Sei sulla pagina 1di 22

GEOMORFOLOGIA CULTURALE

CAPITOLO 2. L’IMMAGINE DEL MONDO


2.1 BREVE STORIA DELLA CARTOGRAFIA
1. La storia della cartografia non è caratterizzata da un progresso continuo, ma da fasi progresso e di stato,
alle volte anche di regressione. Le prime testimonianze protostoriche di rappresentazione della terra si
hanno in epoca sumera, babilonese ed egizia, dopo le prime vere figurazioni rupestri, e consistevano in
rudimentali schizzi di percorsi terrestri o di rotte marine. La mappa più antica è la Mappa di Bedolina, II-III
millennio a.C.
2. La prima carta geografica è attribuita ad Anassimandro di Mileto, filosofo greco del VI secolo a.C:
rappresenta tutto l’ecumene allora conosciuto su un disco piatto, suddiviso dal mar Adriatico e contornato
dal grande Oceano. Pitagora, successivamente, ammette la sfericità della Terra. Eratostene dedusse la
circonferenza della terra dal confronto tra le osservazioni meridiane del Sole al solstizio d’estate in due
località, quali Alessandria e Siene. Ipparco di Nicea ipotizzò la Terra come sferica e immobile;
successivamente Claudio Tolomeo formulò la teoria geocentrica nel 100-170 d.C. e scrisse il libro
Geographia con una prima formulazione scientifica cartografica, mentre Aristillo scoprì il fenomeno della
precessione degli equinozi.
3. Ai romani, invece, interessò soprattutto sviluppare cartine dei tracciati e delle strade da loro percorse per
tenere il conto delle terre conquistate. Le carte avevano dunque uno scopo militare, amministrativo e
pratico. L’unico documento è una riproduzione medievale di un frammento della Tabula Peuntingeriana,
risalente al VI secolo d. C. Importante Strabone che fa un trattato sull’Europa occidentale, l’Asia e l’Egitto;
ipotizza l’orogenesi grazie al ritrovamento di conchiglie sulle montagne; realizza un globo in cui le terre
emerse occupano ¼ del volume (in realtà ne occupano 1/3).
4. Alto Medioevo: dimenticanza della concezione tolemaica per una visione basata sulle concezioni
cristiane. Le carte derivano dalle speculazioni cosmogoniche e da vincoli religiosi; tipici i disegni del tipo T in
O (S. Girolamo, IV secolo, rappresentazione dei luoghi biblici).
5. Basso Medioevo: nascita di una vera produzione europea, con prevalenza di carte nautiche e portolani; si
ricordi il Portolano Normale e l’Atlante Catalano del 1375.
6. Cinquecento: teoria eliocentrica di Copernico (appoggiata da Galilei), nuove teorie metodologiche di
rappresentazione e sviluppo di strumenti nuovi. Da qui in poi si hanno le prime vere carte geografiche
riproducenti in modo accettabile la superficie terrestre in scala. Metà del secolo, Toscanelli elabora un
Mappamondo. Nel 1569 nasce la cartografia moderna con Gerardo Kremer, il Mercatore che per primo fece
uso di una proiezione cartografica cilindrica per la creazione di un mappamondo, nota come proiezione di
mercatore. 1570: Theatrum Orbis Terrarum, primo atlante interamente moderno. Per tutto il Rinascimento,
in ogni caso, vi è la commistione fra riproduzioni geografiche ed arte, cartografia come arte paesaggistica.
7. XVII secolo: nuova metodologia di rappresentazione della Terra grazie a Van Royen per ideazione del
metodo della triangolazione per misurare l’arco di meridiano.
8. Isaac Newton scopre la legge di gravitazione universale che porta alla definizione della forma della Terra.
9. Successivamente si avrà il proliferare di strumenti sempre più precisi e, a metà del XIX secolo, verranno
introdotte le curve isoipse. Quasi tutte le nazioni europee cercheranno di fornirsi buone carte topografiche
(importante la Carte Geometrique de la France). Sempre in questo secolo si ha un’intensa opera di
revisione critica dei documenti esistenti, si affinarono le tecniche di riproduzione e di rappresentazione
grafica.

2.2 LE CARTE GEOGRAFICHE


La carta geografica è una rappresentazione:
1. Ridotta, fa uso di un scala (numerica o grafica), valore della riduzione, che è il rapporto fra le
lunghezze misurate e le lunghezze reali. Le misure delle distanze sono riferite a distanze
planimetriche. La classificazione delle carte in base alle scale le suddivide in: piante o mappe
(inferiori a 1:10.000, carte topografiche (tra 1:10.000 e 1:100.000), carte corografiche (fino a
1:1.000.000), carte geografiche (tutte le carte con scala inferiore di 1:1.000.000;
2. Approssimata perché è inevitabile una deformazione di un geoide su un piano. Si utilizzano delle
proiezioni geografiche;
3. Simbolica, si serve di segni convenzionali per la rappresentazione.
Le carte possono essere poi rilevate (create direttamente dalle basi del territorio) o derivate (quando
ottenute dall’elaborazione delle rilevate; l’elaborazione prevede: lo spoglio dei particolari superflui, la
generalizzazione e la semplificazione dei simboli rimasti, il completamento con aggiornamenti e
informazioni, e la riduzione in scala). Infine le carte possono essere suddivise in carte generali
(rappresentazioni caratteristiche naturali del rilievo, aspetti politici) e carte tematiche (trattano un
particolare tema) che sono tutte derivate.
 Nel 1946, l’Italia ha adottato la rappresentazione conforme di Gauss, detta cilindrica trasversa di
Mercatore.
2.2.3 I Sistemi Informativi Territoriali (SIT-GIS)
Sono intesi come strumento di raccolta, gestione e analisi dei dati spaziali. La caratteristica fondamentale
dei SIT è la capacità di georeferenziare i dati, ovvero di attribuire ad ogni elemento le sue coordinate
spaziali reali, quindi le coordinate di un oggetto sono memorizzate secondo le coordinate del sistema di
riferimento in cui è realmente situato l’oggetto. Essi permettono di realizzare Modelli Digitali del Terreno
(DTM) e carte da essi derivate. Sono detti anche GIS: Geographic Information Systems, tra i quelli vi sono i
WEB-GIS (sistemi server che condividono database cartografici sul web) e Mobile GIS (come il GPS, Global
Positioning System).

CAPITOLO 3. IL SISTEMA CLIMATICO


Clima: insieme delle condizioni meteorologiche medie (temperatura, umidità, pressione, venti, etc.),
osservate per un periodo sufficientemente lungo, che caratterizza una regione. Le cause che fanno variare il
clima nello spazio e nel tempo sono i fattori cosmici e i fattori geografici.

3.2 LO STUDIO DEL CLIMA


I fattori cosmici
Questi dipendono essenzialmente dalla forma e dalla posizione della Terra nel Sistema Solare, influenzando
la ripartizione della radiazione solare sulla superficie terrestre.
Essi sono legati a diversi fenomeni elencati in ordine decrescente di importanza.
1. A) Movimento di Rivoluzione della Terra intorno al Sole, secondo un’orbita ellittica in cui il Sole
occupa uno dei due fuochi. Il piano dell’orbita forma un angolo di 23° 27’ con il piano equatoriale.
La conseguenza di questo movimento è l’alternarsi delle stagioni astronomiche che hanno diversa
durata. Fondamentali sono le tre Leggi di Keplero per la comprensione di questo fenomeno.
Le stagioni astronomiche coincidono solo in parte con quelle climatiche;
B) Movimento di Rotazione della Terra intorno al proprio asse da ovest a est che determina
l’alternarsi del dì e della notte con conseguenti oscillazioni termiche giornaliere;
2. A) Incidenza dei raggi solari sulla superficie terrestre.
 La radiazione solare proveniente dal Sole è l’unica fonte di energia sempre disponibile per
la superficie terrestre (trascurabili l’energia geotermica e la radioattività). L’energia si
sposta in linea retta e radialmente a partire dal sole, arrivando alla Terra con diverse
inclinazioni. L’insolazione è la quantità di radiazioni che colpisce la superficie esposta al Sole
e dipende da: angolo di inclinazione dei raggi e dalla durata dell’esposizione (radiazione
massima con angoli di incidenza di 90°). Inoltre bisogna considerare il volume
dell’atmosfera che i raggi attraversano, che è minore alle basse latitudini;
 L’atmosfera terrestre è composta da un miscuglio di gas e costituisce l’involucro aeriforme
che avvolge la Terra per centinaia di km in altezza. La gravità trattiene l’atmosfera attorno
alla Terra, per questo, e per effetto della forza centrifuga, l’involucro ha assunto una forma
rigonfiata all’equatore e schiacciata ai poli. La sua composizione, insieme alla distanza T-S,
determinano il bilancio energetico nel sistema T-S-A che controlla la temperatura della
nostra superficie. Composizione dell’aria:
- 78,08% di azoto;
- 20,95% di ossigeno;
- O,93% di argon;
- 0,03% di anidride carbonica;
- % molto ridotte di neon, kripton, xenon, radon;
- Ozono sotto le 2 ppm. Questo raggiunge la sua % massima intorno ai 25 km ed è
fondamentale per filtrare le radiazioni ultraviolette che arrivano sulla superficie;
- Acqua che costituisce l’umidità atmosferica con valori massimi in prossimità della
superficie (4%)
- Pulviscolo atmosferico costituito da impurità quali ceneri, Sali, sabbie, polveri e
frammenti organici
Il divario fra la radiazione solare incidente e la radiazione riflessa determina il bilancio
radiativo, mentre il rapporto tra r. riflessa e r. incidente è detta albedo, ovvero la
percentuale di radiazione incidente della Terra riflessa nello spazio. L’albedo è importante
perché una sua diminuzione provocherebbe un raffreddamento della atmosfera;
B) Forma sferica della Terra;
3. Eccentricità dell’orbita terrestre.

