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Il CORNO, di Guido Corti

Il Corno nell’antichità

Sarebbe difficile per il frequentatore delle sale da concerti dei giorni nostri
ravvisare una qualsiasi somiglianza tra il corno che sono abituati ad ascoltare ed
il suo antico progenitore, le origini del quale si perdono nella preistoria.
Circa la nascita dello strumento è estremamente difficile collocarla
cronologicamente, anche se la forma stessa del corno porta ad immaginare che i
materiali forniti all’uomo dalla natura ne abbiano, in un certo qual modo, aiutato
la nascita.
Conchiglie, corna e ossa di animali, rami di albero svuotati hanno probabilmente
ispirato l’uomo a creare strumenti che lo aiutassero in tutte quelle attività che
necessitavano di segnalazioni acustiche. La caccia, la pesca, la pastorizia, la
navigazione, la guerra e così via.
Ciò che è sicura è l’origine di attrezzo quotidiano che ne ha favorito la diffusione
e, in seguito, lo sviluppo.
I primi esempi a noi pervenuti di conchiglia/corno risalgono a circa duemila
anni A.C., durante l’impero Assiro ed erano probabilmente destinati ad
accompagnare le cerimonie religiose.
Che il corno derivasse prima dalle conchiglie piuttosto che da altri materiali è
ipotesi suffragata anche da ritrovamenti greci nei quali si ammirano tritoni ed
altri personaggi mitologici marini intenti a suonarle soffiandovi dentro.
I primi esemplari di cui si è trovata traccia di corno di animale terrestre sono,
con ogni probabilità quelli di antilope risalenti al settimo secolo A.C. in Etiopia,
costruiti dai pastori delle tribù locali, mentre strumenti similari, ma più recenti,
sono stati rinvenuti in Tibet, India, Brasile, Messico.
La Bibbia peraltro cita più volte lo “Shofar”, un corno di montone dal suono
talmente potente da fare crollare le mura della città di Gerico, simile a quello che
viene ancora usato nelle solenni cerimonie religiose ebraiche.
Molto interessanti sono i corni rinvenuti negli scavi etruschi in Italia che fanno
supporre che questo popolo, giunto nel nostro paese dall’Asia Minore, abbia
recato con sé la tradizione greca dell’uso dello strumento modificandone però la
costruzione con l’utilizzo della terracotta. Questa innovazione, con le possibilità
di modellare le forme che essa consente, è da considerarsi probabilmente l’inizio
dell’evoluzione che porterà in seguito all’uso del metallo, e la dice lunga
sull’importanza di questo popolo per molti versi ancora misterioso.
La forma semicircolare del corno etrusco servì, in epoca successiva, agli artigiani
dell’antica Roma come ispirazione per la costruzione della Buccina,
l’importantissimo strumento che guidava le legioni romane durante le campagne
di conquista.
Costruita in bronzo la Buccina era lunga dai due ai tre metri e, curvata dietro le
spalle dell’esecutore, permetteva a quest’ultimo di marciare. Essa doveva avere
discrete possibilità tonali vista la lunghezza e la cura con cui veniva costruita.
Purtroppo con il tramonto dell’impero romano questa abilità costruttiva andò in
gran parte perduta e solo in epoche più vicine a noi essa fu recuperata.
Nel frattempo però altre popolazioni, in differenti aree geografiche, avevano
sviluppato la manualità necessaria a modellare i vari metalli creando svariate
forme e misure di strumenti che avevano nella conicità il comune denominatore.
I popoli orientali, cinesi, indiani e arabi in particolare, arrivarono ad un tale un
grado di perfezione che ancora oggi stupisce e gli esemplari conservati nei musei
costituiscono documenti a volte stupefacenti se consideriamo le rudimentali
tecnologie impiegate.
Oltre ai già citati Schofar e Buccine vanno altresì ricordati il Cornu, il Lituus e la
Tuba dei Romani, il Lur delle popolazioni scandinave,la carnyx dei Celti, i
Ramsinga indiani, l’epico Olifante di Rolando, nipote di Carlo Magno, conservato
oggi nella Cattedrale di S.Guido a Praga, ed il Corno delle Alpi.
Si dice anche che S.Francesco d’Assisi usasse un corno per radunare attorno a sé
la gente a cui rivolgere le sue prediche, e anche il sommo Dante nell’Inferno
(XXXI,12) narra di avere sentito sonare un alto corno.

2)LA CACCIA, LA POSTA, I SEGNALI


Che il corno nell’antichità sia nato spontaneamente come strumento dal vario
utilizzo e che solo in seguito sia diventato strumento musicale a tutti gli effetti è
cosa provata, come detto precedentemente, dai ritrovamenti, avvenuti nei
cinque continenti, di parecchi reperti e, soprattutto di disegni, pitture e sculture
varie che ritraggono i nostri progenitori nell’atto di suonare nelle più disparate
occasioni.
Fortunatamente più nel tempo ci si avvicina a noi più sono numerose le
testimonianze che non lasciano dubbi sull’importanza sociale che questo
strumento rivestiva.
Nei primi trattati medioevali sulla caccia troviamo riferimenti specifici sulla
necessità di disporre di un corno per richiamare l’attenzione dei cani o di altri
cacciatori.
In particolare è notevole il “Libro dei tesori dell’Arte Venatoria” di Harduin De
Fontaines Guerin (1394), nel quale oltre ai vari metodi di caccia in uso all’epoca
sono citati ben quattordici diversi tipi di richiamo che ogni cacciatore avrebbe
dovuto imparare a memoria per comunicare in ogni situazione ed informare gli
altri partecipanti alla battuta della presenza di animali, della loro specie, degli
eventuali rischi e possibilità di cattura. Il “linguaggio” scelto dall’autore era
molto semplice, consisteva infatti nella esecuzione di diverse figurazioni
ritmiche della stessa nota, il che funzionava con qualsiasi tipo di strumento e
non richiedeva particolare abilità di esecuzione se non, come detto, la
memorizzazione degli schemi ritmici. E’ solamente nel 1573 che troviamo nel
trattato “La Venatoria” di Jacques Du Fouilloux, la prova dell’uso di figurazioni
ritmico-melodiche che prevedevano in maniera esplicita l’adozione di “Corni con
note acute e gravi”.
E’ questo un momento di grande importanza, visto che si cominciano a costruire
manufatti di grosse dimensioni e si sviluppa l’abilità di piegare la lastra di
metallo su sé stessa in modo conico ed a più spire.
Storicamente notevole è il Parforce-horn impiegato per la cosiddetta “caccia
forzata” ovvero la caccia che veniva effettuata correndo.
Dalla caccia ed in considerazione dello sviluppo della tecnologia costruttiva,
l’uso del corno si estende ad altri campi della vita quotidiana, il più importante
dei quali probabilmente ha a che fare con il sempre crescente bisogno dell’uomo
di comunicare e del suo mezzo in prepotente espansione: La Posta.
Nel 700 le poste europee erano di proprietà di poche famiglie, la più importante
delle quali era, probabilmente, la nobile famiglia Austro-Tedesca “Della Torre e
Tasso”, che disponeva per questo servizio di migliaia di cavalli che percorrevano
il lungo e in largo tutto il continente.
I tempi di consegna erano molto pressanti e costringevano i poveri postini, che
allora erano denominati postiglioni, a far correre i propri cavalli in
continuazione ed a fermarsi solo alle stazioni di posta per il cambio dell’animale
e, meno frequentemente del cavaliere. La consegna vera e propria avveniva
effettuata senza fermare la corsa ed il destinatario doveva afferrare la posta al
volo se non voleva che la stessa contenuta in sacchi di pelle, si rovesciasse al
suolo. L’arrivo del postiglione era preceduto dagli squilli del corno che il
cavaliere doveva suonare avvicinandosi al luogo della consegna.
Altra struttura sensibile alle capacità di comunicazione del corno è l’esercito con
la possibilità di variare il tipo di messaggio musicale alternandone le basi
ritmico-melodiche. I militari si rendono conto della opportunità di segnalare
spostamenti inviare ordini e disporre le truppe, creano così dei codici, a volte
segreti, che divengono irrinunciabili visto che la capacità di comunicare in breve
tempo può determinare l’esito di una battaglia.
Così, fra squilli di caccia, segnali di posta e fanfare militari arriviamo alla prima
grande scoperta che cambierà il corso della storia di questo strumento: La Serie
Armonica.

