3
Ivi,
p.118
4
Per
una
breve
sintesi
delle
biografie
degli
storiografi
citati
e
della
materia
delle
loro
opere
Cfr.
G.
Uluhogian,
Gli
armeni,
cit.,
pp.
119-‐121.
5 Cfr.
A. Dupront,
Problèmes
et
méthodes
d'une
histoire
de
la
psychologie
collective.
In:
Annales.
Economies,
sociétés,
civilisations.
16ᵉ
année,
N.
1,
1961.;
https://www.persee.fr/doc/ahess_0395-‐2649_1961_num_16_1_421664.
6
J.
Le
Goff,
I
contadini
e
il
mondo
rurale
nella
letteratura
dell’
alto
Medioevo
(
sec.
V
e
VI
),
in
Tempo
della
Chiesa
e
tempo
del
mercante,
Torino,
1997,
p.101
1
così
la
delinea:
“Si
l'histoire
raconte
la
«
geste
»
des
hommes,
et
donc
est
dans
sa
réalité
vécue
«
geste
»
des
hommes,
elle
doit,
dans
un
effort
sur
elle-‐même,
atteindre
à
cet
autre
niveau,
où
elle
rendra
manifeste
comment
les
hommes
vivent,
ou
«
font
»
leur
geste.
Retrouver
la
dynamique
créatrice
en
l'humain
même.
La
matière
normale
d'une
histoire
de
la
psychologie
collective
est
ainsi
la
psychologie
de
l'action
créatrice
collective
ou
de
la
passion
commune.
Elle
doit
mettre
en
évidence
la
motivation
de
l'acte
collectif,
les
pulsions,
les
habitudes,
les
idées-‐forces,
les
représentations
conscientes,
les
attentes
eschatologiques,ce
qu'il
y
a
de
conformisme
mental,d'habitudes
de
chancellerie
ou
d'une
société
dans
les
stipulations
d'un
traité
ou,les
images
sacrales
de
l'autorité
dans
les
formules
de
la
liturgie
ou
l'iconographie
des
rois.”7
Sulle
orme
di
Dupront,
inoltre,
a
partire
dalle
fonti
armene,
per
meglio
contestualizzarle
e
analizzarle
dal
punto
di
vista
della
loro
“valenza
collettiva”,
si
è
messo
a
confronto
la
cultura
venatoria
armena
sia
con
quella
dell’occidente
europeo
che
con
quella
ad
oriente,
vale
a
dire
quella
iranica
e
poi
araba,
nel
periodo
tardoantico
e
altomedioevale.
Fra
paradisi
e
foreste
La
prima
testimonianza
armena
della
creazione,
per
volontà
regia,
di
un
bosco8
di
caccia
protetto
da
mura
ci
viene
tramandata
da
Mosè
di
Corene9
nella
sua
Pat῾mowtiwn
Hayoc῾,
(Storia
degli
Armeni);
lo
storiografo
racconta
che,
dopo
la
sua
cruenta
salita
al
potere,
il
re
Ervand10,
l’ultimo
della
prima
dinastia
regnante
armena,
quella
degli
Orontidi:
“Pianta
anche
un
gran
bosco
d’abeti
sul
lato
a
settentrione
del
fiume,
e
la
protegge
per
mezzo
di
mura,
rinchiudendovi
i
caprioli
veloci,
le
razze
dei
cervi
e
delle
cerve,
gli
onagri
e
i
cinghiali:
questi
moltiplicandosi
riempirono
il
bosco,
grazie
ai
quali
il
re
si
dilettava
nelle
stagioni
della
caccia,
e
chiama
il
bosco
C'nēnēdoc’.“11
Analogamente,
sei
secoli
dopo,
un
altro
re
armeno,
Cosroe12,
questa
volta
della
dinastia
degli
Arsacidi,
nell’interludio
fra
una
battaglia
vittoriosa,
ma
fratricida,
con
il
fratello
Sanēsan
che
aveva
invaso
il
regno
d’Armenia
a
capo
di
“un’
esercito
innumerevole
di
milizie
nomadi”
13,
e
un’ennesima
guerra
con
i
Persiani,
fa
realizzare,
oltre
al
palazzo
reale,
due
boschi
di
caccia
recintati.
Questa
volta
è
Fausto
di
Bisanzio
che
ce
ne
dà
testimonianza
nella
sua
Storia
degli
Armeni
in
cui
narra
le
vicende
umane,
politiche
e
religiose,
molto
spesso
drammatiche,
dei
re,
dei
patriarchi
e
dei
comandanti
militari14
d’Armenia
fra
il
330
e
il
387
d.C.
7
A.
Dupront,
Problèmes
et
méthodes
d'une
histoire
de
la
psychologie
collective,
cit.,
p.
7.
8
Miskgian
indica
come
traduzione
di
Antar̄
silva,
saltus
nemus.
Cfr.
I.Miskgian,
Manuale
Lexicon
Armeno-‐Latinum
ad
usum
scholarum,
Roma,1966.
L’etimologia
è
incerta
ma
la
componente *-taṙ
è
stata
frequentemente
comparata
all’IE
*doru-‐
“legno,
albero”,
e
al
greco
δένδρον
Cfr.
K.
Martirosyan,
Etymological
dictionary
of
the
Armenian
inherited
lexicon,
2009.
9
Per
le
vicende
biografiche
di
Mosè
di
Corene
e
per
la
sua
recezione
in
Occidente
Cfr.
A.
e
J.P.
Mahé,
La
questione
de
Moïse
de
Khorène,
in
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène
,
Nouvelle
traduction
de
l’arménien
classique
par
Annie
et
Jean-‐Pierre
Mahé
(d’après
Victor
Langlois)
avec
une
introduction
et
des
notes,
Gallimard,
1993,
pp.
9-‐24
10Oronte
III
(IV),
(212-‐200
a.C.).
Ωρόντης
è
un’ellenizzazione
del
nome
iranico
Ervand;
probabilmente
di
derivazione
dall’avestico
auruuant,
coraggioso
o
eroe.
11
Movses
Xorenac’i,
Patmowt’iwn
Hayoc’,
http://titus.uni-‐frankfurt.de/texte/etcs/arm/mokhor/mokho.htm,
II,41
12
Xosrov
Kotak
(Cosroe
il
Piccolo,
330-‐338/9
d.C.).
Discendente
di
re
Trdat
III
a
cui
l’Armenia
deve
la
conversione
al
Cristianesimo
intorno
al
301.
13P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni.
Introduzione
e
cura
di
Gabriella
Uluhogian.
Traduzione
di
Marco
Bais
e
Loris
Dina
Nocetti.
Milano,
1997,
III,8,p.
44.
14
Cfr
G.
Uluhogian,
I
fatti
narrati
in
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni.
Introduzione
e
cura
di
Gabriella
Uluhogian.
Traduzione
di
Marco
Bais
e
Loris
Dina
Nocetti.
Milano,
1997,
pp.
10-‐15
2
“
E
il
re15
diede
ordine
al
suo
generale16
di
condurre
dal
paese
un
gran
numero
di
contadini
e
di
portare
dai
boschi
noccioli
selvatici17
e
di
piantarli
nella
provincia
di
Ayrarat,
a
partire
dalla
salda
fortezza
reale
di
Gar̄ ni fino
alla
pianura
di
Mecamor,
al
colle
chiamato
Duin,
che
è
situato
a
settentrione
della
grande
città
di
Artašat.
Piantarono
i
noccioli
lungo
il
fiume
fino
al
palazzo
di
Tiknuni,
e
lo
chiamò
Tačar
Mayri.18
Nello
stesso
modo
piantarono
un
altro
bosco
di
noccioli
all’ingresso
del
canneto,
a
sud
rispetto
al
primo,
riempirono
la
pianura
di
piante
che
producono
nocciole
e
le
diedero
il
nome
di
Xosrovakert.19
E
qui
costruirono
il
palazzo
reale
e
chiusero
i
due
luoghi
recingendoli,
ma
non
li
ricongiunsero
l’uno
all’altro,
per
lasciare
una
strada
adibita
a
passaggio.
E
i
boschi
crebbero
e
s’ingrandirono.
Poi
il
re
ordinò
di
adunare
ogni
sorta
di
animali
feroci
e
selvatici,
e
di
riempirne
i
recinti
affinché
divenissero
per
loro
luoghi
di
caccia
per
il
divertimento
del
suo
regno.“20
Fausto
di
Bisanzio
ci
dice
di
quanto
fossero
gelosi
di
queste
riserve
di
caccia
i
re
armeni
quando
racconta
che
re
Tiran,
nell’accogliere
il
marzban21
persiano
suo
ospite,
da
ordine
di
“rallegrarlo
con
battute
di
caccia
e
banchetti
e
con
ogni
varietà
di
piaceri”,
ma
allo
stesso
tempo
non
ritiene
opportuno
che
“egli
veda,
qui
nel
nostro
paese,
luoghi
di
caccia
tanto
grandi,
a
causa
della
malignità,
del
livore,
della
malvagità,
della
scaltrezza
della
stirpe
persiana.”22
Questa
tradizione
di
piantare
a
bosco
vasti
territori,
di
riempirli
o
ripopolarli
con
animali
selvatici,
talvolta
anche
feroci,
di
delimitarli
per
mezzo
di
recinzioni
e
di
dedicarli
all’attività
venatoria
la
ritroviamo
sia
a
occidente
dell’Armenia,
nella
cultura
romano-‐bizantina
e
poi
romano-‐barbarica,
sia
ad
oriente,
in
quella
iranica
preislamica
e
islamica.
Nel
susseguirsi
della
storia
iranica
dei
grandi
imperi
achemenidi,
seleucidi,
partici
e
sasanidi
questi
boschi
di
caccia
si
trovavano
all’interno
dei
παραδέισοι.
Calco
greco
del
medo
o
dell’antico
persiano
pairi,
“intorno”,
e
daiza,
“muro”,
più
volte
documentati
già
in
epoca
achemenide
da
Senofonte
23
e,
subito
dopo
la
conquista
dell’impero
persiano
ad
opera
di
Alessandro
il
Macedone,
da
Curzio
Rufo
24 ,
i
παραδέισοι
erano
domini
territoriali
ben
delimitati,
recintati
da
mura,
esclusi
al
popolo,
concepiti
per
lo
svago
e
il
riposo
dei
sovrani
;
essi
di
solito,
oltre
ai
boschi
usati
per
la
caccia
e
per
la
riserva
di
legname,
potevano
15
Xosrov
Kotak
(Cosroe
il
Piccolo,
330-‐338/9
d.C.).
Discendente
di
re
Trdat
III
a
cui
l’Armenia
deve
la
conversione
al
Cristianesimo
intorno
al
301.
16Vač’,
nahapet
(patriarca)
della
famiglia
dei
Mamikonean,
della
stirpe
degli
sparapet
(comandanti
in
capo
dell’esercito)
d’Armenia.
17Il
Corylus
Colurna
o
Corylus
Bizantina,
a
differenza
delle
molte
specie
arbustive
di
nocciolo,
ha
un
portamento
eretto
e
può
raggiungere
i
6
metri
d’altezza.
Cfr.
Dizionario
Classico
di
Storia
Naturale,
Venezia,1836
et
Dizionario
di
Scienze
Naturali,
Vol.XVI,
Firenze,1846
18Lett.
Palazzo
nel
Bosco.
19
Lett.
Fabbricato/edificato
da
Xosrov
20
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni.
Cit.
III,
8,
cit.
,
pp.
45-‐46
21
Nel
IV
secolo
designa
il
funzionario
persiano
incaricato
del
governo
di
una
delle
provincie
dell’impero.
22
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni,
cit.,III,
20,
p.67.
23
Ciro
riceve
la
sua
educazione
venatoria
in
Media
nel
παράδεισος
di
suo
nonno
Astiage;
è
così
bravo
a
inseguire,
colpire
ed
abbattere
gli
animali
selvatici
che
lo
spopola
con
grande
imbrazzo
dello
stesso
Astiage
il
quale
non
sa
più
come
trovarne
altri:
“ἐν
τῷ
παραδείσῳ
θηρία
ἀνηλώκει
διώκων
καὶ
βάλλων
καὶ
κατακαίνων,
ὥστε
ὁ
᾿Αστυάγης
οὐκέτ'
εἶχεν
αὐτῷ
συλλέγειν
θηρία”.
Senofonte,
Ciropedia,I,4,5,
http://remacle.org/bloodwolf/historiens/xenophon/index.htm.
Sempre
Ciro
a
Celene
possedeva
una
reggia
ed
un
grande
παράδεισος
pieno
di
animali
selvatici
dove
andava
a
caccia
a
cavallo
:
“
Ἐνταῦθα
Κύρῳ
βασίλεια
ἦν
καὶ
παράδεισος
μέγας
ἀγρίων
θηρίων
πλήρης,
ἃ
ἐκεῖνος
ἐθήρευεν
ἀπὸ
ἵππου,
ὁπότε
γυμνάσαι
βούλοιτο
ἑαυτόν
τε
καὶ
τοὺς
ἵππους.”
Senofonte,
Anabasi,
I,2,7
http://www.perseus.tufts.edu/hopper/text?doc=Perseus:text:1999.01.0201.
La
loro
funzione
politica
e
geostrategica
ci
viene
sempre
tramandata
da
Senofonte;
Ciro
infatti
fra
le
varie
raccomandazioni
di
comportamento
e
di
buon
governo
che
fa
ai
suoi
Satrapi
invita
loro
a
creare
dei
παράδεισοι
e
a
riempirli
di
animali
:
“Κτᾶσθε
δὲ
καὶ
παραδείσους
καὶ
θηρία
τρέφετε”
Senofonte,
Ciropedia,
VIII,6,12
http://remacle.org/bloodwolf/historiens/xenophon/index.htm
24
Saltus,
nemora
e
silvae
circondati
da
mura
e
torri
di
riparo
per
i
cacciatori,
pieni
di
fiere
in
essi
racchiusi,rendono
opulenta
la
barbara
Sogdiana:
si
trattava
di
grandi
territori
boschivi,
pieni
di
mandrie
di
animali
feroci,
circondati
da
mura
e
torri
di
riparo
per
i
cacciatori.
“Barbarae
opulentiae
in
illis
locis
haud
ulla
sunt
maiora
indicia
quam
magnis
nemoribus
saltibusque
nobilium
ferarum
greges
clausi.
Spatiosas
ad
hoc
eligunt
silvas
crebris
perennium
aquarum
fontibus
amoenas;
muris
nemora
cinguntur,
turresque
habent
venantium
receptacula“,
Quinti
Curti
Rufi,
Historiae
Alexandri
Magni,
VIII
https://it.wikipedia.org/wiki/The_Latin_Library
3
contenere
di
volta
in
volta
spazi
paesaggistici,
parchi
zoologici,
frutteti,
terreni
agricoli,
laghi
per
la
pesca
e
serragli.
25
In
epoca
sasanide
sono
Ammiano
Marcellino26
e
Zosimo27
a
darci
testimonianza
della
loro
esistenza
quando
raccontano
la
distruzione
di
un
parco
di
caccia
nella
valle
del
Tigri
fra
Ctesifonte
e
Coche
da
parte
dell’esercito
dell’imperatore
Giuliano
durante
l’invasione
della
Mesopotamia
nel
363
d.C..
Comunque,
dal
punto
di
vista
archeologico
il
documento
più
irrefutabile
dell’esistenza,
nell’impero
dei
Sasanidi,
di
battute
regali
di
caccia
in
parchi
chiusi,
sono
due
basso
rilievi
delle
grotte
di
Taq-‐i
Bustan,
nell’attuale
Iran
occidentale.28
Invece
la
cultura
romana,
che
“identificava
la
nozione
di
civiltà
a
quella
di
città”
e
“la
foresta
come
anti-‐città
e
anti-‐cultura”29,
considerava
la
caccia
uno
svago
futile
al
quale
tuttalpiù
poteva
dedicarsi
l’agricoltore
nell’arrestarsi
forzato
delle
attività
agricole
nel
periodo
invernale30;
i
romani
quindi
non
ritenevano
l’attività
venatoria
un
privilegio
per
cui
non
si
erano
mai
preoccupati
di
creare
delle
riserve
di
caccia
regali
come
quelle
armene
o
iraniche.
31
Solo
la
caccia
nei
leporaria,
cioè
in
ambienti
ben
delimitati,
creati
e
gestiti
dall’uomo,
rientrava
nei
parametri
valoriali
della
civiltà
romana.
Varrone,
nel
I
sec
a.C.,
distingueva
fra
le
dipendenze
delle
villae,
gli
ornithones,
voliere
per
gli
uccelli,
i
leporaria,
spazi
chiusi,
piantati
ad
alberi,
di
ampie
dimensioni
in
cui
veniva
rinchiusa
ogni
sorta
di
animali
da
cacciare,
ivi
compresi
cinghiali
e
caprioli
oltre
che
lepri
(da
cui
prendevano
il
nome)
e
conigli
selvatici,
e
le
piscinae,
vivai
per
i
pesci
sia
d’acqua
dolce
che
di
mare;
ad
ognuno
di
questi
luoghi
corrispondeva
una
specialità
professionale:
aucupes, venatores
e
piscatores32.
Nel
II
sec.
d.C.,
Aulo
Gellio,
ricordando
i
leporaria
di
Varrone,
ci
informa
che
anticamente
avevano
il
nome
di
roboraria
(a
causa
delle
palizzate
in
quercia
circondanti
i
parchi),
e
che,
al
suo
tempo,
il
volgo
li
chiamava
vivaria,
mentre
i
greci
paradeisoi.33
Nell’alto
Medioevo,
con
l’aumento
di
estensione,
a
causa
del
calo
demografico,
degli
spazi
incolti,
ivi
compresi
quelli
boschivi,
e
con
l’ingresso
nei
territori
dell’impero
di
popoli
25
Cfr.
C. Capel, La question des parcs de chasse à l’époque abbasside: le cas emblématique de Sâmarrâ’,REMMM
130,153-‐180,
2012,
p.161https://halshs.archives-‐ouvertes.fr/halshs-‐01454913/document.
26
“erat
etiam
in
hac
eadem
regione
extentum
spatium
et
rotundum,
loricae
ambitu
circumclausum,
destinatas
regiis
voluptatibus
continens
feras,
cervicibus
iubatis
leones
armisque
hispidos
apros
et
ursos,
ut
sunt
Persici,
ultra
omnem
rabiem
saevientes
et
alia
lecta
immania
corpora
bestiarum:
quas
omnes
diffractis
portarum
obicibus
equites
nostri
venatoriis
lanceis
et
missilium
multitudine
confoderunt”
Ammiano
Marcellino,
Historiae,
XXIV,5,2
http://www.thelatinlbrary.com/ammianus.html
27
Analogamente
ad
Ammiano
Marcellino,
Zosimo
descrive
la
“Riserva
del
re”
come
un
luogo
cintato
da
mura,
piantato
ad
alberi
di
ogni
genere,
dove
erano
rinchiusi
varie
razze
di
animali
per
le
cacce
del
re,
di
cui
i
soldati
dell’imperatore
iuliano
fanno
scempio.
“…παραγίνεται
δὲ
ϰαὶ
εἰς
περίϐολον,
ὅν
Βασιλέως
θήραν
ἐϰάλουν,
ἦν
δέ
τι
τειχίον
χωρίον
ἀπειληφὸς
ἐνδὸν
πολὺ,
δένδρεσι
πεφυτευμένον
παντοδαποῖς.
ἐν
τούτῳ
θηρίων
παντοίων
ἐναποϰλειόμενα
γένη
τροφῆς
τε
οὐϰ
ἠποροῦντο,
διὰ
τὸ
ϰαὶ
ταύτην
ἐπεισάγεσθαι,
ϰαὶ
παρεῖχον
τῷ
βασιλεῖ
τῷ
θηρᾷν,
ἡνίϰα
ἄν
βουληθείη,
ῥᾳστώνην.”
