa Maria sopra Porta. La nuova scala – oggi com-
pletamente trasformata – era in due rampe e immetteva nella Sala Grande attraverso un ballatoio
esterno, detto Loggetta vasariana, ancora in situ. In aggiunta allo stemma del Monte ai piedi della
prima rampa sopra l’ingresso di Via del Capaccio, uno stemma mediceo contrassegnava al primo
piano l’ingresso dalla Loggetta alla Sala del Monte. Per queste notizie, cfr. S. BENZI, L’intervento va-
sariano, in S. BENZI – L. BERTUZZI, Il Palagio di Parte Guelfa a Firenze, Firenze, 2006, pp. 145-156:
151-152. Per l’attribuzione dello stemma mediceo a Giambologna giovane, cfr. E. FERRETTI, Giam-
Fig. 11. NICOLÒ DELL’ABATE, Progetto per il quadrante dell’orologio di Palazzo Pubblico a Bolo-
gna. Penna e inchiostro bruno, acquerello beige, matita rossa acquerellata, lumeggiature bian-
che, Parigi, Musée du Louvre, Départment des Arts graphiques (inv. 5881).
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 239

Infine a Siena rimane traccia


del progetto di una versione a rilie-
vo del quadrante della Torre del
Mangia 71 in un bozzetto di terra-
cotta, presumibilmente del 1578,
attribuito a Prospero Antichi. In
seguito alla partenza di quest’ulti-
mo per Roma, avrebbe fatto segui-
to un disegno (fig. 13) 72 e un rifa-
cimento, con la più economica
tecnica dell’affresco, da parte di
Alessandro Casolani. Oltre a pitto-
ri e scultori, anche noti architetti si
cimentarono nel disegno di mostre
di orologi pubblici. Si pensi alla
Torre dell’Orologio dei Filippini
a Roma, opera di Francesco Borro-
mini del 1647-48, dove il quadran-
te verso Piazza di Monte Giordano,
e l’immagine della Madonna col
Bambino sottostante, sono sor-
montati da una elegante gabbia in
ferro per le campane.73 Fig. 12. GIORGIO VASARI, Quadrante con stemma
mediceo e del Monte Comune. Matita nera e ac-
Cosı̀ come avveniva per i mec- querello, Oxford, Christ Church Library (inv.
canismi e per gli automi, anche 0985).

bologna architetto. Le esperienze architettoniche e la fortuna critica, in Giambologna: gli dei, gli eroi.
Genesi e fortuna di uno stile europeo nella scultura. Catalogo della mostra, a cura di B. Paolozzi
Strozzi, D. Zikos, Firenze, 2006, pp. 321-326: 323.
71 Vari rifacimenti hanno interessato la mostra della Torre del Mangia, orologio installato nel

1360, cfr. CORDARO, Le vicende, pp. 57, 126. La pittura e i decori intorno al quadrante, perduti, fu-
rono commissionati a vari artisti nel corso del tempo, tra i quali Martino di Bartolomeo nel 1425,
Pietro di Jacopo nel 1428, Alessandro Casolani forse nel 1590, Bernardino Mei nel 1650, Antonio
Nasini nel 1699 e a Giovan Carlo Amidei nel 1776. La mostra di marmo in dodici attualmente vi-
sibile è del 1776 mentre l’apertura per il datario fu realizzata nel 1805, cfr. G. BORGHINI, La deco-
razione, in Palazzo Pubblico di Siena. Vicende costruttive e decorazione, a cura di C. Brandi, Siena-Mi-
lano, 1983, pp. 145-349: 228, 241, R. GIORGETTI, Orologi da torre in Provincia di Siena, Firenze,
2007, pp. 386-402: 402.
72 Per una discussione sull’altorilievo di terracotta del Bresciano e su questo progetto della mo-

stra della Torre del Mangia di Siena, cfr. M. CIAMPOLINI, Prospero Antichi detto ‘Il Bresciano’. Ales-
sandro Casolani (?). Studio per la mostra dell’orologio della Torre del Mangia, in Il segreto della civiltà.
La mostra dell’Antica Arte Senese del 1904 cento anni dopo. Catalogo della mostra, a cura di G. Can-
telli, L.S. Pacchierotti, B. Pulcinelli, Siena, 2005, pp. 312-317.
73 La Torre dell’Orologio dei Filippini presenta due mostre: verso il cortile maggiore e verso la

piazza, originariamente in sei ore e in seguito modificate. Sul movimento, saldato nel 1649 e funzio-
240 ELISA CAMPOREALE

per le ruote orarie la priorità anda-


va all’utilità pubblica, per cui an-
che alcune ruote affrescate da arti-
sti stimati furono tranquillamente
ridipinte, spesso per uniformarle
ad un nuovo sistema di computo
del tempo. Generalmente si passa
da mostre in ventiquattro a mostre
in dodici ore, talora assistiamo ad
un passaggio intermedio, in sei
ore o ‘alla romana’. Importanti
modifiche legate ai cambiamenti
di computo orario hanno interessa-
to ad esempio il quadrante affre-
scato nel 1444 da Paolo Uccello
sulla controfacciata di Santa Maria
del Fiore.74 Il rinnovo dei quadran-
ti trova anche una diversa giustifi-
cazione. Da quando si diffuse la
collocazione delle mostre all’ester-
no, ossia dal secondo Trecento, es-
Fig. 13. ALESSANDRO CASOLANI, Studio per la mo- se andarono soggette agli attacchi
stra dell’orologio della Torre del Mangia. Penna e in- degli agenti atmosferici che resero
chiostro bruno su traccia a matita nera, acquerello necessari ripetuti rifacimenti per
bruno, Siena, Pinacoteca Nazionale (inv. dis. 108). garantirne la leggibilità. Questo av-
venne in particolare nelle zone do-
ve era diffuso l’uso di far affrescare la mostra, uso spiegabile da un lato con le
spese contenute che comportava questa scelta e dall’altro lato con la familiarità
con la tecnica dell’affresco da parte degli artisti presenti sul territorio. Distru-

nante fino al 1914, è inciso: GASPAR ALBERTUS PISAUREN. Per foto del movimento, dei tre progetti di
Borromini per la torre, pubblicati da Virgilio Spada nel 1725, e sui due modellini, uno di bronzo e
uno di ferro, forniti per la gabbia, cfr. A. PERNIÈR, Documenti inediti sopra un’opera del Borromini. La
Torre dell’Orologio dei Filippini e il suo restauro, «Capitolium», 10/9, 1934, pp. 413-434: 416-419,
425-433. Per un inquadramento del progetto e le relazioni con altri orologi pubblici romani, cfr.
J. CONNORS, Borromini and the Roman Oratory. Style and Society, New York-London, 1980,
pp. 52, 88-89, pl. 23.
74 Tre sono i quadranti sovrapposti rinvenuti nel corso dell’intervento di restauro sulla contro-

facciata della cattedrale di Firenze: del 1761, del 1669 e del 1444. Il restauro, svolto tra il 1963 e il
1971, ha portato al rinvenimento della ruota oraria del 1444 di Paolo Uccello, mentre le quattro teste
affrescate dal pittore agli angoli con gli Evangelisti erano sempre rimaste visibili, cfr. U. BALDINI, L’o-
rologio di Paolo Uccello nel Duomo di Firenze, «Commentari», 21/1-2, 1970, pp. 44-50, CAMPOREALE,
Telling Time, pp. 207-212.
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 241

zioni e sostituzioni hanno interessato mostre orarie affrescate e già illustrate a