I fattori geografici
Sono definiti come l’insieme dei caratteri fisici della superficie terrestre in grado di determinare notevoli
differenze termiche. Quelli che hanno maggior influenza sono:
1. La distribuzione delle masse continentali e oceaniche. Il mare esplica appieno la sua funzione
termoregolatrice sulle masse oceaniche creando un netto contrasto tra le zone a clima marittimo e
le zone a clima continentale dove vi è un maggior divario termico giornaliero e stagionale;
2. La quota e la presenza dei rilievi. Salendo di quota, ci si allontana dalla principale fonte di calore
indiretta. Le temperature sono dunque minori anche a causa della minor quantità di vapore acqueo
presente nell’atmosfera. Si consideri un gradiente medio di 0,6°C ogni 100 m;
3. L’orientamento delle catene montuose. Costituiscono le barriere in grado di deviare o incanalare i
movimenti delle masse d’aria e di modificare fronti e cicloni, influenzando la distribuzione delle
temperature e della piovosità;
4. Le correnti marine. Sia calde sia fredde giocano un ruolo importante negli scambi di calore tra le
basse e le alte latitudini;
5. Le caratteristiche del suolo e la presenza della vegetazione. I suoli aridi e privi di vegetazione si
scaldano e si raffreddano più velocemente, quindi la vegetazione attenua considerevolmente gli
estremi termici assorbendo molto calore e liberando altrettanto vapore acqueo.

3.3 LA CLASSIFICAZIONE DEI CLIMI


Uno dei metodi più usati è la classificazione di Koppen che propone di definire il clima di un luogo
attraverso una scala di intervalli legata allo sviluppo della vegetazione. Ogni intervallo è indicato dalla
combinazione di lettere maiuscole e minuscole ad indicare le caratteristiche della temperatura dell’aria, le
quantità di precipitazioni e la distribuzione annuale dell’una o dell’altra. Le classi principali sono 5:
A. Climi umidi della zona intertropicale con temperature medie >+18°;
B. Climi aridi;
C. Climi mesotermici umidi (temperati) con temperatura minima [>-3, <+18] °;
D. Climi mesotermici boreali temperati freddi) con temperature annue [>-3, <+10] °;
E. Climi polari (freddi) con temperature medie <+10°.

3.4 LE VARIAZIONI CLIMATICHE


Le prove attendibili per la ricostruzione delle variazioni climatiche furono in particolare le glaciazioni, cioè di
una passata estensione dei ghiacci più imponente di quella attuale, la cui scoperta avvenne nella prima
metà dell’Ottocento.
Le categorie di informazioni utilizzate per lo studio dei climi sono:
 Dati storici. Valutazioni di elementi meteorologici o notizie di avvenimenti connessi con le
condizioni climatiche, contenuti in scritti o documenti, non strettamente collegati in modo diretto al
clima;
 Dati geografico-geologici. Testimonianze di varia natura, riferibili ad ambienti del passato che
comprendono una vasta gamma di variabili, quali quelle geologiche (carotaggi del ghiaccio,
ricorrenza dei fenomeni franosi, testimonianze paleografiche delle rocce sedimentarie) in senso
stretto, quelle biologiche e chimiche (importante lo studio dei dati botanici e l’uso della
dendrocronologia).
Le cause delle variazioni climatiche, invece, sono tutte tra loro in relazione. Una definizione fisica del clima
è: lo stato di equilibrio raggiunto dagli elementi atmosferici, della biosfera e della criosfera, in un insieme di
condizioni al contorno definite.
Importante risulta la tesi di Milankovitch che mette in relazione il susseguirsi di periodi glaciali e
interglaciali coi moti millenari della Terra.
Le principali cause delle variazioni climatiche possono essere:
1. Moti millenari della Terra nel S.S., quali la precessione luni-solare e lo spostamento della linea
degli absidi che determinano la precessione degli equinozi, la variazione dell’eccentricità dell’orbita
e il mutamento dell’inclinazione dell’asse terrestre;
2. Variazione nell’emissione di radiazione solare, con particolare attenzione alla ciclicità
dell’aumento e della diminuzione dell’attività delle macchie solari, in quanto il Sole risulta essere la
principale fonte di calore per la Terra;
3. Cambiamenti nella composizione dell’atmosfera terrestre, relativamente ai gas cosiddetti attivi
alle radiazioni, opachi alle radiazioni ad onde lunghe in uscita;
4. Cambiamenti nella geografia terrestre, soprattutto per i fenomeni della deriva dei continenti e
dell’orogenesi;
5. Attività vulcanica, in quanto le particelle emesse alterano l’opacità della radiazione ed influiscono
sulla trasmissione e sul bilancio totale dell’energia;
6. Variazioni nel meccanismo della circolazione atmosferica, vi è una teoria sulle correnti a getto;
7. Anidride carbonica, in relazione alla sempre crescente emissione della stessa in atmosfera con
conseguente riscaldamento globale e modificazioni generali del clima.

3.5 IL CLIMA NELL’OLOCENE


La cronologia dei 5 periodi glaciali intervalla ti da altrettanti periodi interglaciali che si sono susseguiti nel
corso del Pleistocene (parte dell’ultima era geologica della Terra, Quaternario, che arriva a 11.500 anni fa;
dopo della quale vi è l’Olocene), viene calcolata col metodo del Carbonio-14, che si basa su misure di
decadimento della radioattività del C-14, dopo la morte di piante e animali nei quali è contenuto.

CAPITOLO 4. GEOMORFOLOGIA E PAESAGGIO


4.1 Geomorfologia
4.1.1 Cause e tipi di processi geomorfologici
Le forme del paesaggio sono la conseguenza di due gruppi di forze per lo più antagoniste:
 Forze endogene, hanno origine all’interno della Terra e provocano le deformazioni della crosta
terrestre, determinando soprattutto orogenesi e spostamento delle masse rocciose;
 Forze esogene, hanno origine nel sistema solare e provocano alcune deformazioni della crosta
terrestre. Esse sono la forza di gravità e l’energia solare che causano movimenti vettoriali,
convettivi o tangenziali sulle masse nei tre stati nella zona di contatto tra litosfera e atmosfera;
 Forza antropica. Risulta essere un’altra componente essenziale del paesaggio
Nei paesaggi è poi possibile distinguere le forme attive in evoluzione e le forme relitte, testimonianze di
antichi paesaggi.
Le cause che determinano i processi geomorfologici, che ne determinato il tipo e l’intensità, possono essere
di tre tipi.
1. Fattori strutturali sono la tettonica, intesa in senso dinamico e statico, e la litologia, le cui
caratteristiche sono le condizioni fisiche e chimiche che influenzano la resistenza delle rocce
all’erosione;
2. Agenti del modellamento sono gli elementi propri delle forze esogene che operano sul rilievo
creato da quelle endogene;
3. Condizioni climatiche, ovvero l’influenza diretta o indiretta (attraverso la vegetazione) del clima sul
territorio.
Approccio analitico alle forme del paesaggio come accurata analisi scientifica e giusto procedimento per
giungere all’interpretazione genetica dei fenomeni geomorfologici.
I processi geomorfologici non possono essere classificati perché costituiti da diverse variabili non
precisamente quantizzabili. E’ sempre da tenere poi in considerazione l’ordine di grandezza delle unità del
paesaggio da indagare.
Le forme della superficie terrestre risultano più o meno modellate dai processi esogeni che possono essere
di erosione, di trasporto o di deposito. Questi processi possono essere suddivisi in:
 Processi fisici che comportano sempre una progressiva frantumazione della roccia, una
trasformazione da tipi litologici più compatti a meno compatti. Questa disgregazione può essere
dovuta a diversi fattori:
 Azione gelo-disgelo che dà origine al crioclastismo (frammentazione a livelli sempre più
profondi per aumento del volume dell’acqua del 9% da liquido a solido, successiva
diminuzione volume e di nuovo aumento;
 Azione dell’escursione termica che provoca il termoclastismo in cui si hanno disgregazioni
granulari nella superficie di contatto tra i minerali e una desquamazione della roccia in
lastre e scaglie a spigoli vivi nelle porzioni affioranti;
 Altri processi dovuti al rigonfiamento di rocce argillose e marnose per assorbimento idrico
dando origine all’idroclastismo con fessurazioni a forme poligonali. In caso vi siano
circolazioni di minerali nelle fenditure, quando l’acqua evapora questi si aggregano
formando dei cristalli più grandi che amppliano le fenditure e spaccano la roccia
(aloclastismo);
 Azione degli esseri viventi, bioclastismo;
 Processi chimici che implicano una trasformazione a livello elementare più o meno profonda,
contribuendo, a volte, anche alla coesione e all’accrescimento dei materiali. I processi chimici
possono essere differenti.
 Azione di soluzione dell’acqua, come i fenomeni di carbonatazione e dovuti alla presenza di
composti, quali il carbonato di calcio che si trasforma in bicarbonato solubile in acqua e dà
origine a erosione chimica o a incrostazioni e deposizioni calcaree, e alla presenza di una
componente calcarea che legandosi allo zolfo dà origine al solfato di calcio, il quale produce
patine nerastri, sfioriture e desquamazioni;
 Idrolisi dell’acqua, azione chimica dell’acqua con minerali silicatici che si trasformano in
minerali argillosi e marnosi con disgregazione della roccia. Quelli non solubili in acqua
formano crostoni compatti;
 Idratazione, assunzione di acqua di cristallizzazione nei minerali provocando un aumento di
volume e della loro solubilità, una diminuzione della loro coesione;
 Ossidazione, quando vi sono reazioni tra minerali come il ferro e il manganese, e l’ossigeno,
creando particolari colorazioni a seconda del minerale coinvolto;
 Azione di animali e microbi che producono anidride carbonica e sostanze acide corrosive
determinando alterazioni biochimiche.