Zosimo,
Storia
nuova,
III,
23.
28
Si
tratta
di
due
scene
di
caccia
databili
fra
il
IV
e
il
V
sec.
Mentre
una,
ai
cervi,
si
svolge
con
i
cavalli
in
un
paesaggio
erboso,
invece
l’altra,
al
cinghiale,
con
l’ausilio
di
elefanti,
in
un’ambiente
paludoso;
in
ambedue
si
trovano
una
maestosa
figura
regale
centrale
e
numerosi
musici,
cacciatori
e
battitori.
29
M.Montanari,
La
foresta
come
spazio
economico
e
culturale,
in:
Uomo
e
spazio
nell’alto
Medioevo,
Spoleto,
Centro
Italiano
di
Studi
sull’Alto
Medioevo,
2003,[L
Settimana
di
Studio,
Spoleto,
4-‐8
aprile
2002],I,
p.302.
30
Cfr.
G.Charles-‐Picard,
La
chasse
romaine.
In:
Journal
des
savants,
Avril-‐juin
1951.
pp.
72-‐85;
https://www.persee.fr/doc/jds_0021-‐
8103_1951_num_2_1_3147,
p.73.
31
Cfr.
C.Wickham,
European
forests
in
the
early
Middle
Age:
landscape
and
land
clearance,
in
L’ambiente
vegetale
nell’alto
Medioevo,
Centro
Italiano
di
Studi
sull’Alto
Medioevo,
1990,
[XXXVII
Settimana,
Spoleto,
30
marzo-‐5aprile
1989],II,
p.486.
32 “Eius
disciplinae
(della
villa)
genera
sunt
tria:
ornithones,
leporaria,
piscinae.
Nunc
ornithonas
dico
omnium
alitum,
quae
intra
parietes
villae
solent
pasci.
Leporaria
te
accipere
volo
non
ea
quae
tritavi
nostri
dicebant,
ubi
soli
lepores
sint,
sed
omnia
saepta,
afficta
villae
quae
sunt
et
habent
inclusa
animalia,
quae
pascantur.
Similiter
piscinas
dico
eas,
quae
in
aqua
dulci
aut
salsa
inclusos
habent
pisces
ad
villam”.
Varrone,
Res
rusticae,
3,
3.
http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Varro/de_Re_Rustica/home.html
33
"Vivaria"
autem
quae
nunc
vulgus
dicit,
quos
παραδείσους
Graeci
appellant,
quae
"leporaria"
Varro
dicit,
haut
usquam
memini
apud
vetustiores
scriptum.
Sed
quod
apud
Scipionem
omnium
aetatis
suae
purissime
locutum
legimus
"roboraria",
aliquot
Romae
doctos
viros
dicere
audivi
id
significare,
quod
nos
"vivaria"
dicimus,
appellataque
esse
a
tabulis
roboreis,
quibus
saepta
essent;
quod
genus
saeptorum
vidimus
in
iItalia
locis
plerisque.”AuloGellio,NoctesActicae,2,
20,
4-‐5
http://penelope.uchicago.edu/T
/E/Roman/Texts/Gellius/home.html.
4
fortemente
in
relazione,
sia
da
un
punto
di
vista
concreto
che
ideologico,
con
i
boschi
e
le
selve,
cessa
la
percezione
romana
negativa
del
saltus,
dell’incolto,
che
non
viene
più
contrapposto
all’ager,
per
cui
si
assiste
all’integrazione
dei
“
valori
della
città
e
dell’agricoltura
con
quelli
della
foresta
e
dell’economia
silvo-‐pastorale.“ 34
Questo
contesto
di
profonda
rivalorizzazione
dell’ambiente
naturale
trova
come
sua
immagine
riflessa
quella
della
progressiva
tendenza
da
parte
dei
sovrani
dei
regni
romano
barbarici
ad
affermare
diritti
esclusivi
di
uso
e
di
sfruttamento
di
vasti
territori
extraurbani
non
coltivati.
La
foresta
diventa,
come
scrive
Montanari,
“anzitutto
uno
spazio
giuridico
entro
il
quale
si
difende
il
diritto
del
sovrano
all’uso
esclusivo
del
territorio.”35
Per
questo
spazio,
in
cui
s’intrecciano
in
modo
complesso
natura,
potere
e
cultura,
viene
coniato
il
nome
di
forestum
o
forestis
nella
prima
metà
del
VII
sec.36
La
destinazione
principale
d’uso
di
questi
territori
era
la
caccia
per
cui,
secondo
Wickam,
la
storia
del
termine
foresta37
è
strettamente
legato
allo
sviluppo
delle
riserve
di
caccia
a
uso
esclusivo
dei
sovrani
e
più
tardi
dei
nobili.38
Ma
le
riserve
forestali
regie
non
erano
gli
unici
territori
a
scopo
venatorio;
in
epoca
carolingia,
accanto
o
inclusi
a
esse,
vennero
creati
i
brogili
39.
Quello
più
famoso
era
quello
di
Aix:
annesso
al
palazzo
imperiale,
consisteva
di
un
territorio
piantato
a
bosco,
vallonato
e
attraversato
da
un
fiume
dove
erano
custoditi,
al
riparo
dai
bracconieri,
sia
animali
pregiati
per
la
caccia,
quali
cervi
e
cinghiali,
sia
animali
esotici
regalati
a
Carlo
Magno,
per
cui
aveva
tutte
le
caratteristiche
dei
παραδέισοι
orientali. 40
Una
bella
descrizione
la
troviamo
nel
Karolus
Magnus
et
Leo
papa:
circondato
da
solide
mura,
piantato
ad
alberi,
attraversato
da
un
piccolo
corso
d’acqua
e
popolato
da
varie
specie
d’uccelli,
da
cervi
e
bestie
selvagge.41
Ed
è
ancora
Carlo
Magno
che,
nel
Capitulare
de
villis,
raccomanda
di
ben
custodirli
e
di
farli
riparare
in
tempo
utile
e
soprattutto
di
non
aspettare
che
la
loro
ricostruzione
sia
diventata
34
M.Montanari,
La
foresta
come
spazio
economico
e
culturale,
in:
Uomo
e
spazio
nell’alto
Medioevo,
Spoleto,
Centro
Italiano
di
Studi
sull’Alto
Medioevo,
2003,[L
Settimana
di
Studio,
Spoleto,
4-‐8
aprile
2002],I,
pp.
305-‐306.
35
Ibid.
pp.
312-‐313.
36
Nel
648
circa,
Sigeberto
III,
re
merovingio
d’Austrasia,
dispone
la
costruzione
dei
monasteri
di
Stavelot
e
Malmédy
“in
foreste
nostra
nuncupante
Arduinna
in
locis
vastae
solitudinis
consulere
cupientes,
in
quibus
caterva
bestiarum
germinat”
MGH,
Diplomata
regum
Francorum
e
stirpe
Merovingica.DD
Merov.
(2001),D.:81,pag.:206,lin.32. http://www.mgh.de
37
Come
hanno
ben
spiegato
le
ricerche
dello
studioso
di
lingue
romanze
Ludwig
Söll
la
parola
forestis
in
latino
medioevale
deriva
da
foris
che
significava
l’ambito
territoriale
sia
die
delle
aree
edificate
sia
di
quelle
dei
terreni
genericamente
a
disposizione.
Cfr,
L.
Ludwig
Söll,
Die
Bezeichnungen
für
den
Wald
in
den
romanischen
Sprachen“,
München,
1967.
38
C.Wickham,
European
forests
in
the
early
Middle
Age:
landscape
and
land
clearance,
cit.
p.485.
39
Cosi Du Cange, facendone derivare l’etimo da περιβόλιον, definisce
il
lemma
brolium: “Nemus, silva, aut saltus, in quo ferarum venatio
exercetur: maxime vero silva muris aut sepibus cincta” http://ducange.enc.sorbonne.fr.
40
Cfr.
H.
Hauck,
Tiergarten
im
Pfalzbereich,
in
Deutschen
Königspfalze:
Beiträge
zur
ihrer
historischen
und
archäologischen
Erforschung,
in
Veröffentlichungen
des
Max-‐Planck-‐Instituts
für
Geschichte,
11,
1,
Göttingen,1963,
pp.
30-‐74.
41
“Non
procul
excelsa
nemus
est
et
amoena
virecta
Lucus
ab
urbe
virens
et
prata
recentia
rivis
Obtinet
in
medio,
multis
circumsita
muris.
Hic
amnem
circumvolitat
genus
omne
volucrum;
In
ripis
resident
rimantes
pascua
rostris;
Nunc
procul
in
medio
summergunt
flumine
sese,
Nunc
quoque
praecipiti
properant
ad
litora
cursu;
Hosque
toros
iuxta
cervorum
pascitur
agmen
Riparum
in
longa
per
amoenaque
pascua
valle.
Huc
illuc
timido
discurrit
dammula
gressu:
Fronde
retecta
vacat;
passim
genus
omne
ferarum
His
latet
in
silvis.
Etenim
nemora
inter
opaca
Hic
pater
adsidue
Karolus,
venerabilis
heros,
Exercere
solet
gratos
per
gramina
ludos,
Atque
agitare
feras
canibus
tremulisque
sagittis
Sternere
cornigeram
nigraque
sub
arbore
turbam.”
Karolus
Magnus
et
Leo
papa.
MGH,
Poetae
1,
Carm.:
6,
pag.369,
vv.137-‐152
http://www.mgh.de
5
necessaria.42
Dal
confronto
comparativo
delle
fonti
prese
in
esame
dunque
si
ha
una
conferma
di
quanto
dimostrato
da
vari
studiosi,
fra
cui
Garsoyan,43che
i
re
armeni
condividevano
con
la
dinastia
degli
Arsacidi
dell’impero
partico,
di
cui
erano
un
ramo
cadetto,
e
con
i
Sasanidi
di
Persia,
le
tradizioni
di
creare
boschi
di
caccia
protetti
da
recinzioni
in
muratura
o
in
legno,
ad
loro
uso
esclusivo;
consuetudine
di
una
prerogativa
e
di
un
prestigio
regale
che
ritroviamo
poi
nella
tarda
antichità
e
nell’alto
medioevo
europeo
occidentale.
Mosè
di
Corene,
memoria
collettiva
della
nazione
armena44,
lo
attesta
già
circa
duecento
anni
prima
dell’era
cristiana
al
tempo
dell’ultimo
re
della
prima
dinastia
armena,
quella
orontide.
45
Mosè
di
Corene
in
particolare,
con
l’affermare
che
il
re
Ervand
aveva
chiamato
il
bosco
da
lui
creato
col
nome
C'ēnēndoc῾,
genitivo
plurale
di
C’nud
che
significa
generazione,
stirpe
e
che
al
plurale
designa
anche
il
libro
della
Genesi,
sembra
voler
dar
ancora
più
adito
a
quanto
da
lui
asserito,
vale
a
dire
che
il
popolo
armeno,
di
generazione
in
generazione,
aveva
una
continuità
storica
fin
dai
primi
eventi
narrati
nel
libro
della
Genesi,
e
più
precisamente,
come
lui
sostiene,
dall’epoca
della
creazione
della
torre
di
Babele.
Anche
Pawstoc
Buzand,
nell’epoca
storica
presa
in
esame
in
questo
lavoro,
con
la
descrizione
della
creazione
da
parte
del
re
Xosroe
il
Piccolo
di
due
boschi
di
caccia
piantati
a
noccioli,
s’inserisce
in
questa
tradizione;
essendo
quest’usanza
una
prerogativa
del
re
e
segno
del
suo
prestigio
personale,
ambedue
gli
storiografi
sembrano
volere
anche
in
questo
modo
sottolineare
l’importanza
identitaria
che
aveva
per
gli
Armeni
la
continuità
delle
stirpi
dei
re.
Entrando
poi
nel
contesto
specifico
degli
eventi
narrati,
le
circostanze
in
cui
vengono
creati
questi
boschi
di
caccia
possono
anche
costituire
il
segno
emblematico
del
ristabilimento
dell’autorità
regia.
Nel
caso
di
Ervand,
la
creazione
del
bosco
avviene
dopo
un
periodo
di
violenze
interne
susseguitesi
alla
sua,
non
del
tutto
legittima,
ascesa
al
trono
e
quindi
non
accettata
da
tutte
le
potenti
famiglie
principesche
armene,
la
cui
importanza
nella
storia
politica
d’Armenia
verrà
esaminata
più
avanti.
Xosroe
il
Piccolo
invece,
quando
dà
ordine
di
creare
i
boschi
e
di
edificare
il
palazzo
reale
era
da
poco
riuscito
a
respingere
un’invasione
dell’Armenia
da
popoli
esterni
guidati
dal
fratello.
Da
un
punto
di
vista
simbolico
si
può
ipotizzare
che
con
la
creazione
di
un
bosco
di
caccia
un
re
voglia
dimostrare,
oltre
al
suo
prestigio
e
alle
sue
abilità
venatorie,
la
sua
capacità
di
governare,
antropizzando
e
piegando
la
natura
ai
propri
scopi,
un
microcosmo
territoriale
che
si
potrebbe
ipotizzare
speculare
al
macrocosmo
del
suo
regno.
Ma
al
di
fuori
dei
boschi
creati
dai
sovrani
o
dalle
selve
regie
come
quelle
longobarde
merovinge
o
carolingie,
luoghi
noti
e
pienamente
integrati
nello
spazio
concreto
e
mentale
del
territorio,
come
asserisce
Montanari,
persisteva
anche
“la
selva
intricata
e
lontana,
anche
concettualmente.
Difficile
da
frequentare,
da
attraversare,
da
conoscere.”46
Selve
come
quelle
in
cui
nel
645
viene
fondata
l’abbazia
di
Saint
Wandrille
de
Fontanelle,
vicino
a
Rouen,
inaccessibile
per
l’asprezza
dei
roveti,
l’immensità
di
spazi
inutili
e
le
paludi,
dove
trovavano
riparo
briganti
e
bestie
selvagge47.
Luoghi
pericolosi,
come
quello
scelto
per
la
42
“Ut lucos nostros, quos vulgus brogilos vocat, bene custodire faciant et ad tempus semper emendent et nullatenus exspectent, ut necesse sit a novo
raedificare.” Capitularia Karoli Magni Capit. 1, Capitulare de villis, pag.: 87, lin.: 23 http://www.mgh.de
43
“Like
his
Iranian
counterparts,
the
Armenian
kings
supervized
the
planting
of
great
forests
near
their
residences
as
preserves
for
wild
animals
…
any
of
which
might
easily
be
descriptions
of
the
“paradises”
depicted
on
the
reliefs
of
Tag-‐i
Bostan
or
Čahar
Tarχan.”
Cfr.
N.
Garsoyan,
Prolegomena
to
a
study
of
the
iranian
aspects
in
arsacid
Armenia,
in
Hande’s
Amso’ready,
90,
1976,
nota
53,
pp.217-‐218.
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=2ahUKEwimxdPPvN_hAhWIzKQKHcpEAuUQFjAAegQIAhAB&ur
l=https%3A%2F%2Farchive.org%2Fdetails%2FGarsoian1976Prolegomena&usg=AOvVaw1GnCn_1Xw3dDLkLnujQzsY
44
Cfr.
A.
e
J.P.
Mahé,
La
questione
de
Moïse
de
Khorène,
in
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène
,
Nouvelle
traduction
de
l’arménien
classique
par
Annie
et
Jean-‐Pierre
Mahé
(d’après
Victor
Langlois)
avec
une
introduction
et
des
notes,
cit,
p.
11.
45
Per
le
conferme
archeologiche
di
quanto
attesta
Mosè
di
Corene
Cfr.
ibid,
pp.
21-‐24
46
M.Montanari,
La
foresta
come
spazio
economico
e
culturale,
in:
Uomo
e
spazio
nell’alto
Medioevo
,cit.,
p.339
47
“Erat
namque
isdem
locus,
in
quo
ipsum
Fontanellense
coenobium
noscitur
aedificatum,
veprium
asperitate
ac
spinarum
densitate
virectorumque
inutilium
ac
paludum
immensitate
inaccessibilis.
In
quo
magis
latibula
latronum
ac
lustra
ferarum
quam
abitatio
videbatur
hominum.”
Gesta
abbatum
Fontanellensium,
SS
rer.
Germ.
28,
cap.:
1,
pag.:
14
http://www.mgh.de
6
fondazione
dell’abbazia
di
Lobbes,
nell’attuale
Vallonia
belga:
luogo
propizio
alle
imboscate
e
ai
briganti
perche
circondato
da
selve
ed
exasperatus
scopulis.”48
In
queste
“zones
«extérieures»
(forest,
saltus)”,
diametralmente
opposte
alle
“zones
«intérieures»
cultivées,
proche
des
habitats”49,
anche
la
caccia
poteva
assumere
tutt’altro
aspetto:
nel
folto
del
bosco
poteva
diventare
il
pretesto
per
perpetrare
vendette
ed
assassinii.
Al
tempo
del
re
Tiran,50
travagliato
da
guerre
e
lotte
intestine,
Fausto
di
Bisanzio,
ci
narra
la
storia
del
mardpet
hayr, 51
“uomo
iniquo
e
posseduto
dal
demonio…un
eunuco
dal
cuore
malvagio”52
che,
sobillando
il
monarca,
fece
sterminare
alcune
famiglie
di
naxarar.
Proprio
nel
folto
della
foresta
andrà
incontro
alla
nemesi
delle
proprie
scelleratezze
da
parte
dell’unico
sopravvissuto
di
una
di
queste
stirpi
principesche.
“Cadde
allora
nelle
mani
di
un
uomo,
il
cui
nome
era
Šawasp,
superstite
della
famiglia
degli
Arcrunik’.
Mentre
egli
era
seduto
sul
carro
e
andava
per
la
sua
strada,
venne
Šawasp,
e
cominciò
a
raccontare
al
mardpet
fantasie
di
sua
invenzione.
Dice:
“Ho
visto
un’orso
bianco
come
la
neve”.
Convinse
il
mardpet
a
scendere
dal
carro
e
a
montare
a
cavallo,
ed
entrati
nel
bosco
andavano
a
caccia.
E
mentre
si
trovavano
nel
folto,
Šawasp,
che
seguiva,
rimasto
un
poco
arretrato,
da
dietro
colpiva
con
una
freccia
il
fianco
dell’eunuco
hayr,
conficcandovi
l’arma:
egli
subito,
caduto
a
terra,
morì.”53
La
caccia
degna
di
un
re
Nella
prima
metà
dell’anno
mille,
in
una
breve
lettera
di
Grigor
Magistros54
all’omonimo
vescovo
di
Mokk’
e
di
Manazkert55,
che
porta
nel
titolo
“un
tuono
terribile
verificatosi
il
20
del
mese
di
Ahki”56,
c’è
un
frammento
che
costituisce
una
sorta
di
condensato
dei
compiti
regali
e
rituali
all’inaugurazione
del
nuovo
anno,
fra
cui
la
caccia;
tuono
di
un
temporale,
fumo
scatenato
dalla
caduta
di
un
fulmine
fanno
venire
alla
mente
dell’autore
della
lettera
un
evento
analogo
evocato
dal
re
Artašes57
morente.
«Chi
mi
darà
il
fumo
dai
camini,
il
mattino
di
Navasard58
La
corsa
delle
cerve,
il
trotto
dei
cerbiatti?
Noi
suoneremo
la
tromba,
batteremo
il
tamburo
48
“Erat
autem
locus
parandis
insidiis
et
latrocinantibus
aptus.