Firenze come nel resto della Toscana 75 per esempio a Siena quella della già
menzionata Torre del Mangia e quella sulla facciata dell’Ospedale di Santa Ma-
ria della Scala 76 o, a Volterra, la mostra sul Palazzo dei Priori.77

IMMAGINI DI OROLOGI DA TORRE IN PITTURA

Per una comunità gli orologi assolvevano alla funzione di indicatori del
tempo, in contesti che spaziano da luoghi di preghiere diurne e notturne,
di prediche, di assemblea civica, di ingresso in città, di cantiere edile, di mer-
cato, fino a aule universitarie, aule di tribunale, a luoghi di tortura o di esecu-
zioni capitali. Non molti di questi contesti sono stati frequente oggetto di rap-
presentazione artistica e non in tutti questi casi gli strumenti segnatempo
erano orologi pubblici.
Numerose rappresentazioni di orologi pubblici sono presenti nelle minia-
ture francesi e fiamminghe.78 Spesso si tratta di quadranti presenti su facciate
di edifici privati oppure visibili in lontananza sulle torri di castelli.79 Nella pit-
tura di grande formato, orologi da torre animano affreschi e dipinti già dalla
fine del Quattrocento.80 In questa sede si esamina la presenza di orologi pub-

75 Per una rassegna dei quadranti artistici andati distrutti in Toscana, cfr. CAMPOREALE, Telling

Time, pp. 223-224.


76 A Siena sono andate perdute le versioni del quadrante dell’orologio sulla facciata dell’Ospe-

dale di Santa Maria della Scala, impiantato sul finire del XIV secolo. Esse furono pagate a Martino di
Bartolomeo nel 1414 e a Vecchietta nel 1445. Il quadrante di marmo in dodici attualmente visibile
risale al 1782, cfr. D. GALLAVOTTI CAVALLERO, Lo Spedale di Santa Maria della Scala. Vicenda di una
committenza artistica, Pisa, 1985, p. 426, R. GIORGETTI, Orologi da torre in Provincia di Siena, Fi-
renze, 2007, pp. 374-377.
77 Sono complessi gli avvicendamenti all’orologio pubblico di Volterra, installato nel 1393.

Come spesso accadeva, a modifiche al meccanismo si accompagnavano modifiche al quadrante.


Nel 1433, due Ingesuati di Firenze, frate Giovanni e frate Francesco, decorarono il quadrante con
motivi decorativi riferibili a fasi lunari e indicazioni astronomiche. Nel 1444 il pittore fiorentino Ste-
fano di Antonio Vanni lavorò alla mostra. Nel 1488 l’orologiaio tedesco residente a Montaione Gu-
glielmo di Arrigo modificò il movimento il che permise di introdurre sul quadrante l’indicazione
delle fasi lunari, forse eseguite nel 1491 da Jacopo Foschi, allievo di Botticelli, visibili ancora nel
1804 e probabilmente fino all’avvento del nuovo quadrante in marmo nel 1856. Per una sintesi sulle
vicende dell’orologio, cfr. R. GIORGETTI, Volterra Palazzo dei Priori, in ID., Orologi da torre storici
della Provincia di Pisa, Pisa, 2003, pp. 326-332.
78 Per una disamina delle rappresentazioni di orologi – pubblici e non – in miniature francesi e

fiamminghe, cfr. F.A.B. WARD, 15th Century Clocks and Cloks Dials, «Antiquarian Horology», 9/7,
1974, pp. 762-767, DOHRN – VAN ROSSUM, History of the Hour, pp. 146-150.
79 Nelle miniature i quadranti possono esser presenti su facciate di edifici privati anche mode-

sti, cfr. A. CHAPUIS, De horologiis in arte. L’Horloge et la Montre à travers les Ages, d’après les Do-
cuments du Temps, Lausanne, 1954, fig. 25bis; BRUSA, L’Arte dell’orologeria, p. 36.
80 La presenza di orologi meccanici non pubblici nei dipinti è stata già oggetto di studio, oltre al

16
242 ELISA CAMPOREALE

blici in varie tipologie di opere e la funzione attribuita all’orologio nell’econo-


mia del dipinto, arrivando fino all’avvento dell’era industriale, quando la per-
cezione del tempo si modifica radicalmente. Saranno prese in considerazione
sia raffigurazioni generiche di orologi pubblici, che raffigurazioni puntuali che
ne permettono la localizzazione.
Gli scenari urbani dei teleri di Carpaccio, puntellati di torri, figure e arre-
di, restituiscono immagini verosimili, se non fedeli, di città. Un quadrante
molto simile a quello di San Marco compare sullo sfondo del telero con l’Ar-
rivo degli ambasciatori inglesi presso il re di Bretagna (fig. 14). L’anno dello
svelamento della mostra marciana: 1499, contribuirebbe a datare l’opera.
Un’altra mostra, sempre in ventiquattro ore e con l’indice a stella, compare
nel telero con l’Incontro e partenza dei fidanzati (fig. 15). Entrambi fanno par-
te del ciclo eseguito da Vittore Carpaccio a partire dal 1490 per la Scuola di
Sant’Orsola.81 Un fantasioso quadrante compare su un torre cupolata – che
richiama alla lontana quella del Capitanio con l’orologio di Padova – nel telero
con la Presentazione di Maria al tempio (fig. 16) eseguito verosimilmente negli
anni 1502-04 da Carpaccio per la Scuola degli Albanesi,82 le ventiquattro cifre
in caratteri pseudo-ebraici contribuiscono a caratterizzare l’ambientazione
della scena.
In qualità di arredo urbano compare il quadrante astronomico con indice
a stella presente nel Ratto di Dina di Giuliano Bugiardini conservato a Vienna,
al Kunsthistorisches Museum (fig. 17); replica, ritenuta su base stilistica del
1535 circa, di un dipinto di analogo (raro) soggetto di Fra’ Bartolomeo.83
Talora si hanno rappresentazioni puntuali di orologi. Si pensi all’affresco
di Floriano Ferramola collocabile tra 1517 e 1518 con la Giostra in Piazza del-
la Loggia (fig. 18a) che presenta il quadrante astronomico dell’orologio nella

già menzionato CHAPUIS, De horologiis in arte, segnalo solo L’orologio e la moda dal ’600 ai nostri
giorni. Catalogo della mostra, a cura di C. Cardinal, Milano, 1994 e R. PANCHERI, L’orologio mecca-
nico e il ritratto: variazioni sul tema da Tiziano a David, in La misura del tempo. L’antico splendore
dell’orologeria italiana dal XV al XVIII secolo. Catalogo della mostra, a cura di G. Brusa, Trento,
2005, pp. 50-85.
81 Sui teleri della Scuola di Sant’Orsola, oggi conservati alle Gallerie dell’Accademia di Venezia,