4.1.3 Cenni di Pedologia


Pedogenesi: insieme dei processi fisici, chimici e biologici che portano alla formazione di un suolo nel corso
del tempo, partendo dal substrato pedogenetico= serie di trasformazioni che porta alla formazione del
suolo.
Substrato pedogenetico: materiale roccioso derivante da una prima alterazione della roccia madre.
Dai processi fisici e chimici si ha la formazione di un mantello di detrito (eluviale) sul quale attecchisce la
vegetazione che ha, come apporto positivo, la liberazione di sostanze organiche che facilitano la
scomposizione e mobilizzazione dei minerali, originando un terreno vegetale, il suolo.
Morfogenesi e pedogenesi sono tra loro contrastanti: se la seconda prevale sulla prima si ha un suolo
interamente sviluppato detto maturo, il cui profilo viene suddiviso in orizzonti:
 Orizzonte O
 Orizzonte A, superficie eluviale in cui una parte dei componenti originali è stata dilavata e dove si
trova la maggior quantità di materiale organico;
 Orizzonte B (illuviale), si trovano concentrati i materiali argillosi dilavati da A ed è scarso di
materiale organico;
 Orizzonte c costituito da frammenti di roccia madre in via di alterazione;
 R, substrato stesso.

4.1.4 Il ruolo della vegetazione


La copertura vegetale, specie se continua, comporta alcuni pro e alcuni contro.
Pro: controllo e limitazione della mobilizzazione dei detriti, consente il formarsi e l’evolversi di un suolo,
favorisce l’infiltrazione dell’acqua piovana, limita il ruscellamento, contribuisce alla circolazione ai processi
di alterazione chimica e alla circolazione di sostanze in soluzione nella stessa, esercita un’azione di schermo
nei processi di disgregazione chimica, mitiga la temperatura dell’aria, riduce l’irraggiamento solare e i
movimenti delle masse d’aria;
Contro: crea o aggrava fenomeni di dissesto quali l’infiltrazione nel terreno di acqua per mezzo di radici,
appesantisce territori di frana con masse erbose, allarga le fessurazioni nei litotipi per via degli apparati
radicali. Ogni tipologia di copertura erbosa poi ha delle sue componenti caratteristiche e altrettante azioni
sulla morfologia di un territorio o suolo.
A. Il bosco
Le due azioni principali del bosco sono:
 Azione regimante, ovvero la capacità di ridurre il ruscellamento superficiale, – mediante
l’intercettazione delle precipitazioni con gli apparati fogliari e frenando la velocità delle gocce
d’acqua che attraversano gli stessi –, e le portate di piena dei corsi. Il bosco è efficiente quando ha
un’elevata infiltrazione idrica e una buona capacità di ritenuta idrica;
 Azione antierosiva, dipende dalle stesse condizioni che determinano la prima azione e dalla
protezione meccanica offerta dalle piante, sia interponendosi fra le sponde e le acque correnti, sia
riducendo la forza del vento del 30% (sua forza erosiva).
 Inoltre il bosco non può impedire i movimenti del terreno che avvengono con superfici di
scorrimento più profonde delle radici degli alberi.
B. La prateria
Contribuiscono alla protezione del terreno e alla regimazione delle acque più o meno con gli stessi
meccanismi del bosco.

4.1.5 L’azione della forza di gravità


L’azione della forza di gravità si esplica su quei frammenti e detriti originatisi dai due processi prima
descritti.
I fenomeni più comuni sono tre.
1. Il soliflusso, movimento di una colata di fango che avviene superficialmente e lentamente su vaste
porzioni di territorio;
2. La reptazione (creep), fenomeno di spostamento individuale dei singoli detriti originatisi
precedentemente che avviene lentamente e generato in concomitanza all’azione di radici, calpestio
di animali od altro;
3. La frana, un fenomeno gravitativo di movimento del terreno che ne coinvolge le parti meno
superficiali, dovuto anche ad altre cause che possono essere fattori interni o esterni. In una frana si
distinguono:
a. Nicchia di distacco;
b. Superficie di scorrimento;
c. Corpo di frana
Le frane possono essere suddivise secondo la classificazione di Varnes come: per crollo, per
ribaltamento, per scivolamento, per espansione laterale, per colata o frane complesse.

4.1.6 L’azione delle acque dilavanti


Le acque di precipitazione provocano:
1. Erosione pluviale che consiste nell’azione meccanica prodotta direttamente dall’impatto delle
gocce di pioggia battente (splash);
2. Erosione per ruscellamento diffuso, acque che non si infiltrano nel terreno, ma scorrono
superficialmente sotto forma di filetti d’acqua. Si attua un dilavamento, ulteriore mobilizzazione e
creazione di materiale detritico;
3. Erosione a rivoli, l’acqua scorre entro rivoli preferenziali che diventano sempre più profondi;
4. Erosione a solchi, conseguentemente alla formazione dei rivoli si creano dei solchi sempre più
profondi.
5. Depositi colluviali, ovvero deposito di materiale detritico trasportato che si deposita perché le
acque non confluiscono direttamente in un corso d’acqua.

4.1.7 L’azione dei corsi d’acqua


Le azioni geomorfologiche di un corso d’acqua sono dovuti alla sua energia che è direttamente
proporzionale alla portata e alla velocità. Possono verificarsi le seguenti situazioni in rapporto a questi due
fattori:
 Erosione, quando l’energia dispera è inferiore a quella totale. Si parla di erosione regressiva quando
questa va dal livello di base verso il monte e si può originare il fenomeno della cattura fluviale,
ovvero un corso d’acqua confluisce in parte in un altro;
 Sedimentazione, quando l’energia dispersa è superiore a quella totale;
 Trasporto del carico quando tutta l’energia è impiegata per vincere gli attriti (né erosione, né
sedimentazione). Il trasporto può verificarsi diversamente in base alla tipologia di detrito/materiale
che trasporta, e cioè per galleggiamento, in soluzione, in sospensione o sul fondo.
Morfologie alluvionali
4.1.8 L’azione del mare
L’agente principale della morfologia delle coste è il moto ondoso. Le onde marine sono dei movimenti
oscillanti della superficie del mare, generati da una qualsiasi azione che perturbi le acque.
Sono importanti le azioni di:
 Vento per il moto ondoso, lo spostamento di acqua e delle dune litorali;
 Maree per l’amplificazione dell’area di umidificazione;
 Correnti di marea per l’erosione dei fondali, per il trasporto e il deposito dei sedimenti.

Nelle spiagge si verificano solitamente due fasi alternate: accumulo detritico e prelievo di materiale. Le
falesie sono scarpate rocciose a contatto col mare, coste in forte pendio verticale o strapiombante,
generalmente prive di vegetazione dovute all’azione erosiva diretta o indiretta del mare.
Le foci fluviali possono essere a delta, quando le oscillazioni delle maree del tratto di mare in cui sfocia il
fiume sono modeste, o ad estuario, quando l’effetto delle correnti del mare erode il fondo e le sponde.

4.1.9 Le morfologie lacustri


Un lago è una raccolta d’acqua, non visibilmente fluente, contenuta in una concavità del terreno e isolata
dal mare.
Sono esoreici quando hanno sia immissario che estuario, endoreici quando non hanno un emissario.
1. Possono essere suddivisi in base all’origine della depressione nella quale sono contenute le sue
acque, quindi in base alle caratteristiche geomorfologiche: di origine tettonica, di origine vulcanica,
connessi a processi carsici, da meteoriti.
2. Oppure sono suddivisi in base a processi geomorfologici non strettamente legati alle condizioni
climatiche: connessi a processi fluviali, originati da frane, connessi a processi litorali, di origine
antropica;
3. Un ultimo raggruppamento è fatto in connessione alle condizioni morfoclimatiche: di origine
glaciale, di origine crionivale, di origine eolica, laghi tropicali.

4.2 I SISTEMI MORFOCLIMATICI


Gli insiemi dei processi geomorfologici legati ai vari ambienti climatici della Terra sono suddivisi in zone
morfoclimatiche suddivise essenzialmente in due gruppi nei quali si instaurano, appunto, i sistemi
morfoclimatici corrispondenti:
 A dominante bio-chimica, qui si sviluppano essenzialmente processi di tipo biologico e chimico
come alterazioni delle rocce e trasformazioni dei suoli, mentre sono ostacolati i processi fisici;
 A dominante fisica, quando, a causa delle basse temperature e /o della scarsità d’acqua, le azioni
bio-chimiche sono ostacolate. Vi è la predominanza di processi meccanici che si scagliano sulle
rocce prive di copertura vegetale e sui suoli, impedendone la rigenerazione.