Nam
sicut
dic
ùtum
est,
cinctus
est
silvis
et
exasperatus
scopulis;
unde
et
perpetrato
scelere
non
inveniebatur
hostis.” Folcuinus
Lobiensis
abbas,
Gesta
abbatum
Lobiensium
(-‐974)
SS
4,
pag.:
56,
lin.:
9
http://www.mgh.de
49
Cfr.
A.
Guerreau,
Les
structures
de
base
de
la
chasse
médiévale,
in
La
Chasse
au
Moyen
Age.
Société,
traités,
symboles,
Sismel-‐Edizioni
del
Galluzzo,
Firenze,
2000,
pp.
25-‐32.
50
Tiran
VII,
della
dinastia
degli
Arsacidi
armeni,
successore
di
Xosroe
il
Piccolo:
probabilmente
regnò
fra
338
e
il
350.
51
Incaricato
di
sovrintendere
alle
fortezze
dei
re
e
ai
tesori
in
essi
contenuti.
I
due
titoli
erano
originariamente
indipendenti:
il
primo
era
riservato
ai
signori
del
Mardastan
(Vaspurakan),
regione
a
est
del
lago
di
Van,
mentre
hayr,
“padre
(del
re)”
era
riservato
all’eunuco
gran
ciambellano.
52
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni.
Introduzione
e
cura
di
Gabriella
Uluhogian.
Traduzione
di
Marco
Bais
e
Loris
Dina
Nocetti,
cit.,
III,18,
p.64.
53
Ibid.
III,
15,
p.
110.
54
Gregorio
Pahlavuni
(ultimi
anni
del
X
sec.-‐1059)
ebbe
il
titolo
bizantino
di
magistros:
laico,
signore
di
ampi
possedimenti
in
Armenia,
ricoprì
incombenze
politiche
nei
rapporti
con
Bisanzio.
Di
lui
restano
88
Lettere,
di
contenuto
vario,
che
riflettono
i
suoi
molteplici
interessi
filosofici,
teologici
e
medici.
Cfr.
F.
Alpi,
Messaggi
attraverso
il
confine:
l’Armenia
e
il
confine
orientale
di
Bisanzio
nelle
lettere
di
Grigor
Pahlawuni
Magistros
(ca.
990-‐1058),
tesi
di
dottorato,
Università.
di
Pisa,
2015.
https://etd.adm.unipi.it/theses/available/etd-‐08102015-‐
094929/.
55
Regioni
che
all’epoca
facevano
parte
con
ogni
probabilità
del
comando
militare
bizantino
del
Vaspurakan
di
cui
Grigor
Magistros
fu
alla
guida
con
il
titolo
di
Duca
intorno
al
1049-‐1058.
52
Ahekan,
il
nono
mese
del
calendario
armeno,
prima
dell’adozione
di
quello
gregoriano
alla
fine
del
XVI
sec.,
corrispondeva
ai
mesi
di
aprile
e
maggio.
57
Grigor
Magistros
non
specifica
di
quale
Artašes
parla,
ma,
secondo
l’ipotesi
suggeritami
dal
Dott.
Federico
Alpi,
potrebbe
trattarsi
di
un
re
Artašes
collocato
tradizionalmente
nel
III
sec.
a.C.
e
collegato
con
l'Artaxias
menzionato
da
Strabone
(Geografia,
11,
13,
5).
58
Primo
mese
del
calendario
armeno
(11
agosto-‐9
settembre).
7
com'
è
costume
dei
re».59
Tuono,
fumo
provocato
dala
caduta
di
un
lampo
che
proiettano
indietro
di
circa
un
millennio
la
storia
della
tradizione
cinegetica
dei
re
armeni.
In
epoca
ancora
più
antica
è
Senofonte
che
l’attesta
nel
narrare
dell’amicizia
giovanile
fra
Ciro,
appassionato
cacciatore
fin
da
bambino,
e
Tigrane60,
figlio
primogenito
del
re
Armenia,
suo
compagno
di
caccia.61
Invece
Mosè
di
Corene,
nel
descrivere
le
azioni
di
Vałaršak
“primo
re
arsacide”62,racconta
che,
appena
preso
il
potere,
il
re
si
preoccupa
di
trasformare
nel
nord
del
paese
in
pascoli
e
tenute
di
caccia
due
piane
boschive
circondate
da
colline
per
potervi
cacciare63
e
che
nella
riorganizzazione
della
casa
reale
nomina
la
famiglia
principesca
dei Gar̄ nik
responsabile
di
tutto
ciò
che
concerne
le
cacce
reali
e
a
quella
degli
Havouni64
conferisce
la
responsabilità
della
custodia
e
cura
dei
falconi.
Qualcosa
di
analogo
accade
anche
nell’alto
Medioevo
europeo.
Le
foreste
che,
come
abbiamo
visto,
costituiscono
delle
riserve
di
caccia
regie,
sono
custodite
e
sorvegliate
da
forestarii
i
quali
in
epoca
carolingia
sono
sottoposti,
in
caso
d’inadempienze,
alla
giustizia
di
magistri
forestariorum
da
cui
dipendono.65
Il
capitolare
di
Aix-‐la-‐Chapelle
raccomanda
loro
di
ben
difendere
le
foreste
reali,
di
ben
custodire
la
selvaggina
che
vi
si
trova
e
i
pesci:
essi
devono
controllare
che
le
persone
alle
quali
il
re
ha
dato
l’autorizzazione
di
cacciare
non
prendano
un
numero
maggiore
di
animali
di
quanto
loro
permesso.66
Anche
nel
Capitulare
de
villis
sono
presenti
diversi
articoli
che
hanno
come
oggetto
questi
aspetti
organizzativi
e
di
controllo.
Gli
intendenti
devono
prestare
vigile
attenzione
alla
sorveglianza
e
custodia
della
selvaggina
nelle
foreste
reali
così
come
alla
cura
degli
astori
e
dei
falconi
riservati
al
servizio
del
re.67
Sono
tenuti
ugualmente
ad
avere,
ciascuno
nel
loro
distretto,
dei
buoni
operai,
in
particolare
degli
uccellatori,
e
comunque
delle
persone
abili
a
costruire
le
reti
sia
per
la
caccia
che
per
la
pesca.68
Ogni
anno,
sono
tenuti
a
fare
al
re,
in
modo
chiaro
e
metodico,
un
rendiconto
della
selvaggina
presa
nelle
sue
foreste
senza
permesso.69
I
59
La
lettera
è
la
n.
52
nell'edizione
di
Muradian
2012,
corrispondente
alla
n.
33
dell'edizione
di
Kostaneanc'
1910
La
traduzione
è
stata
gentilmente
fornita
dal
Dott.
Alpi.
60
Tigrane
il
Grande,
descritto
da
Mosè
di
Corene
come
“il
nono
dei
re
della
nostra
nazione,
forte
rinomato
vittorioso
…
di
tutti
i
nostri
re
il
più
potente,
il
più
intelligente,
il
più
valente
degli
uomini
di
questo
tempo,
che
aiutò
Ciro
a
rovesciare
l’impero
dei
Medi.
Si
traduce
qui
dalla
versione
francese
curata
da
A.
e
J.P.
Mahé
in
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.,
I,
23-‐24,
pp.
141-‐142
61
“σύνθηρός
ποτε
ἐγένετο
τῷ
Κύρῳ”.
Senofonte,
Ciropedia,
III,
1,
7.
http://remacle.org/bloodwolf/historiens/xenophon/index.htm.
62
Vałaršak
è
la
forma
armena
del
nome
Vologase
con
il
suffisso
in
–ak.
In
realtà
il
fondatore
della
dinastia
arsacide
in
Armenia
fu
Tiridate
fratello
del
re
parto
Vologase
I
e
riconosciuto
come
re
dall’imperatore
Nerone
nel
66.
Cfr.
A.
Christensen,
L’Iran
sous
le
Sassanides,
Copenaghen,1936
nota
1,
p.
19.
63
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.,
II,6
p.160.
64
Da
Hav,
che
in
armeno
significa
uccello
65
“Servi
vero
forestarii,
tam
ecclesiastici
quam
fiscalini,
de
eorum
mansis
stipendiorum,
de
quorum
beneficio
sunt,
rigas
faciant
atque
censum
sive
ceteras
functiones,
quae
ex
semetipsis
sive
de
eorum
mansis
exhibere
debent,
persolvant
et
nec
paravereda
donent
nec
opera
faciant,
sed
etiam
manuopera
eorum
forestarii
nostri
praevideant,
[et
nullus]
quilibet
de
parte
seniorum
illorum
eos
pro
qualibet
re
distringat
aut
iniustam
inquietudinem
faciat;
sed
quidquid
tam
liberi
forestarii
quam
servi,
ecclesiastici
aut
fiscalini,
praesumptionis
aut
inobedientiae
errore
aut
cuilibet
nocuerint,
magistri
forestariorum
illorum
iustitiam
faciant;
et
si
iustitiam
facere
detraxerint,
hoc
ad
nostram
noticiam
deducatur,
ut
nos
praesenti
secundum
legem
et
iustitiam
facere
iubeamus,
et
illi,
qui
iustitiam
[non]
facere
vel
differre
temptaverint,
dignam
[correc]tionem
accipiant.”
Formulae
impériales,
n°
43
(822),
MGH,
Formulae
merowingici
et
karolini
aevi,
p
320
http://www.mgh.de.
66
“De
forestis,
ut
forestarii
bene
illas
defendant,
simul
et
custodiant
bestias
et
pisces.
Et
si
rex
alicui
intus
foreste
feramen
unum
aut
magis
dederit,
amplius
ne
prendat
quam
illi
datum
sit.”
Capitulare
Aquisgranense,
§
18,
MGH,
Capitularia,
t.
I,
p.
172.
http://www.mgh.de.
67
“…
et
feramina
nostra
intra
forestes
bene
custodiant;
similiter
acceptores
et
spervarios
ad
nostrum
profectum
praevideant”,
Capitulare
de
villis,
§
36,
MGH,
Capitularia,
t.
I,
p.
86.
http://www.mgh.de.
68 “Ut
unusquisque
iudex
in
suo
ministerio
bonos
habeat
artifices,id
est
…
piscatores,
aucipites
id
est
aucellatores,
…
retiatores
qui
retia
facere
bene
sciant,
tam
ad
venandum
quam
ad
piscandum
sive
ad
aves
capiendum
…”
Ibid.,
§
45,
p.
87.
http://www.mgh.de.
69
“Ut
unusquisque
iudex
per
singulos
annos
ex
omni
conlaboratione
nostra
… quid
de
feraminibus
in
forestis
nostris
sine
nostro
permisso
captis,
…“ Ibid.,
§
62.
p.
88.
http://www.mgh.de.
8
cacciatori
e
i
falconieri
che
prestano
servizio
assiduo
a
palazzo
devono
ricevere
assistenza
nelle
villae
regie.70
Tanti
sono
anche
i
parallelismi,
seppur
più
antichi,
fra
le
tradizioni
venatorie
reali
armene
e
iraniche.
Ad
esempio,
come
rileva
Garsoyan71,
il
cerimoniale
della
corte
arsacide,
che
ruotava
intorno
alla
caccia
e
al
banchetto
reale,
era
un
indubitabile
riflesso
dei
costumi
e
dei
gusti
iranici,
così
come
il
creare
grandi
riserve
reali
di
caccia
e
l’essere
provetti
cavalieri.
Eccellenza
e
supremazia
era
richiesta
ad
un
re
sia
nelle
prodezze
cinegetiche
che
nell’equitazione.
Mosè
di
Corene
del
re
Tiran72,
appassionato
cacciatore,
racconta
che
“possedeva
due
cavalli
più
veloci
di
Pegaso,
di
rapidità
incredibile
che
sembravano
non
toccare
la
terra
ma
fendere
l’aria.”73
Di
un
altro
re74
invece
lo
stesso
autore
scrive
che,
dopo
una
battuta
di
caccia
accanita,
si
era
vantato
di
aver
abbattuto
in
un’ora
più
animali
di
quanto
qualsiasi
altro
monarca
prima
di
lui
avesse
fatto. 75
Analogamente
Widukindus
vanta
lo
stesso
talento
venatorio
dell’imperatore
Heinrich
der
Vogler
che
aveva
abbattuto
fino
a
quaranta
fiere
in
una
sola
battuta
di
caccia.76
Re
cacciatori
custodi
gelosi
della
loro
maestria
venatoria,
strumento
rappresentativo
del
loro
potere,
oltre
che
appagamento
di
una
passione;
sempre
re
Aršak,
indotto
falsamente
a
credere
il
nipote
Gnel
miglior
cacciatore
di
lui,
per
invidia
e
gelosia,
gli
dà
l’ordine
di
allestirgli
una
caccia
degna
di
un
re,
durante
la
quale
però
lo
fa
uccidere
simulando
un
falso
incidente
venatorio.77
Una
gelosia
analoga,
come
è
raccontato
nel
Kār-‐Nāmag
ī
Ardašīr
ī
Pābagān78,
induce
il
re
Artabano
ad
allontanare
Ardašir
dai
campi
di
caccia
e
ad
umiliarlo
proibendogli
di
montare
a
cavallo
e
ordinandogli
di
accudire
gli
animali
e
i
cavalli
delle
sue
stalle
per
aver
superato
in
bravura
il
suo
figlio
primogenito.79
Una
reazione
irata,
ut
pro
parvolae
causae,
per
alcuni
aspetti
simile,
viene
narrata
da
Gregorio
di
Tours
nella
Francia
merovingia
di
fine
VI
secolo.
Re
Gontrano,
mentre
cacciava
in
regale
silva,
sorprende
vestigia
occisi
buvali;
un
custos
silvae
accusa
del
fatto
il
cubicularium
regis
Chundo
il
quale
però
si
dichiara
estraneo
all’accaduto.
Viene
pertanto
indetto
un
duello
giudiziario
che
vede
coinvolti
lo
stesso
custos
e
il
nipote
di
Chundo,
in
rappresentanza
dello
zio;
in
esso
però
ambedue
i
contendenti
perdono
la
vita
per
cui
il
re
ne
deduce
la
colpevolezza
del
camerlengo
di
cui
ordina
la
lapidazione.80
70
“Ut
venatores
nostri
et
falconarii
vel
reliqui
ministeriales,
qui
nobis
in
palatio
adsidue
deserviunt,
consilium
in
villis
nostris
habeant,
secundum
quod
nos
aut
regina
per
litteras
nostras
iusserimus,
quando
ad
aliquam
utilitatem
nostram
eos
miserimus,
aut
siniscalcus
et
buticularius
de
nostro
verbo
eis
aliquid
facere
praeceperint”, ibid..
§
47.
p.
87.
http://www.mgh.de.
71
N.Garsoyan,
Prolegomena
to
a
study
of
the
iranian
aspects
in
arsacid
Armenia,
cit.,
p.
183.
72
Si
tratta
di
Tigrane
I,
che
regnò
dal
123
al
195.
73
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.
II,
62,
p.
214.
74
Aršak
II
re
dal
330
al
370
ca.
75
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.
III,
23,
p.
267.
76 “In
venatione
tam
acerrimus
erat,
ut
una
vice
quadraginta
aut
eo
amplius
feras
caperet.” Widukindus
Corbeiensis
monachus,
Rerum
gestarum
Saxonicarum
libri
tres
SS
rer.
Germ.
60,
Lib.:
I,
cap.:
39,
pag.:
58,
lin.:
19
http://www.mgh.de.
77
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.
III,
23,
pp.
267-‐268.
78
Il
libro
delle
gesta
di
Ardašir
figlio
di
Papak.
Scritta
in
medio
persiano
verso
la
fine
dell’impero
sasanide,
narra
le
imprese
di
Ardašir,
il
fondatore
dell’impero
sasanide,
che
lo
porteranno
a
spodestare
Ardawan,
l’ultimo
re
partico
della
dinastia
Arsacide.
79
“One
day
Ardavan
went
a
hunting
with
his
chevaliers
and
Ardashir.
An
elk
which
happened
to
be
running
in
the
desert
was
(then)
pursued
by
Ardashir
and
the
eldest
son
of
Ardavan.
And
Ardashir,
on
reaching
close
to
the
elk,
struck
him
with
an
arrow
in
such
a
manner
that
the
arrow
pierced
through
the
belly
as
far
as
its
feathers,
passed
through
the
other
side,
and
the
animal
died
instantly.
When
Ardavan
and
the
chevaliers
approached
them;,
they
expressed
wonder
at
such
a
dart
and
asked:
-‐-‐
"Who
struck
that
arrow?"
Ardashir
replied:
"I
did
it."
The
son
of
Ardavan
said:
-‐-‐
"No,
because
I
did
it."Ardashir
became
angry
and
spoke
thus
to
the
son
of
Ardavan:
"It
is
not
possible
to
appropriate
the
art
and
heroism
(of
another)
through
tyranny,
unpleasantness,
falsehood,
and
injustice.
"
This
is
an
excellent
forest,
and
the
wild
asses
here
are
many.
Let
ustry
here
a
second
time,
and
bring
into
display
(our)
goodness
or
evil
nature
and
dexterity.
Ardavan
thereby
felt
offended
and
thereafter
did
not
allow
Ardashir
to
ride
on
horseback.
He
sent
the
latter
[Ardashir]
to
his
stables
of
horses
and
cattle,
and
ordered
him
as
follows:
"Take
care
(of
those
animals
so)
that
you
do
not
go
in
the
day
or
night
from
before
those
horses
and
cattle
a
hunting,
to
the
playground
or
the
college
of
learning." Kār-‐Nāmag
ī
Ardašīr
ī
Pābagān
I,
31-‐39.
http://www.avesta.org/pahlavi/karname.htm.
80
Gregorius
Turonensis,
Historiarum
libri
X
SS
rer.
Merov.1,1,Lib.X,
cap.
10,
p.
494,
p.494,,
lin.4-‐17.
http://www.mgh.de.
9
E
a
Roma?
A
Roma,
come
abbiamo
visto,
“mancava
un
rapporto
privilegiato
fra
caccia
e
potere.”81
Solo
nel
II
secolo,
quando
la
cultura
greca
non
trova
più
resistenza
seria
presso
l’aristocrazia
romana
e
le
classi
senatoriali
ed
equestri
assorbono
numerosi
elementi
culturali
della
nobiltà
provinciale
d’Oriente,
dell’Africa
Proconsolare
e
della
Numidia,
l’atteggiamento
verso
la
caccia
cambia
radicalmente.
Segno
evidente
di
questo
mutamento
è
l’esordio
del
quinto
libro,
dedicato
alla
caccia
e
agli
animali,
dell’ Ὀνομαστικὸν,
in
cui
il
retore
Giulio
Polluce
esorta
l’imperatore
Commodo,
suo
allievo,
ad
interessarsi
della
caccia
perché
ha
qualcosa
di
eroico
e
di
regale.
Essa
infatti
fortifica
nello
stesso
tempo
il
corpo
e
la
mente,
perché
è
uno
esercizio
di
resistenza
in
tempo
di
pace
e
di
audacia
in
tempo
di
guerra;
sviluppa
il
coraggio;
abitua
ad
essere
robusti
sia
a
piedi
che
a
cavallo
ed
ingegnosi
e
resistenti
se
si
vuole
conquistare
con
la
forza
ciò
che
resiste,
con
rapidità
ciò
che
fugge,
con
la
cavalcata
ciò
che
si
defila,
con
il
sapere
ciò
che
è
intelligente,
con
la
riflessione
ciò
che
si
nasconde,
con
la
pazienza
ciò
che
è
nascosto;
permette
di
vegliare
di
notte
e
di
essere
attivi
di
giorno.82
La
caccia
quindi
come
occasione
privilegiata
di
formazione
e
di
allenamento,
sia
psicologico
che
fisico,
delle
virtù
di
un
sovrano
sia
in
tempo
di
pace
che
di
guerra.
