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Il Corno nell’antichità
Sarebbe difficile per il frequentatore delle sale da concerti dei giorni nostri
ravvisare una qualsiasi somiglianza tra il corno che sono abituati ad ascoltare ed
il suo antico progenitore, le origini del quale si perdono nella preistoria.
Circa la nascita dello strumento è estremamente difficile collocarla
cronologicamente, anche se la forma stessa del corno porta ad immaginare che i
materiali forniti all’uomo dalla natura ne abbiano, in un certo qual modo, aiutato
la nascita.
Conchiglie, corna e ossa di animali, rami di albero svuotati hanno probabilmente
ispirato l’uomo a creare strumenti che lo aiutassero in tutte quelle attività che
necessitavano di segnalazioni acustiche. La caccia, la pesca, la pastorizia, la
navigazione, la guerra e così via.
Ciò che è sicura è l’origine di attrezzo quotidiano che ne ha favorito la diffusione
e, in seguito, lo sviluppo.
I primi esempi a noi pervenuti di conchiglia/corno risalgono a circa duemila
anni A.C., durante l’impero Assiro ed erano probabilmente destinati ad
accompagnare le cerimonie religiose.
Che il corno derivasse prima dalle conchiglie piuttosto che da altri materiali è
ipotesi suffragata anche da ritrovamenti greci nei quali si ammirano tritoni ed
altri personaggi mitologici marini intenti a suonarle soffiandovi dentro.
I primi esemplari di cui si è trovata traccia di corno di animale terrestre sono,
con ogni probabilità quelli di antilope risalenti al settimo secolo A.C. in Etiopia,
costruiti dai pastori delle tribù locali, mentre strumenti similari, ma più recenti,
sono stati rinvenuti in Tibet, India, Brasile, Messico.
La Bibbia peraltro cita più volte lo “Shofar”, un corno di montone dal suono
talmente potente da fare crollare le mura della città di Gerico, simile a quello che
viene ancora usato nelle solenni cerimonie religiose ebraiche.
Molto interessanti sono i corni rinvenuti negli scavi etruschi in Italia che fanno
supporre che questo popolo, giunto nel nostro paese dall’Asia Minore, abbia
recato con sé la tradizione greca dell’uso dello strumento modificandone però la
costruzione con l’utilizzo della terracotta. Questa innovazione, con le possibilità
di modellare le forme che essa consente, è da considerarsi probabilmente l’inizio
dell’evoluzione che porterà in seguito all’uso del metallo, e la dice lunga
sull’importanza di questo popolo per molti versi ancora misterioso.
La forma semicircolare del corno etrusco servì, in epoca successiva, agli artigiani
dell’antica Roma come ispirazione per la costruzione della Buccina,
l’importantissimo strumento che guidava le legioni romane durante le campagne
di conquista.
Costruita in bronzo la Buccina era lunga dai due ai tre metri e, curvata dietro le
spalle dell’esecutore, permetteva a quest’ultimo di marciare. Essa doveva avere
discrete possibilità tonali vista la lunghezza e la cura con cui veniva costruita.
Purtroppo con il tramonto dell’impero romano questa abilità costruttiva andò in
gran parte perduta e solo in epoche più vicine a noi essa fu recuperata.
Nel frattempo però altre popolazioni, in differenti aree geografiche, avevano
sviluppato la manualità necessaria a modellare i vari metalli creando svariate
forme e misure di strumenti che avevano nella conicità il comune denominatore.
I popoli orientali, cinesi, indiani e arabi in particolare, arrivarono ad un tale un
grado di perfezione che ancora oggi stupisce e gli esemplari conservati nei musei
costituiscono documenti a volte stupefacenti se consideriamo le rudimentali
tecnologie impiegate.
Oltre ai già citati Schofar e Buccine vanno altresì ricordati il Cornu, il Lituus e la
Tuba dei Romani, il Lur delle popolazioni scandinave,la carnyx dei Celti, i
Ramsinga indiani, l’epico Olifante di Rolando, nipote di Carlo Magno, conservato
oggi nella Cattedrale di S.Guido a Praga, ed il Corno delle Alpi.
Si dice anche che S.Francesco d’Assisi usasse un corno per radunare attorno a sé
la gente a cui rivolgere le sue prediche, e anche il sommo Dante nell’Inferno
(XXXI,12) narra di avere sentito sonare un alto corno.
3) GLI ARMONICI
L’ottone, Le ritorte, il Corno a mano.
Con ogni probabilità alcuni dei popoli antichi erano a conoscenza degli armonici
naturali, ma sarà solo nella prima metà del 600 che a Parigi lo studioso Marin
Mersenne la ricostruirà in maniera esatta aprendo la strada a colui che per
primo cercherà di analizzarla e spiegarla acusticamente, il fisico e matematico
Joseph Saveur.
