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BANCA E FINANZA

Al momento ci troviamo di fronte ad un eccesso di capacità produttiva, ad un overbanking (anche per via
della forte sovrapposizione) e l’unico modo per risolvere tale problema risulta essere il taglio delle filiali
e il licenziamento. L’esempio pratico risulta essere l’acquisizione nazionale tramite un’OPA di UBI Banca
da parta di Intesa. Dato che la forte sovrapposizione avrebbe generato un problema di antitrust per via
della forte concentrazione, il regulator ha costretto Intesa a vendere 400/500 sportelli ad altre banche
che si sarebbero ingrandite da tale acquisto (BIPER).
La vendita degli sportelli da parte di Intesa avrebbe prodotto circa 11000 licenziamenti perciò è possibile
dire che le fusioni che iniziano oggi hanno come obbiettivo la ricerca della redditività non attraverso la
crescita ma mediante la drastica razionalizzazione.

Possibili soluzioni per salvare questa sovrapposizione sono principalmente 3:


1. aumentare i ricavi;
2. tagliare i costi;
3. ridurre i rischi.
L’esempio Intesa-UBI Banca non è un’operazione che agisce sui ricavi poiché lo sviluppo è limitato, non
agisce sui rischi poiché permane lo stesso business perciò si agisce sulla razionalizzazione (quindi sui
costi).
Tale razionalizzazione comporta una forte riduzione di filiali ma al contempo una maggiore
formalizzazione in rete.
L’effetto sorpresa è stata una delle caratteristiche più importanti di questa sovrapposizione tanto è vero
che sui mercati il prezzo delle azioni, che normalmente rimane alto per la preda e si abbassa per il
cacciatore, ha registrato un incremento dei prezzi di entrambe le banche.

LA BANCA
COME STANNO LE BANCHE?

In Europa le banche stanno male perché hanno poca redditività rispetto alle banche USA. In America
prevale una forte Cultura di Mercato la quale è basata su due aspetti fondamentali:
1. il mercato deve essere competitivo;
2. chi sbaglia deve pagare.
Negli anni 30 è stato il denaro dei contribuenti che ha evitato che il sistema finanziario scomparisse;
questa è una palese situazione di second best, purché le banche non falliscano, visto che la priorità era
salvarle, sono stati sostenuti costi elevatissimi.
La redditività è il termometro della salute e del successo di una banca è chiaro perciò che se una banca,
nonostante sia in perdita, riesca a risollevarsi sta peggio rispetto ad una banca che non registra perdite.

La reputation delle banche rappresenta la crescita di esse e, nel 2013, questa era la più bassa tra tutti i
settori dell’economia; le migliori risultavano la technology, il manufactoring e l’education. Prima della
crisi le banche erano seconde, dietro solo alla tecnologia.
Nella prima ondata della crisi le banche italiane sono state oggetto del problema sistemico mentre nella
seconda ondata del 2011 sono state coinvolte per la recessione e per l’elevato aumento dello spread. Le
banche italiane soffrono per il fatto che si investe in obbligazioni il cui prezzo scende al diminuire del
prezzo dei titoli pubblici; la conseguenza è chiara, poiché l’attivo delle banche è caratterizzato da
numerosi titoli pubblici queste rischiano fortemente il default.
Ciò che ha salvato il sistema americano effettivamente non sono stati i soldi dei contribuenti ma
l’introduzione degli stress test; la FED ha deciso di sottoporre le banche americane a questa prova per
valutare se fossero state davvero rafforzate o meno pubblicando i dati di esse; tale azione era molto
rischiosa ma ha ottenuto ottimi risultati con un conseguente rilancio della reputation.

L’indicatore di fiducia dei mercati, degli investitori e degli analisti è il price to book; quando questo
indice è > 1 allora sta a significare che la banca sta bene. L’azienda con il miglio price to book ad oggi è
senza dubbio Amazon, capace ti creare una perfetta interazione fra manufactoring e technology.

LA BANCA E FINANZA CAPITOLO 2


LA FINANZA CATTIVA

La bad reputation della Finanza nasce specialmente dopo la crisi di Wall Street caratterizzata dall’avidità
che coinvolge tutti coloro che operano nel settore finanziario; si tratta dei trader, i quali effettuano
operazioni di compravendita di titoli indifferenti all’economia reale delle famiglie e delle imprese ma
esclusivamente interessati al guadagno, e dei raider che attaccano, acquistano, fanno a pezzetti,
estraggono valore dalle imprese per poi trarne vantaggio al momento della vendita (cosiddetti scalatori
o investment bankers).
L’avidità è solamente una delle numerose critiche alla cosiddetta Finanza cattiva:
- i bonus, la retribuzione variabile e gli incentivi;
- l’estrema competitività interna per tutto ciò che è collegato all’attività degli intermediari sui
mercati;
- i comportamenti aggressivi definiti da una logica individualistica: “mangia o sarai mangiato”;
- la bassa fedeltà all’impresa da parte dei dipendenti in quanto non vi è alcun attaccamento al
brand, all’impresa, alla mission della banca, ai dipendenti importa solo della loro retribuzione e
dei loro bonus;
- disprezzo del cliente;
- pratiche di misselling ossia incastrare la gente anziana vendendogli titoli di cui l’investment
banker si vuole sbarazzare.

La finanza serve l’economia reale offrendo gli strumenti di supporto, un corretto rapporto tra finanza ed
economia porterebbe al benessere economico, alla crescita, alla produttività, un rapporto malato invece
danneggerebbe entrambi generando un danno al Pil.

Le banche italiane e in generale la maggior parte delle banche europee non è caratterizzata da questa
finanza cattiva in quanto hanno prevalentemente interesse pubblico, raccogliere risparmi e farli fruttare
finanziando le imprese che operano nel territorio; la speculazione su cui si basa la Finanza cattiva non si
è sviluppata in maniera consistente come in America poiché negli anni dell’industrializzazione il ricorso
al finanziamento è avvenuto tramite il sistema bancario e non tramite la borsa.

Le principali conseguenze negative collegate alla funzione e alla gestione del rischio risultano essere:
- il fallimento delle banche;
- la perdita per i depositanti dei loro risparmi;
- la perdita per le imprese dei finanziamenti a causa delle difficoltà delle banche.
Gli errori che derivano appunto dal rischio possono essere fatti anche in buona fede e non per forza
errori morali. Perciò nella valutazione della finanza bisogna distinguere le condotte immorali dagli errori
gestionali che possono essere talvolta commessi nella gestione del rischio; ad esempio lo sviluppo
eccessivo del credito che ha generato la bolla speculativa e la successiva crisi subprime appartiene ad
errori di tipo gestionali. Nonostante il 15% delle famiglie sia caduta in default è anche vero che
moltissime di loro non sarebbero mai ad acquistare una casa poiché hanno potuto beneficiare di un
credito che altrimenti non avrebbero potuto permettersi.
Le leggi e le regolamentazioni del sistema finanziario costringono le banche a non assumere rischio
elevato e quindi ad ottimizzare la combinazione opportunità e rischi e anche per regolare l’autodisciplina
dei clienti (se si parla di clienti con una financial education pressoché assente è più facile rifilargli
determinati prodotti). Il pricing corretto dei rischi è uno degli strumenti della buona gestione per
ottimizzare la combinazione opportunità rischi prezzando correttamente ad esempio i prestiti alle
imprese (se il rischio intrinseco è prezzato correttamente cioè è valutato bene allora porta ad
un’ottimizzazione della combinazione opportunità-rischio e all’assunzione delle quantità giuste che la
banca può ottenere, viceversa ci si allontana dalla combinazione ottima.

La finanza non sempre risulta essere così utile all’economia reale anzi molto spesso opera più per
raggiungere propri obbiettivi, perciò si dice che la finanza è buona quando fornisce un significativo
contributo all’economia reale viceversa viene classificata come cattiva.

Secondo la teoria neoclassica la finanza è utile (se efficiente) poiché contribuisce al funzionamento
dell’economia reale; un sistema finanziario è efficiente se alloca i fondi verso i settori dell’economia
reale più produttivi e si ha una massimizzazione della crescita, grazie alla finanza si riescono a
raggiungere i risultati migliori possibili. Però attenzione perché troppa finanza sfocia nelle bolle
speculative.

SISTEMA FINANZIARIO ED ECONOMIA REALE

Non sempre le relazioni tra sistema finanziario e economia reale sono positive, infatti se un sistema
finanziario non è efficiente pone il problema delle relazioni ottimali con l’economia reale che non sono
più verificate. Lo sviluppo della finanza contribuisce ad aumentare lo sviluppo economico fino a certi
livelli di Pil, oltre a quelli un ulteriore aumento delle dimensioni della finanza non ha più effetti
favorevoli, ma potrebbe generare un’inversione di tendenza; infatti una possibile conseguenza è la
creazione di una bolla speculativa che alla lunga potrebbe generare effetti negativi sulla stabilità e quindi
sul benessere e sullo sviluppo economico.

Qual è la dimensione ottimale del sistema finanziario? La soluzione a tale dilemma risulta essere molto
importante ai fini della regolamentazione ottimale. Se il regulator pensa che ci si trovi ancora in una fase
in cui un po’ più di sistema finanziario contribuisca al beneficio dell’economia reale allora lascia correre
altrimenti la frena. La soluzione è che non conta più quanto è grande e quanto mercato si fa, ma conta
invece la destinazione del denaro (consumi o investimenti). Se si fosse analizzato negli anni della crisi
dove andasse a finire il denaro si sarebbe scoperto che questa finanza non finanziava gli investimenti, le
imprese, ma le famiglie (cioè si finanziava il trasferimento intergenerazionale attraverso l’acquisto di
case, la casa del ricco al povero, dal vecchio al giovane, con un impatto quasi pari a zero quindi negativo
sotto l’aspetto macroeconomico sulla ricchezza, sul Pil, sullo sviluppo economico e positivo invece dal
punto di vista microeconomico).
BANCA E FINANZA CAPITOLO 3
LA REGULATION

Una delle ipotesi della teoria dell’efficienza dei mercati è che i consumatori siano razionali (fare scelte
razionali e rimanere razionali nel calcolo dei rischi), quindi il regulator, che assume un ruolo
fondamentale nella ricerca dell’ottimizzazione del sistema finanziario, non deve proteggerli troppo
altrimenti i consumatori potrebbero trovare difficoltà nella scelta delle proprie preferenze. Qualora i
consumatori del sistema finanziario non siano razionali allora il regulator interviene introducendo delle
regole, delle misure di sicurezza per evitare che questi commettano errori di valutazione nelle scelte.
L’utilità della regulation perciò non è solamente limitata ad evitare il fallimento delle banche ma svolge
anche la funzione di impedire che i risparmiatori effettuino scelte irrazionali contrarie al raggiungimento
dei loro interessi.
Le soluzioni possibili per il contenimento dei rischi di eccesso di finanza, di instabilità e di dimensioni
possono distinguersi in:
- aspetto dimensionale: sotto questo aspetto abbiamo 2 soluzioni:
1- l’abolizione delle banche il che comporta l’impossibilità delle banche di fare prestito e prendere
rischio perciò con questa misura drastica risolvo il problema di eccesso di finanza, eccesso di
credito, di bolla, di opacità e di complessità;
2- la tassazione del debito regolamentandolo e usando la leva fiscale (incoraggiando l’equity
anziché il debito);
- aspetto di mix di debito: tale soluzione impedisce un’eccessiva crescita e alloca il credito verso
usi produttivi.

L’abolizione delle banche non è una soluzione accettabile perché l’utilità di queste è assoluta
nonostante queste debbano operare bene.

LE FUNZIONI DEL SISTEMA FINANZIARIO

Le funzioni del sistema finanziario sono:


- creazione di moneta;
- mobilità cioè raccoglie e fa fruttare il risparmio che affluisce in esso;
- finanzia gli investimenti;
- contribuisce a migliorare la gestione finanziaria delle imprese e delle famiglie attraverso
strumenti come il credito al consumo o l’investimento in fondi pensione;
- copertura dei rischi ossia il sistema finanziario si assume i rischi di imprese e famiglie le quali non
potrebbero sostenere rischi così onerosi.

La maggior parte delle innovazioni hanno grande utilità, infatti attraverso queste il sistema finanziario
migliora la sua performance, risponde meglio ai bisogni degli operatori economici e raggiunge i propri
obbiettivi. Innovazioni come ad esempio il microcredito hanno consentito al sistema finanziario di
rivolgersi anche agli individui più poveri ottenendo importanti risultati non solo a livello individuale
(soddisfacimento della clientela) ma anche a livello globale mediante la redistribuzione dei redditi e una
maggiore uguaglianza.

Il sistema finanziario può funzionare mediante due distinti circuiti: il circuito della banca e quello di
mercato. Banca e mercato si comportano in modo diverso; tendenzialmente le prime realizzano meglio
le funzioni di scelta, mentre quello di mercato è più veloce, impersonale ed oggettivo nella sua attività di
controllo. La banca è legata al debitore da una relazione di clientela perciò potrebbe comportarsi in
maniera meno fredda rispetto al mercato che invece non ha rapporti di clientela e di sicuro
revocherebbe la sua fiducia all’impresa debitrici molto più velocemente di quanto possa fare una banca.
Il circuito bancario consente il finanziamento degli investimenti anche delle piccole imprese ancora in via
di sviluppo e sconosciute al mercato.

L’ACCESSO AL CREDITO

Un sistema finanziario sano e ben funzionante garantisce che l’unico criterio per allocare le risorse
finanziarie è il merito del debitore, cioè la qualità del suo progetto, il tasso di rendimento promesso
dall’investimento. Tanto più il mercato è efficiente tanto più questo criterio è utilizzato. Esistono molti
altri meccanismi meno efficienti che possono essere utilizzati dal mercato come la conoscenza del
mercato, la scelta senza garanzia oppure il diverso criterio di concessione del credito (cioè scelgo il
progetto meno rischioso o magari a parità di rischio scelgo il debitore che mi fornisce una garanzia). Se
utilizziamo questi criteri di concessione del credito è più facile che questo vada agli insider ossia ai
leader passati a chi è maggiormente conosciuto. Con il merito creditizio e del mercato efficiente invece il
credito segue la meritocrazia che spesso può derivare da imprese innovatrici che entrano nel mercato
con idee e progetti nuovi per fare concorrenza a quelle già esistenti.

LA DISCIPLINA DEI MERCATI

Secondo una visione dinamica il sistema finanziario non si limita a scegliere l’alternativa migliore ma
favorisce l’evoluzione e lo sviluppo dinamico, un miglioramento progressivo dello stock di capitale e
degli investimenti. Il finanziamento dell’innovazione svolge un ruolo fondamentale nell’efficienza degli
investimenti; innovazione che sebbene abbia componenti di rischio, costituisce il fattore migliore per
aumentare produttività e competitività.
Il sistema finanziario aiuta le imprese che introducono l’innovazione e che rendono più vitale e dinamico
il sistema economico; ciò è chiamato “distruzione creativa” cioè elimino le vecchie imprese per fare
spazio a ciò che è nuovo.

LA DIFFICOLTÁ NEL FINANZIAMENTO DELL’INNOVAZIONE

Quindi finanziare qualcosa di nuovo (imprese, progetti, servizi) è molto complicato per via di diversi
fattori:
- delle asimmetrie informative: l’imprenditore innovativo non è conosciuto all’interno del
mercato;
- del calcolo corretto del rischio: risulta essere molto più complicato per progetti nuovi che per
progetti già esistenti;
- dei documenti contabili necessari per valutare la qualità e la rischiosità dell’impresa con il limite
che lo standard contabile fa fatica a misurare e dare valore all’innovazione: ad esempio
un’impresa che ha personale geniale ed innovativo e chiede il finanziamento alla banca,
quest’ultima chiede i documenti contabili per valutare il merito, ma nel bilancio presentato non
vi è il valore di innovazione del personale di conseguenza non è possibile valutare il grado di
innovatività dell’impresa e quindi la banca non capisce se tale impresa sia meritevole o meno del
finanziamento;
- del risultato dell’innovazione: l’impresa non potrebbe venderla sul mercato.
Il sistema finanziario fa fatica a finanziare l’innovazione poiché per esso è meglio sviluppare infatti
tecnologie mature perciò nascono alcune istituzioni come le venture capital e le private equity
specializzate nel garantire l’innovazione e pari opportunità di finanziamento nel sistema economico.
Il sistema finanziario svolge diverse funzioni quali la raccolta del risparmio, la gestione dei rischi, la
funzione monetaria, la funzione di finanziamento e quella di prestito attraverso due diversi meccanismi
o tecnologie finanziarie: il circuito bancario ed il circuito del mercato.

I LIMITI DELLA FINANZA DIRETTA

All’interno del sistema economico distinguiamo i seguenti operatori economici:


- famiglie;
- imprese;
- stato;
- estero.
I concetti che descrivono la posizione di base di questi operatori sono quelli del risparmio e del saldo
finanziario.
Il risparmio è l’utile non distribuito che viene accantonato a riserva per le imprese, per le famiglie è
invece il reddito a cui vengono detratti i consumi mentre per lo stato è rappresentato dalle esportazioni
meno le importazioni.
Il saldo finanziario è la variabile più importante per descrivere la posizione finanziaria degli operatori
economici ed è la differenza tra il risparmio (quindi il surplus della gestione corrente) e l’investimento in
attività reali (si tratta delle abitazioni per le famiglie mentre per le imprese riguardano investimenti
produttivi oppure scorto o ancora investimenti correnti). Gli operatori economici investono in attività
reali attraverso i propri fondi di conseguenza può generarsi uno squilibrio nella gestione interna; per
risolvere tale problema questi soggetti richiedono l’intervento di finanziatori esterni quali la finanza il cui
obbiettivo è appunto quello di compensare questi squilibri. La finanza ha il compito di trasferire le
risorse dal settore in surplus (famiglie) al settore in deficit (imprese); tale trasferimento è necessario
altrimenti le famiglie non potrebbero allocare le risorse finanziarie e le imprese non disporrebbero di
risorse per finanziarsi. Il grande problema che nasce in questo trasferimento di risorse è rappresentato
dalla differenza delle preferenze: le famiglie desiderano investire in attività finanziarie stabili con tassi
alti mentre le imprese offrono passività finanziarie che originano i titoli rischiosi caratterizzati da tassi
bassi. Possiamo dire perciò che lo scambio diretto (finanza diretta) è improponibile.

La finanza diretta si basa sui principi di specializzazione dei settori primari e di decentralizzazione delle
scelte di investimento.
La tecnologia dei mercati (azionari, obbligazionari, monetari) mostra grande difficoltà nel conciliare le
diverse preferenze dei soggetti principali, questi limiti sono in parte attenuati da alcuni strumenti:
- lo sviluppo dei mercati secondari: le famiglie possono vendere i propri titoli prima della
scadenza, attenuando così il gap di differenza di preferenze ed esigenze in merito alla durata
dello scambio finanziario;
- i broker ed i mediatori che svolgono funzioni di informazione e consulenza;
- lo scambio assistito riguardante i fondi comuni, i fondi pensione e le compagnie assicurative.
Il limite fondamentale della finanza diretta è che riesce sì a ridurre il rischio di liquidità e di scadenza
ma non riesce a diminuire il rischio di default.

BANCA E FINANZA CAPITOLO 4


LA FINANZA INDIRETTA
Essa serve per superare completamente i limiti della finanza diretta e per far ciò è necessaria
un’innovazione tecnologica. Tale innovazione è rappresentata dalle banche, dagli intermediari creditizi o
finanziari cioè una nuova categoria d’impresa che si interpone tra imprese e famiglie. Le banche sono
necessarie perché il sistema economico si evolve, queste fanno intermediazione particolare cioè si
rompe il legame diretto tra imprese e famiglie.
Il deposito in conto corrente soddisfa le esigenze delle famiglie, tutti i profili di preferenza vengono
soddisfatti (massima liquidità, niente rischio, dispersione geografica), dall’altro lato l’offerta di passività
finanziarie risponde alle esigenze delle imprese (prestiti di lunga durata). Famiglie ed imprese a questo
punto sono soddisfatte perché trasferiscono i fondi e le banche, che hanno compensato la posizione dei
due soggetti, fanno propri i loro squilibri.
Riassumendo possiamo dire che le imprese hanno le passività finanziarie (il risparmio reinvestito è
inferiore agli investimenti in attività reali perciò si indebitano), le famiglie hanno saldo finanziario
positivo (surplus). A questo punto le banche vendono passività finanziarie per comprare attività
finanziarie, si indebitano con le famiglie per prestare alle imprese, comprano attività finanziarie
prestando alle imprese per vendere le passività finanziarie alle famiglie; si tratta di un circuito auto-
referenziale.
Le banche prestano per indebitarsi e si indebitano per prestare.

I VANTAGGI DELLA FINANZA INDIRETTA

Due sono i principi fondamentali della finanza indiretta:


1. la nascita degli intermediari finanziari;
2. la trasformazione deli rischi o dei flussi.

