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L’esperienza della psicoanalisi è diversa da quella educativa, perché comporta

l’esistenza di ferite che devono essere curate, di esperienze che sono state rimosse e
piombate nell’inconscio.
L’esperienza scolastica è un’esperienza significativa e il bambino che va a scuola ha
desiderio di vivere una bella esperienza: paure + aspettative positive (cioè, desidera
andare bene a scuola, vivere esperienze interessanti, è ansioso di apprendere). Gli
elementi per creare una buona relazione educativa ci sono, ma le aspettative
positive devono essere riconosciute e ricambiate. Il bambino inizia con transfert
positivi verso la scuola, le insegnanti e i compagni. Il bambino generalmente è
contento di andare a scuola, ovviamente se ben supportato dalla famiglia, che non
dovrebbe fare “terrorismo” sulla fine dell’infanzia e dei giochi. Ad es. in passato
l’esperienza scolastica era descritta come un percorso difficile ed impegnativo 🡪
aspettative ambivalenti e conflittuali, ansiose e francamente negative. Questo
soprattutto nelle classi sociali basse, con genitori non scolarizzati che non erano
quindi in grado di supportare l’esperienza scolastica. Adesso l’esperienza scolastica
può essere descritta come piacevole e gratificante, e le famiglie di oggi sono meglio
in grado di aiutare i bambini.
Il problema è che le insegnanti devono essere in grado di rispondere a questi
transfert positivi; molti insegnanti non li riconoscono e anzi, ne sono infastiditi. Ad
es. il bambino a cui piace andare a scuola ma non è in grado di stare seduto al banco
🡪 deve essere aiutato ad imparare a stare in aula in un clima di tolleranza, invece che
semplicemente essere sgridato; e se le cose che impara lo interessano invece che
annoiarlo impara anche più facilmente a stare seduto. Clima di accoglienza e
tolleranza = gradualità dell’inserimento. Le insegnanti rischiano di compromettere
transfert positivi perché non sono tolleranti nei confronti di manifestazioni di questo
tipo, che sono il risultato della discontinuità tra scuola dell’infanzia e primaria.
Anche i bambini vivono il fenomeno della resistenza, relativamente
all’apprendimento. Non tutte le materie, non tutti gli argomenti, non tutti gli
insegnanti sono interessanti allo stesso modo. Crescere significa vincere sfide
interessanti ma anche confrontarsi con ostacoli che sembrano insormontabili. Alcuni
insegnanti non si sentono capace di agevolare il bambino quando vive queste
resistenze e si limitano a prenderne atto. È necessario invece comprendere i
transfert negativi di resistenza verso un certo apprendimento o tipo di esperienza,
capire da cosa sono provocati ed aiutare gli allievi a scioglierli. Gli insegnanti
percepiscono le difficoltà degli allievi, ma le liquidano come poca voglia di studiare,
assenza di predisposizione.
Gli insegnanti sono quindi poco aperti nei confronti dei transfert provenienti dai loro
allievi. Perché? Perché gli insegnanti stessi fanno transfert verso gli studenti (come i
genitori verso i loro figli 🡪 molti genitori hanno aspettative così grandi nei loro figli da
descriverli ancora prima che nascono o appena nati gli assegnano somiglianze o
ruoli; però in questo modo quando il bambino esprime dei transfert di resistenza
verso quei ruoli non sono in grado di riconoscerli). Ad es. nelle scuole alcuni bambini
sono considerati dislessici perché i genitori sono dislessici 🡪 transfert negativo da
parte dell’insegnante (“Non mi piace come scrive, è dislessico”).
Aggettivi utilizzati da maestre per descrivere allievi problematici: chiacchierone,
irrequieto, pigro, assente, svogliato, sfrontato, agitato, maleducato, fastidioso, lento,
distratto, aggressivo, violento, antipatico, brutto, sporco, cattivo 🡪 il bambino
problematico diventa il “nemico”, un’idea persecutoria che l’insegnante spesso si
porta anche a casa e diventa fronte di grande stress. L’insegnante vive sé stesso
come vittima: non dipende da lui risolvere il problema; quindi, si limita a subirla
invece che a gestirla. In realtà in questo momento si è in difficoltà, e bisogna
imparare a gestirla (con o anche senza aiuto) perché si tratta di una difficoltà
professionale. Non bisogna limitarsi a descrivere il comportamento, ma è necessario
capirne le ragioni; non bisogna basarsi solo sulle proprie reazioni emozionali (che
esistono, sono normali da avere ma sono inadeguate da esprimere in una relazione
educativa) 🡪 l’importante è comprendere che si sta ricevendo un transfert negativo
dal bambino.
Il transfert fatto dall’adulto verso il bambino è spesso veicolo di disconferme,
ingiunzioni paradossali ed effetto pigmalione negativo. Bisogna invece riconoscere i
transfert provenienti dallo studente: i bambini portano a scuola le esperienze
domestiche e credono che sia normale comportarsi a scuola così come ci si
comporta a casa (transfert). Transfert gestito come rapporto di potere 🡪 l’educatrice
insiste che a casa si viva secondo le stesse regole che vigono a scuola. Bisogna invece
imparare a leggere comportamenti “provocatori” o “insoliti” come possibili transfert
del vissuto domestico. Alcuni transfert sono più importanti di altri, e possono essere
espressione di serie difficoltà, legate all’apprendimento o al contesto familiare. Ad
es. il bambino è bravo e impara ma va male nelle verifiche 🡪 sono i genitori che
hanno un vissuto scolastico problematico che diventano ansiosi quando il bambino
ha verifiche.
Alcuni transfert vengono dall’inconscio, altri dal preconscio o anche da contenuti
consci.

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