Nel proprio trattato “Principi di acustica e di musica” del 1701, Saveur chiarisce
il rapporto matematico esistente tra le varie frequenze armoniche che si
originano dal suono denominato “Fondamentale” numerandole nel loro esatto
ordine e regolamentandone così la serie esatta:
“Serie armonica, i segni AB indicano la tendenza rispettivamente a calare ed a
crescere dei suoni indicati.”
L’opera del Saveur verrà portata avanti da generazioni di studiosi tra i quali
ricordiamo Johann e Daniel Bernoulli, padre e figlio ed in seguito Helmholtz,
Hertz, Lottermoser e Righini.
A questo punto è bene ricordare che fino al 700 la differenza tra corni e trombe
non era poi molta visto che la lunghezza e la conicità non erano ancora criteri
costruttivi assoluti e che anzi le trombe a volte risultavano essere più lunghe di
alcuni corni.
La tromba bassa, per esempio, era lunga esattamente come un corno da caccia
ed il fatto che entrambi si suonassero con la campana in alto non contribuiva
certo a rimarcarne la diversità. Le musiche suonate poi erano del tutto simili
visto che ci si limitava alle fanfare ed alle cacce citate in precedenza.
Si delineava già la figura del suonatore di clarini che porterà innumerevoli
compositori di musica barocca a scrivere nel registro acutissimo della tromba ed
è paradossale pensare che probabilmente molte di queste musiche venivano
eseguite su strumenti dalle caratteristiche estetiche della famiglia dei corni.
L’esempio più eclatante è quello di Gottfried Reiche, famoso clarinista di Bach.
Un suo ritratto del 1723 lo rappresenta con uno strumento ritorto su sé stesso,
fatto questo che ha spinto alcuni studiosi ad ipotizzare che Reiche eseguisse il
celebre secondo concerto Brandeburghese, nonché tutte le altre acutissime
composizioni di Bach, con una sorta di corno da Postiglione.
E’ in Francia, alla corte reale di Luigi XIV che si comincia a differenziare la
famiglia dei corni che vengono da ora denominati “Trompe de chasse” ed è al
santo protettore della caccia S. Umberto, che si dedicano squilli, fanfare e Messe
di soli corni.
Da qui la tendenza a distinguere tra corni e trombe si diffonde in tutta Europa, in
particolare in Germania, Italia e soprattutto in Boemia.
E’ comunque sempre a Parigi che il corno fa il suo ingresso in orchestra, nel
balletto del compositore G.B. Lulli “La Principessa D’Elide” del 1664.
Alcuni storici non concordano con questa datazione sostenendo che già nel 1633
il compositore italiano Michelangelo Rossi aveva inserito una coppia di corni
nella sua “Erminia sul Giordano”, opera su testo di G. Rospigliosi (il futuro papa
Clemente IX), rappresentata a Roma e Venezia, ma vi sono perplessità sulla vera
natura degli strumenti prescritti dal Rossi che spingono ad attribuire al Lulli il
merito di questa innovazione.
La partitura autografa de “La Principessa D’Elide” reca la dicitura “Cors de
chasse” e l’uso dei corni ha relazione stretta con le scene di caccia che si
svolgono sul palco.
L’effetto deve essere stato coinvolgente se si considera che nel giro di pochi
decenni il corno diviene strumento insostituibile dell’orchestra da camera in uso
nel 700.
La tecnologia costruttiva si era nel frattempo evoluta dando la possibilità agli
artigiani del diciottesimo secolo di dimezzare lo spessore della lastra di ottone e
di modellare lo strumento fino
a dare allo stesso le forme più disparate. Il corpo si restringe verso il centro, il
diametro, la campana si allarga, e poco a poco gli esecutori si abituano a suonare
con il padiglione rivolto verso il basso.
A Vienna, attorno al 1700, i fratelli Leicham-Schneider rendono lo strumento
talmente compatto nelle forme da essere dimezzato nel peso e nelle misure
rispetto al corno in uso solo pochi anni prima.
Questa innovazione prende il nome di “Waldhorn”, (letteralmente corno della
foresta) strumento divenuto poi particolarmente caro ai compositori del
romanticismo tedesco, primo fra tutti J. Brahms che, più di centocinquanta anni
più tardi, comporrà per esso il magnifico “Waldhorn Trio” OP.40, per Violino,
Corno e Piano.
Con il diffondersi dei Waldhorn e dei suoi esecutori si manifesta l’esigenza di
suonare, con lo stesso strumento, in ogni tonalità e, verso la metà del 700 si
cominciarono ad utilizzare le “ritorte” o “ritorti” ovvero tubi di prolungamento
che, inseriti nella parte iniziale o centrale del corno ne abbassano la tonalità di
impianto e la relativa serie armonica.
Questo semplice accorgimento da la possibilità al cornista di cambiare ritorta e
tonalità in pochi secondi anche durante una stessa esecuzione ed il corno
diviene così uno strumento “modulante”.