e in particolare sulle mostre in ventiquattro ore che vi sono rappresentate, cfr. G. NEPI SCIRÉ, La
Scuola di Sant’Orsola, in Carpaccio pittore di storie. Catalogo della mostra, a cura di Ead., Venezia,
2004, pp. 33-65: 36, 38, 48.
82 Su questo telero, oggi conservato a Milano alla Pinacoteca di Brera, cfr. L. CABURLOTTO , Pre-

sentazione di Maria al tempio, in Carpaccio pittore di storie. Catalogo della mostra, a cura di G. Nepi
Sciré, Venezia, 2004, p. 104.
83 È stato proposto che il dipinto di Vienna sia tratto da un dipinto impostato da Fra’ Barto-

lomeo e lasciato incompiuto alla sua morte nel 1517, documentato ma andato disperso, cfr. L. PA-
GNOTTA, Giuliano Bugiardini, Torino, 1987, p. 218. Sul contributo di Fra’ Bartolomeo a questo di-
pinto, si veda anche I. HÄRTH, Zu Landschaftszeichnungen Fra Bartolomeos und seines Kreises,
«Mitteilungen des Kunsthistorisches Institutes in Florenz», 9/2, 1960, pp. 125-130.
14 15

Fig. 14. VITTORE CARPACCIO, Arrivo degli am-


basciatori inglesi presso il re di Bretagna
(part.). Olio su tela, Venezia, Gallerie dell’Ac-
cademia. Fig. 15. VITTORE CARPACCIO, In-
contro e partenza dei fidanzati (part.). Olio
su tela, Venezia, Gallerie dell’Accademia.
Fig. 16. VITTORE CARPACCIO, Presentazione
di Maria al Tempio (part.). Olio su tela, Mila-
no, Pinacoteca di Brera. 16
244 ELISA CAMPOREALE

Fig. 17. GIULIANO BUGIARDINI, Ratto di Dina. Olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

prima versione di metà Quattrocento circa (fig. 18b) 84 e lo stato di avanza-


mento dei lavori alla Loggia di Brescia al 1516. Questo affresco staccato per-
venne al Victoria & Albert Museum nel 1849 ed è parte di un ciclo, firmato,
ispirato alle Metamorfosi di Ovidio proveniente da Palazzo Calini a Brescia.85

84 L’orologio di Piazza della Loggia in seguito fu rifatto in una nuova Torre dell’orologio, spo-

stata leggermente più a nord, opera di Ludovico Beretta del 1546. Autore della macchina oraria fu
Paolo Gennari da Rezzato negli anni 1544-46. Il quadrante principale, commissionato a Giovanni
Jacopo Lombardi nel 1546, fu installato nel 1564 nella nuova fabbrica. La loggetta in basso fu mo-
dificata nel 1597 col prolungamento dei portici fino all’altezza di Porta Bruciata, cfr. A. RAPAGGI –
L. CASALE, Note storiche sull’architettura dell’orologio di Piazza della Loggia, in Il tempo ritrovato:
l’Orologio di piazza della Loggia restaurato. Catalogo della mostra, a cura di L. Casale, Brescia,
1986, pp. 11-39, B. BETTONI, Per una storia dell’orologio, in L’orologio di Piazza della Loggia. La mi-
surazione del tempo tra tecnica e arte, a cura di C.M. Belfanti, Brescia, 2001, pp. 49-61: 50-59. Sullo
sviluppo della piazza con riferimenti alle due torri dell’orologio, tardo-quattrocensca e medio-cin-
quecentesca, cfr. D. HEMSOLL, Le piazze di Brescia nel medioevo e nel rinascimento. Lo sviluppo di
Piazza della Loggia, «Annali di architettura», 4/5, 1992-1993, pp. 168-177: 169, 171.
85 Su questo affresco, staccato da Bernardo Gallizioli nel 1844, inserito in uno studio di tutta la

produzione di Ferramola, cfr. S. BUGANZA, Floriano Ferramola rivisitato, «Arte Cristiana», 86, 1998,
Fig. 18a. FLORIANO FERRAMOLA, Giostra in Piazza della Loggia. Affresco staccato trasportato su
tela, Londra, Victoria & Albert Museum.
Fig. 18b. FLORIANO FERRAMOLA, Giostra in Piazza della Loggia (part.). Affresco staccato tra-
sportato su tela, Londra, Victoria & Albert Museum.
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 247

Il richiamo alla piazza della città in


questo decoro murale era doppio:
interno alla scena affrescata, con
l’immagine della mostra, ed ester-
no, grazie alla scenografia architet-
tonica dispiegata sulle pareti del
salone. Infatti i vari episodi del ci-
clo erano inquadrati da finte archi-
tetture a imitazione del primo or-
dine della Loggia di Brescia, ter-
minato nel 1509. Tali partizioni ar-
chitettoniche sono riemerse in se-
guito al restauro del Palazzo del
1985-87.86
Esistono anche rappresenta-
zioni di orologi da torre nelle ope-
re di pittori che sappiamo aver for-
nito progetti di quadranti per
orologi pubblici. Negli stessi anni
Fig. 19a. NICOLÒ DELL’ABATE, Ruggero in fuga
in cui Nicolò dell’Abate forniva il dal Castello di Alcina. Affresco staccato, Bologna,
progetto per il quadrante della Pinacoteca Nazionale.
Torre del Capitano di Bologna
(fig. 11), raffigurò due orologi da torre in un suo ciclo di affreschi. Mi riferisco
agli affreschi, databili intorno al 1549, staccati dal gabinetto di Palazzo Tor-
fanini a Bologna e oggi alla Pinacoteca Nazionale della stessa città, che raffi-
gurano episodi dell’Orlando Furioso.87 I quadranti in ventiquattro ore e indice
orario a stella sono raffigurati sullo sfondo (fig. 19b e fig. 20b) nelle scene del
settimo canto con Ruggero in fuga dal Castello di Alcina (fig. 19a) e del decimo
canto con Ruggero che gira lo scudo contro la flotta di Alcina (fig. 20a).

pp. 121-138: 126. Per una presentazione del ciclo affrescato nel salone di Palazzo Calini in Vicolo
Borgondio, commissionato da Mariotto Calini, cfr. E. LUCCHESI RAGNI, Floriano Ferramola e la ‘bel-
lissima’ sala di Palazzo Calini, «Museo Bresciano. Studi e notizie dai Musei civici d’arte e di storia», 5,
1991-1993, pp. 23-43: 40.
86 Sugli esiti del restauro, cfr. R. SECCAMANI , Recupero e restauro della parti di decorazione nel sa-

lone del primo piano, «Dai Civici Musei d’Arte e Storia di Brescia. Studi e notizie», 3, 1987, pp. 101-103.
87 Sugli affreschi di Palazzo Torfanini, scoperti nel 1925, cfr. BÉGUIN, Mostra, pp. 65-71, S. BÉ-

GUIN , Nicolò dell’Abate. Alcina riceve Ruggero nel suo castello. Ruggero fugge dal castello di Alcina, in
Il Cinquecento a Bologna. Disegni dal Louvre e dipinti a confronto. Catalogo della mostra, a cura di
M. Faietti, Bologna, 2002, pp. 246-250. Sugli anni bolognesi del pittore, 1548-1552 circa, e sulla sua
produzione in quella città, cfr. W. BERGAMINI, I committenti bolognesi di Nicolò dell’Abate, in Nicolò
dell’Abate. Storie dipinte nella pittura del Cinquecento tra Modena e Fontainebleau. Catalogo della
mostra, Cinisello Balsamo, 2005, pp. 93-99: 95.
248 ELISA CAMPOREALE

Fig. 19b. NICOLÒ DELL’ABATE, Ruggero in fuga dal Castello di Alcina (part.). Affresco staccato,
Bologna, Pinacoteca Nazionale.

