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Storicamente 7-2011

Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche - Università di Bologna -


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DOSSIER

Antisemitismo e chiesa cattolica in Italia (XIX-XXI sec.)

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Cristiana Facchini

Premessa al Dossier

Antisemitismo e chiesa cattolica in Italia (XIX-XX sec.).


Ricerche in corso e riflessioni storiografiche

Storicamente ISSN 1825-411X


volume 7 - 2011, February 3rd, art. 10
DOI: 10.1473/stor96
http://www.storicamente.org/07_dossier/antisemitismo/facchini_premessa.htm

Author Address: Univ. Bologna, , Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche, P.zza
San Giovanni in Monte 2, Bologna, I-40128, Italy, cristiana.facchini@unibo.it

Keywords: Antisemitism, Italy, Chatolic Church, XIX-XXth century

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Cristiana Facchini

Premessa al Dossier

Antisemitismo e chiesa cattolica in Italia (XIX-XX sec.).


Ricerche in corso e riflessioni storiografiche

È probabile che Marc Chagall abbia portato a termine uno dei suoi quadri più suggestivi e di difficile
interpretazione, la crucifixion blanche (White crucifixion – Art Institute of Chicago) poco dopo la Kristallnacht, nel
novembre del 1938. Se fissiamo lo sguardo sul dipinto la prima cosa che colpisce ancora oggi, e, suppongo abbia
colpito maggiormente nel 1938, è l’immagine del crocifisso, un Gesù inusuale, sia nei tratti fisiognomici che negli
abiti che gli avvolgono il corpo sulla croce: un manto di preghiera ebraico gli cinge i fianchi, il capo è coperto da un
panno bianco, forse, come indicherebbero alcuni interpreti, un sudario. Il Gesù ebreo di Chagall non indossa la
corona di spine, e sembra osservare, col capo declinato, stanco e sofferente, non i personaggi classici cristallizzati
in una lunga tradizione iconografica come la madre, Maria, la Maddalena, o l’apostolo prediletto, ma è circondato
da momenti, o meglio, da eventi particolari che sono ritratti in forma simbolica e che sono collocati attorno alla
figura sulla croce. Le immagini – su cui non posso soffermarmi in questa sede – sono accomunate dal fatto di
rappresentare eventi traumatici della storia ebraica, in particolare quella russa [Cohen 2007; Massenzio 2007]. I
riferimenti all’antisemitismo nazista sono ritratti nell’immagine in alto sulla destra e forse in quella in basso sulla
sinistra. Nello specifico, però, quasi tutte le altre immagini tendono a ricordare e a rappresentare la violenza
dei pogrom e non esclusivamente quelli di età zarista (si veda l’immagine in alto a sinistra, gli uomini con le
bandiere rosse).
Il dipinto riflette un interesse profondo di Chagall per la figura del Gesù ebreo [Cohen 2007, 164], ma anche una
particolare predisposizione della intellighenzia di cultura russa a riedificare in forme culturali diverse i risultati della
ricerca scientifica ottocentesca sul Gesù e la sua ebracità. Il quadro di Chagall si inserisce quindi in una specifica
sensibilità culturale russa – che è attestata, per altri ebrei, dalle opere di Uri Zwi Greenberg o Mark Antokolskij, tra
quelli più noti [Roskies 1984; Cohen 2007] – ma anche, più in generale, nel complesso ordito di un universo
culturale europeo all’interno del quale circolavano ricerche, immagini e concezioni sul Gesù ebreo [Heschel 1998;
Jaffé 2009] e non ebreo [Heschel 2008; Gentile 2010] che ebbero un notevole influsso sulle percezioni incrociate
delle rispettive “comunità” religiose.
Lasciando a futuri contributi la ricostruzione di questo contesto ebraico e cristiano sul Gesù ebreo, vorrei ora
attirare l’attenzione su questo dipinto che può suscitare una serie di diverse interpretazioni: la più immediata vede
il Gesù ebreo, imponente e sofferente e immerso nella luce bianca, ergersi sulla drammaticità della storia ebraica
che lo avvolge in un infinito susseguirsi di violenza e distruzione. Inesorabilmente connessi, la drammaticità e la
violenza della storia ebraica si riflettono nella sofferenza del Gesù ebreo che emana dalla croce. La sofferenza del
Cristo e quella del suo popolo sono collocate allo stesso livello di senso.
Una seconda lettura, che merita di essere approfondita e che riflette meglio il conflittuale e complesso rapporto tra
cristiani ed ebrei nei primi decenni del Novecento, è più contestuale e affronta anche il tema dell’antisemitismo: a
cinque anni dalla nascita del regime nazista e in periodo di crescente antisemitismo razziale, quell’opera potrebbe
anche rappresentare un altro discorso, meno noto, ma non per questo meno rilevante. La sofferenza della storia
ebraica, iscritta nella secolare tradizione dell’antisemitismo europeo, è il frutto di un conflitto e di un equivoco
millenari: colpire gli ebrei significa colpire Gesù, uccidere l’ebraismo significa minare e distruggere il cristianesimo;
un cristianesimo però che nel suo costituirsi è divenuto la fonte principale dell’antisemitismo. È una interpretazione,
questa, che riflette le intenzioni chagalliane se le sue affermazioni sono veritiere. Infatti, reagendo ad una critica
che proveniva dagli ambienti ebraici e che gli rimproverava di essere offensivo e dissacrante nei confronti delle
persecuzioni antiebraiche in corso, l’artista ebreo russo commentava, di fronte ai resoconti della distruzione delle
sinagoghe e dei negozi degli ebrei tedeschi e all’entusiasmo dei cristiani che osservavano uscendo dalle chiese,
affermando che:
Vedete – […] – non hanno mai capito Gesù, uno dei nostri rabbi più compassionevoli. Quando escono
dalla messa mattutina non hanno compreso ciò che hanno visto, hanno confuso tra il crocifisso e il
vitello d’oro. Il mio dipinto intende aiutare i cristiani a fuggire dalla idolatria del nazionalismo cristiano
o dalla ideologia dei crociati [Gol'dmann 1996].

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Non posso commentare questa interessante frase di Chagall in questa sede, ma intendo utilizzare questo dipinto
come spunto introduttivo, punto di partenza simbolico del progetto che è contenuto in questo dossier.
Nel contesto europeo del periodo, l’immagine veicolata dal dipinto riflette tutta una serie di questioni complesse del
rapporto tra la tradizione antisemita cristiana e la persecuzione degli ebrei dell’Europa continentale che si è
conclusa con la Shoah.
Penso che sia opportuno sottolineare che, per lo meno agli occhi di coloro che vivevano quelle vicende, e in
particolare forse proprio per gli ebrei di varia fede (religiosi di vario tipo, laici, agnostici o atei) era il cristianesimo
a costituire la fonte profonda e tangibile dell’ostilità antiebraica. Forse solo Freud, in una illuminante lettera del
1938, aveva intuito la diversità dell’antisemitismo nazista e i suoi peculiari tratti e, con triste ironia, individuava
nella chiesa cattolica, fonte della secolare ostilità antiebraica e continuo oggetto di ansia per Freud, un possibile
argine contro la tragedia che si stava abbattendo sul mondo ebraico europeo.
La percezione di una forma diversa di antisemitismo, quella variante razziale e biologica espressa dal nazismo,
incorporata in varie tradizioni culturali del pensiero europeo, se pure nota, era tutto sommato elitaria e forse più
esoterica per coloro che vivevano l’esperienza della ripresa della discriminazione. Negli anni Trenta, negli ambienti
cattolici ecclesiali, l’operazione di differenziazione tra antisemitismovölkisch, di ispirazione nazionalista radicale, e
antisemitismo cattolico, venne attuata nell’intento non di abbandonare o criticare la tradizione dell’antisemitismo
cattolico tradizionale, il quale rimaneva solidamente ancorato – con l’eccezione di esperienze sporadiche e voci
individuali – al ricco bagaglio concettuale tradizionale e al suo progetto normativo. Infine, occorre ricordarlo,
durante gli anni della guerra, tra collaboratori e bystanders di diversa provenienza nazionale, molti, se non
moltissimi, furono cristiani di varia appartenenza – protestanti, ortodossi, cattolici. Se la chiesa cattolica, ad un
certo punto, vide nel nazismo l’impronta del “neopaganesimo”, gli ebrei continuarono a vedere nei cristiani i loro
carnefici.
Ogni ricerca sull’antisemitismo produce una sensazione di frustrazione, perché sembra condurre in un vicolo cieco:
soprattutto lo studio delle tradizioni antiebraiche di matrice cristiana e cattolica rischiano di offrire un continuo dejà
vu, senza riuscire a produrre nuove risposte; le fonti non ancora analizzate presentano spesso temi e problemi
noti, pochi i nuovi elementi, anche se rimangono da rileggere con attenzione molti di quei dati, alla luce di studi di
taglio teorico e metodologico diverso. Eppure è proprio la ripetizione di certi temi che dovrebbe attirare l’attenzione
e le pratiche con cui nuovi elementi vengono introdotti nei discorsi tradizionali, perché proprio quelli costituiscono i
tratti di una grammatica dell’ostilità antiebraica radicata e diffusa. Infine, sembra essere proprio la tradizione
antiebraica di matrice cattolica, e più estesamente cristiana, ad alimentare molti preoccupanti fenomeni di
antisemitismo contemporaneo.
Al di là della proliferazione di siti cristiani ispirati ai classici temi dell’antisemitismo cattolico, afferenti alla
costellazione del cattolicesimo intransigente, sono altri i fatti di cronaca che richiamano l’attenzione verso questo
problema. Ne elenco alcuni, quelli che ritengo essere i più significativi, che partono dalle vicende e dal successo del
film di Mel Gibson, alla più recente questione del vescovo negazionista Williamson, alle polemiche innescate dalle
carmelitane a Auschwitz, fino alle controverse reazioni all’assedio della chiesa della natività durante la seconda
Intifada; a questi si aggiungono numerosi casi di diffuso antisemitismo, ampiamente documentato, sia per l’Italia
che per l’Europa, e il riutilizzo, nella polemica anti-israeliana proveniente dal mondo musulmano, di
immagini, tòpoi, discorsi non solo di provenienza culturale europea, ma principalmente cristiana (il caso più
eclatante è quello dell’utilizzo deiProtocolli dei Savi di Sion).
Il “dossier” è stato ideato con l’intento di proporre una riflessione sull’antisemitismo di matrice cattolica
concentrando lo sguardo sull’Italia, nell’arco di tempo che va dagli ultimi due decenni dell’Ottocento fino agli anni
più recenti. Gli articoli che sono qui presentati sono il frutto di ricerche concluse di recente, in fase di stesura e, in
qualche caso, prime analisi di possibili temi e tracce da approfondire e si inserisce nel tentativo di ricostruire una
mappatura articolata e complessa delle forme dell’ostilità antiebraica nella storia d’Italia. Ogni articolo affronta,
indipendentemente, il problema dei termini che definiscono il proteiforme oggetto di ricerca – l’odio antiebraico di
matrice cattolica – rubricabile nei lemmi non neutri di antigiudaismo e antisemitismo, fino agli slittamenti semantici
attuali tra antisemitismo e antisionismo. Ogni autore ha mostrato una certa sensibilità nell’affrontare la questione
di carattere terminologico, ma non abbiamo optato per una definizione comune, consapevoli del fatto che sia
necessaria una riflessione approfondita su questo problema tutt’altro che nominalistico [Facchini 2010].
I saggi di A. Di Fant e della sottoscritta sono dedicati a pubblicazioni periodiche cattoliche di area intransigente e
raccolgono interventi dedicati alla “questione ebraica” dai tratti più tradizionali, ossia l’accusa di omicidio rituale e
quella del deicidio che, assieme alla polemica economica, costellano con ossessiva presenza il discorso cattolico
delle ultime decadi dell’Ottocento.
Di Fant ha dedicato il suo studio al battage sull’omicidio rituale che Don Albertario, sacerdote-giornalista
“militante”, lancia nel quotidiano milanese da lui diretto, “L’Osservatore cattolico”, nel biennio 1891-92. Il
quotidiano, monitorato dal Vaticano, fu ampiamente coinvolto nella battaglia contro gli ebrei, variamente descritti
come “assassini”, ”bevitori di sangue”, “jene”, “vampiri”, un linguaggio così ricorrente che invita lo storico a
riflettere sul campo semantico e sull’impianto retorico utilizzato dai propagandisti cattolici, i quali non disdegnano,

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peraltro, le polemiche di matrice economica che in quegli anni sono diventate il cavallo di battaglia dei movimenti
antisemiti d’oltralpe, sostenuti dai piccoli artigiani e coltivatori.
Nell’altro caso invece, la pubblicazione periodica che viene proposta come punto di osservazione, la “Palestra del
clero” di Roma, negli articoli pubblicati negli anni ’80 dell’Ottocento, serve da spunto per elaborare un’ipotesi di
lettura innovativa degli insegnamenti più classici e topici della polemica antiebraica, come quello del “deicidio” che
è veicolato nelle immagini della “passione di Cristo”. Il tema religioso classico è declinato nel linguaggio di una
teologia politica anti-liberale e anti-moderna che, pur riproponendo lo schema polemico del discorso patristico nel
quale si combinano due ordini di discorsi, l’ostilità contro la religione ebraica e il progetto de-emancipativo di
carattere giuridico, usufruisce dei mezzi di propaganda più efficaci e tradizionali – quelli della predicazione della
parola di Dio - con i quali l’antisemitismo si diffonde tramite la manipolazione delle emozioni e delle passioni che
solo il racconto della “passione” è capace di suscitare.
Il saggio di T. Catalan affronta un tema ancora poco studiato, ossia l’atteggiamento della chiesa cattolica,
attraverso i suoi organi di stampa, nei confronti del nascente movimento nazionale ebraico, il Sionismo. L’analisi
tenta di ricostruire le reazioni agli eventi del 1897 (primo congresso sionista), del 1904, coincidente con la visita di
Herzl al papa e del 1917, anno della dichiarazione Balfour e della visita di Sokolow al papa. In questo, come in altri
casi, la presenza della polemica contro gli ebrei si manifesta più diffusamente negli organi della stampa locale, che
pare essere permeata da una presenza cospicua di discorsi e immagini antiebraiche, che aspettano di essere
ricostruite e interpretate.
Il saggio di R. Perin si addentra invece nell’analisi dell’atteggiamento antiebraico della stampa diocesana di aerea
veneta a partire dall'ascesa del nazionalsocialismo in Germania al fine di ricostruire le interpretazioni e i commenti
alle prime avvisaglie di antisemitismo tedesco, per constatare l’indifferenza nei confronti della legislazione tedesca
fino al momento in cui la prospettiva del razzismo di stato comincia a profilarsi come concreta opzione politica
anche in Italia.
Agli anni del dopoguerra, alle lente e contraddittorie prese di posizione del mondo cattolico nei confronti della
Shoah, la cui memoria peraltro rimane ancora confinata all’esperienza personale dei sopravissuti e ignorata per lo
più nella maggior parte d’Europa, è dedicato il saggio di E. Mazzini, la quale affronta la questione ricostruendo e
interpretando le reazioni all’opera teatrale di Diego Fabbri, Processo a Gesù, messa in scena a Milano nel 1955.
L’opera, emblematica nel suo intrinseco messaggio di mettere in scena una sorta di “moderno processo a Gesù”,
costituisce un momento interessante per comprendere i primi commenti provenienti dal mondo cattolico in
riferimento alla Shoah. Ma non solo: essa riflette anche la centralità, nell’immaginario culturale italiano di diversa
fede politica, della figura di Gesù, luogo fondante del discorso e delle rappresentazioni sugli ebrei.
Infine, i saggi di A. Marzano e M. Faggioli, sono dedicati a casi specifici di attualità politica.
Marzano affronta le reazioni della stampa italiana alla crisi della Basilica della Natività durante la Seconda Intifada,
in cui sono analizzate anche alcune notorie vignette (come quella di Forattini) che apparvero in quel particolare
frangente. Non sorprendono – e richiederebbero forse una riflessione più approfondita – la persistenza e la forza
delle immagini religiose a veicolare un imperituro antisemitismo o antigiudaismo che chiamar si voglia, anche dopo
i mutamenti che il Concilio Vaticano II ha faticosamente introdotto all’interno del mondo cattolico.
M. Faggioli affronta, invece, altro tema che mi sembrava piuttosto centrale per la comprensione di alcuni snodi
significativi della storia dell’antisemitismo cattolico, ovvero la riflessione storiografica cattolico-tedesca sulla Shoah.
Il saggio percorre le tappe della storiografica cattolica in Germania occidentale registrando non solo i ritardi ma
anche l’ipoteca politica determinata dalla situazione post-bellica e dall’assunzione, quasi immediata, del paradigma
“vittimale”, che presenta i cattolici (tedeschi, ma non esclusivamente) come le vittime designate delle politiche del
regime nazista. A questa visione si accompagna anche quella “resistenziale”, che fa del cattolicesimo una delle
poche isole di resistenza nei regimi totalitari. A complicare il processo di una presa di coscienza storiografica sulla
Shoah – e in ultima istanza delle responsabilità del cattolicesimo – si aggiunge il crollo del muro di Berlino e la
conseguente unificazione del paese che, paradossalmente, avrebbero bloccato un processo di revisione
storiografica il quale, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, andava lentamente delineandosi in direzione
più critica.
Mi preme notare che il tema “vittimale” e quello “resistenziale” svolgono una funzione centrale non solo nella
Germania del dopoguerra, ma sembrano delinearsi nel discorso cattolico fin dagli anni Trenta e influire, seppure in
modi diversi, anche sui percorsi storiografici dell’Italia post-bellica.
A conclusione del dossier appare un saggio di carattere bibliografico, redatto dalla sottoscritta e da E. Mazzini, che
renderà contro delle ricerche italiane degli ultimi due anni su questi temi, in cui tenteremo di svolgere alcune
riflessioni di carattere storiografico.
Il dossier intende offrire una mappatura, seppure molto parziale, dei temi e dei problemi relativi alla ricostruzione
della storia dell’antisemitismo cattolico in Italia, una ricognizione che riflette il senso delle ricerche in corso e che al
contempo offre approfondimenti su percorsi storiografici inaugurati dagli studiosi di generazioni precedenti. Ai temi
che vengono qui proposti se ne dovrebbero aggiungere altri, sempre più urgenti, tra cui ad esempio una seria
riflessione sulle concezioni del razzismo in rapporto al cristianesimo e al cattolicesimo, e non esclusivamente negli

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anni Trenta; sui rapporti culturali e simbolici tra nazionalismi e cattolicesimo dalla seconda metà dell’Ottocento fino
al periodo tra le due guerre; sull’immagine di ebrei ed ebraismo nella scienze delle religioni, negli studi biblici e
nella teologia; nella letteratura di finzione alta e middle brow, o di massa; una ricostruzione della figura di Gesù
nelle scienze storiche, bibliche, nella letteratura e nella cultura generale; sui dispositivi di semplificazione dei
discorsi antisemiti in slogan, immagini, e altri strumenti di propaganda. Infine, ritengo sia necessario compiere uno
sforzo aggiuntivo di collegamento tra la storia della chiesa e delle sue istituzioni con la storia della cultura/e
cristiane, al fine di comprendere meglio le dinamiche di circolazione, produzione e fruizione dei discorsi antiebraici
o le diversità dei livelli culturali del cattolicesimo in riferimento alla elaborazione e assimilazione dei medesimi
discorsi.
Il tema dell’antisemitismo cattolico – i due termini sono raramente accostati nella storiografia italiana che
preferisce utilizzare il lemma “antigiudaismo” [Facchini 2010] - costituisce non solo argomento complesso e
dibattuto, ma è anche oggetto di rinnovata polemica storiografica e pubblica, nazionale ed internazionale. Al
contempo, il medesimo tema è fonte di ricorrente preoccupazione per diverse ragioni – molte delle quali legate ad
eventi di attualità e alla riemersione, non solo in Italia, di culture antisemite ancora fondate sugli insegnamento
cristiani.
Se da un lato il processo di beatificazione di papa Pio XII costituisce uno nodo centrale all’interno della polemica
storiografica in corso, non sono di minore rilievo le affermazioni del documento vaticano del 1998 il quale configura
una netta presa di distanza dall’atteggiamento critico che le chiese cristiane, tra cui quella cattolica, avevano
intrapreso rispetto alle responsabilità di un secolare “insegnamento del disprezzo”, ritenuto, in parte, responsabile
di aver contribuito alla Shoah. Il processo di deresponsabilizzazione innescato dalla chiesa cattolica in questi ultimi
decenni non ha fatto che acuire i rapporti tra chiese cristiane ed ebrei, producendo tra l’altro anche una serie di
contributi interessanti – alcuni provenienti dal mondo anglosassone, altri invece frutto di un decennale processo di
ricerche in questa direzione - che costituiscono una sorta di contrappunto, tanto più necessario in una società
democratica, alle posizioni ufficiali dei documenti vaticani e, in ultima istanza, a contesti altamente ideologizzati
come sembra essere quello italiano. Esemplare, in questo caso, la lettura che David Kertzer ha fatto di Pio XI,
figura sulla quale pendevano ben altri giudizi storiografici.
È innegabile che la crescente mole di ricerche sull’ostilità antiebraica della chiesa e delle sue culture risenta delle
aperture e delle esigenze culturali del Concilio Vaticano II. Gli effetti di quella particolare stagione e i cambiamenti
instaurati da quella vicenda nei rapporti ebraico-cristiani sono visibili, ma i risultati rimangono ambivalenti, poiché
la permanenza di immagini inerenti alle conformazioni discorsive dell’ostilità antiebraica di matrice cattolica (e più
latamente cristiana), che qui abbiamo riprodotto solo in alcune delle sue molteplici manifestazioni, sembra porsi
come “segnalatore d’incendio” della presenza, in Italia così come in Europa, di culture antiebraiche ancora radicate,
le quali stanno ad indicare, da un lato, le resistenze cristiane verso quell’apertura, e dall’altro segnalano la capacità
di quelle stesse immagini di alimentarsi e alimentare sia le società post-cristiane che quelle non-cristiane.
Bibliografia:
Cohen J. 2007, Christ Killers. The Jews and the Passion from the Bible to the Big Screen, Oxford-New York: Oxford
University Press.
Facchini C. 2010. Le metamorfosi di un’antica ostilità. Antisemitismo e cultura cattolica nella seconda metà
dell’Ottocento, «Annali di storia dell’esegesi», 27/1, 187-230.
Gentile E. 2010, Contro Cesare. Cristianesimo e totalitarismo nell’epoca dei fascismi, Milano: Feltrinelli.
Gol'dmann K. 1996, Universal'noe poslanie Marka Šagala. Šagalovskij sbornik: Materialy I-V Šagalovskich dnej v
Vitebske (1991-1995), Vitebsk: izdatel' N. A. Pan'kov, 1996. 83-93 [Il messaggio universale di Marc
Chagall, in Collezione Chagall. Materiali dei giorni di Chagall in Vitebsk 1-5 (1991-1995)].
Heschel S. 1998, Abraham Geiger and the Jewish Jesus. Chicago: The University of Chicago Press.
Heschel S. 2008, The Aryan Jesus. Christian Theologians and the Bible in Nazi Germany, Princeton: Princeton
University Press.
Jaffè D. 2009, Jésus sous la plume des historiens juifs di xxe siècle, Paris: Cerf.
Kertzer D. 2004. I papi contro gli ebrei: il ruolo del Vaticano nell'ascesa dell'antisemitismo moderno, Milano:
Rizzoli.
Massenzio M. 2007, La passione secondo l’ebreo errante, Quodlibet, Macerata.
Roskies D. 1984, Against the Apocalypse. Responses to Catastrophe in Modern Jewsih Culture, Cambridge: Harvard
University Press.

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Storicamente 7-2011
Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche - Università di
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Dossier Antisemitismo e Chiesa Cattolica

Annalisa Di Fant
Don Davide Albertario propagandista antiebraico
L'accusa di omicidio rituale

Storicamente ISSN 1825-411X


volume 7 - 2011, March 11th 2011, art. 21
DOI: 10.1473/stor106
http://www.storicamente.org/07_dossier/antisemitismo/difant_davide_albertario.h
tm

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Keywords: Antisemitism, Chatolic Church, Italy, XXth Century

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1
Annalisa Di Fant
Don Davide Albertario propagandista antiebraico
L'accusa di omicidio rituale

Premessa
Davide Albertario, sacerdote–giornalista lombardo, è uno dei protagonisti più noti
del movimento cattolico intransigente del tardo Ottocento. Al suo nome, sia seguaci sia
storici di professione hanno spesso accompagnato epiteti altisonanti, come “campione”,
“alfiere”, “soldato”, tesi a sottolineare la statura eccezionale in senso positivo di questo
strenuo difensore dei diritti del papato e della religione cattolica. Descrivendone l'operato,
quindi, se vengono ricordati i suoi eccessi polemici, lo si fa quasi sempre con l'aria di
ritenerli peccati veniali, ed essi vengono compresi e giustificati alla luce dell'asprezza
polemica che caratterizzava in generale gli scontri ideologici tra Chiesa e mondo liberale a
quel tempo.
L’irriducibile militanza albertariana, la concezione battagliera dell'agone politico, i
contenuti violentemente intransigenti veicolati dal suo giornale, «L'Osservatore Cattolico»,
non potevano non suscitare la simpatia e l'ammirazione di coloro che oggi alimentano la
rete, reale e virtuale, del cattolicesimo più reazionario.
Alla luce anche della fortuna attuale di cui gode il personaggio, ciò che mi propongo di
sottolineare con questo breve saggio è un aspetto già noto della polemica che promosse,
ma che non appare sempre adeguatamente valutato nelle ricerche ad esso dedicate. Davide
Albertario, infatti, attraverso le pubblicazioni dell’«Osservatore», contribuisce in modo
determinante alla polemica antiebraica cattolica di fine Ottocento ed è forse nel mondo
cattolico, assieme ad alcuni redattori della «Civiltà Cattolica», il massimo propagandista
italiano dell’antisemitismo, non esitando a ricorrere ad uno dei suoi argomenti più violenti:
l’accusa di omicidio rituale.
Nel farlo persegue, come altre testate cattoliche intransigenti [Di Fant 2010], una linea di
scontro irriducibile con la modernità secolarizzatrice, di cui gli ebrei emancipati sono
simbolo, e col sistema liberale concretatosi in Italia nell’unificazione a scapito della Chiesa
[Miccoli 1985; Menozzi 1993]. Un uso politico e strumentale della polemica antiebraica
che pare quanto mai redditizio nella difesa della causa cattolica, soprattutto di fronte ai
successi riscossi all’estero dai movimenti politici fautori dell'antisemitismo [Miccoli

2
1997].

L'accusa del sangue sull'«Osservatore Cattolico» di Milano

La tradizionale accusa rivolta agli ebrei di praticare omicidi a scopo rituale, prediligendo
come vittime bambini cristiani, torna in auge negli ultimi decenni dell'Ottocento,
rappresentando il paradigma ideale per dimostrare quanto sia pericolosa la presenza
“dell'ebreo” in seno alle popolazioni cristiane, ed è sfruttata dalla maggior parte della
stampa cattolica in diverse occasioni, soprattutto negli anni Novanta. Il giornale di
Albertario, per sua stessa ammissione, mostra una particolare sollecitudine a non farsi
sfuggire nemmeno un'opportunità per servirsene, e nel maggio del 18901 scrive:

L'Osservatore Cattolico, che, può dirlo coscienziosamente, fra i giornali europei è


uno dei più assidui ed energici a mettere in guardia contro le malefatte degli ebrei,
assassini moralmente della società, e positivamente e ritualmente dei cristiani, come
un dì i loro padri lo furono di Gesù Cristo, si è fatto premura di render noto, il dì 14
maggio, il nuovo assassinio rituale commesso dagli ebrei lo scorso mese di aprile, a
Damasco.