3) GLI ARMONICI
L’ottone, Le ritorte, il Corno a mano.
Con ogni probabilità alcuni dei popoli antichi erano a conoscenza degli armonici
naturali, ma sarà solo nella prima metà del 600 che a Parigi lo studioso Marin
Mersenne la ricostruirà in maniera esatta aprendo la strada a colui che per
primo cercherà di analizzarla e spiegarla acusticamente, il fisico e matematico
Joseph Saveur.
Nel proprio trattato “Principi di acustica e di musica” del 1701, Saveur chiarisce
il rapporto matematico esistente tra le varie frequenze armoniche che si
originano dal suono denominato “Fondamentale” numerandole nel loro esatto
ordine e regolamentandone così la serie esatta:
“Serie armonica, i segni AB indicano la tendenza rispettivamente a calare ed a
crescere dei suoni indicati.”
L’opera del Saveur verrà portata avanti da generazioni di studiosi tra i quali
ricordiamo Johann e Daniel Bernoulli, padre e figlio ed in seguito Helmholtz,
Hertz, Lottermoser e Righini.
A questo punto è bene ricordare che fino al 700 la differenza tra corni e trombe
non era poi molta visto che la lunghezza e la conicità non erano ancora criteri
costruttivi assoluti e che anzi le trombe a volte risultavano essere più lunghe di
alcuni corni.
La tromba bassa, per esempio, era lunga esattamente come un corno da caccia
ed il fatto che entrambi si suonassero con la campana in alto non contribuiva
certo a rimarcarne la diversità. Le musiche suonate poi erano del tutto simili
visto che ci si limitava alle fanfare ed alle cacce citate in precedenza.
Si delineava già la figura del suonatore di clarini che porterà innumerevoli
compositori di musica barocca a scrivere nel registro acutissimo della tromba ed
è paradossale pensare che probabilmente molte di queste musiche venivano
eseguite su strumenti dalle caratteristiche estetiche della famiglia dei corni.
L’esempio più eclatante è quello di Gottfried Reiche, famoso clarinista di Bach.
Un suo ritratto del 1723 lo rappresenta con uno strumento ritorto su sé stesso,
fatto questo che ha spinto alcuni studiosi ad ipotizzare che Reiche eseguisse il
celebre secondo concerto Brandeburghese, nonché tutte le altre acutissime
composizioni di Bach, con una sorta di corno da Postiglione.
E’ in Francia, alla corte reale di Luigi XIV che si comincia a differenziare la
famiglia dei corni che vengono da ora denominati “Trompe de chasse” ed è al
santo protettore della caccia S. Umberto, che si dedicano squilli, fanfare e Messe
di soli corni.
Da qui la tendenza a distinguere tra corni e trombe si diffonde in tutta Europa, in
particolare in Germania, Italia e soprattutto in Boemia.
E’ comunque sempre a Parigi che il corno fa il suo ingresso in orchestra, nel
balletto del compositore G.B. Lulli “La Principessa D’Elide” del 1664.
Alcuni storici non concordano con questa datazione sostenendo che già nel 1633
il compositore italiano Michelangelo Rossi aveva inserito una coppia di corni
nella sua “Erminia sul Giordano”, opera su testo di G. Rospigliosi (il futuro papa
Clemente IX), rappresentata a Roma e Venezia, ma vi sono perplessità sulla vera
natura degli strumenti prescritti dal Rossi che spingono ad attribuire al Lulli il
merito di questa innovazione.
La partitura autografa de “La Principessa D’Elide” reca la dicitura “Cors de
chasse” e l’uso dei corni ha relazione stretta con le scene di caccia che si
svolgono sul palco.
L’effetto deve essere stato coinvolgente se si considera che nel giro di pochi
decenni il corno diviene strumento insostituibile dell’orchestra da camera in uso
nel 700.
La tecnologia costruttiva si era nel frattempo evoluta dando la possibilità agli
artigiani del diciottesimo secolo di dimezzare lo spessore della lastra di ottone e
di modellare lo strumento fino
a dare allo stesso le forme più disparate. Il corpo si restringe verso il centro, il
diametro, la campana si allarga, e poco a poco gli esecutori si abituano a suonare
con il padiglione rivolto verso il basso.
A Vienna, attorno al 1700, i fratelli Leicham-Schneider rendono lo strumento
talmente compatto nelle forme da essere dimezzato nel peso e nelle misure
rispetto al corno in uso solo pochi anni prima.
Questa innovazione prende il nome di “Waldhorn”, (letteralmente corno della
foresta) strumento divenuto poi particolarmente caro ai compositori del
romanticismo tedesco, primo fra tutti J. Brahms che, più di centocinquanta anni
più tardi, comporrà per esso il magnifico “Waldhorn Trio” OP.40, per Violino,
Corno e Piano.
Con il diffondersi dei Waldhorn e dei suoi esecutori si manifesta l’esigenza di
suonare, con lo stesso strumento, in ogni tonalità e, verso la metà del 700 si
cominciarono ad utilizzare le “ritorte” o “ritorti” ovvero tubi di prolungamento
che, inseriti nella parte iniziale o centrale del corno ne abbassano la tonalità di
impianto e la relativa serie armonica.
Questo semplice accorgimento da la possibilità al cornista di cambiare ritorta e
tonalità in pochi secondi anche durante una stessa esecuzione ed il corno
diviene così uno strumento “modulante”.
E’ da attribuirsi probabilmente ad Anton Joseph Hampel (1705-71) famoso
“Waldhornist” e didatta di Dresda l’idea delle ritorte e sicuramente sua sarà la
scoperta, fra il 1750 ed il 1755) del corno “a mano” o “inventionshorn”, costruito
dietro sue indicazioni a Dresda da J. Werner, ed in seguito perfezionato ad
Hanau da J.H.Halthenoff che vi aggiungerà una pompa generale che ne
controllerà l’intonazione.
In realtà l’idea del corno a mano è semplicissima: con lo strumento ora girato
verso il basso diventa estremamente comodo e facile inserire la mano destra
nella campana, ammorbidendone il suono e, graduandone la chiusura, ottenendo
così la scala cromatica.
Ovviamente non tutti i suoni sono uguali, ma l’effetto, una volta che il cornista è
padrone di questa tecnica è assolutamente affascinante, ed è proprio l’alternarsi
dei chiaro-scuri che lo rende tale.
Nei paesi di lingua tedesca si distingue l’Inventionshorn, nel quale le ritorte si
inseriscono nella parte centrale dello strumento, dall’ Orchesterhorn , nel quale
esse sono parte della canna di imboccatura che è, in questo caso, mobile.
Fabbricante specializzatosi nella costruzione dell’Orchesterhorn fra il 1760 e il
1770 è il viennese Anton Kerner e questo spiega la particolare diffusione in
Austria di questo tipo di strumento.
Hampel è anche come detto un grande didatta ed a lui si deve quello che è a tutti
gli effetti il primo vero metodo per imparare a suonare il corno, completo di
parte teorica e pratica, la “Lection pro cornui”.
Fra gli allievi di Hampel si distingue assolutamente la figura di Johann Wenzel
Stich (1746-1803), leggendario virtuoso del proprio strumento, la cui fama si
diffonde in tutte le corti europee e diviene tale da spingere il giovane Beethoven
a comporre la sonata OP.17 che i due musicisti eseguono insieme a Vienna
nell’aprile del 1800.
La figura di Stich è senza dubbio una delle più affascinanti dell’intera storia dello
strumento.
Compiuti gli studi musicali a Praga e Dresda, il diciassettenne Stich viene
nominato musico di cappella del Conte Thun a Praga, ma dopo tra anni di
servizio egli decide che la vita stanziale non fa per lui e dopo avere italianizzato
il proprio nome in Giovanni Punto, (vezzo questo comune a molti artisti
dell’epoca, si mette in cammino per cercare fortuna come solista itinerante.
La vita di Punto è ricca di aneddoti ed è caratterizzata dagli incontri musicali e
non che egli compie nel suo girovagare per l’Europa.
Questo Paganini del corno non si legherà mai ad alcuna istituzione dell’epoca e
ciò creerà attorno alla sua figura un alone di mistero che il tempo non riuscirà a
dissolvere.
Tra gli altri solisti che contribuiscono a fare del corno uno strumento non più
legato solamente alla caccia e alle fanfare vi è da considerare Jean Joseph
Rodolphe (1730-1812) strumentista e compositore di scuola italiana, allievo di
T.Traetta e N. Jommelli.
Mozart ne parla al padre come di un vero amico abile cornista ed ottimo
compositore. La loro frequentazione risale al periodo che il grande compositore
salisburghese trascorse a Parigi.
Di grande importanza anche se non di altrettante doti strumentali, è il
salisburghese Ignaz Leutgeb (1745-1811), altro amico intimo di Mozart, amicizia
che spinge quest’ultimo a dedicargli i quattro concerti (K.412,417,447,495), il
quintetto per corno e archi (k.407) nonchè il rondò k.371.
L’amicizia che lega i due non esime comunque il compositore dal fare pesanti
apprezzamenti all’indirizzo dell’esecutore già nel frontespizio dei concerti, tanto
è vero che il povero Leutgeb viene apostrofato, in italiano, come asino, bue,
stupido somaro e, alla fine dell’esecuzione, Mozart ringrazia il cielo per la fine di
quello strazio. In una lettera al padre del 5 aprile 1778, Mozart gli annuncia
l’intenzione di comporre una sinfonia concertante per strumenti a fiato e gli
esprime il desiderio che il solista di “Wauhorn” sia Giovanni Punto. Comunque il
Leutgeb non doveva essere un esecutore così disastroso, visto che esistono
critiche dei tempi che lo descrivono come interprete sensibile ed espressivo
specialmente nei movimenti lenti.
Grazie all’inversione del corno a mano, come abbiamo visto, il corno diventa
strumento solista e spinge in tutto il continente europeo decine di strumentisti a
dedicarvisi completamente. Ormai anche i compositori si convincono delle
caratteristiche espressive dello strumento, come testimoniano le opere dei già
citati Mozart, Beethoven, Telemann, Vivaldi, Michael e Joseph Haydn, Leopold
Mozart, Von Weber, Danzi, Rosetti e di molti altri.
Fra i solisti che vanno citati oltre ai precedenti segnaliamo gli italiani Giovanni
Puzzi e Luigi Belloli (1770-1817 ispiratore di Rossini nonchè famosissimo
didatta), i francesi Dominich, Duvernoy, Dauprat e Gallay, i viennesi Lewy e
Rudolf.
Da segnalare inoltre la presenza tra questi di una donna Beate Pokorny, che nel
1780 stupisce il pubblico parigino eseguendo il difficile concerto in Re di Punto.
I tempi sono maturi perché anche al corno si comincino ad applicare quelle
tecnologie che ne amplieranno le possibilità tecniche ed è nella seconda metà
dell’ottocento che questa vera rivoluzione avrà luogo.

