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Monge Roffarello A. - Parola Alberto. Dispense sulla CNV
Introduzione
Le espressioni del volto sono rivelatrici di emozioni, sentimenti, atteggiamenti
ora occasionali, ora persistenti degli individui. In particolare, questo segnale si
circoscrive alla bocca, alle sopracciglia, ai muscoli facciali, agli occhi ed allo
sguardo che tratteremo approfonditamente nella U.D.7. Esso orienta i rapporti
interpersonali: infatti, la prima impressione che ci facciamo di un individuo a noi
sconosciuto, in base alle caratteristiche peculiari del suo volto, influenza le
caratteristiche del rapporto.
Il volto può essere considerato come un’area di comunicazione specializzata per
manifestare atteggiamenti nei confronti di altre persone, ma soprattutto per
esprimere le nostre emozioni.
Differentemente dall’animale, l’uomo può controllare ed alterare le sue
emozioni, anche se ciò non risulta facile. Infatti alcune espressioni del volto
umano esulano dal nostro controllo cosciente evidenziando così, a nostra
insaputa, il nostro stato d’animo che, in un determinato momento, si manifesta
attraverso canali comunicativi alternativi: la traspirazione, la dilatazione delle
pupille (vedi U.D. 7) ed i micro-movimenti dei muscoli facciali. Questi ultimi
sono rappresentati da espressioni momentanee di breve durata (di circa 0,2 sec.,
possono essere appena intraviste o addirittura non viste ad occhio nudo) che
tradiscono l’intenzione del soggetto di mascherare o reprimere il suo vero stato
d’animo. Ekman e Friesen (1969) individuarono queste espressioni di
brevissima durata proiettando al rallentatore delle riprese filmate.
Le prime espressioni utili, dal punto di vista biologico, come mostrare i denti o
spalancare gli occhi divennero, in seguito, rituali e furono utilizzate come segnali
sociali: il volto si sviluppò come area di comunicazione fino a specializzarsi in
modo complesso. Nelle specie animali, solamente quelle più evolute possiedono
un grande discernimento visuale mentre quelle inferiori fanno uso delle
espressioni del volto molto raramente. Esse possono essere inserite in tre diverse
categorie a seconda della rapidità del movimento con il quale si manifestano e a
seconda del sistema nervoso che le controlla:
a) le emozioni (vedi par. 6.4.) si manifestano con movimenti lenti e si ipotizza
che dipendano dal SNA (sistema nervoso autonomo) anche se c’è la compresente
mediazione di fattori cognitivi;
b) i segnali interattivi (vedi par. 6.5.) vengono trasmessi molto rapidamente e si
ipotizza che vengano controllati dal SNC (sistema nervoso centrale);
c) la personalità (vedi par. 6.6.) viene manifestata in modo statico anche se può
venire espressa con reazioni veloci e ripetute, per esempio con la tendenza
costante a ridere. Essa dipende dalle strutture del corpo ma, tuttavia, subisce
controlli da tutti e tre i livelli appena citati.
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- incredulità
- sorpresa
- indifferenza
- perplessità
- collera.
Esse assumono una conformazione di massimo inarcamento se l’emozione
provata è l’incredulità mentre risultano decisamente abbassate in caso di collera.
L’autore osserva che, oltre alle sopracciglia, partecipa al commento gestuale
anche la zona facciale intorno alla bocca.
filmati in 16 mm. alla frequenza di 48 pose/sec.). Anche una ricerca, dello stesso
autore, su bambini nati ciechi e sordi, rivelò che i mutamenti di espressione
facciale si presentano indipendentemente dall’imitazione e dall’apprendimento e
devono, quindi, essere innate.
- Alcune espressioni del volto particolari, come “strizzare l’occhio”, non sono
innate ma devono essere deliberatamente apprese: troviamo la conferma di
quanto detto osservando un bambino che tenta per la prima volta di
padroneggiare questa azione apparentemente semplice; alcuni individui trovano
difficoltà a strizzare l’occhio anche da adulti.
