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Ricardo Merrill Elizabeth Diller

Scofidio

New York, HIGH LINE


Progetto di Diller Scofidio + Renfro
Nel decennio del 1860, in una zona allora scarsamente popolata, venne
costruita una ferrovia nel West Side di Manhattan.

Col passare degli anni e l’incremento della popolazione, si crearono seri


problemi di sicurezza, così si decise di realizzare una porzione di binari lunga
1,5 miglia (2,33 km), sopraelevata dal terreno ad un’altezza di 9 metri.

Nel 1934, la High Line aprì ai treni che correvano dalla 34th Street fino al
terminal di St. John’s Park a Spring Street per trasportare merci, in una zona
altamente industrializzata.

A partire dal 1960 la città di New York ha subito uno sviluppo industriale, volto a
occupare la penisola di Manhattan, allora del tutto disabitata, costruendo grandi
stabilimenti e fabbriche, che diventano negli anni successivi il centro economico
della città.

La distribuzione delle merci e persone nella zona industriale era possibile


tramite la ferrovia del West Side, che tagliava la città occupando gran parte del
collegamento via terra.
Con lo sviluppo sempre più massiccio del trasporto su strada, nel 1980 passò di qui
l’ultimo treno. Un gruppo di proprietari spinse da subito per la demolizione della ferrovia
sopraelevata, mentre Peter Obletz, un residente di Chelsea nonché attivista, li sfidò in
tribunale per far sopravvivere la High Line.

Nell’autunno del 1999 Joshua David e Robert Hammond fondarono un comitato, “Friends
of the High Line”, con l’obiettivo di fermare la demolizione. Sia il comitato che i progetti di
Giuliani crebbero con una certa lentezza. Poi arrivò l’11 settembre 2001. Hammond ha
raccontato al National Geographic: “Pensavamo che a quel punto a nessuno sarebbe
importato della High Line, ma invece tutto il dibattito su cosa fare di Ground Zero rinnovò
l’interesse dei newyorkesi per la pianificazione urbana e l’architettura, e il loro impegno in
comitati come il nostro”. L’attività del comitato di David e Hammond non consisteva
nell’organizzare proteste, sit-in e picchetti, bensì nel presentare al Comune una proposta
che fosse effettivamente più conveniente e proficua della demolizione. Il comitato “Friends
of the High Line” commissionò una serie di studi sulla fattibilità economica del parco e
sull’impatto che avrebbe avuto sul resto del quartiere e iniziò a raccogliere fondi. Poi aprì
una specie di concorso di idee. Potessimo trasformare la High Line in un parco, chiesero,
come vorremmo che fosse? Scrive il National Geographic: “Si aspettavano qualche
decina di proposte provenienti da residenti di New York. Arrivarono 720 progetti da 36
paesi diversi”.
Nel 2003 l’amministrazione di Michael Bloomberg garantì un fondo iniziale per
i lavori di consolidamento e riqualificazione della ferrovia e nel 2006 venne
indetto un concorso internazionale di progettazione. Il progetto vincitore
risultò quello dello studio Diller Scofidio + Renfro & Field Operations, che
propose l’utilizzo delle strutture a parco pubblico sopraelevato con lo scopo
di distribuire e rendere sicuro il traffico pedonale per il quartiere e di collegare
le attività culturali con un segno chiaro e forte in una città in continuo
movimento.
Una delle storie meno raccontate riguardo l’11 settembre 2001 è che New York era in
piena campagna elettorale per eleggere il suo nuovo sindaco. Rudolph Giuliani stava
concludendo il suo secondo mandato e non poteva averne un terzo, anche se fece poi
un tentativo di cambiare le norme in nome dell’emergenza. Le primarie dei Democratici
e dei Repubblicani erano state fissate proprio per l’11 settembre; gli attentati portarono
i partiti a posticiparle al 25. Le elezioni comunali si tennero il 6 novembre, meno di due
mesi dopo il fatto più tragico della storia della città. In una delle città più liberal e di
sinistra d’America vinse di nuovo un Repubblicano, per giunta ricchissimo ed ex
Democratico: Michael Bloomberg, imprenditore, editore e filantropo – e contrario alla
demolizione della High Line.