Con
il
declino
della
parte
occidentale
dell’impero
romano,
nell’Europa
continentale,
sono
i
re
di
origine
germanica
a
fregiarsi
della
loro
valentia
venatoria.
Come
evidenzia
Jarnut,
la
caccia
in
der
Völkerwanderungszeit
era
uno
straordinariamente
potente
mezzo
di
rappresentazione
del
potere
regale.
I
re
usavano
la
caccia
come
forum
per
dimostrare
tutte
le
qualità,
quali
forza,
abilità
e
destrezza,
che
un
sovrano
altomedioevale
doveva
possedere
di
fronte
suoi
nobili
e
ai
suoi
guerrieri.
Questo
il
motivo
per
cui
quasi
tutti
i
re
dell’epoca
venivano
ritratti
come
appassionati
della
caccia.83
A
metà
del
quinto
secolo,
Sidonio
Apollinare
in
un’epistola
all’amico
Agricola,
nel
ritrarre,
in
modo
inequivocabilmente
encomiastico,
le
caratteristiche
sia
fisiche
che
morali
di
Theodorico
non
trascura
di
esaltare
con
dovizia
di
particolari
la
sua
abilità
nella
caccia
con
l’arco.84
In
epoca
merovingia
Gregorio
di
Tours
in
alcuni
passi
della
sua
Historia
Francorum
fa
riferimento
alla
caccia
come
pratica
regale.
Oltre
all’episodio
sopra
citato
dell’ira
funesta
di
re
Gontrano,
racconta
della
morte
di
re
Clotario,
anno
quinquagesimo
primo
regni
sui,
nel
561,
a
causa
di
una
febbre
contratta
durante
la
caccia
nella
foresta
di
Cotia
che
lo
costrinse
a
rientrare
nella
città
di
Compendio,
dove
morì.85
Un
altro
episodio
noto
è
quello
riguardante
Meroveo,
figlio
di
re
Chilperico:
per
farlo
uscire
a
tradimento
dalla
chiesa
di
San
Martino
a
Tours,
dove
si
era
rifugiato,
i
sicari
della
matrigna
Fredegonda
fanno
leva
sulla
sua
passione
81
P.
Galloni,
Il
cervo
e
il
lupo.
Caccia
e
cultura
nobiliare
nel
Medioevo,
Roma-‐Bari,
1993,
p.
72.
82
”
Ἰούλιος
Πολυδεύκης
Κομμόδῳ
Καίσαρι
χαίρειν
...
ἐπεὶ
δὲ
καὶ
κυνηγεσίων
σοι
προσήκει
μέλειν,
ὅτι
τοὐπιτήδευμα
ἡρωικόν
τε
καὶ
βασιλικόν,
καὶ
πρὸς
εὐσωματίαν
ἅμα
καὶ
πρὸς
εὐψυχίαν
ἀσκεῖ,
καὶ
ἔστιν
εἰρηνικῆς
τε
καρτερίας
ἅμα
καὶ
πολεμικῆς
τόλμης
μελέτημα,
πρὸς
ἀνδρείαν
φέρον,
ῥωμαλέον
τ'
εἶναι
γυμνάζει
καὶ
ποδώκη
καὶ
ἱππικὸν
καὶ
ἀγχίνουν
καὶ
φιλεργόν,
εἰ
μέλλει
καθαιρήσειν
καὶ
τὰ
ἀνθιστάμενα
ἀλκῇ
καὶ
τὰ
ὑποφεύγοντα
τάχει
καὶ
τὰ
ἀποσπῶντα
ἀφ'
ἵππου
καὶ
τὰ
συνετὰ
σοφίᾳ
καὶ
τὰ
λανθάνοντα
ἐπινοίᾳ
καὶ
τὰ
κρυπτόμενα
χρόνῳ,
καὶ
νύκτωρ
προαγρυπνῶν
καὶ
μεθ'
ἡμέραν
ἐπιπονῶν,
ἀνάγκη
τι
καὶ
περὶ
θήρας
ὑπειπεῖν…”.
Pollucis
Onomasticon:
e
codicibus
ab
ipso
collatis
denuo
editit
ed
adnotavit
Ericus
Bethe,
Lipsia,1900,
V,
1-‐10,
p.263.
https://archive.org/details/pollucisonomasti01polluoft.
83
J.
Jarnut,
Die
frühmittelalterliche
Jagd
unter
rechts-‐
und
sozialgeschitlichen
Aspekten,
in.
L’uomo
di
fronte
all’animale
nell’alto
Medioevo.
Centro
Italiano
di
Studi
sull’Alto
Medioevo,
1985,
[XXXI
Settimana,
Spoleto,
1984],
pp.
774-‐775.
84
“Si
venatione
nuntiata
procedit,
arcum
lateri
innectere
citra
gravitatem
regiam
judicat;
quem
tamen,
si
comminus
avem
feramque
aut
venanti
aut
vianti
(fors
obtulerit),
manui
post
tergum
reflexae
puer
inserit
nervo
lorove
fluitantibus;
quem
sicut
puerile
computat
gestare
thecatum,
ita
muliebre
accipere
iam
tensum.
Igitur
acceptum
modo
insinuatis
e
regione
capitibus
intendit,
modo
ad
talum
pendulum
nodi
parte
conversa
languentem
chordae
vagantis
laqueum
digito
superlabente
prosequitur;
et
mox
spicula
capit,
implet,
expellit;
quidve
cupias
percuti,
prior
admonet;
eligis
quid
feriat:
quod
elegeris
ferit;
et,
si
ab
alterutro
errandum
est,
rarius
fallitur
figentis
ictus
quam
destinantis
obtutus.” Apollinaris
Sidonius,
Epistularum
libri,
IX
Auct.
ant.
8,
Lib.:
I,
Epist.:
2,
pag.:
3,
lin.:14-‐18.
http://www.mgh.de.
85 “… dum in Cotiam silvam venationem exerceret, a febre corripitur, et exinde Conpendio villa rediit.” GregoriusTuronensis, Historiarum
libri
X,
SS
rer.
Merov.
1,
1,
Lib.:
IV,
cap.:
21,
pag.:
154,
lin.:
4.
http://www.mgh.de.
10
venatoria.86
Saranno
tuttavia
i
re
carolingi
ad
usare
la
caccia
per
dimostrare
la
propria
audacia,
valenza
fisica
come
segno
di
forza,
di
predominio
e
di
potere.
Pertanto,
sottolinea
ancora
Jarnut,
citando
Notker
Balbulus87,
non
ci
si
deve
meravigliare
se
Carlo
Magno
si
lasci
celebrare
come
un
novello
potente
Nimrod,
capace
di
uccidere
innumerevoli
animali
in
una
grande
battuta
di
caccia.88
Ma
è
soprattutto
Ludovico
il
Pio,
l’imperatore
più
appassionato
fra
tutti
i
sovrani
carolingi89
stando
alle
fonti
degli
Annales
Regni
Francorum
e
degli
Annales
Bertiniani,
alla
narrazione
dei
suoi
due
biografi,
Thegan90
e
l’Astronomo91,
e
allala
celebrazione
poetica
ed
encomiastica
che
ne
fa
Ermoldo
Nigello
nel
Carmen
in
honorem
Hludowici,
in
cui
vengono
fra
l’altro
descritte
le
prodezze
venatorie
dell’imperatore
che
culminano
nel
quarto
libro
con
la
rappresentazione
di
una
caccia
reale
avvenuta
nel
826
in
un’isola
del
Reno,
vicino
ad
Ingelheim.92
In
un
bosco
fra
latrati
di
cani
e
richiami
di
corni
da
caccia
e
voci
d’uomini,
Ludovico
insieme
al
figlio
Lotario
e
in
presenza
della
moglie
fa
strage
di
animali.
L’assiduità
e
le
caratteristiche
delle
battute
di
caccia
di
Ludovico
il
Pio
fanno
pensare
ad
una
vera
propria
ritualità
istituzionale
dell’attività
venatoria
regia
finalizzata
a
manifestare
oltre
che
le
proprie
qualità
personali,
quali
il
coraggio,
l’audacia,
il
vigore,
anche
la
propria
continuità
politica
con
il
padre
nonchè
la
stabilità
onnipresente
del
proprio
potere. 93
In
particolare
alla
regolarità
annuale
degli
itinerari
di
Ludovico
il
Pio94
per
raggiungere
le
foreste
di
caccia
in
primavera
e
autunno
si
può
applicare
l’assunto
di
Guerreau
in
cui
afferma
che
la
chasse
médiévale
était
avant
tout
un
rite
de
marquage
et
de
définition
de
l’espace.95
86 “At
ille
praesto
putans
esse
interfectores,
ait
ad
Merovechum:
"Ut
quid
hic
quasi
signes
et
timidi
resedemus
et
ut
hebetis
circa
basilicam
occulimur?
Veniant
enim
equi
nostri,
et
acceptis
accipitribus,
cum
canibus
exerceamur
venationem
spectaculisque
patulis
iocundemur".
Gregorius
Turonensis,
Historiarum
libri
X,
SS
rer.
Merov.
1,
1,
Lib.:
V,
cap.:
12,
pag.:
206,
lin.:
18.
http://www.mgh.de.
87
Di
fronte
ai
nunzi
persiani
atterriti
così
l’imperatore
Carlo
impavido
e
a
cavallo
dimostra
tutta
la
sua
potenza:
“Postea
Phebea
spargebat
lampade
terras,
Titoni
croceum
linquens
Aurora
cubile,
cum
ecce
quietis
et
otii
impatientissimus
Karolus
ad
venatum
bissontium
vel
urorum
in
nemus
ire
et
Persarum
nuncios
secum
parat
educere.
Qui
cum
ingentia
illa
viderent
animalia,
nimio
pavore
perculsi
in
fugam
conversi
sunt.
At
non
territus
heros
Karolus
ut
in
equo
sedebat
acerrimo,
appropinquans
uni
eorum,
extracta
spata
cervicem
eius
abscidere
conabatur,
sed
frustrato
ictu,
galliculam
regis
et
fasciolam
ferus
immanissimus
disrumpens
tibiamque
illius
summo
licet
cornu
perstringens
paulo
tardiorem
reddidit
et
in
convallem
tutissimam,
lignis
et
lapidibus
asperatam,
casso
vulnere
irritatus
aufugit.”
Notkerus
Balbulus,
Gesta
Karoli
Magni
imperatoris,
SS
rer.
Germ.
N.S.
12,
Lib.:
II,
cap.:
8,
pag.:
60,
lin.11-‐16.
http://www.mgh.de.
88
J.
Jarnut,
Die
frühmittelalterliche
Jagd
unter
rechts-‐
und
sozialgeschitlichen
Aspekten,
cit.,
p.
787
89
Per
l’elenco
delle
caccie
dei
sovrani
carolingi
dal
751
al
987
Cfr.
E.
J.
Goldberg,
Louis
the
Pious
and
the
Hunt,
in
Speculum,
Vol.
88,
n.
3,
Chicago,
2013,
pp
613-‐643.
https://www.jstor.org/stable/43576780.
90
Theganus
Treverensis
chorepiscopus,
Gesta
Hludowici
imperatoris,
SS
rer.
Germ.
http://www.mgh.de.
91
Astronomus,
Vita
Hludowici
imperatoris,SS
rer.
Germ.
http://www.mgh.de.
92
“Iam
nemus
omne
sonat
crebris
latratibus
ictus,
Hinc
hominum
voces,
hinc
tuba
crebra
furit;
Dissiliuntque
ferae,
fugiuntque
per
aspera
dumi,
Nec
fuga
subsidio,
nec
nemus
estque
latex.
Inter
cornigeros
cecidit
quoque
dammula
cervos,
Dentifer
ipse
cadit
cuspide
fixus
aper.
Caesar
laetus
enim
dat
corpora
multa
ferarum
Ipse
neci,
propria
perculit
atque
manu;
Hluthariusque
celer
florens,
fretusque
iuventa
Percutit
ursorum
corpora
multa
manu.
Caetera
turba
virum
passim
per
prata
trucidat
Diversi
generis
multimodasque
feras.”
Ermoldus
Nigellus,
Carmen
in
honorem
Hludowici
Poetae
2,
Liber
IV,
pag.:
72,
501-‐512.
http://www.mgh.de
93
Cfr.
F.
Guizard-‐Duchamp,
Louis
le
Pieux
roi-‐chasseur
:
gestes
et
politique
chez
les
Carolingiens.
In:
Revue
belge
de
philologie
et
d'histoire,
tome
85,
fasc.
3-‐4,
2007.
Histoire
medievale,
moderne
et
contemporaine
–
Middeleeuwse,
moderne
enhedendaagse
geschiedenis.
pp.
521-‐
538.
https://www.persee.fr/doc/rbph_0035-‐0818_2007_num_85_3_5093.
94
R.Hennebicque,
Espaces
sauvages
et
chasses
royales
dans
le
Nord
de
la
Francie,
VIIème-‐IXème
siècles,
in:
Actes
des
congrès
de
la
Société
des
historiens
médiévistes
de
l'enseignement
supérieur
public,
10ᵉ
congrès,
Lille,
1979.
Le
paysage
rural
:
réalités
et
représentations.
pp.
35-‐
57;doi:
https://www.persee.fr/doc/shmes_1261-‐9078_1980_act_10_1_1321.
95 A. Guerreau, Les structures de base de la chasse médiévale, cit., p. 26.
11
Ritratti
di
imperatori
a
caccia
quelli
del
poema
Karolus
Magnus
et
Leo
Papa
e
del
Carmen
in
honorem
Hludovici
che
potrebbero
esser
paragonati
a
scene
di
ardenti
combattenti
in
duelli
e
battaglie.96
L’intrecciarsi
di
guerra
e
caccia
trova
una
sua
evidenza
anche
in
un
passo
della
Storia
degli
Armeni
di
Fausto
di
Bisanzio
nel
momento
in
cui
il
ribelle
Meružan
Arcruni,
a
capo
di
un
esercito
invasore
persiano,
cerca
di
impadronirsi
dei
cavalli
dello
Sparapet
Manuēl
che
in
quel
periodo,
poco
prima
della
spartizione
dell’Armenia
tra
l’imperatore
Teodosio
e
il
re
Šapur
III
avvenuta
attorno
al
387,
governava
da
sovrano
l’Armenia.
“
Allora
con
grande
furore,
lanciati
avanti
i
suoi
emissari,
faceva
incursione
nel
luogo
dove
si
trovava
il
branco
di
cavalli
per
avere
anzitutto
il
modo
d’impadronirsene.
Ma
giunto
sul
posto
non
trovava
il
branco
giacché
Dio
aveva
reso
giustizia
facendo
si
che
il
contingente
armeno
fosse
preparato,
infatti
lo
sparapet
Manuēl
aveva
stabilito
per
tutto
l’esercito
armeno
di
andare
a
caccia
in
quell’ora.
Perciò
capitò
che
l’intero
branco
era
stato
condotto
agli
alloggiamenti,
ed
essi
erano
già
pronti
ad
uscire
a
cavallo
per
la
caccia.
…
Ma
quando
Manuēl
vedeva
il
loro
contingente,
andando
all’attacco
con
la
sua
schiera
come
un
leone
o
un
cinghiale.”97
Anche
un
sovrano
però,
se
la
sua
naturale
aggressività,
tipica
del
guerriero
e
del
cacciatore,
viene
trascesa
da
un’
ira
dissennta,
da
umano
può
trasformarsi
in
animale.
In
cinghiale
infatti
viene
trasformato
il
tracotante
re
Trdat
quando
supera
il
limite
dell’umana
ragione
trascinato
dalla
ferocia
delle
passioni.
Metamorfosi
che
segna
l’inizio
del
punto
di
svolta
cruciale
per
la
vita
del
re
e
di
tutto
il
popolo
armeno:
nel
301
secondo
la
vulgata,
ma
probabilmente
qualche
anno
più
tardi,
il
re
e
il
suo
popolo
si
convertirono
al
cristianesimo,
che
divenne
la
religione
ufficiale
dello
stato
e
ne
costituì
un
habitus
inalienabile.98
Nella
sua
"Storia
degli
Armeni"
Agatangelo
narra
che
l’imperatore
Diocleziano
in
cerca
di
moglie
s’innamora
di
una
bellissima
e
giovane
monaca
di
nome
Hr̄ ipʿsimē.
Per
evitare
che
il
matrimonio
avesse
luogo,
lei,
la
sua
badessa
Gaianē
e
un
gruppo
di
monache
fuggono
e
si
rifugiano
in
Armenia.
Il
re,
ancora
pagano,
Trdat
dopo
aver
ricevuto
una
lettera
da
parte
dell'imperatore
romano
in
cui
quest'ultimo
descrive
la
bellezza
di
Hr̄ ipʿsimē,
cerca
e
scopre
le
monache
e
di
fronte
al
rifiuto
della
vergine,
già
consacrata
a
Dio,
di
concedersi
a
lui,
le
fa
torturare
e
uccidere.
“Dopo
il
re
trascorse
sei
giorni
in
profonda
tristezza
e
in
immensa
mestizia
per
la
bramosia
della
bellissima
Hr̄ ipʿsimē.
Poi
dispostosi
per
andare
a
caccia
radunati
intorno
a
sé
i
soldati
dà
ordine
raccogliere
le
reti
da
caccia,
distribuire
i
battitori,
distendere
le
funi,
mettere
le
trappole,
andando
a
caccia
nella
piana
di
P῾ar̄ akan
Šemak.
Ma
quando
il
re,
salito
sul
carro,
era
in
procinto
di
lasciare
la
città,
d’improvviso
ricadde
su
di
lui
la
punizione
di
Dio.
Un
demone
immondo
lo
percosse
e
lo
butto
giù
dal
carro.
Egli
iniziò
a
dar
nelle
furie
e
ad
addentare
la
propria
carne
e
come
Nabucodonosor99,
re
di
Babilonia,
perse
la
sua
natura
umana
per
acquisire
quella
di
un
cinghiale,
vivendo
e
abitando
con
loro.
In
seguito
entrato
in
un
canneto,
in
uno
stato
di
abbandono
privo
di
senno
pascolava
fra
le
erbe
e
si
96
Per
gli
stretti
nessi
fra
caccia
e
guerra
Cfr.
P.
Galloni,
Caccia
e
mentalità
guerriera
in
Il
cervo
e
il
lupo.
Caccia
e
cultura
nobiliare
nel
Medioevo,
cit.,
cap.
I.
97
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni,
cit.,IV,
43,
pp.197-‐199.
98
G.
Uluhogian,
Gli
armeni,
cit.,
p.
99
Daniele
4,
25-‐30.
“Al
re
Nabucodonosor
accadde
tutto
quel
che
gli
era
stato
predetto.
Infatti
l'anno
successivo
mentre
il
re
passeggiava
sul
terrazzo
della
reggia
di
Babilonia
esclamò:
'Ecco
Babilonia,
la
grande
città
da
me
costruita
come
residenza
reale.
Essa
mostra
la
mia
grande
potenza
e
il
mio
potere
glorioso!'.
Nello
stesso
istante
in
cui
il
re
pronunziava
queste
parole
una
voce
dal
cielo
disse:
'Re
Nabucodonosor,
ascolta
questo
messaggio:
Il
potere
regale
ti
è
tolto!
Sarai
cacciato
di
mezzo
agli
uomini!
Vivrai
tra
gli
animali
selvaggi,
ti
nutrirai
di
erba
come
i
buoi!
