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JAZZ IN VIDEO

i segreti del jazz svelati dalla cinepresa

Roberto Manuzzi
Roberto Manuzzi – copyrighted material – only for study purposes – PLEASE DO NOT PHOTOCOPY

ROBERTO MANUZZI

JAZZ IN VIDEO
I segreti del jazz svelati dalla cinepresa

Copyright © Roberto Manuzzi 2008 - Tutti i diritti riservati


(seconda edizione - febbraio 2020)
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Prima parte: il jazz filmato

1 - Il jazz come forma d’arte visuale

Non si può nascondere il fatto che il jazz avesse già negli anni ’20 una componente estetico –
visuale che a noi europei era quasi del tutto sconosciuta; negli anni in cui in Europa si stavano
formando una pionieristica critica jazzistica e stuoli di jazzofili, essi potevano contare quasi
esclusivamente sui dischi e su rare apparizioni di musicisti in tournèe per conoscere tutte le
sfaccettature di un mondo di cui si sarebbe costruita una mitologia solo in seconda battuta.
L’embargo culturale nei confronti della cultura statunitense dettato dalle norme dell’”autarchia”
fascista (da cui si salvarono tra le poche altre cose i fumetti di Walt Disney e le comiche di Stanlio
ed Ollio, pare per diretta intercessione dei figli di Mussolini) e successivamente le vicende belliche
impedirono a molti prodotti dell’industria cinematografica degli USA di arrivare in Italia e nel resto
dell’Europa, e tra questi la quasi totalità (come ovvia triste conseguenza delle leggi razziali) dei
documenti filmati di musicisti “neri”.
Il Iazz durante il secondo conflitto mondiale venne per contro usato dagli Stati Uniti anche come
arma di propaganda; per affermare la superiorità e bontà del modo di vivere degli yankees; come è
noto l’esercito degli U.S.A. portò con sé in Europa non solo il suo enorme potenziale bellico ma
anche le principali novità nelle forme d’arte più tipicamente americane, vale a dire il cinema ed il
jazz.
A noi europei, e a noi italiani in quanto coinvolti nel fascismo, gli aspetti extra-musicali dal jazz,
che tuttavia sono una componente essenziale del fenomeno per i risvolti politici, sociali e culturali
che talvolta precedono ed ispirano gli aspetti squisitamente musicali, sono quindi restati per lo più
sconosciuti in anni cruciali nei quali il jazz si è trasformato da musica di intrattenimento a musica
d’arte. Le registrazioni cinematografiche ed in video delle performance di grandi jazzisti del passato
assumono il valore non solo di documenti preziosi, ma talvolta di elementi fondamentali per la
comprensione di aspetti tecnici dell’esecuzione che la semplice registrazione audio non può
rendere; come si può capire Monk se non lo si è “visto” almeno una volta, con il suo modo
assolutamente non ortodosso di suonare il pianoforte?
Tutto questo ci porta ad affermare che il jazz sia una forma d’arte da vedere oltre che da ascoltare, e
che l’analisi dei filmati (un prezioso materiale purtroppo assai meno numeroso delle registrazioni

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discografiche) sia una componente indispensabile per lo studio e la comprensione del jazz come
fenomeno nel suo insieme, non solo perché essi ci permettono di osservare le tecniche strumentali e
le posture dei musicisti in azione, ma perché ci consentono di decifrare altri aspetti del jazz lifestyle
e l’estetica che dal jazz ha trasmigrato verso altre forme d’arte permeando gran parte della cultura
degli ultimi cinquant’anni del ventesimo secolo.

2 - Estetismo ed edonismo nel jazz

I musicisti neri hanno sempre mostrato di tenere in grande considerazione l’aspetto visuale ed
esteriore del loro modo di porsi sul palcoscenico, tanto da diventare essi stessi i creatori di una
infinità di atteggiamenti, di mode, di gestualità e di voci gergali poi spesso diventati di uso comune
nello star-system del mondo della musica non solo black.
Una caratteristica, questa ossessione dell’aspetto fisico e del modo di vestire, dovuta alla ricerca a
volte disperata di ottenere affermazione, o anche solo rispetto, nel mondo dei bianchi; se negli anni
’50 un musicista bianco poteva permettersi di vestire in modo casuale, con maglioncini e scarpe da
tennis (restando tuttavia perfettamente “cool”), ad un musicista nero non sarebbe mai passato
nemmeno per l’anticamera del cervello di apparire poco elegante. Non c’era nessun motivo di
attirarsi critiche per il modo di vestire, quando anche al più grande e famoso musicista di colore
poteva accadere prima o poi di essere trattato da “sporco negro”.
Così Miles Davis nella sua autobiografia1 cita un divertente episodio nel quale Dexter Gordon gli dà
istruzioni su come essere un vero jazzista “alla moda”:

(…) Dexter era veramente un fico con quei vestiti dalle spalle imbottite che tutti
usavano in quel periodo. Io continuavo a indossare i miei completi di Brooks Brothers,
che secondo me erano veramente il massimo. Avete presente? Quello stile alla Saint
Louis. I neri di Saint Louis erano conosciuti per essere veramente precisi, in fatto di
vestiti, quindi nessuno poteva dirmi niente. Ma Dexter non pensava affatto che il mio
modo di vestire fosse così fico. Mi diceva sempre: “Jim” (“Jim” era un’espressione
che moltissimi musicisti usavano in quel periodo) “non puoi venire in giro con noi
conciato così. Perché non ti decidi a vestirti un po’ meglio, Jim? Devi comprarti dei
vestiti”.
(…) Così misi da parte quarantasette dollari e andai all’F&M e mi comprai uno di quei
vestiti grigi dalle spalle imbottite, un vestito che sembrava assolutamente troppo

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Miles Davis e Quincy Troupe, “Miles” – ed. Minimum Fax

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grande per me. Questo fu il vestito che indossai in tutte le fotografie con la band di
Bird nel 1948 e anche nella foto pubblicitaria in cui mi ero fatto stirare i capelli. Dopo
che mi comprai quel vestito, Dexter venne da me con il suo sorrisone, e torreggiando
su di me, dandomi qualche pacca sulla spalla, mi disse:
“Ok, Jim, ora vai bene, ora sei un fico. Puoi venire in giro con noi”.

Questi aspetti extra-musicali del lifestyle dei musicisti di colore (l’estrema cura nel vestire e
nell’atteggiarsi) sono sempre molto ben documentati nel jazz filmato; i musicisti di colore, se non
sono coinvolti in ambientazioni “esotiche” o folkloristiche, appaiono ovunque vestiti e acconciati
con grande attenzione ai particolari, spesso con i capelli stirati (come sopra descritto da Davis) e
persino “sbiancati” in volto con l’applicazione di pomate speciali. Una ricerca dell’eleganza che
faceva parte come si è detto di una necessaria forma di auto-difesa e di ricerca del rispetto altrui, e
allo stesso tempo rappresentava il tentativo, non sempre riuscito, di apparire il più “bianchi”
possibile a causa delle imposizioni umilianti dettate da un impietoso show business.

3 – Il jazz filmato; jazz, cinema e cartoon

Negli anni ’30 il repertorio cinematografico legato al jazz era ancora spesso intriso di atmosfere da
Cotton Club, con balletti ammiccanti e riferimenti all’”africanità” vista come fenomeno
folkloristico o come scusa per mostrare le grazie di ballerine scarsamente vestite (con gonnellini di
paglia “all’africana” o quelli fatti con le banane, che resero celebre Josephine Baker, e poco altro).
Gli stili di vita dei neri erano rappresentati da personaggi non molto rispettabili come il
ballerino/giocatore d’azzardo che sfrutta e malmena Bessie Smith nel film St. Louis Blues del 1929.
Nei film di Hollywood i cantanti ed i musicisti di colore potevano di fatto solo rappresentare se
stessi, e se impersonavano un ruolo nel film esso era in qualche modo sempre collegato alle
professioni ritenute “normali” per la gente di colore, come la serva (il ruolo di Billie Holiday ne La
città del jazz), il barista, il venditore ambulante.
Hattie Mc Daniel 2 nell’interpretazione della serva nera “Mamie” in Via col vento di Victor Fleming
e David O. Selznick rappresenterà per decenni lo stereotipo della donna di colore nel cinema
americano persino nei cartoon della MGM, dove lo stesso personaggio appare in numerosi episodi
chiaramente riconoscibile anche se inquadrata solo fino alla cintola, ad altezza cioè dello sguardo
dei due protagonisti Tom e Jerry.

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Hattie Mc Daniel (1895 - 1952), attrice di colore americana nonché cantante e ballerina professionista, fu la prima
attrice di colore a ricevere un Oscar nel 1937 per la sua interpretazione di “Mamie” in “Via Col Vento”. Partecipò ad
oltre 300 film e divenne un simbolo per tutta la comunità di colore per il suo impegno civile.