LA TRASFORMAZIONE DEI FLUSSI

Per trasformazione dei flussi si intende che rendiamo compatibili la trasformazione famiglie-imprese
anche attraverso la trasformazione dei contratti; il flusso finanziario unico viene diviso in due
trasferimenti finanziari molto diversi tra loro:
- trasformazione del rischio perché la banca prende in carico il rischio di default dell’impresa;
- trasferimento delle scadenze e di liquidità poiché la banca presta a lungo termine ma raccoglie a
vista, cioè nel breve termine, i risparmi delle famiglie.

I FATTORI PRODUTTIVI

Le condizioni che consentono la trasformazione dei flussi e dei rischi dei trasferimenti finanziari sono:
- le economie di scala: la banca è grande, i costi sono ridotti;
- la diversificazione e la riduzione del rischio: sia per la sua capacità che per la sua dimensione la
banca è in grado di diversificare il rischio, ma soprattutto di valutarlo adeguatamente, prima di
trasformare il rischio tra prestiti e depositi lo riduce, dietro la trasformazione c’è la capacità di
valutazione e gestione;
- il potere contrattuale: la banca può migliorare la propria posizione rischiosa negoziando
condizioni relativamente più favorevoli;
- la specializzazione;
- l’informazione: la banca ha accesso a tante informazioni, sa raccoglierle e sa elaborarle);
- la funzione monetaria: consente alla banca di avere diversi vantaggi rispetto alla trasformazione.
IL MAGO È GRATIS?

Questa intermediazione che fa la banca ha un pricing. Il pricing viene fatto sia perché la banca sostiene
dei costi (apertura di filiali, trasformazione dei rischi) sia perché le famiglie e le imprese sono disposti a
pagare un prezzo poiché la banca crea loro valore che ne migliora la loro gestione.

QUANTO COSTA IL MAGO?

Il pricing che la banca impone è lo spread cioè la differenza tra tasso attivo sui prestiti e tasso passivo sui
depositi. La differenza tra ciò che le imprese pagano e ciò che le famiglie guadagnano sui depositi è il
prezzo messo dalla banca.
Nella finanza diretta il tasso di interesse dell’obbligazione resta lo stesso, non c’è spread di tasso, ciò che
paga l’impresa è ciò che paga la famiglia, ovviamente ci sono da sostenere costi di transazione e di
rischio; la famiglia è chi sostiene maggiori costi di rischio. La famiglia prende il 10% sull’obbligazione che
compra, ma in realtà il ricavo netto è del 4%, l’impresa invece dovrà cercare le famiglie, spenderà quindi
denaro prima di trovare un soggetto che vada bene di conseguenza pagherà l’11%. La differenza è lo
spread, non è relativo al tasso, ma il costo agisce in modo diverso (differenza ricavo totale costo totale). I
costi quindi nella finanza diretta sono elevati perché non c’è la banca che li riduce, il costo è
rappresentato quindi dal 7%.

Con le banche arriva la finanza indiretta con un’altra modalità di pricing. L’impresa si indebita al 9%, i
costi di transizione per l’impresa non esistono più quindi il costo finale è 9; dall’altra parte la banca
vende il deposito alla famiglia con un tasso pari al 9%, i costi di transizione arrivano quindi a zero anche
da parte della famiglia che non detiene più l’onere del rischio.
Nel caso della finanza indiretta c’è lo spread di tasso; ci sono due tassi e quindi questo spread è il costo
del sistema finanziario che comunque rimane inferiore rispetto al costo del sistema nella finanza diretta.
Se non fosse così faremo a meno delle banche ed useremo solamente i mercati.

DOVE VA A FINIRE LO SPREAD?

Il costo dell’intermediazione creditizia addossato alla collettività è quindi lo spread. Questo è un costo
che la collettività paga per via del valore aggiunto portato dalla banca, questo spread serve a coprire i
costi della banca ossia:
- i costi operativi (utenze, beni, personale, ammortamenti);
- i costi del rischio (anche la banca accantona delle risorse e crea fondi di svalutazione per far
fronte al rischio di default dell’impresa.
Una parte del tasso attivo va a remunerare i depositi per coprire i costi finanziari, la banca finanzia il
prestito indebitandosi a sua volta in depositi che deve pagare.

Con la finanza indiretta abbiamo sistemi finanziari bancocentrici (banking economies) di cui sono dotati i
paesi dell’Europa continentale ed il Giappone; mentre con la finanza diretta abbiamo un sistema
finanziario mercato-centrico (market economies) di cui sono dotati i paesi anglosassoni.

SHADOW BANKING
Con l’espressione shadow banking si fa riferimento ad una forma di intermediazione basata su una
varietà di veicoli di investimento con elevata leva finanziaria e di altre strutture al di fuori del sistema
bancario. Lo shadow banking comprende il private equity, le venture capital, il crowfunding, le forme di
finanziamento parabancario (factoring e leasing), e i mini bond.
In sostanza con lo shadow banking cambia la fonte principale di raccolta e finanziamento degli operatori
finanziari. Invece di attingere alle fonti classiche (come i depositi dei risparmiatori o l’emissione di bond),
attingono dal mercato dei capitali con meccanismi e prodotti innovativi.

BANCHE VS MERCATI

Tra queste due tecnologie finanziarie vi sono rapporti di concorrenza e di complementarità; esse sono
diverse tra loro ma presentano punti di contatto. La diversità delle tecnologie è un punto di forza del
sistema finanziario basti pensare alla crisi, i mercati si sono ripresi mentre con la recessione le banche
sono sprofondate nella crisi.

BANKING ECONOMIES VS MARKET ECONOMIES

Nel sistema banco-centrico la banca è universale, vende alle imprese una vasta gamma di servizi
curandone la loro gestione finanziaria quindi finanziando il magazzino, l’attivo circolante e gli eventuali
sfasamenti di cassa; nel sistema mercato-centrico, invece le imprese si finanziano sul mercato dei
capitali a lunga distanza e sugli investimenti.

I sistemi europei, eccetto la UK, sono tendenzialmente banking economies e la ragione principale è la
presenza di piccole-medie imprese le quali si orientano verso un indebitamento con gli intermediari
piuttosto che con il mercato, considerando che spesso neanche sono società quotate; questo è un punto
fondamentale per evidenziare le differenze tra Europa e Usa.

VANTAGGI

In generale la banca gestisce meglio l’asimmetria informativa ed è in grado di valutare meglio il rischio
dell’impresa grazie anche al fatto che dispone di maggiori informazioni, riservate e che non vengono
divulgate al mercato (obbligo di riservatezza). Inoltre la banca assicura un rapporto più durevole, con
orizzonte di lungo periodo, mentre il mercato, tanto più funziona tanto più reagisce nel breve periodo, e
non da importanza al mantenimento della fidelizzazione con l’impresa finanziata. La banca controlla e
monitora meglio le imprese sempre per ragioni derivanti dal possesso di maggior informazione. La banca
è più stabile in una certa ottica, il valore dei risparmi in banca è comunque più stabile rispetto agli
investimenti in titoli nel mercato; la banca riscuote maggiore fiducia anche per via del regulator che
salvaguardia il risparmio.

SVANTAGGI

Gli svantaggi riguardano in primis la non imparzialità delle banche cioè questa privilegia i clienti che già
conosce sia nel selezionare il credito sia nel garantire l’accesso ad esso, mentre i mercati sono più
imparziali, non danno seconde opportunità e reagiscono immediatamente alle informazioni di
deterioramento della situazione economica dei creditori. Per via di un rapporto fiduciario,
nell’erogazione e nel controllo del credito potrebbe non esercitare criteri meritocratici ed oggettivi; è
meno propensa all’innovazione, il mercato sotto questo aspetto offre più possibilità perché non guarda
la provenienza, ma tratta tutti allo stesso modo.

ITALIA

Il nostro paese segue il sistema banco-centrico. È un paese relativamente sottosviluppato per carenza di
investitori istituzionali, carenza di mercati di capitali di borsa funzionanti ed un grande potere alle
banche. Il sistema finanziato ha sviluppato altri circuiti nei paesi europei mentre in Italia questo sviluppo
sta andando a rallentatore secondo alcuni critici proprio perché si tratta di un deliberato disegno politico
considerando che le banche, in precedenza pubbliche, erano controllate completamente dai partiti, dai
governi che controllavano il credito. Al contrario il mercato ragiona con una logica puramente
speculativa, non riguarda la politica, esso è interamente interessato al denaro e non di certo ai voti.
Perciò possiamo dire che la struttura del canale bancario è fortemente influenzata da ragioni politiche.
L’economia liberale che caratterizza gli altri paesi, permette maggiore sviluppo dei mercati e di una
corrente meno orientata sul circuito bancario.
Vi è un aspetto di incoerenza nel nostro sistema finanziario. Il nostro sistema finanziario è basato su un
orientamento più di banking che di market perciò in un sistema finanziario che si appoggia fortemente
alle banche ci si aspetta che queste siano miste, universali invece assumono forma di banche
commerciali orientate nel breve periodo. Ciò significa che le nostre banche assumono un modello più
vicino alla struttura del market economy che a quello di banking economy.

LE TEORIE DELL’INTERMEDIAZIONE CREDITIZIA


LE ASIMMETRIE INFORMATIVE: IL PROBLEMA DI ACKERLOF

Ackerlof introduce il mercato dei bidoni ipotizzando che esistano tre tipi di auto: buone, mediocri e
bidoni. L’ipotesi è che il mercato dei bidoni sia pieno di asimmetrie informative cioè situazioni in cui il
venditore dispone di informazione perfetta mentre il compratore si trovi in una posizione nettamente
svantaggiosa. Ne consegue che lo scambio non sia completamente equo.

LA SOLUZIONE

Possiamo individuare diverse ipotesi per la risoluzione di questo problema.


L’ipotesi secondo la teoria marginalista è che le due controparti abbiano informazione perfetta e
simmetrica. Ci troviamo di fronte ad una posizione di equilibrio in cui i bidoni non verranno scambiati
dietro corrispettivo, ma gratuitamente dato che entrambe le parti riconoscono che si tratti di un bidone.
Un’ulteriore ipotesi irrealistica è che entrambe le parti non conoscano il prezzo dell’auto ma che lo
scambio avvenga ugualmente al valore medio atteso. Le auto verranno scambiate ad un determinato
prezzo x (6500), tale situazione non è affatto efficiente in quanto una parte beneficerà di un vantaggio
mentre l’altra sosterrà un danno. È una situazione equa perché entrambe le parti corrono lo stesso
rischio, ma una parte ha beneficio eccessivo mentre l’altra un danno eccessivo, non vi è quindi un
equilibrio economico generale perciò lo scambio non è ottimale ma avviene comunque.
Secondo Ackerlof c’è una posizione di asimmetria informativa essendo che il venditore conosce molto
meglio del compratore l’effettiva qualità (e quindi il prezzo) della propria auto, si tratta perciò di un
esempio di fallimento del mercato. Come si spiega tale fallimento: il compratore è disposto a pagare per
l’acquisto di un auto al massimo il prezzo medio atteso perciò un’auto di buona qualità che vale 10000
esce dal mercato; rimangono solamente auto mediocri e bidoni. Il compratore in quanto soggetto
razionale come la controparte decide di rivedere il proprio calcolo offrendo ora un prezzo inferiore a
6500 per un’auto mediocre che il venditore valuta 7000. Conseguenza anche le auto mediocri escono dal
mercato. Rimangono quindi solo i bidoni che il compratore riconosce come tale e che quindi non
acquisterà. Si genera perciò un fallimento, una paralisi del mercato.
Se l’informazione è molto diffusa c’è asimmetria tra compratore e venditore il che comporta un
fallimento del mercato.

E IN BANCA?

In questo ambito ci riferiamo al prestito, al credito cioè alla vendita da parte della banca all’impresa del
prodotto prestito.
I rischi derivanti da eventuali posizioni di asimmetria informativa legati ai prestiti si possono suddividere
in due categorie principali:
- ex-ante o prima della concessione: si evidenzia il rischio di informazione nascosta poiché quando
avviene la negoziazione l’impresa mantiene il proprio vantaggio informativo. Il rischio che corre
la banca è quello di adverse selection ovvero di scegliere l’impresa sbagliata finanziando cosi
un’impresa non meritevole. L’esempio calzante di adverse selection è quello registratosi in
Inghilterra dove le banche avevano concesso numerosi prestiti alle famiglie ed in misura ridotta
alle imprese. Uno dei metodi di allocazione delle risorse usato dalle banche è il pricing: alzando il
tasso di interesse succede che le imprese con investimenti meno redditizi e produttivi
dovrebbero uscire dal mercato poiché non sono in grado di sopperire all’elevato costo del
denaro mentre le imprese che si finanziano per progetti ad alta redditività e produttività
rimangono sul mercato. Nel caso specifico in Gran Bretagna quando le banche alzavano i tassi
sui prestiti le banche marginali si ritiravano dal mercato mentre le famiglie che contavano sul
rialzo dei prezzi e quindi del valore degli immobili accettavano tali prestiti infatti, dietro la bolla
finanziaria si individua la bolla immobiliare ipotecaria e quindi, l’espansione del credito dei
subprime era sostenuta dalla bolla sottostante e dal continuo aumento dei prezzi degli immobili.
Come si riduce lo svantaggio informativo che porta al fenomeno di adverse selection?
In primo luogo si fa riferimento allo screening cioè ad un processo molto complesso di
valutazione del rischio ossia la valutazione del credito, l’istruttoria di fido; in questo modo la
banca cerca di raccogliere nuove informazioni, elaborarle e ridurre il proprio svantaggio
informativo.
In secondo luogo si fa riferimento al signalling della controparte che segnala il suo effettivo
valore del credito nel mercato. Distinguiamo due procedimenti: il primo è la garanzia dove il
debitore per rassicurare la banca offre una garanzia reale e personale tipo la casa o il proprio
patrimonio; mentre il secondo procedimento riguarda le agenzie di rating dove l’impresa va
dalla banca e si fa segnalare in base alla propria qualità d’impresa;
- ex-post o simmetria: si indicano i rischi successivi alla conclusione del contratto quelli che
tengono conto della durata del credito, l’esempio si manifesta mediante il moral hazard.

MORAL HAZARD

Il moral hazard si può presentare in diverse situazioni nel sistema finanziario:


1. nelle banche too big too fail le banche sono troppo grosse per fallire, il fallimento porterebbe ad
esternalità negative, al fallimento dell’intero sistema finanziario ma vengono salvate dai
contribuenti che involontariamente incentivano un comportamento opportunistico da parte
delle banche ossia assumono rischi eccessivi;
2. nel fondo assicurazione depositi la fiducia dei depositanti rimane massima perché sono soggetti
protetti ma può indurre la banca ad agire in modo azzardato e provare a fare investimenti più
remunerativi per gli azionisti;
3. il risk shifting è un’asimmetria di vantaggi e svantaggi nel calcolo economico, siccome gli
azionisti rischiano solo l’equity apportato si potrebbero assumere rischi eccessivi per avere
maggiori profitti, infatti se la banca fallisse chi ci rimetterebbe di più sarebbero gli
obbligazionisti, i depositanti, i creditori della banca ed i pubblici poteri se intervengono nel
salvataggio della banca: gli azionisti condividono quindi il rischio ma si appropriano interamente
dei vantaggi se le cose vanno per il meglio, questo è un payoff asimmetrico dal punto di vista
dell’analisi costi-benefici che potrebbe essere il motivo per cui gli azionisti adottano un
comportamento di moral hazard.

COME GESTIRE LE ASIMMETRIE INFORMATIVE?

Le asimmetrie possono essere risolte in diversi modi e situazioni:


- si muove il soggetto svantaggiato: fa lo screening e fa monitoring anche dopo aver concesso il
prestito;
- si muove il soggetto avvantaggiato: fa il signalling attraverso agenzie di rating o società di
revisione del bilancio;
- clausole o vincoli contrattuali: come la franchigia (copertura assicurativa non copre tutto oppure
non entra in vigore immediatamente) o le negative pledges (l’impresa ha obblighi di fare e di
non fare al fine di ridurre il rischio ex-post);
- sanzioni: la banca si assume il rischio, ma se la controparte è inadempiente incorre nelle
sanzioni;
- fiducia: se ci sono elementi per cui la banca ha grande fiducia nell’impresa allora può alleggerire
le sanzioni attraverso un’istruttoria di fido per trattare il cliente con particolare riguardo.

L’evoluzione che ha portato ad una diversa applicazione della teoria al banking deriva soprattutto dal
forte aumento dell’informazione pubblica sul mercato nonché dalla regolamentazione, dalla
competitività e dalla tecnologia. Mercati sempre più efficienti dovrebbero portare ad una riduzione delle
asimmetrie informative specialmente per quanto riguarda il circuito diretto con un’erosione del
vantaggio competitivo degli intermediari ed un aumento delle quote dei mercati.
L’eccessivo aumento della domanda di informazioni potrebbe paradossalmente non diminuire
l’asimmetria informativa ma come? Il fatto di aver troppe informazioni potrebbe indurre il soggetto
creditore (svantaggiato) ad uno stallo decisionale in quanto data la capacità cognitiva limitata non è
detto che sia in grado di gestire ottimamente l’eccesso di informazione. Quindi per gestire queste
informazioni eccessive si fa riferimento al consulente finanziario, ai software o alla banca.

LA TEORIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE

La finanza diretta è possibile anche senza le banche? Certamente ma risulta essere molto costosa poiché
vi sono una serie di costi sempre presenti che possono ostacolare lo scambio. A questo proposito
l’introduzione dell’intermediario creditizio consente la riduzione di questi costi.

LA TEORIA EVOLUZIONISTA

Nasce una situazione caratterizzata da una non perfetta circolazione delle informazioni e dall’esistenza
di costi di transazione tale situazione è nota come second best. La teoria evoluzionista sostiene che il
sistema finanziario raggiungerà una completezza con un conseguente ridimensionamento del circuito
bancario, destinato a scomparire.
A questa teoria vengono associate però alcune considerazioni: in primo luogo va dimostrata la
diminuzione dell’asimmetria informativa nel tempo ed in secondo luogo non è scontato che il circuito
bancario rimanga in stallo per via dell’evoluzione ma è possibile che questo si adegui a quelle che
saranno le nuove regole di mercato sfruttando i vantaggi generati dall’evoluzione e non le minacce che
questa potrebbe portare.

La trasformazione dei flussi, le asimmetrie informative e i costi di transazione costituiscono l’apparato


teorico del sistema finanziario e forniscono solide ragioni che giustificano l’esistenza delle banche,
l’utilità e le funzioni da esse svolte nel sistema economico. Ma precisamente giustificano l’esistenza degli
intermediari creditizi e non delle banche in senso stretto! Le banche sono quell’intermediario creditizio
che ha nel passivo i depositi in conto corrente e che ha come emblema la funzione monetaria.

LA BANCA É SPECIALE?

Vi sono diverse correnti di pensiero: alcuni ritengono sia speciale in virtù della funzione monetaria, altri
invece ritengono la banca speciale per la funzione creditizia, mentre altri invece ritengono proprio che la
banca non sia affatto speciale.
Tendenzialmente possiamo dire che la banca è speciale ragionando sia sulla funzione monetaria che su
quella creditizia. Il forte fenomeno di innovazione di strumenti finanziari sta riducendo la
specializzazione perché molte funzione vengono svolte anche da altri soggetti: il prestito che offre la
banca non è più così tanto speciale a causa dell’avvento delle cartolarizzazioni e dei derivati. Anche la
funzione monetaria possiamo dire venga invasa dai fondi comuni del mercato monetario riducendone
così l’esclusività e la specialità così come satispaye fintech grandi magazzini che emettono carte di
credito monetarie e paypal che riguarda invece la moneta elettronica. Un’altra specialità della banca era
la rete di filiali che ora è messa a dura prova dall’avvento dei canali telematici.

LA SPECIALITÁ SISTEMICA DELLA BANCA

Un altro carattere di specialità della banca si è manifestato solamente in tempi più recenti anche grazie
al fenomeno della globalizzazione. Tale carattere è rappresentato dalla natura sistemica con la quale si
vuole mettere in luce le relazioni interbancarie nell’attivo e nel passivo della banca entrambe aumentate
a dismisura. Questo carattere sistemico porta delle conseguenze:
- aumenta il rischio sistemico;
- rafforza il sistema poiché le banche possono ricorrere al credito reciproco;
- si genera un rischio che si può propagare molto facilmente attraverso tutti i nodi della rete;
- la concorrenza: è un fenomeno molto delicato, bisogna stare molto attenti perché può generare
una forte destabilizzazione della rete sistemica. Mentre negli altri settori la difficoltà ed il
fallimento di un concorrente è in fenomeno auspicabile, poiché se fallisse il suo business
verrebbe assorbito, nel sistema bancario non vale questo pensiero. Infatti la scomparsa del
concorrente potrebbe provocare effetti sistemici mandando in crisi l’intero sistema. Perciò vi è
l’interesse comune di mantenere in funzione il sistema e che i concorrenti siano stabili.