4.2.2 I paesaggi glaciali


I ghiaccia possono essere schematicamente suddivisi in ghiacciai regionali (o polari) e in ghiacciai locali.
1. Ghiacciai regionali. Il paesaggio nel complesso presenta staticità morfologica, assenza di vita e
assenza di fenomeni crioclastici, ad esclusione delle zone costiere marginali, in parte prive di
ghiaccio, dove vi è vita, fenomeni di trasporto e accumulo detritico. Il più grande esistente sulla
Terra è il ghiacciaio antartico che copre quasi interamente il continente omonimo con una calotta di
ghiaccio detta inlandis, mentre al Polo Nord il ghiaccio è solamente marino e viene detto banchisa;
2. Ghiacciai locali. A differenza dei ghiacciai regionali, questi possono insinuarsi anche in zone
temperate e quindi in un ambiente con presenza di vegetazione e di vita, la loro estensione è
determinata dalla topografia e dalle condizioni climatiche. In questi paesaggi vi è frequentemente
trasporto e deposito di detrito ed è importante ricordare la morena: complesso dei materiali
detritici trasportati dal ghiacciaio per caduta di detriti su questo dai versanti che lo sovrastano.
Inoltre si possono ricordale le valli glaciali con tipico profilo a U o doccia.

4.2.3 I paesaggi crionivali


E’ la fascia climatica fredda all’esterno del limite delle nevi persistenti e dei ghiacciai; qui brevi o lunghe
alternanze di gelo o disgelo costituiscono la caratteristica climatica e l’agente geomorfologico più
importante. Questo paesaggio può essere suddiviso in due zone: alte latitudini ed elevate altitudini.
1. Alte latitudini. Gli agenti più importanti del modellamento sono il gelo e la deflazione eolica,
mentre i fenomeni più importanti sono processi di:
 Crioclastismo;
 Crioturbazioni (fenomeni di deformazione che subiscono i sedimenti plastici nel periodo del
congelamento dell’acqua);
 Fenomeni di geliflusso;
 Ruscellamento;
 Piene, inondazioni, erosioni con acqua che scorre.
 Si ha la tundra, specie di prateria, e la taiga, foresta di conifere, dove le estati più calde permettono
lo sviluppo della vegetazione.
2. Alta montagna, con gradiente termico negativo, forti escursioni termiche giornaliere, presenza di
precipitazioni solide e aumento delle precipitazioni con la quota, rarefazione dell’aria all’aumentare
dell’altitudine, influenza dell’esposizione dei versanti. Si può suddividere in:
 Regioni montuose della zona temperata, dove vi è la prateria alpina;
 Regioni montuose delle basse latitudini, dove vi è la tundra di montagna, con escursioni
termiche giornaliere elevate.
Si hanno fenomeni comparabili ai fenomeni delle alte latitudini; inoltre sono numerosi i fenomeni
franosi e di valanghe.

4.2.4 I paesaggi delle zone temperate


Il paesaggio di queste zone è ampiamente variegato, ogni regione ne ha uno differente. In generale, è
compreso grosso modo tra la tundra o la taiga crionivali e la steppa o il deserto tropicali;
- È caratterizzato dalla coesistenza di copertura vegetale naturale più o meno continua con
temperature medie non molto elevate che attenuano:
 Intensità delle azioni biologiche e chimiche;
 Ostacolano i processi di frammentazione fisica dall’altro;
- Temperature comprese tra lo 0 e i 15°;
- Precipitazioni nel complesso abbondanti e anche solide;
- La copertura vegetale è rigogliosa e continua nel complesso (In Europa abbiamo compresenza di
foreste di conifere e latifoglie);
- Sono favoriti i processi di erosione meccanica perché vi è una forte energia del rilievo dovuta
all’orogenesi alpina;
- La presenza dell’uomo, infine, ha influito notevolmente sul paesaggio e sulle sue manifestazioni.
1. Paesaggio temperato umido
Oltre alle specificazioni fatte prima, si può ricordare come in questo tipo di paesaggio sia
dominante l’azione dell’acqua, non come ruscellamento superficiale, ma come acqua di
infiltrazione; altri fenomeni sono il soliflusso e le grandi frane.
In Europa abbiamo inverni secchi e miti e estati calde e umide che determinano un’accentuata
alterazione pedologica e una certa frequenza di movimenti di masse;
2. Paesaggio mediterraneo
L’aridità estiva comporta lo xeromorfismo, riduzione della superficie evaporante, mentre le forti
piogge autunnali e primaverili facilitano processi di erosione pluviale, dilavamento e
ruscellamento, fenomeni di disgregazione fisica, disseccamento del periodo estivo.
Sono tipiche la macchia mediterranea con particolari specie arbustive o arboree xerofile, e la
garriga, boscaglia di arbusti sempreverdi e piante erbacee per lo più aromatiche.

4.2.5 I paesaggi delle zone aride


Ha come caratteristica principale la scarsità d’acqua. Questo comporta assenza di copertura vegetale
continua. Inoltre vi sono forti escursioni termiche giornaliere e venti forti; la rete idrografica è collegata e
difficilmente arriva al mare. Le morfologie sono varie e, tra i deserti, possono distinguersi i caldi dai freddi.
I processi più frequenti sono:
- Frammentazione termoclastica;
- Azione del vento con trasporto e deposito di granuli, erosione eolica, deflazione eolica
- Azione erosiva della pioggia
- Ruscellamento diffuso e concentrato lungo versanti lunghi e acclivi.

Zone semiaride. Caratterizzate da un periodo corto umido che favorisce lo sviluppo della vegetazione, quali
cactus, agavi e cespugli o di foreste a gallerie vicino alle rive dei fiumi. Le precipitazioni sono causa, tuttavia
di:
- Erosione;
- Ruscellamento concentrato;
- Fenomeni franosi;
- Degradazioni consistenti del suolo.
In queste zone sono presenti delle oasi dove si trova una quantità d’acqua più consistente; qui si trovano le
palme da dattero.

4.2.6 I paesaggi delle zone equatoriali


Sono paesaggi spesso inaccessibili, infidi e insalubri. Vi è una copertura vegetale fitta e una spessa coltre di
materiale di alterazione che ricopre la roccia e le forme del rilievo; le temperature sono elevate per tutto
l’anno e vi è una scarsa escursione annuale, più rilevante quella giornaliera. Le precipitazioni annuali sono
cospicue così suddivise: all’equatore sono distribuite uniformemente durante tutto l’anno, ai tropici invece
vi è una marcata stagione secca.
 Processo più diffuso: alterazione chimica (soprattutto delle rocce), dovuto alla combinazione di
umidità elevata e fitta copertura vegetale;
 Azione erosiva dei corsi fluviali molto limitata (si traduce in assunzione di carico detritico alterato).

1. Foreste fluviali. Il modellamento del terreno è connesso a processi di alterazione superficiale delle rocce
con conseguenti fenomeni di soliflusso e frane causate dall’imbibizione d’acqua del materiale. Rari
fenomeni di ruscellamento perché ostacolato dalla vegetazione.
L’avanzamento demografico ha comportato un arretramento della foresta.
2. Savana. Costituita prevalentemente di alberi stanziati in macchie boschive o a formare delle gallerie
lungo i corsi d’acqua. Vi è una stagione secca e valori medi delle temperature annue non superiori ai 20°
che danno origine a processi meccanici, come il ruscellamento, sia diffuso che concentrato, e a processi di
alterazione chimica con la caduta e l’evaporazione delle piogge stagionali sulle rocce esposte che
comportano poi fenomeni franosi.

4.3 I PAESAGGI MORFOSTRUTTURALI


Ci si riferisce alle forme del rilievo legate alla morfoselezione, cioè all’erosione selettiva o differenziale, alla
struttura geologica con ruolo passivo e, in particolare, alla composizione litologica e alla disposizione
tettonica delle rocce.

4.3.2 I paesaggi geomorfologici


Il fattore litologico della morfologia si esplica attraverso il grado di resistenza di una roccia all’erosione che
dipende da alcune caratteristiche del litotipo. In ordine decrescente sono:
1. Coesione, proprietà di resistere alla rottura e al taglio. Indica la forza attrattiva che agisce fra i
cristalli;
2. Permeabilità, proprietà di un corpo di essere attraversato da liquidi o gas senza mutare la propria
struttura;
3. Alterabilità, fenomeno del disfacimento dei reticoli cristallini dei minerali rocciosi, in ambiente
superficiale, a contatto con aria o acqua;
4. Granulometria, misura delle dimensioni dei granuli della roccia.
Per quanto guarda l’entità dell’alterazione di una roccia, si tenga presente che se è molto estesa, può
avvolgere completamente la roccia sana e nascondere l’originale morfologia; in altri casi il prodotto di
alterazione è insignificante.
Le forme caratteristiche che si manifestano nelle rocce a più larga diffusione sono quelle che seguono.
1. Argille. Hanno granulometria fine, scarsità o assenza di cementazione, impermeabilità alle acque di
scorrimento superficiale. Sono poco resistenti alle erosioni, è favorito il ruscellamento a causa
dell’impermeabilità; quando è zuppa d’acqua si gonfia e subisce fenomeni di soliflusso o colamento
e fenomeni di frana. Frammentandosi o desquamandosi poi nel momento in cui si secca. Altri
fenomeni sono dilavamento idrico e la deflazione eolica;
2. Arenarie. Tipi litologici permeabili che ritardano l’erosione, a seconda della composizione, si
possono avere fenomeni di degradazione, alterazioni chimiche idrolitiche o franosi quando
poggiano sulle argille;
3. Graniti. Hanno un alto grado di coesione e di impermeabilità primaria, ma sono permeabili lungo le
fenditure facilmente provocabili; sono inoltre facilmente alterabili in particolari condizioni
climatiche:
- ambiente caldo-umido vi è alterazione chimica;
- aree di sollevamento recente vi sono processi di frammentazione fisica, prevalentemente a
causa del gelo-disgelo;
4. Calcari. Queste rocce sono condizionate dalla composizione litologica e il fenomeno di base è dato
dalla proprietà del carbonato di calcio di essere intaccato dall’acqua quando abbia una certa
quantità di anidride carbonica, trasformandosi in bicarbonato idrosolubile. Alla base dei calcari vi
può essere della terra rossa, residuo del processo di soluzione della roccia;
5. Dolomie. La roccia si presenta con un notevole spessore, con disposizione prevalentemente
orizzontale; soggetta alla frammentazione e a fenomeni di carsificazione con dislocazioni
tettoniche, quando affiancata da materiali argillosi e marnosi.