4) L’OTTOCENTO E IL CORNO A MACCHINA


E’ praticamente impossibile datare con esattezza la nascita del corno a macchina
visto che a questa idea lavorano una decina di artigiani, probabilmente
all’insaputa l’uno dell’altro, in più paesi europei già dall’inizio del
diciannovesimo secolo, ma in un articolo del 3 Maggio 1815 il periodico
musicale di Lipsia, Allgemeine Musikalische Zeitung, informa i lettori che: “una
rivoluzionaria invenzione darà ai suonatori di Waldhorn la possibilità di suonare
nell’arco di tre ottave con assoluta purezza ed uguaglianza di suono.
Non più la mano che si muove nella campana ma un meccanismo di leve e tasti
che con il minimo movimento di due dita assicurerà allo strumentista la
possibilità di fraseggiare come una voce umana”.
L’articolista, direttore del teatro di Breslavia G.B. Bierey, cita come creatore del
rivoluzionario sistema il musicista Heinrich Stölzel “al quale va il merito,
aggiunge sempre il Bierey, di avere applicato un semplice meccanismo di due
leve e due cilindri al Waldhorn tradizionale, senza modificare la struttura di
base, lasciandone intatte le migliori caratteristiche tonali”.
Nella realtà quest’ultima affermazione verrà smentita dagli eventi successivi che
rendono il passaggio del corno a mano a quello a macchina molto lungo e
travagliato.
Brevettato nel 1818 il sistema di Stölzel viene realizzato a Berlino da Griessling
& Schlott ed in seguito migliorato con l’aggiunta di un terzo cilindro, ma stenta
ad affermarsi tra i cornisti e, incredibilmente anche tra i compositori, ormai
abituati al suono vellutato del corno cosiddetto “naturale” ed ai suoi armonici.
Detto di Brahms, anche C.M. Von Weber si schiera decisamente dalla parte dei
“puristi” affezionati alla magia del corno della foresta ma, come sempre accade, il
progresso avanza inesorabile e così anche tra i compositori come tra gli
esecutori ci si converte al nuovo, ed è probabilmente L.v. Beethoven che nella
sua nona sinfonia inserisce per primo nella fila dei corni una parte cromatica che
deve essere eseguita con un corno a macchina.
Il grande compositore, conscio che non tutti i cornisti sono in grado di
padroneggiare agevolmente la nuova tecnica, scrive questa parte al quarto
corno, e questo fa pensare che per l’esecuzione della stessa si ricorresse ad un
cornista aggiunto.
Al giorno d’oggi spesso il primo corno si incarica di suonare il passo del quarto
nell’adagio visto che il punto è molto scoperto ma probabilmente Beethoven non
ha voluto modificare l’armonia perfetta dei primi tre corni naturali che gli
garantivano il tono vellutato dello strumento antico.
La strada è comunque aperta e di lì a poco Schumann, R. Strauss e Wagner
comporranno musiche ineseguibili con il vecchio waldhorn, che poco a poco
cade in disuso.
Wagner però nelle note introduttive alla partitura di “Tristano e Isotta” lancia un
appello ai cornisti: “vista la difficoltà della loro parte suonino pure il corno a
macchina, ma usino la mano destra nella campana come i loro predecessori
facevano con il waldhorn così da ricrearne il suono”.
Ecco creato l’anello di congiunzione tra il passato ed il futuro, ogni cornista, da
questo momento, dovrà ricordarsene.

5) WAGNER E STRAUSS
L’avvento del corno a macchina, per quanto lento e graduale, segna una svolta
alquanto radicale nell’uso dello strumento che i compositori inseriscono nelle
loro partiture.
Il più audace nel percorrere la nuova strada è con ogni probabilità R. Schumann
che nel “Adagio und Allegro” OP.70 per Corno e Piano ed ancor più nel
“Conzertstück” OP.86 per 4 corni ed orchestra del 1849, si spinge drasticamente
oltre quelli che fino a quel momento sono stati i limiti tecnici imposti dal corno a
mano.
Il seme della follia che funesterà gli ultimi anni di vita del grande compositore
tedesco è riscontrabile nella parte solistica di quest’ultima composizione che,
seppure sia lavoro di indubbio genio, per un secolo rimane un brano considerato
praticamente ineseguibile, cadendo così nell’oblio, prima di venire riscoperto e
valorizzato.
Discorso a parte dal punto di vista della nuova struttura meritano Wagner e
Strauss.
Richard Wagner compone le sue prime opere in un clima culturale decisamente
ancorato al passato ed alla tradizione di C.M. von Weber. La scrittura cornistica
risulta essere quelle delle tradizionali “quinte dei corni” care a Mozart e Haydn,
ma è proprio nell’evoluzione compositiva di Wagner che più si coglie la
metamorfosi tecnica e tonale dello strumento. Nella tetralogia, che inizia con i
famosi arpeggi di Mi bemolle dei corni del prologo “Das Rheingold” Wagner
compie la dicotomia auspicata nel frontespizio del Tristano, l’uso dei suoni della
serie naturale sapientemente mescolato alle risorse del cromatismo, creando
effetti mai uditi fino ad allora ed aprendo la strada alle nuove tecniche di
scrittura e di impiego del corno.
Ma Wagner da attentissimo ricercatore di suoni quale è, va ben oltre la scrittura,
spingendosi fino al progettare e fare costruire uno strumento che prenderà il
suo nome, la Tuba Wagneriana.
Da lui stesso meticolosamente disegnata, la Tuba Wagneriana è concepita come
una sorta di ponte tonale tra i corni ed i tromboni.
Suonata dai cornisti con lo stesso bocchino usato per il corno, la tuba è costruita
in due tonalità, tuba tenore in si bemolle e tuba bassa in Fa.
La forma è simile a quella del flicorno tenore ma il canneggio, ossia il diametro
dei tubi, è più vicino a quello del corno. Il suono che ne risulta è profondo e
imponente, bene si presta all’esecuzione del regale leitmotiv del “Walhalla” e ad
accompagnare l’incedere degli Dei.
Il legame tra Richard Strauss (1864-1949) ed il corno affonda le sue radici a
prima della nascita del compositore Bavarese. Il padre Franz Joseph (1822-
1905) è infatti una delle figure più importanti della vita musicale di Monaco;
compositore, didatta accademico e, soprattutto, corno solista dell’orchestra di
corte Bavarese.
La fama di Franz Strauss supera i confini della Baviera, tanto da spingere Hans
von Bülow, famoso direttore d’orchestra, a definirlo “Joachim del Corno” e
Wagner (che ne odiava il non facile carattere) ad ammettere che “Strauss è un
uomo insopportabile, ma quando suona il Corno non puoi, più essere in collera
con lui”.
Convinto anti Wagneriano e diffidente nei confronti delle avanguardie musicali,
Franz Strauss trasmetterà al figlio Richard l’amore per i compositori classici,
Mozart e Haydn in testa, amore che quest’ultimo tradurrà in tributi sottoforma
di citazioni nell’uso del corno nei suoi brani e nell’utilizzo della caratteristica
serie armonica naturale nonchè delle “quinte dei corni”, ormai quasi cadute in
disuso.
La gran parte dei temi cornistici Straussiani, concerti per corno compresi, si
compone in larghissima misura dei suoni che nel “nonno Waldhorn” si
sarebbero suonati con il corno aperto, cioè senza la chiusura della campana, e
questo ha consegnato ai posteri un prezioso suggerimento sulle sonorità più
efficaci dello strumento.
Strauss non verrà mai meno ad un uso più che appropriato del Corno, non
andando mai oltre i limiti della ragionevolezza tecnica ma, nel contempo,
presentando al cornista parti più stimolanti, ed all’ ascoltatore l’emozione di
sonorità veramente uniche.

6) IL NOVECENTO, IL CORNO DOPPIO, IL TRIPLO.