LA REGULATION E LA VIGILANZA
La regolamentazione esprime le modalità di attivazione delle norme di leggi nazionali all’interno delle
banche mentre la vigilanza è l’attività di controllo e di monitoraggio affinché le banche si conformino alle
norme di legge e siano gestite in modo prudente. Logicamente esistono dei margini di autonomia
nell’operare all’interno di questi indirizzi e direttive, l’autorità regolatrice della banca controlla che si
mantenga un’ottica di sana e prudente gestione.

LE RAGIONI DELLA VIGILANZA

Questa limitazione all’operatività riguarda innanzitutto che la banca non possa fallire (si cerca di
minimizzare la possibilità che possano fallire a causa di errori gestionali attraverso un intervento
preventivo); questo fatto è collegato senza dubbio anche alla tutela del risparmio che altrimenti
verrebbe distrutto. Anche la tutela della moneta assume importanza rilevante perché essendo un bene
di interesse pubblico, qualora la banca fallisse, genererebbe il crollo dell’intero sistema economico
lasciando tutte le imprese senza credito. Una terza considerazione è che le banche essendo rischiose a
livello strutturale e fragili a livello finanziario, sono esposte al rischio di fallimento.
Un errore che viene commesso dai soggetti che intrattengono relazioni con le banche è che questi
confidano sulla logica “too big to fail”; estremamente sbagliato poiché questi soggetti non percepiscono
la vera rischiosità delle banche.
In cambio di questa forte regolamentazione, i pubblici poteri danno credito di ultima istanza: la banca
centrale rifinanzia le banche che si trovano in difficoltà.

RISCHIO SISTEMICO

L’indomani della crisi sistemica il regulator si è posto il problema del rischio sistemico e di come uno dei
possibili motivi della propagazione di questo possa essere ricondotto alla mancanza di un controllo
specifico. Il rischio sistemico si manifesta sotto 3 profili:
1. macroshock che impatta su tutti i settori (ad esempio la recessione, e perché no anche il
Covid19);
2. deriva da un effetto contagio (date le forti interrelazioni tra le banche se una viene contagiata
allora si trasmette anche a tutte le altre);
3. colpisce banche simili (quindi tutte le banche impiegate negli stessi modelli di business
rischieranno il default).
Il rischio sistemico svela la falla della composizione cioè si pensa che il totale sia la somma delle parti e
che quindi se ogni singola parte è gestita in maniera malsana allora tutte non funzionino; viceversa per il
regulator si segue un controllo idiosincratico, perché secondo quest’ottica se una banca va bene
singolarmente allora anche le altre funzionano bene. Nella realtà non è così, per il sistema bancario non
vale la composizione è quindi necessario il controllo specifico che le protegga dal rischio sistemico.

DALLA VIGILANZA MACROPRUDENZIALE ALLA VIGILANZA MICROPRUDENZIALE

Il rischio sistemico è soggetto alla regolamentazione macroprudenziale, mentre il rischio idiosincratico


(singola banca) è soggetto alla vigilanza microprudenziale. Le due cose non coincidono ad esempio le
banche che si trovano in difficoltà di liquidità, per rafforzare il credito, revocano il credito concesso alle
altre banche; da un lato migliorano la propria stabilità aumentando la liquidità, dall’altro generano
rischio sistemico. Se una banca migliora la qualità dei propri assets peggiorando la liquidità, migliora la
stabilità individuale ma peggiora il profilo del rischio sistemico.
VIGILANZA MACROPRUDENZIALE: INDICATORI ANTICIPATORI

Per valutare il rischio idiosincratico guardo il bilancio della singola banca, tipicamente il coefficiente di
capitalizzazione (equity) mentre per valutare il rischio sistemico le variabili chiave che vengono
monitorate sono 3:
- crescita eccessiva del credito: se c’è una forte espansione si potrebbe essere in presenza di una
bolla speculativa , destinata a gonfiarsi generando un rilevante rischio sistemico;
- credito/PIL;
- crescita del credito al settore privato (in particolare mutui ipotecari): cioè se il credito non
cresce per finanziare gli investimenti, ma per finanziare l’immobiliare anche in questo caso si
genererebbe rischio sistemico.

PRINCIPALI STRUMENTI MACROPRUDENZIALI

Distinguiamo strumenti armonizzati a livello europeo:


- riserva di capitale anticiclica: le finalità di tale strumento riguardano la riduzione della
prociclicità del sistema finanziario attraverso la costituzione di riserve di capitale nelle fasi di
espansione del ciclo finanziario da utilizzare nelle fasi di contrazione per assorbire eventuali
perdite;
- riserve di capitale per le istituzioni a rilevanza sistemica globale: la finalità è quella di aumentare
la capacità di assorbimento delle perdite da parte delle istituzioni a rilevanza sistemica;
- riserva di capitale a fronte del rischio sistemico: finalità di prevenzione o attenuazione dei rischi
sistemici strutturali di lungo periodo;
- requisiti patrimoniali maggiorati per le esposizioni verso il settore immobiliare: finalità di
prevenzione o attenuazione dei rischi sistemici derivanti dalle esposizioni verso il settore
immobiliare.
E gli strumenti non armonizzati a livello europeo:
- imposizione di limiti al valore dei prestiti in rapporto alle garanzie sottostanti (loan to value
ratio) o in rapporto al reddito del debitore (loan to income ratio); imposizione di limiti al valore
delle rate in rapporto al reddito del debitore (debt service to income ratio): finalità attenuazione
delle fasi del ciclo creditizio ed aumento delle capacità di tenuta delle banche attraverso la
riduzione dell’assunzione di rischio da parte dei prenditori di fondi.

L’autorità di vigilanza macroprudenziale è la Banca d’Italia; i primi strumenti con regole omogenee per
tutta l’Europa sono disposti e disciplinati dai meccanismi europei mentre gli strumenti non armonizzati
sono disciplinati autonomamente dagli organi nazionali.

I PROBLEMI DELLA REGOLAMENTAZIONE

La regolamentazione potrebbe generare problemi o non essere efficacie, si innesta perciò un processo in
cui i soggetti regolamentati cercano di arbitraggiare tra le diverse regolamentazioni o eludere le regole;
la banca fa buchi non seguendo le norme che il regolatore tappa continuando a creare regole a discapito
di chi le segue. Lo scopo delle banche non è più quindi quello di produrre servizi utili ma bensì di eludere
le regole proponendo servizi che permettano di aggirare la regolamentazione.
Un altro problema è quello di disciplinare le attività in maniera uniforme diminuendo le differenze: (ad
esempio lo shadow banking, in cui si è trasferita buona parte della regolamentazione, poiché non
regolamentata).
La cattura del regolatore: si intende che spesso i regolatori passati vanno a lavorare per le banche come
sorta di consulenti il che porta ad un circolo vizioso dove chi regolamenta diventa prigioniero di chi
dovrebbe essere regolamentato.
Il livello di regolamentazione inizia ad essere troppo complesso e costoso soprattutto per gli istituti più
piccoli che sono costretti a fondersi.
Infine per il problema della prociclicità è possibile dire che la regolamentazione spesso diventa più
severa quando il rischio aumenta e quando l’economia va male, viceversa quando va tutto bene. Le
regole quindi finiscono per aggravare le recessioni e enfatizzare la bolla e la crescita di finanza quando
apparentemente le cose vanno bene.

L’EVOLUZIONE DELLA VIGILANZA BANCARIA: NUOVI STILI E CONTENUTI: la vigilanza ha il compito di


verificare che le banche rispettino i principi ed i contenuti delle norme. La vigilanza si basa sui principi di:
1. libertà di prestazione dei servizi, in tutti i paesi comunitari e direttamente dalla sede di origine
dell’intermediario;
2. libertà di stabilimento ossia creare succursali in qualunque paese della comunità secondo le
regole del paese d’origine (home country control);
3. mutuo riconoscimento delle singole normative nazionali da parte degli altri paesi della
comunità;
4. armonizzazione minima.
In passato l’obbiettivo prevalente, ricercato dalla legge bancaria del 36, era la stabilità del sistema ed in
particolare la stabilità di ogni singola banca (ottica microprudenziale); con l’abrogazione di tale legge e
l’introduzione del TUB l’obbiettivo principale risulta essere un mix più equilibrato di:
1. stabilità (individuata dagli indicatori di patrimonializzazione come il bilancio ed il grado di
patrimonializzazione);
2. efficienza: buone performance avrebbero garantito un sistema che addossa il minor costo
dell’intermediazione alla collettività;
3. concorrenza del mercato;
4. trasparenza e correttezza;
5. sana e prudente gestione.
Che cosa si intende per sana e prudente gestione? La prudente gestione è riferita al grado di avversione
al rischio dei soggetti vigilati; occorrono regole che scoraggino il trasferimento dei costi di fallimento sui
depositanti perché può indurre la banca ad assumere rischi eccessivi. La gestione sana è la necessità che
gli intermediari operino ispirandosi ai criteri di piena efficienza funzionale e di correttezza nello
svolgimento degli affari ossia per essere sana la gestione deve essere immune a conflitti di interesse.
La vigilanza può essere di 4 tipi:
 vigilanza regolamentare: è composta da 3 tipologie di regole: la prima è rappresentata dal fair
play regulation ossia regole il cui obbiettivo è quello di:
- assicurare la trasparenza nei rapporti negoziali tra l’intermediario e la clientela nelle operazioni
tradizionali di deposito ed impiego;
- tutelare i clienti dall’esistenza di conflitti di interesse;
- garantire trasparenza e correttezza nei comportamenti assunti dagli intermediari nelle
operazioni in titoli con la clientela;
- migliorare l’informativa contabile destinata al pubblico attraverso regole uniformi per la
redazione dei bilanci;
la seconda tipologia è quella delle regole prudenziali ossia regole uniformi valide per i soggetti
vigilati finalizzate a limitare il rischio assunto dagli intermediari e salvaguardare la solvibilità e la
liquidità (coefficienti patrimoniali di Basilea);
ed infine le terze ossia le regole strutturali le quali intervenivano direttamente sulla struttura di
mercato influenzando la condotta ed il comportamento delle banche al fine di garantire la
stabilità (autorizzazioni che limitavano gli ingressi di nuove banche nel sistema per proteggere le
banche già esistenti e ridurre i livelli di competitività oppure le autorizzazioni legate all’apertura
delle filiali).
 vigilanza informativa: riguarda obbligatorie segnalazioni periodiche al regulator che finiscono
nella matrice dei conti; queste segnalazioni corrispondono a dati analitici di stato patrimoniale e
conto economico, a segnalazioni prudenziali riguardo al coefficiente di solvibilità e al patrimonio
di vigilanza;
 vigilanza ispettiva: consiste in ispezioni effettuate non più solo dalla BC ma anche dai JST (join
supervisory team è un team di ispettori della BCE) nei confronti delle banche; tali controlli con
accesso alla sede evidenziano elementi che a distanza e sulla base di flussi informativi sono
difficili da cogliere come ad esempio la qualità del management, la struttura interna ed
organizzativa e gli assetti organizzativi; l’obbiettivo è quello di verificare la sana e prudente
gestione;
 vigilanza protettiva: si tratta di regole da utilizzare in caso di crisi (ossia di dissesto della banca);
 vigilanza anti-crimine: riguarda regole sull’antiriciclaggio.

Tradizionalmente nel passaggio di cambiamento da vigilanza strutturale a quella prudenziale i regulator


definiscono il patrimonio come il presidio a fronte del rischio cioè l’importante è che l’equity sia
adeguato rispetto ai rischi assunti secondo la logica di market friendly. Oltre al presidio patrimoniale si
aggiunge anche il presidio organizzativo per cui i rischi non si gestiscono e non si riducono solamente
avendo patrimonio adeguato ma si necessita di un’organizzazione adeguata, efficacie e funzionale.
Esempio la logica del presidio patrimoniale è: anche se c’è l’hacker io non fallisco perché il patrimonio è
in grado di assorbire le perdite mentre la logica del presidio organizzativo è: attraverso le password
prevengono i rischi di cyber attack.
Abbiamo inoltre un terzo presidio ossia la governance (qualità del governo societario). Poiché se la
Banca Centrale verifica tre pilastri anziché solo uno ci si aspetta ovviamente una maggior stabilità,
solidità e sicurezza.
Viene introdotto il principio di proporzionalità secondo il quale il regolatore risulterà essere molto
esigente, nei confronti delle banche grandi e rischiose, e meno esigente nel caso di banche piccole e
meno rischiose questo perché non è vero che le leggi sono uguali per tutti. Si viola il principio di
uguaglianza per non addossare oneri eccessivi alle banche più piccole, le quali non sono meno rischiose
di per sé ma lo divengono per i modelli di business meno complessi che adottano e che le rendono
molto più semplici da monitorare diversamente dalle banche di grandi dimensioni che per il principio di
proporzionalità richiedono una maggior copertura dei rischi e controlli frequenti.
Possiamo evidenziare tre normative nuove che hanno a che vedere con il presidio organizzativo:
1. la compliance è una delle funzioni di controllo, ma c’è anche un sistema derivante dalla gestione
della compliance (tale normativa serve a ridurre il rischio di compliance ossia il rischio di
incorrere in sanzioni, perdite finanziarie o danni di reputation in conseguenza di violazioni di
norme);
2. la normativa sul governo societario: riguarda il presidio della governance e soprattutto la
formalizzazione, la proceduralizzazione e la documentazione del governo societario.
3. La normativa sul sistema dei controlli interni: normativa nelle quali affluiscono sia le norme
riguardanti le funzioni di compliance, il risk management che quelle riguardanti i compiti di
controllo che devono avere gli organi di governo.
LA BETTER REGULATION: con questo termine si fa riferimento ad un nuovo stile di vigilanza in cui la
regolamentazione non deve essere eccessiva.
La better regulation introduce la vigilanza Bank friendly. Essa consente una maggior trasparenza da
parte del regulator poiché:
1. accoglie e consulta i pareri dei soggetti che operano nel settore prima dell’emanazione di
norme: cioè il regolatore diffonde la bozza della normativa pubblicandola online, da una
scadenza e chiede pareri alle banche ed al mercato;
2. effettua analisi di impatto e di costi-benefici: da Basilea II infatti sono state introdotte analisi
volte ad evidenziare l’impatto che avrebbero avuto le nuove normative sul Pil, sulle banche,
sulla crescita del credito dell’economia e sugli equilibri delle banche;
3. compie simulazioni di impatto: simula l’impatto della nuova normativa per evitare impatti
eccessivi che possano mettere in difficoltà le banche o addirittura danneggiare il sistema
economico.
Uno dei capisaldi della better regulation è la risk based supervision. L’intensità della supervisione è
graduata in funzione della rischiosità. Proprio perché le regole costano e complicano la gestione,
bisognerebbe dosarle e introdurre solo quelle necessarie. Quanto più il rischio è elevato tanto più
invasiva e intensa sarà la supervision.

L’ORDINAMENTO DEL CREDITO E LA SUA EVOLUZIONE

LA DIFFERENZA TRA LEGGE BANCARIA DEL 36’ E LA NUOVA REGOLAMENTAZIONE (DECRETO AMATO,
TUB): le priorità di tale legge risultavano essere la sicurezza e la stabilità cioè l’obbiettivo era quello di
proteggere gli insider anche a costo di diminuirne l’efficienza. In secondo luogo essa voleva migliorare il
finanziamento nell’economia reale e per farlo si focalizzava su 3 principi fondamentali:
 il principio di specializzazione: cioè le banche erano specializzate in determinate attività e più nel
dettaglio erogavano solamente credito di breve periodo all’interno dell’area di competenza
territoriale. L’obbiettivo di tale principio era quello di segmentare il sistema assegnando alle
diverse categorie di banca dei settori preposti per ridurre la concorrenza. Tale specializzazione
poteva essere temporale cioè venivano distinti crediti a breve termine e credito a lungo termine,
istituzionale cioè si distinguevano le varie categorie giuridiche (banca pubblica come le
cooperative o gli enti popolari e la banca privata come le spa), operativa cioè venivano vietate
alcune operazioni come quelle parabancarie (operazioni riconducibili al leasing, al factoring, al
credito al consumo ossia operazioni che assumono un carattere accessorio rispetto alla funzione
bancaria), territoriale cioè le banche operano all’interno del proprio territorio nazionale;
 il principio di separatezza tra banca e impresa: la banca cioè non poteva acquisire azioni di
imprese e viceversa (soluzione post crisi adottata dalle imprese);
 il principio di vigilanza strutturale: cioè per ragioni di benessere collettivo era più idonea una
struttura pubblica (banca pubblica).
La funzione fondamentale assolta dalla legge bancaria del 36 è quella di trasmissione della politica
economica; la banca è banca-istituzione non banca-impresa infatti le finalità di carattere generale
prevalgono su quelle di carattere aziendale.
L’obbiettivo di questa legge era quello di ottenere una maggior stabilità, ma poiché venivano attuati
controlli all’entrata di nuove banche sul mercato e controlli sull’autorizzazione o meno all’apertura degli
sportelli si arrivò ad un deterioramento istituzionale-funzionale. Quello istituzionale sancì un extra-
sviluppo della BI che ormai aveva la totale gestione delle altre banche mentre quello funzionale portò il
sistema italiano ad essere banco centrico quindi con uno scarso sviluppo del mercato ed un conseguente
aumento dell’indebitamento delle imprese dato che l’unica fonte di finanziamento era il canale
bancario.
La legge Amato-Carli del 1990 portò ad una trasformazione delle banche pubbliche in spa (anche se il
65% delle attività del sistema bancario era pubblico) ed inoltre venne riconosciuta la struttura macro-
organizzativa cioè venivano forniti più servizi (maggior diversificazione) e si favorivano i gruppi
polifunzionali con incentivi fiscali su operazioni di fusione e concentrazione.

Arriviamo al TUB nel 1994! Conserva la riserva di legge quindi la banca è l’impresa autorizzata allo
svolgimento dell’attività bancaria e cioè è autorizzata all’esercizio congiunto della raccolta del risparmio
presso il pubblico e dell’erogazione del credito (banca universale).
Esso differentemente dalla legge bancaria del 36 definisce le finalità che le autorità preposte al controllo
del credito avrebbero dovuto perseguire ossia la stabilità, l’efficienza e la competitività del sistema
finanziario, ma soprattutto la sana e prudente gestione dei soggetti vigilati. Una gestione si può dire sana
se è immune da conflitti di interessi mentre per prudente gestione si intende se svolta tenendo conto
dei rischi che possono emergere nello svolgimento dell’attività bancaria.
Con la nuova legge bancaria viene mantenuta la riserva di legge e la despecializzazione apportata dalla
legge Amato è stata superata, appunto, dal TUB il quale consente alle banche lo svolgimento delle
attività parabancarie. Altra novità apportata dal TUB è rappresentata dall’attenuamento del principio di
separatezza banca-industria e cioè alle banche è consentito l’acquisto di partecipazioni in imprese senza
però diventarne controllante e cioè acquistando la maggioranza delle partecipazioni.
L’innovazione normativa del TUB si individua:
- nella libertà di scelta del modello istituzionale: cioè può entrare nel business nella forma che
desidera poiché non c’è più l’obbligo del gruppo ed il divieto della banca universale;
- nella caduta della specializzazione: si può decidere liberamente di specializzarsi in un
determinato settore del mercato oppure no.

RIFORME BANCHE POPOLARI, DELLE FONDAZIONI BANCARIE E DELLE BANCHE DI CREDITO


COOPERATIVO: per quanto riguarda la riforma delle banche popolari è possibile dire che le banche
popolari quotate in Borsa e/o con attivi superiori a 8 miliardi dovranno trasformarsi in spa. Viene abolito
il principio del voto capitario (una testa un voto). Per impedire l’improvvisa acquisizione le banche
popolari possono prevedere una clausola anti-scalata cioè il diritto di voto non potrà essere esercitato
per un quantitativo di azioni superiore al 5% del capitale per i primi 24 mesi.
Per quanto riguarda le fondazioni bancarie queste non potranno investire in un solo asset più di 1/3 del
proprio patrimonio. Il compenso del presidente delle fondazioni con patrimonio superiore ad 1 miliardo
di euro non potrà superare il tetto massimo di 240.000 €, inoltre non è previsto il ricorso a forme di
indebitamento, salvo il caso di temporanee e limitate esigenze di liquidità ed è assicurata la presenza
delle donne nelle procedure di nomina. Infine per quanto riguarda le banche di credito cooperativo la
riforma ha previsto la costituzione di un capogruppo (avente capitale minimo di 1 miliardo ed almeno il
51% del capitale delle BCC stesse) che eserciterà il controllo sulle BCC attraverso un patto di coesione.
Tale patto è il vincolo contrattuale con cui le BCC accettano funzioni di indirizzo, coordinamento e
vigilanza da parte della capogruppo senza però perdere la propria autonomia. L’obbiettivo di tale
riforma è quello di rafforzare le BCC mentre motivi di tale riforma si ritrovano nelle difficoltà riguardanti
al modello operativo e a quello di business caratterizzato dallo svolgimento dell’attività in ambiti
circoscritti e da dimensioni contenute.