Resterai
per
sette
anni
in
questa
condizione
e
alla
fine
riconoscerai
che
il
Dio
Altissimo
è
il
signore
dei
regni
e
stabilisce
chi
deve
essere
re'.
Queste
parole
si
avverarono
subito:
Nabucodonosor
venne
cacciato
di
mezzo
agli
uomini,
cominciò
a
mangiare
l'erba
come
i
buoi
e
il
suo
corpo
fu
bagnato
dalla
rugiada.
I
suoi
capelli
divennero
lunghi
come
le
penne
delle
aquile
e
le
sue
unghie
come
quelle
degli
uccelli
rapaci.”
12
rotolava
nudo
nella
piana.
Benché
volessero
riportarlo
in
città
non
riuscivano
a
farlo
in
parte
a
causa
della
sua
naturale
possanza
in
parte
per
la
forza
dei
demoni
che
lo
avevano
posseduto.”100
Solo
dopo
ripetute
implorazioni
da
parte
della
sorella
del
re,
San
Gregorio
l’Illuminatore,
che
Trdat
precedentemente
aveva
perseguitato
per
la
sua
predicazione
del
cristianesimo
e
poi
fatto
richiudere
per
tredici
anni
in
un
pozzo
profondo,
xor
virap,
perché
figlio
dell’uccisore
di
suo
padre,
guarirà
il
sovrano,
il
quale
così
si
converte
insieme
a
tutto
il
suo
popolo
alla
religione
cristiana.
Un
altro
sovrano
armeno
Artawasd 101 ,
descritto
da
Mosè
di
Corene
come
“fiero
e
orgoglioso”102
e
massacratore
del
proprio
nemico
Argam
e
dei
suoi
figli
per
gelosia,
ma
anche
per
salvare
l’onore
della
sua
famiglia,
in
quanto
correva
voce
che
sua
madre
avesse
avuto
una
relazione
con
lo
stesso
Argan103,
una
volta
salito
al
trono
scaccia
tutti
i
fratelli
ed
incorre
nell’
avverarsi
della
maledizione
del
padre,
re
Artašid,
per
aver
tentato
di
arrestare
i
sacrifici
funerari
dovuti
al
sovrano.
Così
scrive
lo
storiografo:
“Pochi
giorni
dopo
esser
divenuto
re,
passa
il
ponte
della
città
di
Artašak
per
andare
a
cacciare
i
cinghiali
e
gli
onagri
nei
dintorni
delle
sorgenti
di
Gēn.
Colpito
da
una
vertigine
demenziale,
nel
lanciarsi
invano
con
il
suo
cavallo,
cade
in
un
grande
abisso
e
vi
sparisce
inghiottito.“104
Una
battuta
di
caccia
nell‘Ayrarat105
Dopo
la
conversione
al
cristianesimo
e
la
caduta
ad
opera
dei
Sasanidi
degli
Arsacidi,
che
erano
stati
sovrani
dell’impero
partico
strettamente
imparentati
con
la
linea
dinastica
armena,
il
regno
d‘Armenia
continuava
a
trovarsi
impegnato
in
uno
strenuo
sforzo
diplomatico
e
militare
teso
a
mantenere
e
preservare
la
propria
integrità
territoriale,
culturale
e
religiosa
contro
con
le
mire
espansionistiche
dei
suoi
due
giganti
vicini,
Roma
e
Ctesifonte.
Questa
situazione
trova
una
sua
descrizione
nel
dialogo,
con
metafore
naturalistiche
e
venatorie,
fra
il
re
dei
re
Šapur
II
e
lo
sparapet
dell’
Armenia,
Vasak
Mamikonean,
suo
prigioniero
insieme
al
re
Aršak
II.106
Di
fronte
al
tono
sprezzante
di
Šapur,
100
Agatangelo,
History
of
the
Arminians/Patmowt’iwn
Hayoc’,
Translation
and
commentary
by
R.W.
Thomson,
Albany,
1976,
211-‐212,
pp.216-‐219.
101
Sulla
figura
quasi
leggendaria
di
Artawasd
Cfr.
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.
pp.
84-‐85.
102
Ibid.
II,
51,
p.
180.
103
Ibid.
II,
51,
p.
180.
104
Ibid.
II,
61,
p.
213.
105
L’Armenia
e
l’Iberia,
così
come
la
Colchide
(Georgia
occidentale)
e
l’Albania,
erano
da
tempo
immemorabile
divise
in
lands
o
cantoni,
che
costituivano
la
territorializzazione
delle
tribù
e
dei
clans
i
quali,
all’alba
della
storia,
si
erano
fusi
per
produrre
le
nazioni
caucasiche.
In
seguito
i
“lands”
armeni
si
raggrupparono
insieme
creando
poche
province,
ašxarh,
di
cui
vale
la
pena
menzionare
brevemente
la
collocazione
geografica.
Tre
centrali:
Ayrarat,
la
più
interna
a
nord
del
lago
Van,
Turuberan,
a
ovest,
Vaspurakan
ad
est.
Intorno
a
queste,
in
senso
destrorso,
Gogarene,
al
nord,
Otene,
Arts’akh
(l’attuale
Nagorno
Karabach),
Caspiane,
Siunia,
Persarmenia,
Adiabene,
Gordyene,
Moxoene,
Sophene,
Armenia
Superiore
e
Taik’.
La
maggior
parte
degli
stati
dinastici
della
Grande
Armenia
coincideva
con
queste
provincie:
precisamente
le
loro
dinastie
discendevano
per
la
maggior
parte
dagli
antichi
sovrani
delle
tribù
e
dei
clans
a
cui
questi
territori
erano
appartenuti.
C’erano
tuttavia
degli
stati
che
includevano
intere
provincie
o
quanto
meno
numerosi
lands.
Alcune
dinastie
avevano
accumulato
stati
originariamente
separati.
Cfr.
C.
Toumanoff,
States
and
Dynasties
of
Caucasia
in
the
Formative
Centuries,
part
II,
Gergetown,
1963,
p.
148.
https://archive.org/details/StatesAndDynastiesOfCaucasiaInTheFormativeCenturies.
Dal
punto
di
vista
del
governo
ogni
stato
principesco
costituiva
un
microcosmo
del
regno
d’Armenia;
il
re
arsacide
della
Grande
Armenia,
oltre
d
essere
il
signore
sovrano
si
questi
principi,
era
lui
stesso
un
principe
nel
suo
dominio
regale,
rappresentato
dall’Ayrarat.
Cfr.
C.
Toumanoff,
Introduction
to
christian
Caucasia
history.
The
Formative
Centuries(IVth-‐VIIIth),
in,Traditio,Vol.15(1959),pp.60-‐61.https://archive.org/details/Toum1959Formative.
106
Arsace
era
figlio
di
re
Tiran
d'Armenia.
Nel
334
il
sovrano
dei
Sasanidi
Sapore
II
catturò
padre
e
figlio,
accecando
Tiran,
allo
scopo
di
estendere
il
dominio
sasanide
sull'Armenia.
Questo
atto
era
in
contrasto
col
trattato
romano-‐sasanide
del
297,
che
voleva
l'Armenia
sotto
influenza
romana,
e
osteggiato
anche
dall'aristocrazia
armena,
che
veniva
perseguitata
dagli
zoroastriani
sasanidi
in
quanto
cristiana.
Nel
341
Sapore
decise
di
ricollocare
un’
arsacide
sul
trono
armeno:
poiché
Tiran
era
stato
accecato
e,
in
base
alle
consuetudini,
non
poteva
più
regnare,
salì
al
trono
il
figlio
Arsace.
Allo
scopo
di
bilanciare
l'influenza
sasanide
sul
suo
regno,
Arsace
decise
di
stringere
legami
più
stretti
con
l'Impero
romano:
richiese
all'imperatore
romano
Costanzo
II,
intorno
al
351,
di
stringere
una
alleanza
siglandola
con
un
matrimonio.
Dopo
due
anni
dalla
sua
salita
al
potere
nel
361
l’imperatore
Giuliano
iniziò
una
campagna
contro
i
Sasanidi
che
si
concluse
con
la
sua
morte;
il
nuovo
imperatore
Gioviano,
intrappolato
all'interno
del
territorio
sasanide
insieme
all'esercito
romano,
dovette
firmare
una
pesante
pace
con
Sapore,
accettando,
oltre
alle
perdite
territoriali,
di
non
intervenire
più
in
Armenia.
Sapore
decise
allora
di
deporre
e
imprigionare
Arsace,
che
venne
anche
accecato;
nel
366;
l'ex-‐re
di
Armenia
si
suicidò
in
prigione.
13
che
lo
apostrofa
definendolo
volpe
e
che
gli
promette
la
morte
della
volpe,
Vasak
risponde,
pur
certo
del
destino
che
lo
aspetta,
orgoglioso
della
sua
armenità.
“Ora,
vedendomi
piccolo
di
statura,
non
hai
preso
la
misura
della
mia
grandezza;
finora,
infatti,
io
per
te
ero
un
leone,
e
ora
sono
una
volpe.
Ma
finché
io
ero
Vasak,
ero
un
gigante:
uno
dei
miei
piedi
stava
su
una
montagna
e
l’altro
piede
stava
su
un’altra
montagna,
quando
mi
appoggiavo
sul
piede
destro,
schiacciavo
al
suolo
la
montagna
di
destra,
quando
mi
appoggiavo
sul
piede
sinistro,
schiacciavo
al
suolo
la
montagna
di
sinistra.”
Interrogato
riguardo
a
quali
montagne
si
riferisse
Vasak
risponde:
“Di
quelle
due
montagne
una
eri
tu
e
una
il
re
dei
Greci.”107
Alla
fiera
voce
di
Vasak
farà
eco
però,
pochi
decenni
dopo,
non
una
vittoria,
mala
spartizione
dell’Armenia
fra
impero
romano
e
sasanide
che
determinerà
re
Aršak
a
lasciare
la
terra
dei
suoi
avi,
l’Ayrarat,
caduta
sotto
il
giogo
persiano,
e
migrare
nella
parte
dell’Armenia
rimasta
sotto
la
protezione
dei
romani.
108
In
un
passo
della
Storia
degli
Armeni
di
Lazzaro
di
Parp
viene
descritto
proprio
Re
Aršak
nel
momento
della
partenza
per
l’esilio.
Il
sovrano
rievoca
mentalmente,
con
cuore
turbato
e
pieno
di
nostalgia,
l’avita
terra
dell’Ayrat
che
fa
da
sfondo
al
suo
ricordo
di
una
battuta
di
caccia.
All’ultimo
sguardo
del
re
in
procinto
di
partire
così
si
presenta
la
terra
dell’Ayrarat.
“Opima
produttrice
di
ogni
cosa,
copiosa,
ricchissima
di
beni
e
di
alimenti
per
gli
umani
bisogni
della
vita,
della
prosperità
e
del
diletto;
pianure
vastissime
e
ricche
di
cacciagione;
montagne
circostanti
bellissime,
ubertose,
fertili,
piene
di
selvaggina
erbivora,
animali
selvatici
dagli
zoccoli
fessi,
di
ruminanti
e
di
molti
altri
con
loro.
Da
cui
dall’alto
delle
cime
flussi
d’acque
abbeverando
pianure
non
bisognose
d’irrigazione
forniscono
alla
vasta
popolazione
del
capoluogo,
donne,
uomini,
famiglie,
abbondanza,
di
pane
e
di
vino,
dolcezza
di
erbe
dal
profumo
soave
e
dal
gusto
del
miele,
varietà
di
semi
oleosi.
Mentre
pascoli
ubertosi,
ricchi
di
piante
dal
sapore
gustoso,
sparsi
lungo
i
pendii
o
sulla
sommità
dei
colli,
quando
incontrano
gli
sguardi
degli
uomini
che
li
vedono
per
la
prima
volta,
fan
loro
pensare
a
vesti
variopinte
e
non
a
colori
di
fiori;
le
cui
abbondanti
e
folte
erbe,
col
saziare
numerosi
armenti
di
asini
domestici
e
feroci
branchi
di
animali
selvatici,
li
fanno
apparire
floridi,
pingui,
ben
pasciuti,
per
il
grasso
(diffuso)
in
tutto
il
loro
corpo.
Le
pianure
contengono
piante
fragranti
ricercate
dai
valenti
guerrieri
e
dai
pastori
per
la
cura
delle
ferite…vi
si
trovano
numerose
radici,
utili
ai
dotti
medici
che
le
apprezzano,
per
farne
medicamenti…i
minatori
trovano
oro,
rame
e
pietre
preziose…vermi
nutriti
dalle
piante
offrono
profitto
e
lusso
grazie
a
rossi
colori
decorativi
che
essi
producono…I
fiumi
sono
pieni
pesci
diversi
di
forme
e
sapori
differenti.
(Pesci)
che
causano
diletto,
aumentando
il
profitto
(alimentare)
e
riempiendo
lo
stomaco
di
coloro
che
(
monaci
?)
senza
sosta
si
sforzano
ad
ottenere(l’ascesi).”109
Sguardo
del
re
che
in
realtà,
quasi
in
un
gioco
di
specchi
riflessi,
è
anche
quello
di
Lazzaro
di
Parp,
uomo
“permeato
di
superiorità
intellettuale,
appassionato
di
caccia
e
di
pesca,
innamorato
della
sua
terra
natale,
l’Ayrarat,
ed
amante
della
buona
tavola”,
il
quale
per
motivi
107
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni,
cit.,
IV,
54,
p.145.
108
Nella
polarità
Roma-‐Ctesifonte,
i
re
armeni
gravitavano
sotto
l’autorità
dello
stato
romano
ma
allo
stesso
tempo
erano
attratti
dall’aristocratico
e
più
affine
impero
sasanide.
Nel
377/8
lo
sparapet
Manuēl
Momikonean,
leader
dei
principi
armeni,
cacciò
il
re
Varazdat
ed
assunse
le
redini
del
potere;
la
paralisi
dell’impero
romano
all’indomani
della
disfatta
di
Adrianopoli
e
le
promesse
di
una
tolleranza
religiosa
e
di
un’autonomia
politica
da
parte
di
Sapore
II
indussero
Manuēl
Momikonean
a
riconoscere
i
diritti
di
sovranità
al
re
dei
re.
Presto
però
la
debolezza
di
Sapore
e
dei
suoi
successori
e
la
salita
al
potere
di
Teodosio
il
Grande
convinsero
Manuēl
a
ritornare
sotto
l’orbita
dell’impero
romano.
Pur
restaurando
due
fratelli
della
dinastia
arsacide,
Arsace
III
e
Vologase,
lo
sparapet
continuò
a
dirigere
il
governo
fino
alla
sua
morte
nel
385/6.
Da
quel
momento
però
iniziò
la
fine
della
cooperazione
dei
sovrani
con
le
famiglie
dinastiche
armene.
Alcuni
principi
si
rivoltarono
contro
Arsace
e
chiesero
a
Ctesifonte
un
nuovo
re
arsacide,
cosa
che
da
una
parte
portò
all’invasione,
da
parte
dei
Sasanidi,
di
gran
parte
del
regno
e
dall’altra
alla
migrazione
del
re
in
quello
che
rimaneva
dell’Armenia
sotto
l’impero
romano.
Furono
quindi
le
discordie
interne
a
determinare
la
fine
del
regno
armeno,
perché
Teodosio
e
Sapore
III
si
accordarono
per
stipulare
un
trattato
di
pace
che
sanciva
la
già
concreta
divisione
dell’Armenia:
con
la
pace
di
Acilisene
del
387
venne
ratificata
l’esistenza
di
due
regni
armeni,
uno
sotto
Roma
e
l’altro
sotto
Ctesifonte,
dove
però
l’impero
sasanide,
quanto
ad
estensione
territoriale,
faceva
la
parte
del
leone.
Cfr.
.
C.
Toumanoff,
States
and
Dynasties
of
Caucasia
in
the
Formative
Centuries,
cit.
p.
61.
109 Łazar
P'arpec'i, Patmowt’iwn
Hayoc’,
14
religiosi,
in
quanto
accusato
di
eresia,
è
costretto
anch’egli
all’esilio
ad
un
certo
punto
della
sua
vita.110
Lazzaro
dimostra
in
questo
brano
innanzitutto
una
fine
conoscenza
da
naturalista
che
per
molti
aspetti
ricorda
quella,
circa
due
secoli
dopo,
di
un
altro
monaco
di
vastissima
cultura,
Beda
il
Venerabile,
autore
non
solo
di
opere
teologiche,
educative
e
storiche,
ma
anche
scientifiche.
La
descrizione
della
Britannia
fra
il
settimo
e
l’ottavo
secolo
ci
offre
interessanti
analogie
con
quell
dell’Ayrarat,
presumibilmente
segno
di
un’atteggiamento
intellettuale
affine
a
quello
dello
storiografo
armeno.111
Dalla
rappresentazione
dell’Ayrarat
possiamo
evincere
alcune
caratteristiche
non
solo
oro-‐
geografiche
ed
eco-‐ambientali
ma
anche
antropologiche
di
questa
regione
storica
sita
nel
cuore
dell’Armenia.
Sullo
sfondo
delle
vette
caucasiche
e
dei
due
monti
che
dominano
l’acrocoro
armeno,
l’Ararat
e
l’Aragac,
viene
descritta
una
terra
che
racchiude
nel
proprio
sottosuolo
oro,
rame
e
pietre
preziose,
pianure
fertili
perché
ricche
di
acque
pescose
provenienti
dai
numerosi
rivi
montani,
colture
cerealicole
e
vitigni
e
incolti
in
parte
sfruttati
dall’uomo
per
la
pastorizia
e
in
parte
pascoli
per
gli
animali
selvatici
e
le
fiere.
Terra
di
guerrieri,
monaci,
artigiani,
pastori,
contadini,
minatori,
pescatori
e
anche
di
donne,
uomini,
famiglie
abitanti
un
grande
centro
urbano
che
funge
da
capoluogo.112
Lazzaro,
pur
insistendo
molto
sull’abbondanza
e
varietà
di
piante,
erbe,
fiori,
semi
oleosi
e
radici
a
uso
officinale,
non
entra
nel
dettaglio
tassonomico
e
descrittivo
delle
varie
specie
vegetali
che
comunque
si
può
cercare
di
ricostruire
a
partire
dalle
ricerche
sulla
storia
della
flora
armena
di
Saghatelyan. 113
In
ambito
faunistico
e
venatorio
invece
si
dimostra
un
osservatore
molto
attento
e
colto.
All’occhio
dello
scrittore
armeno,
all’amante
della
caccia
e
del
mondo
della
natura,
non
sfuggono
soprattutto
gli
animali
selvatici,
potenziali
prede
della
sua
passione
venatoria.
Ma
quali?
Ripercorrendo
le
fonti
fino
ad
ora
citate
risulta
trattarsi
di
ungulati
(animali
dagli
zoccoli
fessi),
ruminanti,
cinghiali,
onagri
e
animali
feroci,
presumibilmente
felini
e
ursidi.
La
presenza
di
questi
animali,
attestati
dagli
storiografi,
trova
conferma
nel
lavoro,
pubblicato
nel
1959,
ma
ancor
oggi
punto
di
riferimento
per
le
ricerche
più
recenti,
sulla
storia
e
l’evoluzione
dei
mammiferi
nella
regione
caucasica,
dell’accademico
delle
scienze
dell’ex
Unione
Sovietica,
Vereshchagin.114
110
Cfr.
G.
Dédéyan
(a
cura
di),
Storia
degli
Armeni,
cit.,
p.
130.