Si allude qui a un violento articolo2 in cui, citando l'«Univers», si è data notizia di una
« seconda edizione dell'assassinio di P. Tomaso», a cinquant'anni dal primo celebre caso di
««

accusa del sangue di Damasco [Frankel 1997]: introducendo la riproduzione dell'articolo


del giornale cattolico francese, viene aspramente stigmatizzata l'«immensa impudenza -
pari solamente a quella dei loro buoni fratelli i framassoni», degli ebrei quando giurano di
essere innocenti, «ma i deicidi son anche cristianicidi, per quanto si affannino a
spergiurare».
Pochi giorni dopo si coglie l'occasione per stilare un elenco3 dei principali «misfatti»
commessi dagli ebrei «allo scopo di obbedire alla legge rabbinica di procurarsi sangue
cristiano per celebrare santamente la loro Pasqua». L'elenco, idea «opportuna e doverosa»
(in realtà già presente nella precedente letteratura antisemita, dalle presunte rivelazioni di
un fantomatico ex rabbino moldavo [Rivelazioni 1883] alle copiose pubblicazioni della

1
Ancora il rito di sangue ebraico, «L'Osservatore Cattolico», 17-18 maggio 1890, 2.
2
Il rito di sangue ebreo. Assassinio d'un fanciullo cristiano a Damasco, «L'Osservatore Cattolico», 14-15
maggio 1890, 2. In questo articolo - ed è significativo - si dà per scontato che i lettori colgano il riferimento
alla precedente accusa del sangue verificatasi a Damasco, risalente al 1840 e relativa all'uccisione di un frate
cappuccino piemontese, padre Tommaso da Calangiano, e del suo servitore [Frankel 1997]. Notevole anche
l'insistenza con cui gli ebrei vengono in questo pezzo definiti aggressivi economicamente: «vampiri succhiatori
cosmopolitici del sangue materiale e del sangue della proprietà e industria sociale».
3
Gli assassini rituali ebraici, «L'Osservatore Cattolico», 22-23 maggio 1890, 2.

3
«Civiltà Cattolica» [Taradel e Raggi 2000]), ripercorre dal 418 al presente «la storia degli
ammazzamenti perpetrati dalla Sinagoga […] lunga catena di misfatti che si svolge nel
corso dei secoli sotto la mano dei capi d'Israele». Nella lista viene messo in risalto il caso
di Tiszaeszlár, risalente al 1882, «delitto irrefutabilmente constatato» e negato solo grazie
all'«oro ebraico», ma viene citato anche un caso che si sarebbe verificato a Breslavia nel
1888 (episodio di cui era stato scritto in una corrispondenza da Berlino4, come ennesima
prova dell'indiscutibile esistenza del «Blutkult talmudico»). Dopo aver specificato che, per
mancanza di tempo e spazio, si citano solo i casi più importanti (la lista è «spaventosa, ma
tutt'altro che completa»), si sottolinea come la Chiesa abbia conferito il titolo di santi e di
martiri a diversi fanciulli vittime di tali assassinii: «segno è dunque che la Chiesa ha voluto
colla sua sanzione affermare ineluttabilmente il fatto dell'assassinio rituale, e del movente
giudaico in odio di Cristo». Un'altra osservazione, che si fa a margine dell'elenco, è che «in
questi ultimi anni gli assassinii talmudici si sono moltiplicati con una recrudescenza
proporzionata all'estendersi della potenza e prepotenza israelita»:

La recentissima uccisione rituale del giovanetto Enrico Abdel-Nur a Damasco è


l'ultimo atto – per quanto si sa – della cupa sanguinosa tragedia di cui il mondo è
teatro dai tempi apostolici fino a noi. Tutta l'era cristiana è stata segnata da questo
terribile stigma. Dalla grande immolazione deicida consumata sul Golgota, venendo
giù giù fino a noi, la razza maledetta da Dio non ha cessato di spargere il sangue dei
discepoli di Cristo. Ha sete e bisogno e obbligo rituale di sangue cristiano. Ed
attraverso il mondo si raccoglie un grido uniforme dalla bocca di tutti i popoli: «Gli
ebrei ammazzano i cristiani, specialmente i bambini, per fare uso del loro sangue in
orribili cerimonie». E gli assassinii commessi ma rimasti ignorati? E quelli
perpetrati dalla Massoneria, per dato e fatto della Giudaicheria, colla quale è una
cosa sola?

I riferimenti al «grido uniforme» di tutti i popoli, e alla Massoneria, esecutrice degli ordini
della «Giudaicheria», conferiscono all'antica accusa, una portata e una dimensione
accentuatamente politiche: gli ebrei dal deicidio ai tempi presenti non hanno mai cessato di
«spargere il sangue» dei cristiani, ma ora il fatto è noto, ed è sotto gli occhi di tutti,
nonostante ebrei e massoni cerchino di celarlo in tutti i modi.
Nel 1891, l’attivismo antiebraico del giornale riceve un riconoscimento esterno: un
osservatore francese, pur lamentando la mancanza in Italia di un «journal antisémitique», lo
loda esplicitamente - assieme alla «Civiltà Cattolica» - per l'impegno che entrambe le testate
dimostrano nella denuncia delle malefatte degli ebrei: «Il n'existe malheureusement en Italie
aucun journal antisémitique. Dans la Civiltà Cattolica on s'est pendant plusieurs années

4
Il culto ebreo di sangue, «L'Osservatore Cattolico», 27-28 febbraio 1889, 2.

4
occupé des Juifs et tout le monde regrette que ces articles n'aient pas été publiés séparément.
Il y a à Milan un journal qui parle souvent des Juifs. C'est le seul qui ait le courage de le faire
et c'est l'Osservatore Cattolico» [Bournand 1891, 160].
In quello stesso anno si ha a Corfù un episodio di accusa del sangue che provoca pogrom,
emigrazioni di massa dall’isola, e le solite code giornalistiche. «L'Osservatore Cattolico»,
dopo essersi inizialmente servito come fonti alternative alle «pappolate e mistificazioni»
delle agenzie telegrafiche ufficiali, di testate affini nell'interpretare i fatti, quali l'«Italia del
Popolo» di Milano, e l'«Eco d'Italia» di Genova, scrive un lungo articolo sulla Pietà … per
gli ebrei!5: la pietà per le vittime delle violenze antisemite, invocata dalla maggior parte
della stampa liberale sulla scorta delle notizie diramate dalla «ebreofilissima Stefani», non
ha ragione d'essere. La vicenda è analoga a quella di Damasco, di Breslavia e di
Tiszaeszlár: «Che meraviglia se la popolazione di Corfù, vedendo anche colà protetti dal
governo gli ebrei, vuol farsi giustizia da sé, e coinvolge nel biasimo e nella rappresaglia
tutta l'ebraicheria corfuana, per farle verosimilmente pagare in medesimo tempo il fio di
torti antecedenti? Noi non giustifichiamo tale condotta, ma sappiamo spiegarcela». La
colpa principale è delle autorità che proteggono i colpevoli e, coprendo il delitto,
«offendono la massima parte della cittadinanza, e calpestano le leggi di natura, le civili, le
penali». Accomunati nella colpa sono quindi gli ebrei, autori o complici del misfatto, e le
autorità civili che li difendono dalle accuse, e prima ancora li lasciano prosperare
indisturbati. La reazione furiosa del popolo (che, si fa notare, è però in massima parte
«scismatico», ossia appartenente alla Chiesa ortodossa), essendo basata su accuse
assolutamente verosimili e nascendo da una situazione pregressa insostenibile, risulta
perciò del tutto comprensibile:

Quindi è tanto più probabile che la popolazione sia avversa agli ebrei non solo pel
recente fatto, ma per tutto un sistema di soprusi ed angherie. Ora venite a
sdilinquire di pietà, pei bevitori del sangue d'innocenti bambini! Ora fate appello ai
governi per proteggere… gli assassini! I giornali civili, imparziali, onesti,
dovrebbero anzitutto invocare luce, giustizia, severità, dovrebbero esigere che la si
faccia finita una buona volta con questo rito selvaggio, bestiale, orribile. […] Pietà
per mignatte insaziabili, per cospiratori eterni! Rientrino nella legalità, mostrino
sensi d'umanità, se legalità e umanità vogliono in proprio favore.

5
Pietà... per gli ebrei!, «L'Osservatore Cattolico», 14-15 maggio 1891, 1-2. Opinioni ripetute anche
l'indomani, quando si specifica che l'unica soluzione per porre fine alla violenza popolare (diretta
conseguenza dell'aggressività ebraica) «sarebbe di porre un argine alle usure, ai monopolii, alle frodi, in cui
gli ebrei diguazzano da cima a fondo. […] Ma di questo non si parla, ma tutta la pietà è pei malvagi che non
potendo ripetere il deicidio assassinano i battezzati nel nome di Cristo, per obbligo, per rito! Pietà iniqua,
pietà liberticida, se deve proteggere e sanzionare il misfatto!» (I fatti di Corfù, «L'Osservatore Cattolico», 15-
16 maggio 1891, 2).

5
Non solo si comprende la violenza popolare, ma la si fa derivare dalle caratteristiche che,
ancora una volta, investono l'ebraismo nella sua globalità: l'omicidio rituale è l'acme di
tutto un sistema, più generale, di soprusi. E infatti, a dimostrare come gli ebrei sollevino
ovunque un'opposizione, nello stesso articolo il discorso si allarga a considerare le misure
di rigore volute dal governo russo6, che provocano il biasimo fuori luogo della stampa
liberale.
La lotta agli ebrei, nei commenti dell'«Osservatore», appare come un terreno su cui
cattolici ed ortodossi si trovano a combattere dalla stessa parte, e nonostante i cattolici
reclamino sempre la propria “eccellenza”, è interessante notare come osservino e valutino
comunque positivamente le altrui mosse. Questa lettura apologetica della violenza
popolare antiebraica è un topos ricorrente in tutta la stampa cattolica, che il giornale di
Albertario ben esemplifica. La tesi è che ovunque ci sia una presenza ebraica, è naturale
che sorga un'opposizione contro di essa, perché tutte le pratiche degli ebrei - che riflettono
l'agire dei loro “padri” deicidi, dagli incontestabili riti di sangue al comportamento
economico - istigano ad una dura reazione.
Ciò è ribadito esplicitamente di lì a qualche giorno in un altro articolo:

Come i loro padri imprecarono sul proprio capo e sul capo dei loro figli il sangue
del Cristo ucciso, così i non degeneri discendenti, a sfogo del non poter
ricrocifiggere alla loro volta il Nazareno, ne svenano i seguaci pel rito pasquale, a
quel modo che, del resto, cercano colle usure, coi monopolii, colle più abbominiose
speculazioni di Borsa, cogl'incettamenti, e con simili mezzi, di svenare il piccolo
commercio, la piccola proprietà. Ed è per questo che dappertutto l'ebreo è mal visto,
odiato, detestato, come si detestano le jene e i vampiri; scismatici, protestanti,
mussulmani, tutti li aborrono, e se li subiscono è a contro-cuore, se talvolta mostran
loro sorridente il viso è per dolorosa necessità e per sottrarsi a mali maggiori. I
cattolici non li odiano, perché la religione cattolica è amore; odiano però anch'essi
le loro opere tanto esiziali, e dove possono ne combattono la malefica azione. 7

L'amore della Chiesa è dimostrato dal caritatevole atteggiamento papale, la cui


contrapposizione alla malvagia condotta degli ebrei, è uno dei capisaldi della propaganda

6
Anche il corrispondente berlinese dell'«Osservatore», qualche mese dopo rispetto all'articolo Pietà... per gli
ebrei!, definirà lo Zar - nonostante sia uno "scismatico" - «padre caritatevole e coscienzioso», nonché
esempio da seguire: «Volesse Dio che altri sovrani prendessero esempio dallo Czar, occupandosi della
questione ebraica, della più bruciante che esista oggi in Europa!». Alessandro III «merita ogni lode se sfratta
gli ebrei che corrompono e sfruttano il suo popolo in modo audace. È atto di carità il salvare il paese da
questi pidocchi» (Lettere berlinesi, «L'Osservatore Cattolico», 14-15 ottobre 1891, 2).
7
La situazione a Corfù, «L'Osservatore Cattolico», 19-20 maggio 1891, 2. In questo articolo si minimizza,
tra l'altro, la gravità delle violenze antiebraiche: le fonti ufficiali sono definite «i piagnucoloni narratori di
disordini» che «senza esempio esagerano stomachevolmente, per ingannare l'opinione pubblica»; la
situazione sarebbe insomma meno grave di come la descrivono «gli ebrei di religione e gli ebrei di contegno,
spesso peggiori dei primi».

6
cattolica, argomento utile sia a scagionare i cattolici dall'accusa di fomentare l'odio
antiebraico, proprio di «scismatici, protestanti, mussulmani», sia a enfatizzare per contrasto
la perfidia ebraica, che a tanto amore corrisponde «col denigrare il Clero, e col praticare le
prescrizioni del Talmud che vogliono l'odio e la persecuzione contro i cristiani»8.
La propaganda sull'omicidio rituale occasionata dai fatti di Damasco e di Corfù, viene
ripresa e amplificata di lì a pochissimo, con un'eco ancora maggiore, grazie all'accusa del
sangue che si diffonde a Xanten, una località tedesca della Renania, nell'estate del 1891: un
macellaio ebreo, Adolf Buschof, viene accusato dell'uccisione di un bambino cristiano,
Jean Hegemann, ma verrà infine, l'anno dopo, scagionato.

«Certezza del ritualismo nelle uccisioni giudaiche»

Fin dalla scoperta dell'assassinio molto spazio viene dato al caso dall'«Osservatore
Cattolico», soprattutto grazie alla solerzia del suo «infaticabile ed avveduto»
corrispondente tedesco9, esplicitamente lodato dalla redazione quando a fine agosto viene
annunciata10 la sua partenza in missione non solo verso Xanten, ma anche verso Corfù: «Il
nostro corrispondente studierà sul luogo il problema criminale, e ci manderà in proposito
relazioni interessantissime»; in entrambi i luoghi «è precisamente necessario uno studio
accurato d'un serio e imparziale pubblicista cristiano, per sorvegliare meglio le cabale e la
perfidia della Sinagoga».
La posizione dell'anonimo pubblicista, lungi dall'apparire imparziale, è chiara fin dal primo
cenno11 che fa alla vicenda di Xanten, prima ancora di partire: «Più gli ebrei si affannano a
spergiurare impudentemente ch'essi non hanno mai commesso alcun delitto rituale di
8
Il clero cattolico e gli ebrei, «L'Osservatore Cattolico», 25-26 maggio 1891, 1. Del resto, in questo articolo,
si ricorda che «la Chiesa nel Venerdì santo prega anche pro perfidis Judaeis».
9
Non compare mai la firma in calce alle corrispondenze da Berlino e l’identità sembra essere tenuta
accuratamente nascosta. Nel corso della controversia Albertario-Strack [vedi infra], quest'ultimo ipotizza che
corrispondente dell'«Osservatore» sia uno degli esperti che Albertario chiama in causa, il «bibliotecario
Weissbach», ossia l'assirologo Franz Heinrich Weissbach (1865-1944). Egli tuttavia è di stanza a Lipsia,
mentre la rubrica si intitola Lettere berlinesi.
10
I delitti rituali di sangue, «L'Osservatore Cattolico», 21-22 agosto 1891, 2. I fatti di Corfù verranno
nuovamente ricordati sull'«Osservatore» nel 1892 proprio dal corrispondente berlinese, cfr. Lettere berlinesi
- L'uccisione rituale di Corfù, «L'Osservatore Cattolico», 24-25 maggio 1892, 1-2; e, tra giugno e luglio, in
una serie di articoli - verosimilmente dovuti allo stesso pubblicista - sotto il titolo Memoriale delle cose
israelitiche avvenute in Corfù nell'aprile 1891, «L'Osservatore Cattolico», 23-24 giugno 1892, 1-2 (prima
puntata in cui tale memoriale è definito una «primizia preziosa che l'Osservatore Cattolico si compiace di
poter presentare a' suoi lettori», di cui si annuncia l'imminente riproduzione integrale in un libro a parte,
insieme agli articoli sulla Certezza del ritualismo nelle uccisioni giudaiche); 24-25 giugno, 2; 25-26 giugno
1892, 2; 28-29 giugno 1892, 2; 30 giugno-1 luglio 1892, 2; 1-2 luglio 1892, 1-2; 4-5 luglio 1892, 2; 7-8
luglio 1892, 2; 9-10 luglio 1892, 1; 15-16 luglio 1892, 1-2.
11
Nuovo delitto rituale di sangue degli ebrei, «L'Osservatore Cattolico», 6-7 agosto 1891, 1.

7
sangue, più si moltiplicano invece le prove e i fatti di tali assassinii»; e il resoconto12 che
stila dopo esser stato circa tre settimane in loco, dà per certa la colpevolezza del primo
sospettato, Buschof. In seguito, dicendosi «amico personale» del commissario incaricato
delle indagini, Wolff, si augura che questi sappia «condurre a buona fine questa causa
celebre, che ha un interesse capitale per l'intero mondo civile, perché distruggerà la
leggenda giudea della cosiddetta diffamazione antisemitica»13.
Proprio i tentativi di sottrarsi a tale «diffamazione», e di difendere la Chiesa cattolica nel
suo complesso dall'accusa di incentivare l'odio antiebraico, finiscono per intrecciarsi alla
più aperta e bieca propaganda antisemita, la quale raggiunge un'intensità e una frequenza
davvero inusitate dalla fine del 1891 a tutto il 1892, senza che, apparentemente, ciò susciti
alcun dubbio o imbarazzo sull'evidente contraddittorietà rispetto alla linea autodifensiva.
Sul giornale milanese quasi ogni giorno appaiono uno o più articoli di contenuto
antiebraico, e pressoché tutte le corrispondenze da Berlino contengono invettive spesso
molto violente, probabilmente ispirate anche dalla situazione locale, vista la centralità della
propaganda antiebraica sui giornali tedeschi del periodo [Hartston 2005].
Tra il marzo e l'aprile del 1892, in 18 puntate, viene pubblicato un ampio "studio" sulla
Certezza del ritualismo nelle uccisioni giudaiche, che già nel titolo esplicita il suo
programma. L'anonimo autore è – in una nota in calce al primo articolo della serie -
definito «nostro valoroso amico e collaboratore» dalla redazione, che loda e si congratula
per «l’opera sua provvidenziale, santa, salutare», scrivendo articoli «d'una importanza
capitale e d'una poderosità probativa irrefutabile». Nella sua prolissa argomentazione, tale
scrittore fa mostra di aver ampiamente attinto alla ormai ampia letteratura antisemita
disponibile; si serve principalmente delle rivelazioni del sedicente ex-rabbino moldavo
Neofito, ma anche della «Civiltà Cattolica», degli scritti di Rohling, Medici, Laurent,
Desportes, Gougenot des Mousseaux, Drumont, e persino delle lettere aperte a
Toscanelli14. Tutte opere che, come si dice nella prima puntata, gli ebrei cercano di
occultare facendole materialmente sparire dalla circolazione.
Ormai alla quarta puntata, giunge la dichiarazione «che già avremmo dovuta premettere a
12
Il resoconto, Lettere berlinesi – L'uccisione rituale di Xanten, appare in due puntate: «L'Osservatore
Cattolico», 24-25 settembre 1891, 2, e 25-26 settembre 1891, 2; anticipato da brevi ragguagli mandati da
Xanten (ivi, 1-2 settembre 1891, 2; 3-4 settembre 1891, 2; 9-10 settembre 1891, 2; 12-13 settembre 1891, 1).
13
Lettere berlinesi, «L'Osservatore Cattolico», 20-21 ottobre 1891, 2.
14
Corposa serie di articoli pubblicati tra il luglio 1890 ed il febbraio 1891, nei quali si raccoglie
progressivamente una sorta di summa della propaganda antimassonica/antisemita in funzione politica di cui si
fa portatore il giornale e che appaiono anche pubblicati in opuscolo, con lo stesso titolo, Tip. Degli
Artigianelli: Milano 1891. Autore è presumibilmente il sacerdote Domenico Arnaldi [Di Fant 2005, 176n] e
non Albertario stesso, come le iniziali inducono a supporre [Paoluzzi 2003, 141].

8
tutto il nostro lavoro»:

È solo amor di verità che ci spinge al presente studio, opportunissimo in un tempo


nel quale la razza giudea, pecuniariamente e politicamente padrona del mondo,
persiste, or qua or là, nelle sue pratiche sanguinarie, sicura di restare sempre
impunita in quei membri che forse la sorte e una parola secreta dell'alto sinedrio
giudaico centrale ha obbligati alla carneficina rituale.

Le «uccisioni giudaiche», ampiamente descritte anche nei particolari più truci, sono in
generale la «terribile conseguenza di quella cecità di mente e durezza di cuore che,
rimproverata da Cristo ai giudei, vieppiù crebbe in loro dopo il deicidio» (V puntata), e in
particolare rispondono ad un precetto contenuto nel Talmud, una «legge positivamente
certa» (III puntata). Il segreto con cui gli ebrei cercano di ammantare tale pratica è stato
rotto dalle confessioni raccolte a Trento, Damasco e Tiszaeszlár, che vengono ampiamente
riprese; così come viene riproposta la lista degli omicidi rituali dall’anno 425 al tempo
presente, stavolta sotto il titolo Un elenco di assassinii rituali consumati o tentati (XVII
puntata), e con una numerazione progressiva che arriva alla cifra di 154. Tale elenco
sembra già essere divenuto un topos esso stesso: dopo quello stilato nel maggio del 189015,
all'inizio del 1892 ne era stata pubblicata una versione più dettagliata 16, che ne avrebbe
fatto «il più completo di quanti uscirono finora», e di cui il corrispondente di Berlino aveva
riferito il grande apprezzamento espresso dalla «Kreuzzeitung»17.
La presentazione del catalogo, che «forma contro i giudei la requisitoria più schiacciante
[...] un muro di bronzo inoppugnabile alla critica», precede l'ultima puntata dello “studio”.
Questa costituisce, in realtà, una conclusione solo parziale: «I lettori, che sì benignamente
accolsero il nostro lavoro, non vogliano crederlo completo; è ben lungi dall'essere tale, e
noi amiamo chiamarlo piuttosto abbozzo, che lavoro» (XVIII puntata), e si invita perciò il
pubblico a partecipare alla raccolta di ulteriori dati. Il punto provvisorio non viene posto in
15
Vedi nota 3.
16
Le uccisioni rituali degli ebrei, «L'Osservatore Cattolico», 23-24 gennaio 1892, 1-2. Rivendicando una
maggiore completezza rispetto al catalogo pubblicato nel 1890, si forniscono qui anche le fonti, che sono: il
processo di Trento, le annate 1881-82 della «Civiltà Cattolica», le lettere al Toscanelli, e soprattutto l'opera
Eine jüdisch-deutsche Gesandtschaft und ihre Helfer, pubblicata a Lipsia nel 1891da Carl Paasch,
propagandista delle idee del Talmudjude, ricordato da G. L. Mosse [1991, 203], tra coloro che avendo preso
in considerazione il genocidio come soluzione del problema ebraico, per ragioni di inattuabilità pratica
ripiegavano sull'internamento e la deportazione in Nuova Guinea.
17
L’apprezzamento della «Kreuzzeitung», giornale degli ambienti conservatori e antiliberali protestanti edito
a Berlino [Hartston 2005, 286-289] è riportato dalle Lettere berlinesi, «L'Osservatore Cattolico», 28-29
gennaio 1892, 1. La redazione vanta l'apprezzamento del catalogo e del proprio operato anche da parte del
«Siglo Futuro» (cfr. trafiletto in calce a Certezza del ritualismo, VI puntata: 17-18 marzo 1892 cit.). Il
giornale spagnolo, a sua volta, viene citato in relazione al caso del Niño de La Guardia, propagandato da
padre Fidel Fita (cfr. Certezza del ritualismo, XIII puntata: 9-10 aprile 1892 cit.; e XIV puntata: 12-13 aprile
1892 cit.); sull'accusa del sangue in Spagna tra Otto e Novecento, cfr. Botti [1998].

9
un giorno qualsiasi bensì a Pasqua, come non manca di notare l'autore stesso: «presso la
tomba della prima vittima del furore giudaico deponiamo la penna, protestando, come già
facemmo nel corso del lavoro, che niun sentimento di umana passione ci ha mossi nel
compilare questi articoli, ma solo il desiderio di smascherar ancora una volta la menzogna
e di mettere in chiara luce la verità».
Non è quindi casuale la divulgazione di questo “studio” in un periodo particolare come
quello delle festività pasquali, così come, altrettanto strategica, pare la sua collocazione
rispetto a un importante evento per la redazione del giornale milanese.
Il giorno prima dell'inizio delle pubblicazioni sulla Certezza del ritualismo, infatti, ampio
risalto viene data all'udienza privata concessa dal papa al direttore Albertario. 18 Ricevuto il
6 marzo, quest'ultimo sostiene che il pontefice lo ha trattenuto «per ben 45 minuti in varji e
gravi argomenti, sollecitandomi con somma benevolenza a dirgliene quello che ne
pensassi». Albertario non specifica il contenuto di questi «argomenti»: «Sebbene l'Augusto
interlocutore non mi abbia vietato di riferire il discorso, pure mi tengo obbligato alla
riservatezza. Le parole del Papa mi sono di insegnamento e mi saranno di guida nelle più
alte vertenze che attualmente si agitano. Posso però dire che Sua Santità si dimostrò
soddisfattissima dell'Osservatore Cattolico e venne egli stesso determinando dei punti e
fatti che lo avevano più favorevolmente impressionato». Introdotti anche Luigi Oggioni e
Angelo Mauri, che hanno accompagnato il direttore a Roma in rappresentanza
dell'amministrazione del giornale, Leone XIII, avrebbe detto, testuali parole: «Leggo
l'Osservatore e ripeto a loro la mia piena soddisfazione; il vostro giornale si toglie fuori
dalla comune; continuate con coraggio». Non manca la finale benedizione impartita oltre
che ai tre presenti, al lavoro da essi prestato, ed ai colleghi.
L'importanza dell'approvazione espressa dal papa, della sua «piena soddisfazione» (che
gettano nuova luce anche sull’intervista che cinque mesi dopo Leone XIII rilascerà sul
tema dell’antisemitismo a «Le Figaro»), è testimoniata anche dall’enfasi con cui ne parlano
sul giornale sia lo stesso Albertario, sia il corrispondente berlinese, che congratulandosi
con la redazione segnala come in Germania la cosa sia stata assai notata: «tutti ne
argomentano la specialissima importanza ed autorevolezza dell'Osservatore Cattolico».
È significativo che l'udienza pontificia abbia luogo in un momento in cui si sta
consolidando la fama del giornale di Albertario come autorità “in materia ebraica”, sia in
Germania che in Austria, nei cui parlamenti i deputati antisemiti, stando alle
18
Prete Davide Albertario, L'«Osservatore Cattolico» in Vaticano. Udienza privata di quasi un’ora,
«L'Osservatore Cattolico», 7-8 marzo 1892, 1-2.