Bloomberg trovò un accordo col comitato “Friends of the High Line” e il comune
decise che la High Line sarebbe diventata un parco. L’accordo prevedeva che il
comune avrebbe stanziato 112 dei 153 milioni di dollari necessari alla riqualificazione
della ferrovia; 21 sarebbero arrivati da fondi statali e federali, 20 li avrebbe tirati fuori il
comitato. I “Friends of the High Line” accettarono anche di accollarsi i costi di
manutenzione del parco, una volta aperto, e per questo la High Line continua a
raccogliere fondi e donazioni. I 20 milioni di dollari erano quelli necessari ad aprire il
primo tratto, dopo ne sarebbero serviti degli altri: a un certo punto nel 2011 ne hanno
raccolti ben 85 da privati cittadini e istituzioni culturali. Oggi la High Line viene visitata
da circa cinque milioni di persone ogni anno: almeno dieci volte di più di quante David
e Hammond si aspettavano, stando ai piani e ai progetti che avevano commissionato.
Quando Hammond e David cercavano di vendere in giro la
bislacca idea di trasformare una ferrovia sopraelevata in un
parco, li aiutò molto poter fare l’esempio di qualcosa che
esisteva già: la Promenade Plantée di Parigi, un parco
pubblico lungo 4,7 chilometri che porta dal Boulevard
Périphérique fino a Place de la Bastille, a pochi passi dalla
riva destra della Senna. Quello che la Promenade Plantée di
Parigi è stata per la High Line di New York, la High Line di New
York è stata per i progetti di diverse altre città. Chicago ha già
avviato la riconversione in parco di una sua vecchia ferrovia
sopraelevata abbandonata, la Bloomingdale Line. Nel 2018
anche Washington DC avrà il suo parco sopraelevato: non
costruito al posto di una vecchia ferrovia, bensì di un ponte
autostradale sopra il fiume Anacostia.
Il 9 giugno del 2009 ha aperto la prima sezione del parco da Gansevoort
Street nel Meatpacking District, fino ad arrivare alla 20th Street.

L’8 giugno 2011 ha aperto la seconda parte dalla 20th Street fino alla 30th
Street.

Il 21 settembre 2014 ha aperto la terza parte del parco fino alla 34th Street.
Il 5 giugno 2019 ha infine aperto “The Spur” (lo sperone – nome derivante
dalla forma delle rotaie, che in questa zona formano un semicerchio), che ha
riqualificato l’ultimo tratto della ferrovia originale. Questo tratto si estende ad
est lungo la 30th Street e termina sopra la 10th Avenue.
Il comitato di base di cittadini si scioglie per l’esplodere delle
contraddizioni derivanti dalla nuova veste societaria. E il
progetto della High Line progressivamente si separa dalle
esigenze della popolazione residente per diventare un brand
della città in cui si combina arredo urbano, architettura del
paesaggio, percorso botanico e produzione dello spazio. Nel
2015 all’inizio della High Line apre la nuova sede, progettata
da Renzo Piano, del Whitney Museum. Una macchina
espositiva di arte moderna e contemporanea che segna
l’incontro tra arte, finanza e grandi collezionisti. Nel frattempo,
tutto attorno i valori immobiliari si impennano e le vie adiacenti
alla High Line diventano una palestra per le architetture delle
archistar, da Zaha Hadid a Jean Nouvel. La macchina urbana
è messa a valore, produce profitti e attira visitatori (8 milioni
nel 2018), diventando in breve tempo un «iconic landmark»
che segna il territorio della metropoli.
Il nuovo percorso nasce come un segno percorribile e che
incontra diverse funzioni e aree verdi, cresciute negli anni
spontaneamente sulla struttura abbandonata, preservando i
luoghi in cui la natura ha preso il sopravvento sulle strutture
urbane.
Gli accessi al parco sopraelevato sono resi possibili da
ascensori panoramici e rampe, posti nei nodi di confluenza
con le grandi strade newyorkesi. La progettazione delle
pavimentazioni crea un filtro tra la storia, incorporando i binari
in essa, e la vegetazione, sfumando il suo tracciato verso le
aree verdi e aiuole.
Numerosi sitemi di seduta e sosta sono inseriti lungo il tragitto
che, seguendo le evoluzioni della città stessa, cambia
continuamente il suo linguaggio, con affacci sul fiume Hudson
o sulla 10th Avenue sottostante, creando un collegamento
visivo e suggestivo con la città stessa.
Oltre che come un brillante progetto di architettura del
paesaggio, l’High Line di New York progettata da James
Corner Field Operations con Diller Scofidio + Renfro, può
essere guardata anche dal punto di vista del service design.