E’ da attribuirsi probabilmente ad Anton Joseph Hampel (1705-71) famoso
“Waldhornist” e didatta di Dresda l’idea delle ritorte e sicuramente sua sarà la
scoperta, fra il 1750 ed il 1755) del corno “a mano” o “inventionshorn”, costruito
dietro sue indicazioni a Dresda da J. Werner, ed in seguito perfezionato ad
Hanau da J.H.Halthenoff che vi aggiungerà una pompa generale che ne
controllerà l’intonazione.
In realtà l’idea del corno a mano è semplicissima: con lo strumento ora girato
verso il basso diventa estremamente comodo e facile inserire la mano destra
nella campana, ammorbidendone il suono e, graduandone la chiusura, ottenendo
così la scala cromatica.
Ovviamente non tutti i suoni sono uguali, ma l’effetto, una volta che il cornista è
padrone di questa tecnica è assolutamente affascinante, ed è proprio l’alternarsi
dei chiaro-scuri che lo rende tale.
Nei paesi di lingua tedesca si distingue l’Inventionshorn, nel quale le ritorte si
inseriscono nella parte centrale dello strumento, dall’ Orchesterhorn , nel quale
esse sono parte della canna di imboccatura che è, in questo caso, mobile.
Fabbricante specializzatosi nella costruzione dell’Orchesterhorn fra il 1760 e il
1770 è il viennese Anton Kerner e questo spiega la particolare diffusione in
Austria di questo tipo di strumento.
Hampel è anche come detto un grande didatta ed a lui si deve quello che è a tutti
gli effetti il primo vero metodo per imparare a suonare il corno, completo di
parte teorica e pratica, la “Lection pro cornui”.
Fra gli allievi di Hampel si distingue assolutamente la figura di Johann Wenzel
Stich (1746-1803), leggendario virtuoso del proprio strumento, la cui fama si
diffonde in tutte le corti europee e diviene tale da spingere il giovane Beethoven
a comporre la sonata OP.17 che i due musicisti eseguono insieme a Vienna
nell’aprile del 1800.
La figura di Stich è senza dubbio una delle più affascinanti dell’intera storia dello
strumento.
Compiuti gli studi musicali a Praga e Dresda, il diciassettenne Stich viene
nominato musico di cappella del Conte Thun a Praga, ma dopo tra anni di
servizio egli decide che la vita stanziale non fa per lui e dopo avere italianizzato
il proprio nome in Giovanni Punto, (vezzo questo comune a molti artisti
dell’epoca, si mette in cammino per cercare fortuna come solista itinerante.
La vita di Punto è ricca di aneddoti ed è caratterizzata dagli incontri musicali e
non che egli compie nel suo girovagare per l’Europa.
Questo Paganini del corno non si legherà mai ad alcuna istituzione dell’epoca e
ciò creerà attorno alla sua figura un alone di mistero che il tempo non riuscirà a
dissolvere.
Tra gli altri solisti che contribuiscono a fare del corno uno strumento non più
legato solamente alla caccia e alle fanfare vi è da considerare Jean Joseph
Rodolphe (1730-1812) strumentista e compositore di scuola italiana, allievo di
T.Traetta e N. Jommelli.
Mozart ne parla al padre come di un vero amico abile cornista ed ottimo
compositore. La loro frequentazione risale al periodo che il grande compositore
salisburghese trascorse a Parigi.
Di grande importanza anche se non di altrettante doti strumentali, è il
salisburghese Ignaz Leutgeb (1745-1811), altro amico intimo di Mozart, amicizia
che spinge quest’ultimo a dedicargli i quattro concerti (K.412,417,447,495), il
quintetto per corno e archi (k.407) nonchè il rondò k.371.
L’amicizia che lega i due non esime comunque il compositore dal fare pesanti
apprezzamenti all’indirizzo dell’esecutore già nel frontespizio dei concerti, tanto
è vero che il povero Leutgeb viene apostrofato, in italiano, come asino, bue,
stupido somaro e, alla fine dell’esecuzione, Mozart ringrazia il cielo per la fine di
quello strazio. In una lettera al padre del 5 aprile 1778, Mozart gli annuncia
l’intenzione di comporre una sinfonia concertante per strumenti a fiato e gli
esprime il desiderio che il solista di “Wauhorn” sia Giovanni Punto. Comunque il
Leutgeb non doveva essere un esecutore così disastroso, visto che esistono
critiche dei tempi che lo descrivono come interprete sensibile ed espressivo
specialmente nei movimenti lenti.
Grazie all’inversione del corno a mano, come abbiamo visto, il corno diventa
strumento solista e spinge in tutto il continente europeo decine di strumentisti a
dedicarvisi completamente. Ormai anche i compositori si convincono delle
caratteristiche espressive dello strumento, come testimoniano le opere dei già
citati Mozart, Beethoven, Telemann, Vivaldi, Michael e Joseph Haydn, Leopold
Mozart, Von Weber, Danzi, Rosetti e di molti altri.