Diffusa pare la collocazione degli orologi al di sopra delle porte di accesso


alla città, la cui chiusura era prevista di solito all’imbrunire, a protezione degli
abitanti. Alcuni compaiono nelle tarsie, come in quella realizzata da Giovanni
da Verona negli anni 1503-1505 e oggi nel coro del Duomo a Siena,88 in quel-
la eseguita probabilmente da Marcantonio Zucchi tra il 1513 e il 1531 in San
Giovanni Evangelista a Parma 89 o infine, per citare una tarsia meno nota, nel
riquadro con una Veduta urbana (fig. 21) del pannello inferiore della Porta
della Cancelleria di Colmar, ritenuta del 1550 circa, oggi al Musée d’Unterlin-

88 Sul coro del Duomo di Siena e su questo pannello in particolare, cfr. P.L. BAGATIN , Preghiere

di legno. Tarsie e intagli di fra Giovanni da Verona, Firenze, 2000, pp. 87-94, 98-104: 99, C. SENSINI,
Le tarsie di Fra Giovanni da Verona nel coro del Duomo di Siena, «Quaderni dell’Opera», 7-9/2,
2003-2005, pp. 309-345: 323, fig. 28.
89 Su questo coro commissionato a Marcantonio Zucchi nel 1512 ed eseguito solo per circa tre

quarti alla morte del maestro nel 1531, cfr. L. FORNARI SCHIANCHI, Marcantonio Zucchi, Gianfrance-
sco Testa, Pasquale Testa, Coro intarsiato e intagliato, in L’abbazia benedettina di San Giovanni Evan-
gelista a Parma, a cura di B. Adorni, Parma, 1979, pp. 162-171.
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 249

Fig. 20a. NICOLÒ DELL’ABATE, Ruggero che gira lo scudo contro la flotta di Alcina. Affresco stac-
cato, Bologna, Pinacoteca Nazionale.

den.90 Ma orologi al di sopra delle porte di accesso alla città compaiono anche
in pittura. Un quadrante è raffigurato in lontananza, sopra una porta lungo le
mura della città, nella parete ovest con L’incontro dei Triumviri su un isolotto

90 Per cenni sulla Porta della Cancelleria di Colmar, cfr. F. LÉVY -COBLENTZ, L’Art du meuble

en Alsace. Tome 1: du gothique au baroque 1480-1698, Strasbourg, 1975, p. 80, pl. XXIII a p. 85,
E. MANNONI, Mobilier alsacien, Paris, 1996, p. 13 e fig. a p. 13 (foto della porta intera), S. LEQUOQ-
RAMOND, Les arts decoratives, in Le Musée d’Unterlinden de Colmar, Paris, 1997, pp. 82-91: 83,
fig. a p. 82 (foto del pannello qui pubblicato).
250 ELISA CAMPOREALE

Fig. 20b. NICOLÒ DELL’ABATE, Ruggero che gira lo scudo contro la flotta di Alcina (part.). Af-
fresco staccato, Bologna, Pinacoteca Nazionale.

del fiume Lavino del fregio affrescato nel 1546 da Nicolò dell’Abate nella Sala
del Fuoco del Palazzo Comunale di Modena (fig. 22).91 Un orologio è visibile
anche, ad esempio, sopra la porta di Schiedam nella Veduta di Delft di Jan Ver-
meer del 1660-1661.92 Questi paesaggi, urbani o meno, contrappuntati da torri
con orologi ci ricordano il ruolo giocato dalle torri sul piano acustico-visivo
nella formazione di una identità comune nella società pre-industriale.
Mostre di orologi possono comparire in piccola scala sullo sfondo di di-
pinti. Si pensi al quadrante su una torre del lato sud del Castello di Hartenfels
presso Torgau raffigurato nell’olio con la Caccia in onore di Carlo V di Lucas

91 Su questo ciclo, cfr. G. GUANDALINI , Coordinate di cultura umanistica in Modena: la Sala del

Fuoco, in Il Palazzo Comunale di Modena: le sedi, la città, il contado, a cura di Ead., Modena, 1985,
pp. 100-26: 110.
92 Per una scheda su questo celebre dipinto, cfr. A.K. WHEELOCK – B. BROOS – N. COSTARAS ,

Veduta di Delft 1660-1661 ca., in Johannes Vermeer. Catalogo della mostra, a cura di A.K. Wheelock,
Washington-L’Aia, Zwolle, 1995, pp. 120-127, fig. a p. 14.
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 251

Cranach il Vecchio, datato 1544,


del Prado (fig. 23).93 La mostra
esterna in ventiquattro ore di San-
to Stefano a Prato 94 è accennata
sulla facciata del Duomo che com-
pare in lontananza (fig. 24b) nel ri-
tratto postumo del Proposto Pier
Francesco Ricci del 1577 attribui-
to al Poppi e conservato nel Salo-
ne del Consiglio del Palazzo Co-
munale di Prato (fig. 24a).95 Due
orologi sormontano le torri della
facciata di una abbazia, che com-
pare sulla linea dell’orizzonte (fig.
25b) nel laterale con San Gerolamo
del trittico con la Madonna col
Bambino tra San Girolamo e San-
t’Antonio Abate (fig. 25a). Que-
st’olio oggi si trova nella Stanza
con l’Allegoria del Sonno, o Came-
ra Gialla, negli appartamenti mo- Fig. 21. Veduta urbana. Tarsia della Porta della
Cancelleria di Colmar. Essenze di acero, ciliegio,
numentali di Palazzo Mansi a Luc- frassino, noce, rovere affogato, sorbo, guaiaco,
ca 96 ed è stato ascritto alla cerchia Colmar, Musée d’Unterlinden.