10
corrispondenze che giungono da Berlino e Vienna, si servono dei sedicenti studi del
giornale di Milano per sostenere l'esistenza dell'omicidio rituale. Ed effettivamente pare
che il giornale sia citato dalla stampa protestante tedesca antisemita proprio quale organo
"vaticano", come attesta nella prefazione all'edizione del 1892 del suo lavoro sull'accusa
del sangue, il teologo e orientalista protestante di Berlino Hermann Strack, che polemizza
direttamente coll'«Osservatore» proprio in seguito all'intenso battage antiebraico del 1891-
92.
È del resto palese il tentativo di chi si occupa della questione sul giornale di Albertario di
ammantarsi di un carattere di scientificità, statuto più volte rivendicato anche nella serie
dedicata al rito di sangue, e corroborato pure da nuove, determinanti «prove storiche»: nel
mese di aprile del 1892 non mancano infatti le segnalazioni19 di altri recentissimi, presunti,
tentati omicidi rituali prima a Porto Said, e poi a Costantinopoli.
Nel luglio del medesimo anno, ispirata da notizie francesi questa volta, si pubblica
una riflessione sul fenomeno dell’antisemitismo, che viene descritto e giustificato secondo
lo schema corrente e consolidato della “legittima difesa”. 20 I suoi aspetti più deteriori, i
tumulti e le violenze, sono disapprovati dalla Chiesa; prova ne è che a combattere gli ebrei
in questo modo sono specialmente gli ortodossi e i protestanti:
I cattolici si limitano a constatare quale sia il carattere dell'ebreo, quali siano le sue
opere, quali effetti derivano da quel carattere e da quelle opere. Noi che in Italia ci
siamo trattenuti degli ebrei più di ogni altro giornale cattolico, ben ci guardammo
dall'eccitare le passioni popolari, ma abbiamo compiuto il dovere nostro di istruire i
cristiani sulla natura dell'ebraismo. […] noi non propugneremo mai l'anti-semitismo
cieco, passionato, piazzaiuolo; ma i cattolici devono difendersi contro gli ebrei dai
quali sono assaliti in modo iniquo, con arti scellerate, con prepotenze inaudite, i
cattolici devono salvare la fede, la coscienza, la pace, la borsa contro l'invadenza
semitica.

Dall'apologia dell'atteggiamento della Chiesa verso gli ebrei, si passa alla rivendicazione
della propria linea editoriale sulla questione, che non ha per fine quello di eccitare
“passioni”, ma solo quello di insegnare ai cattolici come difendersi. Le ambizioni
pedagogiche del giornale di Albertario saranno da lui stesso ribadite, come vedremo, anche
nell'intervista che rilascerà all'inizio della controversia con Hermann Strack, al giornale

19
Un altro tentativo di assassinio rituale ebreo?, «L'Osservatore Cattolico», 5-6 aprile 1892, 1; Il fatto di
Porto Said, «L'Osservatore Cattolico», 22-23 aprile 1892, 2; Nuovo tentativo d'assassinio rituale ebraico,
«L'Osservatore Cattolico», 23-24 aprile 1892, 2, riproduzione di una corrispondenza da Costantinopoli
all’«Osservatore Romano».
20
L'antisemitismo, «L'Osservatore Cattolico», 2-3 luglio 1892, 1. Se qui si commenta l'antisemitismo di
matrice ortodossa e protestante, non meno positivo e assolutorio sarà il giudizio espresso sulle violenze
antisemite in Francia e in Algeria, che durante l'affaire Dreyfus coinvolgeranno in prevalenza cattolici [Di
Fant 2002, 105 ss.].

11
milanese «L'Italia del Popolo».
Che campagne come quella animata dall'«Osservatore Cattolico», e in varia misura anche
da altri organi cattolici, finiscano, come minimo, per mettere sulla difensiva i lettori
rispetto agli ebrei, è molto probabile: le descrizioni truculente dei riti di sangue, e quelle
inquietanti dell'invasione, allo stesso tempo palese ed occulta, degli ebrei nella società, non
possono che formare un'immagine profondamente negativa dell'ebraismo. Al momento
dello svolgimento del processo per l'omicidio di Xanten, che si tiene a Cleve nel luglio
1892, si può quindi verosimilmente ipotizzare che il pubblico della stampa cattolica sia
ampiamente preparato a giudicarne l'andamento e soprattutto l'esito. L'intenso battage
dispiegatosi nei mesi precedenti, e il paragone, più volte evocato, col processo del 1883 a
Nyiregyháza, forniscono un sicuro metro di giudizio con cui valutare prima l'indubitabile
colpevolezza dell'ebreo Buschof, e poi la sua assoluzione comprata, come tutte le
precedenti, dall'«oro giudeo».
Il giornale, durante i dibattimenti, sottolinea lo scandalo di vederli falsati dal «terrorismo
esercitato dalla difesa sulla intera città [...] Dappertutto si vedono spioni col naso curvo che
riferiscono ai rabbini ogni parola imprudente dei testimoni a carico che poi sono assaliti
dalla difesa. Che spettacolo scandaloso!».21 Scontato perciò il rigetto del verdetto di
innocenza.

La spavalderia albertariana: una sfida e un'intervista

«L'Osservatore Cattolico», che si dimostra sdegnato ma non sorpreso dall'esito del


dibattimento, si spinge fino a lanciare una scommessa22: offre 10.000 lire al «Corriere della
Sera», che aveva negato potesse essersi trattato di omicidio rituale, qualora si rivelasse in
grado di dimostrare la falsità del capo d'accusa. La sfida è praticamente ignorata dal
«Corriere», che dedica pochissimo spazio alla polemica del giornale cattolico e si limita a
pubblicare un telegramma da Berlino in cui si informa che la scommessa viene raccolta da
Hermann Strack, «pronto a dimostrare l’empirismo e l’inesattezza dei 75 paragrafi proposti
dall’Osservatore Cattolico»23 (ossia della serie sulla Certezza del ritualismo). La vicenda
però finisce sul nascere poiché Strack, che aveva lasciato all'«Osservatore» la scelta di tre
giudici dalla comprovata fama scientifica, si vede proporre una rosa di papabili composta
21
Il processo di Cleve, «L'Osservatore Cattolico», 9-10 luglio 1892, 2.
22
10000 franchi al «Corriere della Sera», «L'Osservatore Cattolico», 13-14 luglio 1892, 1-2.
23
Recentissime telegrafiche - Un arbitrato proposto all’Osservatore Cattolico, «Corriere della Sera», 23-24
luglio 1892, 3.

12
tutta da personaggi che esulano dalla sua definizione, e il cui denominatore comune è
l'essere piuttosto di comprovate opinioni antisemite (tra loro addirittura il canonico
Rohling e un ministro ortodosso, sindaco di Corfù ai tempi dell’accusa del sangue
dell’anno precedente), e si rifiuta quindi di partecipare alla dimostrazione, a queste
condizioni. Tuttavia, proprio in risposta alla provocazione del giornale milanese, il
professore tedesco aggiorna e riedita nell'ottobre del 1892 il suo studio pubblicato l'anno
prima, che diventerà, tradotto anche in inglese e in francese, un testo imprescindibile nella
confutazione della menzogna.
Nell'articolo in cui Albertario, a causa dell'abbandono dell'avversario, dichiara
definitivamente troncata la «questione Strack» (diversamente dalla «questione ebrea, che è
del dominio universale»), ne approfitta per allargare la polemica a tutti i nemici della
Chiesa - liberali, transigenti, massoni ed ebrei - che cercano invano di prevaricare i
cattolici oppugnando la verità».24
Appena lanciata la sfida, nello stesso mese di luglio 1892, Albertario in persona rilascia
un'interessante intervista sull'omicidio rituale all’«Italia del Popolo».25 Un episodio, questo,
poco conosciuto, accaduto in un periodo di forte protagonismo albertariano, che può
gettare ulteriore luce sulle motivazioni e le convinzioni del sacerdote, rispetto alle quali le
lettere autografe finora accessibili non offrono elementi utili di valutazione.
La prima domanda dell’intervistatore, Oreste Cipriani, riguarda la competenza richiesta per
la prova, ossia la conoscenza del controverso Talmud. Albertario opera un cauto distinguo:
se nel «campo ermeneutico», dell'interpretazione del Talmud, e delle prescrizioni che
conterrebbe relative all'uso del sangue, Albertario ammette che non vi è accordo tra i
teologi, anche cattolici (sebbene i «più competenti» sostengano che le contiene), nel
«campo pratico» e «reale», si dichiara invece categoricamente sicuro che gli ebrei abbiano
storicamente introdotto l'uso del sangue cristiano nei loro riti:

Io non ne dubito affatto. Per me questa delle uccisioni rituali è storia tanto certa
come se si fosse compiuta sotto i miei occhi. Nessun dubbio tra i dotti su questo
punto. Qui non c'è la divergenza teorica tra i cattolici, che esiste invece
24
Una questione troncata, «L'Osservatore Cattolico», 27-28 agosto 1892, 1. Cfr. anche Guerra alla fede,
«L'Osservatore Cattolico», 31 agosto-1 settembre 1892, 1, articolo molto violento contro la «Tribuna»,
«giornale del giudaismo e della massoneria, le due tiranne del nostro secolo, le idre che tutto avvincono e
tutto strozzano», che avrebbe bandito «la guerra formale alla religione dello Stato e del paese».
25
Un’intervista con don Davide Albertario circa la sua scommessa sulle atrocità rituali degli ebrei, «Italia
del Popolo», 24-25 luglio 1892, 1-2. L’intervista appare anche sull’«Osservatore» con il titolo Il rito di
sangue ebraico, «L'Osservatore Cattolico», 25-26 luglio 1892, 2. Sempre sul giornale di Papa, viene
pubblicata una lettera «semi-feroce» di Albertario, scritta dopo il ritiro di Strack dalla scommessa: Cronaca
di Milano. La scommessa fra don Davide Albertario e il berlinese Strack, «Italia del Popolo», 30-31 luglio
1892, 2.

13
nell'interpretazione del Talmud. Ed è questa storia certa, questa tradizione viva, che
nessuno può dimenticare nel leggere e interpretare ciò che può essere dubbio o
equivoco nel Talmud.

È la linea che il giornale manterrà sempre nei confronti dell'accusa del sangue: è un dato di
fatto storico, sotto gli occhi di tutti (di qui l'importanza degli elenchi più volte proposti dei
tentati o avvenuti omicidi rituali), agli esperti il compito di dimostrare che si fonda sul
Talmud, che tuttavia si ricorda essere un codice integrato da chiose tramandate oralmente,
che quindi hanno lasciato poche tracce documentate.
Ricorda quindi gli «oltre 120 fatti storici» enumerati nello studio pubblicato dal suo
giornale nei mesi precedenti, fatti «che nessuna quantità d'oro ebreo e nessun tribunale di
Cleve potranno cancellare. […] la voce pubblica non riposò mai sulle decisioni
assolutorie». Interrogato su quali siano le motivazioni che inducono gli ebrei all'omicidio
rituale, Albertario si schermisce sostenendo che è molto complesso coglierle; tuttavia
avanza alcune delle classiche ipotesi: il Talmud è stato interpretato come prescrivente l'uso
rituale del sangue; gli ebrei nel dubbio che Gesù fosse davvero il Messia, cercano di
assicurarsi almeno un po' di sangue redento; gli ebrei si vendicano della diaspora, che li ha
colpiti dopo il deicidio, sui seguaci di Cristo; gli ebrei praticano l'omicidio rituale in
analogia al deicidio, per commemorarlo ripetendolo su chi può rappresentare Cristo.
L'intervistatore incamera impassibile, e solo alla fine domanda se Albertario non tema che
possa sorgere una «lotta antisemitica» con «conseguenze dolorose» anche in Italia. Questa
la risposta:

No. La lotta antisemitica è ben lontana dal mio pensiero. La questione è più
scientifica che d'avversioni religiose. Se però pervenissi a far conoscere quali punti
tengono gli ebrei di fronte ai cristiani, ne sarei lieto, non per assalire ed offendere,
ma per presentare ai miei correligionari armi di difesa. Io non sento l'odio per
nessuno, nemmeno verso gli ebrei.

Difesa quindi, difesa pratica, e non offesa... sostiene il sacerdote.


Pochi mesi dopo, in occasione dei risultati delle elezioni, il giornale milanese vanterà
esplicitamente quello che considera un effetto pratico della sua propaganda, ossia la
flessione dei voti liberali, nell’articolo intitolato I massoni e gli ebrei nelle elezioni:

Con piacere abbiamo constatato che la qualità di ebreo e di massone ha in molti


collegi nauseato gli elettori. Bisogna insistere nel popolarizzare le notizie che fanno
conoscere al popolo che cosa sieno gli ebrei ed i massoni. Essi sono liberali, si sa,
ma tra i liberali hanno la parte del prepotente, di ficcanaso, di mettimale, di
camorristi, e sono vincolati ad un giuramento che non permette loro di seguire

14
nemmeno quel minimo rimasuglio di onestà naturale che sia sorvissuto alla iattura
piena che di ogni moralità loro impone il cupo sinedrio che li governa. 26

È un articolo che mostra chiaramente quale sia l’intento che sta alla base della propaganda
del giornale: screditare il sistema politico liberale, smascherando «cosa sieno gli ebrei ed i
massoni».
Alla controversia sorta tra Albertario e Strack e ai suoi strascichi sulla stampa italiana e
tedesca, la «Scuola Cattolica» dedica sette lunghi articoli tra il settembre 1892 e l'agosto
1893,27 molto probabilmente opera di Angelo Mauri, viste le iniziali presenti in calce a tutti
i contributi, e considerando il fatto che egli collabora con entrambe le testate; egli è del
resto – come abbiamo visto - uno dei colleghi che accompagnano Albertario in udienza
presso Leone XIII ricevendone lodi e incoraggiamento. Si tratta di un resoconto fazioso, il
cui intento, del tutto consonante con la visione di Albertario, è bene espresso dalle parole
che chiudono l’ultima parte,28 specialmente laddove si auspica che il giudaismo, che è una
minaccia ai corpi, alle borse e all'anima dei popoli cristiani, venga combattuto «più
praticamente»:

Credemmo utile fare la storia di questa vertenza, la quale interessò tanto la


Germania e l'Italia. Né dall'una né dall'altra parte si è ancora pronunciata l'ultima
parola; ma già fin da adesso si vede che l'orrenda favola, i semiti non la potranno
distruggere. Illustri polemisti cattolici se ne occupano, e non tarderemo, crediamo,
ancor molto tempo a vedere il risultato dei loro lavori. Intanto lasciamo pure da un
canto la questione, e pensiamo, che il giudaismo invadente, aspetta d'essere più
praticamente combattuto. Con la stampa, con l'usura, con la massoneria, con la
scuola, con tutti i mezzi è il giudaismo, che oggi ci mette il piede sul collo.
Affrontiamolo senza tregua e, riflettendo all'esiguità del suo numero,
rammentiamoci che per popoli cristianamente liberi è delitto lasciarsi calpestare e
soffocare da una stirpe che, senza frammischiarsi alla nostra nazionalità, restando
ebrea e non altro che ebrea in Italia come in Francia, in Germania come in Russia,
nell'antico e nuovo mondo, vuole in nome della patria, assorbire, assorbire e
assorbire, se non sempre quello del nostro corpo, certo il sangue delle nostre borse e
la virtù dell'anima nostra.
26
I massoni e gli ebrei nelle elezioni, «L'Osservatore Cattolico», 14-15 novembre 1892, 1.
27
M. A., Il delitto di Xanten e la vertenza Albertario-Strack sulle uccisioni rituali giudaiche, «Scuola
Cattolica», serie II, anno II, volume IV, settembre 1892, 248-262; ottobre 1892, 372-379; novembre 1892,
437-447; dicembre 1892, 536-546; serie II, anno III, volume V, gennaio 1893, 79-83; aprile-maggio 1893,
440-447; serie II, anno III, volume VI, luglio e agosto 1893, 164-167. La minuziosa ricostruzione operata
dalla «Scuola Cattolica», completa di rassegna stampa tedesca e italiana, riceve l'approvazione
dell'«Osservatore»: essa è stata scritta «con esemplare fedeltà di cronista» da «persona amica e versatissima»
(cfr. La nostra polemica sul ritualismo nelle uccisioni giudaiche e il prof. Ermanno Strack , «L'Osservatore
Cattolico», 1-2 aprile 1893, 1-2).
28
M. A., Il delitto di Xanten cit., VI. Il libro di Strack – Conchiusione, «Scuola Cattolica», serie II, anno III,
volume VI, luglio e agosto 1893 cit., 167. All'inizio della serie, d'altronde, si era esplicitamente definita
«nobile» la «causa dell'antisemitismo» specificando: «nobile, diciamo, quando l'antisemitismo si prenda nel
suo vero senso» (M. A., Il delitto di Xanten cit., «Scuola Cattolica», serie II, anno II, volume, IV, settembre
1892, 261-262).

15
Si noti come ci si riferisce agli ebrei, indifferentemente, come «giudaismo», «semiti»,
«stirpe» («ebrea e non altro che ebrea»): una duttile confusione lessicale che si riscontra in
tutti gli articoli della serie, e, più in generale, su tutta la stampa cattolica quando si occupa
di “questione ebraica”.
Concludiamo con un’ultima citazione. A due anni dall'inizio della martellante campagna
sull'omicidio rituale, nell'aprile del 1893, l'«Osservatore» dimostra di essere assolutamente
fermo nelle sue opinioni; in uno dei molti articoli dedicati alla confutazione del libro di
Strack - che si riduce a una riproposizione, ampiamente autoreferenziale, delle “prove
storiche” dell'esistenza del delitto - si puntualizza ancora una volta il carattere meritorio
della missione intrapresa contro gli ebrei, che si configura come un mezzo di
“civilizzazione”:

L'opposizione al giudaismo che noi facciamo non ha nulla di comune con quello
che dicesi in Germania antisemitismo. È antisemitismo il nostro, ma assolutamente
alieno dalla violenza; noi ci limitiamo a dimostrare come il giudaismo,
specialmente quello che si fonda sulla tradizione ebraica corrotta e sul Talmud, è
essenzialmente nemico dei cristiani fino all'eccidio, e che gli eccidi sono realmente
avvenuti; noi denunziamo il carattere camorristico degli ebrei, per cui e sostanze e
potenza si appropriano con tutti i mezzi che vengono alla loro portata; abbiamo
dimostrato che gli ebrei sono al servigio degli oppressori dei cristiani, e che ciò si
verifica in ogni nazione. Senza legge morale, senza coscienza, dominati
dall'avversione dei cristiani e dall'egoismo il più incorreggibile e che in loro è la
norma unica di pensiero e d'azione, gli ebrei costituiscono il cancro della società.
Ponendo sull'avviso i cristiani di questo stato di cose, compiamo un dovere; e nel
compierlo abbiamo ben determinato di che non ci associamo all'antisemitismo di
Stocker, di Ahlwardt, e nemmeno di Drumont. Desideriamo che i cristiani non si
lascino ingannare; vedano come, per esempio, Crispi nella Riforma usa degli ebrei
per oltraggiare i cattolici e gli ebrei sono felici di poterlo servire; desideriamo che
gli ebrei si diportino da persone civili.

Esplicito, anche qui, il fine ultimo della polemica: denunciando il «carattere camorristico
degli ebrei» e il loro contributo all’oppressione dei cristiani, si intende mettere sull’avviso
questi ultimi del pericolo che corrono. Pericolo che può essere scongiurato solo sul piano
politico, volendo escludere dall’orizzonte cattolico la violenza tipica di altri movimenti di
«opposizione al giudaismo» verso cui tuttavia, come abbiamo visto, l’«Osservatore
Cattolico» mantiene un atteggiamento ambiguo, oscillante tra la cauta presa di distanza e
l’imitazione, come si vede proprio nell’uso dell’accusa del sangue e di un linguaggio molto
aggressivo.

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20
Storicamente 7-2011
Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche -
Università di Bologna - www.storicamente.org
ArchetipoLibri Bologna – www.archetipolibri.it

DOSSIER
Antisemitismo e chiesa cattolica in Italia (XIX-XXI sec.)

Massimo Faggioli
Storiografia cattolica tedesca e Shoah Memoria
religiosa e politica della storia

Storicamente ISSN 1825-411X


volume 7 - 2011, April 20th 2011, art. 19
DOI: 10.1473/stor104
http://www.storicamente.org/07_dossier/antisemitismo/faggioli.htm

Author Address: Univ. of St. Thomas, Department of Theology, JRC 153


2115 Summit Avenue, St. Paul, MN 55105 - USA,
massimo.faggioli@gmail.com

Keywords: Nazismo, Shoah, Antisemitismo, Chiesa cattolica, Storia della


storiografia

1
Massimo Faggioli
Storiografia cattolica tedesca e Shoah Memoria
religiosa e politica della storia

Oltre la questione Pio XII

La questione del ruolo della chiesa cattolica nella Shoah e dei suoi rapporti col
regime nazista torna periodicamente alla luce, più che per la sua importanza storica, per
via delle decisioni delle autorità ecclesiastiche sulla causa di beatificazione per Pio XII o
per sedicenti scoop derivanti da nuove (vere o false) scoperte archivistiche. Storici e
teologi sono preda di un news cycle nel quale la complessità della questione storica del
rapporto tra chiesa e nazismo (storia della chiesa, storia delle idee, storia delle relazioni
internazionali, storia militare) sembra essere sempre più distante dalle semplificazioni
della propaganda pro o contro Pio XII (da una parte l’apologetica cattolica che tende a
presentare Pio XII come “il papa degli ebrei”, dall’altra la denigrazione che vede in Pio
XII “il papa di Hitler”).
La concentrazione spasmodica sulla persona e gli atti di Pio XII rappresenta una
facile via d’uscita, rispetto alla comprensione del problema della Shoah all’interno della
cultura europea e della cultura cattolica: l’opera di analisi storiografica del problema
inizia nel 1945 con la fine del regime nazista e con l’opera di ricostruzione materiale del
continente europeo, in un momento in cui il complesso problema della “questione
tedesca” all’interno dell’Occidente anticomunista contrapposto al blocco comunista
orientale, gioca un ruolo di primo piano nel formare l’immagine (sul piano interno come
internazionale) dei cattolici tedeschi di fronte alla Shoah [Traverso 2004].
Il rapporto tra storiografia tedesca e percezione cattolica della Shoah è di grande
rilievo per comprendere le relazioni della cultura tedesca post-bellica con l’evento storico
della Shoah e per comprendere i lasciti e le lacune di queste relazioni nel cattolicesimo
contemporaneo. È una questione su cui vale la pena riflettere per molti motivi. Il primo

2
di questi è la centralità dello scenario tedesco per la storia dell’antigiudaismo e
antisemitismo nel corso del secolo XX e della Seconda guerra mondiale. Il secondo
motivo attiene al ruolo trainante della teologia cattolica tedesca per il rinnovamento
(conciliare e poi post-conciliare) del cattolicesimo nel corso della seconda metà del
secolo XX. Il terzo motivo ha a che fare con l’elezione di Joseph Ratzinger a vescovo di
Roma, papa della chiesa cattolica, il 19 aprile 2005.
Tutti questi e tre elementi hanno influenzato e influenzano il lavoro degli storici
tedeschi e degli storici cattolici tedeschi sulla Shoah, con conseguenze che vanno al di là
dell’ambito tedesco e germanofono e arrivano alla chiesa universale, contribuendo alla
percezione della Shoah da parte della cultura cattolica delle sue gerarchie e dei suoi
membri. Negli ultimi anni la storiografia tedesca ha riflettuto sul contributo della
Zeitgeschichtsschreibung, della storiografia contemporaneistica cattolica alla questione
della Shoah e del rapporto col regime nazista, offrendo periodizzazioni utili e giudizi
coraggiosi1, che vale la pena qui riprendere e riassumere brevemente.

Il percorso storiografico cattolico tedesco sulla Shoah 1945-2000

L’inizio della ricerca storica sul cattolicesimo in Germania non vede le acute prese
di posizione che verranno solo negli anni sessanta: nel primo dopoguerra non vi è né un
E.W. Böckenförde né un drammaturgo come R. Hochhuth a sollevare la questione del
rapporto tra chiesa e nazismo. Ma già a partire dagli anni Cinquanta il cattolicesimo della
Germania occidentale inizia ad occuparsi dei rapporti tra cattolici e Weimar prima, e tra
cattolici e regime nazista poi, tentando di inquadrare la chiesa cattolica all’interno del
vasto insieme delle vittime del regime nazista. Gli anni Cinquanta della Germania di
Adenauer sono stati definiti dagli storici cattolici dell’ultima generazione gli anni del
1
È d’obbligo qui il riferimento al volume curato da K. J. Hummel, Zeitgeschichtliche
Katholizismusforschung. Tatsachen, Deutungen, Fragen. Eine Zwischenbilanz [Hummel 2004]ed in
particolare i saggi di U. von Hehl, Zeitgeschichtliche Katholizismusforschung. Versuch einer
Standortsbestimmung (pp. 15-28), Karl-Joseph Hummel, Kirche und Katholiken im Dritten Reich (pp. 59-
81), Thomas Brechenmacher, Pius XII. und der Zweite Weltkrieg. Plädoyer für eine erweiterte Perspektive
(pp. 83-99). Di rilievo anche il recente saggio di C. Kösters, NS-Vergangenheit und
Katholizismusforschung. Ein Beitrag zur Erinnerungskultur und Zeitgeschichtsschreibung nach 1945
[Kösters 2009].

3
“silenzio collettivo” sulla partecipazione della chiesa tedesca al regime nazista. Non solo
per motivi di autocensura psicologica, ma anche per motivi di consolidamento della
nuova Germania occidentale a fronte della minaccia comunista (che aveva tagliato in due
il paese), lo schieramento politico e culturale cattolico si ritiene e viene esentato da una
resa dei conti con quel lungo periodo di convivenza, se non di collaborazione col regime
tra 1933 e 1945.
Ma non vi sono solo motivi generazionali o di opportunità politica. Anche
l’impostazione metodologica di quella storiografia cattolica tedesca post-bellica
contribuisce a quel periodo di silenzio storiografico: la concezione teologica della “storia
della chiesa” come disciplina teologica legata al sentire cum Ecclesia (e non
primariamente ad un metodo scientifico basato sullo studio e l’interpretazione delle fonti)
spinge anche la migliore storiografia cattolica tedesca [Jedin 1988] in un angolo cieco e
sordo rispetto alla questione della Shoah.
La beatificazione nel 1956 da parte di Pio XII del cardinale di Münster, Clemens
August von Galen (che si oppose alle politiche eutanasiche del regime nazista, ma la cui
voce in merito alla persecuzione degli ebrei fu molto flebile) testimoniava
l’autopercezione della chiesa cattolica, ma allo stesso tempo costituiva anche un’ipoteca
vaticana sull’atteggiamento del cattolicesimo tedesco e dei suoi storici rispetto ai
protagonisti del rapporto tra chiesa, nazismo e Shoah. In quel periodo l’immagine della
chiesa tedesca sotto il nazismo è quella di una chiesa “vittima del regime” e protagonista
della Widerstand, della resistenza al regime negli ultimi anni della Seconda guerra
mondiale.
Questa lettura “resistenziale” e anti-nazista del ruolo dei cattolici tedeschi andava
incontro agli interessi politici e culturali degli alleati nella Germania divisa in due, e
corrispondeva alle esigenze autobiografiche della generazione di cattolici tedeschi che
aveva vissuto il regime e la guerra, cioè della Erlebnisgeneration: una generazione al cui
interno vi erano anche molti intellettuali tornati sulle loro cattedre universitarie alla fine
della guerra. Con la progressiva scomparsa di quella generazione, dalla fine degli anni
cinquanta inizia a farsi largo una nuova leva di storici: ma la nuova generazione di storici

4
cattolici agisce sempre all’interno di un progetto storiografico, quello della chiesa
cattolica in Germania, legato a doppio filo da un lato con l’istituzione ecclesiastica e il
suo forte episcopato (e con l’ampia rete di facoltà teologiche cattoliche all’interno delle
università statali), e dall’altro lato con l’elite politica cristiano-democratica CDU/CSU -
perno degli equilibri politici del paese e della sua politica internazionale fino all’inizio
degli anni Settanta. La fondazione di istituti di ricerca storica e di collane di
pubblicazioni2 attorno alla vicenda storica del cattolicesimo tedesco contemporaneo è
legata a queste condizioni di esistenza tipiche di una chiesa che incarna, la continuità tra
Germania nazista e Bundesrepublik post-bellica nella continuità concordataria (quello del
Concordato tra Germania e Santa Sede del 1933 firmato da Hitler e da Eugenio Pacelli –
Concordato tuttora, all’inizio del secolo XXI, in vigore).
Una prima discontinuità storiografica inizia a imporsi a partire dagli anni Sessanta:
il concilio Vaticano II apre (solo parzialmente grazie alla teologia tedesca, rispetto al
contributo della teologia francese) la questione del rapporto tra “chiesa e mondo”. Per la
chiesa tedesca questa nuova pagina significa da una parte un allentamento dell’alleanza
tra episcopato tedesco, elite politica cristiano-democratica guidata da Adenauer e visione
geopolitica “occidentalista” del pontificato di Pio XII; dall’altra parte, i vescovi tedeschi
sentono al Vaticano II la necessità di una presa di coscienza dell’esistenza di una
“questione tedesca”3 e del suo dramma storico anche all’interno del cattolicesimo
europeo.
La questione della Shoah è ancora marginale nel discorso della teologia e della
storiografia cattolica tedesca. Ma è la Germania non cattolica che inizia a voltare pagina.
La pubblicazione e la messa in scena del dramma Il Vicario di Rolf Hochhuth (1963)
rappresenta il segnale di una nuova presa di coscienza, almeno da parte di un
2
Si veda il progetto del 1956-1957 (cioè durante gli anni della discussione della Corte costituzionale di
Karlsruhe sulla validità del Concordato nazista per la Germania post-bellica) per un “Institut zur
Erforschung der Geschichte des Katholischen Deutschland im 19. und 20. Jahrhundert”, poi divenuta
“Kommission für Zeitgeschichte” (fondata nel 1962 dalla Conferenza episcopale tedesca presso
l’Accademia Cattolica in Baviera, e poi spostatasi a Bonn), che pubblica due prestigiose collane di fonti e
di studi (oltre 60 volumi la prima e oltre 110 volumi la seconda).
3
Avviene durante la quarta sessione del concilio Vaticano II, il 18 novembre 1965, lo scambio di lettere tra
vescovi cattolici tedeschi e vescovi polacchi (tra cui Karol Wojtyla) per una memoria riconciliata della
Seconda guerra mondiale.