Il centro del progetto è l’utente, per il quale sono pensate


diverse modalità di fruizione e di esperienza. Questo parco
urbano può essere utilizzato come luogo di passaggio
alternativo alla strada, oppure come un luogo di sosta, oppure
di ritrovo, secondo modalità che hanno trovato spazio nel
progetto. Sono state realizzate diverse aree che favoriscono
diversi modelli di socializzazione, come si vede per esempio
dalle sedute: panchine tradizionali, panchine con la forma di
un divano, scalinate, panchine-sdraio che possono essere
unite o separate scorrendo sui vecchi binari del treno, tavolini
e sedie per le aree di ristoro.
THE SHED
Cecilia Alemani, nata a Milano nel 1977, trasferita a New York 15 anni fa per
ottenere il Master in Curatorial Studies al Bard College. Dal 2012 Alemani ha
scelto e curato oltre 200 progetti artistici esposti sulla High Line
(art.thehighline.org). ArtsLife l’ha intervistata per la serie “Outstanding Italian
Women in the US” all’Istituto italiano di cultura a New York e questa è una
sintesi della conversazione.

Che cosa c’è di speciale nell’offrire arte in uno spazio aperto come la
High Line?
La particolarità delle sculture, dei murales e delle altre opere sulla High Line è
il loro profondo rapporto con l’ambiente, cioè con la vegetazione e il
paesaggio disegnati da Piet Oudolf, con l’architettura della stessa
passeggiata e con la gente. L’arte dev’essere veramente concepita per
questo posto, anche perché quando la High Line fu disegnata nel 2005,
inizialmente non c’era il progetto di esporci delle opere, quindi non ci sono
spazi ad hoc e questo è una grossa sfida. Il vantaggio per gli artisti è poter
mostrare il loro lavoro a 8 milioni di persone, che non sono tutte amanti o
esperte di arte, ma sono un pubblico molto vivo.
E gli svantaggi?
Dobbiamo fare i conti con la neve, il vento, il sole e anche gli uragani!
Quando progetto una installazione, devo farlo insieme al manager delle
produzioni, ad architetti e ingegneri per essere sicuri che tutto sia ok,
che niente cada in testa a qualcuno e lo uccida, nemmeno un uragano.
Quando Sandy ha sconvolto New York, sulla High Line c’era una enorme
installazione di metallo, con pezzi molto delicati: tutto è andato bene,
anche se il nostro quartiere, Chelsea, è rimasto senza elettricità per
settimane.

Come scegli gli artisti?


La nostra missione è mostrare giovani emergenti, ma anche artisti a
metà della loro carriera oppure sottovalutati e dimenticati. Con una
enfasi sugli artisti locali, ma trattandosi di New York questo significa
moltissimi artisti da tutto il resto del mondo. Così abbiamo circa metà
artisti americani e metà internazionali. Il 95% dei progetti è creato ad hoc
per la High Line: non solo le tradizionali sculture di bronzo per gli spazi
all’aperto, ma anche performance dal vivo, video, luci, murales.
A proposito della tua carriera, che cosa ti ha attirato verso il mondo dell’arte?
So che un tuo zio era un famoso architetto e designer, Lodovico Barbiano di
Belgiojoso, che ha costruito fra le altre cose la Torre Velasca a Milano…
In tutta la mia famiglia c’è sempre stato amore per l’arte, da mio nonno a mio padre.
Io all’Università di Milano mi sono laureata in Filosofia dell’arte. In realtà ai miei primi
colloqui di lavoro mi chiedevano sempre se parlavo inglese. Invece a scuola avevo
studiato francese. Così sono andata a Londra a imparare l’inglese e mentre ero là
ho cominciato a frequentare la Tate Modern, appassionandomi all’arte moderna.
Tornata in Italia, ho lavorato per un anno in una galleria privata e poi ho scoperto
che a New York c’era un master per diventare curatore d’arte e sono venuta qui per
farlo.