Fra i solisti che vanno citati oltre ai precedenti segnaliamo gli italiani Giovanni
Puzzi e Luigi Belloli (1770-1817 ispiratore di Rossini nonchè famosissimo
didatta), i francesi Dominich, Duvernoy, Dauprat e Gallay, i viennesi Lewy e
Rudolf.
Da segnalare inoltre la presenza tra questi di una donna Beate Pokorny, che nel
1780 stupisce il pubblico parigino eseguendo il difficile concerto in Re di Punto.
I tempi sono maturi perché anche al corno si comincino ad applicare quelle
tecnologie che ne amplieranno le possibilità tecniche ed è nella seconda metà
dell’ottocento che questa vera rivoluzione avrà luogo.
5) WAGNER E STRAUSS
L’avvento del corno a macchina, per quanto lento e graduale, segna una svolta
alquanto radicale nell’uso dello strumento che i compositori inseriscono nelle
loro partiture.
Il più audace nel percorrere la nuova strada è con ogni probabilità R. Schumann
che nel “Adagio und Allegro” OP.70 per Corno e Piano ed ancor più nel
“Conzertstück” OP.86 per 4 corni ed orchestra del 1849, si spinge drasticamente
oltre quelli che fino a quel momento sono stati i limiti tecnici imposti dal corno a
mano.
Il seme della follia che funesterà gli ultimi anni di vita del grande compositore
tedesco è riscontrabile nella parte solistica di quest’ultima composizione che,
seppure sia lavoro di indubbio genio, per un secolo rimane un brano considerato
praticamente ineseguibile, cadendo così nell’oblio, prima di venire riscoperto e
valorizzato.
Discorso a parte dal punto di vista della nuova struttura meritano Wagner e
Strauss.
Richard Wagner compone le sue prime opere in un clima culturale decisamente
ancorato al passato ed alla tradizione di C.M. von Weber. La scrittura cornistica
risulta essere quelle delle tradizionali “quinte dei corni” care a Mozart e Haydn,
ma è proprio nell’evoluzione compositiva di Wagner che più si coglie la
metamorfosi tecnica e tonale dello strumento. Nella tetralogia, che inizia con i
famosi arpeggi di Mi bemolle dei corni del prologo “Das Rheingold” Wagner
compie la dicotomia auspicata nel frontespizio del Tristano, l’uso dei suoni della
serie naturale sapientemente mescolato alle risorse del cromatismo, creando
effetti mai uditi fino ad allora ed aprendo la strada alle nuove tecniche di
scrittura e di impiego del corno.
Ma Wagner da attentissimo ricercatore di suoni quale è, va ben oltre la scrittura,
spingendosi fino al progettare e fare costruire uno strumento che prenderà il
suo nome, la Tuba Wagneriana.
Da lui stesso meticolosamente disegnata, la Tuba Wagneriana è concepita come
una sorta di ponte tonale tra i corni ed i tromboni.
Suonata dai cornisti con lo stesso bocchino usato per il corno, la tuba è costruita
in due tonalità, tuba tenore in si bemolle e tuba bassa in Fa.
La forma è simile a quella del flicorno tenore ma il canneggio, ossia il diametro
dei tubi, è più vicino a quello del corno. Il suono che ne risulta è profondo e
imponente, bene si presta all’esecuzione del regale leitmotiv del “Walhalla” e ad
accompagnare l’incedere degli Dei.
Il legame tra Richard Strauss (1864-1949) ed il corno affonda le sue radici a
prima della nascita del compositore Bavarese. Il padre Franz Joseph (1822-
1905) è infatti una delle figure più importanti della vita musicale di Monaco;
compositore, didatta accademico e, soprattutto, corno solista dell’orchestra di
corte Bavarese.
La fama di Franz Strauss supera i confini della Baviera, tanto da spingere Hans
von Bülow, famoso direttore d’orchestra, a definirlo “Joachim del Corno” e
Wagner (che ne odiava il non facile carattere) ad ammettere che “Strauss è un
uomo insopportabile, ma quando suona il Corno non puoi, più essere in collera
con lui”.
Convinto anti Wagneriano e diffidente nei confronti delle avanguardie musicali,
Franz Strauss trasmetterà al figlio Richard l’amore per i compositori classici,
Mozart e Haydn in testa, amore che quest’ultimo tradurrà in tributi sottoforma
di citazioni nell’uso del corno nei suoi brani e nell’utilizzo della caratteristica
serie armonica naturale nonchè delle “quinte dei corni”, ormai quasi cadute in
disuso.