5
drammaturgo non cattolico che vede la chiesa cattolica come corresponsabile (se non
addirittura la mandante morale) del regime nazista e della Shoah.
Il caso de Il Vicario rappresenta l’episodio più noto, ma non certo il più fecondo
dal punto di vista degli impulsi alla ricerca storica. Migliori testimoni di questa nuova
fase sono gli studi pionieristici di Ernst-Wolfgang Böckenförde [1961] su chiesa e
nazismo, a partire dal celebre saggio pubblicato sulla rivista «Hochland». Ma è anche
significativo che il primo studio sistematico su chiesa e nazismo venisse, nel 1964, da un
politologo americano, Guenter Lewy [1964]. Di fronte a questi tentativi in corso nella
Germania occidentale, nello stesso tempo nella Germania orientale da poco separata dal
resto del mondo dal muro di Berlino non vi è alcuna discussione né sulla Shoah in
generale, né tantomeno sui rapporti tra chiese e nazismo: sia la Shoah sia il nazismo
vengono giudicati ideologicamente e storicamente estranei all’ethos del comunismo
sovietico, identificati col campo “fascista” delle potenze occidentali e propagandati come
il frutto storico dei veri nemici della lotta ideologica in corso. Entrambe le Germanie
rivendicavano l’eredità soltanto della parte migliore del passato tedesco. La questione
della Shoah, in entrambe le Germanie, continuava a rimanere sullo sfondo e toccata
tangenzialmente nella Germania occidentale, mentre era negata e rimandata al di là del
muro da parte di una Germania orientale che si percepiva come ideologicamente altra e
alternativa rispetto alla storia della Germania in epoca nazista.
Se negli anni Settanta, anche grazie ad un cambiamento culturale accompagnato
dalla fine dell’era Adenauer e dalla Ostpolitik dei governi socialdemocratici, la questione
chiesa-nazismo guadagna la scena pubblica, ma la storiografia cattolica recepisce solo
marginalmente questa nuova emergenza culturale. Tra anni Settanta e Ottanta lo sforzo
maggiore è concentrato nella edizione e pubblicazione di fonti, che non abbandona
l’immagine originaria della chiesa tedesca come partecipe della resistenza al regime
nazista. La serie televisiva americana Holocaust (1979) arriva anche in Germania e di
fronte all’opinione pubblica rovescia molte posizioni: molte di quelle che erano
presentate come vittime del nazismo diventano carnefici.
Ma la percezione del ruolo della chiesa cattolica nei rapporti col regime nazista

6
continua ad essere divisa. Una storiografia ancora apologetica che definisce la chiesa
prima vittima del nazismo trova una conferma nel 1984, quando esce il volume
biografico-statistico Priester unter Hitlers Terror [Hehl 1984], che estende a molti preti
la qualifica di membro della resistenza e che tende, ancora una volta, a sterilizzare la
questione della corresponsabilità della chiesa cattolica nel consolidamento del consenso
al regime nazista. Ma l’immagine “resistenziale” del cattolicesimo tedesco viene
aspramente contestata da Ian Kershaw [1985] come una resistenza limitata al
mantenimento di un regime religioso-ecclesiastico senza estendersi allo spazio pubblico;
dall’altro lato in Germania negli anni Novanta si hanno storici come Klaus-Micheal
Mallmann, Gerhard Paul e Thomas Breuer, critici verso un’idea di chiesa cattolica
“resistente” – un’immagine sostanzialmente apologetica e incompatibile con le radici
culturali di quel cattolicesimo e con l’atteggiamento definito da Paul di “leale riluttanza”
(loyale Widerwilligkeit) di quella chiesa verso il regime [Breuer 1992; Mallmann e Paul
1993].
D’altra parte, nel corso degli anni Ottanta risulta come sempre più problematica,
specialmente per la chiesa tedesca, la “sacralizzazione della Shoah” come alternativa ad
un lavoro di storicizzazione. Se la Historikerstreit (la celebre controversia storiografica
pubblica sul regime nazista scaturita dalle posizioni revisioniste dello storico Ernst Nolte 4
sul rapporto tra comunismo sovietico e “reazione nazista”) del 1986-1987 avrebbe potuto
aprire, anche per il cattolicesimo tedesco, nuovi scenari di ricerca, l’improvvisa Wende
(la caduta del muro di Berlino) nel 1989 cambia l’agenda geopolitica, culturale e
storiografica di tutto il paese.
I dividendi ideologici della fine della guerra fredda vengono pagati su altri fronti,
ma non su quello della storiografia cattolica tedesca, che rimane ancora relativamente
silente rispetto alla questione dei rapporti tra chiesa e nazismo. Il cattolicesimo tedesco
impegna le sue energie nel rendere meno straniante il trasferimento della capitale

4
L’articolo di Ernst Nolte che innescò la controversia era intitolato Vergangenheit, die nicht vergehen will,
«Frankfurter Allgemeine Zeitung», 6 giugno 1986. Per una critica del ruolo del quotidiano conservatore di
Francoforte nella controversia si vedano le memorie del critico letterario più prestigioso di Germania,
Marcel Reich-Ranicki, fino ad allora co-curatore delle prestigiose pagine culturali del quotidiano [Reich-
Ranicki 1999].

7
federale dalla renana e cattolica Bonn alla prussiana Berlino, ma non coglie un cambio di
paradigma nella storia tedesca. Col 1989 viene profondamente modificato il discorso sul
rapporto tra identità tedesca, costruzione narrativa ideologica e storica della Germania
post-bellica, e “gestione del passato”. Nella Germania Est decenni di discorso pubblico
ed educazione scolastica sulla storia contemporanea erano stati tesi a giustificare l’auto-
definizione della DDR come “stato antifascista” per opposizione alla Germania
occidentale, e pertanto non si era avuto nessun discorso scientifico o culturale sulla
questione dei rapporti tra nazismo-cristianesimo-Shoah come “questione tedesca”.
L’effetto della riunificazione tedesca sulla storiografia cattolica tedesca a partire
dagli anni Novanta è ambivalente. Da una parte si ha il grande sforzo storiografico degli
ultimi anni per una storia religiosa della DDR, che ha prodotto molti volumi sulla storia
delle chiese nella Germania comunista, ma per ora non sembra avere ancora affrontato il
nodo dei rapporti tra chiese, nazismo e memoria della Shoah: anzi, per certi versi, la
storiografia sulla resistenza delle chiese cristiane (cattoliche e non) nella Germania
comunista tra 1945 e 1989 rischia di riproporre una lettura già ampiamente utilizzata
nella Germania occidentale nei decenni scorsi per il nazismo, vale a dire quella di una
chiesa “resistente” di fronte ad una dittatura anti-cristiana (questa volta comunista): con il
rischio di avvalorare, tramite la celebrazione della “vittoria” dell’Ovest anticomunista
sull’Est comunista, una serie di luoghi comuni tipici del cattolicesimo conservatore
tedesco che hanno sempre costituito parte essenziale della riluttanza verso una presa di
coscienza dei rapporti tra chiesa e nazismo. Dall’altra parte la riunificazione tedesca ha
cambiato l’agenda della memoria del paese, ed è arrivata ad interrompere – se si eccettua
il centro di ricerca fondato e diretto da Hubert Wolf a Münster 5 all’inizio del nuovo
secolo - una serie di progetti lanciati dagli storici cattolici della Germania occidentale per

5
Si veda Hubert Wolf [2008]. Per le altre collane di studi e documenti pubblicati nell’ambito del progetto
diretto da Wolf “Kritische Online-Edition der Nuntiaturberichte von Eugenio Pacelli” (Edizione critica dei
rapporti diplomatici delle nunziature di Eugenio Pacelli) si veda http://www.uni-muenster.de/FB2/pacelli/.
Un centro di ricerca più ampio e meno concentrato sull’epoca nazista è quello di Tubinga “Krieg und
Gesellschaft in der Neuzeit” (Guerra e società nell’età moderna) http://www.uni-
tuebingen.de/SFB437/F.htm, che però di recente ha prodotto un volume sulla presenza dei gesuiti
all’interno della Wehrmacht e in particolare sul fronte russo durante la Seconda guerra mondiale [Leugers
2009].

8
una serie di studi sulla Germania post-conciliare 6, e quindi anche sulla recezione della
memoria di chiesa e nazismo nella Germania cattolica post-bellica.

Shoah, memoria religiosa e politica della storia: questioni aperte

Il pontificato di Giovanni Paolo II (1978-2005) ha portato nella chiesa cattolica un


contributo di auto-coscienza in qualche modo supplente rispetto alle mancanze della
storiografia cattolica tedesca (e non solo) nel corso dei decenni precedenti: la centrale ma
innegabilmente complessa agenda di dialogo con l’ebraismo di Giovanni Paolo II da una
parte, e la sua origine polacca dall’altro rappresentano elementi di primo piano per una
comprensione degli sviluppi recenti nel rapporto tra Shoah e coscienza storica del
cattolicesimo contemporaneo. Questo credito verso la memoria del papa polacco
nell’esperienza religiosa contemporanea è testimoniato dal ruolo oggi considerato in
qualche modo marginale dell’episodio dell’insediamento del monastero cattolico del
Carmelo all’interno del recinto di Auschwitz, se confrontato col “magistero degli atti” di
Giovanni Paolo II verso l’ebraismo e verso Israele durante il suo lungo pontificato.
Il cambio di pontificato del 2005 – da un papa polacco a un papa tedesco –
rappresenta perciò un cambiamento significativo, a livello simbolico, del rapporto tra
chiesa cattolica e Shoah. Non si tratta qui di imputare retroattivamente al pontefice
tedesco mancanze, pigrizie e reticenze della storiografia cattolica tedesca. Si tratta invece
di comprendere come l’agenda pubblica e dottrinale di Benedetto XVI riguardo alla
Shoah è influenzata da una serie di fattori che hanno concorso negli ultimi decenni e
tuttora concorrono a formare l’immagine della Shoah all’interno della coscienza storica
della chiesa cattolica.
Da un lato è ormai chiaro che gli scatti di autocoscienza tedesca e cattolica circa la
Shoah sono maturati, nei decenni che ci separano dalla fine della Seconda guerra
mondiale, da una serie di impulsi provenienti dall’esterno - di tipo politico (la Ostpolitik
di Willy Brandt), culturale (Il Vicario di Hochhuth) - accanto ai movimenti prodotti da
6
Evidente è lo scarto tra il programma lanciato dalla “Kommission für Zeitgeschichte” alla vigilia della
caduta del Muro e le realizzazioni successive, nel corso del ventennio successivo [Hummel 2004].

9
eventi interni allo scenario ecclesiale (il concilio tra 1962 e 1965, il lancio del dialogo
ebraico-cristiano negli anni ottanta e la confessione dei peccati della chiesa da parte di
Giovanni Paolo II nell’anno giubilare 2000).
Ma sembra ormai appartenere al passato la scelta della confessione dei peccati,
della Schuldbekenntnis da parte del cattolicesimo contemporaneo: gran parte della chiesa
di oggi sembra essersi pentita dei pentimenti. Tutto questo parte dal tentativo, a livello
più di politica ecclesiastica che di teologia accademica, di recuperare un’immagine
istituzionale di chiesa la quale impedisce ai suoi rappresentanti e ai suoi membri di
mettere mano alle pigrizie storiografiche nei confronti dei frutti dell’”insegnamento del
disprezzo” verso gli ebrei da parte della cultura cattolica. Questa archiviazione ha un
indubbio effetto sulle giovani generazioni quanto alla loro coscienza storica della Shoah
e alla loro conoscenza dell’atteggiamento della chiesa cattolica verso la Shoah.
D’altra parte il cattolicesimo tedesco contemporaneo (sia nella sua storiografia sia
nella sua teologia) sta ancora registrando le conseguenze del 1989 e le mutazioni indotte
da quello sconvolgimento per quanto riguarda la coscienza della Shoah e il rapporto con
la nazione tedesca e le sue chiese [Traverso 1994; 2007]. Sembra in qualche modo
significativo che il maggior contributo tedesco alla “monumentalizzazione della
memoria” [Marcuse 2010] della Shoah consista in Germania nella creazione
dell’architetto Liebeskind, collocata proprio dove correva il Muro, nel centro di Berlino,
a pochi passi dalla Porta di Brandeburgo: come se la muta rimembranza della Shoah
fosse stata incaricata di sanare quella piaga, e di celare la totale mancanza di memoria
pubblica della Shoah nella DDR, nella ex Germania orientale.
In questo senso, sembra essersi chiusa, paradossalmente “per colpa” della caduta
del Muro di Berlino, quella finestra di opportunità che alla fine degli anni ottanta si era
aperta – anche grazie a Giovanni Paolo II - all’interno del cattolicesimo. La chiusura di
questa finestra segna una crescente Entfremdung, un’estraniazione tra la memoria
proclamata dalla chiesa circa la Shoah (all’insegna di un comodo “dove era Dio ad
Auschwitz?”) – ormai parte integrante di una religione civile esclusivamente euro-
atlantica – da un lato, e acquisizioni della ricerca storiografica (cattolica e non) dall’altro.

10
Bibliografia

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Dokumente von 1986 bis 2000, Paderborn: Bonifatius.

Hochhuth R. 1963, Der Stellvertreter, Reinbek bei Hamburg: Rowholt (trad. it. Il

11
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12
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München: Beck (trad. it. Il papa e il diavolo. Il Vaticano e il Terzo Reich, Roma:
Donzelli, 2008).

13
Storicamente 7-2011
Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche - Università di Bologna -
www.storicamente.org
ArchetipoLibri, Bologna - www.archetipolibri.it

DOSSIER

Antisemitismo e chiesa cattolica in Italia (XIX-XXI sec.)

Arturo Marzano
La Seconda Intifada nella stampa italiana
La crisi della Basilica della Natività a Betlemme.

Storicamente ISSN 1825-411X


volume 7 - 2011, February 3rd 2011, art. 11
DOI: 10.1473/stor97
http://www.storicamente.org/07_dossier/antisemitismo/marzano.htm

Author Address: Univ. Paris II, CARISM, 4, Rue Blaise Desgoff, F-75006, Paris, France
Abstracts: This paper intends to analyze the way the Italian press reported one of the most sensitive events
of the Second Intifada, the siege to the Nativity Church in Bethlehem of April-May 2002.
In particular, it aims at investigating whether and to what extend the identified press used a “nexus” between
anti-Zionism and anti-Semitism. In some of the articles and of the cartoons published on the Italian
newspapers and journals, it is possible to identify stereotypes coming from an anti-Jewish “archive”, that has
been combining different discourses, from the Catholic anti-Judaism, to the racial and the political anti-
Semitism, both right-wing and Marxist, up to the current anti-Israeli and anti-Zionist positions.

Keywords: Second Intifada, anti-Semitism, anti-Zionism, Israel

1
Arturo Marzano
La Seconda Intifada nella stampa italiana
La crisi della Basilica della Natività a Betlemme.

Queste pietre di Giudea che già videro la “strage degli innocenti”


sono ora insanguinate dal confronto feroce tra due popoli semiti,
l’ebraico e l’arabo. Entrambi confidano nella legge del taglione
(occhio per occhio…) che può sembrare efficace nel suo
realismo brutale ed è invece terribilmente ingannevole.
Proprio qui nacque il Maestro che fu mandato a morte perché,
in un mondo devastato dall’odio, annunciava uno scandalo:
il perdono, l’amore per i nemici, il porgere l’altra guancia.
[Messori 2002, 2]

Con queste parole, che poco sembrano avere a che fare con una vicenda prettamente politico-
militare, il 3 aprile del 2002 Vittorio Messori [Luzzatto Voghera G. 2005] descriveva su Il Corriere
della Sera gli eventi del primo giorno della crisi della Basilica della Natività a Betlemme .
A seguito dell’ennesimo attentato terroristico, compiuto in questo caso contro un albergo di
Natanya il 27 marzo, Sharon aveva, infatti, lanciato l’operazione “scudo difensivo”, volta a
garantire nuovamente all’esercito israeliano il controllo delle principali città palestinesi. Il 2 aprile,
nel corso dei combattimenti con l’esercito israeliano, un gruppo di circa 240 palestinesi si rifugiò
nella Basilica della Natività, dove si trovavano una quarantina di sacerdoti e suore. L’esercito
circondò l’edificio, intimando ai palestinesi di arrendersi. Aveva così inizio la crisi della Basilica
della Natività, che sarebbe durata fino all’11 maggio, allorché venne raggiunto un accordo tra
governo israeliano e Autorità Palestinese.
L’articolo di Messori fa certamente riflettere, dal momento che l’utilizzo di termini quali «popoli
semiti», nonché «legge del taglione» ebraico-musulmana contrapposta al «perdono» cristiano, non
lascia molti dubbi sul ricorso dell’autore ad un repertorio semantico chiaramente antigiudaico
[Stefani 2004], pur ricontestualizzato e riadattato. Proprio lo stesso giorno, peraltro, veniva
pubblicata su La Stampa una vignetta di Giorgio Forattini nella quale un atterrito Gesù bambino si
domandava se un carro armato israeliano non volesse ucciderlo «un’altra volta». Inconfondibile,
anche in questo caso, il richiamo ad un altro dei temi classici dell’antigiudaismo cattolico, l’accusa
di deicidio.
Mentre l’articolo di Messori passava sotto silenzio, la pubblicazione della vignetta spinse Amos
Luzzatto, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ad una durissima replica. In
particolare, Luzzatto metteva in luce la sinistra coincidenza per cui la tradizionale accusa di

2
deicidio veniva nuovamente alla luce, proprio in un periodo in cui in Europa si verificavano
attentati alle sinagoghe, ed Israele veniva «demonizzato» come se fosse il solo responsabile di
quanto stava accadendo nei Territori Palestinesi Occupati. Mentre lo stesso direttore del quotidiano
torinese si sentiva in dovere di scusarsi [Sorge 2002, 7], si apriva un dibattito molto aspro sul
rapporto tra antisionismo e antisemitismo [Castellina 2002].
Già il primo anno della seconda Intifada aveva visto alzarsi i toni dello scontro tra sostenitori e
detrattori di Israele, dal momento che settori considerevoli del mondo politico, sociale e culturale
italiano avevano fortemente preso le distanze da Israele, in maniera simile a quanto era successo in
occasione dell’operazione “Pace in Galilea” nell’estate del 1982. Ciò che Barbara Spinelli scriveva
nell’ottobre del 2001 ricordava, infatti, da vicino quanto Rosellina Balbi aveva sostenuto nel
lontano 1982: entrambi gli articoli utilizzavano toni piuttosto duri nei confronti della politica
israeliana e contenevano al contempo una richiesta pressante rivolta alle comunità ebraiche italiane
di una pubblica presa di distanza dalla leadership israeliana [Levis Sullam 2004, Levi Della Torre
1982].
L’assedio di Arafat alla Muqata, la sede dell’Autorità Palestinese a Ramallah, durato dal 29
marzo al 2 maggio, i tragici eventi del campo profughi di Jenin nonché la crisi della Basilica della
Natività di Betlemme si inserirono in tale contesto e non fecero che aumentare l’aspro dibattito tra
coloro che criticavano fortemente Israele e coloro che, invece, lo sostenevano con altrettanto vigore.
A tale proposito, vale la pena ricordare che il 15 aprile 2002, su proposta de Il Foglio di Giuliano
Ferrara, si tenne la manifestazione dell’Israel day, che vide 15.000 persone scendere in piazza a
Roma per sostenere “senza se e senza ma” Israele nel suo diritto a difendersi. Tale manifestazione
seguiva di tre giorni la pubblicazione su «Il Corriere della Sera» dell’articolo Io, Oriana Fallaci,
trovo vergognoso, in cui la giornalista si schierava apertamente per la difesa di Israele e tacciava di
antisemitismo una parte considerevole della sinistra italiana, incapace di comprendere l’attacco che
– a suo avviso - l’islamismo stava lanciando, attraverso l’ondata di attentati suicidi che avevano
colpito Israele, alla libertà e ai valori occidentali. L’articolo si inseriva all’interno di una serie di
polemiche, relative ad alcune manifestazioni di sostegno alla popolazione palestinese, durante le
quali persone con il volto coperto avevano inneggiato agli attentati suicidi contro la popolazione
israeliana e bandiere di Israele erano state date alle fiamme [Mattone 2002].
È in tale contesto che la società civile e il mondo politico italiani si confrontavano con la crisi
della Basilica della Natività di Betlemme, certamente l’episodio più delicato e, al contempo, più
controverso tra i numerosi eventi di violenza che caratterizzarono l’aprile del 2002. Dal punto di
vista umanitario, c’era la preoccupazione per la vita dei religiosi che si trovavano nella Basilica, dei

3
combattenti/terroristi1 palestinesi che vi si erano rifugiati, nonché di tutta la popolazione palestinese
residente nella città, sottoposta ad un prolungato coprifuoco. Dal punto di vista politico-
diplomatico, si era aperto un delicato braccio di ferro tra Vaticano e Stato di Israele, che chiamava
in causa tutti i principali soggetti internazionali, dagli Stati Uniti, all’Unione Europea, alle Nazioni
Unite, al mondo arabo. Dal punto di vista simbolico, infine, il fatto che proprio uno dei luoghi santi
più rilevanti per il mondo cristiano - la Basilica è costruita sulla grotta in cui, secondo la tradizione,
era nato il bambino Gesù - si trovasse al centro di uno scontro armato mobilitava una parte
considerevole dell’opinione pubblica mondiale, non solo cristiana, affinché l’integrità stessa della
chiesa venisse salvaguardata.
In tale crisi risultavano, dunque, intrecciate numerose questioni: in primo luogo, il conflitto
israelo-palestinese, di per sé già carico di un forte connotato ideologico; in secondo luogo, le
relazioni tra “mondo arabo-islamico” e “occidente”, in un momento particolarmente delicato dopo i
fatti dell’11 settembre; infine, il secolare e contrastato rapporto, mai del tutto risolto, tra
cristianesimo ed ebraismo. Per questa ragione – ancor più di quanto già non accadesse con le
vicende del conflitto israelo-palestinese - raccontare la crisi della Basilica della Natività, un evento
prettamente politico, comportava il rischio di fare riferimento ad altre tematiche, del tutto lontane
dallo specifico contesto dell’avvenimento.
Ecco perché ci sembra molto interessante analizzare il modo in cui la stampa italiana – e,
attraverso questa, il mondo politico, culturale, e religioso italiano - ha presentato e interpretato la
crisi di Betlemme, con l’obiettivo di indagare se e in quale misura si sia verificata una commistione
tra discorso antisionista e retorica antigiudaica e/o antisemita.
Prima di presentare i risultati dell’analisi, una premessa merita di essere fatta, partendo da quanto
è stato prodotto in termini di riflessione teorica – poca, in realtà - sulla delicatissima questione del
«nesso» esistente tra antisionismo e antisemitismo [Miccoli 2003].
Su tale tema, numerosi sono stati i contributi dedicati al contesto europeo - e occidentale in
generale - apparsi negli ultimi anni [Herf 2006]. In questa sede, sono certamente da citare i lavori
dello storico israeliano Robert S. Wistrich, per il quale l’antisionismo ha talmente tanti punti di
contatto con l’antisemitismo che si può parlare di questi due fenomeni come di “gemelli siamesi”;
del sociologo francese Pierre-André Taguieff, convinto sostenitore del legame stretto tra
antisionismo e “giudeofobia”; e del filosofo inglese Brian Klug, che, invece, ritiene che non si
debba confondere l’antisionismo con l’anti-semitismo, dal momento che si tratta di due fenomeni

1
Senza entrare in un argomento decisamente controverso, in questo saggio il termine “combattenti” viene impiegato per
identificare quei palestinesi che prendono le armi contro l’esercito di occupazione israeliano, mentre con “terroristi”
vengono indicati quei palestinesi che considerano target legittimi di attacchi armati sia i militari sia i civili, siano questi
ultimi residenti nei Territori Occupati Palestinesi (TOP) - i cosiddetti coloni -, o residenti nel territorio di Israele
all’interno dei confini pre-1967 (la cosiddetta linea verde).