In Europa alla fine dell’800 ogni orchestra ormai dispone di cornisti che
utilizzano corni a macchina in Fa, ma le filosofie costruttive differiscono
sensibilmente da un paese all’altro.
A Vienna il sistema adottato è quello ancora oggi in uso nella sezione corni dei
“Wiener Philarmoniker”denominato dello stantuffo o valvola viennese, ideato da
Uhlmann nel 1830 .
In Francia invece si preferisce adottare il pistone o sistema Perinet, dal nome del
suo ideatore, che lo brevetta nel 1839 e che viene perfezionato poi a Bruxelles
da A. Sax e che è stato largamente in uso fino a pochi decenni or sono.
Entrambi i citati metodi prevedono che la deviazione della colonna d’aria
avvenga tramite la pressione di un pistone che si muove longitudinalmente.
Diversa è la filosofia del sistema cosiddetto tedesco o del cilindro rotante, ideato
dal Riedl a Vienna, sistema che si è imposto agli altri per la sicurezza del
funzionamento e che, corno viennese a parte, è rimasto il solo attualmente in
uso.
L’aria è deviata nelle pompe attraverso aperture create sulle pareti del cilindro,
la cui rotazione viene attivata da un sistema di leveraggio collegato alla tastiera.
La tecnica dei cornisti si evolve così in misura enorme, alimentata anche dalle
nuove esigenze dei compositori tardo romantici, Richard Strauss in testa. Il
virtuosismo richiesto ora anche agli strumentisti d’orchestra spinge i costruttori
a cimentarsi in progetti che rendano le parti musicali più eseguibili, visto che
l’estensione richiesta dalla grande orchestra è ora prossima alle quattro ottave.
Il solo corno in Fa, pur con l’adozione dei cilindri, non dà garanzie sufficienti di
centratura delle note, in particolare nel registro acuto, dove la presenza di
frequenze armoniche molto vicine rende la stecca, o scrocco, molto probabile.
La soluzione che si impone alle altre è quella di affiancare al corno in Fa una
serie di canne in Si/b che, azionata da un pistone od un cilindro mediante l’uso
del pollice, alza la tonalità dello strumento di una quarta rendendone molto più
sicura l’emissione.
L’idea di un doppio strumento era già venuta ad alcuni costruttori, tra i quali è
giusto ricordare Maresch e Clagget nel settecento e particolarmente Gautrot con
il suo système equitonique del1864, ma è nel 1899 che Fritz Kruspe coadiuvato
da Gumbert realizza ad Erfurt, in Germania, il primo strumento che si avvale di
tre cilindri rotanti oltre ad un pistone che, azionato dal pollice, devia la colonna
d’aria nella fila di canne più corta alzando la tonalità di impianto a Si/b.
In seguito anche per il pollice si preferisce un cilindro rotante in alternativa al
pistone che non garantisce le stesse possibilità tecniche oltre ad essere meno
sicuro nel funzionamento.
Nasce così il Corno doppio in Fa/sib che a tutt’oggi è di gran lunga lo strumento
più utilizzato tra i professionisti di tutto il mondo. A questa innovazione ne
seguiranno altre, la più recente e diffusa è probabilmente la aggiunta al corno
doppio di un ulteriore appendice in Fa acuto (un’ottava sopra il corno in Fa
tradizionale). Ciò renderebbe lo strumento molto pesante ma le più recenti
tecnologie e le innovazioni nel campo dei materiali e del designa (per esempio la
compensazione tra le sezioni di canne) hanno ovviato a questo inconveniente ed
è oggi possibile suonare un corno triplo che pesa meno di un doppio di pochi
anni fa.
Compiuta la fase evolutiva del Waldhorn e migliorate le tecnologie costruttive, il
Corno si avvia nel 900’ ad essere strumento cardine dell’orchestra sinfonica, e
con l’avvento dei nuovi mezzi di comunicazione non disdegna di apparire nella
musica commerciale da Film, nel Jazz ed in ogni altra forma di musica moderna.
Nel ventesimo secolo ricompare una figura che era, dopo l’era di Punto, andata
scomparendo, quella del solista. La figura più importante in questo senso è senza
alcun dubbio quella di Dennis Brain (1921-1957). Nato a Londra da una famiglia
di cornisti (padre, zio e nonno sono personaggi chiave nell’evoluzione del corno
in Inghilterra), il giovanissimo Brain si impone subito all’attenzione del mondo
musicale tanto da divenire primo corno solista della “Philarmonia Orchestra” ma
è come solista che il suo nome diviene celebre in tutta Europa.
Purtroppo la sua scintillante carriera solistica dura solo vent’anni e si
interrompe bruscamente con la morte a causa di un incidente automobilistico
all’età di trentasei anni.
L’enorme merito di Brain non è solo quello di avere ricreato la figura del solista
di corno, ma anche quello di avere interessato i compositori a lui contemporanei
allo scrivere brani a lui dedicati in questa veste.
Paul Hindemith, Benjamin Britten, Malcom Arnold e Gordon Jacob sono solo
alcuni dei molti compositori ispirati dalla facilità tecnica e dalla vena poetica con
cui Brain suonava, doti queste oggi riscontrabili nelle parecchie registrazioni
ancora in commercio.
Inevitabilmente una figura come quella di Brain traccia un percorso nel quale
altri strumentisti si cimentano, negli anni successivi alla sua prematura
scomparsa decine di cornisti hanno abbracciato la carriera solistica e per motivi
di spazio solo alcuni vengono menzionati.
In Inghilterra Alan Civil, Barry Tuckwell (Australiano di origine ma inglese
d’adozione), Ifor James, Frank Lloyd.
In Francia George Barboteau, Daniel Bourgue, in Italia Domenico Ceccarossi, in
Germania Hermann Baumann, Peter Damm, in Svezia Ib Lanzky-Otto, negli Stati
Uniti Dale Clevenger.
Oltre a questi illustri maestri in attività dagli anni 60 ad oggi molte nuove
personalità si stanno imponendo nel panorama concertistico attuale
contribuendo a confermare, se ancora ve ne fosse il bisogno, il Corno come uno
strumento solista a tutti gli effetti.
Molto tempo è passato da quando il corno attraverso la Caccia , la Posta e le
fanfare militari entra nell’orchestra ed inizia il suo inarrestabile ciclo evolutivo.
L’ascoltatore contemporaneo è spesso stupito nel sentire il virtuosismo tecnico
dei solisti di oggi e le elettrizzanti sonorità orchestrali del Corno attuale e
qualunque sarà la musica del futuro essa non potrà prescindere dal magico
suono del Corno, la strada è ancora aperta.

7) POSIZIONE E SOSTEGNO DELLO STRUMENTO


Una buona posizione del corpo ed un sostegno dello strumento bilanciato e
rilassato sono da considerarsi punti di partenza indispensabili per tutti coloro
che intendono iniziare lo studio del corno.
Troppo spesso succede, durante l’attività didattica, di incontrare giovani
strumentisti che proprio per avere sottovalutato questa regola fondamentale
sviluppano problemi tecnici e, nei casi più gravi, addirittura guai e rigidità
muscolari e tendinee.
Suonare uno strumento, qualsiasi strumento, è a tutti gli effetti una attività fisica
ed ottimizzare l’uso del proprio corpo dà la possibilità allo strumentista di
concentrarsi su ciò che è più importante e gratificante: fare musica!
Vediamo ora di chiarire alcuni aspetti fondamentali della postura del cornista
distinguendo tra il suonare seduti o in piedi.
In Orchestra e nella musica da camera il cornista deve, a parte rarissime
eccezioni, necessariamente suonare seduto e visto che l’attività professionale
richiede molte ore di lavoro sostenendo lo strumento, è bene che lo studente si
abitui a studiare seduto correttamente. La posizione ideale dovrebbe essere con
la schiena eretta e le spalle rilassate, mai raggomitolati su sè stessi. Le braccia
devono sostenere lo strumento come se questo vi appoggiasse sopra, non
devono esercitare troppa tensione e rigidità. Le gambe, rilassate, si aprono
leggermente ed i piedi poggiano completamente al suolo. Troppo spesso si
vedono strumentisti a gambe incrociate, con la schiena curva o con la testa
storta; ricordiamoci, al di là del fatto estetico, che alla lunga queste abitudini
potrebbero influire negativamente sul nostro corpo e che la carriera di un
cornista deve essere più lunga possibile.
Il suonare in piedi è ormai una prerogativa del corno solista e, in rari casi, viene
richiesto nella musica da camera ed in orchestra (ricordiamo in particolare la
prima sinfonia di Gustav Mahler, nel cui finale a tutta la fila dei corni è richiesto
di alzarsi).
E’ comunque buona regola dedicare buona parte dello studio individuale
quotidiano allo sviluppo di questa posizione che permette, tra l’altro, di
respirare in modo più spontaneo e di trovare un buon bilanciamento del corpo
con la relativa sensazione di comodità.
Quanto al supporto del Corno la posizione della mano sinistra è determinata
dalla posizione gancio che, peraltro, si può facilmente fare adattare al proprio
agio da un bravo artigiano riparatore. Le dita devono essere leggermente ricurve
sulla tastiera, ricadendovi rilassate lo stesso dicasi per la posizione del pollice.
Di grande importanza è la posizione della mano destra all’interno della campana,
visto che questa svolge la funzione di sostegno principale dello strumento, e del
ruolo che essa ha sull’intonazione e sul colore del suono.
E’ mia convinzione che la campana debba essere generalmente tenuta libera dal
contatto con il corpo sia suonando in piedi che seduti, le due posizioni in questo
senso non dovrebbero assolutamente differire. La mano destra dovrebbe essere
tenuta verticalmente affinché il pollice possa fungere da perno per gli
spostamenti del palmo verso l’interno esattamente come avviene per suonare il
corno a mano. Le dita devono essere unite ed il polso non deve avvicinarsi
troppo o addirittura toccare l’interno della campana. Altro rischio che si corre
con la mano destra è quello di piegarla troppo su sé stessa fino a formare un
angolo retto, ideale invece il tenerla solo leggermente ricurva, quasi a forma di
pala.
Comunque il giudizio finale toccherà all’orecchio critico dell’esecutore che deve
essere sempre attento alla qualità tonale ed al rapporto di intonazione tra i
suoni. E’ molto importante che entrambi i gomiti siano in posizione rilassata,
non troppo lontani dal busto per non causare eccessiva pressione sulle labbra e
non troppo vicini allo stesso tempo, per non influire negativamente sulla
capacità respiratoria.
In definitiva si può tranquillamente affermare che dal bacino in su la posizione
del corpo è identica, sia suonando in piedi che seduti.