La gran parte dei temi cornistici Straussiani, concerti per corno compresi, si
compone in larghissima misura dei suoni che nel “nonno Waldhorn” si
sarebbero suonati con il corno aperto, cioè senza la chiusura della campana, e
questo ha consegnato ai posteri un prezioso suggerimento sulle sonorità più
efficaci dello strumento.
Strauss non verrà mai meno ad un uso più che appropriato del Corno, non
andando mai oltre i limiti della ragionevolezza tecnica ma, nel contempo,
presentando al cornista parti più stimolanti, ed all’ ascoltatore l’emozione di
sonorità veramente uniche.
9) DITEGGIATURA
L’uso del corno doppio in Fa/Sib dà spesso al cornista la facoltà di scegliere tra
la cosiddetta “posizione naturale” e una o più “posizioni di ripiego”, laddove per
posizione si intende, nel gergo cornistico, il più corretto “diteggiatura”
Di seguito è riportata una tabella comprendente le posizioni naturali nonché
quelle alternative quest’ultime indicate tra parentesi. Esse vengono divise tra
quelle in Fa e quelle in Sib.
In alcuni corni si noterà che una o più note suonano meglio usando posizioni
alternative ma, presupponendo un corretto posizionamento delle pompe di
intonazione, personalmente consiglio allo studente che inizia, di imparare prima
le posizioni naturali e di ricorrere a quelle alternative solo in casi particolari e
preferibilmente, dietro consiglio di un insegnante.
E’ bene ricordare che per alcune note la scelta della diteggiatura varia da uno
strumentista all’altro e ciò è particolarmente riferito alla opzione tra la sezione
in Fa e quella in Sib del corno.
Alcuni cornisti tendono a non fare quasi uso del corno in Fa, limitandolo alle
note senza posizioni alternative e poche altre.
La tecnica costruttiva dei corni moderni ha reso il passaggio con il pollice tra il
corno in Fa e quello in Sib, praticamente uguale al movimento delle altre dita,
per cui non vedo motivi per i quali non si debba avere, al giorno d’oggi una
tecnica che comprenda equivalente uso del pollice.
Riguardo a quale sezione, Fa o Sib, dello strumento usare in ogni specifico
registro, si dovrebbero sempre ricordare le caratteristiche tonali del corno in Fa,
dal momento che è dal Waldhorn che esso ha origine.
Gran parte della musica classica è stata concepita originariamente per questo
tipo di strumento, e ritengo che il cornista del giorno d’oggi, a prescindere dalla
scelta operata, debba comunque farvi riferimento.
Con un uso intelligente dell’insieme imboccatura-aria-mano destra è possibile
ricreare le sonorità care ai compositori classici anche con il moderno corno in
Sib e, addirittura, con il corno triplo in Fa/Sib/Fa alto.
Seguono ora le diteggiature che più di frequente scelgo di adottare nello
svolgimento della professione, con la premessa che esse hanno solo valore
indicativo e che, come detto, potrebbero non essere ottimali su ogni tipo di
strumento. Sono inoltre indicate le più frequenti alternative.
10) ARTICOLAZIONE
Con il termine “articolazione” si intende il passaggio da un suono ad un altro,
passaggio questo che può avvenire “legato”, “staccato”, e con tutti i vari gradi di
sfumatura che vi sono tra i due estremi di queste tecniche.
Personalmente interpreto il termine articolazione anche come l’abilità da parte
di uno strumentista di pronunciare i suoni all’interno di una frase.
Uso il termine pronunciare con l’intenzione di porre l’accento sulla analogia che,
a mio parere, esiste tra il cantare ed il suonare.
Penso che lo strumentista sia paragonabile ad un narratore che espone i propri
concetti per mezzo dei suoni, e l’articolazione è la pronuncia necessaria a
renderli comprensibili.
Prima di parlare approfonditamente delle varie articolazioni è necessario fare
notare l’importanza di due fasi cruciali del suono stesso, l’attacco e la chiusura.
Soltanto curando con attenzione e disciplina questi due importantissimi
momenti della produzione del suono si potrà sviluppare una articolazione pulita
e naturale.
L’attacco, ovvero l’inizio di un suono è momento molto delicato visto che esso
implica grande coordinazione di movimenti, è comunque di primaria importanza
che lo strumentista abbia in mente l’altezza della nota da produrre.
La lingua svolge una parte importante nella definizione dell’attacco del suono,
ma in realtà non è, contrariamente a ciò che si può credere, così essenziale
all’avvio stesso della vibrazione. E’ infatti il movimento dell’aria che fa sì che le
labbra vibrino già dall’inizio.
La pronuncia morbida della sillaba “tu” definisce il momento esatto dell’attacco e
lo strumentista dovrà fare la massima attenzione a concentrarsi sul “dire” questa
sillaba piuttosto che sul movimento della lingua, organo che nulla ha a che fare
con la vibrazione, e che anzi può nuocere molto al regolare flusso d’aria,
specialmente al suo avvio.