4
sostanzialmente distinti [Ottolenghi 2003; Klug 2003]. Vale la pena sottolineare come Klug,
sebbene tenga distinti i due aspetti, definisca «un chiaro caso di testo antisemita» la vignetta di
Forattini apparsa nell’aprile del 2002 [Klug 2005, 52].
Per quanto concerne il contesto italiano, è invece da registrare la mancanza di una riflessione
approfondita. Il solo studio analitico esistente si riferisce agli Sessanta, ed è costituito dal volume di
Alfonso M. Di Nola; nel suo lavoro, questi notava acutamente come, oltre alla presenza di tre
distinti tipi di antisemitismo – di matrice cattolica, nazifascista e di sinistra – fosse importante
soffermare la propria attenzione su «la devianza dell’antisionismo di sinistra in antisemitismo» [Di
Nola 1973, 14]. A questo non sono purtroppo seguiti altri contributi che abbiano abbracciato i
decenni successivi. E se recentemente sono stati pubblicati lavori che mettono al centro della
propria analisi la situazione dell’ebraismo e il fenomeno dell’antisemitismo in Italia [Toscano 2003;
Tarquini 2007], la questione dell’antisionismo è stata affrontata solo marginalmente. Pertanto, sul
«nesso» tra antisionismo e antisemitismo in Italia, fatta eccezione per alcuni articoli giornalistici
che hanno avuto il merito di porre l’attenzione su tale questione [Sofri 2002; Battini 2004], è da
segnalare solo la produzione di Adriana Goldstaub, responsabile dell’Osservatorio sul pregiudizio
antiebraico contemporaneo presso il CDEC.
Eppure, il rapporto tra antisionismo e antisemitismo in Italia meriterebbe certamente attenzione,
vista la tradizionale politica filo-araba tenuta dai partiti di governo, in particolare DC e PSI a partire
dagli anni Settanta, la posizione chiaramente filo-palestinese del PCI, e la presenza in ampi settori
della Chiesa cattolica – almeno fino all’accordo diplomatico firmato tra Israele e Vaticano nel
dicembre del 1993 – di un atteggiamento decisamente ostile allo Stato ebraico.
È quanto si propone questo contributo, che intende analizzare se e in che misura, di fronte ad un
episodio delicato quale la crisi della Chiesa della Natività, la stampa italiana abbia ospitato articoli
in cui è utilizzato il «nesso» tra antisionismo e antisemitismo, e quanto, invece, siano presenti
critiche che, pur forti, non si siano servite di una retorica antigiudaica e/o antisemita all’interno di
un discorso antisionista.
A tale riguardo, crediamo sia necessaria un’ulteriore premessa per sgombrare il campo da
possibili equivoci, ed evitare dunque che si possa sostenere l’impossibilità di criticare lo Stato di
Israele. Nei confronti di quest’ultimo riteniamo, infatti, che sia possibile individuare tre diversi
atteggiamenti.
Da un lato, si collocano quelle critiche al governo israeliano e alla sua politica che non intendono
in alcun modo mettere in discussione la natura «ebraica e democratica» 2 dello Stato di Israele né,
tanto meno, la sua esistenza. Una seconda posizione - che scegliamo di definire “critica
2
La definizione di Israele come «Stato ebraico e democratico» è contenuta nella Basic Law: Human Dignity and
Freedom, approvata dalla Knesset nel 1992.

5
antisionista” - è quella di chi contesta il carattere ebraico di Israele, punta a trasformarlo in uno
«Stato di tutti i suoi cittadini» 3 e vuole, dunque, abrogare alcune delle leggi cardine del paese, su
tutte la “legge del ritorno”, che prevede la possibilità per ogni ebreo di ottenere la cittadinanza
israeliana4. Una terza posizione, infine, è, quella che definiamo “antisionismo”, e che consiste in
un’opposizione ideologica, che, indipendentemente dalle effettive politiche del governo e le
concrete vicende del conflitto israelo-palestinese, condanna Israele in maniera pregiudiziale.
La distinzione fra la seconda e la terza posizione non è affatto marginale, come potrebbe
sembrare, dal momento che c’è una differenza cruciale tra una legittima “critica antisionista” - che
pone interrogativi fondamentali sulla natura dello Stato ebraico e, perciò, sui rapporti tra
maggioranza ebraica e minoranza araba e sul modo di migliorare l’effettiva situazione di
discriminazione che i palestinesi cittadini di Israele subiscono rispetto agli ebrei israeliani - ed
un’inaccettabile posizione di “antisionismo”, che, in modo puramente ideologico, attacca Israele
utilizzando una logica di double standard [Marzano 2007]. Concordiamo, dunque, con quanto
sostiene Luzzatto Voghera, per il quale «l’antisionismo (…) di per sé non nasce originariamente
come nuovo tipo di antisemitismo. (…) È una dialettica politica legittima, o per lo meno tale
sarebbe se attorno all’antisionismo non si ritrovassero quasi tutti gli elementi che dall’Ottocento
hanno caratterizzato l’antisemitismo» [Luzzatto Voghera 1994, 76-77].
Il presente saggio non si sofferma sulle due prime posizioni e si concentra, invece, sulla terza,
dal momento che è in tale ambito che il discorso antisionista finisce per lambire, intersecare, o
assorbire quello antisemita, utilizzando tutta una serie di stereotipi prodotti di volta in volta
dall’antigiudaismo cristiano, dall’antisemitismo razziale, e dall’antiebraismo cosiddetto “di
sinistra”, che hanno nel corso dei secoli costituito un vero e proprio «archivio antiebraico» [Levis
Sullam 2008]. D’altronde, data l’errata identificazione - pur diffusamente accettata - tra ebrei e
Stato di Israele, come se tutti gli ebrei fossero israeliani 5 e dunque come se “ebrei” e “sionisti”
fossero termini sinonimi, molti degli stereotipi di tale «archivio», per secoli rivolti nei confronti de
“gli ebrei” come gruppo, vengono ora indirizzati ad Israele, in quanto “Stato degli ebrei”.
In particolare, riteniamo che si possano rintracciare tre tipologie di discorso antisionista,

3
È questo, ad esempio, il programma politico del partito politico arabo Balad. La Corte Suprema di Israele ha sempre
rigettato l’ipotesi che tale partito potesse essere escluso dal voto perché non rispettoso del carattere ebraico di Israele
[Zarchin, Stern e Lan 2009].
4
Esula completamente dagli obiettivi di questo saggio un’analisi di tale posizione, dal momento che è chiaramente
legata alla definizione di cosa sia l’ebraismo, se si tratti di una nazionalità - e dunque Israele sarebbe uno Stato
nazionale - oppure di una religione - e dunque Israele sarebbe uno Stato confessionale - oppure di entrambe le cose, con
la conseguente difficoltà di trovare un compromesso tra laicità e confessionalità dello Stato. Allo stesso tempo, non è
questa la sede per entrare nella spinosissima questione della democraticità o meno di Israele, che ha spinto alcuni a
coniare il neologismo di «etnocrazia» [Yiftachel 2006; Waxmann e Peleg 2008].
5
Dei circa 13 milioni di ebrei esistenti nel mondo, solo meno di sei milioni vivono in Israele. Cfr.
http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Judaism/jewpop.html.
6
riconducibili ad un repertorio concettuale, linguistico, stilistico, ed iconografico presente
nell’«archivio». A queste se ne può aggiungere una quarta, emersa dopo la nascita dello Stato di
Israele, che si fonda sul ribaltamento della relazione vittima-carnefice, e dunque sulla
trasformazione dell’ebreo vittima della Shoah in carnefice del popolo palestinese, tramite una serie
di retoriche, su tutte quella per cui un popolo che ha subito lo sterminio stia riservando lo stesso
trattamento – il genocidio - ad un altro popolo, impiegando nient’altro che gli stessi metodi nazisti
[Levy 2009].
Una prima tipologia di discorso antisionista ritiene che il sionismo non sia altro che una modalità
attraverso cui si concretizza l’imperialismo occidentale. In un misto di anti-americanismo, anti-
colonialismo, anti-imperialismo, Israele viene osteggiato di per sé, indipendentemente dalle sue
politiche, sempre e comunque. È evidente come questo tipo di discorso sia stato influenzato dalla
retorica sovietica già a partire dai primi anni Cinquanta, sia entrato pienamente nel linguaggio
politico della sinistra europea6 dopo il 1967 [Rodinson 1967] e sia diventato patrimonio dei paesi
del Terzo Mondo nel corso degli anni Settanta7. Ma è altrettanto evidente la commistione tra questa
tipologia di antisionismo e l’«antisemitismo economico» della sinistra marxista [Levis Sullam 2008,
24], dal quale vengono presi una serie di stereotipi ricontestualizzati. Sebbene a tali modelli presenti
nell’«archivio» si possa ricondurre tutto un linguaggio impiegato da vasti settori dell’opinione
pubblica italiana, tendenzialmente vicini alla cosiddetta “sinistra radicale” dalla nostra analisi della
stampa italiana nel periodo della crisi della Basilica della Natività non sono emersi riferimenti
semantici del genere.
Un secondo tipo di discorso antisionista ruota attorno all’esistenza di un “complotto”, che viene
declinato, di volta in volta, in maniera differente. Molto diffusa è la convinzione per cui “gli ebrei”
– cioè “i sionisti” – eserciterebbero un controllo quasi assoluto sui media occidentali con la diretta
conseguenza che questi presenterebbero una visione distorta del conflitto israelo-palestinese a tutto
vantaggio dello Stato ebraico. Riconducibile ad una commistione tra “antisemitismo economico” e
“complotto giudaico” è, poi, l’opinione in base alla quale gli ebrei controllerebbero le banche e più
in generale il sistema finanziario internazionale, potendo dunque disporre di un vantaggio
economico immenso. Altrettanto condivisa, infine, l’idea che “i sionisti” deterrebbero le leve della
politica estera americana, così da poterla controllare direttamente 8. È evidente il richiamo ad uno

6
Sullo spostamento della destra americana ed europea (ivi compresa quella italiana) su posizioni filo-israeliane, proprio
mentre la sinistra assumeva un atteggiamento critico, antisionista quando non antisemita, [Rubinstein 1986; Riccardi
2006, Riccardi 2006b]
7
Si pensi alla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite n. 3379 del 10 novembre 1975, che definiva il
sionismo come una forma di razzismo e di discriminazione razziale: http://daccess-dds-
ny.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/000/92/IMG/NR 000092.pdf?OpenElement .
Sull’antisemitismo presente nel terzo Mondo [Fubini 1984].
8
Si pensi alle critiche mosse al volume di Walz e Meirsheimer 2007 da una serie di esponenti del governo israeliano o

7
dei grandi stereotipi dell’antisemitismo di fine Ottocento, il complotto ebraico di cui parlano i
Protocolli dei savi anziani di Sion [Taguieff, 1992], la cui diffusione prosegue soprattutto nel
mondo arabo [Lewis 1971; Lewis 1990]. Non è, dunque, una coincidenza che il “repertorio
cospirazionista” [Miccoli 1997, 1408-1418; De Michelis 1998, 130-137] sia particolarmente
diffuso nel mondo arabo-islamico.
Nella stampa italiana del periodo considerato, non si fa riferimento a tale tipo di discorso, se non
per alcuni accenni particolarmente polemici verso la politica estera americana, ritenuta troppo
compiacente nei confronti di Israele («Dall’altra parte dell’oceano, il finto mediatore comprende ed
“avalla”, complice e mandante al tempo stesso» [G.L. 2002, 4]). È chiaro, naturalmente, come sia
assolutamente legittima una critica alla politica estera americana, purché non ricada in
un’interpretazione del tutto ideologica ed arbitraria per cui sarebbe Israele – tramite la presenza di
una universale “lobby ebraica” - a gestire la politica estera di Washington in Medio Oriente 9.
Decisamente più diffuso – come la vignetta di Forattini e l’articolo di Messori dimostrano – è il
ricorso che durante la crisi della Basilica di Betlemme la stampa italiana ha fatto della terza
tipologia di discorso antisionista, che, direttamente o indirettamente, utilizza retoriche e simbologie
chiaramente riconducibili all’antigiudaismo cristiano, su tutte l’accusa di deicidio. Colpisce, infatti,
la presenza, in una parte considerevole della stampa analizzata, di un repertorio linguistico e
iconografico tipico della retorica cattolica antigiudaica, come dimostrano sia le vignette, sia gli
articoli pubblicati tra il marzo e l’aprile.
Secondo Emilio Giannelli ad esempio, la presenza di Sharon armato di un mitra, seduto sul
Sepolcro, impediva la resurrezione di Cristo, proprio di fronte ad un angelo che aspettava,
perplesso, l’evolversi della situazione. Si ricordi che l’operazione “scudo difensivo” iniziò il 29
marzo, venerdì santo, e dunque la situazione a Betlemme era, domenica 31, il giorno di Pasqua,
drammatica. Non un “nuovo” deicidio, dunque, come nella già ricordata vignetta di Forattini, ma
una chiara responsabilità israeliana per la mancata resurrezione, proprio quella resurrezione che,
nella tradizione cristiana, “gli ebrei” non avevano accettato, rifiutando, così, la salvezza. Altre
“conseguenze dirette” dell’aggressione israeliana erano, in una seconda vignetta di Giannelli , la
fuga del bue e dell’asino dalla mangiatoia, e, in una vignetta di Vauro Senesi la mancanza assoluta
di cibo che spingeva il bambino Gesù fino a desiderare di mangiarsi proprio il bue e l’asinello. Sulla
questione se vi fosse sufficiente cibo o meno nella Basilica durante i giorni dell’assedio vi sono stati
pareri contrastanti. Il Corriere della Sera riportò la notizia che, a fine assedio, nella Basilica vi era

della comunità ebraica americana. Cfr. Schoenfeld 2006, in risposta alla pubblicazione dell’articolo dei due politologi
americani su The London Review of Books (http://www.lrb.co.uk/v28/n06/mear01_.html), successivamente
trasformato in volume.
9
Si pensi a [Tivnan 1987], la cui pubblicazione suscitò negli USA un’ondata di critiche. Sulla stampa italiana nel
periodo analizzato, un solo articolo, peraltro molto equilibrato, si è soffermato su tale questione [Caretto 2002, 6].

8
in realtà molto cibo, diversamente da quanto sostenuto durante la crisi [Betlemme 2002b, 39].
Secondo i tre palestinesi giunti in Italia, invece, le provviste di cibo erano arrivate solo poco tempo
prima [Allam 2002]. Con questi termini la situazione veniva descritta sulle pagine de Il Manifesto:
«Non avremmo mai pensato che l’orrore sarebbe arrivato fino alla grotta del presepio, alla culla di
Gesù con il bue e l’asinello. E Maria e Giuseppe e i magi con l’oro, l’incenso e la mirra. Uno dei
simboli di pace più forti e non soltanto nelle case dei cristiani. (…) Come mai neppure la grotta del
presepio è più segno di pace? Come mai la stella cometa non annuncia più “la pace agli uomini di
buona volontà”? (…) Il bambino di Betlemme non trova posto e non riesce a fermare una nuova
strage degli innocenti» [Gentiloni, 2002, 3]. Non un deicidio, questa volta, ma certamente un
ulteriore motivo di tensione tra Gesù e “gli ebrei”, cioè “i sionisti”, con i loro carri armati ben
identificabili grazie alla stella di David disegnata sul loro fianco.
Sebbene riconducibile anch’essa ad una retorica antigiudaica, si differenzia da queste un’altra
vignetta, che presenta fortissimi richiami ad un’iconografia antisemita, come se fosse stata presa da
una delle riviste italiane della fine degli anni Trenta. Si tratta della vignetta di Enzo Apicella che
presenta un ebreo – forse Sharon - con il tipico naso adunco e la bocca insanguinata, in atto di
mangiare la colomba pasquale. Si tratta di una scelta iconografica che richiama in maniera
inequivocabile tanto gli stereotipi dell’antisemitismo razziale, quanto quelli dell’antigiudaismo
cattolico, tra i quali l’accusa di omicidio rituale [Taradel 2002], che il sangue presente nella vignetta
sembra ricordare.
Altro elemento interessante è il continuo ricorso a formule ad effetto, per cui era la «natività» ad
essere sotto assedio, piuttosto che «la Basilica della Natività», o la Madonna ad essere ferita,
piuttosto che la statua della Madonna. Come se non fosse il luogo santo o la statua ad essere a
rischio, quanto la stessa Cristianità e i suoi fondamenti ad essere sotto attacco [De Cillis 2002b;
Cohen 2002; Innaro e Buonavolontà 2002]. Tutti i quotidiani consultati hanno pubblicato, in molti
casi più di una volta, la foto della statua della Madonna colpita da proiettili. Lo stesso Yasser Arafat
ha consegnato all’autore del presente saggio – in occasione di un incontro avvenuto nell’aprile del
2004 a Ramallah – una foto che presentava la statua bianca della Madonna “ferita”, con delle
macchie scure che sembravano sangue. È da credere che Arafat la mostrasse ai suoi ospiti, per
testimoniare la gravità del comportamento dell’esercito israeliano, che «non aveva avuto rispetto
nemmeno per la madre di Gesù» [Pisano 2002, 18].
All’interno di questo discorso antisionista che si è servito di retoriche e simbologie riconducibili
all’antigiudaismo cristiano, c’è un altro aspetto interessante che merita di essere preso in
considerazione. Dobbiamo a Saul Friedländer la creazione della categoria di “antisemitismo
redentivo” [Friedländer 2009], in base al quale, essendo l’“ebreo” il male assoluto della storia, solo

9
la sua eliminazione avrebbe permesso la redenzione del mondo. Ci si può chiedere se esista o meno
un legame tra l’antisemitismo di cui parla lo storico e quell’antisionismo che vede in Israele il
responsabile unico, tanto della tragica situazione in cui versa il popolo palestinese, quanto
dell’ondata terrorista di matrice islamista che ha coinvolto il Medio Oriente, quanto, infine, del
rapporto teso tra due realtà ritenute opposte e monolitiche: “occidente” e “islam”. Esiste, infatti, un
antisionismo che crede che solo dalla “scomparsa” di Israele e/o dalla sua “trasformazione” da Stato
ebraico in Stato binazionale o multietnico possa giungere, quasi in maniera teleologica, la soluzione
del conflitto israelo-palestinese, una pace giusta nella regione, e un miglioramento nei rapporti tra
mondo islamico e mondo occidentale. Una sorta di “redenzione” che solo la fine del sionismo
sarebbe in grado di garantire. Da questo punto di vista, tale antisionismo – un Medio Oriente senza
Israele – ha davvero molto in comune con l’antisemitismo – un mondo senza ebrei - e con
l’antigiudaismo cattolico, per il quale la conversione di tutti gli ebrei avrebbe dimostrato la vittoria
di Cristo e la verità della “teologia della sostituzione”.
Questo tipo di discorso, pur diffuso in ambienti dichiaratamente antisemiti
(http://www.gerusalemmeterrasanta.org/AlleanzaTerraSantaLibera.htm), non ha trovato spazio
nella stampa italiana consultata. A tale riguardo, vale la pena sottolineare come l’analisi di alcune
riviste e giornali cattolici del periodo considerato abbia messo in luce l’assenza di elementi che
potessero in qualche modo ricondurre ad un discorso antisemita o antigiudaico. Riviste cattoliche
come Il Regno, La Civiltà Cattolica, e Jesus, in particolare, hanno dedicato ampio spazio alla crisi
della Chiesa della Natività, pubblicando editoriali e vari articoli di approfondimento, dimostrando
grande professionalità, imparzialità e equilibrio [Stefani 2002, 217-223; Una spirale 2002, 212-219;
Marchesi 2002, 580-589; Macchi 2002, 77-86; Zavoli 2002, 10-12]. Questi, pertanto, non hanno
attinto né alle precedenti tipologie di discorso antisionista, né alla quarta categoria, che, come detto,
si fonda sulla trasformazione dell’ebreo vittima della Shoah in carnefice del popolo palestinese.
È proprio questo tipo di discorso a comparire in maniera diffusa sui quotidiani analizzati come
dimostra il regolare ricorso a termini quali sterminio, massacro [De Cillis 2002a, 3; Il massacro
2002, 1; Bernet 2002, 4], eccidi [Chiarini, 2002, 3], lager [Cohen 2002, 2], campi della morte
[Giorgio 2002, 11], genocidio che, direttamente o indirettamente, richiamano alla Shoah e alle
vicende che hanno coinvolto il popolo ebraico negli anni del nazismo. Così si espresse persino l’ex
presidente della Corte Costituzionale Casavola: «Davvero ci si può illudere che un terrorismo non
banditesco, ma patriottico, (…) si possa stroncare con la violenza delle armi? La prospettiva orrenda
che si apre dinanzi a tale scelta è quella di uno sterminio ad oltranza, è quella del genocidio»
[Casavola 2002, 1].
Chiudiamo questa riflessione sul “nesso” tra antisionismo e antisemitismo con la presentazione

10
di tre ultime vignette, di Vauro, Apicella, e Forattini, relative all’accusa di antisemitismo mossa sia
alla cosiddetta “sinistra radicale” – in particolare Rifondazione Comunista - sia alla Chiesa
Cattolica.
Se per nulla problematica risulta la vignetta di Vauro che fa un ovvio riferimento al discorso di
Bertinotti al congresso di Rimini di Rifondazione Comunista [De Gregorio 2002, 8], più complessa
è quella di Apicella in cui uno Sharon con un coltello da cucina grondante di sangue in mano
reagisce alle pressioni esercitate da Bush l’8 aprile perché Israele ritirasse il proprio esercito dalle
città della Cisgiordania [Bush 2002]. Indipendentemente dal fatto che si possa criticare Sharon e la
sua politica militarista, non si può non rilevare come in tale raffigurazione si presenti nuovamente il
rischio di un riferimento all’accusa di omicidio rituale (si pensi alle polemiche suscitate da Toaff
2008). Decisamente più preoccupante, infine, la vignetta di Forattini in cui un Giovanni Paolo II
crocifisso tenta di difendersi dall’accusa di antisemitismo. Non può non sembrare voluto il
parallelismo tra la crocifissione di Cristo, effettuata da “gli ebrei”, e la nuova crocifissione cui
Israele condanna il Papa, rappresentante di Cristo sulla terra. Il tutto, sebbene proprio Giovanni
Paolo II sia stato protagonista di una serie di gesti di distensione, dalla prima visita di un pontefice
in una sinagoga, alla richiesta di perdono, alla visita al Kotel, il cosiddetto muro del pianto, e sia
stato promotore assoluto del dialogo ebraico-cristiano.
Dall’analisi della stampa effettuata, emergono, quindi, una serie di aspetti interessanti sul
«nesso» esistente tra antisionismo e antisemitismo e sui modi in cui questo viene declinato, secondo
pratiche discorsive che si è cercato di identificare e comprendere.
Questo breve saggio, è, naturalmente, solo un primo tentativo di studio di un tema assai vasto e
delicato che merita certamente un ulteriore approfondimento, soprattutto alla luce degli avvenimenti
successivi alla Seconda Intifada, dalla guerra del Libano al più recente conflitto a Gaza, che, nella
loro drammaticità e complessità, hanno, purtroppo, consegnato nuovo materiale all’«archivio
antiebraico».

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15
Storicamente 7-2011
Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche - Università di Bologna -
www.storicamente.org
ArchetipoLibri, Bologna - www.archetipolibri.it

DOSSIER

Antisemitismo e chiesa cattolica in Italia (XIX-XXI sec.)

Elena Mazzini

Il Processo a Gesù di Diego Fabbri e i commenti


della stampa cattolica italiana. Fra deicidio e
persecuzioni

Storicamente ISSN 1825-411X


volume 7 - 2011, January 27th, art. 12
DOI: 10.1473/stor95
http://www.storicamente.org/07_dossier/antisemitismo/facchini_premessa.htm

Author's address: Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia (INSMLI,
Milano), viale Sarca 336, palazzina 15, I. 20126 Milano, Italy, elenamazzini@hotmail.com

Abstract: This article intends to examine Diego Fabbri's play, 'The Trial of Jesus', and its reception by
the Italian Catholic press in the mid Fifties. The play and the comments generated by the press
demonstrated how the circulation of Anti-Semitic prejudices is reflected through the mise en scène of
Jesus' death provoked, according to theological catholic stereotype, by the Jews. The guilt felt by the
Jewish people for having killed the Messiah -the deicide's guilt- had a leading role both in the play and
in the Catholic press that have linked this supposed Jewish culpability to the massacres suffered by
the Jews over the centuries.
Keywords: Antisemitism, Italian Press, Catholic Church, Italy, XXth century

1
Elena Mazzini

Il Processo a Gesù di Diego Fabbri e i commenti


della stampa cattolica italiana. Fra deicidio e
persecuzioni
Il contesto e l'opera

L’esame del testo teatrale Processo a Gesù di Diego Fabbri, composto alla metà degli
anni Cinquanta, e dei commenti che sul di esso sono stati elaborati da parte di alcune
riviste cattoliche italiane, ha permesso di individuare e discutere intorno a taluni
orientamenti e raffigurazioni riguardanti l’ebraismo. Attraverso l’analisi di questo case
study teatrale, è stato possibile ricostruire in parte la riproposizione, a dieci anni dalla
fine della Shoah, di alcuni stereotipi appartenenti a quel vasto bagaglio culturale e
religioso dell’antiebraismo cristiano .

Al fine di evitare ingenui anacronismi, è bene specificare che il dramma fu ideato e


composto in un preciso contesto storico in cui il mondo cattolico non aveva ancora
maturato critiche e rivisitazioni di rilievo rispetto alla propria tradizione antiebraica .
Infatti, come è noto, è stato solo a partire dal Concilio Vaticano II (1962-1965) che in
Italia, come altrove, è maturata una sensibilità cattolica diversa in merito alla questione
dell'antisemitismo moderno.

La mancata esigenza da parte cattolica di guardare criticamente alle radici cristiane


dell'antiebraismo all’indomani della Shoah non è stata certamente peculiare della sola
Chiesa e del solo mondo cattolico italiano; il fenomeno di “amnesia” sopra il genocidio
ebraico e sopra la cultura antisemita europea ha infatti interessato molti altri ambiti
della società civile e politica dell’Italia repubblicana. È stato Alberto Cavaglion ad
iniziare una discussione sistematica su certe tendenze storiografiche – ma anche
politiche – che emettono verdetti di colpevolezza sui vuoti di memoria all’interno di una
cornice storica anacronistica. «Uno degli errori di prospettiva più ricorrenti» –ha
osservato lo studioso torinese– «consiste nell’attribuire al silenzio anteriore al 1961
una colpa. Se ne discorre talora con ingiustificato moralismo, giudicando dall’alto delle
nostre conoscenze odierne. Pensare che la Shoah sia sempre stata, come è oggi, la
misura del male assoluto significa cadere nel più banale errore in cui possa incorrere

2
chi s’occupa di storia: giudicare il passato con il metro adottato per giudicare il
presente», [Cavaglion 2006, 26; Miccoli 1991, 161-188; Moro20].

Le considerazioni che seguiranno lungo lo scritto sono dunque da leggere non certo
con stupore, quanto semmai con la consapevolezza che i processi storici debbano essere
costantemente inseriti in un’ottica di lungo periodo, adeguata a mostrare le
permanenze e le discontinuità dei fenomeni studiati [ Miccoli 2000, 605-618].

Precisato ciò, il 2 marzo del 1955, nel Teatro Stabile del «Piccolo Teatro» di Milano,
venne portato in scena per la prima volta il Processo a Gesù, il cui autore, Diego Fabbri,
era un nome noto alla critica teatrale per altre precedenti opere che, in diversa misura,
avevano affrontato tematiche riguardanti questioni religiose[Fabbri 1949, 1954, 1955].
Sebbene non sia possibile sviluppare in questa sede un esame sui motivi che spinsero il
direttore del teatro milanese, Paolo Grassi , noto per le sue simpatie politiche di sinistra,
e il regista che diresse l’opera, Orazio Costa, a rappresentare un testo dai risvolti
religiosi più che da istanze politiche, segnalo non di meno che sarebbe interessante
ricostruire, attraverso l’accesso agli archivi del teatro stesso, le motivazioni che
presiedettero alla scelta di accogliere l’opera di Fabbri in una sede come il «Piccolo» e in
un contesto storico, quello della Guerra fredda, in cui gli schieramenti erano
condizionati non solo da un punto di vista politico ma anche culturale.

Per quanto riguarda il profilo biografico dell’autore, Diego Fabbri, nato a Forlì nel
1911, si formò culturalmente a Roma dove dalla fine degli anni Trenta fino ai primi anni
Quaranta diresse la casa editrice cattolica AVE. A partire dal 1940 fino al 1950 ricoprì la
carica di segretario del Centro Cattolico Cinematografico.

In questo periodo iniziò a collaborare a «La Fiera Letteraria», di cui sarà condirettore
con Vincenzo Cardarelli e di cui terrà la direzione fino al ’66, dopo la morte del poeta. In
campo teatrale, scrisse i suoi primi drammi sotto l’influenza del modello teatrale
pirandelliano ma iniziò a comporre anche opere caratterizzate da una forte tensione
morale e religiosa, di cui sono esempio: «Inquisizione» (1950), «Il seduttore» (1951),
«Processo a Gesù» (1955), «La bugiarda» (1956), «Il vizio assurdo» (1974), «Al Dio
ignoto» (1980).