111
“Opīma
frugibus
atque
arboribus
īnsula,
et
alendīs
apta
pecoribus
ac
iūmentīs;
vīneās
etiam
quibusdam
in
locīs
germināns,
sed
et
āvium
ferāx
terrā
marīque
generis
dīversī;
fluviīs
quoque
multum
piscōsīs
ac
fontibus
praeclāra
cōpiōsīs,
et
quidem
praecipuē
issicīō
abundat
et
anguillā…
Sunt
et
cocleae
satis
superque
abundantēs,
quibus
tīnctūra
coccineī
colōris
cōnficitur,
cuius
rubor
pulcherrimus
nūllō
umquam
sōlis
ārdōre,
nūllā
valet
pluviārum
iniūriā
pallēscere,
sed
quō
vetustior
eō
solet
esse
venustior…
Quae
etiam
vēnīs
metallōrum—aeris,
ferrī,
et
plumbī,
et
argentī—fēcunda,
gignit
et
lapidem
gagātēm
plūrimum
optimumque…”
Bēda
Venerābilis,
Historia
ecclesiastica
gentis
Anglorum,
I,
5-‐10.
112 L'antica
città
di
Dvin
fu
costruita
da
Xosrov
III
Kotak
nel
IV
secolo,
nel
luogo
in
cui
sorgeva
un
antico
insediamento
e
fortezza
del
III
millennio
a.C.
Da
allora
la
città
fu
usata
come
residenza
principale
dei
re
armeni
della
dinastia
degli
Arsacidi
d'Armenia.
Cfr.
Encyclopaedia
Iranica.
113
“Flora
of
Armenia
comprises
some
3342
species
of
vascular
plants
in
823
genera
of
130
families
on
a
land
area
of
ca
35,360
sq.
km.
Ten
largest
families
have
2036
species
(62%
of
all
sp.).
The
largest
genera
are
Astragalus,
Carex,
Centaurea,
Veronica,
Allium,
Silene,
and
Vicia.
Almost
half
of
the
flora
is
represented
by
the
Ancient
.Mediterranean
and
one
third
by
the
Irano-‐Turanian
geo-‐element The
majority
species
of
Liliidae
in
the
flora
of
Armenia
had
originated
in
the
Eastern
Mediterranean-‐Western
Asian
(including
Trans-‐Caucasus)
secondary
center
of
speciation
and
have
Gondwanan
ancestors.
Species
of
Liliaceae,
Orchidaceae,
Melanthiaceae,
and
Convallariaceae
have
olygotypic
genera
and
reveal
Laurasian
connections
of
the
flora.Among
Dicots,
Boraginaceae,
Rhamnaceae,
Zygophyllaceae,
Jaubertia
haveGondwanan
roots.
The
majority
of
large
genera
and
families
have
predominance
ofthe
Thetyan
element.
Most
important
are:
Papaveraceae,
Plumbaginaceae,
Caryophyllaceae,
Chenopodiaceae,
Fabaceae,
Brassicaceae,
Boraginaceae,
Lamiaceae,
and
Apiaceae.
In
the
largest
family
Asteraceae
80%
of
species
are
endemic
to
Ancient
Mediterranean.
Laurasian
element
is
better
expressed
in
Cyperaceae,
Poaceae,
Ranunculaceae,
Polygonacae,
Geraniaceae,
Trifolieae,
Vicieae,
Gentianaceae,
and
Rubiaceae.
Some
large
and
old
families
like
Rosaceae,
Fabaceae,
Poaceae,
and
Scrophulariaceae
have
a
mixture
of
different
elements.”
Cfr.
A.
Saghatelyan,
Flora
of
Armenia:
Ist
Composition,
Analysis
and
Relationship,
in
Turczaninowia, 2006,
9(3),
pp..5-‐47.
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjdmsKNmqXiAhVL6KQKHRZiBM8Q
FjAAegQIAxAB&url=https%3A%2F%2Fcyberleninka.ru%2Farticle%2Fn%2Fflora-‐of-‐armenia-‐ist-‐composition-‐analysis-‐and-‐
relationships&usg=AOvVaw1kWVmX3I5EOArichBshcy9.
114
N.K.
Vereshchagin,
The
mammals
of
the
Caucasus;
a
history
of
the
evolution
of
the
fauna.
(Mlekopitayushchie
Kavkaza;
istoriya
formirovaniya
fauny)
Mosca-‐Leningrado,1959.
http://biodiversitylibrary.org/permissions
15
In
epoca
recente
invece
Chahoud
e
coll.,
confrontando
i
risultati
emersi
da
indagini
fossili
e
zooarcheologiche
effettuate
nei
“desert
kites”115
e
sulle
incisioni
rupestri
di
Gełam,
Vardenis
e
Syunik116
con
la
fauna
armena
contemporanea,
hanno
studiato
la
distribuzione
geografica
e
l’evoluzione
diacronica,
dal
Pleistocene
fino
ai
tempi
odierni,
sia
delle
specie
dei
grandi
mammiferi
ungulati
che
dell’attività
venatoria
di
cui
erano
oggetto.117
In
Armenia
fin
dalla
preistoria
era
presente
una
grossa
gamma
di
grandi
mammiferi
quali
l’uro
(Bos
primigenius) 118 ,
il
bisonte
(Bison
bonasus
caucasicus) 119 ,
la
capra
del
Caucaso
(Capra
caucasica),
l’egagro
(Capra
aegagrus)120,
il
muflone
(Ovis
orientalis)121,
il
capriolo
(Capreolus
capreolus)122,
il
cervo
(Cervus
elaphus)123,
l’alce
(Alces
alces),
il
cinghiale
(Sus
scrofa),
il
cavallo
selvaggio
(Equus
ferus),
l’onagro
(Equus
hemionus)124
e
la
gazzella
(Gazella
subgotturosa)125.
Molti
di
questi
animali
erano
le
prede
predilette
anche
nell’occidente
europeo:
il
cervo,
la
preda
più
ambita,
il
capriolo,
il
cinghiale,
camosci,
stambecchi,
orsi,
uri
e
bisonti.126
Dove
comunque
Lazzaro
ci
dà
una
descrizione
accuratissima,
non
dissimile
da
quella
di
un
ornitologo,
è
nel
passo
seguente
dedicato
agli
uccelli
che
popolano
l’Ayrarat
molto
aprezzati
dai
cacciatori
della
nobiltà
armena.
“La
terra
in
sè
alimenta
grazie
alle
acque
condotte
per
i
canali
anche
una
gran
moltitudine
di
uccelli
per
il
piacere
e
il
diletto
degli
azat
amanti
della
caccia:
stormi
di
pernici
e
fagiani
dal
crocciare
sonoro
che
stanno
fra
i
sassi,
s’insinuano
fra
le
rupi
e
si
nascondono
nei
buchi
della
terra
o
la
specie
gustosa
dei
pterocli
selvatici
dal
corpo
grassoccio
che
vivono
fra
i
canneti,
si
nascondono
nei
cespugli
e
fra
le
macchie;
inoltre
gli
uccelli
dal
corpo
grande
e
grossi
che
hanno
il
becco
dritto,
vanno
sott’acqua
e
si
nutrono
d’alghe,
cigni,
pellicani
ed
oche,
ed
altri
molti
ed
innumerevoli
stuoli
di
uccelli
di
terra
e
di
acqua.”127
Analoga
attenzione
al
comportamento
degli
uccelli,
che
rivela
la
loro
particolare
importanza
115
Le
prime
pubblicazioni
relative
ai
kites
risalgono
alla
fine
degli
anni
’20
del
secolo
scorso,
quando,
all’epoca
del
mandato
franco-‐
britannico
sul
Vicino-‐Oriente,
gli
aviatori
della
Royal
Air
Force
notarono
in
Giordania
e
nei
deserti
della
Siria,
delle
strutture
estese
per
numerosi
chilometri,
visibili
nel
loro
insieme
solo
dall’alto,
dalle
forme
strane
simili
a
quelle
di
un
cervo
volante,
da
cui
origina
il
nome.
Dall’epoca
dei
primi
avvistamenti
fino
al
2009
ne
sono
stati
individuati
più
di
tremila
in
un’area
geografica
che
comprende,
oltre
al
Vicino-‐
Oriente,
le
regioni
comprese
fra
il
Lago
d’Aral
e
il
Mar
Caspio;
in
Armenia
ne
sono
stati
individuati
fino
ad
ora
194
sulle
pendici
basaltiche
occidentali
del
Monte
Aragac.
Le
ricerche
archeologiche
e
in
particolare
quelle
geo
e
archeo-‐zoologiche,
hanno
dimostrato
che
si
tratta
di
“
demi-‐piège
“,
cioè
non
di
trappole
vere
e
proprie,
in
quanto
non
richiedenti
la
presenza
di
un
uomo,
ma
di
“
semi-‐trappole
“,
vale
a
dire
di
strumenti
di
cattura
che
prevedevano
la
presenza
di
più
cacciatori
attivamente
impegnati
nell’attività
venatoria;
nello
specifico
si
tratta
di
strutture
archeologiche
composte
da
muretti
a
secco
o
da
semplici
allineamenti
di
pietre,
estese
a
volte
per
diversi
chilometri,
a
forma
d’imbuto
che
sbucano
in
un
recinto
che
può
raggiungere
la
dimensione
di
alcuni
ettari.
Quelle
in
territorio
armeno
servivano
per
battute
collettive
di
caccia
stagionale
a
mandrie
di
gazzelle
e
orici,
che
prevedevano
la
presenza
di
un
numero
cospicuo
di
battitori.
Brochier
Jacques-‐Elie,
Barge
Olivier,
Karakhanyan
Arkadi,
Kalantaryan
Iren,
Chataigner
Christine,
Chambrade
Marie-‐Laure,
Magnin
Frédéric.
Kites
on
the
margins.
The
Aragats
kites
in
Armenia,
in
Paléorient,
2014,
vol.
40,
n°1.
pp.
25-‐53;
doi
:
10.3406/paleo.2014.5615
http://www.persee.fr/doc/paleo_0153-‐9345_2014_num_40_1_5615
116 Le
incisioni
rupestri
più
antiche
di
Gełam,
Vardenis
e
Syunik,
che
mettono
in
scena
la
caccia
e
i
suoi
attori
(
cacciatori,
armi,
prede
ed
animali
ausiliari
)
risalgono
al
V-‐IV
millenio
a.C.;
esse
ci
mostrano
cacciatori
solitari
o
in
gruppo,
muniti
di
randelli,
spiedi,
archi
e
frecce,
spesso
accompagnati
da
cani,
che
inseguono
o
spingono
verso
dei
recinti
vari
tipi
di
animali:
egagri,
cervi,
felini,
cinghiali.
Cfr.
Nina
Manaserian,
Chasseur
et
proies
en
Armenie
antique,
in
La
chasse.
Pratiques
sociales
et
symboliques,
Paris
2006,
pp.
27-‐36.
117
J.
Chahoud,
E.
Vila,
A.
Balasescu,
R.
Crassard,
The
diversity
of
Late
Pleistocene
and
Holocene
wild
ungulates
and
kite
structures
in
Armenia,
in
Quaternary
international,
395:133-‐153,
2016.
118
Estinto
nel
XVII,
viveva
negli
spazi
aperti
del
sud
e
sugli
altopiani
dell’Armenia.
119
Estinto
nel
XIX
sec.
Presente
nelle
steppe
boschive
e
nelle
foreste.
120
Viveva
nella
parte
orientale
della
catena
del
Grande
Caucaso,
nella
zona
meridionale
delle
montagne
del
Basso
Caucaso
e
sugli
altipiani.
Attualmente
è
presente
solo
in
aree
protette.
121
Alcune
centinaia
di
capi
si
trovano
ancora
nel
Sud
dell’Armenia.
122
La
distribuzione
del
capriolo
copre
le
steppe
delle
rive
meridionali
del
Lago
di
Sevan.
123
La
distribuzione
storica
copriva
le
pendici
settentrionali
del
Grande
Caucaso
e
i
margini
occidentali
del
Lago
di
Sevan;
attualmente
si
trova
nei
distretti
di
Erevan
e
Armavir
e
sulle
pendici
settentrionali
del
monte
Aragac.
124
L’Onagro,
a
causa
della
carne
pregiata,
è
uno
degli
animali
più
frequentemente
cacciati
di
cui
si
fa
menzione
fino
all’XI-‐XII
sec.
125
Attualmente
estinta
sopravvive
solo
in
riserve
naturali
dell’Azerbaijan.
126
Cfr.
M.
Montanari,
Gli
animali
e
l’alimentazione
umana,
in
L'uomo
di
fronte
al
mondo
animale
nell'alto
Medioevo,
settimane
di
studio
del
Centro
italiano
di
studi
sull’alto
Medioevo,
Spoleto,
1984,
I,
pp.
632-‐633.
127
Łazar
P'arpec'i, Patmowt’iwn
Hayoc’,
16
dal
punto
di
vista
venatorio
e
alimentare,
la
troviamo
ne
Le
Calendrier
de
Cordoue,
testo
bilingue
arabo-‐latino
del
961;
oltre
che
fungere
da
calendario
liturgico
per
le
feste
musulmane
e
cristiane,
ci
offre
informazioni
sia
sui
cicli
solari
e
lunari,
sulla
durata
del
giorno
e
della
notte,
sulle
stagioni
e
sullo
zodiaco
sia
sui
lavori
agricoli,
sull’allevamento
e
sulla
vita
degli
uccelli,
ivi
e
soprattutto
compresi
astori
e
falconi.128
Sullo
sfondo
naturale
e
culturale
dell’Ayrarat
Lazzaro
descrive,
in
modo
vivido
e
realistico
la
battuta
di
caccia
che
re
Aršak
rivive
nella
propria
mente.
“Dunque
schiere
di
naxarar
in
compagnia
dei
figli
degli
azat
se
ne
vanno
a
caccia
con
vari
tipi
di
reti;
mentre
taluni
rincorrendo
onagri
e
caprioli
si
dan
voce
e
richiami
con
baldanza
da
arcieri,
altri
invece
cavalcando
a
briglia
sciolta
dietro
ai
branchi
dei
cervi
e
delle
cerve
fan
mostra
del
loro
valore
d’arcieri,
altri
con
le
spade
come
duellanti
uccidono
facendoli
voltolare
branchi
di
cinghiali
dalle
membra
possenti.
E
molti
fra
i
figlioli
dei
naxarar
con
i
loro
precettori
e
con
i
servi
cacciando
con
i
falconi
diverse
specie
di
uccelli,
al
ritorno
porteranno
in
aggiunta
cibi
all’allegria
della
festa;
e
così
tutti
colmi
di
selvaggina
se
ne
vanno
contenti.
Di
sentinella,
tenutili
d’occhio
come
sono
soliti
fare
ogni
giorno,
i
figlioli
dei
pescatori
sguazzanti
a
caccia
sul
pelo
dell’acqua
corsi
innanzi
ai
nobili
naxarar,
danno
in
dono
ai
signori
i
pesci
cacciati
e
i
piccoli
e
le
uova
di
uccelli
selvatici
d’ogni
sorta,
portati
dalle
isole
del
fiume.
Dai
quali
accettata
volentieri
una
parte
(dei
loro
doni),
i
naxarar
offrono
anch’essi
dalle
loro
cacciagioni
secondo
quanto
è
bastevole
in
abbondanza
agli
offerenti.”129
Fino
ad
ora
siamo
stati
testimoni
di
fonti
storiche
che
esaltavano
le
prodezze
venatorie
di
tanti
re
e
imperatori
tese
a
evidenziare
in
modo
molto
spesso
encomiastico
la
loro
potenza
come
sovrani-‐guerrieri,
per
cui
l’assenza
diretta
di
re
Aršak
nella
battuta
di
caccia
apparentemente
stupisce.
La
propria
maestà
di
sovrano
sembra
invece
mostrarsi
in
tutta
la
sua
evidenza
proprio
perché
tutto
si
svolge
e
tutto
è
compreso
nel
suo
sguardo
interiore,
nella
sua
mente
in
cui,
nel
dispiegarsi
armonioso
di
cacciatori,
armi
e
animali,
si
riflette
il
suo
ideale
di
una
concordia
regni
ad
un
tempo
irrimediabilmente
perduta
e
di
un’ineguagliabile
superiorità
rispetto
ai
due
nemici
nelle
mani
dei
quali
il
suo
regno
è
caduto.
Concordia
et
armonia
regni
garantiti
dal
fatto
che
ogni
uomo
del
paese
occupava
il
posto
a
lui
assegnato
dal
sovrano.
Nel
narrare
il
ripristino
dell’ordine
legale
in
Armenia
ad
opera
re
Aršak130,
dopo
un
periodo
di
sfacelo
delle
istituzioni
a
causa
dei
conflitti
coi
Sasanidi,
così
scrive
Fausto
di
Bisanzio:
“E
la
sovranità
del
regno
d’Armenia
fu
rinnovata,
si
rinvigorì
come
nel
passato:
ciascun
magnate
sul
proprio
trono,
ciascun
funzionario
nel
proprio
rango.”131
Già
si
è
fatta
menzione
della
riorganizzazione
del
regno
da
parte
di
re
Vałaršak.
Mosè
di
Corene
narra
che,
nel
riassestare
l’Armenia,
re
Vałaršak,
in
primo
luogo
si
preoccupa
di
128
“Mensis
Januarii…et
faciunt
falcones
Valentie
nidos
suos,
et
incipiunt
coire…et
inveniuntur
pulli
anserum
et
anatium.
Mensis
Februarii…Et
convertuntur
grue
ad
insulas.
Mensis
Marcii…et
ipso
ponunt
ovam
falcones
Valentie
in
insula
et
incubant
super
ova
triginta
diebus
usque
ad
principium
Aprilis..et
coeunt
pavones,
et
ciconie,
et
turtures,
et
multe
avium.
Mensis
Aprilis…et
in
ipso
egrediuntur
pulli
falconum
valentinorum
ex
ovis
suis;
deinde
vestiuntur
pennis
usque
ad
triginta
dies,
et
apparent
canuli
cervorum…et
pariunt
ova
pavones,
et
ciconie,
et
multe
aves.
Mensis
Mai…Et
ponuntur
in
muta
accipitres
et
falcones,
et
remanent
in
muta
usque
ad
principium
Augusti
aut
af
finem
eius,
secundan
quantitatem
virtutis
eorum
et
sanitates
ipsorum
et
egrediuntur
pulli
asipheti
(id
est
cristarelle)
et
accipitrum
ex
ovis
suis,
et
vestiuntur
pennis
usque
ad
triginta
dies.
Et
veniunt
grues
estive
ex
insulis.
Et
pavones
faciunt
filios,
et
galline
marine,
et
ciconie,
et
passeres,
et
multe
avium.
Mensis
Iunius…Et
accipiuntur
pulli
turturis
et
invenientur
pinguedines
cervorum,
et
faciunt
pullos
anates
campestres
in
insulis
et
in
maribus;
et
quando
volant
pulli
earum,
permutantur
ad
flumina
et
cursus
aquarum.
Mensis
Iulius…Et
in
ipso
multiplicantur
aves
aquatice
sicut
assacassik
et
similes
eius.
Et
in
ipso
apparent
pulli
et
similes
eis.
Et
in
ipso
apparent
pulli
perdicum
et
venantur.
Mensis
Augustus…et
in
ipso
stimulantur
struciones
ad
coitum,
et
auditur
vox
masculi
a
longe.
Mensis
September…Et
in
ipso
egrediuntur
falcones
allebliati
ex
mari
Oceani,
et
venantur
usque
ad
principium
veris.
Et
in
ipso
convertuntur
irundines
irundines
ad
ripas
maris,
et
in
ispo
albificantur
capita
algaguab,
et
sunt
ex
avibus
aquaticis;
deinde
rodeunt
capita
earum
nigra
in
principio
veris.
Mensis
Octuber…et
apparent
turdi
albi
et
nigri,
et
veniunt
grues
hyemalis
ex
insulis.”