- Alcune azioni possono essere considerate miste. Cioè i quattro modi con cui noi
acquisiamo dei modelli di azione (eredità genetica, scoperta personale,
assimilazione sociale, apprendimento deliberato) non sono rigidamente separati
ma possono essere compresenti; molte azioni devono la loro "forma adulta"
all’influsso di più di una di tali categorie. Ad esempio, azioni universalmente
diffuse come il riso ed il pianto possono essere soppresse o ostentate a seconda
della cultura che impone delle pressioni sociali: la risata soffocata, con la mano
sulla bocca, di una donna di origini orientali differirà rispetto alla risata aperta di
una donna londinese. Anche nel pianto ci possono essere grandi differenze: un
“singhiozzare sfrenato con la faccia contorta dalla pena” rispetto ad un
“lacrimare silenzioso”, quasi senza espressione.
- Come già affermato l’uomo riesce a controllare molto bene le espressioni del
suo volto. Noi ci presentiamo in pubblico con delle “maschere”, tutti facciamo
del nostro meglio per essere cortesi, ma i nostri sorrisi a volte ci tradiscono:
infatti, un basilare ed acuto conflitto tra il nostro mondo interiore e la nostra
immagine esteriore, per il quale i nostri pensieri e le nostre azioni o espressioni
non concordano ma determinano un momento di tensione, crea una fuga di
informazioni non verbali che può essere recepita dal nostro interlocutore. Spesso
non riceviamo una risposta ostile perché egli coopera alla nostra menzogna.
- Spesso l’uomo invia dei segnali contraddittori in cui si hanno degli elementi in
opposizione ma, a differenza dei segnali ambivalenti, lo stato d’animo di chi
invia il segnale è semplice e non misto. Un esempio ci è dato da una tipica
espressione che consiste in due segnali contraddittori:
- la timida inclinazione della testa in avanti
- lo sguardo audace.
A quale segnale dobbiamo credere? Morris (1977) afferma che possiamo credere
agli occhi in quanto la testa china è un segnale identificato, presente, cioè, nella
nostra mente come immagine fissa, prefabbricata, facile da usare in maniera
calcolata. Quindi è lo sguardo che distingue questa espressione da un’altra di
vera timidezza, in cui testa ed occhi sono entrambi abbassati.
Secondo l’autore la probabilità che una azione rifletta uno stato d’animo
autentico aumenta:
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- quanto più l’azione è “lontana” dal volto (cioè compiuta da altre parti del corpo
che utilizziamo meno consapevolmente);
- quanto meno consapevole ne é il soggetto;
- se si tratta di una azione non identificata (che non è diventata un’unità di
comportamento riconosciuta tra la popolazione in genere).
- L’uomo può inviare dei segnali carenti, la cui reazione non raggiunge la
necessaria intensità: per esempio il sorriso “accendi e spegni” delle fotografie di
famiglia svanisce con rapidità a differenza del sorriso spontaneo che ha una
durata maggiore e si spegne più lentamente . Il vero stato d’animo dei soggetti
interferisce con la sua esibizione sociale e la carenza può intravvedersi sia nella
durata che nella forza dell’espressione.
Noi uomini siamo inconsapevoli della sottile complessità dei nostri gesti e delle
nostre espressioni cosicché non riusciamo a copiarli perfettamente: se un volto
umano viene costretto a sorridere per compiacere ad un fotografo, questo falso
sorriso comincia presto a spegnersi; ciò vale anche per soggetti con maggiore
esperienza come gli attori o le modelle professioniste.
- Allo stesso modo l’uomo può inviare dei segnali eccessivi: in questo caso egli è
inconsapevole della natura estremamente sottile di una reazione autentica e la
contropressione esercitata dallo stato d’animo che intende celare svanisce; egli,
utilizzando tale strategia, nasconde bene i suoi veri sentimenti. Se un individuo
reagisce in modo esagerato ad una situazione emetterà segnali eccessivi mediante
smorfie, risa smodate, comportamenti forzatamente naturali, pianti dirompenti:
queste reazioni ci avvertono che lo stato d’animo ostentato non è quello
realmente sentito dal soggetto e che si è, quindi, scatenato un meccanismo
compensatorio che ha oltrepassato i limiti ordinari.