Nei casi estremi, qualora si siano sviluppati blocchi nell’attacco a causa di
rigidità della lingua con conseguente compressione inter-orale, è consigliabile
dedicare qualche minuto del lavoro individuale quotidiano allo studio di suoni
senza lingua, ovvero ai cosiddetti “attacchi” di fiato.
L’acquisizione di questa abilità è molto importante visto che il blocco dell’aria (v.
Manovra di Valsalva) è un errore nel quale prima o poi ogni cornista è incorso e
che l’attacco di fiato ottimizza il movimento dell’emissione rendendolo
consequenziale alla precedente immissione.
Altra fase di cruciale importanza dell’articolazione è la chiusura del suono.
E’ questa tecnica spesso trascurata o lasciata al caso, ma nella mia esperienza
didattica mi è capitato spesso di incontrare strumentisti che, a causa di questo
errore, sono incorsi in problemi di non facile soluzione, come quello
dell’accumulo di pressione orale tra le note che crea disturbo in modo
particolare allo staccato.
Anche in questo caso si può affermare che la più frequente causa di questi
blocchi è la lingua che ostruisce parzialmente o totalmente il libero flusso
dell’aria dal momento che lo strumentista la usa come “valvola” di chiusura del
suono.
Una semplice verifica dell’esistenza di questo problema consiste nel chiudersi un
orecchio suonando, per sentire se all’interno della bocca si creano rumori con la
gola o con il naso, sempre comunque dovuti all’eccesso di pressione. La
semplice eliminazione di questi rumori è già di per sé un ottimo sistema per
“decomprimere” l’articolazione dando libertà all’imboccatura di vibrare più
liberamente.
Una delle caratteristiche più affascinanti del Corno è senza dubbio il legato, cioè
il passaggio da una nota ad un’altra di diversa altezza senza interruzione di
suono. Un buon legato è a mio parere un’arte in sé stessa ed è il punto di
partenza per lo studio di ogni articolazione cornistica.
La letteratura cornistica, ed in modo particolare quella del periodo romantico e
tardo romantico, abbonda di bellissime frasi legate affidate al Corno e lo
studente deve avere a questo proposito un riguardo particolare nel
programmare la propria preparazione tecnica e musicale.
Dal punto di vista tecnico si deve tenere conto del fatto che le labbra
dell’esecutore devono assolutamente continuare a vibrare tra le due note,
altrimenti la qualità del legato ne viene irrimediabilmente compromessa. E’ la
colonna d’aria a fornire il supporto necessario a fare sì che questa vibrazione
non venga meno nella cruciale fase del passaggio tra i suoni, mentre le labbra si
tendono in modo graduale ed “accompagnano” la legatura.
Anche in questo caso non si dovrebbe riporre troppa attenzione alla procedura
muscolare, mentre è fondamentale una attenzione critica al risultato finale.
Uno studio quotidiano del legato sui suoni della serie armonica, senza cioè
l’ausilio dei cilindri, è la migliore base per apprendere in modo approfondito
questa tecnica. Di grande aiuto anche lo studio lento dei trilli di labbro (di cui
parleremo più avanti) e la verifica con il solo bocchino della qualità del
“portamento”.
Ovviamente per le legature che implicano un movimento dei cilindri si deve
porre la massima attenzione alla sincronia del movimento di labbra e dita, ma è
mia ferma convinzione che l’esecutore padrone delle legature fra suoni armonici
non troverà grosse difficoltà in quest’ultima procedura.
Altro argomento riguardante l’articolazione è lo staccato, ovvero la tecnica della
separazione dei suoni.
Questa abilità è necessaria in tutte le gradazioni di durata delle note cioè dallo
staccatissimo al più morbido staccato/legato ed è fondamentale svilupparla alle
velocità estreme ricorrendo, nel caso sia necessario, alle sue varianti più veloci,
il doppio ed il triplo staccato.
Quanto detto in precedenza circa l’attacco e la chiusura del singolo suono è
quanto mai vero per la serie di suoni che si devono eseguire staccati; molta
attenzione riposta su ciò che si deve pronunciare e sulla qualità del suono, e non
eccessiva preoccupazione sulla procedura muscolare, in particolare per ciò che
concerne posizione e rigidità della lingua, la cui libertà e leggerezza di
movimento sono il presupposto alla buona riuscita di questa tecnica.
Spesso infatti capita di notare un’eccessiva tendenza ad accorciare ed indurire i
suoni staccati, specialmente quando vi è l’indicazione staccato oppure il punto
sopra le note, indicazioni queste che dovrebbero sempre essere prese con buon
senso e ragionevolezza musicale e stilistica, per non incorrere in esagerazioni di
dubbio gusto.
Nella fase di apprendimento della tecnica dello staccato personalmente consiglio
lo studio quotidiano delle note ribattute, con l’avvertenza che lo studente si
concentri soprattutto su pulizia, uguaglianza e regolarità ritmica dei suoni.