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Figura 1 - Hattie Mac Daniel

Figura 2 – Hattie Mac Daniel sul set di “Via col vento” (con Olivia De Havilland e Vivien
Leigh)

Nei cartoons dove compaiono personaggi di colore il razzismo domina quasi ovunque; gli afro-
americani sono rappresentati spesso tramite i peggiori stereotipi intrisi di un “buonismo” che tenta
invano di nascondere un profondo e radicato pregiudizio razziale. L’uomo di colore viene descritto
come ingenuo e infantile, perennemente fuori posto nella società dei bianchi, nel migliore dei casi
considerato come un “buon selvaggio” incapace di adattarsi alle buone maniere e agli usi della
civiltà. Assai spesso però il tono della descrizione vira su descrizioni calunniose come una presunta
quanto infondata scarsa attitudine all’igiene o la predisposizione ad attività illecite (baro, truffatore,
giocatore d’azzardo). Anche grandi artisti di colore come (duole dirlo) lo stesso Louis Armstrong
giocarono la loro parte nel costruire un ruolo da black entertainer basato prevalentemente sulla
figura del “buon negro” esageratamente estroverso e chiassoso, in assoluto contrasto con la figura
misurata ed elegante di Duke Ellington che precede di molto, incarnandosi in un mito basato sulla
sua eleganza innata e sulla sua straordinaria statura di artista, le rivendicazioni della dignità nera
degli anni ’60.
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Figura 3 - “Little Black Sambo”, Castle Films 1933

Figura 4 – Betty Boop, “Making stars”, Dave Fleischer 1932

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Figura 5 - “Coal Black and de sebben dwarfs”, Warner Brothers

Figura 6 - "Coal Black and de sebben dwarfs", Warner Brothers

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Figura 7 - Louis Armstrong, "You rascal you", 1932

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Nel periodo post-bellico dive “sexy” di colore come la bella e sfortunata Dorothy Dandridge e la
statuaria Lena Horne entrarono nel cinema hollywoodiano per via della massiccia presenza dei neri
nelle truppe alleate, che imponeva allo show business di riservare uno spazio anche alle fantasie
erotiche dei private afro-americani. Tale divismo fu sempre però evidentemente riservato ad un
pubblico afro-americano, poiché spesso tali stars continuavano ad apparire in film rigorosamente
“All Black Crew”.

4 – Alcuni tra i più importanti reperti storici del jazz filmato


4.1 I “Soundies”

I “Soundies” furono i precursori degli attuali videoclips; film musicali della durata media di tre
minuti, creati da cineasti professionisti a New York, Chicago ed Hollywood tra il 1940 and 1946. (I
Soundies completati venivano di solito distribuiti sei mesi dopo la loro realizzazione; l’ultimo
gruppo di filmati fu distribuito nel marzo del 1947) I film erano creati per essere proiettati nei night
clubs, nei ristoranti e nei parchi divertimenti degli Stati Uniti mediante il Panoram3, un jukebox a
gettoni, di fatto il primo video-juke box della storia.

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Sviluppata nel 1940, la “Panoram” fu il primo video juke box, espressamente creato per proiettare
i rulli da 16 mm dei “Soundies”. Costruita e commercializzata dalla Mills Novelty Company, la
“Panoram” era una macchina a gettone contenente un proiettore a 16 mm RCA Victor ed un
ingegnoso sistema di specchi per proiettare i filmati su di uno schermo di vetro traslucido di 18 o 22
pollici di grandezza, in una stanza normalmente illuminata. Il tutto era contenuto in un elegante
mobile di legno dell’ingombro di un frigorifero dell’epoca, con lo schermo posizionato all’altezza
degli occhi. I film (registrati in 35 mm, successivamente ridotti a 16 mm e stampati a rovescio per
adattarli alla retroproiezione) erano montati in un unico rullo continuo; introducendo una moneta si
avviava la riproduzione audio e video di un brano musicale e alla fine della clip un inserto metallico
nella pellicola determinava l’arresto del proiettore. Non era quindi possibile la scelta individuale del
brano come nei juke-box audio; semplicemente, all’inserimento di un nuovo gettone, la
riproduzione continuava con il video musicale successivo. Ogni rullo conteneva otto “Soundies” per
una durata complessiva di circa mezz’ora. Al costo iniziale della macchina (quasi 700 dollari
dell’epoca) i gestori dovevano aggiungere i pesanti costi di manutenzione ed il noleggio dei rulli dei
“Soundies” che venivano prodotti continuamente; raramente tali costi venivano coperti dalle
monetine inserite, per cui tali macchine costituivano di fatto una attrazione interessante ma costosa
per i locali dove veniva installato. Con l’avvento della televisione e la diffusione di altre serie di
clips musicali destinate alla diffusione televisiva come gli “Snader telescriptions”(v.), sia i
“Soundies” che gli apparecchi per la loro riproduzione persero tutto il loro interesse. I ”Panoram”
furono progressivamente smantellati o distrutti. Solo pochi rarissimi esemplari sono ancora presenti
presso musei o collezionisti privati.

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Figura 8 – la “Panoram” del 1940

I “Soundies” contenevano brani musicali dei generi più diversi eseguiti dagli artisti più popolari
all’epoca, dalla musica classica alle canzoni patriottiche, alle big band swing, alle canzoni
sentimentali, al genere “hillbilly” ed al “country and western”. Tra questi artisti spiccano nomi
come Spike Jones, Liberace, Doris Day, Louis Jordan. Furono prodotti più di 1800 di questi film,
ma solo una percentuale relativamente piccola contiene performance di artisti jazz. Fra essi vi sono
comunque preziose e rare apparizioni di artisti che ebbero poche altre opportunità di esibirsi in
video, come Fats Waller e Meade “Lux” Lewis. Fra gli altri celebri artisti jazz che hanno lasciato
tracce importanti di sé nei “Soundies” vanno citati Dorothy Dandridge,“Big” Joe Turner, Lena
Horne, Louis Armstrong, Jimmy Dorsey, Stan Kenton.

4.2 I primi videoclips televisivi; gli “Snader telescriptions”

Gli “Snader Telescriptions” sono da considerarsi a tutti gli effetti i primi video musicali creati per
la televisione; essi furono prodotti dal 1950 fino al 1953/54. Tutte le star più popolari del jazz, della
musica country e del pop parteciparono a questi filmati della durata media di un disco singolo (3-4
minuti). Del materiale originale (circa un migliaio di videoclip) sono sopravvissuti circa 750 filmati
che includono prezioso materiale di artisti come George Shearing e Nat “King” Cole.

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Figura 9 – George Shearing

Figura 10 – Nat “King” Cole

Le prime trasmissioni televisive negli USA, data la grande vastità del territorio statunitense, erano
affidate a reti di portata locale; tali emittenti avevano una grande necessità di reperire materiale con
il quale riempire le pause tra le trasmissioni in diretta ed i primi comunicati commerciali.

Gli “Snader” erano filmati su pellicola adattati (da cui il termine “transcriptions”) per essere
trasmessi con apparecchi appositi (il cosiddetto “telecinema”) via etere o via cavo. Proprio la loro
particolarità di nascere sul supporto fotografico (la pellicola a 35 millimetri) ne ha reso possibile la
conservazione, principalmente grazie alla raccolta degli originali curata dallo stesso Louis D.
Snader; d’altronde all’epoca non vi erano alternative per la conservazione di uno spettacolo
televisivo se non la sua registrazione su pellicola, non essendo ancora in uso la registrazione delle

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immagini su nastro magnetico comunemente denominata “Ampex”4 che sarebbe diventata una
componente fissa delle attrezzature televisive solo a partire dal 1956.

Un aspetto tecnicamente interessante degli Snader Telescription è che per la maggior parte si tratta
di registrazioni effettuate in diretta con cineprese multiple e con la ripresa diretta del suono
mediante le più sofisticate attrezzature disponibili al momento come i microfoni Altec - Telefunken,
tra i migliori mai costruiti (paragonabili agli RCA 500 utilizzati nella maggior parte degli studi
televisivi dell’epoca). Non si tratta pertanto di “playback” effettuati sulle tracce audio dei dischi
commerciali, ma di vere performance live registrate senza pause e successivi montaggi del
materiale.

Come per i “soundies”, il materiale squisitamente jazzistico rappresenta solo una percentuale
relativamente piccola dei filmati complessivi; sono da sottolineare alcune “censure” a sfondo
razzistico che colpirono duramente alcuni artisti di colore tra cui lo stesso Nat King Cole, i cui
filmati non erano trasmessi da alcune stazioni televisive (negli stati del sud molti artisti di colore
erano di fatto banditi dagli schermi televisivi nei primi anni della TV); in alcune clip Cole (ma
anche molti altri artisti di colore) appaiono talmente coperti di cerone (per apparire il più “bianchi”
possibile) da trasformarsi in maschere grottesche.

4.3 I riversamenti amatoriali da tv a pellicola

nei primi anni ’50 La registrazione magnetica del video era ancora di là da venire, ed è per questo
che di tutte le performance jazzistiche avvenute in diretta televisiva (principalmente negli studi
televisivi della West Coast) prima dell’avvento del già citato “Ampex” rimangono solo pochi
esempi, salvatisi per lo più grazie ad alcuni appassionati jazzofili/cineamatori. La ripresa era in tali
casi effettuata direttamente dallo schermo del televisore domestico grazie a complicate e costose
apparecchiature in grado di eliminare lo”sfarfallio” inevitabile nella ripresa cinematografica di uno
schermo televisivo (dovuta alla differente frequenza delle immagini tra l’otturatore cinematografico
ed il tubo catodico) e ad un complesso sistema di registrazione e sincronizzazione dell’audio su
supporto magnetico.

A tale gruppo di reperti filmati appartengono clips rarissime come l’unica apparizione di Charlie
Parker con Dizzy Gillespie nell’esecuzione di “Hot House”, registrata nel 1952 in occasione di un
riconoscimento a Dizzy Gillespie come “miglior trombettista del decennio” (Parker, omaggiato

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AMPEX è una compagnia dedicata alla ricerca e alla produzione nel campo dell’elettronica, fondata nel 1944 a San
Carlos, California. il nome AMPEX è un acronimo derivato dal nome del fondatore, l’ingegnere di origine russa
Alexander M. Poniatoff (Alexander M. Poniatoff Excellence).