- Alcune azioni sono il risultato di uno stress fisico e si manifestano tramite
l’emissione di segnali autonomici: questi segnali rappresentano il risultato di un
conflitto interiore determinato da situazioni stressanti. Questo conflitto avviene
perchè noi vorremmo compiere un’azione che, però, viene bloccata o è
necessario che venga bloccata a causa delle imposizioni delle regole sociali. La
nostra attività è controllata da due sistemi che agiscono in concomitanza ed in
antagonismo: il sistema simpatico ed il sistema parasimpatico. Essi fungono
rispettivamente da acceleratore e da freno per la nostra attività: il primo per
quella intensa, il secondo per quella moderata. In determinate situazioni (basti
pensare ad un oratore dinnanzi ad una folla) alcuni stimoli producono uno stress
che provoca il riversamento di una quantità di adrenalina nel flusso sanguigno
determinato dall’azione del sistema simpatico, creando una condizione in cui il
nostro corpo è pronto ad agire, per esempio fuggendo dalla situazione stressante.
Considerando il fatto che le regole sociali impongono una condotta che ci
impedisce la fuga o altri tipi di azione, il sistema parasimpatico, con la sua azione
frenante, cerca di ricostituire lo stato di equilibrio perduto dal tentativo del
sistema antagonista di prendere il sopravvento: l’entrata dell’adrenalina nel
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2) il sorriso a brioche è tipico del bambino piccolo che apre la bocca a bocciolo,
riappare nel fanciullo e nell’adulto e si manifesta quando egli vuole produrre un
sorriso particolarmente seducente;
3) il sorriso semplice può essere suddiviso in due categorie a seconda
dell’intensità: (a) ad intensità debole indica incertezza, mancanza di sicurezza;
(b) ad intensità forte indica piacevole attesa, generale sicurezza di sé;
4) il sorriso represso è simile al sorriso semplice ma le labbra sembrano più
sottili perché premute l’una contro l’altra; indica un divertimento represso perché
il bambino è inibito di fronte alle possibili conseguenze sociali, ad un eventuale
rimprovero;
5) il sorriso superiore veicola una disposizione d’animo simile all’amicizia; può
anche essere falso ma se è vero lo si riconosce dal caratteristico guizzo delle
sopracciglia. Una variante è data da quella con i denti superiori appoggiati al
labbro inferiore;
6) il sorriso inferiore può rappresentare una minaccia sotto l’apparenza di un
sorriso; esso viene espresso evidenziando il labbro inferiore;
7) il sorriso aperto indica un alto grado di piacere e di eccitazione, esprime
pacificazione. In questo tipo di sorriso la maggior parte dei denti delle arcate
superiori e inferiori sono scoperti e ben visibili.
8) nella risata è presente la sonorizzazione, il viso è rilassato e la respirazione
entra in competizione con il riso.
1) felicità
2) paura
3) sorpresa
4) tristezza
5) collera
6) interesse
7) disgusto.
La questione universalismo-relativismo, quindi, é aperta: l’espressione delle
emozioni é la stessa per ogni cultura o cambia da cultura a cultura? Essa dipende
da fattori innati o é relativa all’apprendimento nel corso dello sviluppo? Esistono
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6.6. La personalità
Il controllo operato sulle nostre espressioni facciali, in dipendenza sia
dell’insegnamento e dell’educazione familiare, sia della socializzazione, non ci
permette di nascondere perfettamente i nostri veri sentimenti: ciò che noi
vediamo in un volto é pur sempre il risultato di una presentazione di sé.
Argyle (1975) afferma comunque che “...é probabile che, se un individuo assume
in modo persistente una determinata espressione facciale in seguito ad un
abituale stato d’animo, essa lascerà tracce identificabili sui muscoli del volto e
sull’epidermide.
Secord (1959) effettuò degli studi utilizzando delle fotografie per ottenere dei
giudizi sulla personalità. Egli notò che i giudici basavano la propria valutazione
su degli stereotipi facciali: per esempio furono assegnati alla categoria “negro”
dei soggetti che possedevano dei capelli ricci, delle labbra spesse e la pelle scura.
Inoltre essi furono considerate delle persone religiose, superstiziose, ostinate a
causa dell’influenza dello stereotipo che i giudici possedevano della categoria
sociale in questione.
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