8) RESPIRAZIONE E IMBOCCATURA - LA PRODUZIONE DEL SUONO


Suonare il Corno implica movimento di aria, processo questo che non può
prescindere da una respirazione ampia e libera da costrizioni.
La colonna d’aria infatti, messa in vibrazione dalle labbra in tensione dello
strumentista, passa attraverso lo strumento arricchendosi delle proprietà tonali
della serie armonica dello stesso.
La respirazione è probabilmente il tema tecnico sul quale sono avvenute le
dispute più accese da parte delle varie scuole di pensiero. Lungi dal volere
aggiungere qualcosa di nuovo a quanto già è stato detto e scritto, mi limiterò in
queste pagine ad esporre ciò in cui credo, convinto che questa non sia la sola
strada percorribile ma che essa funzioni per molti ottimi strumentisti.
La respirazione è un processo spontaneo in ogni essere vivente; scopo specifico
è lo scambio di gas necessario al nostro corpo per sopravvivere.
Il sistema respiratorio umano si avvale, per svolgere la funzione di scambio
gassoso, di un apparato muscolare che svolge, oltre a quella respiratoria, anche
altre funzioni necessarie alla vita, quelle biologiche e, nel caso delle donne, il
parto.
E’ ovvio che per potere svolgere queste altre funzioni l’apparato muscolare
respiratorio debba essere in grado di sviluppare una forte pressione interna che
viene definita “pelvica”, e che si crea mediante la contrazione di fasci di muscoli
opposti gli uni agli altri. Questa potente contrazione è detta “isometrica”.
Per potere sviluppare questa forte pressione interna la gola deve essere chiusa
mediante la contrazione della propria muscolatura; questa azione viene definita
scientificamente “manovra di Valsalva”, dall’anatomista bolognese Antonio
Valsalva (1666-1732) che per primo ne studiò le funzioni.
A questo punto è necessario fare un passo indietro per tornare all’idea secondo
la quale suonare il Corno presuppone movimento di aria per motivare la
vibrazione delle labbra, in altri termini il soffiare.
E’ mia fermissima convinzione che per creare il flusso di aria necessario a fare
vibrare l’imboccatura di un cornista non sia assolutamente necessario ricorrere
alla pressione pelvica ed alla contrazione muscolare isometrica, non si debba
cioè ricorrere alla “manovra di Valsalva”, e che anzi la compressione di aria nei
polmoni sia la causa della maggiore parte dei blocchi di emissione e delle
ipertensioni muscolari.
Ora per chiarire praticamente l’essenza di questi principi veniamo al momento
cruciale, quello dell’immissione dell’aria nel nostro mantice, i polmoni.
Essi dovranno riempirsi pienamente ma in maniera confortevole, evitando le
esagerazioni; è dimostrato che la percentuale di aria che si controlla con il
minimo sforzo è all’incirca quella compresa tra il 90% e il 30% della massima
capacità respiratoria del singolo individuo, per cui bisognerebbe limitare alle
situazioni musicali (rare!) di emergenza il superamento di queste “zone limite”.
L’inspirazione deve avvenire attraverso la bocca, deve essere più silenziosa
possibile, aiuterà in questo, durante l’inalazione, la formazione della vocale “o”.
Da evitare nel modo più assoluto ogni rumore all’interno della bocca, soprattutto
con la gola, dal momento che ciò significherebbe tensione e costrizione.
Addome e torace, in conseguenza dell’immissione dell’aria nei polmoni, si
espandono gradualmente, senza irrigidirsi.
Alcuni didatti teorizzano la cosiddetta respirazione diaframmatica o
addominale, che consisterebbe nel riempire d’aria solo la parte sottostante dei
polmoni e nel controllare l’emissione della stessa con i muscoli addominali.
Questa tecnica respiratoria, analizzata, per mezzo di un fluoroscopio, non ha
mostrato differenze sostanziali rispetto alla pratica sopra citata se non nel fatto
che la quantità di aria immessa nei polmoni è, nel caso della respirazione solo
addominale inferiore di circa il 30%, mentre il diaframma svolge identico lavoro,
essendo infatti un muscolo inspiratorio che durante l’emissione di aria
normalmente si rilassa.
Ne consegue che è impossibile prendere un respiro pieno senza espandere i
polmoni anche nella parte alta del torace.
E’ comunque vero che alcuni strumentisti gonfiano il petto ed alzano le spalle
senza con questo immagazzinare molta aria. Di fatto è possibile muovere il
proprio corpo per simulare una presa di aria che non avviene nella realtà,
purtroppo i polmoni non hanno sensori che diano la esatta percezione di ciò, ma
per questo esiste un sensore infallibile, le nostre labbra.
Esse infatti dovranno essere prese come punto di riferimento per la sensazione
psicologica di “vento” che dovremo ricreare in opposizione alla errata tendenza
alla pressione statica.
Completata l’immissione corretta di aria buona parte del lavoro riguardante la
respirazione è compiuto, visto che l’emissione ha a che fare con un’azione
semplicissima il soffiare attraverso le labbra vibranti.
Per quanto questa affermazione possa suonare semplicistica è proprio
concentrandosi sul fatto che le labbra funzionano semplicemente come corde
vocali e lo strumento come un’amplificatore, che si comprende l’essenza della
produzione del suono con ogni strumento della famiglia degli ottoni.
Trombe, Corni, Tromboni e Tuba, infatti sono i soli strumenti dell’orchestra che
presuppongono che a produrre la vibrazione sia il corpo dell’esecutore, più
specificamente le labbra dello stesso, e non qualche oggetto esterno (ancia,
corda, pelle, lamina o altro), e questa caratteristica li accomuna direttamente alla
voce umana.
Il processo psicologico della produzione del suono negli ottoni è quindi lo stesso
del canto, è la procedura tecnica che differisce su alcuni punti.
L’emissione dell’aria dovrebbe avvenire con facilità, in modo inconscio, così da
concentrare la propria attenzione sul fenomeno della vibrazione, che avviene
riproducendo un suono che si deve avere in mente, sia in altezza che, ad un
livello più evoluto, di qualità tonale.
Ho voluto accomunare in uno stesso capitolo respirazione ed imboccatura in
quanto a mio modo di vedere questi due fattori sono in relazione inscindibile
l’uno dall’altro nella produzione del suono di tutti gli ottoni.
Con il termine imboccatura si vuole definire l’assetto dell’insieme labbra-
muscoli facciali che viene messo in vibrazione dalla colonna d’aria.
Per potere vibrare l’imboccatura deve essere costituita da muscoli che,
propriamente messi in trazione, raggiungono l’elasticità necessaria a produrre le
frequenze (gli hertz) che formano i suoni.
L’imboccatura dovrebbe essere naturale, conservare cioè qualcosa di istintivo su
cui costruire la propria abilità.
Regole generali esistono, ma esse vanno sempre prese come indicazioni di
massima ed applicate senza eccessiva rigidità. visto che esse sono state spesso
smentite dai fatti.
Il piazzamento del bocchino, per esempio, dovrebbe essere al centro delle
labbra, ma vi sono eccellenti cornisti che, forse a causa di malformazioni dentali
o labiali, tendono a suonare fuori dal centro esatto, nulla di male se ciò non causa
loro problemi tecnici.
Leggermente più delicata è la questione di quanto, sopra o sotto, il bocchino
debba essere appoggiato alle labbra. La posizione che nella maggiore parte dei
casi ha dato buoni risultati è quella che prevede il bocchino 2/3 sul labbro
superiore ed 1/3 u quello inferiore.
Anch’essa non va presa come valore assoluto, variazioni anche notevoli a queste
percentuali, ve ne sono, ma l’ampiezza di registro del corno, unita alla enorme
gamma dinamica, portano a quasi sempre questo assetto.
Le labbra devono essere messe in trazione evitando di aprirle troppo verso
l’esterno, come nell’azione del sorridere, visto che così facendo si priverebbe il
centro dell’imboccatura della necessaria consistenza muscolare, rendendo il
suono troppo chiaro ed inconsistente e rischiando, in casi estremi, di
danneggiare i tessuti.
Da evitare anche il difetto opposto, ovvero l’accentrarsi troppo, come nel
fischiare.
Per quanto questo difetto sia molto più raro del precedente ed i suoi effetti non
siano così dannosi per i tessuti., incorrervi porterebbe comunque a grossi
problemi nel controllo del suono, specie nelle dinamiche di piano e pianissimo, e
ad una articolazione molto imprecisa.
Un consiglio generale per trovare l’assetto migliore è quello di lavorare con il
solo bocchino creando una buona vibrazione, morbida e intonata.
Normalmente quando il suono risulta puro e si ha un’estensione di almeno
un’ottava e mezzo nel bocchino, si è trovata quella che è la posizione più
naturale su cui costruire la propria imboccatura.
L’eseguire facili melodie con il solo bocchino dovrebbe essereuno degli obiettivi
da conseguire già nei primi mesi di studio del Corno e lo studente andrebbe, a
mio parere, incoraggiato a sviluppare questa abilità.
Un altro fattore causa di diatribe tra le varie scuole è quello inerente la quantità
di pressione che il bocchino dovrebbe esercitare sull’imboccatura.
E’ mia opinione che una moderata pressione su di una imboccatura
muscolarmente sviluppata non sia dannosa e che anzi sia deleterio tentare di
eliminarla completamente. Coloro che hanno tentato di percorrere la strada
della non-pressione hanno spesso sviluppato tensioni muscolari eccessive e,
paradossalmente, sono incorsi in ciò che tentavano di evitare, la stanchezza
precoce e la mancanza degli estremi nei registri. Il suono, inoltre, tende ad
essere “vuoto” ed a mancare di grande sonorità. E’ bene ricordare che io credo in
una moderata pressione e che una spinta eccessiva può portare guai anche
molto seri all’imboccatura, ma che una buona postura, spalle rilassate e
soprattutto bicipite sinistro morbido, dovrebbero escludere questa eventualità.
In conclusione è bene ricordare che una volta reso automatico un processo
respiratorio ampio e rilassato non ci sono più ragioni di preoccuparsi di esso,
l’aria si dovrebbe usare pensando al vento, senza tentare di risparmiarla, con
flusso morbido e senza eccessiva compressione.
Acquisita una imboccatura funzionale sarebbe consigliabile dimenticarsene e
lavorare sul vero obiettivo finale, il suono.
Il pensare troppo alle procedure muscolari è un’atteggiamento deleterio che
porta spesso a blocchi difficili da rimuovere; il suono è lo stimolo, l’assetto
muscolare la reazione, assolutamente non viceversa.
L’imboccatura infatti reagisce a uno stimolo nervoso che molto ha a che fare con
il canto, e dal canto si dovrebbe sempre partire quando si vogliono motivare i
processi di emissione negli ottoni.
Il pensare a pronunciare vocali può aiutare molto mentre il pensare all’assetto
muscolare può paralizzare anche il cornista più esperto.
Lo strumentista che indulge troppo all’analisi tecnica perde spesso di
spontaneità e sacrifica molto del piacere che la musica può dare