BASILEA – LA NORMATIVA SUI REQUITI DI CAPITALE 1


Rappresenta il pilastro più importante di tutti sotto cui ruota la regolamentazione moderna. Il concetto
di fondo è quello per cui risulta essere molto difficile determinare la quantità ottima di capitale che una
banca deve detenere per essere considerata ragionevolmente sicura.

I vantaggi di avere un livello minimo di capitale risultano essere:


- ricapitalizzazione del sistema bancario per garantire dal rischio sistemico, derivante dalle
relazioni tra banche, e dal rischio idiosincratico. Essere ricapitalizzata significa inoltre aver una
maggior ampiezza di scelta sulle politiche di investimenti e sui rischi da assumere;
- riduzione degli effetti negativi connessi al deleveraging: cioè ridurre il proprio indebitamento;
minore è il ratio di capitalizzazione (cioè meno la banca è indebitata e patrimonializzata) meno è
la riduzione dell’indebitamento che deve fare per mantenere il ratio di capitalizzazione qualora
incorresse in perdite d’esercizio;
- infine il fenomeno della riduzione del conflitto d’interesse tra azionista e creditore, quindi
riduzione del comportamento di azzardo morale e risk shifting degli azionisti: minore è la quota
apportata rispetto al totale di bilancio, maggiore è l’incentivo a scaricare le perdite sugli altri
creditori della banca, se l’azionista rischia molto, allora i comportamenti di scarico delle perdite
sono limitati e contenuti.

Per quanto riguarda le critiche si dice spesso che i livelli minimi non siano sufficienti a difendere la
solvibilità delle banche nel caso in cui debbano fronteggiare fenomeni quali crisi di liquidità, crisi
sistemica o bank-run. I sostenitori del mercato libero affermano che con Basilea il regulator si sostituisce
ai mercati nel valutare i livelli ottimali del capitale; in un’ipotesi di piena efficienza dei mercati è il
mercato che conduce le banche verso la definizione di livelli ottimi di capitale. Perciò il regulator
sostituirebbe impropriamente i mercati contribuendo magari ad un loro funzionamento meno efficace
comportando una riduzione dei livelli di capitalizzazione rispetto a quelli che richiederebbero i mercati.
Inoltre la valutazione del supervisor arriva sempre in ritardo basta pensare alla crisi; queste normative
erano già presenti ma non hanno impedito il fallimento delle banche confermando il fatto che i requisiti
di Basilea fossero troppo bassi.
Queste sono critiche dal punto di vista pubblico del regulator che perciò seguono un’ottica
macroeconomica.
La critica della complessità e del costo invece provengono direttamente dalle banche.

BASILEA 1

L’obbiettivo principale di Basilea 1 è quello di garantire la stabilità del sistema internazionale attraverso
una regolamentazione più equa tra le banche che si fanno concorrenza a livello internazionale. Si tratta
questo di un obbiettivo prudenziale che mira a ridurre l’eventuale arbitraggio che si crea nel mercato,
cioè condizioni di elusione per cui alcune banche con minor capitalizzazione sono più forti di altre).

Per determinare la quantità ottimale di capitale che le banche devono detenere Basilea utilizza questo
metodo: prende l’attivo di bilancio e precisamente le attività che esprimono investimenti a rischio e si
moltiplicano per il coefficiente di ponderazione (0-200%) che esprime il rischio come funzione principale.
Maggiore è la rischiosità di un prestito o di un attivo, maggiore sarà il coefficiente di ponderazione.
Moltiplicando l’importo nominale dell’attività per il suo coefficiente di ponderazione si trova l’attivo
ponderato al rischio, il quale sommato per ogni posta dell’attività ponderata al rischio genera il totale
attivo ponderato al rischio che va moltiplicato per l’8% (requisito patrimoniale minimo); cioè se ho 100
euro in attivo devo avere 8 euro di equity che corrisponde al capitale che deve detenere la banca tale
capitale si definisce come patrimonio netto di vigilanza o coefficiente di solvibilità.
Una criticità a tale calcolo risulta essere il trade-off tra regole semplici e regole complesse cioè non
sempre essere semplici significa essere efficaci. Secondo alcuni critici infatti Basilea 1 risulta essere più
complicato rispetto al rapporto di leva senza ponderazioni cioè si pensa che il totale patrimonio
ponderato all’attivo sia meno complesso che rispetto all’attivo ponderato per il rischio. La soluzione è
ricercata in un rapporto di complementarietà fra leverage ratio e Basilea ratio contenuto in Basilea III.

Possiamo dire che il patrimonio di vigilanza è costituito da due voci molto importanti ossia:
- il Capital Tier 1 ossia il patrimonio di base come ad esempio capitale azionario o riserve palesi;
- il Capital Tier 2 ossia il patrimonio supplementare come ad esempio le riserve di rivalutazione
oppure le riserve occulte.

I limiti derivanti da Basilea 1, che hanno comportato il suo superamento, risultavano essere:
- i requisiti prudenziali si concentrano esclusivamente sul rischio di credito;
- la scarsa differenziazione del rischio di credito: si considera solo il rischio di credito delle banche
commerciali e industriali.

BASILEA 2

Il mancato raggiungimento di determinati obbiettivi inizialmente fissati da Basilea I aveva portato il


Comitato a presentare nel 1999 una nuova proposta definita Basilea II. Tale proposta avrebbe
mantenuto la struttura normativa di Basilea I apportando però delle modifiche, degli adattamenti e dei
miglioramenti.

Basilea II si fonda su 3 pilastri:


1. requisiti patrimoniali minimi obbligatori: il patrimonio di vigilanza è il patrimonio minimo che le
banche devono detenere per tutelare i creditori dalle eventuali perdite dovute ad eventi
rischiosi. L’indicatore di adeguatezza del capitale di vigilanza, individuato da Basilea II, risulta
essere il Total Capital Ratio ossia il rapporto tra il capitale da accantonare per far fronte a 3
tipologie di rischio (tale rapporto non deve essere > 8%) ed il totale delle attività:
- rischio di mercato: è il rischio di perdite sostenute dalla banca e originate da variazioni
sfavorevoli dei prezzi degli strumenti finanziari;
- rischio operativo: si definisce come il rischio di perdite derivanti da:
- risorse umane come errori, frodi, violazioni di regole e procedure interne oppure problemi di
incompetenza e negligenza;
- processi come errori nel calcolo delle imposte dovute dalla banca;
- sistemi informativi come aspetti tecnologici (guasti nell’hardware e nel software) oppure ingressi
non autorizzati da parte di estranei;
- eventi esterni come modifiche del quadro politico, atti criminali, rapine e terrorismo.
La tipicità di questi rischi operativi è che essendo molto diversi tra di loro risultano essere troppo difficili
da misurare per via degli eventi rari da cui dipendono. Il rischio operativo è un rischio puro che genera
solo costi e sul quale non vi si può fare speculazione. L’unico modo, non per risolvere tale problema, ma
per ordinare la confusione apportata da tale rischio è quello di classificare gli eventi di rischio
distinguendo la probabilità di manifestazione e l’impatto. Si evidenziano:
- rischi ad alto impatto (high risk): si tratta dei rischi catastrofici che potrebbero portare la banca
al fallimento la cui probabilità di manifestazione è molto bassa come ad esempio il Covid;
- rischi con probabilità alta e impatto basso come ad esempio errori nella valutazione del rischio
o nell’istruttoria di fido. Presi singolarmente sono trascurabili ma sommati potrebbero avere un
impatto non indifferente;
- rischi a bassa frequenza e basso impatto i quali possono essere ignorati in quanto costano di più
i controlli rispetto al rischio stesso.
Col tempo sono stati individuati 3 metodi per il calcolo del rischio operativo:
1. basic indicator: è un metodo riservato per le istituzioni medio-piccole, consiste in un
moltiplicatore da applicare al margine di intermediazione della banca. Il 15% del margine di
intermediazione è il capitale da detenere a fronte dei rischi operativi;
2. standardized approach: si tratta di un basic indicator avanzato viene applicato alle attività della
banca suddivise in linee di business e per ognuna di esse viene definito un fattore di esposizione
ed il suo relativo rischio; in questa situazione la percentuale da applicare al margine di
intermediazione varia a seconda della rischiosità della linea di business (retail, servizi di
pagamento, gestione del risparmio).
3. internal measurement: frazione oltre che in linee di business (LB) anche in categorie di rischio
(CR) cioè richiede una classificazione delle perdite operative in categorie omogenee. Ogni
combinazione LB-CR determina un requisito di capitale. In questo metodo si effettua una
valutazione interna dei rischi, delle perdite e delle perdite connesse ai rischi. Ogni perdita va
ricondotta al rischio da cui sono state generate, sulla base del database e della sua elaborazione
posso arrivare ad una quantificazione del capitale necessario a coprire la perdita.
Poiché però sono state evidenziate condotte scorrette da parte delle banche, il regulator non si fida più
dei database interno perciò riaffida il calcolo del rischio operativo al metodo standard (standardized
approach) che risulta essere meno manipolabile. Il capitale da detenere a fronte del rischio operativo
deriva da due indicatori:
- BIC ossia l’indicatore della misurazione del reddito della banca per cui maggiore è l’utile
maggiore è il rischio operativo;
- ILM ossia l’indicatore delle perdite storiche della banca derivanti da rischio operativo.

- rischio di credito: ossia il rischio di perdite future su un credito per insolvenza del debitore,
rischio di non recupero, rischio di esposizione. Esso può essere misurato tramite 2 strumenti:

il primo strumento è rappresentato dal nuovo approccio standard il quale non presenta forti
cambiamenti rispetto a Basilea I; il coefficiente di solvibilità (
patrimonio di vigilanza
coefficiente di solvibilit à= ) richiesto risulta essere
totale attivit à ponderate al risc h io
sempre pari all’8%, se non la novità di associare alle attività un fattore di ponderazione stimato
da agenzie esterne ossia il rating a seconda del quale dipenderà l’accantonamento del
patrimonio di vigilanza. Perciò otteniamo: Rischio di credito =
patrimonio netto di vigilanza
.
attivo ponderato per il rischio∗pesi del rischio
Mentre in precedenza il rischio di credito delle imprese private era uguale per tutti adesso si
mette in evidenza il fatto che ogni impresa ha un suo rischio di credito.
Con il metodo standard per calcolare il rischio di credito di un’impresa si guardano le agenzie di
rating i cui rating pubblici evidenziano i pesi per i rischi (20% - 150%) dove il 150% è il peso del
rischio di un’impresa molto rischiosa. Se prima si calcolava semplicemente l’8% di 100 euro
individuando come patrimonio di vigilanza 8 euro di patrimonio a fronte del rischio di credito
con questo metodo si fa, poiché trattiamo un’impresa con tripla A, il 20% di 100 euro da cui
otteniamo 20 euro per l’8% da cui ottengo 1.96 euro che rappresenta l’equity minimo da
detenere.

Il secondo strumento è rappresentato dagli internal rating based approach (metodo IRBA) che si
distinguono in:
- IRB foundation approach: prevede che le banche possano calcolare, sulla base di strumenti
analitici propri (previamente approvati dagli organi di vigilanza), la PD (probabilità di default).
- IRB advanced approach: È l'approccio più avanzato, sofisticato e, per conseguenza, costoso.
Calcola infatti altri due fattori distinti: LGD (Loss Given Default), EAD (Exposure at Default) e la
Maturity.

2. vigilanza sui requisiti minimi di capitale: esso viene regolato dai seguenti principi: 1) il primo
principio dice che le banche dovrebbero disporre di un procedimento per valutare l’adeguatezza
patrimoniale complessiva in rapporto al profilo di rischio e di una strategia per il mantenimento
dei livelli patrimoniali. 2) il secondo principio prevede che le autorità di vigilanza devono
riesaminare e valutare il procedimento interno della banca, e se il risultato non è soddisfacente
la vigilanza deve adottare misure prudenziali. Il principio 2 si concretizza con l’ICAAP (internal
capital adeguacy assessment process), ovvero l’autonoma valutazione dell’adeguatezza
patrimoniale da parte delle banche stesse e lo SREP (supervisory review and evaluation process)
il processo di riesamina dell’ICAAP. 3) il terzo principio dice che le autorità di vigilanza auspicano
che le banche operino con una dotazione maggiore dei coefficienti minimi obbligatori. 4) il
quarto principio sancisce che le autorità di vigilanza devono intervenire in una fase precoce e
evitare che il patrimonio di una singola banca scenda al di sotto dei livelli minimi compatibili con
il suo profilo di rischio.
3. la disciplina del mercato: si introducono specifici obblighi informativi al pubblico quali una
maggior trasparenza riguardo l’adeguatezza patrimoniale, l’esposizione ai rischi e le
caratteristiche generali dei sistemi preposti all’identificazione, alla misurazione ed alla gestione
di tali rischi.

BASILEA 3

Nel dibattito successivo alla crisi del 2007, il sistema normativo dell’intermediazione finanziaria fu
criticato fortemente. Innanzitutto per la sua inadeguatezza nel limitare gli effetti dell’instabilità e,
inoltre, per la sua incapacità di prevenire una crisi di dimensioni sistemiche.
A quel tempo la normativa in vigore era Basilea II. Essa dettava i requisiti patrimoniali minimi che le
banche dovevano rispettare, imponendo un accantonamento di quote di capitale proporzionate ai rischi
assunti, e conferiva alle Banche Centrali il potere di innalzare, a propria discrezione, i suddetti requisiti
minimi.
Nonostante le disposizioni, la crisi si verificò lo stesso e gli intermediari bancari si trovarono impreparati.
Ciò a causa dell’insufficiente liquidità detenuta per fronteggiarla.
Approfondendo le lacune emerse durante la crisi, si proseguì alla revisione dell’accordo di Basilea II ed i
regolatori si espressero a favore dell’emanazione di un corpus normativo più rigido.
Tenuto conto delle dimensioni complessive assunte dal sistema finanziario, della nascita di intermediari
ritenuti Too Big To Fail (TBTF), del loro eccessivo livello di leverage, nel 2011 fu varato l’insieme di norme
noto come Basilea 3.
Nel dettaglio gli accordi mirano ad uniformare il sistema finanziario e ad assicurare una disciplina
omogenea su aspetti cruciali nell’esercizio dell’attività bancaria quali:
- un’adeguata capitalizzazione;
- una prudente gestione del rischio;
- una prudente gestione della liquidità.
Il pacchetto normativo contiene anche specifiche disposizioni volte al raggiungimento di una maggiore
trasparenza informativa.

Gli aspetti legati alla capitalizzazione riguardano soprattutto il patrimonio di vigilanza” ossia la quantità
di denaro che la banca è obbligata a detenere a fronte delle sue attività di rischio, generalmente
rappresentate dai prestiti. La scelta del livello ottimale di patrimonializzazione non è banale e richiede
un’attenta ponderazione dei vantaggi e degli svantaggi che ne derivano.
Per esempio, si ipotizzi un innalzamento del patrimonio di vigilanza. Gli effetti conseguenti sono
di due tipi:
Positivo: la maggiore quantità di capitale detenuto internamente alla banca garantisce più
stabilità alla sistema finanziario;
Negativo: la riduzione di redditività per l’istituto bancario. Infatti, a fronte di una maggiore
percentuale di patrimonio detenuto, si registra una diminuzione del patrimonio che la banca
può investire in modo profittevole. La minore redditività rende la singola istituzione meno
interessante per gli shareholders e diminuisce la competitività di tutto il settore.
Alla luce di queste riflessioni, Basilea III ha lasciato inalterato all’8% il requisito patrimoniale
complessivo richiesto alle banche.

Per quanto concerne una prudente gestione del rischio si conferma anche il sistema per il calcolo della
rischiosità dell’attivo, già definito nel precedente accordo di Basilea II. Grazie al sistema è possibile
stimare il requisito di capitale minimo per il rischio di credito. La rischiosità viene determinata come
moltiplicazione tra l’importo dei prestiti concessi ed un certo coefficiente di rischio. Quest’ultimo varia in
base al rischio specifico della controparte, secondo la logica che concedere un finanziamento ad
un’impresa o ad uno Stato presenti un differente grado di rischio.
In risposta al problema della sottocapitalizzazione, l’accordo ha previsto per le banche una dotazione di
mezzi patrimoniali di elevata qualità che fungano come cuscinetto nei momenti di tensione del mercato.
In particolare, sono stati introdotti tre buffer di capitali aggiuntivi:
- la riserva di conservazione di capitale rappresenta una misura di protezione che permette alla
banca di avere maggiore liquidità disponibile. Può essere utilizzata in evenienze particolari, quali
periodi di tensione del mercato o casi di prestiti caduti in sofferenza. Le banche sono tenute a
rispettare un livello di Common Equity Tier 1: la componente di massima qualità del patrimonio
di una banca composto da azioni ordinarie e riserve. Il CET 1 deve essere pari al 4,5% delle
attività ponderate per il rischio. Il buffer di conservazione del capitale impone di detenerne un
ulteriore 2,5%, innalzando la percentuale complessiva minima al 7%.
- la riserva anticiclica costituisce una delle più significative innovazioni in materia prudenziale.
L’obiettivo è quello di garantire che i requisiti patrimoniali imposti al settore bancario tengano
conto dell’ambiente macro-finanziario nel quale gli istituti creditizi operano. La riserva anticiclica
promuove un maggior accantonamento di risorse patrimoniali durante la fase espansiva del ciclo
economico, per controbilanciare una loro eventuale scarsità nei periodi di recessione. La
componente anticiclica svolge quindi una duplice funzione:
dal punto di vista macroeconomico cerca di proteggere il settore bancario da periodi di eccedenza di
crescita del credito aggregato, periodi che sono spesso associati ad un aumento del rischio a livello
sistemico.
dal punto di vista microeconomico evita che, nelle fasi di rallentamento dell’economia, gli eccessivi
requisiti patrimoniali normativi imposti alle banche riducano la fornitura di credito, compromettendo
l’andamento dell’economia reale.
Basilea III non ha indicato una percentuale fissa per questa riserva ma ha rimandato ai singoli regolatori
nazionali la facoltà di introdurla in base alle condizioni di crescita dell’attività creditizia.
- la richiesta di una dotazione patrimoniale specifica per gli enti a rilevanza sistemica nazionale e
globale. Per le due tipologie di istituti bancari, il Comitato di Basilea ha preso precauzioni
ulteriori a ragione del fatto che un loro eventuale fallimento avrebbe ripercussioni gravissime
sull’intera economia, con pesante impatto anche sui contribuenti.

Per quanto attiene alla gestione del rischio, con l’introduzione delle nuove disposizioni normative i
legislatori hanno dato risposta ad un’altra problematica emersa durante la crisi: l’eccessivo livello di
leverage raggiunto da alcuni intermediari bancari.
Il leverage, o leva finanziaria, è il rapporto tra le attività ed il capitale azionario della banca. Operare
investimenti con leva finanziaria significa acquistare o vendere attività finanziarie per un ammontare
superiore al capitale posseduto. Con tale pratica è implicita la possibilità di ottenere rendimenti
potenzialmente molto alti. Ciò è controbilanciato dal rischio di registrare perdite molto significative
dovute alla svalutazione delle attività detenute in portafoglio.

Negli anni precedenti il 2007, le banche aumentarono oltremodo la propria leva finanziaria riuscendo a
mantenere, almeno in apparenza, robusti coefficienti patrimoniali basati sul rischio. Tuttavia, nel
momento più acuto della crisi, diversi intermediari creditizi si trovarono costretti a ridurre la propria
esposizione. Ciò provocò un’ulteriore diminuzione dei prezzi delle attività che si sommò a quella già
causata dal crollo del sistema finanziario. Si innescò in conseguenza un circolo vizioso composto da
perdite, riduzione del capitale degli intermediari e fenomeni di contrazione del credito.
Per evitare il ripetersi di questa situazione e per limitare l’eccesso di indebitamento all’interno del
sistema bancario, Basilea III introdusse il coefficiente di leva finanziaria. Semplice, trasparente e non
basato sul rischio, esso integrò lo schema di regolamentazione patrimoniale basato sul rischio.
Capital tier 1
La formula del leverage ratio è: leverage ratio= il cui risultato deve essere
Esposizione complessiva
uguale a 3%. Il Capital tier 1 corrisponde alla componente primaria del capitale di una banca mentre
l’esposizione complessiva a denominatore, per semplicità, corrisponde al totale attivo;

A partire dalla sua introduzione nel 2013, i regolatori identificarono nella percentuale del 3% una sana
misura di leveraging, con l’intesa di una sua eventuale modifica se dovesse rivelarsi inadeguata.