4.3.3 Il paesaggio vulcanico


I vulcani sono edifici costruiti dal materiale magmatico che fuoriesce in superficie sotto forma di lava o
di prodotto piroclastico incoerente. I più caratteristici hanno una forma a cono, sulla cima de quale vi è
la cavità ad imbuto, il cratere, dalla quale fuoriesce il magma; questo passa attraverso il camino
vulcanico. Non tutti i vulcani sono di questa tipologia, ma rispetto alla natura dei materiali eruttati e alle
caratteristiche dinamiche si possono avere diversi tipi di vulcano.
1. Tavolati basaltici, formati per ripetute effusioni di lava basaltica a bassa viscosità lungo spaccature;
2. Vulcani a scudo, caratterizzati dall’effusione di lave particolarmente fluide che si sovrappongono
l’una all’altra. Tipica la presenza della caldera;
3. Vulcani a cupola, dove la lava particolarmente viscosa ristagna a ridosso del cratere o al suo
interno;
4. Vulcani di materiale piroclastico, dove l’attività è prevalentemente esplosiva con l’effusione di
materiale piroclastico, magmi viscosi e ricchi di gas;
5. Vulcani misti o strato-vulcani, dove l’attività è mista effusiva ed esplosiva e la forma è solitamente
a cono;
6. Diatremi, creati da esplosioni di gas, riempiti di materiale piroclastico o da frammenti di rocce
strappati dal condotto stretto e cilindrico.

4.3.4 I paesaggi di alcune strutture tettoniche


L’attività erosiva degli agenti dl modellamento della superficie terrestre è controllata dalla litologia, dalla
disposizione tettonica, dalla fratturazione e dall’eventuale stratificazione delle rocce.
Si hanno:
- Rilievi a struttura orizzontale. L’erosione produce una superficie tabulare sub-orizzontale che
coincide con un bancone più resistente all’erosione (primaria o derivata, oppure si ha il tavolato se
interessa l’intera montagna;
- Rilievi a struttura inclinata. Si hanno dei rilievi dissimmetrici con presenza di versanti a reggipoggio
e versanti a franapoggio;
- Rilievi a strutture a pieghe. Situazione geologica costituita da una serie di pieghe sinclinali e
anticlinali;
- Rilievi a faglie e fratture. Rocce attraversate da linee di frattura o da dislocazioni tettoniche a
sviluppo più o meno rettilineo. La rete idrografica può avere un andamento angolato (ramificazioni
con due direzioni prevalenti) o parallelo (collettori sub-paralleli fra loro).

4.4 LE SUPERFICI RELITTE


Superfici relitte: unità morfologiche, con ridotta energia del rilievo, delimitate da scarpate e rotture di
pendio, dissecate da processi erosivi e testimoni di un antico paesaggio che era stato modellato da processi
attualmente non più in evoluzione. Il loro terrazzamento o isolamento può essere stato determinato da
sollevamenti tettonici o da rotture dell’equilibrio morfoclimatico: ogni unità del rilievo tende a rimanere
costante nel tempo e ciascuna tipologia morfologica mostra una convergenza di caratteri simili con una
frequenza tanto maggiore quanto più è vicina a tale equilibrio e quanto meno il paesaggio subisce
modificazioni.

CAPITOLO 5. L’UOMO COME AGENTE GEOMORFOLOGICO


Una corretta valutazione degli effetti morfologici delle attività umane è possibile se fatta attraverso uno
studio sistemico realizzato con diversi approcci.
1. Approccio storico: ricreare l’intervento dell’uomo sul paesaggio per ricavare i riferimenti
contestuali;
2. Approccio geomorfologico, tramite il quale si può comprendere la natura e l’estensione dei
processi geomorfologici osservati;
3. Approccio socio-economico attraverso il quale si possono investigare i modi e le dinamiche
dell’attività umana per comprenderne l’economia e la struttura sociale;
4. Approccio da pianificatore: quest’ultimo approccio è la sintesi dei tre precedenti che li collega in
una visione unitaria i loro risultati.
Nasce dunque la fase della nuova etica ambientale che tiene conte delle dinamiche e dei processi a livello
globale, che considera il bene e il male non nei riguardi dell’uomo, ma nei riguardi dell’ambiente, quindi
attraverso una visione “eco-centrica” che sopperisce alla visione antropocentrica precedente. L’ambiente
ha dunque una sua entità con un valore intrinseco a prescindere dall’uso che ne viene fatto; esso è una
testimonianza documentale che può essere considerata a pieno titolo un bene culturale che va quindi
tutelato.
Nel corso dei secoli, soprattutto dal Novecento in poi, diversi scienziati hanno proposto differenti
considerazioni sull’azione antropica come causa di degrado ambientale, tra i quali vi è Keller che fa una
sintesi delle basi culturali per la formazione di una coscienza ambientale; tra i concetti cardine cui fare
riferimento vi sono:
 La Terra è essenzialmente un sistema chiuso, bisogna i cambiamenti e le risposte a questi da parte
dell’ambiente;
 I fenomeni ambientali sono sempre stati presenti e così i rischi ambientali. L’ambiente ha sempre
risposto con la formazione di nuovi equilibri;
 Uno dei fattori principali del rischio è l’aumento della popolazione mondiale che, con l’aumento
dei bisogni, ha aumentato lo sfruttamento delle risorse, degradando e alterando l’ambiente.

5.2 LE ATTIVITA’ ANTROPICHE E LE LORO CONSEGUENZE GEOMORFOLOGICHE


Gli interventi antropici si manifestano tra atmosfera e litosfera e, seguendo un itinerario storico, possono
essere suddivisi in 5 punti.
1. Conseguenze della caccia
E’ la meno turbativa e può comportare: disboscamenti per nuove radure, limitati fenomeni di
reptazione, rimozione e asporto di pietre da utilizzare nei combattimenti. Può favorire: la
salvaguardia o il ripristino dei terreni in precaria condizione di stabilità.
2. Conseguenze della pastorizia
Essenzialmente elimina la copertura vegetale e porta a fenomeni di reptazione e modifica del
substrato del suolo a causa del calpestio degli zoccoli con conseguente compattazione del suolo e
reptazione. Può contribuire, invece, alla concimazione del terreno.
3. Conseguenze dell’agricoltura
Oltre alla sostituzione della copertura vegetale originale con una artificiale che crea modifiche
fisico-biologiche del suolo, l’agricoltura provoca processi di erosione e degradazione del suolo
stesso. Queste modifiche sono dovute alle principali innovazioni tecnologiche agricole quali
l’irrigazione, l’utilizzo del lavoro animale, la meccanizzazione del lavoro e l’uso dei pesticidi e
fertilizzanti, ognuna delle quali può comportare diversi fenomeni degradanti. Tra gli effetti positivi
vi sono la coltivazione stessa dei suoli, la regimazione delle acque e la manutenzione di strade e
sentieri.
4. Conseguenze dello sfruttamento delle risorse
Sebbene le prime conseguenze risalgano a prima del Paleolitico, di certo le più importanti e
rilevanti sono le più recenti come l’estrazione e la lavorazione dei minerali che provocano
modifiche geo-morfologiche con estrazione di materiale da una parte ed accumulo, spesso di
sostanza di rifiuto, dall’altro. Per porre rimedio l’uomo ha iniziato a sfruttare energie rinnovabili
quali quella eolica o la forza ottenuta dal movimento delle acque fluviali
5. Conseguenze delle opere di ingegneria
Tra le conseguenze più evidenti vi sono la cessazione dei processi naturali di formazione del suolo e
l’alterazione del sistema di drenaggio delle acque, dovute alla pianificazione e costruzione delle
strade, all’urbanizzazione e alla costruzione di aeroporti e porti. Tra gli effetti positivi vi sono il
contenimento delle piene, la difesa dei litorali e la correzione dei corsi d’acqua.