93 Su questa tavola, cfr. M.J. FRIEDLÄNDER – J. ROSENBERG, Die Gemälde von Lucas Cranach,
Berlin, 1932, p. 90, tav. 330.
94 La numerazione in ventiquattro ore della mostra esterna della cattedrale di Prato è ancora
visibile incisa nel marmo bianco e coesiste con quella moderna applicata sopra in dodici. La mostra
interna alla chiesa di quest’orologio, collocato nell’intercapedine tra facciata e controfacciata, è in sei
ore ‘alla romana’. Per la storia dell’orologio, risalente alla metà del XV secolo, cfr. R. GIORGETTI, Gli
orologi pubblici del Duomo e del Palazzo del Podestà a Prato, «Archivio Storico Pratese», 1999, pp. 119-
137: 119-120, fig. a p. 126.
95 La commissione del ritratto del Ricci, maggiordomo e segretario di Cosimo I dei Medici, è do-
cumentata al 1577 da parte dell’Ospedale della Misericordia, del quale alla morte fu benefattore, cfr.
F. CARRARA – M.P. MANNINI, Lo Spedale della Misericordia e Dolce di Prato. Storia e collezioni, Signa,
1993, pp. 103-105. Sulla sua figura di arbitro delle arti e abile navigatore negli intrighi di corte, cfr.
A. CECCHI, Il maggiordomo ducale Pierfrancesco Riccio e gli artisti della corte medicea, «Mitteilungen des
kunsthistorischen Institutes in Florenz», 42, 1998/1, pp. 115-143: 118. Per una scheda sul ritratto,
cfr. I. BIGAZZI, Francesco Salviati. Pier Francesco Ricci. Prato, Palazzo Comunale, in Prato e i Medici
nel ’500. Società e Cultura artistica. Catalogo della mostra, Roma, 1980, pp. 112-113. La cattedrale di
Prato compare anche in lontanza nel seicentesco Ritratto di San Filippo Neri conservato alla Galleria
Comunale di Prato, cfr. P. RUSCHI, Prato del ’500: città e mura nell’iconografia, in Prato e i Medici nel
’500. Società e Cultura artistica. Catalogo della mostra, Roma, 1980, pp. 83-92: 87-88, fig. 9 a p. 90.
96 Per una breve scheda di quest’olio, dove si riporta una attribuzione di Roberto Salvini, cfr.
S. MELONI TRKULIA, Martin Heemskerk (?), Trittico con la Madonna col Bambino tra i santi Girolamo
e Antonio Abate, in Museo Nazionale di Villa Guinigi Lucca, la villa e le collezioni, Lucca, 1968, p. 167,
fig. 74. Si veda anche G. BORELLA – P. GIUSTI MACCARI, Il Palazzo Mansi di Lucca, Lucca, 1993, p. 255.
252 ELISA CAMPOREALE

Fig. 22. NICOLÒ DELL’ABATE, L’incontro dei Triumviri su un isolotto del fiume Lavino. Affresco,
Modena, Palazzo Comunale, Sala del Fuoco.

di Pieter Coecke van Aelst.97 Non è nota la provenienza di questa tavola an-
teriormente al 1820, ma in origine l’estremità superiore doveva avere un an-
damento curvilineo simile ad altri trittici ad ante mobili che escono da questa
fiorente bottega ed è stata poi tagliata in alto per adeguarsi a un arredo di tipo
domestico.98

97 La proposta di attribuzione, sostenuta da numerosi confronti stilistici, è di Gert Jan van der

Sman ed è riportata nella scheda della Soprintendenza OA 09 00531423 del 2006. Il trittico farà
parte nel repertorio sulla pittura fiamminga e olandese in Toscana, attualmente in preparazione,
di Paul Huys Jansen, Bert W. Meijer e Paola Squillati Brizio, che ringrazio per l’aiuto fornitomi.
Devo inoltre la segnalazione della presenza degli orologi da torre gemelli sullo sfondo di questo trit-
tico alla cortesia di Marco Rossati.
98 La tavola fu acquistata nel 1820 da Cesare Simi per la costituenda Reale Galleria, non è nota

la provenienza antecedente. Per una monografia ricca di immagini sul pittore, dove non compare il
trittico di Lucca, cfr. G. MARLIER, La Renaissance flamande. Pierre Coeck D’Alost, Bruxelles, 1966.
Per riflessioni sugli artefici dei paesaggi in importanti trittici del pittore di destinazione religiosa, cfr.
L. JANSEN, Shop Collaboration in the Painting of Background Landscapes in the Workshops of Pieter
Coecke van Aelst, in Making and Marketing: Studies in the Painting Process in Fifteenth- and Six-
teenth-Century Netherlandish Workshops, a cura di M. Faries, Turnhout, 2006, pp. 119-142.
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 253

Fig. 23. LUCAS CRANACH IL VECCHIO, Caccia in onore di Carlo V (1544). Olio su tavola, Madrid,
Museo del Prado.

Qualche orologio entra anche nelle visioni architettoniche di François De


Nomé. I quadranti rappresentano punti di riferimento visivi nelle presentazio-
ni di Venezia, ma anche nell’olio di soggetto fiorentino Piazza della Signoria
(fig. 26). In questa ‘veduta raccontata’, l’artista di Metz colloca su una impro-
babile Torre d’Arnolfo un quadrante in ventiquattro ore affrescato, reso in
modo accurato quanto lontano dal vero, come altri curiosi dettagli della piaz-
za fiorentina. Il racconto che questo scenario rielabora, in maniera peraltro
credibile in certi dettagli come la Fontana del Nettuno, può esser consistito
in disegni, ricordi grafici o testimonianze di colleghi come Filippo Napoleta-
no, autore forse, tra il 1621 e il 1623, delle figurine che vi compaiono.99
Volendo fare un accenno ad altri media, orologi pubblici sono presenti
anche sullo sfondo di incisioni o studi per incisioni. Si pensi ad uno studio
del 1634 per una incisione con l’Ecce Homo di Rembrandt, conservato alla
National Gallery di Londra (fig. 27). Questa grisaille porta firma e data sotto
il quadrante dell’orologio da torre sullo sfondo. In questo caso la grande mo-

99 Su questa tela di De Nomé, cfr. M.R. NAPPI , François De Nomé e Didier Barra: l’enigma

Monsù Desiderio, Milano, 1991, pp. 39, 185-186.


254 ELISA CAMPOREALE

24b

Fig. 24a. FRANCESCO MORANDINI DA POPPI,


Pierfrancesco Ricci (doc. 1577). Olio su ta-
vola. Prato, Palazzo Comunale, Salone del
Consiglio. Fig. 24b. FRANCESCO MORAN-
DINI DA POPPI, Pierfrancesco Ricci (part.).
Olio su tavola, Prato, Palazzo Comunale,
24a Salone del Consiglio.

stra di invenzione non costituisce solo uno scenografico fondale ma gioca un


ruolo nel contesto narrativo. L’indice orario è in posizione verticale e punta
alla sesta ora, forse a voler combinare l’indicazione oraria dell’avvenimento
fornita dal Vangelo di Giovanni (Gv 19, 14) secondo l’ora ebraica, con l’ora
corrispondente alla sesta nel computo in uso nell’Europa settentrionale, ovve-
ro il mezzogiorno.100
La funzione di regolamentazione degli orari di compra-vendita svolta da-
gli orologi pubblici 101 è ben attestata in rappresentazioni di luoghi di mercato,
già da quella che è considerata la prima rappresentazione di mercato all’aperto

100 Quest’olio su carta trasportato su tela è un dettagliato studio preparatorio in scala uno a uno

per una incisione, eseguita forse da Jan van Vliet e destinata a grande successo. La stampa però pre-
senta la torre priva del quadrante, cfr. C. BROWN, Ecce Homo, in N. MCLAREN – C. BROWN, National
Gallery Catalogues. The Dutch School 1600-1900, I, London, 1991, pp. 346-349.
101 Sulla funzione svolta da orologi e campane nel regolare i tempi di apertura del mercato, cfr.