Un altro tassello fondamentale introdotto da Basilea III è senza dubbio la prudente gestione della
liquidità. Il problema della liquidità era stato fortemente sottovalutato dalle normative precedenti tanto
è vero che queste davano per scontata la massima efficienza del mercato. Proprio in virtù del fatto che il
rischio di liquidità può portare alle stesse conseguenze catastrofiche apportate dal rischio sistemico
Basilea III ha introdotto due indicatori:
 i coefficienti di liquidità: il Liquidity Coverage Ratio ed il Net Stable Funding Ratio. Oltre ai
requisiti patrimoniali, da soli non sufficienti ad evitare la crisi, si rese necessario introdurre
regole più stringenti sulla gestione del rischio di liquidità, definito come l'incapacità della banca
di far fronte, tempestivamente ed in modo economico, agli obblighi di pagamento nei tempi
contrattualmente previsti.
Il Liquidity Coverage Ratio misura la vulnerabilità dell’istituto rispetto a crisi di liquidità nel breve
periodo. Impone alle banche di detenere attività liquide di elevata qualità (cassa, riserve presso
le BC) adeguate a coprire deflussi monetari netti, improvvisi e sostanziosi. Questa è la formula:
attivi di elevata qualit à
LCR= ; questo rapporto deve essere >1 cioè le mie riserve devono
deflussi di cassanetti
coprire i deflussi altrimenti la banca si troverebbe in crisi di liquidità.
Il Net Stable Funding Ratio ha l'obiettivo di garantire un equilibrio tra l’attivo e il passivo
fonti di provvista stabili
nell’arco temporale di un anno. Questa è la formula: NSFR= ;
attivit à fisse a lungo periodo
per le fonti di provvista stabili si intende l’ammontare di capitale a rischio e dei debiti contratti,
che si ritiene costituiscano fonti affidabili su cui può fare leva la banca in una fase di stress
prolungato. Tale rapporto deve risultare sempre >100%.

L’attenzione dei legislatori si rivolse in particolare alle operazioni di cartolarizzazione. La


cartolarizzazione è una tecnica mediante la quale gli istituti bancari trasformano attività finanziarie
indivise ed illiquide, in grado di generare dei flussi di cassa, in attività divisibili e vendibili. Ossia in
strumenti finanziari trasferibili e negoziabili sul mercato.
La tecnica della cartolarizzazione trovò ampio utilizzo nei prestiti. Negli anni precedenti la crisi, le banche
erano solite concedere prestiti con l’obiettivo di cartolarizzarli e trasferirli all’esterno, così da non
conservarli in bilancio. Ciò era un disincentivo per l’istituzione creditizia ad operare una corretta
valutazione del merito creditizio della controparte. Qualora il creditore fosse risultato insolvente, la
banca non ne avrebbe avuto alcuna conseguenza, in quanto non possedeva più il credito nel suo
bilancio.
Dunque, con Basilea III si impose alle istituzioni concedenti i prestiti di detenere in bilancio le tranche più
rischiose di essi, scoraggiando fenomeni di moral hazard e rendendo il trasferimento del rischio solo
parziale. Così l’intermediario diviene il primo garante in caso di perdite derivanti dalle attività
cartolarizzate.

Nel periodo della crisi si è evidenziato il fallimento di tantissime banche di medie-piccole dimensioni
mentre quelle too big to fail venivano salvate. Il salvataggio delle banche sistemiche è giustificato dal
fatto che il loro fallimento genererebbe dei gravi effetti sistemici; ci sono però dei rischi e dei costi da
considerare. Il moral hazard nell’uso del denaro dei contribuenti che invece che soccorrere le imprese
meritevoli aiutano banche che hanno azzardato perciò sorge spontaneo il pensiero per cui sia inutile
l’adozione degli stress test se tanto il denaro pubblico aiuterà le banche too big to fail.
La proposta del narrow banking è quello di porre dei livelli massimi alle dimensioni delle banche per
evitare l’effetto sistemico. Quindi si adotterà un common equity Tier 1 maggiore e si farà ricorso ai piani
di recovery, di risanamento cioè dei piani predisposti dalle banche da mettere in atto nel caso di
scenario avverso. Se questi piani non dovessero bastare si procederà alla risoluzione.

BASILEA 4

Obiettivo principale delle modifiche è quello di ridurre la variabilità delle valutazioni degli attivi
ponderati per il rischio (RWA) nella comparazione tra banche di diversa dimensione, operanti secondo
regimi regolamentari e modelli di business diversi. Basilea IV ha agito essenzialmente sul rischio di
credito e su quello operativo, mentre quello di mercato non è stato toccato in virtù delle rilevanti
modifiche attuate negli anni passati.
Relativamente al rischio di credito l’intervento principale ha riguardato l’introduzione di limitazioni
nell’impiego dei modelli interni per la valutazione del rischio (IRB). In primo luogo per alcuni segmenti di
business è stata eliminata la possibilità di utilizzare i modelli IRB avanzati, che oltre alla probabilità di
default prevedono anche la stima della perdita a fronte del default (LGD).
Nello specifico, a partire dal 2022, nel caso di finanziamenti a banche, altre istituzioni finanziarie e
imprese appartenenti a gruppi con ricavi superiori ai 500 milioni di euro potrà essere adottato solo
l’approccio standardizzato o l’IRB di base, escludendo quindi quello avanzato. L’IRB avanzato e quello di
base saranno inoltre esclusi per le esposizioni in strumenti di capitale. Le esposizioni su cui si continuerà
ad applicare un approccio IRB (di base o avanzato) saranno soggette a vincoli più stringenti in merito ai
risparmi in termini di RWA rispetto all’approccio standardizzato. Un output floor sui RWA pari al 50%
sarà introdotto nel 2022, il vincolo crescerà progressivamente fino a raggiungere il livello massimo del
72,5% nel 2027. In altri termini, trascorsi dieci anni le banche che utilizzano i modelli IRB non potranno
avere un beneficio in termini di RWA superiore al 27,5%, rispetto al modello standard. Il modello
standard diventerà più sensibile rispetto al rischio. Una matrice di coefficienti di ponderazione più
dettagliata rispetto al coefficiente fisso attualmente in vigore viene prevista nel caso di esposizioni su cui
è presente una garanzia reale, permettendo in tal modo un minor assorbimento di capitale.

Riguardo al rischio operativo, il comitato di Basilea ha deciso di procedere ad una netta semplificazione
sostituendo i quattro approcci attualmente applicabili con un unico approccio standardizzato. Sulla base
di questa procedura semplificata il rischio operativo sarà esclusivamente funzione di due parametri: i)
l’ammontare dei ricavi di una banca e ii) una misura storica delle perdite operative. Ultimo tassello della
riforma riguarda il leverage ratio. Nel caso delle global systemically important banks (G-SIB), il rapporto
tra Common Equity Tier 1 e la somma di totale attivo e poste fuori bilancio, che secondo Basilea III
doveva essere superiore al 3%, giunge ad essere superiore al 3% più la metà del buffer prudenziale
applicato per il ratio aggiustato per il rischio. Se quindi, ad esempio, ad una banca G-SIB è applicato un
buffer aggiuntivo in termini di CET1 ratio pari al 2%, allora il requisito minimo del leverage ratio sarà pari
al 4% (3%+2%*50%). In Basilea IV sono stati anche rivisti alcuni criteri per la definizione delle attività
fuori bilancio da inserire nel calcolo del leverage ratio.

L’UNIONE BANCARIA EUROPEA

La necessità di rafforzare il sistema bancario e correggerne i vizi (nascita di banche too big to fail) ha
portato nel 2014 all’unione bancaria europea.
La crisi subprime e la crisi del debito sovrano sono le cause che hanno portato all’accentramento, presso
la BCE, della vigilanza europea. Questo proprio perché non c’era la sicurezza che i governi nazionali
fossero in grado di reggere una crisi di questo spessore; invece l’UE avrebbe garantito il sostegno dei
sistemi bancari nazionali attraverso il “fondo salva stati”. In cambio del suo intervento l’UE richiede
poteri di vigilanza e di controllo sulle banche.

L’unione bancaria europea si fonda su 3 pilastri:


1. single supervisory mechanism;
2. single resolution mechanism;
3. sistema comune di garanzia dei depositi.

Con il meccanismo di vigilanza unico la BCE vigila direttamente sulle banche sistemiche che hanno
maggiore attività internazionale ed effetti più sistemici. Per identificare tali banche si guardano due
parametri:
- attivo superiore di 30 miliardi di euro;
o
- attivo superiore al 20% del PIL nazionale.
Le altre banche restano sotto il controllo delle Autorità di vigilanza nazionali.
La vigilanza europea procede al monitoraggio delle banche significant solamente dopo una verifica delle
qualità di tali banche cioè prima di diventare il supervisore, la BCE si accerta che le banche siano in
regole e siano in possesso dei requisiti necessari.

L’organizzazione del meccanismo di vigilanza unico prevede un consiglio di vigilanza (supervisory board)
il quale è composto da quattro membri designati dal comitato esecutivo, da due membri eletti dal
Consiglio direttivo della BCE, cui compete l’approvazione definitiva con sistema di silenzio assenso o
rifiuto, e da un componente per ciascun stato aderente. A questo organo spetta il compito di formulare
proposte al consiglio direttivo della BCE cui compete l’approvazione delle misure di vigilanza. La vigilanza
sulle banche significant è attuata mediante il joint supervisory team.

Con il meccanismo di risoluzione unico si vuole innanzitutto gestire il risanamento delle banche per
evitare il loro fallimento oppure garantire una ordinata uscita dal mercato delle banche in dissesto, con
costi minimi per contribuenti e per l’economia reale.

La direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) introduce in tutti i paesi europei regole
armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento. La BRRD dà alle
autorità di risoluzione poteri e strumenti per:
i) pianificare la gestione delle crisi;
ii) intervenire per tempo, prima della completa manifestazione della crisi;
iii) gestire al meglio la fase di “risoluzione”.
La fase di risoluzione rappresenta un processo di ristrutturazione gestito da autorità indipendenti
attraverso tecniche e poteri previsti dalla BRRD; con tale processo si intende evitare interruzioni della
prestazione di servizi offerti dalla banca e ripristinare le condizioni di sostenibilità economica della parte
sana della banca e liquidare il resto.
Le condizioni chiave che evidenziano la necessità di una risoluzione sono:
- dissesto o rischio di dissesto cioè perdite che possano ridurre o addirittura azzerare il capitale;
- la mancanza di strumenti o di misure alternative private che consentano di evitare in tempi
ragionevoli il dissesto;
- sottoporre la banca alla liquidazione ordinaria comprometterebbe stabilità sistemica, protezione
dei depositanti e dei clienti ed anche la continuità dei servizi finanziari essenziali;
Perciò a fronte di queste situazioni si rende necessaria la risoluzione.

Il meccanismo di risoluzione unico dota le autorità competenti di strumenti idonei per prevenire le crisi
bancarie, intervenendo quando le condizioni della banca si siano deteriorate e quando ormai la crisi è
imminente:
- misure preparatorie;
- misure tempestive;
- misure per la risoluzione delle crisi.
Le misure preparatorie prevedono piani di risanamento e di recupero volti a prevenire e a risolvere le
crisi bancarie (piani di recovery).
Le misure tempestive prevedono un intervento precoce al verificarsi dei primi sentori di deterioramento
della banca. Le modalità di intervento sono rappresentate da:
- richieste di misure correttive al management;
- sottoporre l’intermediario al special management si tratta di una sorta di commissariamento
della banca;
- convocazione del CDA per deliberare un aumento di capitale;
- rimozione del CDA con la nomina di un amministratore straordinario (esempio pratico è quello
di Carige dove il fallito aumento di capitale dei Malacalza, la banca è stata commissariata dalla
BCE che ha rimosso il CdA nominandone uno nuovo).
Le misure per la risoluzione della crisi rappresentano le misure più drastiche; due sono le condizioni per
la sua applicabilità: la banca deve essere “failing or likely to fail”, deve sussistere un interesse pubblico
da salvaguardare. Tra le principali misure ricordiamo:

a) vendita dell’attività d’impresa;


b) bridge institution (ente ponte) ;
c) separazione delle attività;
d) bail in.

Lo strumento della vendita dell’attività d’impresa consente di procedere alla vendita dell’ente nella sua
totalità, o di una parte della sua attività, a condizioni di mercato, senza dover richiedere il consenso degli
azionisti o soddisfare requisiti procedurali altrimenti applicabili.
La bridge institution permette di trasferire la totalità o parte dell’attività di un ente a un’entità
controllata da poteri pubblici. Il suo scopo è di vendere l’attività al settore privato quando le condizioni
di mercato siano adeguate.

Lo strumento della separazione delle attività ha come fine quello di trasferire attività compromesse o
problematiche a un veicolo di gestione dove tali attività verranno gestite e le loro problematicità risolte
nel tempo. Le attività dovrebbero essere trasferite al valore di mercato o al valore economico a lungo
termine.

Lo strumento del bail in, rappresenta lo strumento più innovativo, si definisce come la riduzione forzosa
del valore delle azioni e del debito o conversione del debito in capitale. Consentirà alle autorità di
risoluzione di ridurre i diritti dei creditori, secondo un preciso ordine di priorità, prima della
dichiarazione di fallimento. I creditori potrebbero veder ridotte o cancellate le cedole, ridotto il valore
nominale del credito, oppure potrebbero subire la conversione forzata dei loro titoli in azioni. Tra l’altro
è previsto, tanto nella proposta di direttiva che in quella di regolamento, che non tutti i crediti della
banca siano soggetti al bail in; fra le esenzioni principali vi sono i “depositi garantiti” (ovvero quelli di
importo inferiore ai 100.000 euro coperti dal sistema di assicurazione dei depositi già vigente in tutti i
paesi europei), ma anche altre passività garantite, ivi compresi i covered bonds.

Questo pilastro dell’unione bancaria europea si compone di:


- un'autorità di risoluzione a livello dell'UE ossia il Comitato di risoluzione unico;
- un fondo di risoluzione comune, finanziato dal settore bancario.

Il Comitato di risoluzione unico è il principale organo decisionale del meccanismo di risoluzione unico:
- decide in merito ai programmi di risoluzione per le banche in dissesto;
- è direttamente responsabile delle fasi di pianificazione e risoluzione delle banche
transfrontaliere e delle grandi banche dell'Unione bancaria;
- è responsabile per tutti i casi di risoluzione qualora per la risoluzione si debba ricorrere al Fondo
di risoluzione unico;
- ha la responsabilità ultima di tutte le banche dell'Unione bancaria e può quindi decidere in
qualsiasi momento di esercitare i suoi poteri nei confronti di qualunque banca.

Il Comitato di risoluzione unico si riunisce in sessione esecutiva o plenaria.


Nella sessione esecutiva il comitato è composto da:
- membri con diritto di voto: presidente esecutivo, quattro membri a tempo pieno, rappresentanti
degli Stati membri in cui si trovano la banca in dissesto e le sue succursali;
- osservatori: permanenti come un rappresentante della BCE ed un rappresentante della
Commissione e osservatori invitati ad hoc.

Nella sessione plenaria il comitato è composto da:


- membri con diritto di voto: presidente esecutivo, quattro membri a tempo pieno, rappresentanti
delle autorità nazionali di risoluzione;
- osservatori: permanenti come un rappresentante della BCE ed un rappresentante della
Commissione e osservatori invitati ad hoc.

La sessione esecutiva prepara tutte le decisioni in materia di risoluzione mentre la sessione plenaria
prende decisioni di carattere più generale come decisioni sul regolamento interno, sul bilancio annuale
del Comitato, sugli investimenti e su questioni riguardanti il personale.

Per quanto riguarda invece il Fondo di risoluzione unico è un fondo istituito a livello sovranazionale.
Verrà utilizzato per la risoluzione delle banche in dissesto quando sono esaurite le altre opzioni, ad
esempio lo strumento del bail-in. Il Fondo è costituito da contributi periodici degli intermediari in
rapporto alle dimensioni ed al rischio.
Il Fondo di risoluzione unico verrà costituito nell'arco di 8 anni e dovrebbe raggiungere almeno l'1%
dell'importo dei depositi protetti di tutti gli enti creditizi autorizzati in tutti gli Stati membri dell'unione
bancaria. Il suo importo stimato sarà di circa 55 miliardi di EUR.
Con il meccanismo unico di garanzia dei depositi bancari si consente il rimborso dei depositanti (fino a
un limite stabilito) qualora la loro banca sia in dissesto e i depositi diventino indisponibili. Secondo la
normativa, tutti i depositanti, siano questi persone fisiche o società, hanno diritto alla protezione dei
loro depositi fino a un importo di 100 000 EUR per banca da parte del sistema di garanzia cui aderisce la
loro banca.

Una differenza molto importante è quella tra burden sharing e bail-in. La normativa in vigore fino alla
fine del 2015 permetteva l’applicazione del cosiddetto burden sharing: in caso di dissesto di una banca
era previsto che prima del coinvolgimento di fondi pubblici venisse attuata la riduzione del valore
nominale delle azioni e delle obbligazioni subordinate (o la conversione in capitale di queste ultime).
Dal primo gennaio 2016 è invece entrato in vigore il cosiddetto bail-in, che prima del coinvolgimento del
Fondo di Risoluzione (o più in generale dei fondi pubblici) prevede la riduzione del valore nominale non
solo delle azioni e delle obbligazioni subordinate, ma anche dei titoli di debito più senior, quali le
obbligazioni ordinarie e i depositi di importo superiore ai 100.000 euro. Il bail-in prevede il rispetto della
gerarchia concorsuale: di conseguenza, esso viene applicato prima alle azioni, poi agli altri titoli di
capitale e ai debiti subordinati. I depositi di valore pari o inferiore a 100.000 euro sono sempre esclusi
dal bail-in e sono coperti dai sistemi di garanzia dei depositi; i depositi di importo superiore possono
essere interessati dal bail-in solo per la porzione eccedente la soglia di 100.000 euro.

3 CASI GRAVI DI CRISI BANCARIE

1. QUATTRO BANCHE: nel momento in cui la Banca d’Italia ed il Sistema bancario italiano
dovettero prendere atto che la soluzione delle crisi bancarie non poteva più essere perseguita
attraverso l’intervento del F.I.T.D erano in corso quattro procedure di Amministrazione
Straordinaria, che riguardavano la Cassa di Risparmio di Ferrara; la Cassa di Risparmio di Chieti;
la Banca delle Marche; e la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio (le “Quattro Banche”).
Le “Quattro Banche” in questione furono soggette alla nuova “procedura di crisi” bancaria
rappresentata dalla “risoluzione”, e le relative aziende furono cedute a quattro banche neo-
costituite (gli “Enti-Ponte”), le quali poi vennero a loro volta cedute a due banche (la Cassa di
Risparmio Ferrara alla Banca Popolare dell’Emilia Romagna; le altre tre a UBI Banca),
successivamente incorporate.
La disciplina della “risoluzione” delle banche postula la cessazione dell’attività della “vecchia
banca”, e persegue l’obiettivo del suo risanamento attraverso un articolato procedimento. Nel
caso delle “Quattro Banche” il procedimento si è sviluppato nel seguente modo:
a) dichiarazione di “risoluzione” delle “Quattro banche”;
b) azzeramento dei diritti degli azionisti e dei sottoscrittori di obbligazioni subordinate delle
“Quattro banche”;
c) costituzione di quattro banche nuove (good-banks, o “Enti-Ponte”);
d) cessione della “parte buona” delle quattro aziende bancarie (cioè, con esclusione dei crediti
“deteriorati”) agli “Enti-Ponte”;
e) costituzione di una nuova banca (“bad-bank”- o “Società-Veicolo” -) destinata ad acquisire i
crediti deteriorati delle “Quattro Banche”;
f) cessione della “parte cattiva” delle quattro aziende bancarie (cioè, i crediti “deteriorati”) alla
“Società-Veicolo”;
g) avvio di trattative per la cessione degli “Enti-Ponte”;
h) vendita di tre “Enti-Ponte” ad una importante banca italiana (UBI Banca), e del quarto “Ente-
Ponte” ad una banca diversa (Banca Popolare dell’Emilia Romagna).