5.3 L’UOMO COME MODIFICATORE DEL CLIMA


Le ripercussioni più importanti delle attività antropiche sono quelle derivanti dall’intensa industrializzazione
e urbanizzazione, quali modifiche sulla composizione media dell’atmosfera, con conseguenti inquinamenti
e variazioni dei bilanci energetici del sistema Sole-Atmosfera-Terra.
 Inquinamento atmosferico
Si indica la presenza nell’aria di sostanze allo stato di gas, vapori o pulviscoli che possono risultare
nocive agli esseri viventi e dannose per l’ambiente. Gli inquinanti possono sia essere di origine
naturale, sia antropica (soprattutto l’immissione di combustibili fossili nell’atmosfera);
 L’effetto serra
L’atmosfera assorbe le radiazioni di grande lunghezza provenienti dalla superficie terrestre che
vengono così trattenute e trasformate in calore (non riescono ad oltrepassarla). L’aumento di
anidride carbonica soprattutto, e di altri gas serra provoca così un graduale aumento della
temperatura del globo con conseguenze drastiche all’ambiente e al clima.
 Il buco nell’ozono
A livello della stratosfera, l’ozono funge da schermo protettivo per le radiazioni ultraviolette
dannose per l’uomo e l’ambiente; l’emissione in atmosfera di agenti nocivi quali i fluorocarburi ne
ha assottigliato lo strato.
 Le piogge acide
Sono piogge che contengono diversi inquinanti prodotti dall’uomo e che le rendono appunto con un
pH acido; la loro azione sulle piante, sui terreni e sugli edifici è dannosa.
 Sebbene questi problemi andrebbero affrontati a livello globale, il divario economico-politico tra nord
e sud del mondo porta ogni emisfero ad attuare politiche diverse nei confronti dell’inquinamento
ambientale per motivi di priorità differenti, impedendo così un reale movimento mondiale a difesa
della Terra.

5.4 BREVE STORIA DELL’ATTIVITA’ ANTROPICA NEL TERRITORIO ITALIANO


1. La centuriazione romana e la conseguente bonifica e ridistribuzione delle terre fu un duro colpo al
mantenimento del patrimonio forestale: nascono politiche di difesa forestale molto dopo (XIV secolo);
2. Nel Settecento vi è un aumento dei dissodamenti del terreno con trasporti di terra e sopraelevazione dei
terreni coltivati;
3. Nell’Ottocento si hanno numerose opere di bonifica;
Nel Novecento vi sono diversi fenomeni erosivi collinari e, nel dopo Guerra, l’accentramento delle
popolazioni nelle città generando le manifestazioni di vistosa instabilità che ci coinvolgono tutt’ora.

CAPITOLO 6. I BENI CULTURALI


6.2 I BENI NATURALI
Ai fini della Convenzione sono considerati Patrimonio Culturale
- I monumenti, gli insiemi e i siti di particolare valore storico, artistico e scientifico;
- I monumenti naturali, i siti geologici o morfologici e i siti naturali di eccezionale valore estetico e
scientifico.

I beni culturali possono essere poi suddivisi in:


1. Naturali che possono distinguersi in base al loro carattere biologico (botanici e zoologici) o
abiologico (geomorfologici, geologici, petrografici e mineralogici, paleontologici)
 In particolare i beni geologici in generale, e quelli geomorfologici in particolare,
rappresentano in modo emblematico la geodiversità che caratterizza i differenti paesaggi.
La geodiversità vede nella varietà degli ambienti la base della varietà della vita sulla Terra 
si parla di geoconservazione, concetto di protezione dei beni geologici in una cultura
scientifica, sviluppato dapprima dell’Associazione europea per la sua promozione nel 1988,
trasformata poi in ProGEO nel 1993;
2. Dell’opera dell’uomo;
Il contributo della geografia si esplica con la Geoarcheologia, una metodologia che si traspone i metodi
geologici alla ricerca archeologica e che si occupa della storia della Terra nell’intervallo cronologico della
storia umana. Questa disciplina è, dunque, un mezzo oggettivo di trasmissione del contesto geo-ambientale
del sito archeologico. Allo stesso tempo, l’archeologia può offrire un contributo alla geomorfologia come
mezzo di datazione per le forme relitte, cioè antichi fenomeni e vicende delle evoluzioni del rilievo.
Si possono poi ricordare i beni storici come beni connessi alle vicende storiche di una comunità, i beni
demo-ento-antropologici che sono il prodotto culturale di una data comunità e i beni scientifici che
promuovono e organizzano.

6.3 I GEOMORFOSITI
Gli attributi che possono conferire valore a una forma di terreno che può essere dunque considerato
geomofrosito sono:
1. Valore scientifico, il g. è considerato come modello per l’evoluzione geomorfologica o a livello
didattico, o come valenza ecologica;
2. Valore culturale, dove è considerato per la tradizione artistico-culturale;
3. Valore socio-economico quando può essere usato a scopi turistici o sportivi;
4. Valore scenico sia in senso intrinseco, sia in quanto richiamo e attrazione.

6.4 STUDIO E VALUTAZIONE DEI GEOMORFOSITI


 Per una ricerca dei geomorfositi, una prima fase del lavoro consiste nella stesura di una carta
geomorfologica;
 Da questa si deriverà una carta delle unità geomorfologiche, raggruppate secondo le loro
caratteristiche morfogenetiche. Durante questa fase si dovranno valutare gli elementi dei
geomorfositi per comprendere se vi siano degli attributi scientifici tali da renderlo un bene;
 Successivamente si potranno selezionare degli elementi geomorfologici e redarre una carta dei
geomorfositi.
 I siti geomorfologici cartografabili possono essere:
o Lineari quado costituiti da una o più forme elementari sviluppate lungo una direzione;
o Puntuali quando rappresentato da una singola forma o oggetto;
o Areali quando è rappresentato da un insieme di forme elementari

Un elemento di grande importanza nella rappresentazione cartografica è costituito dalla scala

Il valore scientifico viene valutato attraverso metodologie quantitative che mettono in luce quella che è la
Qualità scientifica (Q). Vi sono diversi parametri, alcuni legati strettamente alla connotazione scientifica del
geomorfosito e altri indirettamente. I parametri sono:

1. La conoscenza dell’esperto (Ce) che esprime due aspetti, ovvero il valore per la ricerca scientifica
(S)e il valore didattico (D);
2. 2. L’area (A) intesa come area totale del geomorfosito in realzione all’area totale di tutti i
geomorfositi di quella stessa tipologia;
3. La Rarità R del geomorfosito
4. Il Grado di Conservazione (C) che dipenda da fattori naturali e/o antropici;
5. L’Esposizione (E), intesa come visibilità del sito al pubblico;
6. Il Valore Aggiunto (Z).

Ognuno di questi parametri deve essere dato tenendo conto di alcune linee guida e secondo una scala di
valori pesati; alla fine della valutazione di questi si ottiene:

Q= sS+ dD+ aA+ rR+ cC+ eE+zZ


Dove le maiuscole sono i valori dei parametri, mentre le minuscole sono i rispettivi pesi. Il valore ottenuto
viene normalizzato con valori compresi tra 0 e 1 secondo la formula:

Qn/Qmax=Q

Dove il nominatore indica la qualità scientifica del geomorfosito e il denominatore il valore massimo che un
gemorfosito potrebbe avere. Questa non è l’unica proceduta indicata.

6.5 LE AREE PROTETTE


In generale i territori con speciali caratteri naturalistici che sono sottoposti a tutela da leggi nazionali o locali
sono detti genericamente parchi. Possono essere parchi nazionali, parchi naturali regionali e interregionali,
riserve naturali, zone umide di interesse nazionale, altre aree naturali protette, zone di protezione speciale
(Zps), zone speciali di conservazione (Zsc), aree di reperimento terresti e marine.
Le finalità prioritarie delle aree protette sono:
- Conservazione, ovvero il recupero e la conservazione degli ecosistemi in esse contenute;
- Ricreazione, intesa anche come reintroduzione di tutte le fondamentali energie umane di tipo
fisico, intellettuale e spirituale;
- Ricerca scientifica degli ecosistemi per il presente ed il futuro.

6.6 LA GEOMORFODIVERSITA’
La geomorfodiversità secondo una definizione di Panizza, 2009, è: valutazione critica e specifica delle
caratteristiche geomorfologiche di un territorio, paragonandole in senso estrinseco (con quelle di altri
territori) ed in senso intrinseco (fra quelle del territorio stesso), tenendo in considerazione la scala
d’indagine, lo scopo della ricerca e il livello della loro qualità scientifica.

CAPITOLO 7. LA GEOMORFOLOGIA NEL RISCHIO E NELL’IMPATTO AMBIENTALI


7.1 PREMESSA CONCETTUALE E METODOLOGICA
Si prenderà in esame la geomorfologia ambientale come rapporto fra l’uomo e l’ambiente, quest’ultimo
considerato sotto l’aspetto geomorfologico.
Dal punto di vista geomorfologico l’ambiente viene considerato secondo:
1. Risorse geomorfologiche, quali materie prime e forme del terreno;
2. Pericolosità geomorfologiche, le quali indicano la probabilità che un certo fenomeno di instabilità si
verifichi in un certo territorio in un certo intervallo di tempo ed a una data energia;
L’uomo, invece, viene studiato come:
1. Attività antropiche, ovvero gli interventi dell’uomo;
2. Vulnerabilità territoriale, ovvero come l’insieme dei prodotti delle sue attività possa essere
suscettibile direttamente o non ad un danno materiale.
Se si considerano i fattori ambientali passivi rispetto a quelli antropici, dalla loro interazione si ottiene
l’impatto ambientale, ovvero l’insieme delle modificazioni fisiche, biologiche e sociali che una certa
iniziativa antropica produce sull’ambiente. Al contrario, invece considerando l’ambiente come forza attiva,
avremo i rischi. Il rischio (specifico) è la probabilità che le conseguenze economiche e sociali di un certo
fenomeno di pericolosità superino una determinata soglia.