DOHRN – VAN ROSSUM, History of the Hour, pp. 245-251.


SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 255

25a

Fig. 25a. PIETER COECKE VAN AELST, Ma-


donna col Bambino tra San Girolamo e
Sant’Antonio Abate. Olio su tavola, Luc-
ca, Palazzo Mansi. Fig. 25b. PIETER
COECKE VAN AELST, Madonna col Bambi-
no tra San Girolamo e Sant’Antonio Abate
(part.). Olio su tavola, Lucca, Palazzo
Mansi. 25b

della pittura italiana ovverosia La fiera dell’Impruneta di Filippo Napoletano


del 1618 (fig. 28a),102 dove fa bella mostra di sé il quadrante sulla torre cam-

102 Per schede sulla tela di Filippo Napoletano con la Fiera di San Luca dell’Impruneta, che
256 ELISA CAMPOREALE

Fig. 26. FRANÇOIS DE NOMÉ, Piazza della Signoria. Olio su tela, Roma, Collezione Mondolfo.

panaria della Pieve di Santa Maria (fig. 28b).103 Quadranti compaiono sullo
sfondo in scene urbane di genere come Il mercato in Piazza della Bocca della
Verità a Roma di Aureliano Milani del 1719 conservato al Museo Civico di
Pesaro (fig. 29),104 Il mercato del Verziere di Alessandro Magnasco del 1735

antecede di due anni l’acquaforte col medesimo soggetto di Jacques Callot, cfr. M. CHIARINI, Teo-
doro Filippo di Liagno detto Filippo Napoletano: 1589-1626. Vita e opere, Firenze, 2007, pp. 264-
265, ID., Teodoro Filippo di Liagno detto Filippo Napoletano (Roma, 1589-1629). La fiera dell’Impru-
neta, in Il cotto dell’Impruneta. Maestri del Rinascimento e le fornaci di oggi. Catalogo della mostra, a
cura di C. Proto Pisani, Firenze, 2009, pp. 26-29.
103 L’installazione dell’orologio pubblico di Impruneta risale al 1521, il primo meccanismo era

opera di Camillo di Lorenzo della Volpaia mentre la mostra fu dipinta con lo stemma dell’Opera di
Santa Maria da Bernardo di Simone. La ruota oraria venne rinnovata nel 1607 ed è quella che si vede
nella tela di Filippo Napoletano. L’intonaco della mostra oraria fu rifatto nuovamente nel 1848. Per
questi dati mi sono basata su un testo dattiloscritto di Renzo Giorgetti conservato nella sezione di
storia locale della Biblioteca Comunale di Impruneta, per il reperimento del quale ringrazio la dot-
toressa Barbara Salotti.
104 Questa tela del pittore bolognese registra il rifacimento della facciata di San Maria in Co-

smedin del 1718, cfr. A.M. AMBROSINI MASSARI, Aureliano Milani. Mercato, in Musei Civici di Pesaro.
Dipinti e disegni della Pinacoteca Civica di Pesaro, a cura di C. Giardini, E. Negro, M. Pirondini, Mo-
dena, 1993, pp. 93-94.
Fig. 27. REMBRANDT (HARMENSZ.) VAN RIJN, Ecce Homo (1634). Olio su carta trasportato su
tela, Londra, National Gallery.

17
258 ELISA CAMPOREALE

28a

Fig. 28a. FILIPPO NAPOLETANO, La Fiera


dell’Impruneta (doc. 1618). Olio su tela,
Firenze, Galleria Palatina. Fig. 28b. FI-
LIPPO NAPOLETANO , La Fiera dell’Impru-
neta (part.). Olio su tela, Firenze, Galleria
28b Palatina.

conservato a Milano, al Castello Sforzesco o ancora il Mercato in Piazza San


Carlo di Giovanni Michele Graneri del 1752 conservato al Museo Civico d’ar-
te antica di Torino.105
C’è poi un genere, la veduta, che instrinsecamente prevede uno spazio ur-
bano di rappresentazione e quindi ammette e accoglie la presenza di orologi
pubblici. Si pensi, per cominciare, a quanto ricorre l’orologio alla base della
torre della Grote Kerk di Haarlem nelle vedute della scuola di Haarlem.106

105 Su queste opere e sul successo del tema del mercato nella scena urbana non monumentale

della pittura italiana di genere, segnalo solo A. ORLANDO, Le molte facce delle città italiane nell’epoca
del Grand Tour, in La rappresentazione della città nella pittura italiana, a cura di P.L. De Vecchi,
G.A. Vergani, Cinisello Balsamo, 2003, pp. 203-219: 218, figg. alle pp. 216-217.
106 Per una trattazione e immagini delle vedute urbane di Haarlem, cfr. J.G. LINKS , Townscape

Painting and Drawing, London, 1972, pp. 155-160.


Fig. 29. AURELIANO MILANI, Il mercato in Piazza della Bocca della Verità a Roma (1719). Olio su
tela, Pesaro, Museo Civico.
260 ELISA CAMPOREALE

Passando alla scena italiana e volendo limitare l’esemplificazione ad un unico


centro, gli orologi pubblici di Venezia sono registrati per un lungo lasso di
tempo.107 Si pensi a Canaletto, per esempio nella veduta di Campo San Gia-
como della Pinacoteca di Dresda, dove compare la mostra in ventiquattro
ore della facciata di San Giacomo a Rialto, svelata nel 1422,108 o nella veduta
di Campo Santi Apostoli già nella collezione del Duca di Buckingham,109 dove
fa bella mostra di sé il quadrante sul campanile della chiesa dei Santi Apostoli.
Altri orologi presenti nelle opere del vedutista sono di invenzione. Nel Capric-
cio con chiesa gotica sulla laguna (fig. 30) compare un quadrante non astrono-
mico con indice a stella in posizione decentrata sulla facciata di una chiesa di
invenzione sulla laguna. Il portale dell’edificio è ispirato a quello sulla facciata
occidentale di San Marco, mentre la posizione del quadrante ricorda quella
che fino al 1724 circa occupava l’orologio sulla facciata di Santa Maria in Ara-
coeli a Roma.110 Questo è tra gli elementi che hanno fatto ritenere il capriccio
successivo al 1720 e al viaggio a Roma del giovane Canaletto.111

