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Presento anzitutto una sintesi dei contenuti e dei fini dell’opera basata
sullo schema proposto dall’A. (pp. 31-32). Si possono individuare quattro
direttive d’analisi ben distinte:
– La comparazione nel tempo, che contestualizza diacronicamente il
tema, indagando lo sviluppo temporale degli stereotipi, dei clichés e delle
leggende sugli ebrei attraverso i tempi.
– La comparazione nello spazio, in cui l’autore cerca di collocare il
tema in un preciso contesto geo-culturale, confrontando i modi in cui le
immagini dell’ebreo nella cultura romena differiscano o meno da quelle
presenti nella cultura tradizionale di altri popoli dell’Europa centrale e
orientale.
– La comparazione etnica, con la quale si cerca di mettere in risalto i
tratti che hanno portato l’ebreo a essere immaginato in maniera differente
rispetto ad altri stranieri con cui, nel corso dei secoli, il popolo romeno è
venuto a contatto.
– La comparazione culturale, in cui l’A. prova a indagare la transizione
degli stereotipi antisemiti da un ambiente popolare legato a una cultura ru-
rale a uno intellettuale, inserito in una cultura urbana, e di come questi ele-
menti siano stati rimodulati nella letteratura e nella politica alta dell’Otto-
Novecento. Mi limiterò qui a una serie di appunti generali.
Anzitutto una notazione sull’architettura dell’opera, saldamente strut-
turata e ricca di suggestioni. La traduzione italiana (di gran lunga la più
accurata tra le varie traduzioni finora apparse), con la numerazione dei
capitoli, paragrafi, sezioni, valorizza l’armonia della composizione. I primi
due capitoli abbracciano la sfera del corpo, il terzo quella della mente, il
quarto e il quinto lo spirito, suggerendo l’idea dell’uomo, ebreo o romeno,
immaginato o reale, come un microcosmo. Di seguito sintetizzo le mie
impressioni secondo due linee, una psicologica e una epistemologica.
L’immagine dell’ebreo è un testo sconvolgente, lo si legge con pathos e
talora con vera e propria sofferenza e compartecipazione. Continuamente
siamo costretti a chiederci: Ma siamo stati e siamo proprio così?, perché
da certi indizi sembra che la situazione dei rapporti tra Io e l’Altro non
sia cambiata in maniera sensibile, a parte universali dichiarazioni di buoni
sentimenti. Nella prospettiva di uno studioso che ancora creda al valore
dell’educazione, riterrei che un libro siffatto dovrebbe essere introdotto
come lettura curricolare in tutte le scuole d’Europa, alla pari di Se questo è
un uomo di Primo Levi e Cristo si è fermato ad Eboli di Carlo Levi. L’im-
magine dell’ebreo potrebbe forse vantaggiosamente sostituire un buon nu-
mero di manuali di storia, di geografia, di storia letteraria, perché in questo
libro c’è tanta storia, tanta geografia e tanta letteratura nella dimensione,
talora più umana e talora più dis-umana, la dimensione della fame, del
sesso, della fatica, del sudore, del fetore, della crapula e dell’eccesso, del
sangue della passione, del sogno, del mito, della fede.
Quanto alla linea epistemologica, mi sembra che la totale assenza di
pregiudizio etnico e ideologico da parte di Oișteanu, in un’opera che col-
leziona una quantità incredibile di pregiudizi a doppio senso, dimostri che,
come non esistono l’ebreo immaginario e il romeno immaginario, così non
esiste l’ebreo reale o il romeno reale, o l’italiano vero celebrato dal can-
tautore Toto Cutugno («Sono un italiano, un italiano vero»). Si pensi ai
paragrafi dedicati alla puzza di aglio/cipolla, che i romeni attribuiscono
agli ebrei e altri popoli attribuiscono ai romeni (I, 5), e a quelli dedicati
alla donna ebrea (I, 6), che sarebbe al tempo stesso troppo virtuosa e
troppo libertina. In numerosi casi l’A. adduce una serie di testimonianze
che sembrano confutare la realtà di una caratteristica negativa (o, rara-
mente, positiva) e poi previene il lettore dal giungere a conclusioni affret-
tate, adducendo testimonianze che possono dare sostanza all’insorgere del
pregiudizio. Esemplare è in tutta l’opera la fermezza, scientifica e morale,
con cui l’autore si rifiuta di confutare un cliché estremizzandone quello
opposto.
Nato da famiglia ebraica in terra romena, Andrei Oișteanu è consa-
pevole del suo complesso retaggio e difende in ogni caso le ragioni della
verità documentata contro la verità immaginata. Come uomo e come sto-
rico, egli presenta le ragioni degli uni e degli altri, i fatti e i misfatti, con
un’onestà, un equilibrio e un rigore intellettuale davvero raro.
La sensazione di ordine generale che ho ricavato dall’ingente documen-
tazione raccolta in quest’opera è che le idee e le azioni dei romeni siano do-
minate da un’insanabile contraddizione. Siamo effettivamente in presenza
di due stereotipi entrambi esagerati: quello del romeno buono e tollerante
opposto a quello del romeno barbaro e malfattore. Al di là dell’immagina-
zione, incontriamo però la bruciante realtà dei fatti che ebbero luogo tra il
1940 e il 1944, nella Romania che Carol II aveva, suo malgrado, conse-
gnato nelle braccia del Maresciallo Ion Antonescu il 5 sett. 1940. Segue
un’esposizione, in estrema sintesi, dei fatti che si susseguirono a quella
data, basata sulla recente storiografia accademica, in particolare l’accura-
tissima imparziale monografia di Vladimir Solonari, Purificarea națiunii.
Dislocări forțate de populație și epurări etnice în România lui Ion Antone-
scu, 1940-1944, Iași 2015.
La distruzione fisica dei cittadini rumeni di origini ebraiche fu con-
comitante a quella economica con le modalità di una rapina di Stato. Ne
furono deportati in Transnistria 195.000, solo 49.927 dei quali erano an-
Giovanni Casadio
1
Michel Herszlikowicz, Philosophie de l’antisémitisme, Paris, Presses Universi-
taires de France 1985.