9) DITEGGIATURA
L’uso del corno doppio in Fa/Sib dà spesso al cornista la facoltà di scegliere tra
la cosiddetta “posizione naturale” e una o più “posizioni di ripiego”, laddove per
posizione si intende, nel gergo cornistico, il più corretto “diteggiatura”
Di seguito è riportata una tabella comprendente le posizioni naturali nonché
quelle alternative quest’ultime indicate tra parentesi. Esse vengono divise tra
quelle in Fa e quelle in Sib.
In alcuni corni si noterà che una o più note suonano meglio usando posizioni
alternative ma, presupponendo un corretto posizionamento delle pompe di
intonazione, personalmente consiglio allo studente che inizia, di imparare prima
le posizioni naturali e di ricorrere a quelle alternative solo in casi particolari e
preferibilmente, dietro consiglio di un insegnante.
E’ bene ricordare che per alcune note la scelta della diteggiatura varia da uno
strumentista all’altro e ciò è particolarmente riferito alla opzione tra la sezione
in Fa e quella in Sib del corno.
Alcuni cornisti tendono a non fare quasi uso del corno in Fa, limitandolo alle
note senza posizioni alternative e poche altre.
La tecnica costruttiva dei corni moderni ha reso il passaggio con il pollice tra il
corno in Fa e quello in Sib, praticamente uguale al movimento delle altre dita,
per cui non vedo motivi per i quali non si debba avere, al giorno d’oggi una
tecnica che comprenda equivalente uso del pollice.
Riguardo a quale sezione, Fa o Sib, dello strumento usare in ogni specifico
registro, si dovrebbero sempre ricordare le caratteristiche tonali del corno in Fa,
dal momento che è dal Waldhorn che esso ha origine.
Gran parte della musica classica è stata concepita originariamente per questo
tipo di strumento, e ritengo che il cornista del giorno d’oggi, a prescindere dalla
scelta operata, debba comunque farvi riferimento.
Con un uso intelligente dell’insieme imboccatura-aria-mano destra è possibile
ricreare le sonorità care ai compositori classici anche con il moderno corno in
Sib e, addirittura, con il corno triplo in Fa/Sib/Fa alto.
Seguono ora le diteggiature che più di frequente scelgo di adottare nello
svolgimento della professione, con la premessa che esse hanno solo valore
indicativo e che, come detto, potrebbero non essere ottimali su ogni tipo di
strumento. Sono inoltre indicate le più frequenti alternative.

10) ARTICOLAZIONE
Con il termine “articolazione” si intende il passaggio da un suono ad un altro,
passaggio questo che può avvenire “legato”, “staccato”, e con tutti i vari gradi di
sfumatura che vi sono tra i due estremi di queste tecniche.
Personalmente interpreto il termine articolazione anche come l’abilità da parte
di uno strumentista di pronunciare i suoni all’interno di una frase.
Uso il termine pronunciare con l’intenzione di porre l’accento sulla analogia che,
a mio parere, esiste tra il cantare ed il suonare.
Penso che lo strumentista sia paragonabile ad un narratore che espone i propri
concetti per mezzo dei suoni, e l’articolazione è la pronuncia necessaria a
renderli comprensibili.
Prima di parlare approfonditamente delle varie articolazioni è necessario fare
notare l’importanza di due fasi cruciali del suono stesso, l’attacco e la chiusura.
Soltanto curando con attenzione e disciplina questi due importantissimi
momenti della produzione del suono si potrà sviluppare una articolazione pulita
e naturale.
L’attacco, ovvero l’inizio di un suono è momento molto delicato visto che esso
implica grande coordinazione di movimenti, è comunque di primaria importanza
che lo strumentista abbia in mente l’altezza della nota da produrre.
La lingua svolge una parte importante nella definizione dell’attacco del suono,
ma in realtà non è, contrariamente a ciò che si può credere, così essenziale
all’avvio stesso della vibrazione. E’ infatti il movimento dell’aria che fa sì che le
labbra vibrino già dall’inizio.
La pronuncia morbida della sillaba “tu” definisce il momento esatto dell’attacco e
lo strumentista dovrà fare la massima attenzione a concentrarsi sul “dire” questa
sillaba piuttosto che sul movimento della lingua, organo che nulla ha a che fare
con la vibrazione, e che anzi può nuocere molto al regolare flusso d’aria,
specialmente al suo avvio.
Nei casi estremi, qualora si siano sviluppati blocchi nell’attacco a causa di
rigidità della lingua con conseguente compressione inter-orale, è consigliabile
dedicare qualche minuto del lavoro individuale quotidiano allo studio di suoni
senza lingua, ovvero ai cosiddetti “attacchi” di fiato.
L’acquisizione di questa abilità è molto importante visto che il blocco dell’aria (v.
Manovra di Valsalva) è un errore nel quale prima o poi ogni cornista è incorso e
che l’attacco di fiato ottimizza il movimento dell’emissione rendendolo
consequenziale alla precedente immissione.
Altra fase di cruciale importanza dell’articolazione è la chiusura del suono.
E’ questa tecnica spesso trascurata o lasciata al caso, ma nella mia esperienza
didattica mi è capitato spesso di incontrare strumentisti che, a causa di questo
errore, sono incorsi in problemi di non facile soluzione, come quello
dell’accumulo di pressione orale tra le note che crea disturbo in modo
particolare allo staccato.
Anche in questo caso si può affermare che la più frequente causa di questi
blocchi è la lingua che ostruisce parzialmente o totalmente il libero flusso
dell’aria dal momento che lo strumentista la usa come “valvola” di chiusura del
suono.
Una semplice verifica dell’esistenza di questo problema consiste nel chiudersi un
orecchio suonando, per sentire se all’interno della bocca si creano rumori con la
gola o con il naso, sempre comunque dovuti all’eccesso di pressione. La
semplice eliminazione di questi rumori è già di per sé un ottimo sistema per
“decomprimere” l’articolazione dando libertà all’imboccatura di vibrare più
liberamente.
Una delle caratteristiche più affascinanti del Corno è senza dubbio il legato, cioè
il passaggio da una nota ad un’altra di diversa altezza senza interruzione di
suono. Un buon legato è a mio parere un’arte in sé stessa ed è il punto di
partenza per lo studio di ogni articolazione cornistica.
La letteratura cornistica, ed in modo particolare quella del periodo romantico e
tardo romantico, abbonda di bellissime frasi legate affidate al Corno e lo
studente deve avere a questo proposito un riguardo particolare nel
programmare la propria preparazione tecnica e musicale.
Dal punto di vista tecnico si deve tenere conto del fatto che le labbra
dell’esecutore devono assolutamente continuare a vibrare tra le due note,
altrimenti la qualità del legato ne viene irrimediabilmente compromessa. E’ la
colonna d’aria a fornire il supporto necessario a fare sì che questa vibrazione
non venga meno nella cruciale fase del passaggio tra i suoni, mentre le labbra si
tendono in modo graduale ed “accompagnano” la legatura.
Anche in questo caso non si dovrebbe riporre troppa attenzione alla procedura
muscolare, mentre è fondamentale una attenzione critica al risultato finale.
Uno studio quotidiano del legato sui suoni della serie armonica, senza cioè
l’ausilio dei cilindri, è la migliore base per apprendere in modo approfondito
questa tecnica. Di grande aiuto anche lo studio lento dei trilli di labbro (di cui
parleremo più avanti) e la verifica con il solo bocchino della qualità del
“portamento”.
Ovviamente per le legature che implicano un movimento dei cilindri si deve
porre la massima attenzione alla sincronia del movimento di labbra e dita, ma è
mia ferma convinzione che l’esecutore padrone delle legature fra suoni armonici
non troverà grosse difficoltà in quest’ultima procedura.
Altro argomento riguardante l’articolazione è lo staccato, ovvero la tecnica della
separazione dei suoni.
Questa abilità è necessaria in tutte le gradazioni di durata delle note cioè dallo
staccatissimo al più morbido staccato/legato ed è fondamentale svilupparla alle
velocità estreme ricorrendo, nel caso sia necessario, alle sue varianti più veloci,
il doppio ed il triplo staccato.
Quanto detto in precedenza circa l’attacco e la chiusura del singolo suono è
quanto mai vero per la serie di suoni che si devono eseguire staccati; molta
attenzione riposta su ciò che si deve pronunciare e sulla qualità del suono, e non
eccessiva preoccupazione sulla procedura muscolare, in particolare per ciò che
concerne posizione e rigidità della lingua, la cui libertà e leggerezza di
movimento sono il presupposto alla buona riuscita di questa tecnica.
Spesso infatti capita di notare un’eccessiva tendenza ad accorciare ed indurire i
suoni staccati, specialmente quando vi è l’indicazione staccato oppure il punto
sopra le note, indicazioni queste che dovrebbero sempre essere prese con buon
senso e ragionevolezza musicale e stilistica, per non incorrere in esagerazioni di
dubbio gusto.
Nella fase di apprendimento della tecnica dello staccato personalmente consiglio
lo studio quotidiano delle note ribattute, con l’avvertenza che lo studente si
concentri soprattutto su pulizia, uguaglianza e regolarità ritmica dei suoni.