2. LE DUE BANCHE VENETE: la liquidazione coatta amministrativa della banca, disposta dal Minitro
dell’Economia e della Finanza su proposta della Banca d’Italia, comporta la cessazione della
attività bancaria. La azienda bancaria, o singoli sportelli bancari, possono essere ceduti ad una o
più di altre banche. La cessione dell’azienda bancaria ad una o più banche può richiedere il
sacrificio di una parte dei creditori della “vecchia banca”, perché in caso contrario non si
troverebbero altre banche disponibili ad acquisire l’azienda o rami d’azienda della banca in crisi.
Nell’anno 2016 sono state risolte attraverso questa procedura le crisi della Banca Popolare di
Vicenza e di Veneto Banca – le “Due Venete” -). L’operazione, diretta dalla banca d’Italia, ha
comportato: a) l’apertura della liquidazione coatta amministrativa nei confronti delle “Due
Venete”; b) l’azzeramento delle pretese dei loro azionisti e delle pretese di coloro che avevano
sottoscritto obbligazioni subordinate emesse dalle due banche; c) la cessione della “parte
buona” delle due aziende bancarie (cioè senza i crediti deteriorati delle due Banche) al più
importante gruppo bancario italiano (Gruppo Banca Intesa); d) la cessione dei “crediti
deteriorati” delle due Banche alla società (Società Gestione Crediti – SGA -) che nel passato
aveva gestito la riscossione dei crediti deteriorati del Banco di Napoli, quando (negli anni ‘90)
questo Istituto era stato assoggettato alla liquidazione coatta amministrativa.

3. MPS: La ricapitalizzazione precauzionale, come previsto dalla Direttiva BRRD, è una misura che
può essere adottata per evitare o rimediare a una grave perturbazione dell’economia di uno
Stato membro e preservare la stabilità finanziaria. Questo sostegno pubblico ha natura
straordinaria, cautelativa e temporanea; può essere concesso solo a condizione che la banca sia
solvibile e che l’intervento pubblico sia approvato dalla Commissione europea in base alle regole
sugli aiuti di Stato. La Comunicazione della Commissione UE sugli aiuti di Stato al settore
bancario (“Banking Communication”), emanata nel 2013, ammette il sostegno dello Stato solo
dopo la conversione in azioni degli strumenti di capitale, tra cui le obbligazioni subordinate
(principio di “condivisione degli oneri” o burden sharing).
L’ammontare di capitale “precauzionale” che una banca può chiedere allo Stato è quello
necessario a coprire il fabbisogno patrimoniale che deriva dallo scenario avverso di una prova di
stress.
Il 23 dicembre 2016, alla luce dei risultati della prova di stress resi pubblici dall’EBA nel
precedente luglio, la BCE ha quantificato per MPS un fabbisogno di capitale regolamentare di 8,8
miliardi con riferimento allo scenario avverso(2). L’Importo era cosi determinato:
- 6,3 miliardi per riallineare il CET1 ratio alla soglia dell’8% (dal -2,4% risultante dalla prova di
stress nello scenario avverso);
- 2,5 miliardi per raggiungere la soglia di Total capital ratio (TCR) dell’11,5%.

L’intervento dello Stato nel capitale di una banca è consentito, nell’attuale quadro normativo, per
evitare o per porre rimedio a una grave perturbazione dell’economia e per preservare la stabilità
finanziaria. Esso può essere richiesto da una banca che, in relazione a una prova di stress basata su uno
scenario avverso condotta a livello nazionale, dell’UE o del MVU, ha esigenza di rafforzare il proprio
patrimonio.

MPS costituisce il quarto gruppo bancario italiano ed è attivo sull'intero territorio nazionale, con una
significativa quota di mercato in termini sia di numero di filiali, sia di prestiti alla clientela. MPS è altresì
classificato fra le istituzioni a rilevanza sistemica nazionale.

Data l’impossibilità per MPS di conseguire per altra via il necessario rafforzamento patrimoniale, in
assenza di un intervento pubblico precauzionale rilevanti sarebbero stati i riflessi negativi sulla banca e
pesanti le ripercussioni sulla stabilità finanziaria e sull’economia italiana.

PRESTITI

L’attività di prestiti è il cuore dell’attività bancaria, lega gli equilibri della banca allo sviluppo del sistema
economico. Il benessere economico di un paese dipende dalla quantità di prestiti concessi e non dalla
quantità di moneta in circolazione.

I prestiti bancari evidenziano tre vantaggi:


1. alimentano la raccolta e favoriscono la crescita della banca: con il principio di loans make
deposits si intende che si prestano le risorse che devono ancora essere generate e cioè i fondi
che escono nella concessione del prestito rientrano con i depositi; si tratta di un circuito chiuso;
2. massima redditività;
3. rafforzano i rapporti di clientela.

I prestiti bancari rispetto alle altre forme di prestito, come quelli di mercato mediante le obbligazioni,
sono più peculiari poiché la banca, come visto nel circuito della finanza indiretta, riduce i costi attraverso
la trasformazione dei rischi.
Alcuni aspetti di peculiarità del prestito bancario:
- la non trasferibilità: un titolo è trasferibile tanto più è standardizzato e liquido, il prestito
bancario no perché rimane nell’attivo delle banche ed esprime una relazione personale che la
banca ha interesse a mantenere, continuando a guadagnare i suoi periodici interessi.
Il prestito bancario segue il modello originate and hold per cui la banca originatrice dei prestiti
erogati li mantiene in bilancio fino alla scadenza, accantonando capitale regolamentare a fronte
del rischio di credito.
Nel modello originate to distribute emerge la tecnica delle cartolarizzazioni il cui obbiettivo è
quello di trasformare strumenti finanziari non trasferibili (come i prestiti bancari) in altri
strumenti finanziari trasferibili, quindi negoziabili e liquidi. Con le cartolarizzazioni la banca
effettua il prestito ma dopo lo cartolarizza lo vende sul mercato tornando in possesso della
liquidità necessaria per fare altri prestiti;
- il grado di personalizzazione: mentre con il prestito si genera un rapporto di clientela durevole
nel tempo con il titolo questo non succede poiché esso è standard e impersonale;
- il rischio: individuiamo diverse tipologie:
1. il rischio di insolvenza, di default, di fallimento del debitore (PD);
2. il rischio di mancato recupero (LGD) ;
3. il rischio di concentrazione sia in un singolo debitore che in un determinato settore;
4. il rischio di interesse cioè il disallineamento tra le condizioni dei tassi tra attività e passività
(normalmente il tasso di remunerazione dei depositi deve essere inferiore rispetto al tasso
sui prestiti);
5. il rischio finanziario di liquidità riguarda eventuali ritardi, morosità, utilizzo anormale o
eccessivo dei fidi.

Entriamo nel dettaglio della gestione dei prestiti.


I problemi incontrati dalla banca sono due:
1. la valutazione dei rischi nell’istruttoria di fido;
2. la costruzione di un portafoglio di prestiti ottimo.
Le politiche che vengono adottate per porre rimedio a queste due problematiche risultano essere:
- l’individuazione dei criteri nella valutazione del fido nel processo di istruttoria;
- la definizione delle linee per la costituzione del portafoglio di investimento ottimo.

Il contenuto della politica adottata per la costituzione del portafoglio ottimale prevede tre scelte:
1. scelte di dimensione o volume: cioè la percentuale di attivo dedicata alla concessione di prestiti.
Tali scelte sono influenzate da determinanti esterne, interne e vincoli pubblici.
Le determinanti esterne:
- domanda di finanziamenti cioè la quantità di prestiti dipenderà dalla domanda che viene rivolta
alla banca. Questa variabile dipende dai fabbisogni finanziari dell’impresa e dalla struttura e
funzionamenti dei mercati finanziari. A parità di fabbisogni finanziari dell’impresa, più il sistema
è bancocentrico più sarà elevata la domanda finanziaria alla banca; più il sistema è mercato-
centrico minore sarà la domanda di finanziamenti. Questi fabbisogni finanziari dipendono
dall’andamento del ciclo economico, se ci troviamo in una fase espansiva la domanda di
finanziamenti sarà molto elevata se invece ci troviamo in una fase recessiva allora la domanda di
finanziamenti sarà molto bassa. I fabbisogni dipendono anche a seconda della struttura
dell’economia reale cioè se la struttura industriale è molto orientata verso il turismo allora i
fabbisogni sono minori se invece è orientata al settore primario o secondario, caratterizzati da
alta intensità di capitale, allora il fabbisogno dell’impresa sarà più elevato. Anche il saldo
finanziario è un fattore molto importante. Nel caso delle imprese questo è tendenzialmente in
deficit perché l’investimento in attività reali supera l’autofinanziamento; perciò minore è il
deficit minore sarà il fabbisogno delle imprese poiché si autofinanziano, maggiore è il deficit
maggiore sarà il fabbisogno delle imprese.
Le determinanti interne:
- obbiettivi del soggetto economico: i tre principali obbiettivi sono:
massimizzazione del profitto in condizioni di neutralità al rischio: si preferiscono i prestiti perché
sono più redditizi;
massimizzazione del profitto in condizioni di avversioni al rischio: non si ha una soluzione
univoca perché l’investimento dipende dalla combinazione preferita del soggetto economico
nella scelta fra prestiti e titoli;
consumer relationship: cioè la ricerca di un rapporto di clientela che i prestiti garantiscono a
differenza dei titoli.
- Dimensioni e caratteristiche della raccolta: più il passivo è stabile e la raccolta di lungo periodo
più si possono effettuare prestiti.
- Livello di patrimonializzazione: maggiore è il capitale maggiore è la quantità di prestiti che si
possono effettuare.
- Caratteristiche dell’assetto organizzativo: maggiori sono le dimensioni della banca maggiori sono
le opportunità d’impiego e di diversificazione dei prestiti; maggiore è l’efficienza delle strutture
preposte alla valutazione dei fidi migliore sarà a gestione dei prestiti.
Altre determinanti riguardano i vincoli pubblici.
La politica monetaria ha un impatto diretto sul volume dei prestiti (politica espansiva comporta
maggior domanda di prestiti mentre politica restrittiva comporta diminuzione della domanda di
prestiti).
La vigilanza di settore è il secondo vincolo pubblico, l’introduzione di Basilea pone dei limiti
vincolando la libertà nelle scelte del portafoglio prestiti.
2. Scelte di composizione: sono le scelte riguardanti l’allocazione dei fondi tra le imprese
richiedenti. Gli obbiettivi di tali scelte sono quelli di ottenere una buona diversificazione dei
rischi, frazionare e limitare i prestiti cioè fare tanti piccoli prestiti migliora anche la
diversificazione; per quanto riguarda le limitazioni le banche preferiscono co-finanziare con altre
banche l’impresa in oggetto per ridurre i rischi. Infine si vuole diversificare anche le forme
tecniche di concessione dei prestiti quindi facendo prestiti a lungo, prestiti a breve, leasing e
factoring.
Tali scelte sono influenzate da determinanti esterne, interne e dai vincoli pubblici.
Le determinanti esterne sono le stesse delle scelte di volume ossia la domanda di finanziamenti.
Le determinanti interne sono:
- La funzione obbiettivo del soggetto economico cioè si distingue l’obbiettivo ricercato ossia
finanziamento di determinate aree geografiche (si avrà un portafoglio più concentrato in
imprese che operano in un determinato territorio) o determinati settori (si avrà un portafoglio
concentrato in imprese che appartengono a quel determinato settore). Per quanto riguarda il
finanziamento di un determinato settore si introduce il problema dell’avversione al rischio
poiché si possono adottare due politiche: la prima è quella assicurativa la quale desidera limitare
i rischi, la seconda è quella di hausbank nella quale si vuole essere l’unica banca finanziatrice di
quell’impresa secondo una logica di esclusività.
- Caratteristiche dei mezzi amministrati per cui più la struttura è solida più si possono prendere
rischi;
- Struttura ed organizzazione della banca.
I vincoli pubblici riguardano i limiti alla concentrazione dei rischi

TIPOLOGIE DI CROWFUNDING

Il crowfunding è una importantissima innovazione per quanto riguarda le piattaforme di prestito online
grazie alle quali è possibile raccogliere fondi dal pubblico.
Tra le principali tipologie di crowfunding ricordiamo:
- l’equity based: prevede la raccolta di partecipazioni al capitale di rischio di un’impresa;
- il reward based: è la piattaforma che non prevede ritorni finanziari, è quella utilizzata dalle no
profit per raccogliere donazioni;
- il peer to peer lending: è la piattaforma di contatto diretto tra prestatore e prenditore di fondi
accordandosi sul tasso. La piattaforma raccoglie le domande e le informazioni, seleziona i
potenziali debitori sulla base del merito di credito spesso guardando ai rating. Si può classificare
come un terzo circuito alternativo per imprese e famiglie.
Nonostante la diversità di queste varie tipologie possono essere individuati elementi comuni:
- raccolgono le domande di finanziamento da parte dei potenziali debitori di cui hanno solo
informazione di base (identità e progetto da finanziare);
- selezionano i potenziali debitori sulla base del merito di credito: assegnano un rating (punteggio)
che indica sinteticamente la probabilità che il prestito venga ripagato;
- investitori possono finanziare anche solo una piccola quota del prestito richiesto da ciascun
debitore;
- gestiscono i flussi di pagamento tra debitori ed investitori;
- remunerazione proporzionale all’importo del debito o dell’ammontare investito.

I vantaggi legati a queste piattaforme sono:


- aumento dell’accesso al credito per le piccole-medie imprese;
- maggiore diversificazione per le famiglie e le imprese;
- minor costo dell’intermediazione: accordandosi sui tassi infatti si avrà un maggior tasso di
rendimento per le famiglie ed un minor costo dell’indebitamento per l’impresa.

Gli svantaggi legati a queste piattaforme sono:


- rischio di credito;
- informazione poco trasparente;
- rischi delle nuove tecnologie (cyber risk);

Dopo aver visto la dimensione e la composizione del portafoglio prestiti andiamo ad analizzare il più
importante contenuto delle politiche dei prestiti: le tecniche di valutazione del prestito.
Il primo fattore che è necessario conoscere è il rischio creditizio il quale evidenzia cinque determinanti:
1. Capacità dell’impresa, reddituale e di liquidità: si tratta della capacità di far fronte puntualmente
ai propri impegni di rimborso facendo leva sulle proprie capacità di reddito;
2. Character: si tratta dell’attitudine morale del cliente, la sua onestà (dare informazioni corrette
alla banca riguardo la propria situazione) e l’impegno nel rimborsare il prestito anche in un
momento difficile;
3. Collateral: è la garanzia accessoria riservata ad alcuni creditori e che può essere oggetto di
alcune operazioni di prestito;
4. Condition: riguardano le condizioni generali, quelle di mercato, le condizioni del ciclo
economico, la concorrenza del mercato, l’evoluzione tecnologica dell’impresa che richiede il
finanziamento;
5. Capital: cioè la dotazione di equity dell’impresa ai fini della garanzia generica di tutti i creditori
dell’impresa.

Per la valutazione del rischio di credito la banca fa tre domande:


1. Chi sei?: raccoglie informazioni di carattere soggettivo riguardanti l’impresa e l’imprenditore
cioè qual è l’attività economica, il settore in cui opera, tipologia di prodotti distribuiti;
2. Cosa fai del prestito?: raccoglie informazioni riguardanti la destinazione del prestito cioè quali
attività verranno finanziate;
3. Come rimborsi?: riguarda l’analisi delle fonti di rimborso, la tempistica e la metodologia di
rimborso.

Le fasi dell’istruttoria del fido sono:


1. raccolta delle informazioni da tutte le fonti e documenti disponibili;
2. verifica della correttezza, della validità e qualità dei dati;
3. elaborazione delle informazioni in modo sistematico e razionale tramite analisi di bilancio;
4. relazione di fido: emergono pareri ed indicazioni riguardanti la valutazione della capacità di
credito del richiedente, la compatibilità della richiesta di affidamento con gli obbiettivi della
banca, la scelta della forma tecnica più adeguata;
5. relazione di sintesi complessiva: consiste le giudizio finale, se emerge un giudizio di inaffidabilità
allora la pratica viene respinte se invece emerge un giudizio di affidabilità allora la pratica viene
accolta. Si definisce l’ammontare ed il rating. Normalmente si affida ad un elevato tasso di
interesse o sotto condizioni di garanzie.

La decisione di affidamento viene presa normalmente dall’amministratore delegato della banca che può
delegare alla scala gerarchica. Cioè in base al rischio si delega ad uno dei seguenti soggetti posti in
ordine di importanza:
- CDA: consiglio di amministrazione;
- Comitato esecutivo;
- Direzione generale;
- Servizio di fidi di sede;
- Servizio fidi di area;
- Filiali.

Esistono dei fattori ostativi della valutazione:


- la specializzazione della banca nel breve periodo;
- l’opacità dei bilanci;
- prassi dei fidi multipli (approccio assicurativo);
- approccio garantista;
- centrale dei rischi.

La centrale dei rischi (CR), gestita dalla Banca d'Italia, è una base dati - cioè un archivio di informazioni -
sui debiti di famiglie e imprese nei confronti del sistema bancario e finanziario. La CR è alimentata dalle
informazioni che gli intermediari partecipanti (banche, società finanziarie e altri intermediari)
trasmettono relativamente ai crediti e alle garanzie concessi alla propria clientela, alle garanzie ricevute
dai propri clienti e ai finanziamenti o garanzie acquistati da altri intermediari.

È prevista una soglia di rilevazione: il cliente è segnalato se l'importo che deve restituire
all'intermediario è pari o superiore a 30.000 euro.

Gli obbiettivi della Centrale dei rischi sono:


migliorare il processo di valutazione del merito di credito; i dati della CR forniscono infatti la "storia
creditizia" di un cliente, cioè la descrizione dei suoi comportamenti nell'ambito dei rapporti di
finanziamento;
innalzare la qualità del credito concesso dagli intermediari;
rafforzare la stabilità del sistema finanziario.

Gli svantaggi:
- incoraggia logiche limitative della valutazione del rischio e disincentiva una valutazione
approfondita. Si finisce per effettuare valutazioni su una superficiale osservazione del
comportamento dell’impresa;
- riduce le asimmetrie orizzontali (cioè quelle fra banche) ma incoraggia comportamenti di free
riding (quando un individuo beneficia di risorse, beni, servizi, informazioni, senza contribuire al
pagamento degli stessi, di cui si fa carico il resto della collettività): distinguiamo innanzitutto le
asimmetrie orizzontali (tra banche) da quelle verticali (tra prestatore e debitore); se le
asimmetrie verticali sono basse è facile analizzare la situazione dell’impresa, in quanto sia la
banca che il mercato dispongono delle informazioni necessarie grazie ai rating esterni. Se le
asimmetrie verticali sono alte e difficilmente sanabili anche con una buona istruttoria di fido
allora la soluzione è quella dei fidi multipli cioè adottare una logica garantista in modo tale da
ridurre l’esposizione al rischio. Quindi la banca ha senso di esistere se sa gestire meglio le
asimmetrie verticali in modo tale da migliorare l’istruttoria di fido. Una volta che la banca affida
il prestito all’impresa manda un forte segnale al mercato facendo emergere implicitamente che
sta finanziando un’impresa affidabile la conseguenza di ciò è il fenomeno del free riding. Quando
l’informazione diventa pubblica emerge il free riding, cioè la banca ha sostenuto
un’importantissima e faticosissima valutazione del rischio e poi tutte le altre banche cercano di
sottrarre la quota di mercato alla banca stessa. Quindi tale rischio scoraggia la banca a fare
valutazioni dettagliate dell’impresa. Se non ci fosse la centrale dei rischi allora l’informazione
rimarrebbe privata le asimmetrie orizzontali rimarrebbero alte quindi ci si affiderebbe alla
pratica dei fidi multipli, se le asimmetrie verticali fossero medie porterebbero ad una logica di
hausbank dove la banca ha l’esclusiva del rapporto con l’impresa.

L’approccio garantista consiste nella valutazione della garanzia. Il fido e la valutazione del merito
creditizio dipendono solo dalla capacità del debitore di fornire garanzie. Alcune critiche sanciscono che il
ricorso alla garanzia sia necessario solamente dopo una un’attenta analisi del fido che mi porta a
valutare la PD e successivamente in base a quello si chiede la garanzia. L’esempio è il rischio di primo
argine e il rischio di secondo argine: il primo sta nella qualità del credito, nella buona gestione
dell’impresa e nel fatto di ridurre la probabilità di default. Il secondo serve quando il primo argine è
crollato, cioè l’impresa è andata in default, serve quindi una garanzia cioè la LGD. Se la PD è bassa non
ha senso richiedere una garanzia poiché il cliente potrebbe decidere di recarsi presso un’altra banca per
richiedere il finanziamento.

La pratica dei fidi multipli si basa sul concetto di co-finanziamento dell’impresa per cui non è necessaria
la valutazione. Si tratta questa di una logica assicurativa sia per le banche che per le imprese, in media in
Italia le imprese si rivolgono ad una decina di banche. La concessione del prestito dunque avviene solo
se tale impresa è finanziata da altre banche logica completamente diversa da quella di hausbank.
Tale pratica risulta essere molto criticata per diversi motivi:
- non segue una logica di banca, la banca non è un assicuratore;
- si perdono le informazioni e il controllo sui comportanti dell’impresa;
- perdita di relazione con la clientela;
- perdita di capacità di valutazione del credito;
- non vi è veramente riduzione del rischio poiché qualora ci siano i primi sentori negativi
dell’impresa allora tutte le banche via via ritirano il finanziamento addossando il rischio
all’ultima di queste.