7.2 GEOMORFOLOGIA E RISCHIO AMBIENTALE


Secondo quanto detto precedentemente, si può intendere il rischio ambientale come il prodotto tra la
pericolosità geomorfologica e la vulnerabilità del territorio in esame. Il primo fattore indica, come già detto,
la probabilità che si verifichi un fenomeno di instabilità geomorfologica, quindi implica la possibilità che si
crei un terreno instabile, ovvero una forma non in equilibrio con l’ambiente oppure in equilibrio ma
notevolmente dinamica. L’instabilità deve essere considerata in relazione ai fenomeni che la determinano e
viene espressa a gradienti che risultano più o meno accettabili a seconda dei tipi di vulnerabilità.
Severità del rischio: in base a diversi fattori, un rischio può risultare più o meno severo, soprattutto per la
probabilità e la vulnerabilità. Prendendo in considerazione alcuni aspetti, si può affermare che:
1. Per l’esposizione, la severità sarà tanto maggiore quanto più grandi saranno i fenomeni della
probabilità e della vulnerabilità. Se uno dei fattori, invece è basso, la severità del rischio sarà bassa;
2. Per quanto riguarda la componente dell’economia, invece, le aree più vulnerabili sono le aree
industriali;
Per programmazione, le prospettive di nuove costruzioni ed infrastrutture devono tenere in
considerazione il grado di vulnerabilità delle stesse in rapporto alla pericolosità geomorfologica e
valutare, perciò, il rischio potenziale del caso.

7.2.3 Mitigazione e previsione del rischio


Riducendo la pericolosità o la vulnerabilità del rischio, si ottiene la mitigazione.
1. Riduzione della pericolosità geomorfologica. Può essere attuata attraverso due processi:
a. Modificazione del processo, si tratta di agire sul processo geomorfologico;
b. Resistenza alla pericolosità, ovvero si attua una protezione attiva contro il rischio tramite la
predisposizione delle specifiche difese del territorio soggetto ad un particolare processo;
2. Riduzione della vulnerabilità (riferimento al solo parametro dell’esposizione). Anche in questo caso
vi sono due alternative:
a. Misure strutturali, adottando specifiche norme di costruzione o restauro per infrastrutture
nelle aree ritenute soggette a qualche forma di instabilità geomorfologica;
b. Previsione della pericolosità, attuabile mediante due meccanismi.
 Previsione probabilistica. Indica la probabilità di ricorrenza di un evento già
avvenuto nel passato e si basa su metodi statistici ricavati da dati storici a lungo
termine. In alcuni casi è possibile stabilire un ritorno dei fenomeni in una
concezione temporale;
 Predizione. Indicazione precisa del quando, del dove e di quanto un evento sarà più
o meno imminente di pericolosità. Questa metodologia richiede un’approfondita
conoscenza del fenomeno grazie all’aiuto dei sistemi di monitoraggio.
 Per lo studio, la previsione e la predizione della pericolosità vengono impiegati modelli di
simulazione che sono una semplificazione e una riduzione in scala di un fenomeno. I modelli
possono essere modelli fisici quando si basano sulla riproduzione in laboratorio delle caratteristiche
fisiche dei fenomeni di studio oppure dei modelli matematici o digitali quando vi è una raccolta di
dati che viene elaborata da un sistema digitale per la simulazione del fenomeno naturale. I modelli
possono presentare dei limiti di applicabilità.

7.3 LE RISORSE AMBIENTALI


Le risorse sono la trasformazione delle materie prime quando vengono utilizzate sotto particolari condizioni
economiche e tecniche, sociali, dell’uomo. Le materie prime, ovvero una qualsiasi componente del sistema
naturale che funge da base per le successive lavorazioni, non diventa risorsa se non viene utilizzata. Quindi
la trasformazione dall’una all’altra è un processo reversibile.
Tra le risorse vi sono le riserve, ovvero le risorse realmente disponibili: assumono una valenza soltanto nel
periodo di tempo attuale.
Le risorse naturali, quindi, in relazione all’utilizzazione che ne viene fatta, può comportare conseguenze in
termini di rischio ed impatto ambientale; queste sono essenzialmente suddivise in risorse rinnovabili e non
rinnovabili. Le prime sono teoricamente non esauribili perché presenti in quantità o perché ricostituibili in
tempi brevi; le seconde invece sono quelle risorse che possono esaurirsi perché presenti in quantità finite e
perché non si ricostituiscono in periodi sufficientemente brevi rispetto alle attività dell’uomo.
L’eccessivo consumo delle risorse non rinnovabili, sostituite a quelle rinnovabili, provoca e ha provocato
alterazioni all’ambiente, tra i quali l’inquinamento e la problematica legata allo smaltimento dei rifiuti. Le
mutazioni ambientali conducono all’alterazione o alla distruzione degli ecosistemi con conseguente
riduzione della possibilità di ricostituzione delle risorse rinnovabili.
A queste problematiche si può far fronte attraverso delle politiche di pianificazione dell’utilizzo delle risorse
che si fondano su due principali azioni: la conservazione e l’innovazione tecnologica che può ritardare
l’esaurimento delle risorse non rinnovabili e migliorane la produttività.
E’ importante anche fare ricerca su nuove energie alternative come l’eolica. Non esiste nessuna forma di
energia davvero pulita, ma alcune lo sono più di altre ed è necessario imparare ad utilizzarle.

7.4 GEOMORFOLOGIA E IMPATTO AMBIENTALE


7.4.2 La Valutazione d’Impatto Ambientale
Per impatto ambientale si intende l’insieme delle modificazioni fisiche, biologiche e sociali, che una certa
iniziativa produce sull’ambiente.
La valutazione di impatto ambientale (VIA) è un procedimento tecnico-amministrativo di verifica della
compatibilità ambientale di un progetto.
Essa è finalizzata a:
1. Migliorare la trasparenza delle decisioni pubbliche per definire un bilancio beneficio-danno tale da
poter gestire al meglio le risorse;
2. Realizzare la sostenibilità, ovvero comprendere se un progetto può essere inserito nell’ambiente
ricavandone le sue migliori funzionalità e valutare l’impatto ambientale;
3. Impedire il danno ambientale attraverso la previsione e la prevenzione;
4. Favorire la partecipazione di tutte le componenti sociali garantendo la condivisione delle scelte.
A livello nazionale furono gli Stati uniti ad introdurre questo procedimento con una legge, NEPA, nel 1969;
in Europa invece si adotterà una direttiva CEE nel 1985 secondo la quale vi sono due categorie di progetti
che possono essere valutati tramite la VIA: quelli che hanno effetti rilevanti sull’ambiente sicuramente e
quelli che potrebbero causare un impatto ambientale. In Italia è stato emanato un D.P.R. nel 1996 che
delega il compito di attuare la valutazione alle regioni e alle province.
Gli studi d’impatto ambientale della direttiva CEE comprende diversi temi i cui argomenti principali sono:
- Economia locale;
- Ambiente naturale;
- Valori culturali ed estetici;
- Sevizi pubblici e privati;
- Problemi sociali.
Negli studi è importante individuare quelle componenti ambientali, denominate indicatori ambientali, che
diano informazioni o descrivano un particolare fenomeno o processo significativo per l’ambiente stesso e
sensibile nei confronti dell’opera da inserire nel territorio. Essi possono essere:
 Di pressione, attività umane che influiscono sull’ambiente;
 Di stato, cambiamenti osservabili dell’ambiente;
 Di risposta della società per risolvere un determinato problema.
Gli indicatori vengono impiegati in due fasi.
1. Fase di descrizione e di interpretazione dell’ambiente;
2. Fase di identificazione e di stima degli impatti dove si utilizzano sistemi di rilevamento e
monitoraggio riferiti agli indicatori stessi. I dati vengono trasferiti in liste di controllo o matrici; la
matrice VIA mette in relazione i rapporti tra le differenti categorie di termini che intervengono in un
processo di impatto.
Successivamente viene attribuito un valore ambientale agli indicatori, un peso che identifichi le priorità.
7.4.3 L’applicazione della geomorfologia nella VIA
Si può avere:
1. Impatto fisico (If), quando il geomorfosito è direttamente impattato da un’opera antropica e ne
viene fisicamente danneggiato o distrutto più o meno parzialmente, direttamente o meno;
2. Impatto visivo (Iv), quando il geomorfosito viene danneggiato visivamente e nella sua accessibilità
a causa della presenza di un’opera antropica.
Queste due tipologie vengono singolarmente calcolate come differenza tra la Qualità pre-progetto e la
Qualità post-progetto con la formula:

I(f,v) = Qpre - Qpost

I valori ottenuti dovranno essere normalizzati come per il valore Qualità. L’impatto totale sarà dato dalla
somma dei due impatti, tenendo conto tuttavia dei loro diversi pesi: l’impatto visivo è meno grave rispetto
all’altro.

I = (1x If) + (0.5x Iv)


Venendo a mancare la presenza fisica del geomorfosito questo non può più essere considerato tale e
l’impatto sarà massimo.
Questa metodologia, pur essendo quantitativa, ha una componente soggettiva.