Essere italiana ti ha avvantaggiato nel mondo dell’arte?


Certo. E’ un vantaggio crescere circondata dall’arte in Italia. Quando vai in un altro
Paese ti rendi conto di quanto eri viziata e privilegiata a nascere in Italia ed è bello
condividere la tua esperienza con altre comunità.

Che cosa le istituzioni artistiche italiane potrebbero imparare e importare


dall’America?
La High Line non è una istituzione tradizionale, è molto giovane. Tutto è molto
efficiente e sarebbe magnifico importare un po’ di efficienza in Italia. La mentalità
americana è molto pragmatica. L’ambiente in Italia è diverso, difficile da cambiare,
ma qualcosa si sta muovendo in meglio.
Potrebbe nascere una High Line in Italia?
Perché no? Credo ci sia stato un tentativo a Roma. In effetti
stiamo lanciando una rete di progetti simili al nostro negli Usa,
da Filadelfia a Chicago a Los Angeles e sulla scena
internazionale. Vogliamo condividere la nostra esperienza, il
nostro know how, le pratiche migliori e anche gli errori
compiuti per non ripeterli. Però credo che il successo della
High Line qui non dipenda dalla struttura fisica, ma dal fatto
che New York è una città speciale, che abbraccia il nuovo con
entusiasmo. Non so se è ripetibile allo stesso modo in altre
parti del mondo.
Un nuovo murales appena installato sulla High Line si intitola “I Lift
My Lamp Beside the Golden Door” – “A loro la luce accendo su la
porta d’oro” -, che è l’ultimo verso della poesia “Nuovo Colosso”
incisa sul piedistallo della Statua della Libertà: il benvenuto agli
immigrati che arrivavano per nave a New York. L’autrice del murales
è Dorothy Iannone, un’americana che lavora a Berlino i cui lavori –
leggo sul vostro sito – “si focalizzano sull’eroticismo e l’esperienza
sessuale femminile”. Perché l’hai scelta?

Dorothy lavora dagli anni ’50 e ’60 ma ha faticato ad essere riconosciuta.


Solo negli ultimi dieci anni è stata giustamente celebrata. Le sue opere
sono sexy e con molti nudi, in un modo positivo ed entusiasmante. Le
avevamo chiesto una installazione tre anni fa, non andata in porto e ora
l’ha riadattata per un muro bianco all’altezza della 22esima strada. Sono
tre ‘signore’ statue della libertà, molto sexy e colorate, originariamente
intese come icone femminili. Ora Dorothy ha aggiunto delle lacrime sulle
loro facce e quindi assumono un diverso significato, alla luce delle
nuove leggi Usa sull’immigrazione.
Hai paura che un eccesso di nuove costruzioni lussuose che stanno
sorgendo attorno alla High Line la possa rovinare?
No. E’ una sfida perché tutto cambia continuamente e dobbiamo essere
agili, flessibili e veloci: un muro su cui vogliamo fare un murales magari
l’anno prossimo sarà abbattuto. Ma nascerà un’altra superficie… New York
cambia ogni giorno, è nel suo dna. Bisogna adattarsi e andare avanti.

Da quando avete cominciato, vi siete ritrovati con un nuovo museo a


sud, il Whitney e fra un anno a nord aprirà The Shed, un nuovo centro
culturale multidisciplinare, con teatro e spazi per le arti visive…
Esatto. E’ bello vedere la High Line collegare queste due istituzioni e
contribuire a generare un’esperienza culturale. Vicino al The Shed c’è
anche il Vessel creato dal designer Thomas Heatherwick, un gigantesco
‘alveare’ fatto di scale su cui si potrà salire.
Frank O. Gehry, IAC Building, 2003-2007, il primo edificio dell’architetto canadese a
NY, alto 50 m, vetro rivestito di ceramica, per migliorare l’efficienza energetica.