Dal 1960 al 1962 Fabbri diresse il teatro romano «La Cometa», dando vita ad una

3
Compagnia Stabile, e promuovendo, in ogni modo, la partecipazione del pubblico meno
sensibilizzato alla poetica teatrale. Nel ’68 fu nominato presidente dell’ETI (Ente
Teatrale Italiano), ove realizzò una politica di espansione e di diffusione della cultura e
degli spazi teatrali sul territorio nazionale. Negli anni ’73-’75 presiedette la CISAC
(Confédèration Internationale des Sociétés des Auteurs et des Compositeurs) mentre
dal 1977 fu direttore della rivista di critica e cultura teatrale «Il Dramma». Nello stesso
anno l’Accademia Nazionale dei Lincei gli conferì il premio «Feltrinelli» per il Teatro. La
sua intensa attività giornalistica lo ha visto inoltre collaboratore de «Il Resto del
Carlino», «Il Messaggero», «Il Tempo». In campo cinematografico è stato sceneggiatore e
autore di dialoghi di una cinquantina di film (da De Sica a Germi, da Rossellini ad
Antonioni). È morto a Riccione nell’agosto del 1980 [Fabbri 1984].

Il processo a Gesù

Per quel che concerne la genesi del dramma, è stato lo stesso Fabbri ad aver chiarito
la ragione che lo spinse a ideare l’opera. Dichiarò al settimanale «Il Tempo»:

Ad offrirmi un’occasione di struttura più concretamente teatrale fu una nota a pie’ di pagina che
lessi nel ’47 in una Vita di Cristo. Vi si diceva che dei giuristi anglosassoni s’erano, fin dal 1929,
posti il problema, a dire il vero più giuridico che religioso, del processo di Gesù e s’erano, nel
1933, recati a Gerusalemme per ricelebrarlo pubblicamente, quasi dovessero sciogliere al
cospetto e con la partecipazione del popolo ebreo un loro nodo di coscienza; e che all’ultimo la
sentenza era stata di assoluzione. Seppi poi che esistevano addirittura gli atti di questo processo
e che ammontavano a un migliaio di pagine dattiloscritte; ma non ebbi modo di leggerle e del
resto non m’interessavano un granché. [Stefani 2005, 391-393; Centro studi e di
documentazione La Porta 1999; Costazza 2005].

Prima di entrare nel tema specifico dell’articolo, mi pare opportuno delineare


sinteticamente la struttura su cui si articola Processo a Gesù [Tessari 1974, 5-38; Radice
1977, V-X], che prevede due sezioni e un intermezzo.

Nella prima parte dell’opera si dà spazio alla presentazione dei personaggi principali
costituiti dai membri di una famiglia di profughi ebrei, scampati al genocidio nazista,
ossessionati dal dilemma se le persecuzioni subite nel corso dei secoli dal popolo
ebraico non fossero state causate dall’uccisione di Gesù. Volendo pervenire ad una
risposta, essi stabiliscono di ricostruire quel processo e di ripeterlo ogni sera nei teatri
di tutto il mondo allo scopo di emettere una condanna o un’assoluzione dell’imputato.

4
Le parti assegnate durante il processo vengono sorteggiate di volta in volta: Elia, il
vecchio padre di famiglia, professore di critica biblica all’Università di Tubinga, riveste il
ruolo di giudice; Rebecca, la madre, assume la difesa di Gesù; Sara, la giovane figlia,
dopo aver rifiutato la difesa di Pilato, prenderà quella di Caifa, il Gran Sacerdote del
Sinedrio; infine a Davide, un allievo di Elia, viene attribuita la parte dell’accusatore di
Gesù. I quattro attori principali sono affiancati dai testimoni che verranno ascoltati dalla
Corte; fra questi spiccano Maria, Giuseppe, i tre apostoli Pietro, Giovanni, Tommaso, ed
infine Giuda.

La seconda parte mette in scena problematiche di natura religiosa. Qui, ampio spazio
viene concesso al tormento interiore del fedele cristiano che si interroga, con angoscia,
sulla possibilità di realizzare nel mondo moderno gli insegnamenti di Cristo; o se, al
contrario, vi si debba rinunciare una volta constatata la morte di quel messaggio con la
crocifissione del Messia stesso. L’opera si chiude con questa domanda che non trova
alcuna risposta consolatoria.

Lo scopo che sottende in ultimo al lavoro di Fabbri è stato discusso dallo storico
Piero Stefani che in un’occasione ha osservato:

Il suo [ di Fabbri] intendimento è di ‘processare’ prima di tutto chi, nel primo secolo o nel
ventesimo non fa differenza, deve dichiararsi pro o contro Gesù. Il voto a favore di quest’ultimo
comporta l’ammissione della propria colpa, il prestare ascolto all’inquietudine nuova suscitata in
noi da quella presenza e la fiducia nella forza redentrice del perdono. La conclusione del
Processo indica che la scelta di dichiarare Gesù non colpevole equivale ad aprirsi a lui e alla sua
azione di salvezza. Gli ebrei sono chiamati in causa perché furono i primi a essersi trovati di
fronte a quella scelta. [Stefani 2005].

Il suggerimento offerto dallo studioso risulta persuasivo nella misura in cui il


«Processo a Gesù» è letto come una testimonianza non tanto diretta in primo luogo a
riaffermare l’accusa di deicidio, quanto a sollecitare la ricerca di Gesù in questo mondo e
in ogni coscienza cristiana. La priorità per Fabbri non è dunque rappresentata da una
volontà atta a provare la colpevolezza del popolo ebraico, ma da un impegno volto a
risvegliare, nei cristiani, quel sentire religioso testimoniato dal sacrificio di Gesù.

Precisato questo aspetto, si può nondimeno provare ad avanzare alcune ipotesi di


lettura su altri cliché narrativi presenti all’interno del testo che non espletano soltanto
funzioni accessorie o subalterne rispetto alla tematica principale, ma che rafforzano in
un certo modo la centralità del cristianesimo stesso. Ancora Stefani osserva a proposito

5
di alcune ambiguità testuali sugli ebrei:

L’elemento equivoco del suo procedere sta invece nel non essersi liberato da alcuni stereotipi
cristiani sugli ebrei. Ciò risulta particolarmente evidente in due punti. Prima di tutto gli ebrei
sono definiti in base al fatto di non avere fede in Gesù, perciò chi ce l’ha diviene, proprio per
questo, cristiano. In secondo luogo la travagliatissima vicenda storica ebraica crea un problema
di interpretazione legato a un destino singolare e inquietante che deve trovare spiegazioni di
ordine non semplicemente mondano. [Stefani 2005, 393].

Durante la lettura del testo sono stati individuati alcuni passaggi che hanno fornito la
cifra interpretativa con cui l’autore ha letto il destino del popolo ebraico. Talune
considerazioni sono in tal senso compendiate nel monologo che Fabbri fa proferire al
vecchio Elia all’inizio del dramma.

Elia si pone i seguenti interrogativi:

Noi Ebrei che ci troviamo qui stasera ci domanderemo: Gesù di Nazareth era innocente o
colpevole secondo la legge giudaica? Fu o no condannato ingiustamente? Lo so…è una questione
che riguarda gli Ebrei. Per i cristiani non si pone nemmeno…nonostante ciò vi chiediamo lo
stesso un po’ di comprensione…si tratta di cercare una verità e vogliamo cercarla al vostro
cospetto. Siamo qui per sapere se quello che accade lassù fu soltanto una dolorosa crudeltà
umana o invece una colpa ben più grave, smisurata, irreparabile…se fosse stata una colpa
irreparabile? Me lo sono chiesto da molti anni insieme con la mia famiglia…con molti dei miei
discepoli (ho insegnato alla università di Tubinga critica biblica)…molti miei correligionari se lo
sono chiesto. Perché mai da duemila anni siamo stati perseguitati da tutti? Se fosse conseguenza
di quella Croce alzata una sera sul monte Calvario? “Che il suo sangue ricada su di noi e sui
nostri figli” dicemmo allora. E se fosse proprio quel sangue innocente che chiama il nostro
sangue? [Fabbri 1974].

L’ottica proposta dall’autore attraverso i quesiti che Elia pone a se stesso e al


pubblico circa le tragedie occorse al popolo ebraico si avvale di quell’espediente che
elimina la figura del persecutore dal quadro della riflessione per porre al centro quella
del perseguitato, indotto a chiedersi se non sia lui stesso l’artefice in ultima istanza delle
vessazioni subite [Sibony 1999]. Impostazione che risente, in una certa misura, di una
mentalità che ha considerato le ostilità antiebraiche come risposta punitiva di Dio dopo
la crocifissione e l’uccisione di Gesù. Il deicidio , allusivamente proposto nel brano sopra
citato, costituiva, in quel momento storico, una lecita chiave d’accesso per spiegare le
persecuzioni contro gli ebrei verificatesi nei secoli passati così come in quelli più
recenti.

Il tema del tradimento, duplicemente inteso in termini di infedeltà sia umana che

6
religiosa, è l’altro soggetto principale che attraversa l’intero dramma. In un momento
dell’Intermezzo, Sara e Davide, ex amanti, si confrontano sulla morte di Daniele,
rispettivamente marito e amico dei due, perito per mano nazista durante il secondo
conflitto mondiale. La colpa assunta da Sara per il suo adulterio è al centro della scena
insieme alla sua ricerca di una via spirituale espiatoria.

Così Sara ricorda l’ultima volta in cui vide il consorte vivo:

Lui [Daniele] mi sorrise e parlandomi sottovoce mi confidò che ormai s’era persuaso che Gesù
fosse davvero il Salvatore di tutti…Di tutti, anzi aggiunse: “anche il nostro Salvatore”- e lo
avrebbe proclamato quella stessa sera al momento della sentenza…non è più ricomparso. Sotto
quel cortile, dove era sceso a fumare la sua sigaretta, lo aspettavano già i…nemici di Gesù.
[Fabbri 1974, 122-123].

Cristiani i linguaggi, cristiane le ammissioni di una nuova fede che si facevano strada
in Daniele, cristiana l’ottica con cui si dipinge l’ebreo Daniele prossimo alla conversione,
ormai convinto dell’universalità e delle verità contenute nel messaggio di Cristo.
Definendo inoltre i nazisti ‘nemici di Gesù’, Fabbri riprendeva la condanna del regime
nazionalsocialista come sistema anticristiano già espressa da Pio XI nel 1937 con
l’enciclica Mit brennender Sorge e riproposta più volte nel corso del 1945 nei
Radiomessaggi e nelle Allocutiones di Pio XII [Giordani 1956; Pio XII 1957]. In questo
senso la morte di un ebreo che sta per diventare cristiano è morte di un cristiano e
quindi catalogabile nello spazio del martirio cristiano.

Il motivo tematico che caratterizza il dialogo e l’incontro fra Sara e David, viene
ripreso nella parte finale del dramma. Qui è David a parlare e a confessare il ruolo di
delatore avuto nella cattura e nell’arresto di Daniele. Confessa infatti che:

Mi fu facile denunciarlo alla polizia. Lo indicai, come Giuda, da una finestra del palazzo che ci
ospitava. “È lui, quello che passeggia nel cortile fumando…”. Debbo confessare che non lo facevo
soltanto per amore come si potrebbe pensare. Denunciavo in Daniele un ebreo che s’era già
quasi fatto cristiano. Credevano di prendere un capo ebreo e io gli mettevo fra le mani il primo
fra di noi che s’era già fatto, in cuor suo cristiano. Mi vendicavo cattivamente di tutto quello che
c’era di buono in quell’uomo che non amavo. Credetti di sottrargli definitivamente la sua donna,
credetti di soffocare sul nascere la sua nuova fede. Però…però non sapevo…non credevo che non
l’avrebbero più rilasciato…che sarebbe sparito…mai più visto –non lo sapevo. [Fabbri 1974,
162].

Due le giustificazioni addotte da David al gesto compiuto: la prima, personale,


riguarda l’amore che egli nutre per Sara; la seconda invece è connessa a una ragione di
tipo religioso: l’antagonismo di fede istituito dall’ebreo David verso Daniele, in procinto

7
di farsi cristiano, non può risolversi, nel testo di Fabbri, che in una vittoria mondana
-David è vivo mentre l’amico è perito nei campi di sterminio nazisti. La primazia
spirituale appartiene, in ultimo, a colui che volle diventare cristiano e che, alla luce di
tale scelta, ha dovuto subire e scontare, in una sorta di Imitatio Christi, le sofferenze
imposte dagli uomini senza fede o con una fede “sbagliata”. Il discorso di David gioca un
ruolo adeguato alla messa in evidenza di una gerarchia d’appartenenza confessionale in
cui l’ebraismo assume la veste di religione che può e forse deve essere sorpassata in
nome dell’amore universale professato dal cristianesimo. Resta tuttavia il fatto che
David non si converte: in Fabbri non vi è una visione semplificante della religione
ebraica, né la conversione viene presentata come un processo pacifico e lineare, ma
piuttosto introdotta come problema irrisolto agli occhi del cristiano.

Ricezioni dell'opera nella stampa cattolica italiana

Quali sono stati i commenti apparsi sulla stampa cattolica italiana relativi al
«Processo a Gesù»? Quali aspetti hanno avuto rilievo negli articoli rintracciati e quali
invece sono stati trascurati? Le risposte si faranno strada lungo questo paragrafo
rimandando alle conclusioni finali un bilancio delle questioni emerse lungo l’articolo.

All’indomani della prima rappresentazione teatrale, l’opera conobbe un’immediata


reazione da parte del mondo giornalistico cattolico che si affrettò ad annotare con varie
sottolineature la messa in scena di un tema tanto delicato e centrale quale era il
processo istituito contro Gesù. La stampa selezionata per questa sede non può
certamente essere livellata su un medesimo piano tipologico dato che le fonti proposte
si differenziano, da un punto di vista contenutistico, per indirizzi sia politici che
culturali, mentre da un punto di vista giornalistico, per periodicità, struttura e
diffusione.

Nonostante l’eterogeneità della documentazione – che senz’altro può rischiare di


apparire disarticolata nella sua selezione, ma proprio in virtù di questa sua
diversificazione può, a mio avviso, conferire alla ricostruzione storica un quadro
d’insieme più ampio e mosso di quanto non lo darebbe un corpus documentario più
uniforme– sono emersi elementi comuni sintetizzabili in due tipologie di commenti. La
prima si caratterizza per l’enfasi posta da alcune testate intorno al messaggio religioso
contenuto nel testo teatrale, rilevandone sia la sua attualità che la sua pregnanza

8
spirituale. Non viene dato spazio ad altri tipi di riflessione al di fuori di questo schema
interno al mondo cristiano. La secondo tipologia include la prima ma allarga il discorso
anche al ruolo ricoperto dal popolo ebraico nel Processo a Gesù individuando negli ebrei,
e solo negli ebrei, gli unici responsabili della morte di Cristo: da ciò ne discende la
conseguente spiegazione delle persecuzioni inflitte agli ebrei nel corso dei secoli [Isaac
1962, 163-18; Stefani 2004, 314]. Qui di seguito verranno riportati alcuni esempi tratti
da entrambe le tipologie sebbene sia la seconda a risultare maggiormente rilevante ai
fini del tema indagato in questa sede.

Il primo quotidiano che ha dato notizia sull’imminente rappresentazione del dramma


al Piccolo Teatro di Milano, è stato, a quanto ci risulta, «Il popolo di Milano», portavoce
della Democrazia Cristiana del capoluogo lombardo. In questa circostanza si annunciava
che:

Ai primi di marzo, il Piccolo Teatro della Città di Milano metterà in scena un nuovo lavoro di
Diego Fabbri: Processo a Cristo. L’idea di fare questo lavoro è venuta al Fabbri dall’aver letto che
nel 1933 cinque giuristi inglesi, di razza ebraica, vollero rifare il processo a Gesù e, basandosi
sulle leggi ebraiche del tempo, conclusero con tre voti contro due per l’assoluzione […] È ancora
presto per anticipare giudizi sul valore della nuova opera di Diego Fabbri: su questo si
pronunceranno critica e pubblico dopo la rappresentazione. Ma fin d’ora i cattolici non possono
che compiacersi di opere come questa che portano sulla scena problemi religiosi e figure
religiose: che, in una parola, si riprenda un teatro religioso di cui il dopoguerra ha dato ben
pochi esempi [Lissoni 1955, 13]

Recepita come opera primariamente cattolica e rivolta essenzialmente ad un


pubblico cattolico, il quotidiano milanese coglieva l’occasione per formulare una
proposta politico-culturale intesa come rilancio di tematiche religiose in ambito anche
teatrale. Evitando di commentare un lavoro ancora non visto, l’articolista non si
sottraeva comunque dall’affidare, a priori, giudizi di segno positivo al dramma sulla
base di constatazioni riguardanti il tema cristiano lì affrontato. Questo aspetto non
poteva dunque che costituire nell’opinione dello scrivente un elemento costruttivo,
funzionale all’elevazione spirituale in un momento storico considerato scarsamente
sensibile al richiamo religioso del cristianesimo.

Meno politico e più incline a scorgere l’idea educativa dell’opera, è la caratteristica


essenziale che qualifica lo scritto di «Il nuovo cinema», settimanale edito dal centro
culturale cattolico di Roma. Qui affioravano considerazioni orientate principalmente a
riflettere sul monito contenuto nel lavoro di Fabbri:

9
Più che un processo a Gesù si tratta di un dibattimento sulla nostra contemporanea
condizione di cristiani […] La rievocazione per racconto del dramma un giorno
compiutosi sul Calvario, assume il carattere di antefatto; dopo di che, il dibattito che
segue si presenta come esemplificazione episodica di un dramma interiore che non ha e
non può avere fine mai […] La verità è che questo dramma non ha vicenda che si
conclude, ma ha più conclusioni, perché si tratta in realtà non di uno, ma di più drammi
compresenti, e molte volte dolorosamente vivi in ognuno di noi. E tutti questi drammi si
presentano come conseguenza del dramma del protagonista, assente nel palcoscenico, il
Cristo, ma presente nel profondo di milioni di deuteragonisti: i Cristian. [Murra 1956,
19].

Oscillante fra il nudo resoconto dell’opera teatrale e l’elaborazione di commenti di


carattere moralistico, l’articolo tendeva a leggere e a recepire il «Processo a Gesù» come
un dramma rivolto in prima e ultima istanza alla coscienza dei cristiani e alla mancanza
di una fede profonda che li porterebbe altresì a vivere Gesù in una dimensione più ricca
di aspetti etici e spirituali. Nessun discorso riguardante altri elementi del testo di Fabbri
sono emersi in questo scritto che resta confinato entro limiti intra-cristiani [Camillucci
1956, 209-215; Corradino 1956, 14].

La testata di critica teatrale «Il Palcoscenico» ha offerto alcune riflessioni che


denotano talune particolarità soprattutto nella descrizione dell’Intermezzo in cui è la
tragedia umana dei due ex-amanti, Sara e David, ad essere rappresentata anche nei suoi
risvolti religiosi.

Osservava il giornalista:

Al di là delle ansie religiose di Elia, Sara e Davide hanno le assillanti pressioni dei loro
rimorsi. Sara infatti era stata l’amante di Davide fino al giorno in cui suo marito Daniele
era stato fucilato dai tedeschi. Da quel terribile giorno ha sempre rifiutato l’amore di
Davide, ripresa dal ricordo del marito, pentita di averlo tradito. Prima di morire, Daniele
le aveva confidato di essere divenuto cristiano e ora a lei sembra una figura del Cristo
tradito e ucciso. E il ritornato amore del marito è come il richiamo dell’amore di Cristo.
In realtà Sara crede già in Cristo così come Elia e Rebecca. All’umanità manca solo
Davide. [D'Alessandro 1955, 4-6; Melchiorre 1955, 24-26].

Nello scritto si sottolinea il profilo dei personaggi di Sara, Elia e Rebecca che
guardano al cristianesimo come unica fonte di speranza e salvezza. È utile ricordare che
tale constatazione non è solo di carattere personale, ma riflette piuttosto un’adesione
piena alle intenzioni con cui Fabbri stesso ha concepito e strutturato questo dialogo.
Sara, pentita del suo adulterio e in preda a violenti rimorsi per la morte del marito, si
volge al cristianesimo con occhi di speranza e di salvezza, cerca un riscatto per la sua

10
tormentata anima in Cristo, accolto come l’unica fonte capace di donare la redenzione
attesa per se stessa e per l’intera umanità. L’ebraismo di Sara, così come quello degli
altri personaggi, è ridotto alla stregua di condizione transeunte, momentanea, pronta ad
essere oltrepassata dall’avvento della vera religione: quella cristiana. È pur vero che non
tutto l’ebraismo è rappresentato sulla via della conversione: David è la dimostrazione
che sussiste in Israele un mistero che il cristiano non scioglie. Tuttavia questo aspetto,
messo in evidenza nel Processo a Gesù, non sembra aver interessato l’articolista del
sopraccitato scritto che ha preferito riflettere su altri messaggi contenuti nell'opera del
drammaturgo romagnolo.

Oltre a queste interpretazioni, fondate sulla centralità del cristianesimo, è emersa


pure una lettura per molti versi tipica del pregiudizio cristiano verso gli ebrei. In un
mensile cattolico edito a Brescia, si riformulava quella domanda retorica animata
apparentemente da fini conoscitivi ma sostanzialmente diretta a scorgere nelle tristi
vicissitudini subite dagli ebrei nel corso dei tempi la manifestazione esplicita della loro
colpa, consistente nell’uccisione di Gesù.

La questione era posta in questi termini:

Come mai nessun popolo nella storia dell’umanità è stato perseguitato come quello ebreo? Che
sia ricaduta su questo popolo la maledizione invocata dalla stessa folla urlante davanti al
pretorio di Pilato? […] Lo stesso Davide, il giudice ebreo, che per tutto il primo tempo ha
assunto la parte di spietato accusatore del Cristo, qui crolla: anche il suo personaggio fittizio era
l’incarnazione del proprio intimo dramma, il dramma di chi vuol negare Cristo perché ha paura
di lui e perché non sa affidarsi alla speranza. [Di Rosa 1956, 99-100].

Le affermazioni dell’autore seguono il canone dell’antiebraismo cristiano


riproponendo immagini note fra cui spicca, in primis, l’ebreo negatore di Cristo e restio
ad abbracciare la speranza che è salvezza portata da Gesù agli uomini. Accusa che
costituisce del resto l’esordio di un’altra recensione pubblicata dal settimanale romano
del movimento giovanile democristiano, «Impegno giovanile», il quale ricordava che:

Nel 1929 gli ebrei d’America lanciarono la proposta concreta di rifare il processo a Gesù, quel
processo che ha costituito per gli eredi di Caifa e della plebe che gridò il ‘crucifige’ e che forzò la
mano ai giudici, proclamando “che il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli” motivo di
inquietudine o addirittura di angoscia. [Giambuzzi 1956, 12].

All’interno del settimanale cattolico femminile di Milano, l’«Alba», la domanda se il

11
popolo ebraico avesse dovuto subire così tante sciagure per via del deicidio commesso,
veniva proposta in forma più allusiva che esplicita. Recensendo il lavoro di Fabbri, la
giornalista avanzava queste considerazioni:

Non si tratta di una sacra rappresentazione, piuttosto sintesi drammatica, condotta con estro di
poeta e anima di credente. L’idea balenò all’autore, quando nel ’47, lesse una Vita di Cristo. A piè
di pagina del volume, si diceva che alcuni studiosi ebrei, del nuovo regno di Gerusalemme
(ricordate, amiche, le mie note sul viaggio in Palestina? Facevo rilevare come Gerusalemme è
oggi divisa tra la vecchia città e la nuova, e come quest’ultima, chiamata Israele, è
completamente in mano agli ebrei), un gruppo di ebrei dunque, aveva rifatto il processo di Gesù,
per toccare con mano se Colui che si proclamava Figlio di Dio, doveva più o meno, secondo la
legge di allora, essere condannato. Dal processo, Gesù ne era uscito innocente: assolto quindi.
Anche gli atti esistevano, anzi esistono ancora, in tutta regola, dello strano processo. Furono le
tristi vicende della guerra, che lascia fra l’altro il pauroso ricordo di crudeltà mostruose verso gli
ebrei, distruzioni in massa, a maturare l’idea in Diego Fabbri di un’opera simile? [Sorgato 1955,
2; Id. 1952].

Se in questo brano il nesso istituito fra l’uccisione di Gesù e le ‘distruzioni di massa’


subite dagli ebrei era formulato sotto forma di domanda, nella rivista di cinema e teatro
pubblicata dall’Azione Cattolica di Roma, quel legame veniva affermato in termini più
chiari ed espliciti.

L’autore dell’articolo infatti domandava al lettore:

Qual è infine il tema di «Processo a Gesù»? È un tema semplicissimo che si modula secondo due
esigenze diverse: una è quella che dà l’avvio al lavoro, il giudizio che un gruppo di ebrei intenta
al Nazareno per sapere soltanto se egli fu colpevole secondo la legge giudaica e se, essendo stato
innocente, il reato consumato dai loro antenati non giustifichi per così dire le persecuzioni cui il
popolo di Israele fu sottoposto durante i secoli: l’altra è l’esigenza di Fabbri, cioè l’esigenza dei
battezzati di oggi, di tutti coloro che vivono sotto il nome di cristiani e non si accorgono di
esserlo, o preferiscono non accorgersene [La Corte 1956, 27] .

Il legame fra il deicidio e le persecuzioni antiebraiche si definiva secondo coordinate


di causa-effetto: il deicidio (la causa) aveva ingenerato le tragedie e le persecuzioni
(l’effetto) che il popolo ebraico aveva subito nel corso della storia. La volontà da parte
ebraica di ricelebrare quel processo in base a quesiti ritenuti opzionali, evidenzia altresì
un’incapacità di comprendere da parte dell’articolista altri orizzonti religiosi e culturali
se non quelli cristiani.

Sei mesi dopo la pubblicazione di tale recensione, la stessa rivista pubblicava un


articolo affatto critico dedicato al lavoro successivo di Fabbri, Il seduttore, dichiarando
che:

12
Fabbri si è presentato al pubblico romano scandalizzandolo, se il termine ci è consentito, in
due maniere: con Processo a Gesù prima e, poi, con «Il seduttore»: due ‘scandali’ ben diversi, se
si considera che il Processo dichiarava apertamente le intenzioni dell’autore di richiamare con
energia –e con coraggio- il popolo cristiano e ogni battezzato di oggi alla consapevolezza dei
doveri di ciascuno di fronte a Gesù, il ‘grande tradito’ dalla storia umana [La Corte 1956, 31].

Medesime considerazioni sono state rintracciate nel brano apparso sul «Il Regno del
Sacro Cuore», la rivista dei padri dehoniani di Bologna. Nello scritto dedicato alla
recensione del dramma di Fabbri si legge:

Tutti, anche il vecchio professore ebreo di scritture, proclamano che il Cristo non era colpevole,
e non doveva essere messo alla croce. Egli aveva violato l’antica legge, si disse, egli aveva
sedotto il popolo e minacciava secessioni, ma si dimentica che egli veniva proprio a suggellare
l’antica legge e a portarne una nuova: ecco la chiave per giudicare gli avvenimenti che agli ebrei
era sfuggita, e l’evidenza dei fatti e delle testimonianze del genere strappa ad Elia questo grido:
“Io non so ancora se Gesù fosse il vero Messia, ma Egli, dal giorno della sua crocifissione
sostiene le speranze del mondo. Lo proclamano innocente, martire e guida” [Boni 1956, 51].

L’esortazione a riconoscere Gesù come l’unico vero Messia ricorre anche in altre sedi
come nella rivista dei padri gesuiti milanesi [Casella 1955, 127-128] e nella «La Civiltà
Cattolica» [Guidobaldi1955, 397-408], le quali riproponevano, da un lato, il deicidio
come interpretazione adeguata a spiegare la tormentata parabola storica del popolo
ebraico, dall’altro, indicavano nella venuta in terra di Gesù il segno di salvezza e
redenzione per l'intera umanità.