107 Oltre agli esempi di vedute settecentesche trattate nel testo a seguire, anche nell’Ottocento

inoltrato quadranti animano vedute di Venezia. Per esempio ne Il cortile di Palazzo Ducale del 1841
del milanese Federico Moja, attualmente a Milano da Caiati Salamon, cfr. T. BARONE, Uno sguardo su
Venezia, Milano, 2009, pp. 42-43 e fig. alle pp. 44-45.
108 La chiesa di San Giacometto si affaccia sul luogo di mercato dell’isola realtina. Successiva-

mente al crollo del 1361 del vicino campanile di San Giovanni Elemosinario, che conteneva un
grande orologio, sulla facciata della chiesa fu istituito un servizio di campane e trasferito l’orologio,
a regolare i traffici e l’attività delle tre tavole di controllo del commercio internazionale. Il meccani-
smo fu poi interamente rinnovato nel 1392. Come detto nella prima parte di questo lavoro, dall’inizio
del Quattrocento un orologio costruito da Gaspare degli Ubaldini ricominciò a battere le ore per il
mercato dal campanile di San Giovanni Elemosinario. Ma l’orologio di San Giacometto disponeva di
un quadrante, infatti al 1422 risale lo svelamento della mostra in ventiquattro ore sulla facciata, con
l’indice orario a stella opera del Maestro Paolo, ingegnere pugliese. Un contratto col pittore Andrea
de Pasce del 1493 ci informa che il disco centrale era azzurro e che l’indice orario doveva essere ri-
dorato. Il movimento fu rinnovato da Antonio Doria da Vicenza nel 1749 e di nuovo nel 1792,
quando fu rifatto anche il campanile a vela in pietra d’Istria della facciata, cfr. D.L. GARDANI, La
chiesa di S. Giacomo di Rialto. Storia e arte, Venezia, 1966, nota 5 alle pp. 36-37, D. CALABI –
P. MORACHIELLO, Rialto: le fabbriche e il Ponte 1514-1591, Torino, 1987, pp. 20, 24-25, 95, 102-
103, CAMPOREALE, Telling Time, pp. 193-194, nota 15, fig. 5. Per le vicende della chiesa, cfr.,
U. FRANZOI – D. DI STEFANO, Chiesa di San Giacometto, in ID., Le chiese di Venezia, Venezia,
1976, pp. 13-14.
109 Su queste vedute di Canaletto segnalo solo LINKS , Townscape Painting, pp. 170-187: 177,

183, figg. 130, 136, A. HENNING, ‘Schlechte Mahler oder Schmierer, die umb geringes Geld Gemählde
machen’. Zu Canalettos Vedute ‘der Campo San Giacometto di Rialto, in Festschrift zum 80. Geburstag
von Annaliese Mayer-Meintschel am 26. Juni 2008, a cura di U. Neidehardt, Dresden, 2008, pp. 112-
119.
110 L’orologio della facciata di Santa Maria in Aracoeli risale al 1412 e fu realizzato dal maestro

Ludovico da Firenze, mentre Pietro da Milano vi collocò la campana; è il più antico orologio pub-
blico di Roma. Era collocato presso il rosone di sinistra. Per ordine di Benedetto XIII, papa dal 1724
al 1730, fu spostato al centro della facciata dove restò fino al 1806 per esser poi collocato sulla torre
del Campidoglio, cfr. M. CARTA, La facciata, in M. CARTA – L. RUSSO, Santa Maria in Aracoeli, Roma,
1988, pp. 61-70: 68-69, L. RUSSO, Santa Maria in Aracoeli, Roma, 2007, pp. 37, 40.
111 Questo capriccio è ritenuto dei primi anni Venti del Settecento. La composizione è sbilan-
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 261

Fig. 30. CANALETTO, Capriccio con chiesa gotica e laguna. Olio su tela. Collezioni Gruppo Intesa
SanPaolo.

Continuando con vedute forse non notissime, nella Veduta del Castello e
della Piazza Contarena a Udine di Luca Carlevarijs databile intorno al 1720
(fig. 31),112 è raffigurata al centro la Loggia di San Giovanni con la facciata
della chiesa di San Giovanni e la Torre dell’orologio di Udine coi due Mori
chiamati Simone e Daniele.113 Infine nella veduta Piazza San Marco verso

ciata: più piena a sinistra e più vuota a destra. Questo ha fatto pensare che avesse un pendant, per
tutti questi dati cfr. C. BEDDINGTON, Giovanni Antonio Canal, detto Canaletto Capriccio con chiesa
gotica a laguna, in Poesia della realtà. I dipinti dei maestri veneti del XVIII secolo nella Collezione
Banca Intesa, Milano, 2002, pp. 30-33.
112 Si tratta di un’opera matura e di un unicum nel catalogo del pittore. È databile post 1717,

anno in cui le statue di Ercole e Caco, ben visibili nella veduta furono collocate nella piazza. Il suo
pendant con Veduta di Verona nei pressi del Ponte delle Navi è nella stessa collezione, cfr. A. MORAN-
DOTTI , Luca Carlevarijs. Veduta del Castello e della Piazza Contarena a Udine, in Poesia della realtà. I
dipinti dei maestri veneti del XVIII secolo nella Collezione Banca Intesa, Milano, 2002, pp. 38-41.
113 Il progetto della Torre dell’Orologio si deve a Giovanni da Udine, arrivato in città in seguito

al Sacco di Roma del 1527. L’orologio fu costruito da Giacomo d’Aurava nel 1546 e durò fio al 1842,
quando fu sostituito con uno costruito dai fratelli Solari de Pesariis. Gli automi, detti Mori per ana-
logia con quelli di Venezia, furono commissionati nel 1544 e furono sostituiti a metà Ottocento. Dal
262 ELISA CAMPOREALE

Fig. 31. LUCA CARLEVARIJS, Veduta del Castello e della Piazza Contarena a Udine. Olio su tela.
Collezioni Gruppo Intesa SanPaolo.

San Geminiano di Francesco Guardi (fig. 32) riferita alla seconda metà degli
Settanta del Settecento,114 grazie ad una disinvolta distorsione, fa bella mostra
di sé la Torre dell’Orologio di San Marco.115
Legate allo scopo della veduta, di perpetuare e diffondere un’immagine
urbana, sono le immagini realizzate da artisti in viaggio in Italia. Per questi
viaggiatori gli orologi da torre entrarono nell’esperienza e nei ricordi visivi e
furono spesso eternati con la tecnica dell’acquerello. Il pittore statunitense
Maurice Prendergast, per esempio, risiedette a Venezia in due occasioni:
nel 1898-99 e nel 1911. Sappiamo che nel 1898-99 salı̀ sulla Torre dell’orolo-
gio di San Marco, perché è il punto di vista dal quale è stato realizzato l’ac-
querello della Veduta di Piazza San Marco oggi al Metropolitan Museum.116
L’artista ritrasse orologi da torre veneziani in entrambi i soggiorni. Tra gli al-
tri, eseguı̀ acquerelli della Torre dell’Orologio di San Marco; quello riferibile

Settecento quello di sinistra fu detto italiano e quello di destra tedesco. Cfr. M. BUORA, Guida di
Udine. Arte e storia tra vie e piazze, Trieste, 1986, pp. 142-143, FURLOTTI, L’orologio cittadino,
pp. 29-30.
114 Due esemplari prossimi a questa veduta sono conservati in collezioni private, cfr. E. BIAN-

CHI , Francesco Guardi. Piazza San Marco verso San Geminiano, in Poesia della realtà. I dipinti dei mae-
stri veneti del XVIII secolo nella Collezione Banca Intesa, Milano, 2002, pp. 42-45.
115 Per le vicende dell’orologio di San Marco si veda la nota 39.