11) ESTENSIONE
Il Corno è, tra gli strumenti a fiato, quello che copre in assoluto la maggiore
estensione, ed il cornista moderno deve, contrariamente a ciò che avveniva fino
a pochi decenni orsono, avere buona padronanza anche dei registri più estremi.
Le partiture orchestrali richiedono una escursione di oltre tre ottave ed
attualmente non è più una rarità ascoltare un cornista che ne suoni agevolmente
più di quattro.
In passato si riteneva che lo specializzarsi in un particolare registro fosse la
soluzione tecnica ideale a risolvere il problema dell’estensione, tanto da
spingere alcuni didatti ad avviare gli studenti ad un iter formativo specifico
finalizzato a farne “Corni alti” o Corni bassi”.
Sebbene sia indubbio che ognuno di noi abbia più facilità in un registro piuttosto
che in un altro io sono convinto che le odierne tecniche di emissione si siano
talmente evolute e raffinate da consentire una buona flessibilità tra i registri alla
maggior parte dei cornisti senza contare poi l’enorme varietà di modelli di
bocchini e corni oggi sul mercato, varietà che consente di trovare sempre la
combinazione adatta alle caratteristiche fisiche dello strumentista.
Il punto di partenza per lo studio dell’estensione è il REGISTRO CENTRALE, la
cui qualità tonale è da prendersi come obiettivo primario, unitamente ad una
comodità di emissione che renda facile spostarsi GRADUALMENTE alle
estremità.
Una imboccatura troppo contratta e un flusso di aria compresso possono
passare inosservati nel registro centrale, ma causare difficoltà sia nell’acuto che
nel grave pregiudicando spesso lo sviluppo tecnico dello studente.
Ho voluto sottolineare il principio di gradualità in quanto sono convinto che
creare una buona vibrazione nel registro centrale, per poi spostarsi a poco a
poco alle frequenze più acute e più gravi, sia la strada più breve per riuscire
nello sviluppo dell’estensione; in fondo note acute e note basse non sono altro
che vibrazioni veloci e lente ed è sempre al fenomeno della vibrazione dell’aria
che si dovrebbe fare riferimento.
Sia il registro acuto che quello grave necessitano di un serio studio quotidiano
ed è buona regola inserire nel proprio piano di lavoro giornaliero esercizi di
flessibilità, arpeggi e scale (ottime in cromatiche), che coprano l’intera gamma
dei suoni del corno, cercando di passare da un registro all’altro con la maggiore
naturalezza possibile.
E’ proprio in questo passaggio che ci si rende conto del movimento e del lavoro
che i muscoli facciali svolgono e, nonostante qualcuno sostenga che
l’imboccatura debba rimanere immobile, io penso invece che senza alcun
movimento non vi sia cambio di tensione cioè di altezza di vibrazione.
Ovviamente si devono evitare le contorsioni eccessive, ma anche in questo caso
vale la regola che è sempre corretto ciò che risulta giusto all’ascolto.
14) I TRILLI
I metodi del passato, riguardanti la tecnica cornistica accennavano solo
sommariamente ai trilli e, spesso, descrivevano questa particolare abilità come
un effetto riservato a pochissimi dotati strumentisti, ciò probabilmente in
quanto il trillo più frequente, quello di tono, con il corno deve essere sempre
effettuato senza l’ausilio dei cilindri e viene perciò definito “Trillo di Labbro”.
E’ questo, indubbiamente, una delle forme più evolute di flessibilità e, se è vero
che alcuni strumentisti hanno una naturale facilità nei trilli, è altrettanto vero
che con uno studio costante e graduale ogni cornista può ottenere buoni
risultati.
Principio cardine a motivare lo studente deve essere il semplice fatto che un
trillo di labbro non è altro che una legatura tra due note e che la procedura
tecnica è la medesima che si adotta per il legato, già discusso nelle pagine
precedenti.
Più che per il mero piacere dato ai cornisti dal trillare velocemente, io
raccomando lo studio quotidiano di questa tecnica in quanto essa contribuisce in
maniera enorme allo sviluppo di un’imboccatura agile e forte, oltre ad aiutare
sensibilmente il conseguimento di un registro acuto spontaneo.
L’approccio iniziale allo studio dei trilli di labbro dovrà essere lento e,
soprattutto ritmico ponendo la massima attenzione sull’uguaglianza dinamica e
tonale dei suoni.
Mano a mano che si raggiunge un buon controllo si deve aumentare la velocità
metronomica e, se si è muniti di pazienza e perseveranza (possono essere
necessari anche alcuni mesi!), verrà il momento in cui anche soltanto per
qualche istante, le labbra trilleranno con rapidità.