Le
Calendrier
de
Cordoue
de
l'année
961,
Texte
Arabe
et
ancienne
traduction
Latine.
Publié
par
R.
P.
A.
Dozy,
Leyde
1873,
pp.
25,
33,
41,
49,
58,
67,
75,
84,
91-‐92,
100.
http://mdz-‐nbn-‐resolving.de/urn:nbn:de:bvb:12-‐
bsb11156573-‐1.
129
Łazar
P'arpec'i, Patmowt’iwn
Hayoc’,
130
Vedi
sopra
nota
107.
131
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni,
cit.
IV,
2,
p.
78.
17
conferire
le
cariche
più
importanti
ai
naxarar
del
regno:
quella
di
porre
la
corona
sulla
testa
del
re,
t῾agadir,
di
comandare
la
cavalleria,
aspet,
di
guidare
l’esercito
in
caso
di
guerra,
sparapet,
e
così
di
seguito.
Una
volta
stabilite
le
regole
della
casa
reale
“distingue
dei
gradi
nell’esercito,
primo,
secondo,
terzo
e
così
di
seguito.
Nomina
due
relatori
incaricati
di
ricordare
per
iscritto
al
re
l’uno
il
bene
l’altro
le
punizioni
da
esercitare.
Nomina
giudici
nel
palazzo
reale,
nelle
città…ordina
che
i
cittadini
godano
di
più
onore
e
stima
che
i
contadini,
che
i
contadini
onorino
i
cittadini
come
dei
principi,
ma
che
i
cittadini
non
siano
troppo
alteri
nei
confronti
dei
contadini
e
si
comportino
da
fratelli
per
mantenere
il
buon
ordine
e
la
concordia
,
che
sono
le
condizioni
di
una
vita
prospera
e
pacifica.”132
Anche
nel
dispiegarsi
della
battuta
di
caccia
di
re
Aršak
il
corteo
dei
personaggi,
naxarar,
azat,
figli
di
nobili,
istitutori,
servi,
figli
di
pescatori,
uomini
operosi
rimasti
a
casa,
ospiti,
si
sussegue
in
relazione
reciproca
di
concordia,
particolarmente
evidente
nel
momento
di
scambio
di
doni
venatori
fra
i
naxarar
e
i
figli
dei
pescatori
e
nel
fatto
che
le
prede
migliori
vengono
riservate
agli
uomini
operosi
rimasti
a
casa
e
ancor
di
più
agli
ospiti.
Questa
gerarchia
di
uomini
si
riflette
anche
negli
stili
di
caccia
dai
più
cruenti
e
pericolosi
a
quelli
vili:
le
reti,
l’inseguimento
a
piedi
o
a
cavallo,
l’arco
e
la
spada
spettano
ai
nobili,
i
falconi
ai
loro
figli
e
le
mani
nude,
per
così
dire,
ai
figli
dei
pescatori.
Pure
nei
tipi
di
prede
sembra
riverberarsi
questa
distinzione
di
classe.
I
grandi
animali
di
terra,
onagri,
caprioli,
cervi,
cinghiali
spettano
ai
nobili
adulti,
gli
uccelli
ai
loro
figli,
i
pesci,
i
piccoli
e
le
uova
di
uccelli
selvatici
ai
piccoli
pescatori.
Tuttavia
questa
armonica
relazione
fra
le
classi
sociali133
rimane
un’utopia
mai
raggiunta;
anzi
le
controversie
fra
la
corona
e
i
magnati
della
grande
aristocrazia,
che
avevano
sempre
rischiato
di
compromettere
la
coesione
interna
del
regno,
furono
proprio
la
causa
della
perdita
dell’indipendenza
dell’Armenia
e
dell’autoesilio
di
re
Aršak.
134
In
realtà
la
struttura
politica
armena
”was
marked
by
a
symbiosis
of
full
dynasticism
and
full
feudalism”,
vale
a
dire
che
le
terre
dei
principi,
in
quanto
sottomesse
all’autorità
della
corona,
potevano
considerarsi
dei
feudi
signorili,
ma
in
realtà
non
si
potevano
considerare
dei
feudi
propriamente
detti,
se
s’intende
per
feudo
un
possesso
non
eridatario
condizionato
dalla
concessione
del
re
in
cambio
di
servigi
alla
corona.
Il
servizio
militare
che
i
loro
beneficiari
rendevano
al
re
era
considerato
più
un
privilegio
che
un
dovere.
I
domini
principesci
costituivano
dei
principati
autonomi,
trasmessi
per
diritto
ereditario
secondo
la
legge
della
primogenitura
e
imprescindibile
dalla
famiglia
d’appartenenza
guidata
dal
capo,
tēr,
della
famiglia
stessa;
inoltre
godevano
di
un’autonomia
fiscale,
amministrativa
e
giudiziaria
non
acquisita,
ma
inerente
alla
loro
origine
da
clan
famigliari
presenti
in
territorio
armeno
da
tempi
immemorabili.135
Il
re
aveva
poteri
limitati
ed
era
considerato
primus
inter
pares;
la
Lista
delle
precedenze
(Gahnamak)136,
e
la
Lista
militare
(Zoranamak)
definivano
rispettivamente
il
rango
di
ciascuno
e
il
contingente
di
cavalleria
che
il
principe
doveva
fornire
in
caso
di
guerra;
la
coesione
del
regno
si
fondava,
più
che
sull’autorità
del
re,
ma
sulla
coscienza
dei
principi
di
appartenere
ad
uno
stesso
popolo,
dalla
cultura,
tradizioni
e
interessi
comuni.137
132 Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.,
II,
7-‐8,
pp.
161-‐167.
133
L’organizzazione
della
società
armena
in
epoca
arsacide
era
fondata
sulla
suddivisione,
fortemente
gerarchica,
nelle
classi
dei
grandi
magnati
(
ičxan
o
naxarar),
liberi
cavalieri
(azat)
e
popolo
comune
costituito
da
artigiani,
contadini
e
popolazione
urbana
(łamik
derivato
dall’iranico
con
il
significato
di
banda
o
branco
o
massa).
Cfr.Introduction
in
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.,
p.
53.
134
Cfr.
C.
Toumanoff,
States
and
Dynasties
of
Caucasia,
cit.,
p.
151.
135
Cfr.
C.
Toumanoff,
Introduction
to
christian
Caucasia
history,
cit.
,
p.59.
136
“À
L’époque
des
rois
de
la
maison
Arsacides,
c’est–à-‐diredu
I
au
V
siècle,
la
place
d’un
naxarar
dans
l’ordre
de
préséance
était
fixé
par
le
rang
du
trone
(en
arménien
gah,
ou
de
barj
(coussin)
qu’il
occupait
aux
réception
royales.
Un
document
intitulé
gahnamak
(Livre
de
gah
ou
mieux
Liste
de
préséances)
établissait
la
successsion
de
gah,
commençant
par
le
plus
honorable,
et
qui
determinait
aussi
leur
dignité,
ce
que
les
Arméniens
appellait
patiw.
K.
Yuzbashian,
Les
titres
byzantins
en
Arménie,
in
L’Arménie
et
Byzance.
Hisoire
et
Culture,
Paris
1996,
p.
213.
137
Cfr.
Introduction
in
Histoire
de
l’Armenie
par
Moïse
de
Khorène,
cit.,
p.
53.
18
Vediamo
ora
di
prendere
in
esame
gli
strumenti
venatori
della
caccia
descritta
da
Lazzaro:
quanto
ai
nobili,
non
si
fà
distinzione
d’importanza
fra
l’uso
di
spade,
di
arco
e
di
reti
e
trappole,
peraltro
usate
anche
da
re
Trdat
nel
passo
di
Agatangelo
citato
sopra.
Riguardo
all’uso
delle
reti,
nella
caccia
italica
e
greca,
a
cui
Senofonte
nel
suo
libro
sulla
cinegetica
dedica
tutto
il
secondo
capitolo,
esse
costituivano,
specie
in
quella
a
piedi
al
cinghiale
e
ai
cervidi,
un’elemento
necessario
ed
essenziale.138
Affatto
diversamente
accadeva
nell’occidente
d’Europa
fra
tardo
antico
e
alto
Medioevo
dove
reti
e
trappole,
come
riferisce
Galloni,
erano
caratteristici
strumenti
venatori
“dei
pauperes,
gli
umili
contadini…
che
cacciavano
a
piedi
e
male
armati…
mentre
il
nobile
cacciava
a
cavallo,
segno
di
distinzione
sociale.”139
La
spada
ci
viene
descritta
come
arma
contro
i
cinghiali.
Anche
in
epoca
romana
e
poi
in
quella
merovingia
e
carolingia
essa,
specialmente
nel
corpo
a
corpo
delle
fasi
finali
contro
il
cinghiale
o
grossi
ungulati,
costituiva
lo
strumento
venatorio
privilegiato
perché
permetteva,
nello
scontro
diretto,
come
in
guerra
e
nel
duello,
di
esibire
la
propria
forza,
coraggio
e
audacia.
Ne
è
un
esempio
esemplare
quello
della
caccia,
già
citata
precedentemente,
di
Carlo
Magno,
che,
alla
presenza
degli
ambasciatori
persiani
impauriti,
affronta
extracta
spada
uri
e
bisonti
e
cinghali.
L’uso
dell’arco,
in
quanto
non
comporta
uno
scontro
diretto
con
la
preda,
non
trova
in
occidente
un
posto
privilegiato,
eccezion
fatta
della
descrizione
della
maestria
come
arciere
di
re
Theodorico
di
cui
si
già
fatta
menzione
prima.
Mentre
in
oriente
l’abilità
nell’uso
d’arco
è
considerato
segno
del
valore
di
un
cacciatore
e
tanto
più
di
un
guerriero.
B.
Sergent,
sviluppando
le
ricerche
di
Vidal-‐Naquet
et
Le
Goff
sullo
statuto
dell’arco,
inferiore
per
la
Grecia
antica
e
la
Francia
medioevale
e
di
segno
opposto
per
l’India140,
sostiene
che
non
soltanto
Grecia
e
Francia,
ma
anche
tutti
i
grandi
popoli
indo-‐europei
occindentali
(celti,
italici
e
germani)
condividono
questo
giudizio
negativo,
mentre
per
quelli
orientali,
indo-‐
iranici
in
primis,
il
valore
culturale
e
simbolico
è
diametralmente
opposto,
in
quanto
l’arco
costituisce
l’arma
per
eccellenza
dei
guerrieri.
Sergent,
dopo
aver
esaminato
attentamente
numerose
fonti
sia
mitologiche
che
letterarie,
ne
conclude
che
il
significato
di
valore
dato
all’arco
si
può
considerare
“un’iso-‐axiologème”,
positivo
per
i
popoli
indoeupei
orientali
e
negativo
per
quelli
occidentali,
cosi
come
l’isoglossa
che
in
ambito
linguistico,
differenzia
le
lingue
satem
da
quelle
centum.141
Valenti
arcieri
sono
i
cacciatori
messi
in
scena
da
Lazzaro.
Arditi
arcieri,
questa
volta
in
battaglia,
nel
921,
sul
Lago
di
Sevan
contro
gli
invasori
arabi,
sono
quelli
di
cui
racconta
Yovhannes
Drasxanakertc῾i142,
nella
sua
Patmowt’iwn
Hayoc’,
scritta
nel
X
secolo.
“The
latter
were
brave
men
armed
with
well-‐bent
bows,
and
well-‐versed
in
archery,
smuch
so
that
they
did
not
miss
their
mark
even
by
a
hair's
breadth.
Finally,
he
also
went
on
board
with
them,
and
they
set
sail
in
order
to
meet
the
enemy
on
sea.
Putting
to
use
their
skill
in
archery,
they
maimed
the
eyesight
of
some
of
the
enemy,
and
inflicted
serious
wounds
on
many
others,
or
killed
them.
Thus
they
cut
their
way
across
the
multitude
of
the
enemy
forces,
and
fled.”143
138
Cfr.
J.
Aymard,
Essai
sur
/es
chasses
romaines
des
origines
à
la
fin
du
siècle
des
Antonins(Cynegetica),
Paris,
1951,
cap.
IX.
139
P.
Galloni,
Il
cervo
e
il
lupo,
cit.,
pp.
10-‐11.
140
Cfr.
J.
Le
Goff
e
P.
Vidal-‐Naquet,
Lévi-‐Strauss
en
Brocéliande.
Esquisse
pour
une
analyse
d'un
roman
courtois,
in
L'imaginaire
médiéval,
Paris,
1985,
pp.157-‐158.
141 S.
Bernard.
Arc.
In:
Mètis.
Anthropologie
des
mondes
grecs
anciens,
vol.
6,
n°1-‐2,
1991.
pp.
223-‐252.
https://www.persee.fr/doc/metis_1105-‐2201_1991_num_6_1_970.
142
The
tenth
century
Armenian
historian
and
katholikos
Yovhannes
Drasxanakertc’i
was
one
of
the
major
figures
of
the
early
Bagratid
era;
his
pontificate
coincided
with
the
period
when
the
Bagratid
kings
SmbatI
and
Asot
II
Erkatc
were
making
supreme
efforts
to
end
the
Arab
domination
and
liberate
Armenia
from
foreign
overlordship.
During
this
period
of
unrest
and
upheaval,
Yovhannes
Drasxanakertc'i
emerged
as
an
important
political
figure
of
international
caliber
because
of
his
high
ecclesiastical
position,
whose
jurisdiction
extended
not
only
over
the
subjects
of
the
Armenian
kings
and
princes,
but
also
over
the
Albaniansand
the
Georgians.
Cfr.
Yovhannes
Drasxanakertc῾i,
History
of
Armenia,
Translation
and
Commentary
by
Rev.
Krikor
H.
Maksoudian,
Atlanta,
Introduction,
p.1.
143
Yovhannes
Drasxanakertc῾i,
History
of
Armenia,cit.
p.232.
19
L’episodio
narrato
si
svolge
nel
periodo
storico
in
cui
il
re
Gagik
Arcruni
scelse
l’isola
di
Ałtamar,
sul
Lago
di
Van,
per
fondare
la
propria
residenza
reale
e
una
chiesa
palatina
dedicata
alla
Santa
Croce.144
I
bassorilievi
scolpiti
sulle
mura
esterne
raffigurano
scene
della
Bibbia,
Santi
guerrieri,
il
re
in
tutta
la
sua
maestà,
animali
sia
reali
che
fantastici,
e
scene
di
vita
quotidiana:
fra
queste
ultime,
sulla
facciata
orientale
spicca
proprio
un
arciere
a
cavallo
nell’istante
in
cui,
la
freccia
già
incoccata,
si
volge
per
colpire
un’orso.145
Ma
la
caccia
è
poi
anche
falconeria:
la
caccia
con
il
falcone,
poco
praticata
nell’antichità
classica,
è
invece
fortemente
apprezzata
nell’Europa
tardo
antica
e
altomedievale.
Il
pregio
dato
a
questo
tipo
di
caccia
traspare
ad
esempio
dall’interesse
che
gli
dedica
Isidoro
di
Siviglia
nel
descrivere
le
caratteristiche
e
le
etimologie
del
falcone,
del
nibbio
e
dell’ossifraga.146
Il
grande
valore
degli
uccelli
da
preda
lo
si
evince
anche
dalla
legge
salica
riguardo
alle
ammende
da
pagare
per
il
loro
furto.147
Le
leggi
burgunde
si
spingono
ancora
più
lontano
quanto
a
severità:
“Si
quis
acceptorem
alienum
involare
praesumpserit,
aut
VI
uncias
carnium
acceptor
ipse
super
testones
ipsius
comedat.
aut,
certe
si
noluerit,
VI
solidos
ilii.
cuius
acceptor
est,
cogatur
exsolvere,
multae
autem
nomine
solidos
II.”148
Ma
è
a
oriente,
dove
nasce,
che
la
falconeria
riceve
i
maggiori
elogi
e
apprezzamenti
come
nel
Traité
de
l’Art
de
Volerie
di
epoca
fatimide,
dove
l’autore
loda
Allah
per
aver
permesso
a
l’uomo
di
cibarsi
della
selvaggina
che
vive
sulla
terra,
nell’acqua
e
nell’aria
e
di
avergli
dato
gli
strumenti
per
farlo
“en
creant,
pour
nous,
parmi
ces
espéces
animales,
des
races
qu'Il
a
faites
agressives
a
l'égard
de
toutes
les
autres
et
qu'Il
a
dotées,
pour
outil,
de
l'atavisme
et,
pour
arme,
de
la
conformation
anatomique,
de
la
predisposition
à
l'apprivoisement
et
au
dressage,
de
la
docilite
au
poing
et
de
l'obeissance
au
rappel.
Il
nous
a
alors
indiqué
comment
il
fallait
les
gouverner
et
où
on
en
tirait
profit.
C'est
le
cas
du
guépard,
du
chien
et
de
toutes
les
autres
betes
de
proie
dressées,
c'est,
aussi,
celui
de
l'Autour,
du
faucon
Pélerin,
du
faucon
Sacre
et
de
tous
les
autres
oiseaux
de
vol.”
149
Gli
uccelli
da
preda,
stando
a
quello
che
scrive
Sidonio
Apollinare,
fanno
parte
anche
dell’educazione
di
un
giovane,
analogamente
a
quanto
accade
per
i
giovani
armeni
figli
dei
naxar
e
degli
azat.
Ecdicius,
eroe
della
resistenza
degli
Arverni
nei
confronti
dei
tentativi
di
conquista
dei
Visigoti
di
Eurico
ha
fra
i
primi
giochi,
oltre
a
cani,
un
cavallo
e
un
arco,
anche
un
accipiter.150
Questa
grande
importanza
dell’istruzione
venatoria
in
ambito
educativo
viene
144
Il
Nord
dell’Armenia
era
governato
dalla
famiglia
Bagratuni,
mentre
il
Sud
da
quella
degli
Arcruni.
Alla
fine
del
IX
secolo
i
principi
armeni
si
trovarono
sotto
la
dominazione
araba
del
califfato
abbaside
e
amministrati
da
un
governatore,
ostikan;
in
risposta
a
ciò,
l’impero
bizantino
considerò
l’Armenia
come
uno
dei
suoi
vassalli.
Una
prima
unificazione
politica
si
fece
nel
884-‐885
sotto
Ašot
Bagratuni,
che
divenne
il
primo
re
dell’Armenia
medioevale.
Dopo
un
periodo
di
guerre
civili
che
aveva
disgregato
il
regno,
nel
908,
il
nipote
di
Ašot
I
Bagratuni,
Gagik
Arcruni,
riprese
il
potere
e
creò
il
regno
indipendente
di
Vaspurakan
nel
Sud
dell’Armenia
che
divenne
la
più
grande
potenza
della
Grande
Armenia.
Al
Nord
continuavano
a
governare
i
Bagratuni.
Nel
930
le
forze
militari
delle
due
famiglie
si
unirono
partecipando
a
rivolte
contro
gli
Arabi
smantellando
la
loro
potenza;
conseguentemente
a
ciò
l’imperatore
Costantino
Porfirogeneto
concesse
il
titolo
di
archōn
tōn
archontōn
sia
a
Gagik
Arcruni
che
ad Abas
Bagratuni.Cfr.
Cowe
Relations
between
the
kingdoms
of
Vaspurakan
and
Ani,
Costa
Mesa,
2000
e
anche
L.
Jones,
Between
Islam
and
Byzantium.
Aght’amar
and
the
Visual
Construction
of
Medieval
Armenian
Rulership,
Aldershot,
2007.
145
Cfr.
http://www.virtualani.org/aghtamar/index.htm.
146
“Accipiter
avis
animo
plus
armata
quam
ungulis,
virtutem
maiorem
in
minori
corpore
gestans.