Jean Nouvel, 100 eleventh avenue, 2007-2010


PUBLIC ART
FOR EVERYONE
High Line Art is dedicated to expanding the role of
contemporary art in public spaces. We commission and
produce world-class art projects on and around the High Line,
sparking the dialogue that is an essential element of city life.
Simone Leigh
Brick House
June 2019 – September 2020
LOCATION
On the High Line at the Spur, at 30th St. and 10th Ave.
Simone Leigh presents Brick House, a 16-foot-tall bronze bust of a Black woman with a
torso that combines the forms of a skirt and a clay house. The sculpture’s head is
crowned with an afro framed by cornrow braids, each ending in a cowrie shell. Brick
House is the inaugural commission for the High Line Plinth, a new landmark destination
for major public artworks in New York City. This is the first monumental sculpture in
Leigh’s Anatomy of Architecture series, an ongoing body of work in which the artist
combines architectural forms from regions as varied as West Africa and the Southern
United States with the human body. The title comes from the term for a strong Black
woman who stands with the strength, endurance, and integrity of a house made of
bricks.

Brick House references numerous architectural styles: Batammaliba architecture from


Benin and Togo, the teleuk dwellings of the Mousgoum people of Cameroon and Chad,
and the restaurant Mammy’s Cupboard in Natchez, Mississippi. The sculpture
contrasts sharply against the landscape it inhabits, where glass-and-steel towers shoot
up from among older industrial-era brick buildings, and where architectural and human
scales are in constant negotiation. Resolutely facing down 10th Avenue, Leigh’s
powerful Black female figure challenges us to consider the architecture around us, and
how it reflects customs, values, priorities, and society as a whole.
Leigh works across sculpture, video, installation, and social practice, stitching
together references from different historical periods and distant geographical
locations. As a sculptor, Leigh works predominantly in ceramics—a medium that
she mastered early in her career—continually pushing the boundaries of her
chosen material by working in new methods and larger scales. In her
intersectional practice, Leigh focuses on how the body, society, and architecture
inform and reveal one another. She examines the construction of Black female
subjectivity, both through specific historical figures such as Josephine Baker and
Katherine Dunham, and more generally through overlapping historical lineages
across Europe, Africa, the US, and the Caribbean.

The High Line Plinth presents a series of art installations that rotate every
eighteen months. Designed as the focal point of the Spur, the newest section of
the park that opened in spring 2019, the Plinth is the first space on the High Line
dedicated solely to new commissions of contemporary art.
Various Artists
The Musical Brain
Temporarily postponed
LOCATION
Various locations on the High Line
Featuring works by Rebecca Belmore, Vivian Caccuri, Raúl de Nieves, Guillermo Galindo, David Horvitz,
Mai-Thu Perret, Naama Tsabar, and Antonio Vega Macotela

The Musical Brain is a group exhibition that reflects on the power music has to bring us together. The
exhibition is named after a short story by the Argentine contemporary writer César Aira, and explores the
ways that artists use music as a tool to inhabit and understand the world. The featured artists approach
music through different lenses—historical, political, performative, and playful—to create new installations
and soundscapes installed throughout the park.

Traditionally, music is thought of as an art form we construct ourselves. With different organizing rules,
instruments, and traditions across cultures, music has underpinned essential collective moments in
societies for as long as we know. But music is also the way that we hear the world around us. Often used to
described nature (wind whistling through trees), the cosmos (in the Music of the Spheres, or musica
universalis), and even the built industrial environment (the rhythmic lull of a train car), music is the order we
project onto a cacophonous world. Humans seek order and patterns but also relish chaos and noise; in
many ways, music becomes the way that we can experience both at the same time.

The artists in this exhibition listen closely to the sonic world and explore the different temporal, sculptural,
social, and historical dimensions of the ways we make music, and the ways we listen. They wonder what
stories discarded objects tell when played, what happens when a railway spike becomes a bell, and how
the youth of our generation sing out warnings to save our planet. They remind us that music is a powerful
tool for communication, especially in times when spoken language fails us. The sonic brings us together to
celebrate, protest, mark the passage of time, and simply be together.
Design of the Gardens
The High Line’s aesthetic reflects natural cycles of life and death, and evokes
feelings of being in a wild space. According to Piet Oudolf, who designed our
gardens, “My biggest inspiration is nature. I do not want to copy it, but to recreate
the emotion.”