A questo punto è necessario esortare lo studente a resistere alla tentazione di
ricorrere a scorciatoie per mantenere o incrementare questa velocità, quali
movimenti della mandibola, della lingua, oppure ad agitare lo strumento (ciò che
nel jazz è definito lo “shake”), in quanto, nonostante queste pratiche diano a
volte l’illusione di funzionare, esse non sono durature e possono significare la
rinuncia allo sviluppo di questa particolare forma di flessibilità che non può
essere sostituita da nessun’altro tipo di studio.
Il suggerimento più importante che voglio dare a coloro che si accingono a
studiare i trilli per la prima volta è quello di cercare di “smussare” lo spigolo che
sembra esserci tra due note distanti un tono, cercare cioè di fare vibrare
l’imboccatura a cavallo del semitono che vi è tra le note. Tra un Fa ed un Sol, per
esempio, si dovrebbe cercare di produrre il Fa intermedio che per ovvie ragioni
di fisica acustica non può essere ottenuto perfettamente, ma il tentativo di
creare questa linea di confine immaginaria che separa i due suoni, stabilirà una
posizione dalla quale è molto più agevole e rapido il movimento, visto che la
distanza da percorrere trillando è in questo punto ridotta al minimo.
Segue ora un esercizio che è da intendersi come punto di partenza allo studio
quotidiano dei trilli di labbro. Esso deve essere eseguito con il metronomo, con
assoluto rispetto delle figurazioni ritmiche, osservando una dinamica di “piano”
ed aumentando poco a poco il valore metronomico.
Mano a mano che lo studente raggiunge il controllo del trillo può aumentare la
complessità dello schema ritmico inserendo figurazioni più elaborate come
quintine, settimine e così via.
Infine si deve dare al trillo il senso dell’accelerando fino alla massima velocità,
senza tralasciare la indispensabile capacità di iniziarlo già rapido per rallentarlo
poi gradualmente fino alla nota di partenza. Viene di seguito riportata una
tabella con le diteggiature più pratiche per lo studio e l’esecuzione dei trilli di
labbro con il corno doppio, con l’avvertenza che qualcuna fra esse potrebbe
suonare meglio su uno strumento piuttosto che su un altro, ecco perché quando
ciò è possibile, se ne indicano una più alternative. Non ho volutamente
menzionato fino a questo punto il trillo di semitono, dal momento che esso,
eseguito con l’ausilio dei cilindri, è di esecuzione molto più semplice, anche se va
detto che spesso è necessario avvalersi di diteggiature di ripiego, più
vantaggiose di quelle normalmente utilizzate.
15) IL TRASPORTO
Prima dell’avvento del moderno corno a macchina i compositori, consci delle
possibilità tonali della serie armonica del corno naturale, usavano scrivere parti
cornistiche nella tonalità di impianto di ogni specifica composizione indicando
così di volta in volta allo strumentista il tipo di ritorta da utilizzare.
In altri termini si può affermare che le parti risultavano sempre scritte in Do
maggiore, ma che la nota scritta “Do” era da intendersi Mi b se la dicitura era
“Corno in Mib”, Sol per “Corno in Sol” e così via.
Con l’innovazione dei cilindri il corno in Fa si è imposto agli altri per le sue
qualità timbriche, l’ampiezza e la centralità del registro e ciò ha portato
all’attuale scrittura in Fa corrispondente alla chiave di mezzo soprano, con il
definitivo abbandono della antica notazione.
Ciò nonostante tutte le parti del sette/ottocento, nonché alcune di quelle scritte
all’inizio del ventesimo secolo, sono ancora indicate come in origine facendo
pertanto del corno uno strumento che viene definito traspositore.
Per quanto la procedura del trasporto possa sembrare complicata e macchinosa,
nella realtà essa è una volta appresa piuttosto semplice, tanto da non essere mai
considerata un problema dai cornisti esperti. Viceversa lo studente viene spesso
confuso dal trasporto, in particolare nella prima fase di apprendimento di questa
tecnica, ecco la ragione per cui è a questo punto importante un approccio ben
guidato e razionale.
Di fondamentale importanza poi sono ancora una volta le scale, la cui
conoscenza profonda semplifica di molto il processo di individuazione degli
intervalli.
Personalmente con gli studenti ho riscontrato buoni esiti nell’incoraggiare
inizialmente lo studio di melodie molto semplici, meglio se già conosciute e prive
di alterazioni, prima nelle tonalità più vicine e facili, per muovere poi
gradualmente a quelle più complesse, prendendo spesso spunto dalla chiave di
basso, che, di norma è da essi già conosciuta.
Anche per l’apprendimento del trasporto vale quanto raccomandato nei
precedenti capitoli tecnici, pazienza, gradualità e studio costante sono il sistema
migliore, ed anche in questo caso è bene evitare le scorciatoie visto che un
cornista che non padroneggia il setticlavio, per quanto bravo, troverebbe un
insormontabile ostacolo ad un soddisfacente svolgimento della professione.