11) ESTENSIONE
Il Corno è, tra gli strumenti a fiato, quello che copre in assoluto la maggiore
estensione, ed il cornista moderno deve, contrariamente a ciò che avveniva fino
a pochi decenni orsono, avere buona padronanza anche dei registri più estremi.
Le partiture orchestrali richiedono una escursione di oltre tre ottave ed
attualmente non è più una rarità ascoltare un cornista che ne suoni agevolmente
più di quattro.
In passato si riteneva che lo specializzarsi in un particolare registro fosse la
soluzione tecnica ideale a risolvere il problema dell’estensione, tanto da
spingere alcuni didatti ad avviare gli studenti ad un iter formativo specifico
finalizzato a farne “Corni alti” o Corni bassi”.
Sebbene sia indubbio che ognuno di noi abbia più facilità in un registro piuttosto
che in un altro io sono convinto che le odierne tecniche di emissione si siano
talmente evolute e raffinate da consentire una buona flessibilità tra i registri alla
maggior parte dei cornisti senza contare poi l’enorme varietà di modelli di
bocchini e corni oggi sul mercato, varietà che consente di trovare sempre la
combinazione adatta alle caratteristiche fisiche dello strumentista.
Il punto di partenza per lo studio dell’estensione è il REGISTRO CENTRALE, la
cui qualità tonale è da prendersi come obiettivo primario, unitamente ad una
comodità di emissione che renda facile spostarsi GRADUALMENTE alle
estremità.
Una imboccatura troppo contratta e un flusso di aria compresso possono
passare inosservati nel registro centrale, ma causare difficoltà sia nell’acuto che
nel grave pregiudicando spesso lo sviluppo tecnico dello studente.
Ho voluto sottolineare il principio di gradualità in quanto sono convinto che
creare una buona vibrazione nel registro centrale, per poi spostarsi a poco a
poco alle frequenze più acute e più gravi, sia la strada più breve per riuscire
nello sviluppo dell’estensione; in fondo note acute e note basse non sono altro
che vibrazioni veloci e lente ed è sempre al fenomeno della vibrazione dell’aria
che si dovrebbe fare riferimento.
Sia il registro acuto che quello grave necessitano di un serio studio quotidiano
ed è buona regola inserire nel proprio piano di lavoro giornaliero esercizi di
flessibilità, arpeggi e scale (ottime in cromatiche), che coprano l’intera gamma
dei suoni del corno, cercando di passare da un registro all’altro con la maggiore
naturalezza possibile.
E’ proprio in questo passaggio che ci si rende conto del movimento e del lavoro
che i muscoli facciali svolgono e, nonostante qualcuno sostenga che
l’imboccatura debba rimanere immobile, io penso invece che senza alcun
movimento non vi sia cambio di tensione cioè di altezza di vibrazione.
Ovviamente si devono evitare le contorsioni eccessive, ma anche in questo caso
vale la regola che è sempre corretto ciò che risulta giusto all’ascolto.

12) LA GAMMA DINAMICA


L’impiego del corno che i grandi compositori hanno fatto nei secoli scorsi lo ha
portato a svolgere un ruolo particolare all’interno dell’orchestra. La molteplice
natura tonale dello strumento lo rende infatti adatto ad amalgamare il suono dei
legni, con i quali condivide le dinamiche più moderate, oppure ad esaltare le
eccitanti sonorità degli ottoni.
Nel 900 poi, con il definitivo imporsi del corno a macchina, il divario tecnico che
lo separava da flauti, oboi, clarinetti e fagotti è stato in gran parte colmato, tanto
da spingere i compositori a scrivere parti di difficoltà quasi analoga a quella dei
cosiddetti “strumentini”.
Tutto ciò richiede oggi cornisti in grado di suonare senza grosse difficoltà le
dinamiche estreme, che non sono più solamente “p” e il “f”, ma che possono
anche arrivare a “pppp” e “ffff”, oltre a controllare agevolmente tutti i gradi
intermedi di sfumatura.
Senza alcun dubbio è più difficile ottenere il controllo del pianissimo, dal
momento che il supporto della colonna di aria è molto inferiore ed i muscoli che
formano l’imboccatura potrebbero avere la tendenza ad irrigidirsi, ma un flusso
costante e concentrato dovrebbe scongiurare questo effetto dannoso.
Per il pianissimo vale quanto raccomandato per il registro acuto cioè lo studio
quotidiano, dal momento che in professione il segno “pp” è molto più richiesto
del “ff”, che è comunque altrettanto indispensabile.
Va evidenziato a questo punto che l’abilità di suonare un buon pianissimo è
probabilmente la dote più rara tra i cornisti, specialmente in considerazione di
quanto invece essa è essenziale.
In particolare è importantissimo sviluppare la capacità di attaccare ogni nota
“pp”, visto che questa è una situazione frequentissima in professione e tutti
coloro che hanno avuto a che fare con un direttore d’orchestra esigente avranno
capito certamente a cosa alludo.
Tutto sommato più semplice da ottenere è il fortissimo, dal momento che esso
richiede rilassamento dell’imboccatura e grande quantità di flusso d’aria, cioè
l’opposto della situazione tecnica precedente. Anche in questo caso è
raccomandata che questa dinamica venga sviluppata mediante un lavoro
giornaliero anche di pochi minuti, ponendo cura estrema sul timbro e
l’intonazione.
Grande attenzione va poi posta sull’immissione di aria nei polmoni che, visto il
grande flusso necessario a supportare il suono, debbono essere riempiti al
massimo della loro capacità.
In conclusione è bene ricordare che una volta sviluppata la abilità di controllare
tutta la gamma dinamica, comprese le sonorità più estreme, si dovranno usare
buon senso e gusto musicale per un uso appropriato di questi “colori”, senza mai
eccedere in esagerazioni e forzature.
D’altro canto, ci si dovrebbe guardare dal rischio di suonare sempre “mf”, dal
momento che, se è vero che così facendo si rischia molto meno di fare errori, è
altrettanto vero che questo modo “sicuro” di suonare risulta comunque sempre
piuttosto anonimo e monotono all’ascolto, e sarebbe un vero peccato rinunciare
a quella che è una delle caratteristiche più emozionanti del suono del corno.

13) I Suoni chiusi e la sordina


Nessun altro strumento dell’orchestra si presenta come il Corno agli effetti di
Eco.
Questa prerogativa di evocare suoni in lontananza proviene dalla origine di
caccia dello strumento e viene usata a piene mani dai compositori nel teatro del
7/800, facendo suonare uno o più corni dietro le scene.
Con l’avvento del Corno a macchina i compositori si rendono conto che la
rinuncia ai suoni chiusi del corno a mano non è necessaria e che, viceversa i
suoni metallici in precedenza spesso addirittura evitati, sono un patrimonio
imprescindibile della gamma coloristica del Corno. Questi suoni prendono da ora
in italiano il nome di “Suoni d’eco” o “chiusi”, in tedesco Gestopft, in francese
Bouchè, e vengono indicati con il segno + sopra alla nota od alla serie di note.
Purtroppo molta confusione si è creata tra i compositori nell’uso dei termini
sopracitati e le scuole del 900 non sembrano concordare esattamente nell’uso
degli stessi.
In Francia, per esempio al termine “Bouchè” si aggiunge spesso l’aggettivo
“Cuivrè” che significa metallico, nasale e che in teoria funziona con le dinamiche
più sonore, ma occasionalmente si trova nelle partiture francesi la dicitura
“Bouchè Cuivré” con la dinamica PP (pianissimo), che può davvero disorientare
anche il cornista più esperto.
Altra possibilità coloristica, spesso purtroppo confusa con la precedente, è
quella legata all’uso della sordina o sordino come già Beethoven la definisce.
Ideata verso il 1890 a Parigi da Le Brun e Meifred e realizzato prevalentemente
in legno (ma ora anche in plastica, cartone, alluminio ed altri materiali).
La sordina consiste in un oggetto dalla forma varia (cono, pera, bottiglia ecc.)
che, inserito nella campana totalmente o parzialmente, diminuisce il volume del
suono, attenuandone anche le frequenze più acute e rendendolo così più
morbido e dolce.
Ovviamente ogni modello di sordina dà un diverso effetto tonale, ed ogni buon
cornista ne possiede più di una. L’uso della sordina viene indicata nelle partiture
con il termine “con sordina” in italiano, “Gedämpft” o “Mit Dämpfer” in tedesco e
“Muted” in inglese.
Particolare è la sordina traspositrice di metallo che viene molto spesso utilizzata
per eseguire passi indicati “Bouchè” che, a causa del registro troppo basso,
risultano di difficile esecuzione con la normale procedura di chiusura della
campana con la mano destra; va infatti fatto notare che questa tecnica è richiesta
normalmente solo nel registro centrale ed in quello acuto, ma che alcuni
compositori ne prescrivono l’utilizzo anche nella tessitura grave.