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semplicemente come “miglior sassofonista contralto dell’anno” nel video appare piuttosto
contrariato…)

Figura 11 – Parker e Gillespie in “Hot House”

4.4 “Jammin’the blues”

Nella maggior parte dei casi il jazz filmato degli esordi non va molto al di là della semplice ripresa,
spesso frontale e a camera fissa, talvolta arricchita da gag e balletti appartenenti ad un concetto
teatrale della messa in scena; nei Soundies il jazz viene arricchito da elementari trame come nella
celebre canzone di Fats Waller, Ain’t Misbehavin’, dove la “messa in scena” consiste solo nella
descrizione degli dispetti reciproci tra una cantante ed un gruppo di ballerine attornianti il celebre
pianista.
È con ogni probabilità Gjon Mili5 il primo artista visuale a trasformare il jazz filmato in qualcosa di
più della semplice ripresa di una esecuzione musicale o di un insieme di gag; Jammin' the Blues
(1944), film che ottenne all’epoca una nomination dall’Academy Award come miglior
cortometraggio musicale, è un interessante esperimento estetico che detta le regole che saranno per

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Nato a Korça, Albania nel 1904, Gjon Mili (1904 – 1984) si trasferì negli Stati Uniti nel 1923. Quindici anni più tardi
era divenuto uno dei fotografi di punta della rivista LIFE, rapporto di lavoro che continuò ininterrottamente fino alla sua
morte nel 1984. Fra i soggetti da lui fotografati vi sono Pablo Picasso, Pablo Casals nel suo esilio in Francia, il processo
ad Adolf Eichmann in Israele e servizi da inviato e da freelance a Roma, Venezia, Atene, Dublino, Berlino ed
Hollywood per fotografare artisti, scrittori, divi del cinema, eventi sportivi, concerti, mostre di pittura, scultura ed
architettura. Laureato in ingegneria ma completamente autodidatta in fotografia, Mili fu tra i pionieri fino dai primi anni
’30 dell’uso del flash stroboscopico per catturare intere sequenze di azioni in movimento, collaborando in questa ricerca
con il professor Harold Eugene Edgerton del MIT. Le sue foto di ballerini, atleti e musicisti in azione rivelarono per la
prima volta la grazia e complessità di movimenti troppo rapidi per essere pienamente apprezzati dall’occhio umano.

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molti anni di ispirazione a famosi fotografi di jazz come William Gottlieb, Lee Friedlander e
William Claxton6.
Le potenzialità del bianco e nero sono portate alla massima espressività possibile, esaltate da uno
sfondo nero su cui svettano come veri protagonisti della scena gli strumenti musicali e dettagli
apparentemente secondari ma rivelatori come il celebre cappello di Prez (il “pork-pie hat” che
appare a sorpresa dai titoli di testa svelandoci la presenza del sassofonista), il filo di fumo
proveniente da una sigaretta perennemente accesa come per magia, il sassofono tenore tenuto di tre
quarti, l’estrema rilassatezza ostentata da tutti i musicisti.

“In anticipazione neanche tanto implicita del bebop, così scandaloso per le spalle
sovente rivolte al pubblico, il gruppo pare suonare innanzitutto per il proprio piacere,
concentrato sull'ascolto reciproco, raccolto su se stesso e la propria arte, e non rivolto
al pubblico dall'altra parte dello schermo - ovvero, non precisamente al proprio posto,
a disposizione dello sguardo "razziale" che tollera l'entertainer nero al centro della
scena, ma ad uso e consumo dello spettatore bianco.
(…) Non è possibile evitare il feticismo, oltre alla fan culture: è così che
nell'immaginario del jazz si istituisce quell'archivio virtuale fatto di caratteristiche
strutturali di certi strumenti (sull'ispirazione fallica di sassofoni e trombe non stiamo
ormai più a discutere, ma anche contrabbassi, chitarre e batterie, con la loro forma
peculiare, sono nel mirino), oppure di quel particolare strumento suonato in
quell'occasione particolare da quel jazzista, con la marca degli accessori - le ance dei
sassofoni, le pelli dei tamburi, le corde della chitarra - in grande rilievo. Di più: i
profili della tromba, del contrabbasso o del sassofono suonato di traverso da Lester
Young, magistralmente disegnati dall'occhio fotografico di Gjon Mili in Jammin' the
Blues, sono l'estetizzazione spinta di elementi iconografici del recente passato, le
ombre di musicisti e ballerini, le sagome di esotiche palme, le rutilanti insegne al neon
della Harlem notturna (…) "This is a jam session!" ci aveva avvertito in apertura una
voce fuori campo, tra volute di fumo e il controluce del più famoso “porkpie hat” della
storia del jazz. Per la gioia dell'appassionato-voyeur, musicisti e strumenti possono
essere letteralmente avvolti da sguardi ravvicinati;”.

(Da: Cinzia Villari, Il Jazz-Movie, pagina web in jazzitalia.it)

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Anche in anni recenti fotografi di jazz come Roberto Masotti ed altri hanno spesso privilegiato il bianco e nero per
scelta estetica, dimostrando come il jazz sia restato legato indissolubilmente per anni nell’immaginario collettivo alle
celebri icone fotografiche dei jazzisti create dai grandi fotografi delle riviste americane.

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Figura 12 – “Jammin’ the blues”, titoli di testa (1)

Figura 13 – “Jammin’ the blues”, titoli di testa (2)

Figura 14 – “Jammin’ the blues” (Lester Young)

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4.5 “The Sound of Jazz”

The Sound of Jazz fu una puntata speciale della serie della CBS Seven Lively Arts. Il programma
andò in onda l’8 dicembre 1957 in diretta dallo Studio 54 della CBS anche conosciuto come The
Town Theater, situato al n° 851 della 9a Avenue a New York (edificio ora demolito). Il programma
era presentato da John Crosby e prodotto da Irving Townsend, George Avakian and Michael
Brooks. John Houseman era il produttore esecutivo. Il programma si presenta come una sorta di
piccola storia del jazz condensata nell’arco di poco più di un’ora, documentando il meglio dei
musicisti dell’epoca impegnati in una ampia gamma di stili jazzistici, dal dixieland al bebop e alle
sperimentazioni di Thelonious Monk e del trio di Jimmy Giuffre; una versione “de luxe”
dell’orchestra di Count Basie (con Jimmy Rushing alla voce) e Gerry Mulligan inserito sia nella
band di Basie che in un “dream team” che accompagna Billie Holiday alla voce assieme a Lester
Young, Ben Webster, Coleman Hawkins, Roy Eldridge, Mal Waldron, certamente uno dei momenti
più intensi dell’intero programma.

Figura 15 – un fotogramma della trasmissione “The sound of jazz” – da sinistra: Billie Holiday, Lester Young,
Ben Webster, Gerry Mulligan

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I brani eseguiti nella trasmissione:

 Open All Night (Fast and Happy Blues) - Count Basie All Stars: Emmett Berry, Doc
Cheatham, Joe Newman, Joe Wilder (tp); Roy Eldridge (tp, flhn); Vic Dickinson, Benny
Morton, Dicky Wells (tb); Earl Warren (as); Coleman Hawkins, Ben Webster (ts); Gerry
Mulligan (bs); Count Basie (p); Freddie Green (g); Eddie Jones (b); Jo Jones (d)

 The Count Blues - Basie, Green and E. Jones suonano in sottofondo mentre John Crosby
presenta lo show.

 Wild Man Blues – brano di Louis Armstrong, eseguito da: Henry "Red" Allen, Rex Stewart
(tp); Pee Wee Russell (cl); Coleman Hawkins (ts); Vic Dickinson (tb); Milt Hinton (b);
Danny Barker (g); Nat Pierce (p)

 Rosetta – Brano di Earl "Fatha" Hines e William Henri Woode. Stessa formazione di Wild
Man Blues.

 Dickie's Dream – stessa formazione di Open All Night

 Blue Monk - Thelonious Monk (p); Ahmed Abdul Malik (b); Osie Johnson (d)

 I Left My Baby - Jimmy Rushing (v), with Count Basie All Stars (personnel same as Open
All Night)

 Fine and Mellow - Billie Holiday (v), with Mal Waldron All Stars: Roy Eldridge, Doc
Cheatham (tp); Vic Dickinson (tb); Coleman Hawkins, Ben Webster, Lester Young (ts);
Gerry Mulligan (bs); Mal Waldron (p); Milt Hinton (b); Osie Johnson (d)

 The Train and the River - Jimmy Giuffre Trio: Jimmy Giuffre (cl, ts, bs); Jim Hall (g); Jim
Atlas (b)
 Blues My Naughty Sweetie Gave to Me - Jimmy Giuffre, Pee Wee Russell (cl); Jo Jones
(d); Danny Barker (g); Milt Hinton (b).