116 Su questo acquerello, cfr. N. MOWLL MATHEWS, Prendergast in Italy, in Prendergast in Italy.

Catalogo della mostra, a cura di N. Mowll Mathews e E. Kennedy, London-New York, 2009, pp. 16-
97: 37, fig. a p. 36 e scheda num. 682 a p. 171.
SUGLI OROLOGI PUBBLICI IN ITALIA: PRESENZE E RAPPRESENTAZIONI 263

Fig. 32. FRANCESCO GUARDI, Piazza San Marco verso San Geminiano. Olio su tela. Collezioni
Gruppo Intesa SanPaolo.

al primo soggiorno è conservato al Farnsworth Art Museum di Rockland


(fig. 33), quello riferibile al secondo è conservato a Palo Alto, alla Stanford
University (fig. 34).117 Sono ambedue di formato verticale: vi compare solo la
torre con la sua mostra astronomica sormontata dal leone di San Marco, estra-
polata dal contesto più ampio delle Procuratie Vecchie cui appartiene.
Infine l’interesse per i luoghi, la vita e il movimento delle metropoli, che
traspare ad esempio nei dipinti di Londra o Parigi di Giuseppe De Nittis, sta
alla base della comparsa della Torre del Parlamento 118 in tutta la sua vertica-
lità, nell’olio Victoria Embankment del 1875 (fig. 35).119

117 Cfr. C. CLARK , Marking Time in Venice, in Prendergast in Italy. Catalogo della mostra, a cura

di N. Mowll Mathews e E. Kennedy, London-New York, 2009, pp. 160-169: 162-163.


118 Il Big Ben, la campana maggiore collegata all’orologio più grande d’Inghilterra, è del 1858.

Per dati tecnici e storici, cfr. THE ENGINEERING SCIENCES DIVISION OF THE INSTITUTION OF MECHA-
NICAL ENGINEERS , Big Ben: its engineering past and future, London, 1981, P. MACDONALD , Big Ben:
the Bell, the Clock and the Tower, Stroud, 2004.
119 Cfr. G. CREPALDI , Temi, simboli, significati, in F. CASTRIA MARCHETTI – G. CREPALDI , Il pae-

saggio nell’arte, Milano, 2003, pp. 153-283: 282.


264 ELISA CAMPOREALE

Fig. 33. MAURICE PRENDERGAST,


St. Mark’s Square, Venice (The
Clock Tower). Acquerello e gra-
fite su carta. Rockland, Farn-
sworth Art Museum (inv.
44.316). Fig. 34. MAURICE
PRENDERGAST , Clocktower, St.
Mark’s Square, Venice. Acque-
rello e matita su carta. Palo Al-
to, Iris & Gerald Cantor Cen-
ter for Visual Arts at Stanford
33 34 University (inv. 1984.88).

CONCLUSIONI

Ho cercato di analizzare il ruolo giocato dall’orologio meccanico nell’era


pre-industriale e di fornire una rassegna, necessariamente incompleta, della
presenza di orologi pubblici nei dipinti a partire dalla fine del Quattrocento
fino all’Ottocento.
La dimensione pubblica dell’orologio da torre è legata al fatto che si tratta
di un portato tecnologico spesso finanziato, mantenuto e riparato a spese della
comunità e che costituisce uno strumento e un arredo urbano di prestigio
Fig. 35. GIUSEPPE DE NITTIS, Londra, Victoria Embankment (1875). Olio su tavola. Collezione
privata.
266 ELISA CAMPOREALE

unanimemente apprezzato. Si è reso quindi necessario inquadrare l’importan-


za di questo complesso manufatto dal punto di vista storico e sociale. La com-
plessità è data dal fatto che è costituito da più parti, di dimensioni spesso mo-
numentali. La parte meccanica consiste nel movimento, talora collegato a
campane e automi, cui si accompagna spesso una parte grafica, la mostra. Cia-
scuna di queste parti è caratterizzata da vicende proprie con commissioni,
maestranze, restauri e rifacimenti indipendenti. Ho evidenziato come le ruote
orarie vadano annoverate tra i primi, se non il primo, oggetto pensato per co-
municare un dato (variabile) ed essere letto e utilizzato da una comunità. Nel
disegno dei quadranti di grandi centri sono stati coinvolti, non a caso, artisti di
fama, come testimoniano, oltre a quadranti sopravvissuti fino a noi, anche
progetti di mostre andate distrutte.
Dall’ultimo quarto del Quattrocento le prospettive urbane intarsiate co-
stituiscono una importante prima palestra per la rappresentazione di qua-
dranti di orologi pubblici, i quali vi compaiono sovente inseriti in contesti
urbani.120 In seguito quadranti sono dipinti negli sfondi di scene narrative
che si svolgono in ambiente urbano e arrivano a contestualizzare scenari an-
che non occidentali, per esempio se legati all’ora ebraica. Orologi pubblici
spesso scandivano gli orari di compra-vendita nelle piazze di mercato, dove
sono raffigurati in ragione alla funzione svolta. Nelle vedute invece gli oro-
logi diventano elementi in grado di connotare e fornire una memoria storica,
non più solo di un monumento specifico in città immobili, come è il caso più
ricorrente nelle tarsie, ma di una intera piazza, un quartiere o una parte di
città rappresentata fedelmente. E in quanto richiami visivi entrano anche nei
ricordi di viaggio. Si arriva cosı̀ all’era industriale, che si caratterizza per una
forte accelerazione dei tempi, tempi di produzione come di trasporto. Nu-
merosi artisti sono attratti dal pulsare della vita nelle metropoli, ritmata dallo
scorrere implacabile del tempo. Grandi quadranti marcano allora scenari
metropolitani, interni di sale di teatro come di fumose stazioni ferroviarie,121
non solo nei dipinti, ma anche nella fotografia o nel cinema. Ma questa è
un’altra storia.

120 Sono in preparazione gli atti del Convegno su Intagli e tarsie fra Gotico e Rinascimento, te-

nutosi presso la Scuola Normale Superiore di Pisa il 30 e 31 ottobre 2009, dove comparirà un mio
intervento sugli orologi pubblici nelle tarsie.
121 Per citare un solo esempio di orologio pubblico in una stazione ferroviaria, ricordo la tela di

Giorgio De Chirico Gare Montparnasse (Melanconia della partenza) del 1914 conservata a New York,
al Museum of Modern Art. Sulla relazione tra arte e tempo nel ventesimo secolo, cfr. D. ADES, Art
and Time in the Twentieth Century, in K. LIPPINCOTT, The Story of Time. Catalogo della mostra,
London, 1999, pp. 202-211.

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