14) I TRILLI
I metodi del passato, riguardanti la tecnica cornistica accennavano solo
sommariamente ai trilli e, spesso, descrivevano questa particolare abilità come
un effetto riservato a pochissimi dotati strumentisti, ciò probabilmente in
quanto il trillo più frequente, quello di tono, con il corno deve essere sempre
effettuato senza l’ausilio dei cilindri e viene perciò definito “Trillo di Labbro”.
E’ questo, indubbiamente, una delle forme più evolute di flessibilità e, se è vero
che alcuni strumentisti hanno una naturale facilità nei trilli, è altrettanto vero
che con uno studio costante e graduale ogni cornista può ottenere buoni
risultati.
Principio cardine a motivare lo studente deve essere il semplice fatto che un
trillo di labbro non è altro che una legatura tra due note e che la procedura
tecnica è la medesima che si adotta per il legato, già discusso nelle pagine
precedenti.
Più che per il mero piacere dato ai cornisti dal trillare velocemente, io
raccomando lo studio quotidiano di questa tecnica in quanto essa contribuisce in
maniera enorme allo sviluppo di un’imboccatura agile e forte, oltre ad aiutare
sensibilmente il conseguimento di un registro acuto spontaneo.
L’approccio iniziale allo studio dei trilli di labbro dovrà essere lento e,
soprattutto ritmico ponendo la massima attenzione sull’uguaglianza dinamica e
tonale dei suoni.
Mano a mano che si raggiunge un buon controllo si deve aumentare la velocità
metronomica e, se si è muniti di pazienza e perseveranza (possono essere
necessari anche alcuni mesi!), verrà il momento in cui anche soltanto per
qualche istante, le labbra trilleranno con rapidità.
A questo punto è necessario esortare lo studente a resistere alla tentazione di
ricorrere a scorciatoie per mantenere o incrementare questa velocità, quali
movimenti della mandibola, della lingua, oppure ad agitare lo strumento (ciò che
nel jazz è definito lo “shake”), in quanto, nonostante queste pratiche diano a
volte l’illusione di funzionare, esse non sono durature e possono significare la
rinuncia allo sviluppo di questa particolare forma di flessibilità che non può
essere sostituita da nessun’altro tipo di studio.
Il suggerimento più importante che voglio dare a coloro che si accingono a
studiare i trilli per la prima volta è quello di cercare di “smussare” lo spigolo che
sembra esserci tra due note distanti un tono, cercare cioè di fare vibrare
l’imboccatura a cavallo del semitono che vi è tra le note. Tra un Fa ed un Sol, per
esempio, si dovrebbe cercare di produrre il Fa intermedio che per ovvie ragioni
di fisica acustica non può essere ottenuto perfettamente, ma il tentativo di
creare questa linea di confine immaginaria che separa i due suoni, stabilirà una
posizione dalla quale è molto più agevole e rapido il movimento, visto che la
distanza da percorrere trillando è in questo punto ridotta al minimo.
Segue ora un esercizio che è da intendersi come punto di partenza allo studio
quotidiano dei trilli di labbro. Esso deve essere eseguito con il metronomo, con
assoluto rispetto delle figurazioni ritmiche, osservando una dinamica di “piano”
ed aumentando poco a poco il valore metronomico.
Mano a mano che lo studente raggiunge il controllo del trillo può aumentare la
complessità dello schema ritmico inserendo figurazioni più elaborate come
quintine, settimine e così via.
Infine si deve dare al trillo il senso dell’accelerando fino alla massima velocità,
senza tralasciare la indispensabile capacità di iniziarlo già rapido per rallentarlo
poi gradualmente fino alla nota di partenza. Viene di seguito riportata una
tabella con le diteggiature più pratiche per lo studio e l’esecuzione dei trilli di
labbro con il corno doppio, con l’avvertenza che qualcuna fra esse potrebbe
suonare meglio su uno strumento piuttosto che su un altro, ecco perché quando
ciò è possibile, se ne indicano una più alternative. Non ho volutamente
menzionato fino a questo punto il trillo di semitono, dal momento che esso,
eseguito con l’ausilio dei cilindri, è di esecuzione molto più semplice, anche se va
detto che spesso è necessario avvalersi di diteggiature di ripiego, più
vantaggiose di quelle normalmente utilizzate.

15) IL TRASPORTO
Prima dell’avvento del moderno corno a macchina i compositori, consci delle
possibilità tonali della serie armonica del corno naturale, usavano scrivere parti
cornistiche nella tonalità di impianto di ogni specifica composizione indicando
così di volta in volta allo strumentista il tipo di ritorta da utilizzare.
In altri termini si può affermare che le parti risultavano sempre scritte in Do
maggiore, ma che la nota scritta “Do” era da intendersi Mi b se la dicitura era
“Corno in Mib”, Sol per “Corno in Sol” e così via.
Con l’innovazione dei cilindri il corno in Fa si è imposto agli altri per le sue
qualità timbriche, l’ampiezza e la centralità del registro e ciò ha portato
all’attuale scrittura in Fa corrispondente alla chiave di mezzo soprano, con il
definitivo abbandono della antica notazione.
Ciò nonostante tutte le parti del sette/ottocento, nonché alcune di quelle scritte
all’inizio del ventesimo secolo, sono ancora indicate come in origine facendo
pertanto del corno uno strumento che viene definito traspositore.
Per quanto la procedura del trasporto possa sembrare complicata e macchinosa,
nella realtà essa è una volta appresa piuttosto semplice, tanto da non essere mai
considerata un problema dai cornisti esperti. Viceversa lo studente viene spesso
confuso dal trasporto, in particolare nella prima fase di apprendimento di questa
tecnica, ecco la ragione per cui è a questo punto importante un approccio ben
guidato e razionale.
Di fondamentale importanza poi sono ancora una volta le scale, la cui
conoscenza profonda semplifica di molto il processo di individuazione degli
intervalli.
Personalmente con gli studenti ho riscontrato buoni esiti nell’incoraggiare
inizialmente lo studio di melodie molto semplici, meglio se già conosciute e prive
di alterazioni, prima nelle tonalità più vicine e facili, per muovere poi
gradualmente a quelle più complesse, prendendo spesso spunto dalla chiave di
basso, che, di norma è da essi già conosciuta.
Anche per l’apprendimento del trasporto vale quanto raccomandato nei
precedenti capitoli tecnici, pazienza, gradualità e studio costante sono il sistema
migliore, ed anche in questo caso è bene evitare le scorciatoie visto che un
cornista che non padroneggia il setticlavio, per quanto bravo, troverebbe un
insormontabile ostacolo ad un soddisfacente svolgimento della professione.

- Corno in Mi (in Tedesco ed Inglese in E)


Lettura un semitono sotto a quanto scritto; cinque diesis in chiave rispetto al
Corno in Fa. E’ molto utilizzato.

- Corno in Mib (in Tedesco ed Inglese in Eflat)


Lettura un semitono sotto a quanto scritto; due bemolli in chiave rispetto al
Corno in Fa. E’ molto utilizzato.

- Corno in Re (in tedesco ed Inglese in D)


Lettura un tono e mezzo sotto a quanto scritto; tre diesis rispetto al Corno in Fa.
E’ molto utilizzato, specie nel 700.

- Corno in Reb (in Tedesco Des, in Inglese D flat)


Lettura due toni sotto a quanto scritto; quattro bemolli in chiave rispetto al
Corno in Fa. E’ raramente utilizzato.

- Corno in Do (in Tedesco e Inglese in C in Francese in Ut)


Lettura una quarta sotto a quanto scritto; un diesis in chiave rispetto al Corno in
Fa. E’ molto utilizzato. In rare partiture del 700 viene richiesto “Do alto”, il che
significa che la lettura deve essere una quinta sopra a quanto scritto.
- Corno in Si (in Tedesco in H, in inglese B)
Lettura una quinta sotto a quanto scritto; sei diesis rispetto al Corno in Fa. E’
molto raro.

- Corno in Sib (in tedesco in B in Inglese Bflat)


Lettura una quinta sotto a quanto scritto; un bemolle rispetto al corno in Fa. Se è
richiesto “Sib Alto” la lettura deve essere una quarta sopra a quanto scritto, ma
bisogna chiarire che spesso nella musica del 700 si intendeva comunque Sib alto
anche se non espressamente indicato. E’ abbastanza utilizzato.

- Corno in La (in Tedesco ed Inglese A)


Lettura una terza sopra a quanto scritto; quattro diesis rispetto al corno in Fa. E’
abbastanza utilizzato. Se è richiesto “La basso” la lettura deve essere una sesta
sotto a quanto scritto, ma questo trasporto è molto raro.

- Corno Lab (in Tedesco As, in Inglese Aflat)


Lettura una terza sopra a quanto scritto; tre bemolli rispetto al corno in Fa. E’
piuttosto raro. Rarissimo è “Lab basso” che va letto una sesta sotto a quanto
scritto.

- Corno in Sol (In tedesco ed Inglese G)


Lettura un tono sopra a quanto scritto; due diesis rispetto al Corno in Fa. E’
abbastanza utilizzato.

- Corno in Fa #( in Tedesco Fis, in Inglese Fsharp)


Lettura mezzo tono sopra; sette diesis rispetto al Corno in Fa. E’ rarissimo ed
altrimenti indicato come corno in Sol b.

E’ opportuno chiarire che, come si sarà notato, ho voluto indicare le alterazioni


rispetto al Corno in Fa e che proprio per questo si deve sempre considerare il
bemolle insito nella tonalità di Fa maggiore.
Per esempio il Corno in Mib avrà due bemolli che, sommati a quello sopracitato,
risultano essere i tre che sono contenuti nella tonalità di Mi bemolle maggiore.
Per lo stesso motivo tutti i trasporti la cui lettura richiede l’uso dei diesis ne
comprendono sempre uno in più, necessario ad annullare il bemolle della
tonalità di Fa maggiore.
La tonalità di Re maggiore per esempio, contiene due diesis, ma nel trasporto in
Re se ne dovrà considerare uno in più per trasformare in Si bequadro il Sib della
tonalità di Fa.

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