Conclusioni

L’opera di Fabbri e le recensioni apparse sulle riviste della stampa cattolica italiana
hanno testimoniato il tipo di interpretazioni date agli eventi luttuosi della storia ebraica,
Shoah inclusa, configuratesi in termini sostanzialmente provvidenzialistici e fedeli allo
schema ‘colpa-espiazione’ richiamato più volte lungo il testo.

Se appare operazione tautologica evidenziare tali stereotipi in un momento storico in


cui erano scarsamente presenti o quanto meno poco incisive culture e progetti diretti a
riconsiderare criticamente il corredo antiebraico del cristianesimo, credo che sia
risultato utile indagare il dramma teatrale di Fabbri e i commenti apparsi su di esso
perché l’emersione di segni e simboli antiebraici meritano di essere evidenziati allo
scopo di chiarire in quali forme, in quali tempi e di quali contenuti si sia dotata la
narrazione antiebraica in un contesto storico virtualmente epurato da elementi di

13
manifesto antisemitismo. In questo specifico caso, analizzare i linguaggi attraverso cui i
cliché antiebraici si sono riflessi e formulati in un’opera letteraria, tendente a figurare
un soggetto tematico diverso da quello antiebraico, ha permesso di intravedere come
certi prodotti letterari siano stati veicoli attraverso cui venivano riaffermate sia la
primazia del cristianesimo che la subalternità dell’ebraismo.

La binarietà di questo modello è riscontrabile sia nel Processo a Gesù sia nelle
recensioni ad esso dedicate. Una vicenda paradigmatica, quella offerta dal testo
dell’autore romagnolo, che ha messo in luce come gli elementi antiebraici non siano solo
ideologici ma anche figurativi: essi non vengono sempre costruiti o esibiti
volontariamente, ma, forse, nella maggioranza dei casi, sono dati, passivamente, per
acquisiti.

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16
Storicamente 7 - 2011
Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche
Università di Bologna http://www.storicamente.org
ArchetipoLibri http://www.archetipolibri.it

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Dossier "Antisemitismo e chiesa cattolica in Italia (XIX-XX sec.)"

Cristiana Facchini
Antisemitismo delle Passioni
La «Palestra del clero» e il tema del deicidio

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Storicamente ISSN 1825-411X


volume 7 - 2011, December 2011 23th, art. 46
DOI: 10.1473/stor122
http://www.storicamente.org/07_dossier/antisemitismo/facchini_antisemitismo.htm

Reprint's Address: Univ. Bologna, Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche, P.zza
San Giovanni in Monte 2, Bologna, I-40124, Italy, cristiana.facchini@unibo.it

Abstract: This article analyses the exploitation of the myths of “Christ’s killers” and “deicide” in Italian
Catholic culture during the second half of 19th century as part of a massive implementation of religious
antisemitism that predates and parallels the rise of political antisemitism. It also emphasizes how many
themes of political antisemitism were embedded in the Passion’s narratives and empowered through the
performative impact of preaching and rituals in a culture that still retained one of the highest rate of illiteracy.
Far from being a “survival” of theological traditional Anti-judaism, “deicide” and “Christ’s killers” myths were
part of a clear political project that combined both hatred for the Jews, as the theological enemy, and refusal
of modernity. Moreover, Passion’s narratives were instrumental in disseminating emotions of religious hatred
that enforced, through means of tradition and devotion, a most effective form of cultural antisemitism and
contributed to the dissemination of the image of Jews as a collective outrageous “Other”.

Keywords: Antisemitism, Catholic Church, Italy, 19th Century


Antisemitismo delle Passioni: la
«Palestra del clero» e il tema del deicidio
Cristiana Facchini
Abstract

This article analyses the exploitation of the myths of “Christ’s killers” and “deicide” in Italian
Catholic culture during the second half of 19th century as part of a massive implementation
of religious antisemitism that predates and parallels the rise of political antisemitism. It also
emphasizes how many themes of political antisemitism were embedded in the Passion’s
narratives and empowered through the performative impact of preaching and rituals in a
culture that still retained one of the highest rate of illiteracy. Far from being a “survival” of
theological traditional Anti-judaism, “deicide” and “Christ’s killers” myths were part of a
clear political project that combined both hatred for the Jews, as the theological enemy, and
refusal of modernity. Moreover, Passion’s narratives were instrumental in disseminating
emotions of religious hatred that enforced, through means of tradition and devotion, a most
effective form of cultural antisemitism and contributed to the dissemination of the image of
Jews as a collective outrageos “Other”.

Indice
Premessa .................................................................................................................................. 1
Il tardo Ottocento: stampa cattolica e antisemitismo .............................................................. 4
Passione di Cristo e deicidio .................................................................................................. 7
Qualche nota a margine del tema del “deicidio” .................................................................... 9
Letture politiche del deicidio ................................................................................................ 11
Gerusalemme punita .............................................................................................................. 15
La ricchezza degli ebrei ........................................................................................................ 17
Gesù il Cristo e le passioni antiebraiche .............................................................................. 20
Conclusioni ............................................................................................................................ 24
Reference List ....................................................................................................................... 25

Premessa
Negli anni Trenta del Novecento, di fronte all’avanzata del razzismo nazista, alcuni settori
della chiesa cattolica cercarono, con grande fatica, di mutare posizione teologica rispetto agli
insegnamenti antiebraici che, per secoli, la tradizione religiosa aveva ampiamente diffuso. Il
contributo degli insegnamenti religiosi cristiani alla diffusione dell’antisemitismo moderno,
tra cui quello nazista, è tema quanto mai controverso e dibattuto. La sensibilità nei confronti
di questo rapporto, del nesso tra tradizione antiebraica e più moderne forme di antisemitismo
politico, di cui quello razziale fu una variante, nonché la questione della ricaduta concreta
degli insegnamenti cristiani nella diffusione dell’antisemitismo moderno maturò proprio in
quegli anni quando la “cultura del disprezzo” nei confronti degli ebrei assunse toni sempre
più preoccupanti ed aggressivi fino a divenire legislazione antisemita. All’interno della chiesa
cattolica le prime riflessioni atte a prendere una posizione di distanza furono elaborate nel corso
degli anni Trenta e mirarono in prima istanza ad arginare l’antisemitismo nazionalista e razziale
così come si era venuto a sviluppare in Germania dopo l’avvento del nazismo.

1
Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

Revisione teologica

Su questo tipo di impostazione e lettura sembra insistere Moro [2002]. Tentativi


significativi, in quella direzione, sono ravvisabili in Francia, uno dei paesi con tradizioni
culturali antisemite più radicate e radicali [cfr. Volkov 2006; Pierrard 1997. Per una
più generale impostazione, Gentile 2010]. L’opposizione all’antisemitismo cristiano e
cattolico si manifestò in più momenti, anche tra autorevoli esponenti dell’episcopato.
Alcuni esempi di grande interesse sono riportati in Miccoli 1997.

Quelle poche e rare prese di posizione segnalerebbero, secondo alcuni, un primo tentativo
di revisione teologica finalizzato all’elaborazione di una immagine più positiva degli ebrei
e dell’ebraismo, ossia una scelta di recuperare una lettura dell’ebraismo in chiave meno
conflittuale e negativa rispetto al cattolicesimo e alle altre confessioni cristiane. Queste
argomentazioni, ben analizzate dagli studiosi, e miranti a distinguere un ‘antisemitismo
legittimo’ da uno ‘inaccettabile’ colpiscono, in primo luogo, soprattutto per la loro intrinseca
debolezza argomentativa, sia di carattere teologico e culturale, che politico e sociale. D’altro
canto, però, queste prese di posizione appaiono deboli proprio perché incapaci di incidere
nettamente sul pensiero tradizionale e provocare una revisione teologica capace di attivare un
mutamento antropologico radicale, ancor più difficile da attuare in regimi totalitari.

La consapevolezza che in una cultura religiosa fortemente ancorata alla tradizione teologica e
ai suoi insegnamenti il cambiamento di prospettiva debba scaturire, oltre che dalle pressione
dei condizionamenti esterni, anche e soprattutto, da una rilettura e reinterpretazione dei discorsi
normativi che hanno contribuito alla formazione di quei discorsi antiebraici, dovrebbe spingere
gli studiosi a prestare attenzione alla rilevanza, all’impatto e alle modalità con cui una tradizione
religiosa accoglie o elabora il cambiamento. A fronte di una vasta mole di scritti e ricerche
sull’antisemitismo che lievitano in numero esponenziale in relazione ad un antisemitismo
sempre più proteiforme e informe, poca attenzione è stata rivolta – almeno nel contesto italiano
– alla conformazione discorsiva antiebraica di matrice teologica e alle pratiche culturali e
normative che essa produce. Eppure, per concludere questa breve premessa, tra i fedeli e
tutti coloro che in qualche modo rimangono entro i confini della cultura religiosa, cattolica e/
cristiana, il cambiamento di percezione e comportamento rispetto all’ebraismo e agli ebrei può
avvenire solo e in conseguenza di una mutazione di carattere teologico, gestita dal centro e
messa in pratica a livello locale dall’intensa attività del clero in rapporto alla comunità dei fedeli.
I cambiamenti di percezione rispetto ad ebrei ed ebraismo – e i caratteri di quel mutamento,
le forme di questa nuova sensibilità – costituiscono un oggetto di studio particolarmente
interessante che richiederebbe il contributo della sociologia e della antropologia per dare
risultati interpretativi di rilievo. Questo cambiamento di sensibilità nei confronti dell’ebraismo,
ora percepibile rispetto al passato più recente, è il frutto di un complesso movimento di
revisione, avvenuto sia all’interno della chiesa cattolica che nelle comunità cristiane di altra
confessione. Un cambiamento lento ma non del tutto definitivo.

La mole degli studi sull’antisemitismo è in questi ultimi anni visibilmente aumentato


anche in Italia, così come gli studi sull’antisemitismo cattolico. Per quanto concerne la
ricerca sull’antisemitismo nel mondo cattolico la storiografia contemporanea si è soffermata
sull’attenta e meticolosa ricostruzione del contesto storico, così come sui nessi tra
antigiudaismo (di matrice religiosa) e antisemitismo moderno (di matrice politica e razziale),
problemi in parte connessi anche alla dichiarazione vaticana del 1998 con la quale si

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

ribadiva, attraverso la distinzione concettuale di antigiudaismo e antisemitismo, la marginale


responsabilità degli insegnamenti della chiesa nella formazione e diffusione dell'antisemitismo
moderno.

Antigiudaismo e antisemitismo

Il lemma “antigiudaismo” è utilizzato con insistenza da molti storici italiani, un po’


meno all’estero. Un’impostazione interessante di carattere sociologico sull’uso dei termini
“antigiudaismo” e “antisemitismo” si trova in Chevalier 1991. Il lemma “antigiudaismo”
appare, con molta probabilità, in una delle prime opere di analisi dell’antisemitismo
moderno, scritta dall’intellettuale ebreo francese Bernard Lazare e pubblicato, nella prima
versione, nel 1894. La questione è stata segnalata e discussa sia da Facchini 2010 che
Mazzini 2010. Sul termine antisemitismo si veda il saggio di Berger Waldenegg 2008. Il
documento del 1998 che ha acuito questa percezione di differenza tra “antisemitismo” e
“antigiudaismo” può essere letto integralmente nel sito www.sidic.org. È stato discusso
sia dallo storico americano David Kertzer che dallo storico italiano Giovanni Miccoli
[Kertzer 2004; Miccoli 2007].

Detto questo, occorre sottolineare che il rapporto storico tra ebrei e cristiani è determinato
dalla presenza di un antagonismo strutturale che prende forma fin dai primi secoli dell’era
cristiana. La storia di questo rapporto è tanto affascinante, quanto complessa e ambivalente se si
accettano le affermazioni di alcuni storici, secondo i quali il processo di parificazione giuridica
che coinvolse anche le comunità ebraiche – raggiunta tra la fine del Settecento e nel corso
dell’Ottocento – sia stato il prodotto di un cambiamento di sensibilità all’interno di alcuni gruppi
cristiani. Non potendo affrontare questo delicatissimo tema, vorrei però sottolineare un aspetto
importante: i cristianesimi, alcuni più di altri, non possono esistere senza “antigiudaismo”
essendo questa una componente strutturale della loro identità culturale. Essendo il cristianesimo
un sistema religioso complesso, anche l’antigiudaismo è un sistema complesso, che abbraccia
più sfere dell’azione sociale e culturale. Laddove il cristianesimo si fa cultura, ossia esce
dalle sfere strettamente ecclesiali e modella la vita associata del gruppo di fedeli, allora anche
l’antigiudaismo diventa culturale espandendosi oltre la sfera circoscritta del teologico/religioso.
Parallelamente, questo aspetto strutturale contempla anche un altro dato, ossia la necessità, che
matura a partire dal Seicento, di trovare una soluzione, una collocazione sul ruolo degli ebrei e
dell’ebraismo nella società cristiana. Questi elementi sono molto importanti per comprendere
alcuni delle questioni che solo superficialmente verranno affrontati in questo breve intervento,
dedicato ad alcuni aspetti dell’antisemitismo cattolico.

Nella sua variante cattolica, l’ostilità antiebraica riflette le tensioni e i rapporti istituzionali che
caratterizzano l’organizzazione del cattolicesimo: nel ricostruire le forme di questa secolare
ostilità occorre prestare attenzione alle istanze che provengono dal centro, con punto focale
Roma e alle istituzioni che da essa dipendono – per poi analizzare i rapporti con le diverse
costellazioni locali, le quali recepiscono i modelli culturali dall’alto e li rielaborano adattandoli
ad esigenze specifiche. Le istanze locali (periferie urbane o interi contesti nazionali) sono a
loro volta differenziate al loro interno in “culture cattoliche” che a partire dall’Ottocento si
politicizzano in direzioni talvolta anche divergenti. Infine, occorre ricordare che la ricerca sulle
forme di antisemitismo cattolico deve tenere presente due elementi che contraddistinguono la
natura del cattolicesimo: la sua componente politica (che non cessa mai di agire e strutturarsi
nella storia) e la sua componente spirituale. Vale a dire, la compresenza, nella chiesa, dell’agire

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

intra-mondano e dell’agire ultra-mondano, elementi fortemente intrecciati tra di loro e che


se ben valutati, illustrano megglio le dottrine antiebraiche, parte connaturata della tradizione
dottrinale cristiana e cattolica, ed elemento centrale delle sue pratiche politiche.

Il tardo Ottocento: stampa cattolica e antisemitismo


L’Ottocento ha indubbiamente costituito un un periodo critico ma anche creativo per il mondo
cattolico e per le chiese cristiane. Il compimento del processo di unificazione dell’Italia e la
caduta del potere temporale dello stato della chiesa sembrano sancire definitivamente quel
processo che, avviatosi con la rivoluzione francese, aveva contribuito a ridurre il potere
e l’influenza della chiesa cattolica nella sfera pubblica. La condanna della “modernità”,
espressa dalla pubblicazione del Sillabo, cristallizza quindi due movimenti solo in apparenza
contraddittori: da un lato definisce una sorta di naturale presa di posizione critica nei confronti
delle vicende correnti, tagliando fuori dal suo seno tutti quei cattolici che avevano abbracciato
le novità politiche e culturali sette-ottocentesche; mentre dall’altro inaugura una politica di
militanza che è finalizzata, in modi articolati e diversi tra loro, al recupero degli spazi perduti
e alla riconquista della società [per bibliografia, Verucci 1999].

Antisemitismo

opo la crisi economica del 1873 vengono a formarsi, sia nell’Impero austro-ungarico che
nei territori tedeschi, partiti cristiani, di matrice protestante e cattolica, fortemente ispirati
a dottrine antiebraiche. Gli storici hanno individuato in questo momento la nascita del
moderno “antisemitismo politico” il cui obiettivo principale sarebbe quello di bloccare il
processo di parificazione giuridica degli ebrei. Sui caratteri dell’antisemitismo moderno e
della sua forte componente cristiana e cattolica cfr. Facchini 2010, 187-230. Ad insistere
sul complesso nesso tra tradizione antiebraica religiosa (“antiebraismo”) e antisemitismo
moderno ha insistito, in molti suoi saggi, Giovanni Miccoli [in particolare Miccoli 2003,
3-23].

La bibliografia sulla nascita e diffusione dell’antisemitismo moderno è molto estesa.


Esistono addirittura delle riviste specializzate che si dedicano esclusivamente a questo
tema. Per una visione d’insieme si rimanda a Lindemann 1997; Mosse 2007; Volkov 2006;
Ferrari Zumbini 2001. Il lemma “antisemitismo”, sorto in Germania, indicherebbe una
forma di ostilità antiebraica dai tratti nuovi e moderni. Su questo tema si veda Ferrari
Zumbini 2001, 211-218.

Nel decennio cruciale, che vede eventi quali la breccia di Porta Pia e la crisi economica del
1873, prende forma, nel contesto europeo, una cultura politica e sociale fortemente influenzata
dalla diffusione di nuove forme di ostilità antiebraiche, spesso rubricabili nel lemma di
“antisemitismo politico”. Il neologismo con cui questa costellazione di tradizioni antiebraiche
si presenta, ossia il termine antisemitismo (un termine che appare, secondo una tradizione
consolidata, nel corso del 1879), sta ad indicare, da un punto di vista ideologico, la sintesi di
varie correnti culturali che si erano sviluppate e cristallizzate nel corso dei decenni precedenti,
ma anche una svolta di carattere politico, nel senso in cui, questo lemma indicherebbe altresì
una tendenza dell’ostilità antiebraica a farsi “azione”, attraverso l’organizzazione di leghe,
partiti, movimenti politici, o anche a caratterizzarsi per la sua ideologia non necessariamente
religiosa o tradizionale. Dal punto di vista ideologico, l’antisemitismo moderno raccoglieva una

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

molteplicità di discorsi, alcuni dei quali del tutto nuovi, altri invece antichi, ma secolarizzati,
adattati alle esigenze della società moderna. Nuovo era il contesto politico e sociale che
accoglieva questi discorsi, ossia il“regime di secolarizzazione”, gli stati nazionali e l’impero
multinazionale asburgico. Contesti nei quali, con l’eccezione dell’impero zarista, le comunità
ebraiche tradizionalmente residenti erano state giuridicamente parificate in un processo molto
lungo e tortuoso che giunge a compimento, in Germania come in Italia, con il processo di
unificazione politica.

Secolarizzione

È indubbio che il rapporto tra religione e processi di modernizzazione, più semplicemente


il rapporto tra modernità e religione, sia quanto mai interessante e complesso, e si
esprima anche nel tema della “secolarizzazione”. Sono almeno tre gli ambiti con cui
il sistema religioso entra in rapporto e conflitto: la modernizzazione/urbanizzazione di
ampi strati della popolazione; il rapporto con la scienza moderna e coi suoi metodi di
indagine; il rapporto con la politica moderna, che immette nel campo nuove concezioni
dei diritti dell’uomo. Ogni sistema religioso – protestante, cattolico, ortodosso, ebraico e,
più problematicamente quello musulmano, reagisce in modo diverso rispetto al contatto e
combinazione dei tre processi summenzionati. In senso astratto, i sistemi religiosi hanno
tre opzioni reattive: 1. l’adattamento positivo; 2. la critica; 3. il rifiuto. Le tre risposte
producono un feedback che varia in base ai contesti storici. Per una definizione del
rapporto tra modernità e religione cfr. saggio Facchini 2008. Per una visione d’insieme
sul rapporto tra chiesa cattolica e secolarizzazione rimando a Menozzi 1993 e 2008.

È in questo contesto, ideologicamente agguerrito e politicamente modificato, che si colloca la


nascita e l’organizzazione della stampa cattolica, e con essa l’articolazione di una sostenuta
polemica antiebraica. La pubblicazione di riviste, periodici, bollettini e fogli cattolici di vario
tipo aumentò sensibilmente a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, per aumentare, talvolta
in modo effimero, dopo gli anni Settanta. Questa febbrile attività giornalistica finalizzata a
pubblicazioni di vario titolo è indubbio indice di una crescente attenzione della chiesa ai nuovi
mezzi di diffusione della cultura e propaganda.

Nuovi mezzi di diffusione della cultura e propaganda

Rimane annosa la questione del rapporto tra stampa e lettori in un paese dove il
tasso di analfabetismo è molto alto, come l’Italia ottocentesca. Tuttavia l’esplosione di
pubblicazioni periodiche riflette una tendenza europea e va seriamente valutata. Di certo
è più complesso ricostruire la ricezione di idee, concetti, immagini in una cultura ancora
controllata dalla oralità. Su stampa e alfabetizzazione si veda Kertzer 2004, 143-162; i
commenti in Nani 2006, 26-36; Di Fant ha dimostrato con convinzione il nesso esistente
tra temi predicati e contenuti delle pubblicazioni periodiche [Di Fant 2007, 87-118].

La presenza di nuovi quotidiani risponde, d’altro canto, all’urgenza di contrapporre una lettura
cattolica alle vicende storiche correnti e all’attualità politiche. Le testate e le pubblicazioni
cattoliche vanno ovviamente analizzate in base alle loro funzioni. Esse sono indirizzare a
pubblici diversi: da un lato, riviste come «La civiltà cattolica» e «L’osservatore romano»
sono indirizzate ad un pubblico più generale, quando non extra-nazionale, come nel caso
della rivista dei gesuiti. I quotidiani e i bollettini di fattura locale costituiscono una fonte

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

che guida le esigenze del clero e dei cattolici ad un livello molto più circoscritto. Gli studi
dedicati alla stampa locale si sono rivelati illuminanti perché, se da un lato riflettono le
direttive culturali che provengono dal centro, dall’altro esprimono anche interessi, tensioni
e conflitti più particolari. Sono quindi di grande interesse quelle testate e quei periodici
indirizzati sia al clero che al laicato cattolico che agiscono in città o villaggi dove esiste
una comunità ebraica di un certo rilievo – come ad esempio, Firenze, Livorno, Pisa, Roma,
Milano, Torino, Mantova, Venezia, Padova, solo per menzionare quelle più importanti (vedi
il caso di Torino). I contributi più recenti sulla stampa periodica cattolica, finalizzati anche
all’analisi del nesso tra “antigiudaismo” e “antisemitismo”, hanno portato alla luce un’ampia
messe di discorsi antisemiti, registrando la presenza di temi ricorrenti che avevano un’ampia
circolazione europea, combinando sia attacchi specifici indirizzati a personalità ebraiche che
questioni di carattere più generale. I dati finora emersi permettono di distinguere quei discorsi
di carattere tradizionale e astratto, spesso legati alla tradizione polemica di matrice religiosa, dai
discorsi influenzati da una lettura polemica e tendenziosa di eventi storici concreti – attacchi a
giornalisti ebrei, personalità politiche o imprenditori, o letture antiebraiche di eventi e processi
storici. Non si tratta di un aspetto secondario, poiché gli insediamenti ebraici sono, in Italia,
demograficamente contenuti a fronte di un antisemitismo molto diffuso, che si nutre spesso di
immagini chimeriche e fantasmagoriche, le quali funzionano anche senza la presenza di ebrei
reali.

«La Palestra del clero»

«La Palestra del clero - Periodico bimensile, istruttivo, morale, religioso» che uscì dal
gennaio 1878 al giugno 27 giugno 1912. Si inserisce nel novero delle pubblicazioni
periodiche volute da Leone XIII e caratterizzate da un atteggiamento intransigente.
Destinato al clero, è una pubblicazione che intende fornire elementi per la cura pastorale
e si occupa di argomenti di carattere filosofico e religioso, riflessioni sui vangeli,
omelie, cronache e racconti. Il direttore responsabile fu Don Bernardino Castaldi, che
divenne anche responsabile scientifico a partire dal 1881. La difficile reperibilità della
pubblicazione indica il livello di specializzazione e di utilizzo entro gli ambiti ecclesiali
[Majolo Molinari 1963, 686; Majo 1992]. Sul controllo delle riviste e dei periodici da
parte delle gerarchie ecclesiastiche cfr. Di Fant 2010, 55.

Tra i temi più classici e contemporaneamente meno studiati della polemica antiebraica cattolica
quello del “deicidio” svolge un ruolo preminente. In questo saggio cercherò di analizzarne
alcuni aspetti, soffermandomi soprattutto sulla forma in cui venne nuovamente riattivato nel
corso della seconda metà dell’Ottocento. Tre ordini di motivi suggeriscono di riaprire una
indagine su questo tema. Da un lato, la sua insistente presenza nelle pubblicazioni periodiche,
come in quella qui utilizzata come case study, vale a dire «La Palestra del Clero» di Roma, e la
sua permanenza anche nei momenti più critici, come ad esempio nella polemica antisemita degli
anni Trenta. Un secondo aspetto è determinato dalla centralità — simbolica, religiosa e culturale
— che questo tema ha assunto nell’immaginario e nella teologia cattoliche, e dalle diverse
funzioni che esso ha svolto nella cultura europea, tanto da assumere una rilevanza centrale
nella percezione del mondo ebraico. Infine, ciò che mi suggerisce di rileggere questo tema con
una diversa sensibilità, deriva dai recenti dibattiti che si sono consumati negli ultimi anni in
ambienti accademici americani, soprattutto in reazione al controverso film di Mel Gibson. Il
tema del deicidio, frequentemente marginalizzato nel dibattito scientifico nostrano, è stato fatto
oggetto di crescente attenzione e occupa uno spazio privilegiato nel dialogo ebraico-cristiano,

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

come sembrano indicare seminari di studio (come ad esempio quello recente organizzato presso
il United States Holocaust Memorial Museum), o l’intensa attività di biblisti, esegeti e storici
dell’ebraismo e del cristianesimo antichi.

La Passione di Cristo - Mel Gibson

Il libro di Jeremy Cohen è anche parte del risultato della vasta polemica suscitata dal film
di Mel Gibson La passione di Cristo, lanciato in Italia in occasione della Pasqua. Sempre
nella stessa linea di reazioni si veda Frederiksen 2006. In Italia uno dei primi interventi
fu redatto da Giovanni Miccoli. Sul tema mi permetto di segnalare anche la mia sintetica
analisi in «Studi culturali» [Facchini 2004, 371-378].

Passione di Cristo e deicidio

Ma chi fosse quel tacito reo,


Che davanti al suo seggio profano
Strascinava il protervo Giudeo,
Come vittima innanzi a l’altar,
Non lo seppe il superbo Romano;
Ma fe’ stima il deliro potente,
Che giovasse col sangue innocente
La sua vil sicurtade comprar.

Su nel cielo in sua doglia raccolto


Giunse il suono d’un prego esecrato:
I Celesti copersero il volto:
Disse Iddio: Qual chiedete sarà.
E quel Sangue dai padri imprecato
Sulla misera prole ancor cade,
Che, mutata d’etade in etade,
Scosso ancor dal suo capo non l’ha.
(Manzoni, Inni sacri. La Passione, 1812]

Non è casuale menzionare La passione di Alessandro Manzoni, il quale si era cimentato, negli
Inni sacri, con uno dei momenti più topici della fede cristiana, ossia la “Passione di Cristo”.
Si tratta ovviamente di una concezione diversa di cristianesimo quella espressa da Manzoni, in
cui timidamente sembra farsi avanti una denuncia dell’accusa di deicidio, anche se la potenza
delle immagini cristallizzate nelle narrazioni evangeliche e nella tradizione successiva sono
qui tutte presenti e simbolicamente potenti. Il brano che ho scelto per aprire la riflessione sulla
forza culturale della “passione” è indice del fatto che nella tradizione antiebraica questo macro-
argomento costituisce uno snodo centrale, che si compone di molti sotto-temi, di cui l’uccisione
di Gesù costituisce il focus attorno al quale fu sviluppato ed elaborato il tema del deicidio.