Dopo aver parlato del processo organizzativo che porta alla decisione dell’affidamento introduciamo il
processo di controllo della qualità del prestito che si mantenga e non si deteriori.
La tempestività del monitoraggio è fondamentale, si deve cogliere il deterioramento il prima possibile in
modo da intervenire con il rientro del finanziamento, la riduzione del fido, l’aumento del tasso o con la
richiesta di una garanzia.
Le due funzioni fondamentali assolte dal monitoraggio sono:
- la revisione periodica;
- l’analisi della centrale dei rischi: si controlla come va l’andamento dell’impresa debitrice e
magari emerge lo sconfinamento presso altre banche; tale dato è fondamentale e la banca
dovrà immediatamente ritirare il finanziamento se non vuole vedersi addossare tutto il rischio
per via dello sconfinamento di tutte le altre banche.

Una volta che il prestito è deteriorato e nessun intervento migliora la situazione bisogna gestire il
contenzioso. Questo può essere gestito dalla banca oppure esternamente. Le soluzioni possono essere:
- negoziale (soluzione extra giudiziale):
ristrutturazione del contratto;
liquidazione con accordo;
trasformazione del credito in partecipazione;
- giudiziale:
procedure concorsuali, procedura fallimentare
- di mercato:
cessione dei NPL a società specializzate nel recupero crediti (cartolarizzazioni).

Quali sono le grandi innovazioni del credit risk management? In particolare, chiarite: a) i problemi di
definizione del rischio; b) le tre componenti di perdita attesa; c) la distinzione tra rischio di prima linea e
di seconda linea; d) la differenza tra perdita attesa e perdita inattesa.

QUALI SONO LE GRANDI INNOVAZIONI DEL CREDITI RISK MANAGEMENT?: le principali innovazioni del
credit risk management sono:
 la definizione più ampia del rischio di credito: si segue la logica del mark to market secondo la
quale la valutazione di uno strumento finanziario è sistematicamente aggiustato in funzione dei
prezzi correnti di mercato; tale logica introduce il concetto di migration risk o di downgrading
risk ossia il peggioramento del profilo di rischio che comporta lo spostamento verso categorie
peggiori con conseguenti costi maggiori;
 la valutazione distinta tra rischio di prima linea e rischio di seconda linea (PD e LGD);
 la differenza tra perdite inattese e perdite attese;
 passaggio da un rischio binario (affidabile o non affidabile) ad un rischio graduato (discreto,
cattivo e cattivissimo).
I PROBLEMI DI DEFINIZIONE DEL RISCHIO DI CREDITO: il rischio di credito è il più complesso da misurare
e definire rispetto al rischio di mercato in quanto vi è minore disponibilità di dati e soprattutto trattando
tutte le imprese (facenti parte di uno stesso rating) allo stesso modo porta ad una grande
semplificazione e quindi all’errore.

LA DISTINZIONE TRA RISCHIO DI PRIMA LINEA E DI SECONDA LINEA: con Basilea II emanato nel 2004 il
credit risk comprende due variabili:
 rischio di prima linea che corrisponde alla Probability Default (PD) o rischio d’insolvenza cioè si
riferisce al rischio di inadempimento degli obblighi da parte di un certo cliente dell’istituzione
finanziaria;
 rischio di seconda linea che corrisponde al risk of recovery o meglio Loss Given Default (LGD) è
una misura del rischio di recupero dei crediti da parte di una banca. È uno dei componenti del
processo di determinazione del rischio di credito al fine di calcolare il patrimonio di vigilanza
richiesto agli istituti bancari per la copertura dei rischi. La LGD è la perdita di credito che, in caso
di default, non può più essere recuperata.

LE TRE COMPONENTI DI PERDITA ATTESA: Expected loss=PD∗LGD∗EAD:


1. Probability Default o rischio di insolvenza;
2. Loss Given Default è una misura del rischio di recupero dei crediti da parte di una banca;
3. Exposure at Default è il rischio di esposizione cioè una stima del valore effettivo del credito al
verificarsi dello stato di insolvenza.

LA DIFFERENZA TRA PERDITA ATTESA E INATTESA: la perdita attesa è un costo da coprire si intende cioè
l’inadempimento di un creditore oppure il peggioramento del merito creditizio; la perdita inattesa è la
vera componente di rischio. Quando si diversifica il portafoglio la perdita attesa si stabilizza appunto
ampliando il volume delle operazioni (ma non sempre si riduce) e quindi la perdita inattesa (il rischio)
diminuisce.

I sistemi di rating interno delle banche: definizione, fasi logiche, tipi di rating, requisiti di qualità del
sistema, componenti del sistema, fonti informative.

DEFINIZIONE: è l’insieme di metodi, procedimenti e controlli che servono da supporto alla valutazione
del rischio di credito, all’attribuzione dei gradi interni di merito e alla stima quantitativa delle
inadempienze e delle perdite. Il rating rappresenta la valutazione, riferita ad un determinato orizzonte
temporale, della capacità di un soggetto di onorare le obbligazioni contrattuali. La stima dei tassi di
default e della perdita attesa e delle variabili chiave dipende dalla classe di rating ossia dal grado di
rating che si assegna ad ogni impresa.

FASI LOGICHE: abbiamo tre fasi importanti:


1. rating assignment è cioè l’assegnazione di un giudizio di sintesi o al debitore o alla singola
operazione;
2. classificazione delle esposizioni per classi di rating (inteso come unità di misura del rischio su
scala ordinale);
3. quantificazione del rating cioè associo a ciascuna classe di rischio il rating dopo aver calcolato
PD, expected loss e unespected loss.
TIPI DI RATING: ogni rating può essere analizzato sotto due punti di vista:
1. Point in time: un sistema di rating PiT produce una probabilità di default (PD) dei debitori
sensibile alle variazioni macroeconomiche di breve periodo: la PD incrementa in recessione
e si riduce durante i periodi di espansione. L’uso di un rating PiT pertanto, risentendo degli
effetti del ciclo economico, potrebbe aumentare la prociclicità del mercato del credito e più
in generale del settore finanziario.
2. Through the cycle: rimuovendo i fattori ciclici dalle PD, produce stime del rischio di credito
più stabili e meno volatili cogliendo la componente di lungo periodo del merito di credito
dei soggetti debitori.

La scelta fra i due tipi di analisi dipende anche dall’utilizzo che si vuole fare del rating, in una logica di
clientela e di finanziamento nel lungo periodo allora risulta essere migliore un’analisi through the cycle;
se invece si vuole evitare il default e contenere le perdite su crediti o il deterioramento del rischio sarà
meglio procedere con un’analisi point in time.

REQUISITI DI QUALITA’ DEL SISTEMA: la qualità del sistema di rating viene valutata con il back testing, in
base ai risultati e alle perdite effettive si va a vedere se i risultati sono coerenti con le stime e le
previsioni. Nella valutazione della qualità si fa riferimento alla:
- monotonicità: a classi di rating migliori corrisponde una PD minore;
- robustezza: garantisce una relativa stabilità. Un sistema di rating funziona e rispetta tale requisito se ha
queste proprietà:
1. è stabile cioè è difficile che il rating cambi da un anno all’altro;
2. i passaggi di rating di percentuale bassa, avvengono nei confronti delle classi limitrofe e confinanti
cioè la possibilità che una tripla A resti tale è dell’87% mentre il 9% dei casi perde al massimo un grado
passando ad una classe di doppia A; e questo vale in generale per tutte le classi.

I rating si possono calcolare in tre diversi modi:


1. Rating esterni: i rating provengono dalle agenzie di rating specializzate come ad esempio Fitch e
S&P. Come avviene l’assegnazione?:
- l’impresa richiede il rating;
- viene assegnato un team di analisi che effettua analisi preliminari, incontri con l’impresa;
- presentazione della situazione dell’impresa ad un comitato di rating;
- delibera del comitato;
- comunicazione del rating all’impresa;
- discussione per eventuali nuove delibere;
- emissione del rating.
2. Rating interni: il rating attribuito è il frutto di un processo di valutazione che si conclude con
l’assegnazione dell’impresa ad una determinata classe di merito. Ciascuna classe comprende
tutte le imprese che vengono considerate equivalenti in termini di probabilità di rimborso del
prestito: a ciascuna classe corrisponde un livello di rischio omogeneo. Per realizzare questa
analisi la banca può utilizzare le informazioni già in suo possesso, può richiederne di nuove, può
utilizzare le informazioni provenienti da fonti esterne, come ad esempio quelle registrate nella
Centrale dei Rischi della Banca d’Italia.
3. Rating impliciti: anche in relazione all’importanza del soggetto emittente, le agenzie possono
assegnare d’iniziativa (senza richiesta da parte dell’emittente stesso) un rating che viene definito
«implicito».
Nei rating interni la banca utilizza informazioni quantitative e qualitative.
Le prime sono informazioni di tipo oggettivo, non dipendono dall’opinione dell’analista della banca e in
genere si riconducono:
- alla documentazione contabile, sia consuntiva che prospettica, per determinare redditività e
struttura finanziaria del debitore;
- ai dati andamentali del rapporto con la banca e con l’intero settore bancario ad esempio tramite
i dati della Centrale dei Rischi.
Le seconde si fondano, invece, su elementi che richiedono una valutazione da parte dell’analista della
banca e comportano un dialogo più diretto e approfondito con l’impresa. Le informazioni qualitative in
genere riguardano sia le aree aziendali le cui caratteristiche possono modificare il profilo di solvibilità
dell’impresa (come meglio specificato alla domanda 14) sia l’andamento del settore di appartenenza
dell’impresa che richiede il finanziamento ed il suo ambiente competitivo.

Le informazioni desunte dai dati di bilancio, di norma sempre raccolte in una pratica di fi do, vengono
sottoposte ad un’analisi completa e sistematica. I bilanci d’esercizio dell’impresa consentono di
analizzare la gestione economico-finanziaria e quindi ad esempio:
- il grado di indebitamento, ossia il rapporto nella gestione d’impresa tra l’utilizzo di capitale
proprio e quello proveniente da fonti di finanziamento esterne (ad un basso grado di
indebitamento dell’impresa corrisponde una migliore valutazione dell’impresa da parte della
banca);
- il livello di liquidità, ossia la capacità di un’impresa di finanziarsi tramite flussi di cassa generati
dalla sua gestione (la banca valuterà migliore un’impresa che riesce a finanziarsi maggiormente
con flussi di cassa generati dalla propria gestione). Viene, altresì, valutata la capacità
dell’impresa di remunerare i finanziatori esterni attraverso il risultato della propria gestione;
- la redditività, percepita dal proprietario e dai soci che hanno investito nell’impresa il proprio
denaro o i propri beni.

Le informazioni di carattere qualitativo si riconducono a un ampio spettro di informazioni relative ad


esempio:
- all’assetto giuridico e societario dell’impresa, se si tratta di un’impresa che fa parte di un gruppo,
di una ditta individuale, di una società di persone, di capitali o di una cooperativa;
- al suo sistema di governance, ossia la presenza o meno di un amministratore unico, di un
consiglio di amministrazione, di un collegio sindacale, etc.;
- alla presenza di competenze finanziarie sviluppate dal management;
- alla presenza di sistemi di controllo interni (sia sul piano operativo che finanziario);
- al ruolo dell’impresa all’interno dell’eventuale gruppo di appartenenza;
- alla qualità del management, ossia all’esperienza del management nel settore di appartenenza,
alle caratteristiche del processo produttivo (ad esempio la presenza di una certificazione di
qualità), all’adozione di specifiche procedure gestionali;
- alla presenza di piani industriali di sviluppo e di strategie commerciali.

I metodi di assegnazione del rating nei rating interni sono tre:


1. judgement based: è il metodo tradizionale senza aree di indagini predefinite e giudizi
parziali, gli addetti alla valutazione dei fidi cercano in ogni debitore gli aspetti più
significativi. Una criticità a questo metodo riguarda il fatto che vi è una scarsa
trasparenza dei giudizi emessi cioè è difficile ex-post risalire alle motivazioni della
valutazione;
2. constrained expert judgement based: in questo metodo si individuano due fasi: la prima
è la fase soggettiva dove l’esperto dà giudizi parziali e definisce i pesi; la seconda è la
fase meccanica;
3. statistical based: è il metodo analitico che assegna il rating sulla base di algoritmi
statistici. Questo metodo rende molto più rapida la valutazione di un potenziale cliente.
Il modello di Altman è proprio uno statistical based, in esso si ricerca quali sono le
variabili più influenti sul rischio di default e a ciascuna associa un peso. Lo scopo del
modello è quello di prevedere le perdite di esercizio. Ossia di calcolare il coefficiente Z
che minimizza gli errori: se Z>2,99 l’impresa è sana e solvibile, se 1,81<Z<2,99 allora
l’impresa è in deterioramento se Z<1,88 allora l’impresa non è sana e ha un’alta
probabilità di insolvenza.

GLI STRUMENTI FINANZIARI DI BREVE TERMINE

Le banche italiane nascono come commercial banks le quali sono specializzate nell’intermediazione nel
breve periodo. Questa tipologia è necessaria per finanziare i fabbisogni di breve periodo delle imprese e
cioè serve per coprire gli squilibri finanziari che l’impresa genera per gestire il proprio ciclo produttivo e
distributivo di breve periodo. Il ciclo di gestione tipico di un’impresa risulta essere:
- tempo 0: avviene l’acquisto delle materie prime;
- dopo 15 gg: avviene la trasformazione delle materie prime in prodotti finiti;
- dal 15 gg: i prodotti affluiscono nel magazzino;
- dal 45 gg: si vendono i prodotti finiti concedendo dilazioni di pagamento;
- dopo 60 gg: poiché ha ottenuto a sua volta una dilazione di pagamento paga gli acquisti
effettuati;
- al 135 gg: l’impresa viene pagata per i prodotti venduti.

In termini di denaro significa che dopo 60 giorni l’impresa ha un cash out flow e dopo 135 giorni un cash
in flow; questo significa che il periodo tra 60 (giorno in cui l’impresa paga i suoi acquisti) e 135 (giorni in
cui i debitori pagano l’impresa per i prodotti venduti) rappresenta una situazione di scoperto o di deficit
finanziario. L’impresa perciò si indebita confidando che trascorsi 75 gg dal pagamento sarà in grado di
rimborsare il debito.
Perciò le determinanti del fabbisogno finanziario sono:
- la lunghezza del ciclo operativo;
- dilazione dei pagamenti concessi dai propri fornitori;
- dilazione dei pagamenti concessi ai propri clienti.

APERTURA DI CREDITO IN C/C

La banca previa valutazione dell’affidabilità dell’impresa mette a disposizione una somma di denaro,
utilizzabile discrezionalmente, per un periodo di tempo determinato, indeterminato (recesso con preavviso
di 15 giorni) oppure a revoca (la banca richiede il rientro senza preavviso).
L’impresa utilizza l’apertura in c/c per la gestione di cassa e può ripristinare la disponibilità originaria
mediante versamenti successivi. La somma messa a disposizione dalla banca è definito accordato ed è il
massimale valore del fido che deriva dal merito di credito di quell’impresa; l’impresa ha l’obbligo di non
sconfinare tale massimale. Lo sconfinamento è un segnale d’allarme di un peggioramento della situazione
finanziaria.
Questo tipo di finanziamento ha dei requisiti di corretto utilizzo:
- alta movimentazione: cioè è necessaria un’elevata frequenza e alternanza di versamenti e
prelevamenti;
- capacità di rientro: cioè quando si chiude il ciclo l’impresa deve rimborsare ed evidenziare saldo
positivo;
- adeguato grado di utilizzo del fido: cioè se il prestito non viene utilizzato a dovere c’è il rischio
che la banca decida di ridimensionare la somma del prestito riducendo il suo rischio di liquidità.

Il rendimento per la banca deriva dei seguenti fattori:


- commissione di massimo scoperto: si trattava di una commissione trimestrale sul massimo
ammontare del prestito utilizzato dal cliente. Tale commissione però creava incentivi distorti
come quello di utilizzare poco accordato ma adottare comportamenti più costati in modo da
raggiungere il massimo utilizzo. Per questo motivo il regulator la ha vietata sostituendola con:
- commissione di affidamento: si tratta di una commissione sul fido accordato (max 0.5%
trimestrale);
- interessi;
- commissione per operazioni;
- spese di tenuta conto;
- effetto valuta.

I vantaggi derivanti dall’utilizzo dell’apertura di credito in conto corrente per la banca risultano essere:
- tasso elevato;
- tasso rivedibile: cioè possibilità di revoca del fido se non viene accettato dal cliente un tasso
maggiore;
- arricchimento e ampliamento della relazione di clientela;
- potenziamento della funzione monetaria;
- maggiori informazioni sulla clientela.

Gli svantaggi derivanti dall’utilizzo dell’apertura di credito in conto corrente per la banca sono:
- rischio finanziario.

Il grado di utilizzo dell’apertura di credito è dato dalla seguente formula:


durata del finanziamento∗accordato
.
90≫¿ ¿

LE OPERAZIONI DI SMOBILIZZO DEI CREDITI COMMERCIALI

Lo smobilizzo dei crediti è una classe di operazioni finalizzate a consentire all’imprenditore di


trasformare in liquidità i propri crediti con scadenza futura. Si tratta di un’operazione piuttosto comune
all’interno della pratica commerciale, considerato che mediante essa l’imprenditore potrà soddisfare il
proprio fabbisogno finanziario circolante, convertendo un incasso futuro incerto in un flusso di denaro
certo e immediato.
Lo smobilizzo dei crediti permette pertanto di anticipare la scadenza naturale delle proprie posizioni
creditorie, rendendole liquide in breve tempo.
Le operazioni di smobilizzo dei crediti possono assumere diverse forme tecniche:
- sconto bancario;
- anticipazioni garantite;
- anticipo salvo buon fine e ricevute bancarie;
- anticipo su fatture;
- factoring.

SCONTO CAMBIARIO: è una forma di smobilizzo dei crediti commerciali attraverso la quale la banca
anticipa al proprio cliente il valore attuale di cambiali che non sono ancora scadute. Le imprese
ottengono la disponibilità immediata del loro credito decurtato di uno sconto più una serie di
commissioni. La banca stabilisce i requisiti minimi che le cambiali devono possedere per poter essere
scontate e cioè si deve trattare di titoli originati da una transazione commerciale e devono avere una
scadenza non superiore ai quattro mesi. La cessione dei crediti avviene con la clausola pro-solvendo
pertanto il principale rischio che corre l’utilizzatore di questa forma di finanziamento è di dover
restituire le somme che gli sono state anticipate dalla banca a causa dell’insolvenza del debitore ceduto.

ANTICIPAZIONI GARANTITE: sono anch’esse una forma di smobilizzo dei crediti commerciali nello
specifico sono un contratto di finanziamento tipico a breve scadenza, erogate da una banca
contestualmente alla costituzione, da parte dell’affidato, di un pegno su beni mobili il cui valore risulta
strettamente proporzionale all’entità della somma prestata. La banca si obbliga a custodire i beni
ricevuti in pegno, ad assicurarli e a restituirli al momento dell’estinzione. L’obbligo per il cliente è quello
di rimborsare il prestito e le spese sostenute dalla banca e di reintegrare la garanzia in caso di
deprezzamento.
Le anticipazioni garantite si differenziano in base al tipo di garanzia ossia anticipazioni su merci o titoli
rappresentativi di merci, oppure anticipazioni su titoli.
Le anticipazioni possono essere distinte anche in base alle procedure di utilizzo, abbiamo l’anticipazione
a scadenza fissa (prestito avviene in un’unica soluzione e gli interessi vengono pagati per l’intera durata
del prestito) oppure anticipazione in c/c.

ANTICIPI SALVO BUON FINE SU FATTURE: consistono nell’operazione attraverso la quale viene
smobilizzato un credito non incorporato in alcun titolo formale e cioè si trasforma anticipatamente in
liquidità un credito che sarebbe stato incassato ad una data futura. La banca, in un’operazione di
anticipo su fatture gradisce/necessita di una garanzia rappresentata dalla clausola pro-solvendo
attraverso la quale l’intermediario minimizza i rischi ed eventualmente applica degli scarti di garanzia
anticipando un ammontare pari al 70-80% dell’importo iscritto in fattura. Alla base delle operazioni di
anticipazione vi è sempre l’ottenimento di un castelletto salvo buon fine si tratta di una forma tecnica di
prestito in cui la banca accredita sul conto corrente del soggetto che richiede tale finanziamento
l’importo della ricevuta bancaria o della fattura. L’operazione di anticipazione su Ri.Ba. o fatture si
realizza mediante due modalità differenti:
1. mediante accredito diretto in c/c, in questo caso la banca terrà un conto evidenza infruttifero;
2. mediante l’utilizzo di un conto transitorio fruttifero s.b.f..