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4.6 “Jazz on a Summer’s Day”

Jazz on a Summer's Day è un documentario filmato durante il Festival di Newport del 1958 dal
noto fotografo di moda Bert Stern7. Il film (apparso nel 1960) mescola immagini del porto della
cittadina durante le prove della America's Cup con frammenti delle esibizioni e del backstage del
Festival. Il film, in gran parte privo di dialoghi (a parte le battute dette sul palco dai protagonisti e la
voce fuori campo del presentatore Willis Conover) è un vivace reportage che osserva con occhio
estremamente attento (come d’altronde ci si poteva aspettare da un fotografo della rivista Vogue) i
volti, le reazioni e gli abbigliamenti del pubblico (vero co-protagonista del film) e degli artisti in
scena. Il film anticipa molte delle atmosfere del film “Woodstock”, proprio per la sua attenzione
rivolta al pubblico che ride, balla e interviene attivamente durante le esibizioni. Lo stesso Festival
documenta la trasformazione in atto dei gusti musicali del pubblico, con la presenza in cartellone di
artisti del nascente rock‘n roll come Chuck Berry e Big Maybelle e con il percussionista cubano
Armando Peraza (dieci anni dopo nel gruppo di Carlos Santana) ben inserito nel gruppo “latino” di
George Shearing. I momenti più intensi e preziosi del film si devono alla spumeggiante esecuzione
di “Sweet Georgia Brown” di Anita ‘O Day, (vestita con un perfetto completo alla “Crudelia
Demon” con annesso buffo cappello, molto valorizzato dalla regia del film) e soprattutto alla
intensissima ed emozionante esibizione di Mahalia Jackson alla fine del film. Louis Armstrong
regala uno dei suoi set “standard” rendendosi gradevole soprattutto per le sue battute (che il
pubblico presente mostra di gradire moltissimo) e per un duetto canoro con il trombonista Jack
Teagarden.

Il cast dello spettacolo:

 Jimmy Giuffre 3
 Thelonious Monk Trio
 Sonny Stitt and Sal Salvador
 Anita O'Day
 George Shearing
 Dinah Washington
 Gerry Mulligan Quartet
 Big Maybelle Smith

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Betram (Bert) Stern (1929), storico fotografo di moda della rivista Vogue, ha eseguito alcuni dei più celebri scatti
dell’attrice Marylin Monroe, (The last Sitting, pubblicato nel 1992) ed è stato fotografo di scena con i più grandi registi
di Hollywood tra cui Stanley Kubrick per il film Lolita. Il film “Jazz in a Summer’s Day” da lui diretto nel 1958 è stato
ritenuto “di alto valore culturale” dalla Libreria del Congresso statunitense e selezionato per la conservazione nel
National Film registry.

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 Chuck Berry
 Chico Hamilton Quintet
 Eli’s chosen six
 Louis Armstrong and his All-Stars
 Louis Armstrong & Jack Teagarden
 Mahalia Jackson

4.7 “On the road with Duke Ellington”

Questo documentario di Robert Drew e Mike Jackson del 1968 fu registrato durante alcune giornate
di un tour di Ellington negli Stati Uniti nel 1967. Il film oltre ad offrirci alcune splendide esecuzioni
di brani come C Jam Blues, Soda Fountain Rag, Traffic Jam documenta le abitudini quotidiane del
grande Duke, seguendolo fino nell’intimità della sua camera d’albergo. Il film è un prezioso
documento biografico che Ellington sfrutta per raccontare senza riserve le sue personali convinzioni
sulla musica e sulla vita, immerso in un girandola di avvenimenti che scandiscono la sua esistenza
divisa tra il continuo peregrinare in tournèe, le registrazioni discografiche e la composizione
musicale. Ellington tra vari episodi felici e tragici (il conferimento di una laurea ad honorem, il
funerale di Billy Strayhorn) permette alla cinepresa di descrivere la sua vita completamente devota
alla musica in tutte le sue forme; la vita di un “costruttore di melodie ed armonie” umilmente ed
intimamente dedicato al suo pubblico e alla sua arte, come ebbe a dire egli stesso nella sua
autobiografia Music is My Mistress 8.

8
Ed it. “Duke Elligton, Autobiografia” Il Formichiere - Emme Edizioni , 1981.

20
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Seconda parte – “The Sound Of Miles Davis”


1 – Gil Evans negli anni di Davis
1.1 gli inizi

Gil Evans (Ian Ernest Gilmore Green) nacque il 13 maggio 1912 a Toronto in Canada da una
ragazza madre; in seguito prese il cognome Evans dal padre adottivo. La sua famiglia si trasferì
dopo pochi anni in California, dove trascorse i suoi primi anni. L’istruzione musicale di Evans fu
parzialmente da autodidatta; fin da giovanissimo era profondamente appassionato nello studio del
pianoforte e ancora di più nell’ascolto e nella analisi di compositori classici e di grandi del jazz
come Louis Armstrong, del quale era profondo ammiratore. L’altro suo grande amore musicale, che
aveva potuto vedere dal vivo già nel 1927, era Duke Ellington, il quale lo avrebbe influenzato
profondamente nel corso della sua futura carriera di arrangiatore e di band leader. Un suo primo
complesso venne fondato in California nel 1933; dal 1941 al 1948 (con una pausa tra il 1942 e il
1946) divenne uno degli arrangiatori dell’orchestra di Claude Thornill9, una lussuosa e celebre big
band “da ballo”, nota per la raffinatezza degli impasti timbrici, presi talvolta “ a prestito” dalla
musica classica contemporanea.

Figura 16 - Claude Thornhill

9
Claude Thornhill (1909-1965) pianista e arrangiatore, noto negli anni ’30 per i suoi arrangiamenti di canzoni
popolari come “Loch Lomond”, lavorò con Paul Whiteman e Benny Goodman, con una propria orchestra negli anni’40
e dopo la guerra con Tony Bennett. L’uso di strumenti particolari come il corno francese ed il basso tuba, nonché una
sezione intera di clarinetti suonati spesso all’unisono e l’assenza di vibrato resero celebre l’orchestra di Thornhill per la
sua sonorità estremamente raffinata, anticipatrice delle atmosfere “cool” degli anni successivi. Riconducibili al gusto di
Thornhill sono orchestre come quella di Artie Shaw, Charlie Barnet, Charlie Spivak, Manny Albam, Stan Kenton.

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Figura 17 - le prime battute dello score di "Snowfall" di Claude Thornhill

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Qui sopra è riprodotta la prima pagina di un arrangiamento di Thornhill nella quale è evidente
l’indicazione “clarinet” rivolta a tutti i sassofonisti della sezione; è il famoso “coro di clarinetti”
distintivo del sound di Thornhill.

A partire dal 1946 l’orchestra di Thornhill si trasferì definitivamente a New York ed Evans la seguì
stabilendo il suo domicilio in una stanza di un seminterrato sulla 55ma strada. Quella specie di
rifugio (il cui unico mobilio era rappresentato da un letto, un comodino, un fornello a gas, un
lavandino ed un pianoforte verticale) fece negli anni seguenti da “area di sosta” per una infinità di
musicisti tra cui Charlie Parker, Miles Davis, George Russell, Max Roach, John Lewis, Gunther
Schuller, J.J. Johnson, Gerry Mulligan.
Evans conobbe Miles Davis in occasione di un suo incontro con Parker, cui aveva chiesto lo
spartito di “Donna Lee” per arrangiarla per l’orchestra di Thornhill. Parker lo indirizzò a Davis, il
vero autore del brano (i credits sul disco erano stati erroneamente attribuiti a Parker dalla casa
discografica)“Non è roba mia, è Miles che l’ha scritta”10.
Evans agli occhi dei suoi colleghi appariva quasi come un marziano capitato lì per caso. Dei suoi
primi incontri con Gil, Miles Davis ricorda;

“(…) uno strano tizio bianco con un buffo cappellino che si sedeva lì, in mezzo a tutta
quella gente elegante mangiando spuntature di maiale fritto da un sacchetto,
ascoltando ed osservando avidamente tutto quanto accadeva sul palcoscenico”11.

1.2 Birth of the cool

“L’album Birth of the cool nacque da alcune session che avevamo fatto cercando di
imitare il sound della band di Claude Thornhill. Volevamo quella sonorità, ma la
differenza era che noi la volevamo più ristretta possibile. Io dicevo che doveva essere il
suono di un quartetto, con voci di soprano, alto, baritono e basso. (…) In cima
avevamo un soprano e un alto, cioè io e Lee Konitz. Anche il corno francese lo
usavamo per la parte dell’alto, il sax baritono per la parte del baritono e il bassotuba
per la parte del basso. Io consideravo il gruppo come fosse un quartetto. (…) Io volevo
che gli strumenti suonassero come le voci umane, e così era.12

10
Miles Davis e Quincy Troupe, Autobiografia, cit..
11
Id
12
Id

24
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Il progetto “Birth of the cool” prese vita dalle discussioni interminabili fatte in quella piccola stanza
sulla 55ma, cui prendevano parte più assiduamente, secondo il racconto di Gerry Mulligan; John
Lewis, George Russell John Carisi, Max Roach, Lee Konitz, Miles Davis, Dave Lambert, l’intera
sezione ritmica dell’orchestra di Thornhill (il bassista Joe Shulman, il chitarrista Barry Galbraith, il
batterista Billy Exiner).
Il gruppo ebbe nel settembre 1948 un ingaggio per due settimane al "Royal Roost" per suonare
nell’intervallo fra i set dell’orchestra di Count Basie. La formazione del Roost era un nonetto con
tromba (Davis) trombone (Mike Zwerin), alto sax (Lee Konitz), corno francese (Junior Collins),
basso tuba (Bill Barber), sax baritono (Gerry Mulligan), contrabbasso (Al Mc Kibbon), batteria
(Max Roach). La Capitol Records registrò 12 brani del nonetto in tre sessioni nel 1949 e nel 1950, e
queste registrazioni videro la luce sull’LP (a nome di Miles Davis) Birth of the Cool nel 1957.
Questo lavoro può certamente essere definito un’opera collettiva, attribuita a Miles Davis (la
Capitol Records decise di pubblicare questo materiale sull’onda del successo commerciale di Davis
con la Columbia) ma attribuibile allo stesso modo a John Lewis, a Gerry Mulligan (la metà degli
arrangiamenti sono suoi) e a Gil Evans, il quale firma due brani del disco (“Boplicity” e “Moon
Dreams”). In realtà il progetto era fin dall’inizio assai simile ad un work in progress, e molti
musicisti di grande valore si avvicendarono nel progetto contribuendovi in varia misura (come il
trombonista J.J.Johnson, sostituito dal giovane studente di college Mike Zwerin perché impegnato
in torurnèè nei giorni dell’ ingaggio al Royal Roost).
La formazione cambiò più volte tra l'estate del 1948 (la prima uscita del gruppo) e la fine del 1949;
Davis e Roach erano tra i membri fissi, così come Gerry Mulligan e Lee Konitz, che era stato
suggerito da Mulligan come alternativa a Sonny Stitt, il cui suono era considerato troppo boppistico
per il progetto. Al trombone dopo Zwerin, si alternò Kai Winding.Al McKibbon al basso fu poi
rimpiazzato da Joe Shulman. I pianisti erano John Lewis e Al Haig. Al corno Junior Collins fu
rimpiazzato da Sandy Siegelstein e Gunther Schuller. L'inclusione di diversi bianchi nella
formazione provocò molti malumori nella comunità dei musicisti neri.