Hic
ab
accipiendo,
id
est
a
capiendo,
nomen
sumpsit.
Est
enim
avis
rapiendis
aliis
avibus
avida,
ideoque
vocatur
accipiter,
hoc
est
raptor
...
Capus
Itala
lingua
dicitur
a
capiendo.
Hunc
nostri
falconem
vocant
quod
incurvis
digitis
sit.
Milvus
mollis
et
viribus
et
volatu,
quasi
mollis
avis,
unde
et
nuncupatus
;
rapacissimus
tamen
et
semper
domesticis
avibus
insidiator.
Ossifragus
vulgo
appellatur
avis
quae
ossa
ab
alto
dimittit
et
frangit.
Unde
et
a
frangendo
ossa
nomen
accepit.”
Isidori
Hispalensis
episcopi,
Etymologiarum
sive
Originum
libri
XX,
W.
M.
Lindsay,
2
vol..
Oxford,
1911,
XII,
VII,
55-‐59.
147
“Si
quis
acceptorem
de
arbore
furauerit,
mal.
hocticla,
sol
III
cul.
iud.
excep.
capl.
et
dl.
Si
quis
acceptorem
de
pertica
furauerit,
mal.
ueganus
antete,
sol.
XV
cul.
iud.
excep.
cap.
et
dl.Si
quis
acceptorem
deintro
clauem
furaueret,
mal.
ortho
fugia,
sol.
XLV
cul.
iud.
excep.
capl.
et
dl.
Si
quis
sparuarium
furauerit,
mal.
sun
dulino,
sol.
III
cul.
iud.
excep.
capl.
et
dl.”
Lex
Salica
D
LL
nat.
Germ.
4,2,
Codex
D
9,
Cap.:
7,
1-‐2-‐3-‐43,
pag.
38.
http://www.mgh.de.
148
Leges
Burgundionum
-‐
Liber
Constitutionum,
XCVIII,
Leges
nationum
germanicarum,
II,
p.
113.
http://www.mgh.de.
149
F.
Vire,
Le
traité
de
l'art
de
volerie
(Kitàb
al-‐Bayzara)
rédigé
vers
385/995
par
le
Grand
Fauconnier
du
calife
fatimide
al-‐'Aziz
bi-‐llàh,
in
20
data
anche
da
Carlo
Magno
ai
figli
maschi.
“Tum
filios,
cum
primum
aetas
patiebatur,
more
Francorum
equitare,
armis
ac
venatibus
exerceri
fecit.”
151
Il
legame
fra
caccia
e
educazione
nella
cultura
iranica
sembra
essere
confermato
da
Senofonte
nella
Ciropedia
dove
la
caccia
vi
costituisce
uno
degli
elementi
dell’educazione
di
Ciro:
educazione
orientata
in
funzione
dei
doveri
di
un
sovrano
achemenide,
dove
la
guerra
occupa
un
piano
di
tutto
rilievo.
L’importanza
degli
insegnamenti
venatori
a
completamento
del
programma
d’educazione
dei
giovani
viene
poi
teorizzata
dallo
stesso
autore
nel
Κυνηγετικός,
dove
Senofonte,
dopo
aver
descritto,
nel
primo
libro,
le
origini
della
caccia
e
tessuto
l’elogio
degli
eroi
che
ad
essa
si
erano
dedicati
con
passione,
esorta
i
giovani
a
non
disprezzare
la
caccia,
né
alcun
altra
branca
dell’educazione,
perché
costituisce
il
mezzo
per
diventare
dei
buoni
soldati,
di
eccellere
in
tutto
ciò
che
esige
il
talento
del
ben
pensare,
del
ben
parlare
e
del
ben
fare.152
Com’è
consuetudine,
non
diversamente
da
quello
che
accade
anche
oggi,
la
fine
di
una
battuta
di
caccia
importante,
che
vede
coinvolti
numerosi
attori,
viene
celebrata
con
la
festa
della
tavola.
“E
ricolmi
di
ogni
bene
arrivati
ognuno
nel
proprio
palazzo,
donano
agli
indaffarati
rimasti
a
casa
le
(prede)
migliori,
e
anche
più
abbondantemente
agli
ospiti.
E
nei
banchetti
di
ognuno
si
può
vedere
l’abbondanza
di
prede,
a
foggia
di
gran
cumuli
accatastati
gli
uni
sopra
gli
altri
e
la
disposizione
secondo
l’ordine
delle
loro
teste,
godendo
di
ciò
si
rallegrano
coloro
che
mangiano
le
carni
e
i
pesci
più
che
per
la
squisitezza
degli
alimenti,
per
i
cibi
spirituali
(e
cioè)
per
i
salmi
e
per
i
cantici
dei
profeti,
benedicendo
Cristo
munifico,
che
elargisce
e
colma
(gli
uomini)
di
ogni
bene.”153
Sulle
tavole
imbandite,
dove
le
prede
vengono
esibite
a
guisa
di
trofei,
dei
nobili
armeni,
come
su
quelle
dell’aristocrazia
dei
popoli
fin
a
ora
presi
in
considerazione,
sono
le
carni
di
animali
cacciati
ad
essere
l’alimento
privilegiato.
Carni
che
hanno
rilevanza
particolare,
come
sostiene
Montanari,
sia
da
un
punto
di
vista
strettamente
dietetico
sia
“per
ragioni
d’ordine
culturale,
che
cinvolgono
il
piano
dell’etica,
dell’immaginario
e
della
simbologia.”154
In
particolare
il
consumo
di
carni
ricavate
dall’esercizio
di
attività
venatorie
diventa
anche
strumento
e
simbolo
di
vitalità,
di
forza
e
di
potere.155
Ancora
una
volta
rivolgiamo
l’attenzione
a
Carlo
Magno
che
a
tavola
prediligeva
la
carne
di
cacciagione
cucinata
arrosto
anche
quando
i
medici
prescrivevano,
per
motivi
di
salute,
di
consumarla
lessata.156
Un
altro
fatto,
la
religiosità,
trova
una
qualche
corrispondenza,
fra
i
banchetti
dei
nobili
armeni,
che
si
rallegrano
più
che
per
la
squisitezza
degli
alimenti,
per
i
cibi
spirituali
(e
cioè)
per
i
salmi
e
per
i
cantici
dei
profeti,
benedicendo
Cristo
munifico,
che
elargisce
e
colma
(gli
uomini)
di
ogni
bene,
e
Carlo
Magno,
il
quale
inter
caenandum,
oltre
che
farsi
leggere
le
storie
e
le
gesta
151
Einhardus,
Vita
Karoli
Magni
SS
rer.
Germ.
25,
cap.:
19,
pag.:
23,
lin.
21.
152
“
Ἐγὼ
μὲν
οὖν
παραινῶ
τοῖς
νέοις
μὴ
καταφρονεῖν
κυνηγεσίων
μηδὲ
τῆς
ἄλλης
παιδείας·
ἐκ
τούτων
γὰρ
γίγνονται
τὰ
εἰς
τὸν
πόλεμον
ἀγαθοὶ
καὶ
[εἰς]
τὰ
ἄλλα
ἐξ
ὧν
ἀνάγκη
καλῶς
νοεῖν
καὶ
λέγειν
καὶ
πράττειν.”
Senofonte,
Κυνηγετικός,
I,
18.
http://remacle.org/bloodwolf/historiens/xenophon/index.htm
153
Łazar
P'arpec'i, Patmowt’iwn
Hayoc’,
154
M.
Montanari,
Gli
animali
e
l’alimentazione
umana,
cit.
p.
663
155
Ibid.
156 “Caena
cotidiana
quaternis
tantum
ferculis
praebebatur,
praeter
assam,
quam
venatores
veribus
inferre
solebant,
qua
ille
libentius
quam
ullo
alio
cibo
vescebatur.”
Einhardus,
Vita
Karoli
Magni
SS
rer.
Germ.
25,
cap.:
24,
pag.:
29,
lin.
4.
“Et
tunc
quidem
plura
suo
arbitratu
quam
medicorum
consilio
faciebat,
quos
poene
exosos
habebat,
quod
ei
in
cibis
assa,
quibus
assuetus
erat,
dimittere
et
elixis
adsuescere
suadebant.”
Ibid.,
cap.:
22,
pag.:
27,
lin.
6.
21
degli
antichi
veniva
dilettato
dalla
lettura
di
Sant’Agostino
e
in
particolare
dal
De
Civitate
Dei.157
Per
la
cultura
armena
e
iranica,
in
epoca
arsacide
il
banchetto
aveva
anche
un
altro
significato,
accquistava
un
valore
rituale,
non
diversamente
da
quel
che
accadeva
nell’Europa
dello
stesso
periodo.158
Come
si
è
già
detto
prima,
caccia
e
banchetto
costituivano
il
perno
intorno
al
quale
girava
il
cerimoniale
di
corte,
nel
corso
dei
banchetti
reali;
in
particolare
per
quanto
riguarda
l’Armenia,
il
posto,
barj,
(letteralmente
significa
cuscino),
assegnato
a
ciascuno
tavola,
era
distribuito
in
base
al
grado
di
patiw,
vale
a
dire
secondo
l’onore
e
la
stima
che
avevano
le
varie
famiglie
nobili.
E’
ancora,
ad
esempio,
Fausto
di
Bisanzio
che
lo
attesta
a
proposito
della
corte
di
re
Aršak
II.
“E
designò,
a
cominciare
da
queste
stirpi
in
giù,
altri
funzionari
che
si
distendevano
sui
cuscini
con
il
diadema
in
testa
alla
presenza
del
sovrano;
a
parte
i
più
grandi
nahapet
e,
coloro
che
erano
solo
funzionari
ed
entravano
a
palazzo
nell’ora
del
banchetto
dove
erano
disposti
i
divani,
erano
novecento,
tolti
quelli
che
prestavano
servizio
in
piedi.”159
Sulla
tavola
dei
nobili
armeni
del
racconto
di
Lazzaro
oltre
alle
carni
ci
sono
anche
i
pesci.
Tradizione
armena,
condivisa
con
le
culture
sia
orientali
che
occidentali,
era
quella
di
creare
delle
riserve
di
pesca
come
quella
di
re
Xosrov
Kotak,
il
sovrano
che
aveva
creato
i
due
boschi
di
caccia
piantati
a
noccioli
che
abbiamo
già
incontrato,
“sulla
riva
del
mare
di
Bzunik῾160
nel
borgo
di
Ar̄ est,
sopra
un
piccolo
fiume.”161
Lazzaro
mette
tre
cose
in
evidenza
riguardo
al
consumo
alimentare
dei
pesci.
La
prima
è
di
tipo
laico,
in
quanto
essi
costituivano
un
gradito
alimento
d’integrazione
a
quello
carneo
per
i
nobili.
La
seconda
è
di
tipo
religioso:
erano
un
alimento
alternativo
alla
carne
per
i
monaci
che
lottavano
per
la
propria
ascesi
spirituale.
Codice
di
comportamento
alimentare
quest’ultimo
che
evidentemente
il
monachesimo
armeno
condivideva
con
tutti
gli
altri
ordini
monastici
dell’ecumene
cristiana
presso
cui
la
privazione
della
carne
era
intesa
a
scopo
ascetico
purificatorio. 162
A
questo
proposito,
scrive
Montanari:
“Rifiutare,
in
tutto
o
in
parte,
il
consumo
della
carne
sostituendolo
con
il
pesce,
…
rifiutare,
più
in
generale,
un’etica
di
comportamento
che
esaltava
il
molto
mangiare
come
segno
di
nobiltà,
proponendo
un
atteggiamento
di
moderazione
e
di
distacco
dal
cibo;
tutto
ciò
significava
il
rifiuto
del
mondo,
la
scelta
di
un
modello
di
vita
non
violento
e
uniformato
alle
istanze
dello
spirito.”163
La
terza
riguarda
il
tipo
di
alimentazione
dei
pauperes,
costituita,
oltre
che
dai
pesci,
da
piccoli
volatili
e
dalle
loro
uova,
per
procurarsi
i
quali
bastavano
l’agilità
e
le
mani
dei
figli
dei
pescatori.
157 “Inter
caenandum
aut
aliquod
acroama
aut
lectorem
audiebat.Legebantur
ei
historiae
et
antiquorum
res
gestae.Delectabatur
et
libris
sancti
Augustini,
praecipueque
his
qui
de
civitate
Dei
praetitulati
sunt.”
Einhardus,Vita
Karoli
Magni
SS
rer.
Germ.
25,
cap.:
24,
pag.:
29,
lin.
5-‐
7.
http://www.mgh.de.
158
“Dans
le
haut
Moyen
Âge,
le
repas
est
un
acte
social
à
part
entière,
parfois
ritualisé,
qui
s'accompagne
de
réglementations
et
de
gestuelles
strictes
dont
la
symbolique
sert
à
régler
les
relations
sociales.
Il
exprime
la
cohésion
du
groupe.
C'est
un
acte
de
confiance
et
de
loyauté
qui
vient
confirmer
les
contrats,
les
serments,
les
accords
et
les
relations
amicales
ou
hiérarchiques
entretenues
au
sein
d'une
communauté.
Ces
dimensions
symboliques
sont
surtout
manifestes
dans
le
cadre
de
protocoles
royaux,
d'événements
exceptionnels
d'ordre
politique
ou
confessionnel,
lors
de
manifestations
officielles
ou
bien
encore
à
l'occasion
des
fêtes
civiles
ou
religieuses.
Le
repas
quotidien,
dénué
des
fastes
des
grandes
célébrations,
n'en
demeure
pas
moins
révélateur
des
spécificités
d'un
individu
ou
d'une
collectivité.
Les
types
de
nourritures
et
la
façon
dont
elles
sont
consommées
contribuent
à
leur
définition(.On
y
retrouve
l'expression
de
valeurs
sociales
telles
que
les
notions
de
classes
ou
de
genres.“
S.
Boulc'h, Le
repas
quotidien
des
moines
occidentaux
du
haut
Moyen
Âge,
in
Revue
belge
de
philologie
et
d'histoire,
tome
75,
fasc.
2,
1997.
Histoire
medievale,
moderne
et
contemporaine
-‐
Middeleeuwse,
moderne
en
hedendaagse
geschiedenis.
p.
287.
https://www.persee.fr/doc/rbph_0035-‐0818_1997_num_75_2_4172.
159
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni,
cit.
IV,
2,
p.
78.
160
Così
le
fonti
armene
medioevali
designano
il
lago
di
Van.
161
P’awstos
Buzand,
Storia
degli
Armeni,
cit.,
III,
8,
p.
46.
162
Riguardo
alle
regole
monastiche
concernenti
la
regolamentazione
dell’utilizzo
alimentare
del
pesce
e
al
suo
valore
simbolico.
Cfr.
H.
Zug
Tucci,
Il
mondo
medievale
dei
pesci.
Tra
realtà
e
immaginazione,
in
L'uomo
di
fronte
al
mondo
animale
nell'alto
Medioevo,
settimane
di
studio
del
Centro
italiano
di
studi
sull’alto
Medioevo,
Spoleto,
1984,
I,
pp.
291-‐301
163
M.
Montanari,
Gli
animali
e
l’alimentazione
umana,
cit.,
pp.
646-‐647.
22
Avviandoci
alla
conclusione
c’e
da
chiedersi
se
l’ultimo
sguardo,
prima
di
partire
per
l’esilio,
di
re
Aršak
e
di
Lazzaro
alla
gente
dell’amata
terra
d’Ayrarat,
sia
stato
per
i
naxarar
e
gli
azat,
che
come
abbiamo
visto
si
erano
mostrati
non
sempre
leali,
o
per
quei
piccoli
figli
di
pescatori
che,
con
sguardo
vigile
e
attento,
ogni
giorno
stavano
ad
aspettare
il
ritorno
dei
nobili
cacciatori
al
fine
di
ottenere
qualche
giovamento
e
vantaggio
per
il
loro
più
povero
desco.
Giunti
al
termine
di
questo
percorso
venatorio,
più
che
trarre
delle
conclusioni,
si
possono
fare
alcune
considerazioni.
Anche
nell’ambito
della
cultura
venatoria,
per
l’arco
di
tempo
preso
in
esame,
l’Armenia
costituisce
un
ponte
fra
l’oriente
e
l’occidente.
Nella
lebenswelt
della
storia
del
popolo
armeno
la
caccia
si
rivela
essere
un
elemento
archetipico
costellato
di
simboli
e
di
significati
chiaroscurali
in
cui
s’intersecano
le
culture
d’oriente
e
d’occidente.
Ma
al
di
là
dei
contenuti
culturali
venatori
espliciti,
comuni
a
quello
di
altri
popoli,
ciò
che
sembra
emergere
dalle
fonti
armene
è
la
volontà
di
custodire
e
tramandare
nel
tempo
le
proprie
tradizioni.
Per
questo
motivo
voglio
concludere
citando
un
passo,
che
si
trova
nel
suo
libro
sugli
Armeni,
di
Gabriella
Uluhogian,
la
quale
mi
ha
onorato
della
sua
amicizia
e
mi
ha
introdotto
alla
cultura
armena
e
a
cui
dedico
questo
lavoro.
“E’
proprio
di
un
popolo
non
dominante
avere
cura
delle
tradizioni
avite
e
desiderare
di
trasmetterle
alle
generazioni
future,
sia
che
queste
tradizioni
affondino
nella
più
remota
oralità
sia
che
siano
affidate
da
tempo
alla
scrittura.
Quest’ultimo
è
il
caso
degli
Armeni.
Essi,
sul
suolo
patrio
o
dispersi
nel
mondo,
hanno
un
segno
di
riconoscimento
reciproco:
l’attaccamento
alla
propria
cultura,
che
appartiene
da
almeno
dieci
secoli
al
grande
numero
delle
culture
scritte.”164
Luigi
Raffaini
164
G.
Uluhogian,
Gli
Armeni,
cit.,
p.
109.
23
Note
sulla
translitterazione
dell’alfabeto
armeno.
Nella
translitterazione
dell’alfabeto
armeno
è
stata
usa
quella
di
Hübschmann-‐Meillet
(1913
)
normalmente
usata
per
la
letteratura
armena
classica.
a,
b,
g
(sempre
dura
come
in
gatto),
d,
e
(ye
all’inizio
di
parola),
z
(s
dolce
di
rosa),
ē,
ë
(e
muta
francese),
t῾,
ž
(j
francese
di
jour),
i,
l,
x
(
ch
del
tedesco
achtung),
c
(z
dura
di
zucchero),
k,
h,
j
(
z
dolce
di
zaino),
ł
(r
francese),
č
(e
in
celere),
m,
Y
(
i
all’interno
di
parola,
h
all’inizio
di
parola),
n,
š
(
sc
in
scena),
o
(vo
all’inizio
di
parola),
č῾
(c
di
circo),
r̄
(forte
come
una
doppia
r),
s
(sempre
sorda),
v,
t,
r,
c῾
(z
forte
come
una
doppia
z),
w,
p῾,
k῾,
ô,
f.
Dittonghi
Ea
si
pronuncia
ia
Iw,
si
pronuncia
iu
24
Ringraziamenti
Sono
grato
alla
Professoressa
Anna
Sirinian
per
l’entusiasmo
e
l’incoraggiamento
dimostrato
di
fronte
alla
mia
proposta
di
lavoro
sul
tema
della
caccia
nella
cultura
armena
e
per
i
suggerimenti
inerenti
al
tema
e
per
il
tempo
che
ha
dedicato
alla
cura
e
correzione
delle
mie
traduzioni
dei
passi
citati
di
Lazzaro
di
Parp.
Grazie
anche
al
Dr.
Federico
Alpi
per
avermi
introdotto
all’opera
e
alla
figura
di
Gregor
Magistros.
25