RICEVUTE BANCARIE: rappresentano uno dei più diffusi strumenti di pagamento per il regolamento delle
transazioni commerciali. A differenza delle cambiali non sono titoli di credito bensì delle semplici
quietanze di pagamenti. Un’impresa per raccogliere un credito mediante l’utilizzo di una Ri.Ba. deve
attivare la seguente procedura:
1. l’affidamento d’incarico alla propria banca, dietro la compilazione di una distinta di
presentazione di Ri.Ba., d’incassare per proprio conto i crediti commerciali;
2. l’invio da parte della banca incaricata di un avviso di scadenza presso il domicilio del debitore,
cioè di un invito a saldare entro una certa data il proprio debito;
3. il pagamento a scadenza della Ri.Ba. da parte del debitore ed il contestuale accredito
dell’importo incassato sul conto corrente dell’impresa creditrice.
Per la copertura di fabbisogni finanziari di breve periodo, piuttosto che attendere la scadenza della
Ri.Ba., un’impresa può procedere al loro smobilizzo mediante un’operazione di anticipazioni su Ri.Ba.
per il 100%.

FACTORING: il factoring è un contratto con il quale l’impresa cede a una società specializzata i propri
crediti esistenti o futuri, al fine di ottenere subito liquidità e una serie di servizi correlati alla gestione del
credito ceduto, cioè la loro gestione e la loro amministrazione, l’incasso e l’anticipazione dei crediti
prima della loro scadenza. La società di factoring, quindi, si assume l’onere di riscuotere l’importo dei
crediti dietro pagamento di una commissione, e spesso fornisce anche finanziamenti all’impresa cliente
sotto forma di anticipazioni sui crediti non ancora scaduti.

LE POLITICHE DI RACCOLTA

Quali sono gli obbiettivi delle politiche di raccolta delle banche? La raccolta è un fattore produttivo
(input) o un prodotto (output)? Perché?

DEFINIZIONE: le politiche di raccolta si definiscono come l’insieme delle azioni che la gestione
intraprende per ottenere il volume e la composizione delle risorse finanziarie adatte al conseguimento
degli obbiettivi aziendali. A differenza delle altre categorie di imprese, per la banca la raccolta rappresenta
il suo business; è “funzione caratteristica”, non “extra-caratteristica” (anzi, la banca che raccoglie depositi
per investire in liquidità o titoli di Stato, fa business solo sul passivo). La raccolta è un’area di affari, le
forme tecniche attraverso cui si realizza sono prodotti; la loro vendita avviene nei confronti di clienti e dà
vita ed esprime rapporti di clientela.

QUALI SONO GLI OBBIETTIVI DELLE POLITICHE DI RACCOLTA DELLE BANCHE?:


1) crescita: cioè si desiderano ottenere maggiori quote sul mercato sottraendole dai concorrenti per poter
finanziare più prestiti ed impiegare i fondi nell’interbancario;
2) grado di trasformazione delle scadenze (raccolta – prestiti);
3) stabilità della raccolta: perché mi permette di gestire meglio il rischio di liquidità. Per
ottenere questo obiettivo mi devo spostare da depositi delle imprese a depositi delle famiglie;
4) flessibilità, voglio essere in grado di dilatare e contrarre la mia raccolta;
5) correlazione depositi–impieghi: se impieghi sono a lungo allora i depositi a lungo (quindi correlazione
=1);
6) potenziamento della funzione monetaria: i c/c devono essere appetibili e competitivi;
7) redditività: maggiore è la redditività
maggiore è il successo competitivo;
8) aumento della quota di mercato;
9) soddisfacimento delle esigenze della clientela: la costumer satisfaction oggi rappresenta uno degli
obbiettivi principali.

LA RACCOLTA E’ UN FATTORE PRODUTTIVO O UN PRODOTTO?: esistono due approcci:


1- l’equazione che stima il rapporto fra dimensioni e costi e che considera il deposito come materia
prima e il prestito come prodotto finito;
2- l’analisi empirica che considera sia i depositi che i prestiti come prodotti poiché entrambi i fattori
soddisfano esigenze differenti ossia il fabbisogno di risparmio soddisfatto dai depositi ed il
fabbisogno di finanziamento soddisfatto dai prestiti.
I DEPOSITI SONO UN FATTORE PRODUTTIVO O UN PRODOTTO?: come visto in precedenza anche i
depositi sono un prodotto perciò teoricamente essendo un prodotto dovrebbero consentire alla banca
di ottenere un guadagno; eppure la banca paga interessa ai clienti. Tale inghippo si risolve introducendo
questa ipotesi: i depositi che raccolgo li devo per forza impiegare in presiti? No se no sarebbe materia
prima, allora li impiego sull’interbancario, allora posso prestate tutti i depositi che ho raccolto
sull’interbancario così da raccogliere quello di cui ho bisogno per fare prestiti nell’interbancario (questa
è materia prima). Il mercato interbancario è efficiente, la banca è price taker, ed è proprio l’esistenza di
questo mercato che mi permette di separare la funzione di raccolta dalla funzione di impiego.
Introducendo questa ipotesi calcolo la reddittività della raccolta come differenza tra il tasso
interbancario e il costo del deposito (tasso passivo che pago sul deposito). Se raccolgo depositi li
impiego immediatamente sull’interbancario e ottengo (1,5%), io l’ho pagato (1%), la differenza tra il
tasso interbancario e il tasso passivo che pago al cliente è il ricavo del deposito.

I PRODOTTI DI RACCOLTA

- obbligazioni;
- depositi a vista;
- depositi tempo;
- pronti contro termine;
- certificati di deposito.

OBBLIGAZIONI: si distinguono in diverse tipologie:


1- Obbligazioni ordinarie o plain vanilla: esse sono caratterizzate da: 1) valore nominale si tratta
cioè del valore che sarà rimborsato a scadenza dell’obbligazione; 2) cedola o coupon si tratta
cioè dell’interesse periodico che l’emittente paga ai propri obbligazionisti; 3) scadenza riguarda
la data in cui viene ripagato all’obbligazionista il valore nominale del bond; 4) emittente ossia la
società o lo Stato che hanno emesso il titolo di debito. Importante è anche l’entità del flusso
cedolare, sia che il tasso di interesse sia fisso o variabile.
2- Obbligazioni step up/down: le obbligazioni step down/step up corrispondono al possessore
cedole decrescenti/crescenti (+/- 3%) nel corso della vita del titolo in base a una serie di tassi di
interesse predeterminati nel regolamento di emissione. Il sottoscrittore al momento
dell'emissione conosce l'ammontare di tutte le cedole che percepirà sino alla scadenza.
3- Obbligazioni callable: l’obbligazione callable è un titolo di credito che assegna al soggetto
emittente la facoltà di richiamare il bond a partire da una certa data, in anticipo quindi rispetto
alla scadenza indicata sul contratto obbligazionario. In sostanza, si tratta di un’opzione call che
implicitamente il sottoscrittore ha venduto all’emittente, garantendogli questa facoltà;
4- Obbligazioni strutturate: le obbligazioni strutturate sono titoli costituiti da un'obbligazione e una
o più componenti definite derivative, cioè contratti di acquisto o vendita di strumenti finanziari
come indici, azioni e valute.
5- Obbligazioni subordinate: le obbligazioni subordinate sono titoli in cui il pagamento delle cedole
ed il rimborso del capitale, in caso di particolari difficoltà finanziarie dell'emittente, dipendono
dalla soddisfazione degli altri creditori non subordinati (o subordinati di livello inferiore).
6- Obbligazioni covered: con il termine di obbligazioni garantite, definite anche covered bond, si
indica un titolo di credito emesso da una banca o altro intermediario avente diritto
caratterizzato da un profilo di rischio molto basso ed elevata liquidità.
7- Obbligazioni contingent convertible: i Contingent Convertible o CoCo bond sono obbligazioni
ibride destinate a investitori istituzionali. Tra le loro cartteristiche, fondamentale è quella che
prevede che, allo scattare di determinati eventi di bilancio negativi per la società emittente ,
come la riduzione dei coefficienti patrimoniali di vigilanza sotto le soglie regolamentari previste
da Basilea 3, le obbligazioni si convertano automaticamente in azioni, permettendo alla banca
emittente di assorbire parte delle perdite.

DEPOSITI A VISTA: rappresentano semplicemente il deposito bancario in sé i quali originano un rapporto


fra depositario e depositante.

DEPOSITI TEMPO O DEPOSITI A RISPARMIO: si costituiscono attraverso il deposito di una somma di


denaro presso uno sportello bancario o postale, a fronte dell’emissione di un particolare documento:
libretto di risparmio. Su tale libretto vengono annotate in ordine di data tutte le operazioni di
prelevamento e di versamento effettuate sul deposito. L’emittente corrisponde al risparmiatore un
interesse proporzionale alle somme depositate. Questi libretti possono distinguersi in:
- Libretti nominativi;
- Libretti al portatore.
I primi riportano l’indicazione di uno o più intestatari. Nel caso in cui siano previsti più intestatari, si
parla di libretto a firme congiunte quando il rimborso può essere richiesto da tutti gli intestatari
congiuntamente; si parla di libretto a firme disgiunte se ciascuno degli intestatari, singolarmente, ha la
facoltà di prelevare le somme depositate.
I secondi non riportano alcuna intestazione.
Nei libretti nominativi le somme presenti sul deposito possono essere incassate solo dall’intestatario, da
un suo legittimo rappresentante o dai suoi eredi. Il libretto normativo può accogliere sia versamenti in
contanti e bonifici, sia versamenti di assegni, stipendi o pensioni e può accogliere depositi
potenzialmente senza limiti di importo, salvi i limiti stabiliti dal contratto. Allo stesso modo, possono
essere associati al libretto l’addebito di utenze e la possibilità di eseguire bonifici.
Nei libretti al portatore, la legittimazione ad incassare le somme depositate deriva dal possesso del
libretto stesso. Il trasferimento del libretto avviene con la semplice consegna fisica del libretto stesso,
che legittima il possessore a incassare le somme presenti sul deposito. Il libretto al portatore può essere
alimentato solo da versamenti in contenti e non può presentare un saldo superiore ai 1000 €.

Nei libretti bancari i prelevamenti ed i versamenti possono essere effettuati esclusivamente presso lo
sportello che ha emesso il libretto stesso. L’unica eccezione è rappresentata dai libretti circolari sui quali
è possibile effettuare operazioni presso tutti gli sportelli dell’emittente; sono circolari ad esempio i
libretti postali.
In relazione al periodo per il quale le somme sono destinate a rimanere depositate sul libretto si
distinguono:
- I depositi a risparmio liberi dove i prelevamenti ed i versamenti possono essere effettuati in
qualsiasi momenti, senza limite di importo;
- I depositi a risparmio vincolati dove il risparmiatore si impegna a non eseguire prelevamenti per
un certo periodo di tempo. Il vincolo può essere a scadenza fissa, se è pattuita una data prima
della quale non possono essere eseguiti prelevamenti oppure a scadenza indeterminata se le
somme possono essere prelevate ma solo dopo un periodo di preavviso piuttosto lungo.

PRONTI CONTRO TERMINE: le operazioni PCT rappresentano nella sostanza una particolare forma di
deposito. L’operazione PCT si configura come un contratto attraverso il quale un soggetto vende a pronti
a un altro soggetto una certa quantità di titoli, con l’impegno di riacquistare alla scadenza concordata
una medesima quantità di titoli della stessa specie ad un prezzo prestabilito. Esempio: la banca si
configura come venditore a pronti da cui l’investitore acquista i titoli; alla scadenza concordata
l’investitore riconsegna a propria volta i titoli alla banca incassando il prezzo pattuito alla stipulazione del
contratto. L’investitore quindi acquista i titoli a pronti e li rivende a termine. Per l’investitore il
rendimento dell’operazione deriva dalla differenza tra il prezzo di vendita a termine e il prezzo di
acquisto a pronti. Il prezzo a termine viene calcolato aggiungendo al prezzo a pronti gli interessi maturati
per il periodo di durata dell’operazione, al tasso di interesse concordato. Possiamo dire che per
l’investitore l’operazione PCT viene utilizzata per l’impiego temporaneo di liquidità in eccesso.

CERTIFICATI DI DEPOSITO BANCARI: vengono emessi solamente dalle banche. Attraverso la


sottoscrizione di un certificato di deposito, l’investitore deposita presso la banca una somma sulla quale
è costituito un vincolo temporale, generalmente di durata breve o media (da 3 mesi a 5 anni).
Diversamente dai depositi a risparmio il CD non prevede la possibilità per il risparmiatore di effettuare
versamenti o prelevamenti in momenti successivi alla sottoscrizione, salvo l’incasso di eventuali interessi
periodici e il rimborso alla scadenza. A fronte dell’operazione, la banca rilascia al depositante un
certificato, rappresentativo del deposito vincolato. Sulla base delle caratteristiche economiche e, in
particolare, della periodicità di liquidazione degli interessi corrisposti dalla banca, possono essere
individuati CD con cedola o CD zero coupon. Le cedole possono essere a tasso fisso o a tasso variabile.
Nel primo caso il tasso i viene definito al momento della sottoscrizione e le cedole corrisposte sono tutte
di uguale ammontare. Nel secondo caso il tasso di deposito dipende dal tasso di interesse corrisposto su
altre attività; ne consegue che le cedole periodiche sono di importo diverso:

tasso cedolare i = tasso di riferimento + spread

dove lo spread rappresenta la correzione che per contratto viene apportata al tasso dell’attività di
riferimento per giungere al tasso cedolare corrisposto sul CD.

Carte di pagamento

Il mercato italiano dei pagamenti si contraddistingue per un uso ancora molto accentuato del contante,
anche se, l’adesione alla SEPA e l’introduzione delle nuove direttive europee (PSD) hanno rappresentato
occasioni di innovazione. La SEPA è il progetto teso a creare un’area unica dei pagamenti in euro fra i 28
paesi membri mentre la PSD ha introdotto importanti normative riguardanti i servizi di pagamento
elettronici europei predisponendo così una solida base legislativa per la realizzazione della SEPA.
Tra le carte di pagamento più importanti ricordiamo:
1. le carte di debito (pay now): è una carta tipicamente emessa dalle banche o da poste italiane e
rilasciata alla clientela al momento dell’apertura di un c/c. È utilizzabile, entro il limite costituito
dal saldo disponibile, ed entro determinati limiti giornalieri e mensili. Tale servizio garantisce
una maggior sicurezza riducendo il rischio di furti e di essere pagati con denaro falso. Tali carte
vengono utilizzate per regolare pagamenti di medio importo, ravvicinati e non programmati;
2. le carte di credito (pay later): anch’esse vengono emesse dalla banca o altri intermediari
finanziari. In questo caso i prelievi ed i pagamenti possono essere eseguiti indipendentemente
dalla disponibilità di fondi presenti sul c/c; ciò che conta è che tale somma sussista sul conto il
mese successivo quando avverrà l’addebito delle somme spese. I costi sono rappresentati da
una quota associativa annuale, da commissioni su prelievi, interessi passivi e spese di estratto
conto. Esistono tre tipologie: la tipologia a saldo prevede il rimborso in un’unica soluzione, la
tipologia revolving prevede un regolamento differito dei pagamenti ed infine la tipologia
optional revolving che è a discrezione del cardholder. Anche questa carta viene utilizzata per
regolare pagamenti di medio importo, ravvicinati e non programmati;
3. le carte prepagate (pay before): vengono emesse da banche, poste e altri istituti di moneta
elettronica. Sono quelle carte che incorporano al loro interno un determinato ammontare di
denaro. A differenze delle precedenti carte, questa non è appoggiata ad alcun c/c ma incorpora
un potere di acquisto corrisposto in via anticipata dal cardholder. L’utilizzo delle prepagate
risulta più pratico del contante nei micro pagamenti. Il limitato importo normalmente caricato
su queste limita i possibili danni connessi all’utilizzo improprio da parte di terzi;
4. le carte contactless, mobile/web payments: le carte contactless incorporano un microchip a
radiofrequenza e sfruttano una nuova tecnologia la quale consente di portare a termine una
transazione semplicemente avvicinando la carta ad un lettore abilitato. I mobile payments
invece sfruttano un altro tipo di tecnologia di cui devono essere dotati i telefonini ed infine i web
payments sono rappresentati ad esempio da paypal ossia una società che offre servizi di
pagamento digitale e di trasferimento di denaro tramite internet;
5. bonifici: sono un ordine di pagamento impartito da un soggetto (ordinante) ad un istituto
bancario o postale a favore di un terzo soggetto (beneficiario), al quale il primo intende
trasferire i fondi. Uno tra i più importanti è il bonifico SEPA che consente di trasferire somme in
euro da un c/c ad un altro aperto presso banche ubicate in Italia o in un altro paese SEPA. Per
identificare il conto del beneficiario, l’ordinante deve indicare l’IBAN e il BIC, cioè il codice
identificativo della banca del beneficiario necessario per poter compiere il trasferimento. La
banca una volta ricevuto l’ordine lo respinge nel caso riscontri irregolarità oppure procede con
l’invio del denaro alla banca del beneficiario.

Il bilancio bancario: a) cose è e come funziona il principio fair value? b) come vengono valutati i titoli in
bilancio (HTF,AFS,HTM)? c) qual è il principio di valutazione dei prestiti? d) che cos’è l’impairment test?

COS'È IL BILANCIO BANCARIO E COME FUNZIONA IL PRINCIPIO FAIR VALUE: il bilancio bancario ha la
finalità principale di rappresentare la situazione patrimoniale, finanziaria ed economica di un’azienda a
tutti i soggetti interessati (quindi azionisti, creditori, stakeholders, PA), seguendo norme e criteri che
consentono di fornire una chiara e fedele visione e di comparare risultati con quelli delle altre aziende.
Per le banche il bilancio non è solo strumento di trasparenza informativa ma anche uno strumento di
vigilanza.
Il fair value è il corrispettivo al quale un’attività finanziaria può essere scambiata o una passività
finanziaria può essere estinta in una libera transazioni tra parti consapevoli e disponibili. È perciò il
valore possibile o effettivo tra due controparti.

COME VENGONO VALUTATI I TITOLI IN BILANCIO?: la valutazione dei titoli viaggia in parallelo con la
classificazione che dipende molto dalle finalità che la banca persegue: 1) HTM (held to maturity) ossia
quegli investimenti effettuati dalla banca con l’obbiettivo di mantenerli sino a scadenza. Questi titoli
sono riportati in bilancio come costo ammortizzato; 2) AFS (available for sail) sono quei titoli di debito
acquistati con l’obbiettivo di vendere prima del raggiungimento del loro periodo di scadenza; 3) HFT
(held for trading) sono gli investimenti detenuti dalle banche con l’obbiettivo di generare profitti a breve
termine. Tali titoli posso essere spostati nella categoria AFS qualora non vengano venduti entro 90 giorni
dall’investimento.

QUAL'È IL PRINCIPIO DI VALUTAZIONE DEI PRESTITI?: i crediti sono valutati al costo ammortizzato
utilizzando il criterio del tasso effettivo di interesse nel caso di scadenza predeterminata. Tale criterio
consiste nell’adeguare/attualizzare di anno in anno l’originario valore di iscrizione al bilancio sulla base
dei flussi futuri di cassa prodotti dall’attività. Con valore iniziale si intende il fair value del prestito che
corrisponde all’importo erogato al netto delle commissioni a carico del cliente; queste non vengono più
trattate come ricavi immediati ma vengono spalmate nel tempo entrando così nel rendimento del
prestito. Il tasso interno di rendimento è il tasso che eguaglia il valore attualizzato dei flussi futuri fino a
scadenza al valore iniziale del prestito.

CHE COS'È L’IMPAIRMENT TEST?: è la svalutazione/rivalutazione continuativa e sistematica del prestito.


Esso consente alla banca di individuare le posizioni di possibile inadempimento totale o parziale del
debitore; distinguiamo quattro fasi:
1. identificare i flussi di cassa contrattuali e definire il momento della loro manifestazione;
2. determinare il tasso di interesse effettivo (TIE);
3. determinare il processo di ammortamento del valore iniziale ed il conseguente progressivo
valore contabile;
4. stimare le eventuali perdite (impairment).
La banca deve considerare un credito come impaired in presenza di determinate situazioni come:
- esistenza di significative difficoltà finanziarie del debitore;
- verificarsi di un mancato pagamento degli interessi o del capitale su un debito in essere;
- possibilità che il debitore entri in una procedura concorsuale o avvii un piano di ristrutturazione
finanziaria.
L’impairment veniva analizzato sulla base delle perdite realizzate (incurred loss), ma con l’introduzione
dell’exposure draft 12 (modifica significativa della normativa nelle regole di bilancio e dei principi
contabili) si fa analizza sulle perdite attese (expected loss).

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