“Con Gil, la questione della razza non esisteva nemmeno, si era sempre e solo dentro
la musica... lui non si curava di quale colore tu fossi. Era uno dei primi bianchi che
avessi mai conosciuto che fosse così” 13

Dal punto di vista professionale, Birth of the Cool fu inizialmente un successo di critica, ma non di
pubblico; molto apprezzato dagli altri musicisti, fu un trampolino di lancio per molti di essi (tra cui

13
Miles Davis e Quincy Troupe, Autobiografia, cit..

25
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Mulligan) e sfociò nella affermazione del cool jazz presso il grande pubblico, che lo identificò in
gran parte come un jazz prevalentemente “bianco”.
Dal 1950 al 1956, Gil Evans attraversò un periodo difficile, svolgendo lavori che gli bastavano
appena a procurarsi da vivere. Arrangiò nel 1953 una seduta di registrazione per Charlie Parker
(non del tutto riuscita), e successivamente “La plus que lent” di Debussy per Gerry Mulligan,
“Round Midnight” per il sestetto di Miles Davis, due brani per un disco del sassofonista Hal
MacKusick e nel 1956 un album per la cantante Helen Merrill dal titolo “ Dream of You”.
Nel frattempo Davis (tornato in piena attività dopo un periodo di tossicodipendenza e tristi vicende
sentimentali) era sotto contratto con la Columbia ed aveva iniziato una carriera assai brillante.
Il produttore George Avakian gli suggerì di lavorare ad alcuni progetti orchestrali con degli
arrangiatori innovativi. Davis immediatamente pensò ad Evans, e la collaborazione si focalizzò
sulla scelta di quest’ultimo come unico arrangiatore. I tre album che risultarono da questa
collaborazione sono Miles Ahead (1957), Porgy and Bess (1958), e Sketches of Spain (1960).
(un’altra registrazione con Evans, Quiet Nights del 1962, fu pubblicata successivamente contro il
volere di Davis, che a causa di ciò troncò per un certo periodo le relazioni con il suo produttore di
allora Teo Macero).
Nonostante questi quattro dischi siano pubblicati sotto il nome di Miles Davis (talvolta citati come
Miles Davis and the Gil Evans Big Band), in essi il contributo di Evans è altrettanto importante di
quello di Davis.
Il loro lavoro univa le qualità di un provetto ed innovativo arrangiatore/compositore con le doti
straordinarie di un meraviglioso solista; a detta di molti, il sodalizio Evans/Davis si può considerare
come uno dei più produttivi della storia del jazz, paragonabile al binomio Ellington/Strayhorn, per
le ricadute a cascata che esso fu in grado di produrre su tutto il mondo del jazz e per il particolare
“tocco di Re Mida” che caratterizzò entrambi fino alla fine della loro carriera con il loro intuito
nello scoprire e lanciare intere generazioni di giovani musicisti.

1.3 da Miles in poi

Dal 1957 in poi Evans registrò anche numerosi dischi a suo nome, come il denso di riferimenti
impressionistici Big Stuff (1957, conosciuto anche come Gil Evans & Ten), New Bottle, Old Wine
(1958), Great Jazz Standards (1959) Out Of The Cool (1960), e The Individualism Of Gil Evans
(1964). Dal 1964 al 1969, Gil Evans sparì per un po’ dalla scena musicale realizzando solo un
album nel 1965 per il chitarrista Kenny Burrell dal titolo Guitar Forms e, nel 1966, uno speciale
“album latino” con la propria orchestra e la cantante brasiliana Astrud Gilberto intitolato Look The

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Rainbow. È di questo periodo la progettazione dell’album insieme a Jimi Hendrix che non vedrà
mai la luce a causa della morte del chitarrista nel 1970.
Quando riapparve in studio nel 1969, Evans aveva subito nel frattempo (come lo stesso Davis in
quel periodo) le influenze del free jazz e del rock; i suoi arrangiamenti lasciavano sempre più spazio
ai musicisti, e d’ora in avanti i suoi divennero sempre più “arrangiamenti aperti” con spazi indefiniti
per l’improvvisazione, strutture modificabili a piacere, e con l’inserimento di strumenti del tutto
inusuali come pianoforti elettrici, chitarre elettriche, bassi elettrici, sintetizzatori, percussioni. In
questo periodo vedono la nascita gli albums Blues in Orbit (1969/71) e Where Flamingos Fly
(1971).
Nel 1974 viene pubblicato per la RCA il disco The Gil Evans Orchestra Plays The Music Of Jimi
Hendrix; nel 1975 segue l’album There Comes A Time.
A partire dal 1984 la sua orchestra si esibisce regolarmente tutti i lunedì nel club Sweet Basil di
New York funzionando da straordinaria fucina di giovani talenti (tra i quali Lew Soloff, Hannibal
Marvin Peterson, David Sanborn, John Clark, Howard Johnson, i fratelli Randy e Michael Brecker,
Gil Goldstein). Nel frattempo l’orchestra è in tour in tutto il mondo; si reca due volte in Giappone
(dove si esibirà live con Jaco Pastorius) e nel 1987 è a Perugia con la popstar Sting.
Tra le ultime sue attività la registrazione dell’album “Paris Blues” in duo con Steve Lacy.
Gil Evans morì a Cuernavaca in Messico (nella stessa città dove si era spento nove anni prima
Charlie Mingus) il 20 marzo 1988 all’età di 75 anni.

2 - Gil Evans e l’arte dell’orchestrazione

Come si è detto molte delle conoscenze di Evans in fatto di orchestrazione derivavano dalla sua
precoce passione nel trascrivere minuziosamente non soltanto i soli degli artisti più famosi ma
anche gli impasti orchestrali e le disposizioni delle armonie. Un passo importante nella sua crescita
come arrangiatore fu certamente l’ingaggio con Thornhill, nel cui complesso figuravano personaggi
dotati di grande cultura musicale, provenienti non solo dal mondo del jazz ma anche dall’ambiente
della musica classica e delle orchestre cinematografiche come il cornista Sandy Siegelstein, il
clarinettista Danny Polo, il sax alto Lee Konitz, il basso tuba Bill Barber e l’arrangiatore George
Russell.
Evans era un “onnivoro” a livello di gusti musicali; particolarmente affascinato (come lo era stato
Bix Beiderbecke) dai compositori del post-impressionismo francese come Ravel, Délibes, Faurè,

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ma anche da De Falla, Chavez, Stravinsky. Le partiture di Evans di Miles Ahead sono una vera sfida
per gli esecutori, impegnati in passaggi con improvvisi salti di ottava, con strumenti gravi come il
trombone ed il sax baritono impiegati spesso nei registri acuti, una lezione questa derivata da
Strawinsky (ma anche da Gerry Mulligan). I sassofoni sono impiegati con grande parsimonia, per la
loro eccessiva caratterizzazione timbrica che tende fatalmente a predominare sul colore dell’intero
impasto (un problema molto sentito dai compositori di musica classica che hanno relegato il
sassofono in un ruolo marginale o in apparizioni episodiche nell’orchestra sinfonica). Al loro posto
vengono per lo più usati con grande varietà e fantasia, come nell’orchestra di Thornhill, i clarinetti
in sezione (compreso il clarinetto basso) i flauti (compreso il flauto contralto) e persino l’oboe ed il
fagotto. Una corposa sezione di ottoni con basso tuba, tromboni, trombe e due corni è il centro
dell’armonia, che non viene sorretta dalla classica sezione ritmica della bag band; il pianoforte e la
chitarra sono infatti spesso del tutto assenti, mentre il basso e la batteria svolgono una funzione
prevalentemente di “metronomo”.

Figura 18 – Evans e Davis in studio

Davis in studio appariva sempre serio e concentrato nel decifrare le partiture di Evans, che
rappresentavano non solo per lui ma per tutti i musicisti coinvolti una vera sfida. La continua
varietà dei ritmi nei background, i registri estremi degli strumenti usati in tutte le dinamiche
compresi i pianissimo e soprattutto l’assenza di vibrato (che presuppone una intonazione perfetta)
richiedevano musicisti di prim’ordine, e così erano sempre tutti i musicisti contattati da Evans per le
registrazioni; nonostante ciò lo scrupoloso Evans non mancava mai di spedire ad ogni musicista le
proprie parti qualche settimana prima delle registrazioni, con il nome del musicista scritto sulle
parti. In un modo di concepire la musica assai simile a quello del suo ispiratore Duke Ellington

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Evans scriveva infatti avendo in mente il preciso suono e le particolari capacità dell’uno o dell’altro
musicista, e alcuni di essi come il già più volte citato Bill Barber14 sarebbero stati per molti anni
punti di riferimento certi per i progetti di Evans.