These landscapes don’t just happen on their own. While many natural processes
take place in the park, the gardens have also been carefully designed and
continuously cared for. Shaping the landscape design requires a good eye and an
understanding of how the plantings will evolve over time. Changes in the gardens
are guided by a team of gardeners who have collaborated with Oudolf for years.

We create different moods and compositions throughout the seasons. Hundreds of


plant species evoke the patterns of woodlands and grasslands. Birds and insects
thread through and animate the plantings. The mood of each garden changes
through the year, conveying the ever-changing wonder and mystery of wild places.

Garden Zones
Walk just a few blocks along the High Line and you’ll pass through several,
incredibly different gardens.
La maggior parte del piantato, che comprende 210 specie, è
composta da robuste piante da prato, tra cui graminacee,
liatris e echinacee, con banchi sparsi di sommacco e scotano,
ma non limitati ai nativi americani.
Alla fine di Gansevoort Street, un boschetto di specie miste di
betulla fornisce già qualche ombra screziata nel tardo
pomeriggio.
Il legname Ipê per i banchi integrati proviene da una foresta
gestita dal Forest Stewardship Council, per garantire l'uso
sostenibile e la conservazione della diversità biologica, delle
risorse idriche e degli ecosistemi fragili.
Chelsea Market
La High Line passa sotto il Chelsea Market, una food hall, in
15th Street. Uno sperone che collega il viadotto all'edificio
della National Biscuit Company si divide nella 16th Street;
questo sperone è chiuso al pubblico. La Tenth Avenue Square,
un anfiteatro situato sul viadotto, si trova in 17th Street, dove la
High Line attraversa la Tenth Avenue da sud-est a nord-ovest.
Alla 23rd Street, c'è il 23rd Street Lawn, un prato dove i
visitatori possono riposare. Quindi, tra la 25th e la 26th Street,
una rampa porta i visitatori sopra il viadotto, con una vista
panoramica che si affaccia a est sulla 26th Street. Il cavalcavia
Philip A. e Lisa Maria Falcone, come viene chiamato, prende il
nome da due importanti donatori del parco
L'effetto High Line

Il successo della High Line a New York City ha incoraggiato i


leader di altre città, come il sindaco Rahm Emanuel di
Chicago, che lo vedono come "un simbolo e un catalizzatore"
per gentrificare i quartieri.
Diverse città hanno anche in programma di rinnovare alcune
infrastrutture ferroviarie in parco, tra cui Philadelphia e St.
Louis. A Chicago, dove il Bloomingdale Trail, un parco lineare
lungo 4,3 km lungo le precedenti infrastrutture ferroviarie,
attraverserà diversi quartieri. Nel Queens, il Queensway, un
tracciato ferroviario proposto, viene preso in considerazione
per la riattivazione lungo il passaggio dell'ex LIRR Rockaway
Beach Branch.
Altre città in tutto il mondo stanno progettando rotaie
sopraelevate in sentieri per parchi. Uno scrittore ha chiamato
questo "effetto High Line".
Il termine gentrification è stato introdotto in ambito
accademico dalla sociologa inglese Ruth Glass nel 1964 per
descrivere i cambiamenti fisici e sociali di un quartiere di
Londra seguiti all'insediamento di un nuovo gruppo sociale di
classe media. A tal proposito C. Hamnett ha scritto:

«Ella identificò la gentrification in un processo complesso, o


un insieme di processi, che comporta il miglioramento fisico
del patrimonio immobiliare, il cambiamento della gestione
abitativa da affitto a proprietà, l'ascesa dei prezzi e
l'allontanamento o sostituzione della popolazione operaia
esistente da parte delle classi medie.»
Il riciclaggio della ferrovia in un parco urbano ha portato alla
rivitalizzazione del Chelsea, che era in condizioni povere alla
fine del XX secolo.
Ha anche stimolato lo sviluppo immobiliare nei quartieri che si
trovano lungo la linea. I residenti che hanno acquistato
appartamenti vicino al parco High Line si sono adattati alla
sua presenza in vari modi, ma la maggior parte delle risposte
sono positive; alcuni, tuttavia, sostengono che il parco è
diventato una "passerella intasata dal turista" da quando è
stato aperto. Il boom immobiliare non è stato senza vittime,
tuttavia molte aziende affermate nel West Chelsea hanno
chiuso a causa della perdita della base di clienti del quartiere
o dell’aumento dell’affitto.
PROGETTATO DALL’ ARCHITETTO
IRACHENA-BRITANNICA ZAHA HADID, MA
COMPLETATO SOLO DOPO LA SUA
MORTE NEL 2016, QUESTO CONDOMINIO
in METALLO E VETRO È IL SUO PRIMO
EDIFICIO A NEW YORK CITY.
Hudson Yards, The Vessel, The Edge
La Promenade plantée (Passeggiata alberata o Passeggiata
fiorita) è un lungo spazio verde adibito a passeggiata
pedonale e parco pubblico situato nel XII arrondissement di
Parigi, in Francia. È chiamata talvolta anche Coulée verte.

È situata sul tracciato di una vecchia linea ferroviaria dismessa


- la ligne de Vincennes (la linea per Vincennes) - in parte
sopraelevata e in parte in trincea, e si estende per 4,7
chilometri da Place de la Bastille fino al Boulevard
périphérique di Parigi, sulla Rive droite della Senna. La sua
particolarità è quella di scorrere in mezzo alle abitazioni
offrendo suggestivi scorci su alcune vie e piazze della città.

Le stazioni della metropolitana di Parigi più prossime alla


Promenade plantée sono Bastille, Gare de Lyon, Montgallet,
Daumesnil, Bel-Air.
Parigi. La Promenade è stata costruita a partire dal 1988 su
progetto del paesaggista Jacques Vergely e dell'architetto
Philippe Mathieux ed è stata inaugurata nel 1993.
La Promenade plantée nella parte che sovrasta il Viaduc des
Arts, in direzione di place de la Bastille.
Il Viaduc des Arts visto dalla Avenue Daumesnil; la Promenade
plantée è situata sulla sommità del viadotto
Se è vero che esistono altri esempi di linee ferroviarie dismesse e
riconvertite a parco o a passeggiata, la Promenade plantée è tuttavia il
primo spazio verde a snodarsi in maniera sopraelevata sfruttando un unico
viadotto.

Nella stessa Parigi la Promenade plantée non è l'unico spazio verde


costruito su un tracciato ferroviario dismesso: nel XVI arrondissement di
Parigi, fra la porte d'Auteuil e la stazione della metro a La Muette, una parte
della ligne d'Auteuil è stata trasformata in passeggiata. Inoltre nel XVII
arrondissement la Promenade Pereire è stata realizzata sul percorso della
ligne de Petite Ceinture.

La Promenade plantée dunque sfrutta l'antica linea che dal 1859 collegava
la gare de la Bastille a Verneuil-l'Étang passando per Vincennes.
Disattivata il 14 dicembre 1969, la linea è stata in parte integrata nella
Linea A 'Île-de-France della RER (Réseau express régional), lasciando in
abbandono il troncone Parigi-Vincennes.
La zona è stata ristrutturata a partire dal 1980. Nel 1984 la
stazione Bastille è stata demolita per far posto alla costruzione
dell'opéra Bastille. Il progetto ZAC (Zone d'aménagement
concerté) Reuilly ha preso l'avvio due anni dopo, nel 1986.
Tale progetto ha previsto il recupero in chiave di spazio verde
del tracciato ferroviario compreso fra l'avenue Daumesnil e le
vie Montgallet e Reuilly, incluso il tratto di Promenade plantée
fra place de la Bastille e la porte de Montempoivre.

La Promenade è stata costruita a partire dal 1988 su progetto


del paesaggista Jacques Vergely e dell'architetto Philippe
Mathieux ed è stata inaugurata nel 1993. Le arcate del
Viadotto delle Arti (Viaduc des Arts) sono state ripristinate nel
1989. Su questo percorso è stata inaugurata poi sempre nel
1989 una nuova piazza, intitolata square Charles-Péguy. Il
Giardino della stazione di Reuilly, infine, è stato inaugurato nel
1995

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