7.5 LA SOSTENIBILITA’ AMBIENTALE


Essa trova il suo presupposto nella nozione di sviluppo ambientale e costituisce uno dei principali
fondamenti per la definizione delle future politiche economiche, ambientali e sociali.
Nei suoi rapporti con l’antropizzazione, fa riferimento ai rapporti fra le forme del rilievo ad alta sensibilità
geomorfologica e processi causanti variazioni del sistema morfogenetico, con conseguenti fenomeni di
disequilibrio geomorfologico (tav. 12, p. 273).
Per sensibilità geomorfologica si intende la probabilità che una determinata sollecitazione possa produrre
una risposta geomorfologica sensibile, evidente e permanente.
E’ messo in evidenza come una mancanza di prevenzione da parte dell’uomo, – unica variabile che dipende
da una propria volontà o scelta responsabile o non e producente effetti rispettivamente di sviluppo
sostenibile o crimine ambientale –, o una attività antropica irresponsabile nei confronti dei processi
morfogenetici possa determinare situazioni di rischio o di impatto ambientale nei confronti dei
geomorfositi.

CAPITOLO 8. GEOMORFOLOGIA E BENI CULTURALI


8.2 METODOLOGIA GENERALE
Per la metodologia di ricerca più generale, si possono indicare cinque fasi di operatività:
1. Inquadramento fisico del territorio in cui è inserito il bene culturale in senso stretto, in termini di
evoluzione geomorfologica, di risorse, di stabilità e pericolosità ambientale;
2. Motivazioni geomorfologiche che hanno condizionato l’ubicazione del bene culturale
3. Valutazione dei rischi;
4. Valutazione degli impatti ambientali causati dalla fruizione del bene culturale;
5. Conoscenza integrata del bene culturale con l’ambiente per permettere la giusta fruizione di
entrambi in modo che si abbiano ricadute positive in termini economico-sociali, anche per quanto
riguarda la loro conservazione e valorizzazione.
8.3 APPROCCI CONCETTUALI SPECIFICI
In maniera più specifica, si possono indicare tre tipi di approccio concettuale e conseguentemente tre tipi di
percorso metodologico:
1. Approccio ambientale, si basa sui rapporti tra l’ambiente e i beni culturali in conformità a uno
schema in cui l’ambiente può essere considerato come risorsa paesaggistica o come pericolosità
ambientale, mentre l’ambiente è considerato come vulnerabilità (suscettibilità di danni materiali) o
come sede di attività di fruizione. I rapporti tra i due fattori possono comportare rischi o impatti
2. Approccio storico, si basa sulla storia come asse interpretativo, cioè sui concetti di continuità e di
integrazione fra il contesto paesaggistico attuale e, a ritroso, la sua storia e preistoria. Lo scopo è
quello di riconoscere nel paesaggio le interazioni e i rapporti determinatisi nel tempo,
interpretando in maniera interdisciplinare tutte le sue componenti storiche. Questo approccio
permette di fare previsioni sul futuro per attuare misure di mitigazione dei rischi;
3. Approccio culturale (in senso lato), riguarda il dialogo e l’integrazione culturali fra discipline
umanistiche e discipline scientifiche.

CAPITOLO 9. LA DIMENSIONE CULTURALE DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE


9.1 LO SVILUPPO SOSTENIBILE
9.1.1 Approccio concettuale e metodologico
I principali presupposti della sostenibilità sono così schematizzati.
1. Sostenibilità ambientale: capacità di mantenere nel tempo qualità e riproducibilità delle risorse
naturali, mantenimento dell’integrità dell’ecosistema, preservazione della biodiversità;
2. Sostenibilità economica: capacità di produrre in modo duraturo reddito e lavoro per il
sostentamento della popolazione, uso razionale ed efficiente delle risorse, riduzione dell’impiego di
quelle non rinnovabili;
3. Sostenibilità sociale: capacità di garantire condizioni di benessere umano e accesso alle
opportunità sociali, distribuite in maniera equa fra strati sociali, età e generi;
4. Sostenibilità istituzionale: capacità di assicurare condizioni di stabilità, democrazia, partecipazione,
informazione e formazione, giustizia.
In sintesi lo sviluppo sostenibile dovrebbe garantire la qualità della vita, l’accesso alle risorse naturali e la
difesa dell’ambiente.

-Uno degli ambiti privilegiati di analisi per lo sviluppo sostenibile è la città in quanto qui avvengono
fenomeni a forte impatto ambientale con una certa frequenza; la città ecosostenibile deve saper trovare il
giusto rapporto fra spazio urbano e territorio circostante, recuperando identità e memoria, attraverso un
approccio culturale di tipo interdisciplinare.
Gli obiettivi della ricerca che mirano ad una gestione dinamica sono:
- Messa a punto della rete conoscitiva e individuazione dei nodi relazionali fondamentali, definire le
variabili fisiche e biologiche del sistema integrato “città”;
- Integrazione tra le diverse discipline utilizzate nella ricerca.
E’ da sottolineare, inoltre, come i problemi ambientali siano da risolvere a scala globale, considerando il
fatto che a livello geomorfologico, dopo la WW II, è avvenuto un mutamento radicale irreversibile: se prima
l’ambiente riusciva ristabilire l’equilibrio dopo una trasformazione del territorio, ora il paesaggio assume
connotazioni irreversibili.Questi sono difficilmente risolvibili perché non vi sono politiche di pensiero e
manovre politiche univoche in tutti gli Stati.
In questo frangente, in Europa gioca un ruolo importante l’istituzione Universitaria per la formazione di una
coscienza ambientale e il ripristino della fiducia nella scienza, messa in dubbio da una crisi etica; è
importante dunque valorizzare la cultura e promuoverla perché base di un’unità europea.
9.2 DALLA CONOSCENZA ALLA FORMAZIONE
Secondo quanto detto pima, è dunque fondamentale creare un rapporto equilibrato tra uomo e ambiente
attraverso due elementi.
1. Ricerca. Questa si sviluppa attraverso procedimenti integrati e coordinati nei diversi settori delle
scienze. Mediante la ricerca si giunge alla conoscenza. Il fare scienza è un’attitudine della società
essenziale;
2. Informazione. Essa trova i metodi e gli strumenti atti alla formazione delle conoscenze, presupposti
indispensabili per comprendere i rapporti e gli sviluppi ambientali.
Dal primo punto, si comprende che anche l’interazione con società gioca un ruolo importante nella
conoscenza, in quanto la gestione dello spazio risulta essere fondamentale per la comprensione degli spazi
comuni e di quelli individuali, per una visione dinamica e globale.

9.2.2 La comunicazione culturale


La fase che la politica e la ricerca vanno ad iniziare, è una fase che promuove la divulgazione scientifica e
quindi la comunicazione culturale: non è infatti possibile trattare dei problemi legati alle risorse non
rinnovabili, e allo spreco di risorse in genarle, senza che vi sia un consenso del pubblico per la promozione
di soluzioni a lungo termine e possibilmente globali.
Attraverso delle analisi sistematiche e la programmazione mirata di progetti per il giusto uso delle risorse,
considerando anche il fattore temporale, si può trasmettere la conoscenza all’umanità. La divulgazione
scientifica non deve essere solamente la semplificazione di temi complessi, ma una misura di comprensione
degli stessi.

9.2.3 La valorizzazione
Nella società odierna, complessa e mutevole, sembra essere sparito il legame con il luogo; in realtà, più si
ampliano le conoscenze sui luoghi esotici, più il singolo avverte un maggior legame con il proprio luogo di
origine.
La cultura del paesaggio deve nascere dalla concezione che esso è la sintesi di tutto ciò che è naturale ed
umano: questo diventa possibile quando la cultura è intesa come culto, nella concezione latina (cultus, p.p
di colere= coltivare).
Valorizzare vuol dire anzitutto comunicare, ma anche sperimentare novità che coinvolgono rapporti
affettivi ed emotivi; è indispensabile superare l’impostazione analitico-descrittiva che ha guidato le scelte e
la programmazione dello sviluppo sostenibile per passare ad un’analisi sistemico-evolutiva (paesaggio come
rapporto complesso di fattori interagenti, anche collegati allo sviluppo socio-culturale).

Per una corretta tutela e valorizzazione è fondamentale il concetto prima spiegato della conoscenza che
diventa l’elemento idoneo a costruire una logica per il corretto utilizzo delle risorse.
Ciò che bisogna favorire è il cambiamento del punto di vista: non programmare per proteggere e
proteggere per gestire, ma programmare per far conoscere, conoscere per valorizzare e auto-proteggere.
Se il paesaggio è considerato un bene culturale, è allora fondamentale conoscerlo, valorizzarlo e
proteggerlo

9.3 LA GEOETICA
La geoetica consiste nell’indagine e nella riflessione sui valori e sui principi che devono orientare le azioni e i
comportamenti nei confronti della geosfera; quindi si occupa delle implicazioni etiche, sociali e culturali
della ricerca e della pratica delle Scienze della Terra.
Punti di partenza per lo sviluppo della Geoetica sono il riconoscimento e la valorizzazione della cultura
geologica.
Quali sono allora i compiti attribuiti alla Geologia?
- Partecipazione solerte e costante, programmata in tutti i contesti scientifici, culturali e divulgativi;
- Privilegiare una cultura comune ai suoi diversi settori che sottolinei soprattutto i rapporti tra questa
e l’antropizzazione;
- Far emergere le sue motivazioni dei cambiamenti ambientali nei diversi ambiti e nei diversi livelli.

Potrebbero piacerti anche