3 - La session allo studio 61: “The Sound Of Miles Davis”

"There are many ways of telling a story. What you are listening to now, the music of
Miles Davis, is one of the ways. My name is Robert Herridge, and this is Studio 61 in
New York City - a theater for a story. For the next half hour, our story will be in the
music, the sound, of one man, Miles Davis. He will tell his story in his own way, and in
his own language, the language of music. The telling of it will fall into two parts. Part
one, the music written by Miles Davis he calls 'So What'..."

Così Robert Herridge15 il 2 aprile 1959 nello studio 61 della CBS di New York introduce
accompagnato dalle note dell’orchestra di Gil Evans quello che per molti versi può essere
considerato uno dei documenti filmati più straordinari della storia del jazz.
La registrazione dello show avvenne in un momento cruciale della carriera di Davis e degli altri
protagonisti: per la precisione fra le registrazioni di Porgy and Bess (1958) e Sketches of Spain
(1960) con Gil Evans e fra le due sessioni di registrazione con il proprio quintetto di Kind of Blue
(nella prima registrazione effettuata il 2 marzo 1959 vennero registrati So What, Freddie Freeloader
e Blue in Green; nella seconda che si tenne il 22 aprile All Blues e Flamenco Sketches)
Nel frattempo Bill Evans, presente in Kind of Blue, era già proiettato verso la ricerca della propria
personale carriera assieme a Scott La Faro e Paul Motian. Bill Evans viene rimpiazzato in questa
occasione da Winton Kelly (in Kind of Blue presente su Freddie Freeloader).
Coltrane era in procinto di registrare (il mese dopo, il 4 e 5 maggio 1959) le tracce principali di
Giant Steps , ma una prima take era stata già effettuata nel marzo di quell’anno. La brillantissima
tecnica mostrata durante il suo assolo ci mostra in quale incredibile “stato di grazia” egli fosse in
quel periodo di intenso studio.

14
William Barber (1920), diplomato alla Julliard School, suonatore di basso tuba ed occasionalmente anche di flauto
traverso e contrabbasso. Ha collaborato tra gli altri con Gerry Mulligan, Coltrane, Gil Evans e Miles Davis.
15
Robert Herridge produttore televisivo, scrittore e giornalista. Lavorò come produttore alla CBS per la produzione
di molti spettacoli televisivi e in particolare di molte trasmissioni legate al jazz.

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I brani contenuti nel video:

1. So What (M. Davis) durata 10:29


2. The Duke (Dave Brubeck) durata 3:29
3. Blues for Pablo (Gil Evans) durata 5:46
4. New Rhumba (Ahmad Jahmal) durata 4:27

Figura 19 – la formazione dell’orchestra di Evans sulla lavagna dello studio 61

Sulla lavagna presente in studio è documentata la seguente formazione:


Trombe: Miles Davis, Ernie Royal, Louis Mucci, John Coles, Emmett Berry, Clyde Reasinger
Corni : Julius Watkins, Robert Northern
Tromboni: Frank Rehak, Jimmy Cleveland, Bill Elton, Rod Levitt
Tuba: Bill Barber
Fiati (Woodwinds): John Coltrane, Romeo Penque, Danny Bank, Ed Caine
Basso: Paul Chambers
Batteria: Jimmy Cobb

Per la precisione Davis suona il flicorno oltre alla tromba (in “The Duke”), Romeo Penque ed
Eddie Caine sono impiegati al flauto e al clarinetto (Penque anche all’oboe in “New Rumba”),
Danny Bank al flauto e al clarinetto basso. Rod Levitt suona un trombone a pistoni. Cannonball
Adderley saltò la registrazione per via di un’emicrania, il che spiega forse perchè Davis faccia due
soli in “So What” sia prima che dopo l’assolo di Coltrane.

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Winton Kelly suona solamente con il quintetto in “So What”, mentre tace durante il set orchestrale.
Coltrane suona il sax tenore nel quintetto ed il sax alto (v. cap. 7) con l’ensemble.

Nella versione completa di “So What” i trombonisti Rehak, Cleveland ed Elton suonano gli
obbligati sotto il secondo solo di Davis e nel chorus di chiusura.

La trasmissione andò in onda il 21 luglio 1960.

4 - Analogie e differenze con la versione discografica di “So What”

l’introduzione del brano consiste in una esatta trascrizione delle prime battute di pianoforte di Bill
Evans così come compaiono nell’album “Kind of blue” da cui è tratto il brano in questione. La
seguente è una trascrizione16 del frammento in questione.

16
Esiste una trascrizione dell’intero disco “Kind of Blue” pubblicata di recente dalla SONY Music, ma (nonostante sia
apprezzabile la mole di lavoro svolto) essa non è del tutto attendibile per via di diversi errori ed inesattezze. Ho
preferito affidarmi per questo e per gli altri esempi al mio personale orecchio e all’analisi delle frequenze condotta su
diversi formati di registrazione.

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Figura 20 – le prime battute di “So What” nella versione di “Kind of blue”

I punti indicati con l’asterisco (*) contengono alcune particolarità di esecuzione; alla battuta 2 Bill
Evans entra leggermente in ritardo rispetto a Chambers, “appoggiando” la nota un modo comunque
molto musicale e non fastidioso; nella battuta successiva Chambers parte con un LA bemolle
anziché con un SOL, risolvendo velocemente sulla nota giusta. L’ultima nota del basso di battuta 6
è molto crescente (quasi un mi bemolle), che resta abbastanza indefinito fino a metà della battuta
successiva dove l’intonazione sembra stabilizzarsi17.

17
Tali piccole imprecisioni, trascurabili all’ascolto, derivano forse dal fatto ben noto che Davis non fece sessioni di
prova per “Kind of Blue”, presentandosi con i brani lo stesso giorno della registrazione; le registrazioni sono quindi
quasi delle prime letture, con tutte le inevitabili piccole “incertezze” del caso. Incertezze comunque trascurabili,
trattandosi di grandissimi musicisti; la freschezza e la spontaneità della registrazione sono un “valore aggiunto” di
questo disco che contribuisce largamente alla sua fama di capolavoro assoluto della storia del jazz. Il disco originale per
problemi tecnici era leggermente crescente nell’intonazione; la versione discografica cui ho fatto riferimento è la “gold
edition” in cui è stato ristabilito il pitch corretto.

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33
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(nella pagina precedente):


Figura 21 – Ricostruzione dell’arrangiamento di Gil Evans dell’ introduzione di “So What”, da “The Sound of
Miles Davis”

Il possibile “scoring” del brano in questione trascritto nella pagina precedente è desunto anche
dall’analisi attenta del filmato: in effetti le trombe non suonano durante l’intro, mentre un
trombonista (probabilmente Frank Rehak) si alza dalla sua postazione nella sezione dei tromboni
per raggiungere il quintetto di Davis (i tromboni impegnati sono quindi due, più il trombone a
pistoni di Rod Levitt, strumento più indicato del trombone a coulisse per raddoppiare all’ottava
superiore il basso tuba di Bill Barber). Evans dirige con enfasi rivolto verso il lato sinistro
dell’orchestra dove sono posizionati i woodwinds; il sax alto di Coltrane è chiaramente
distinguibile, così come il flauto che raddoppia la melodia ed il “coro di clarinetti”. La parte
centrale dell’armonia si appoggia sulla sonorità dei due corni impiegati nel registro medio-acuto; la
loro sonorità domina su tutto il frammento orchestrale. Le triadi in secondo rivolto caratteristiche di
questa intro nonché watermark di “So What” (i“So What chords”) sono distribuiti generalmente
affidando la voce superiore (la terza dell’accordo) a flauto, clarinetto e corno (ad eccezione molto
probabilmente della prima battuta in cui il corno sarebbe in un registro troppo alto), la fondamentale
(voce interna dell’accordo) a sax alto, secondo clarinetto e secondo corno, i bassi distribuiti fra i
restanti ottoni con il basso tuba all’estremità grave.
Dal punto di vista formale, Evans compie un’operazione di “ripulitura” del materiale desunto dal
disco originale, cosa per lui abitudinaria; nella sua versione del brano “New Rhumba” di Ahmad
Jahmal il suo score tiene conto non solo del voicing pianistico di Jahmal nella sua originale
versione in trio, ma anche delle sue citazioni durante l’assolo, diligentemente trascritte (o
meglio”reinventate”) per la tromba di Davis. Infatti della originale versione del brano Evans
mantiene intatti i punti essenziali, ma rende più chiara la struttura eliminando il passaggio di
contrabbasso solo della nona e decima battuta e stabilendo MI bemolle come nota grave conclusiva
prima dell’enunciazione del tema sempre curata dal basso di Chambers.

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5 - Raffronto comparato dell’assolo di Miles Davis in “So


What”
“Il motivo per cui Davis è grande? un sacco di altri musicisti non fanno altro che
guardarsi attorno per sentire cosa stanno facendo gli altri e preoccuparsi di essere nel
giusto stile… Miles si fida del proprio gusto musicale, e va dritto per la sua strada”18

Risulta particolarmente interessante confrontare i due soli di Davis su “So What”, quello relativo
alla master track inserita in “Kind of blue” e quella del filmato in esame; è bene ricordare che fra le
due registrazione intercorre un brevissimo lasso di tempo, esattamente un mese (la prima session di
Kind of Blue fu fatta il 2 marzo 1959, mentre The Sound Of Miles Davis fu registrato il 2 aprile).

N.B. la trascrizione è in note reali.

18
Intervista a Gil Evans di Nat Hentoff sulla rivista Esquire, 1959

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37
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(nelle pagine precedenti):


Figura 22 – i due soli di “So What” di Miles davis

Il brano in questione rappresenta una sorta di “manifesto” del jazz modale; le prime sedici misure
sono in tonalità di RE minore; a queste sedici misure segue un bridge di otto misure in MI bemolle
minore, per concludersi nuovamente in tonalità di RE minore. La struttura è un classico A-A-B-A di
32 misure che lo rende simile (solo in apparenza) ad una classica forma – canzone. Le scale
prevalentemente usate nella realizzazione degli accordi di settima minore che compongono il brano
sono scale doriche, vale a dire scale minori naturali con il sesto grado alzato di un semitono (il SI
naturale anziché il SI bemolle nella scala di RE minore, il DO naturale anziché il SI naturale nella
scala di MI bemolle minore). Tale scala corrisponde alla serie degli intervalli a partire dal secondo
grado della scala maggiore (dove risiede anche l’accordo di RE minore settima in tonalità di DO
maggiore) l’accordo di MI bemolle minore che compare alla diciassettesima battuta non ha tuttavia
alcun collegamento né con la scala dorica di RE né con la tonalità di DO maggiore; è in effetti un
vero e proprio cambio improvviso di tonalità, o meglio uno “slittamento” tonale che sposta l’asse
armonico nel suo complesso senza alcuna preparazione (senza cioè nessuna modulazione che porti
con una progressione di accordi alla nuova tonalità). Si può dire che il brano in questione è
“politonale” per la presenza di due tonalità distinte al suo interno, anche se la tonalità di impianto è
indicata per comodità come RE minore. Il brano è puramente modale in quanto si avverte che gli
accordi minori e le scale da essi derivate non sono concepiti come rivolti della scala maggiore, ma
come centri tonali a sé stante. In questo sistema gli esecutori non si curano del modo in cui sono
collegati gli accordi, ma semplicemente del loro colore e delle possibili scale alternative che
possono essere utilizzate su di essi19; una concezione questa molto simile ai fondamenti della
musica classica indiana (che è sostanzialmente priva di collegamenti armonici) conosciuta all’epoca
negli USA grazie al sitarista Ravi Shankar, e che sarà ampiamente seguita e sviluppata da Coltrane
in brani come “My Favorite Things” e in album memorabili come “A love supreme”.
In una struttura come questa il solista può concentrarsi al massimo su sfumature ritmiche e
timbriche impercettibili; l’understatement tipico di Davis trova in questi ampi spazi il terreno per
esprimersi al massimo grado, giocando su microvariazioni a volte impercettibili di una medesima
cellula melodico – ritmica.

19
Jamey Aebersold molto semplicemente distingue fra “collegamenti tonali” e “collegamenti non tonali” intendendo
con quest’ultimo termine i cambi improvvisi a tonalità lontane effettuati senza progressioni modulanti di preparazione.

38
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Figura 23 – esempio 1

Figura 24 – esempio 2

In questi grandi spazi dominati dalla presenza di un unico accordo - tonalità, l’arrivo improvviso di
un accordo estraneo rappresenta una notevole difficoltà per l’improvvisatore che deve da un lato

39
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seguire con molta attenzione lo scorrimento temporale delle battute senza perdersi, dall’altro deve
trovare il modo di collegare tra loro a livello melodico ciò che non viene affatto collegato a livello
armonico nel cambio degli accordi. Nel solo B, registrato come si è detto ad un mese di distanza
dalla prima session di “kind of blue”, i “punti di sutura” tra i due centri tonali sono affrontati da
Davis con maggiore sicurezza, e si può dire che tutto il solo dà un’ impressione di maggiore
scorrevolezza e fluidità.

Figura 25 – esempio 3

nell’esempio sopra riportato, tratto dal solo B, il LA naturale di battuta 15 e 16, quinto grado
dell’accordo di RE minore, viene elegantemente risolto con un abbassamento di semitono; il LA
bemolle delle battute seguenti altro non è che l’undicesima dell’accordo di MI bemolle minore
seguente. Un modo di risolvere la melodia derivato dal bebop, ma utilizzato qui in una forma del
tutto nuova.

Figura 26 – esempio 4

In questo ulteriore esempio, sempre tratto dal solo B, lo spostamento cromatico da un accordo
all’altro viene seguito con precisione dalla melodia; il MI naturale (nono grado dell’accordo di Re
minore) che è la nota guida della frase conclusiva della sezione, “risolve” salendo di mezzo tono
anch’esso insistendo su un FA naturale, anch’esso nono grado rispetto all’accordo di MI bemolle
minore.
Per quanto riguarda l’impostazione generale degli assoli, si può affermare che mentre il solo del 2
marzo 1959 è in generale di impianto “verticalistico”, il secondo assolo è prevalentemente giocato
sull’uso delle scale, con una idea più “orizzontale” dello svolgersi della melodia.

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6 - “The Duke” e “Orchestral Sketches”

“Non tengo nessuno dei miei dischi. Non sopporto di ascoltarli una volta finiti. Gli
unici che ho davvero voglia di riascoltare sono quello che ho appena fatto con Gil
Evans, Miles Ahead, quello che ho registrato con J.J. (Johnson, n.d.r.) nella mia
session della Blue Note quattro anni fa e una registrazione fatta con Charlie Parker” 20

la seconda parte dello show presentato da Robert Herridge si apre con il brano “The Duke” di Dave
Brubeck, tratto da “Miles Ahead” del 1957. seguono altri due brani, precisamene Blues for Pablo
di Gil Evans e New Rumba di Ahmad Jahmal, sempre da “Miles Ahead”. Nello stile dell’album
omonimo, i brani sono uniti senza soluzione di continuità in una suite che presente interessanti
variazioni rispetto all’originale score. Nell’edizione in VHS del 1991 del filmato, edita dalla
Warner Music, tale suite viene genericamente (ed erroneamente) denominata “Orchestral sketches
N° 1 & 2”.

Nell’esempio seguente ho inserito lo score delle prime otto battute del tema di The Duke, tema
affidato (come confermato dalle note di Bill Kirchner in “Miles Davis & Gil Evans: the complete
studio recordings”) ad un quartetto composto da flicorno, sax contralto, trombone e bassotuba, con
il contrabbasso e la batteria impiegati solo a sorreggere la scansione ritmica in 4/4 del brano.

20
Miles Davis, “Self portrait of the artist”, dipartimento stampa, Columbia Records, 26 novembre 1957

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(nella pagina precedente):


Figura 27 – le prime battute del tema di “The Duke” nell’orchestrazione di Gil Evans

7 - “Blues for Pablo”

Blues for Pablo rappresenta senza dubbio uno degli esempi più alti della scrittura di Evans; come il
seguente New Rhumba era già stato inserito in Miles Ahead e derivava da un arrangiamento scritto
nel 1952 per un disco del tentetto di Hal Mc Kusick (dove compariva un altro original di Evans,
Jambangle). il brano in questione focalizza l’attenzione sulla tecnica di arrangiamento di Evans,
descritta da molti commentatori con il termine “ricomposizione”. Il critico musicale Max Harrison
fece notare che “le idee musicali di “Blues for Pablo” derivano da una linea melodica presente nel
balletto “El sombrero de los tres picos” di Manuel De Falla e da una canzone popolare messicana
compresa in runa raccolta curata dal compositore Carlos Chavez.”21
Quello che Evans crea con questo materiale è comunque qualcosa di totalmente originale: una
sintesi di elementi spagnoli e messicani in comunione con il blues, con frequenti deviazioni dalla
consueta forma in dodici battute. Questa versione di “Blues for Pablo” ricalca fedelmente quella di
Miles Ahead, la quale a sua volta è una rielaborazione della versione scritta per il tentetto di Hal Mc
Kusick. Rispetto a quest’ultima però le tonalità sono differenti e così pure l’orchestrazione, per
evidenti motivi qui “allargata” per la band di 19 elementi.

21
cit. da Bill Kirchner in“Miles Davis & Gil Evans: the complete studio recordings”,Columbia/Legacy

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Figura 28 - la prima pagina dell'arrangiamento di "Blues for Pablo"

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8 - “New Rhumba”

Per apprezzare completamente “New Rhumba” occorre confrontarla con la versione originale del
1955 di Ahmad Jahmal eseguita da Jahmal in trio con il chitarrista Ray Crawford ed il bassista
Israel Crosby nel disco “Chamber Music of the new jazz” del 1955 (LP Argo 602).
L’arrangiamento di Evans mantiene pressoché inalterato quello di Jahmal; in un certo senso, Evans
non ha fatto altro che trascrivere le voci del trio per l’ensemble di 19 strumenti. Nella loro versione,
Davis ed Evans tengono conto persino degli assoli originali di Jahmal e Crawford; la citazione di
Davis del brano “Put your little foot right out” (in origine un valzer bandistico del compositore
Larry Spier, registrato da Davis con il titolo “Fran Dance” nel 1958 fra i primi “take” per “Kind of
blue”) per esempio, è una eco del solo di Jahmal. Nell’orchestrazione del brano in “Miles Ahead” è
presente un oboe (suonato da Romeo Penque) presente anche nella session dello studio 61.

9 - Coltrane in una veste inedita al sax contralto

Una caratteristica tipica degli arrangiamenti di Evans che i credits sulla famosa lavagna all’inizio
del filmato tralasciano di sottolineare è che i sassofonisti coinvolti sono tutti chiamati a suonare più
di uno strumento; vediamo infatti distintamente nel filmato Romeo Penque al flauto, musicista che
era abilissimo nel suonare una mezza dozzina di strumenti a fiato inclusi gli strumenti ad ancia
doppia come oboe e fagotto. Nella sezione delle “ance” (sulla lavagna indicata per brevità
semplicemente woodwinds) sentiamo distintamente il suono del clarinetto basso, usato al posto del
sax baritono e spesso inserito in una sezione di clarinetti. Dalla prassi del “doubling”22, comune per
gli arrangiatori dell’epoca e abitudinaria per Evans già dai tempi della sua militanza con Claude
Thornhill (il “doubling” era peraltro già ampiamente praticato sia per scelta che per necessità di
budget anche nelle orchestre di Fletcher Henderson e Jimmy Lunceford) non è esente nemmeno
Coltrane, che nell’intera sessione con l’orchestra di Gil Evans non solo non si esibisce in assolo
lasciando tutto lo spazio al duetto “mentale” Evans – Davis, ma si inserisce diligentemente in
sezione utilizzando negli ultimi brani il sassofono contralto! Questo strano ruolo di Coltrane viene
documentato solo da pochi fotogrammi all’inizio e verso la fine del set, dove Trane è ripreso in
secondo piano nella stessa inquadratura di Davis, durante l’esecuzione di “New Rhumba” di Ahmad
Jahmal.

22
Henri Mancini dedica al “doubling” un intero capitolo del suo metodo di arrangiamento Sound and Scores,
descrivendo con minuzia di particolari i livelli di difficoltà nel passare da uno strumento all’altro e sistemi (al giorno
d’oggi sorprendenti) per adattare le imboccature sostituendo con bocchini ad ancia semplice modificati le ance doppie
di oboe, fagotto e corno inglese.

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Figura 29 – Coltrane al tenore durante l’assolo di “So What”

Figura 30 – John Coltrane al sax alto

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Dal raffronto dei due fotogrammi risulta inequivocabile il cambio di strumento operato da Coltrane;
anche tenendo in considerazione la diversa inquadratura è evidente la differente lunghezza e
angolatura del “chiver” dello strumento e la diversa postura di Coltrane che appare con la testa
leggermente più piegata in avanti. Il bocchino che usa sul contralto è di metallo; risulta
estremamente difficile identificarlo ma non sembra avere la fascetta a vite caratteristica
dell’Ottolink. Si tratta probabilmente di un “Soloist” della Selmer, bocchino in voga all’epoca,
capace di grande proiezione ma con il quale è possibile ottenere un suono molto controllato, come
richiesto dagli arrangiamenti di Evans. Non esistono molte altre documentazioni di Coltrane al sax
alto, strumento su cui aveva condotto gli studi negli anni del college. Nel sound complessivo
dell’orchestrazione evansiana si può tuttavia con un poco di attenzione discernere chiaramente il
suono del contralto di Coltrane, inserito in modo da armonizzare la lead voice della tromba con un
suono meno “competitivo” di quello del sax tenore. Probabilmente comunque il vero motivo di
questo insolito ruolo di Coltrane all’interno dell’orchestra è la mancata partecipazione alla
registrazione dello show di Cannonball Adderley, ufficialmente assente per via di una fore
emicrania. Coltrane supplisce comunque egregiamente nel ruolo assegnatogli da Evans, mostrando
di essere davvero ”completo” come musicista come ampiamente dimostrato nel corso della sua
purtroppo non abbastanza lunga carriera.

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Fonti e bibliografia

 Miles Davis e Quincy Troupe, “Miles” – ed. Minimum Fax


 Jack Chambers, Milestones, The Music and Times of Miles Davis, Da Capo Press, 1998
 The Soundies Book: A Revised and Expanded Guide (2007) by Scott MacGillivray and Ted
Okuda
 Ian Carr, Miles Davis. The definitive, exhaustively researched biography, Harper Collins, 2a
ed., 1999
 Ashley Kahn, Kind of blue, Il saggiatore, 2003
 Arrigo Polillo, Jazz – La vicenda e i protagonisti della musica afro-americana, Mondadori,
1975.
 Luca Cerchiari, Miles Davis, Mondadori, 2006

Riferimenti discografici

 Miles Davis & Gil Evans, The complete studio recordings, Columbia/Legacy
 Miles Davis, The complete birth of the cool, Capitol
 Miles Davis, Kind of Blue, Columbia

Siti web

 "Soundies - A Musical History, Hosted by Michael Feinstein",


http://www.soundiestv.com/
 Nigel Bewley, "Soundies - A new form of Entertainment",
http://www.1940.co.uk/history/article/soundie/soundie.htm

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Indice delle illustrazioni

Figura 1 - Hattie Mac Daniel ...............................................................................................................6


Figura 2 – Hattie Mac Daniel sul set di “Via col vento” (con Olivia De Havilland e Vivien Leigh) .6
Figura 3 - “Little Black Sambo”, Castle Films 1933 ...........................................................................7
Figura 4 – Betty Boop, “Making stars”, Dave Fleischer 1932 ............................................................7
Figura 5 - “Coal Black and de sebben dwarfs”, Warner Brothers .......................................................8
Figura 6 - "Coal Black and de sebben dwarfs", Warner Brothers .......................................................8
Figura 7 - Louis Armstrong, "You rascal you", 1932 ..........................................................................9
Figura 8 – la “Panoram” del 1940......................................................................................................11
Figura 9 – George Shearing ...............................................................................................................12
Figura 10 – Nat “King” Cole .............................................................................................................12
Figura 11 – Parker e Gillespie in “Hot House”..................................................................................14
Figura 12 – “Jammin’ the blues”, titoli di testa (1)............................................................................16
Figura 13 – “Jammin’ the blues”, titoli di testa (2)............................................................................16
Figura 14 – “Jammin’ the blues” (Lester Young)..............................................................................16
Figura 15 – un fotogramma della trasmissione “The sound of jazz” – da sinistra: Billie Holiday,
Lester Young, Ben Webster, Gerry Mulligan ............................................................................17
Figura 16 - Claude Thornhill .............................................................................................................21
Figura 17 - le prime battute dello score di "Snowfall" di Claude Thornhill ......................................22
Figura 18 – Evans e Davis in studio ..................................................................................................28
Figura 19 – la formazione dell’orchestra di Evans sulla lavagna dello studio 61 .............................30
Figura 20 – le prime battute di “So What” nella versione di “Kind of blue” ....................................32
Figura 21 – Ricostruzione dell’arrangiamento di Gil Evans dell’ introduzione di “So What”, da
“The Sound of Miles Davis”......................................................................................................34
Figura 22 – i due soli di “So What” di Miles davis ...........................................................................38
Figura 23 – esempio 1........................................................................................................................39
Figura 24 – esempio 2........................................................................................................................39
Figura 25 – esempio 3........................................................................................................................40
Figura 26 – esempio 4........................................................................................................................40
Figura 27 – le prime battute del tema di “The Duke” nell’orchestrazione di Gil Evans ...................43
Figura 28 - la prima pagina dell'arrangiamento di "Blues for Pablo"................................................44
Figura 29 – Coltrane al tenore durante l’assolo di “So What”...........................................................46
Figura 30 – John Coltrane al sax alto.................................................................................................46

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Indice

Prima parte: il jazz filmato...................................................................................................................3


1 - Il jazz come forma d’arte visuale................................................................................................3
2 - Estetismo ed edonismo nel jazz.................................................................................................4
3 – Il jazz filmato; jazz, cinema e cartoon .......................................................................................5
4 – Alcuni tra i più importanti reperti storici del jazz filmato .......................................................10
4.1 I “Soundies” .........................................................................................................................10
4.2 I primi videoclips televisivi; gli “Snader telescriptions” .....................................................11
4.3 I riversamenti amatoriali da tv a pellicola............................................................................13
4.4 “Jammin’the blues”..............................................................................................................14
4.5 “The Sound of Jazz” ............................................................................................................17
4.6 “Jazz on a Summer’s Day” ..................................................................................................19
4.7 “On the road with Duke Ellington”......................................................................................20
Seconda parte – “The Sound Of Miles Davis” ..................................................................................21
1 – Gil Evans negli anni di Davis ..................................................................................................21
1.1 gli inizi .................................................................................................................................21
1.2 Birth of the cool ...................................................................................................................24
1.3 da Miles in poi......................................................................................................................26
2 - Gil Evans e l’arte dell’orchestrazione.......................................................................................27
3 - La session allo studio 61: “The Sound Of Miles Davis” ..........................................................29
4 - Analogie e differenze con la versione discografica di “So What” ...........................................31
5 - Raffronto comparato dell’assolo di Miles Davis in “So What” ...............................................35
6 - “The Duke” e “Orchestral Sketches”........................................................................................41
7 - “Blues for Pablo”......................................................................................................................43
8 - “New Rhumba”.........................................................................................................................45
9 - Coltrane in una veste inedita al sax contralto ...........................................................................45
Fonti e bibliografia.............................................................................................................................48
Riferimenti discografici .....................................................................................................................48
Siti web ..............................................................................................................................................48
APPENDICE - Sito web esterno.......................................................................................................51

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APPENDICE - Sito web esterno

I materiali video analizzati in questa pubblicazione, e molti altri, si possono consultare sul
seguente sito web:

https://5e562d80093d6.site123.me/

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