Gli interventi dedicati ad ebrei ed ebraismo presenti ne «La palestra del clero» sono in
effetti suggeriti dalla organizzazione dell’anno liturgico cattolico. Nei dieci anni presi in
considerazione, dal 1878 al 1888, apparvero circa una quarantina di articoli, molti dei quali

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

strettamente connessi al momento della Pasqua e di Pentecoste. Si è scelto questo decennio


perché proprio questo lasso di tempo coincide con il periodo in cui, secondo molti studiosi,
l’antisemitismo moderno si configura come movimento politico, reagendo ad una serie di
trasformazioni sociali e di crisi economiche che incisero indelebilmente sulle società del tempo.
Nel caso italiano, il decennio è anche segnato dall’inizio del papato di Leone XIII, periodo
in cui vengono a definirisi temi antiebraici che si erano presentati negli anni immediatamente
successivi al compimento dell’unità d’Italia e alla caduta dello stato pontificio. In questo
decennio i temi antiebraici prendono forma e si cristallizzano, sia nel mondo cattolico che in
quello liberale, in consonanza alla organizzazione dei movimenti antisemiti che animano la
politica europea degli anni Ottanta. Agli inizi degli anni settanta appaiono, nel campo liberale,
i primi segni di insofferenza nei confronti degli ebrei che si manifestano dapprima con l’affare
Pasqualigo, nel corso del 1873 e, successivamente, in alcuni interventi di eminenti figure
dell’elité liberale e durante l’Affaire Dreyfus [Canepa 1975; Toscano 2003a, 2003b, 2008; Di
Fant 2002; Nani 2006; Pavan 2009].

Accanto a queste tendenze, il mondo cattolico italiano sembra privilegiare, nella sua polemica
antiebraica, una serie di temi specifici, alcuni dei quali ancorati alla tradizione religiosa. Per
quanto concerne il nucleo tematico che dipende dalle narrazioni relative alla Passione di Cristo,
occorre ricordare che gli argomenti costruiti sul canovaccio della lettura e del commento
di alcuni brani degli scritti neotestamentari portano in scena, nei momenti liturgici densi di
significati religiosi e culturali, le figure centrali del dramma della Passione di Gesù, in cui gli
“ebrei” giocano un ruolo fondamentale.1 Tra i personaggi che prendono parte a questa vicenda,
appaiono Giuda, i farisei, il sinedrio, “i giudei” come popolo, i Romani, Ponzio Pilato, le
donne. I temi ricorrenti, almeno nei testi analizzati, fanno riferimento esplicito alla sofferenza
di Cristo, alla caduta di Gerusalemme, alla punizione di Dio, al rifiuto del messia da parte del
popolo ebraico e alle conseguenze politiche di un atto così immensamente scandaloso. Ma nel
complesso, attorno alle scene della Passione, prendono forma tutta una serie di altri temi, che
si prestano alla polemica antisemita del tempo, come si può immaginare ad esempio pensando
al ruolo ricoperto da Giuda o alla associazione tra ebrei e massoneria. Si tratta di motivi e temi
che, se possono apparire scontati, sono ripetuti periodicamente nelle chiese e diffusi da nuovi
mezzi di comunicazione, quali la stampa; subiscono, in taluni casi, anche un processo di ri-
semantizzazione, ossia assumono valenze diverse nel nuovo contesto storico, adattandosi alle
esigenze della società e del gruppo, fino a trasformarsi radicalmente.

Sacre rappresentazioni

Uno studio molto interessante sulle forme e il radicamento dell’antisemitismo cattolico


veicolato attraverso la sacra rappresentazione si trova in Favret-Saada, Contreras 2004.
Il libro è dedicato alla più nota e famosa sacra rappresentazione, la Passione di
Oberammergau, visitata ogni anno, a partire dall’età contemporanea, da centinaia di
migliaia di persone. Un’analisi di questa famosa teatralizzazione della Passione si trova
anche in Cohen 2007 [cap. 10] che sembra non conoscere il lavoro di Favret-Saada e
Contreras. Non conosco lavori che abbiano indagato questo tema nella cultura italiana.
Ricordo che Alessandro D’Ancona si dedicò allo studio delle sacre rappresentazioni.

1
Per una lettura critica dei brani sulla Passione sono utili i libri sul Gesù storico. Per alcuni riferimenti bibliografici:
Cohen 2007 (cap. 1). Tra le analisi più autorevoli, ma di impostazione cattolica, si segnalano Brown 1994 e una visione
critica in Crossan 1995. Si veda la recente ripubblicazione di un classico: Strauss 2009.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

La forza di queste immagini è determinata dallo stretto rapporto che si innesca tra testo sacro (la
Bibbia) e rito: il tema della “passione” non è solamente uno dei tanti argomenti che appaiono
nella polemica antiebraica, ma è contemporaneamente protetto e rafforzato dalla struttura del
rito, sia nella espressione orale della predicazione che nel suo re-enactment, di cui l’esempio più
significativo è costituito dalle sacre rappresentazioni. Insomma, si può dire, per semplificare,
che il tema del “deicidio” è veicolato non solo non solo dal suo carattere testuale, ma anche
dalla sua dimensione rituale, sia nella forma del rito orale che in quella del rito mimetico.

Rito orale e rito mimetico

La predicazione può essere considerata una forma di rito orale, in cui la Sacra Scrittura
vive il suo momento performativo. Gli elementi performativi della predicazione si trovano
in genere nei trattati di retorica dedicati all’actio. I riti mimetici tendono a riprodurre un
racconto di carattere mitico. Settimana santa e sacre rappresentazioni costituiscono una
delle tante forme di rito mimetico. Per nozioni e caratteri introduttivi cfr. Durkheim 2005.

Queste immagini e questi discorsi svolgono una funzione simbolica molto importante nella
diffusione e permanenza delle culture antiebraiche. Ma soprattutto trasmettono una forma
di ostilità antiebraica che non presuppone l’esistenza concreta degli ebrei e dell’ebraismo.
Inoltre è plausibile ipotizzare – in mancanza di riscontri precisi – che le forme di diffusione
della mentalità antiebraica usufruissero in modo efficace di questi canali, rito, predicazione e
liturgia. Nella diffusione dell’antisemitismo a livello popolare dobbiamo quindi valutare meglio
l’impatto della performance rituale e dei messaggi che essa riesce a veicolare.

In questa sede mi interessa porre l’accento non tanto sulla circolazione di questi temi che,
al di là dei dati concreti che si possono rinvenire, appaiono frequentemente nelle fonti a
stampa cattoliche come è evidente dagli articoli di questo dossier che dagli studi più recenti.
Mi interessa evidenziare gli aspetti strutturali di questo discorso religioso, i suoi molteplici
significati e la sua straordinaria capacità di incidere sull’antisemitismo moderno.

Qualche nota a margine del tema del “deicidio”

L’immagine e il mito degli ebrei come «uccisori di Cristo», per usare una bella formula di
Jeremy Cohen, hanno una storia complessa e molto articolata, costituendo momenti topici della
fede cristiana. La plasticità delle narrazioni sulla Passione costituisce uno snodo centrale, perché
potenzialmente capace di rispondere a svariati bisogni antropologici, psicologici e sociali
fondamentali. La genesi del tema del “deicidio” è stato individuato in alcuni scritti dei padri
della chiesa (in parte supportati dalle narrazioni presenti nei vangeli canonici) e in particolare
in Melitone (forse di Sardi) che per primo, alla fine del II secolo dell’era volgare, unisce,
in un binomio destinato ad avere grande successo, l'immagine di “Israele”, in quanto popolo
biblico e storico, con quella degli ebrei, presenti nei brani evangelici, come «uccisori di Cristo».
“Israele” (biblico) diviene così, in una immagine efficace, il popolo che ha «ucciso Dio» (nella
forma di Gesù) [Cohen 2007, cap. 3]. Da un punto di vista della storia delle religioni, questo
tema si compone dell’argomento della “morte di Dio” interpretato però come atto criminoso
compiuto da un gruppo umano specifico – gli ebrei, quelli immaginari e quelli reali.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

Dio morente
Per una messa a punto delle concezioni del dio morente, elaborate dagli studiosi della
fine dell’Ottocento, si veda l’imponente lavoro di J. Frazer, The Golden Bough, in
diversi volumi continuamente revisionati e arricchiti di materiali. Per l’edizione italiana
abbreviata cfr. Frazer 1990. Non posso dilungarmi su questo tema, ma Frazer si fece
portavoce di uno strano dibattito sulla questione dell’omicidio rituale a cui prese parte
anche lo storico ebreo Cecil Roth. Il testo è stato di recente riutilizzato nella polemica
generata dall’edizione del libro di Ariel Toaff.

Propongo, come ipotesi da esplorare, di analizzare in profondità l’idea del “Dio morente”,
così presente nelle culture politeiste – e in particolare nel ricco pantheon classico – e quella
della “morte di Gesù” in relazione a idee e credenze di matrice biblica – la punizione, la
perdita della terra per volontà divina laddove il patto con Dio non venga rispettato, appartenente
alle concezioni deuteronomiste. Accanto a queste immagini si sovrappone e si incardina
l’interpretazione sacrificale della morte di Gesù, il quale salva i fedeli condannando però gli
ebrei. Centrale allo sviluppo del meccanismo e al successo dell’accusa del deicidio concorre
anche la elaborazione del tema del “popolo criminale”, di più difficile rinvenimento almeno
nelle fonti più antiche, ma ben sviluppato in età medievale anche attraverso la diffusione
dell’accusa di omicidio rituale .

Omicidio rituale
Occorre sottolineare che l'accusa di deicidio – uccisori di Cristo – e quella dell'omicidio
rituale non sono identiche, anche se l'analogia con il crimine connesso alla “uccisione” di
Cristo riappare in entrambe le strutture delle accuse. Al centro si colloca la determinazione
a criminalizzare l’ebraismo. L’accusa di omicidio rituale si diffuse nell’Occidente
cristiano a partire dall’età medievale. Essa colpì, a fasi alterne, le comunità ebraiche.
Il nucleo costitutivo dell’accusa, che subì variazioni fino a trovare la sua forma più
perfetta nel caso di Simonino di Trento, si fonda sulla credenza che gli ebrei, durante la
Pasqua, debbano uccidere ritualmente un bambino cristiano per usarne il sangue. L’accusa
fu ampiamente diffusa nelle pubblicazioni periodiche cattoliche per tutto il corso della
seconda metà dell’Ottocento. I casi di accusa di omicidio rituale si perpetuarono fino alla
seconda metà del Novecento. Su questo argomento, che qui non possiamo trattare, si veda:
Jesi 2007; Taradel 2002. Sul caso di Simonino di Trento rimando al classico Hsia 1990
e 1996; Esposito, Quaglioni 1990 e 2008. Su questo tema si veda l’articolo di Di Fant in
questo dossier: Don Davide Albertario propagandista antiebraico.

È interessante notare come la definizione di “deicidio” appaia ancora, dopo la seconda guerra
mondiale, nel Dizionario Ecclesiastico pubblicato da Utet. In una voce molto breve e chiara
si presenta una etimologia del termine (da deus = dio e caedo = uccido), sottolineando che il
“deicidio” è un:

termine indicante l’uccisione di un dio; si usa esclusivamente per designare la


morte di Gesù Cristo sentenziata da Pilato e dal Sinedrio ebraico. Propriamente
Gesù non poté essere ucciso che come uomo, non già come Dio, ma – in virtù
dell’Incarnazione e dell’Unità di persona in lui, Dio e Uomo – è legittimo
adoperare il termine deicidio, allo stesso modo che si dice che Dio è nato, ha
patito, è morto ed è resuscitato. [Dizionario ecclesiastico 1953, 827]

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

Pur non rinunciando a sottolineare questo ambiguo aspetto degli insegnamenti cattolici, la
definizione è decisamente espunta di tutti gli altri elementi che si erano accumulati attorno a
questo tema nel corso dell’ultimo secolo.

L’accusa di deicidio venne ha svolto un ruolo centrale nella polemica antiebraica perché si
presta perfettamente a costituire l’archetipo dei crimini compiuti contro l’umanità (intesa
nei suoi termini cristiani). Gli ebrei, che non si sono convertiti e non hanno riconosciuto
la messianicità di Gesù, figurano quindi come popolo criminale, estensore del delitto
per eccellenza, quello dell'assassinio di Dio. L’immagine degli ebrei “assassini” e deicidi
si cristallizzò nell’immaginario cristiano occidentale attorno ad una serie di altri temi
teologicamente più significativi, come la concezione del popolo testimone e la dottrina della
sostituzione, diffondendosi tramite strumenti liturgici, libelli, immagini, arte sacra e liturgia,
architetture e organizzazione dello spazio. Essa divenne, nel corso dell’Ottocento, un’immagine
talmente potente da essere indistintamente utilizzata da cristiani e non cristiani.

Letture politiche del deicidio


La “passione di Cristo” si presta quindi a veicolare l’accusa di deicidio, anche se, da un punto
di vista storico e filologico essa non è immediatamente contemplata nei brani che descrivono
il processo, la condanna e la morte di Gesù. Tuttavia, al di là degli usi che i cristianesimi
hanno fatto di questo tema/mito, è nel contesto cattolico del secondo Ottocento che “passione”
e “deicidio” assurgono ad una rinnovata centralità nel dibattito politico e culturale.

Per quanto concerne il contesto italiano, la lettura politica della “passione di Cristo” e il
tema del deicidio appaiono sulla scena pubblica, in modo politicamente e culturalmente
pregnanti, nei primi anni settanta [Miccoli 1997, 1398-1407]. L’espulsione di Cristo dalla
società contemporanea si rivelava strumentale per istituire un’associazione immediata tra i
responsabili dell’antico e scandaloso rifiuto (quello ebraico) e gli eventi politici correnti – ossia
la caduta dello stato pontificio. Questo nesso, che negli articoli della «Palestra del clero» viene
riproposto nelle sue molteplici sfumature ma all’interno di un discorso indirizzato al clero e
alle funzioni pastorali, è tematizzato in un articolo che «La civiltà cattolica» pubblica nel 1872,
dal titolo emblematico Il Golgota e il Vaticano.2 All’indomani della breccia di Porta Pia Pio IX
insisteva, nei suoi discorsi pubblici pronunciati in momenti liturgici ben precisi, sul rapporto tra
calvario, sofferenza di Cristo, persecuzione anti-cristiana delle origini e politiche anti-clericali
degli stati moderni. In momenti culturalmente e religiosamente densi di significati – Natale,
il periodo pasquale – appaiono espliciti riferimenti a quella che sembra essere una inedita,
quanto tradizionale, associazione della morte di Cristo con la caduta del potere temporale della
chiesa. [Miccoli 1997, 1407; Di Fant 2007] Nelle più recenti analisi condotte sugli articoli
apparsi nella «Civiltà cattolica» dalla data della sua fondazione, 1850, fino alla fine degli anni
Settanta, è emerso come questo nesso politico-religioso, che legge i temi della Passione alla
luce degli eventi politici fosse già proposto nei decenni precedenti, soprattutto in relazione
alle vicende legate al Risorgimento e all’Unità d’Italia [Lebovitch Dahl 2003]. Il successo di
questo tema, che veicola l’idea di una attualizzazione della crocifissione di Cristo ad opera degli
ebrei applicata di volta in volta a soggetti ritenuti affini – al Papa, alla nazione, alla società
tradizionale e via di seguito – è riscontrabile nella sua capacità di farsi icona, e di diffondersi
tramite vignette, immagini, dipinti.
2
F. Berardinelli, Il Golgota e il Vaticano, «La Civiltà cattolica», 23/I (1872), 641-666; diversi articoli su questo tema
appaiono nel corso degli anni settanta in CC. Lo stesso argomento, con toni polemici inediti, si trova anche nei discorsi
nei discorsi del papa [Miccoli 1997, 1407; Raggi-Taradel 2000; Di Fant, 2007].

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Crocefissione di Cristo ad opera degli Ebrei

Figura 1.

La nota immagine della Crocefissione di Cristo ad opera degli Ebrei pubblicata dal giornale nazista «Der
Sturmer».

Il successo di questo tema, del tutto de-contestualizzato, è presente nella produzioni di


immagini. A questo proposito si veda quanto riprodotto da Cohen 2007 e in Kotek, Kotek
2002. Si veda anche il saggio di Marzano in questo dossier: La Seconda Intifada nella
stampa italiana .

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

L’accusa di deicidio, la quale si fonda su argomentazioni che sono contemporaneamente


religiose e politiche, permette alla chiesa di interpretare tutte le forme di conflitto in cui essa
si trova coinvolta entro uno schema chiaro, traducibile nei seguenti termini: l’immagine di
Gesù crocifisso, che riaffiorerà nelle icone visive, rappresenta la crocifissione della chiesa. Il
crimine perpetrato dai «Giudei» è ora compiuto da «anticlericali, massoni, ebrei moderni». La
centralità assunta dal tema del deicidio implica quindi, in un contesto politico mutato, non solo
la riproposizione di un discorso teologico tradizionale ma contribuisce a diffondere una serie
di corollari, alcuni di carattere politico e altri di carattere culturale destinati ad un successo
immenso. Ad un primo livello, attraverso la storia della “passione di Cristo”, si intende ricordare
che il popolo ebraico è deicida e come tale non può essere liberato dalla sua necessaria schiavitù
(quindi subordinazione) attraverso meccanismi moderni e concezioni nuove di parificazione
giuridica. Ritornare su questi nessi significa opporre una filosofia della storia che si contrappone
nettamente agli eventi politici che si sono succeduti nel corso degli ultimi decenni, segnati
da concrete vicende di emancipazione politica e dalla fede di un progressivo avanzamento di
quegli ideali. La parificazione giuridica, che non viene mai esplicitamente riconosciuta, sarà
esplicitamente condannata nel corso degli anni novanta, in un contesto in cui l’antisemitismo
europeo si manifesta con grande virulenza e con rinnovate armi.

Altro tema evocativo che deriva dai testi evangelici è quello relativo al processo contro Gesù,
peraltro non secondario nell’elaborazione del tema del “popolo deicida”. In questo frangente, gli
ebrei sono descritti tramite immagini negative, desiderosi di complottare contro Gesù, guidati
dalla volontà di ucciderlo, coadiuvati da Pilato, debole e vile, incapace di opporsi. Ora – così
scrivono gli autori cattolici, attualizzando l’immagine nel linguaggio della politica e della
società contemporanee – nello stesso modo la «Massoneria, gli atei e gli Ebrei complottano
contro la Chiesa»3. L’odio che, in questi testi, è rivolto ai farisei evangelici si ritraduce nel
disprezzo verso i «farisei moderni»4.

3
La connessione tra deicidio antico e cospirazione moderna anticlericale ricorre in molti articoli: V. Anivitti, Il Deicidio
rinnovato nel secolo XIX, PCR II (1879), Vol. 3, 204-217; V. Anivitti, Pensieri pel sermone evangelico della domenica
di Passione, PCR III (1880), Vol. 5, 142-145; V. Anivitti, I Patimenti di Cristo in Maria e nella Chiesa, PCR III (1880),
Vol. 5, 168-172; C. Vegezzi, Le Glorie del Golgotha, PCR VIII (1885) Vol.16 40-50; B. Castaldi, Considerazioni
sul vangelo della XXII domenica dopo Pentecoste, PCR IX (1886), Vol. 18, 251-253; Chierici A., Considerazioni sul
vangelo della domenica XXII dopo Pentecoste, PCR X (1887), Vol. 20, 190-192; G. Anania, La Risurrezione di Gesù
Cristo fondamento ed immagine della Risurrezione della Chiesa. Discorso tenuto in Roma nella Pontificia Accademia
Tiberina la sera del 24 Aprile 1887, PCR XI (1888) Vol. 21, 225-231; C. Bartoli, Al Clero la guerra si accresce, PCR
XI (1888), Vol. 21, 200-203.
4
B. Castaldi, Studio Biblico: come e perché N.S.G.C. abbia sempre sdegnata, e rigettata la taccia di peccatore?, PCR
III (1880); B. Castaldi, Pensieri pel sermone evangelico della domenica X dopo Pentecoste, in PCR III (1880), Vol. 6,
22-24; P. Rota, Considerazioni sul vangelo per la V domenica di Quaresima, in PCR VIII (1885), Vol. 15, 154-157;
B. Castaldi, Della Divinità di Gesù Cristo, PCR IX (1886), Vol. 17, 225-232; A. Chierici, Considerazioni sul vangelo
della domenica XVI dopo Pentecoste, PCR X (1887), Vol. 20, 124-126; A. Chierici, Considerazioni sul vangelo della
domenica XXII dopo Pentecoste, PCR X (1887), Vol. 20, 190-192; C. Carosi, Considerazioni sul Vangelo della XXII
domenica dopo Pentecoste, PCR XI (1888), Vol. 22, 214-216.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

I farisei

L’attualizzazione politica dell’immagine dei farisei è tanto più interessante, nel lessico
polemico cattolico, se la collochiamo entro al dibattito scientifico del periodo. I testi
elaborati da autori ebrei che appartennero al movimento della Scienza dell’ebraismo –
la Wissenschaft des Judentums – contribuirono a scardinare molti pregiudizi e immagini
negative trasmesse dalla tradizione cristiane, anche se probabilmente solo in ambienti
molto ristretti. Su questo argomento si veda Heschel 1998.

La «maligna ipocrisia di scribi e farisei» coincide con quella di ebrei, massoni e atei, veri
e propri “farisei moderni” che lottano contro il papato. Il termine fariseo – che in quegli
anni è ampiamente discusso nelle ricerche scientifiche sul cristianesimo delle origini –
viene così ad assumere, nel linguaggio corrente, nuove connotazioni negative e significati
inediti5. L'uso attualizzante di questi brani consolida e legittima anche uno dei grandi temi
dell’antisemitismo ottocentesco e novecentesco, quello del “complotto ebraico”, divenuto
modello di interpretazione della genesi della società moderna che si diffonde nella riflessione
cattolica post-rivoluzionaria fino a condensarsi nei Protocolli degli Anziani Savi di Sion, il
famoso falso che, pubblicato agli inizi del ventesimo secolo, sarà destinato a grande successo
ed ampia diffusione.

Il complotto ebraico

L’emersione del tema del complotto contro la chiesa, di cui gli ebrei sarebbero stati autori
insieme alla massoneria e alle sette, è stato analizzato da Miccoli 1997 e Menozzi 1993.
Il complotto è tema antico: il tema della cospirazione ebraica si presenta in età medievale
in momenti di grave crisi sociale (con la diffusione della peste) e riappare nel Seicento. Il
caso seicentesco è interessante perché il tema del complotto emerge nei testi anticattolici,
indirizzati soprattutto ai Gesuiti e contemporaneamente viene applicato agli ebrei quando
Menasseh ben Israel, un noto rabbino della comunità ebraica di Amsterdam, perorò la
causa del ritorno degli ebrei in Inghilterra di fronte al nuovo governo guidato da Cromwell.
Per qualche riferimento su questo tema poco studiato cfr. Ben Israel 1995 (introduzione)
e sul complotto gesuitico cfr. Pavone 2000. Il tema del complotto è centrale nel best-seller
dell’antisemitismo moderno, ossia i Protocolli degli Anziani Savi di Sion, su cui esiste
una enorme letteratura critica tra cui va menzionato il più autorevole: Cohn 1969. Ma si
veda anche De Michelis [2001 e 2004]. Per una recentissima trasposizione narrativa cfr.
U. Eco, Il cimitero di Praga, Milano, Bompiani, 2011 e le recensioni di Luzzatto Voghera
2011 e Levis Sullam 2011. Su questo tema cfr. anche Germinario 2010.

Lo struttura del discorso è semplice poiché si fissa sull’immagine binaria e sulla dicotomia
noi/loro, amico/nemico che permette l’assunzione di toni manichei, assoluti, dualistici (Chiesa/
5
B. Castaldi, Studio Biblico: come e perché N.S.G.C. abbia sempre sdegnata, e rigettata la taccia di peccatore? PCR
III (1880); B. Castaldi, Pensieri pel sermone evangelico della domenica X dopo Pentecoste, in PCR III (1880), Vol. 6,
22-24; P. Rota, Considerazioni sul vangelo per la V domenica di Quaresima, in PCR VIII (1885), Vol. 15, 154-157; B.
Castaldi, Della Divinità di Gesù Cristo, PCR IX (1886), Vol. 17, 225-232; A. Chierici A., Considerazioni sul vangelo
della domenica XVI dopo Pentecoste, PCR X (1887), Vol. 20, 124-126; A. Chierici, Considerazioni sul vangelo della
domenica XXII dopo Pentecoste, PCR X (1887), Vol. 20, 190-192; C. Carosi C., Considerazioni sul Vangelo della
XXII domenica dopo Pentecoste, PCR XI (1888), Vol. 22, 214-216.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

Sinagoga, Bene/Male, Dio/Satana). Il tema della colpa originaria e quello, strettamente


connesso, della responsabilità collettiva del deicidio sono funzionali alla comprensione di
fenomeni sociali associati alla modernità e permettono di assimilare i movimenti di critica
e opposizione alla chiesa entro l’immagine del nemico teologico classico – gli ebrei – e al
contempo ricordano che la chiesa, come in passato, «risorgerà vincitrice», «come Cristo il terzo
giorno», annientando i suoi nemici. La lotta tra bene e male, tra Gesù e “giudei”, tra chiesa e
civiltà moderna, rappresentata da ebrei e massoni, è costitutiva di questa elementare grammatica
antiebraica e garantisce una spiegazione semplice degli eventi, passati e contemporanei,
facilmente decodificabili dai fedeli più o meno alfabetizzati o acculturati attraverso le immagini
note della passione e il mito del deicidio6.

Gerusalemme punita

Accanto a questi aspetti, le indicazioni per la predicazione veicolano altri temi destinati a grande
fortuna. Il ragionamento teologico sul deicidio presuppone una forma di punizione divina che
si materializza in una condizione politica precisa, nella perdita eterna della terra, in altri termini
della autonomia politica. Gerusalemme, città ingrata verso il Redentore, e i suoi abitanti, «ribelli
e duri di cuore», sono descritti nei testi proposti per il periodo di Pentecoste. Vediamo il
seguente brano, in cui Gerusalemme appare personificata, secondo un classico modello presente
anche in molti brani tratti dai profeti biblici:

Ingannata! Lo vedrai un giorno se fosse stato meglio per te portare l’ingiusto


giogo romano, o l’accogliere piuttosto con esultanza il tuo vero re, il discendente
di Davide, l’erede dello scettro di Giuda. Ma già io veggo che Cristo in mezzo
al suo trionfo versa amare lacrime sopra l’ingrata città, prevedendo il castigo
che per la sua incredulità le pende sul capo: videns civitatem flevit super illam
(Lc 19, 41). Ah! Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quei
che per tua salute ti sono inviati, quante volte non ho io voluto radunare i tuoi
figli, come una gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali, e tu nol volesti! Ma
verrà il tempo in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, e ti assedieranno,
e uccideranno i figli tuoi, né lasceranno in te pietra sopra pietra, perché non hai
voluto conoscere il tempo della visita che ti ha fatto il Signore (Lc 19, 44). Ah!
Terribile perdizione, che fra pochi anni avrà il minacciato effetto, portando a
Gerusalemme una desolazione, che secondo la Profezia di Daniele, durerà sino
alla fine dei secoli” (Dn 9, 27)7.

Nella lunga citazione riportata gli argomenti di carattere teologico relativi alla punizione di
Gerusalemme, causata dai suoi peccati, sono in parte fondati sull’interpretazione cattolica del
libro di Daniele. La punizione di Gerusalemme è un tema ricorrente nella Bibbia ebraica,
soprattutto in alcuni testi dei profeti, e si ritrova anche nelle pagine di Flavio Giuseppe (La
guerra giudaica). Questa lettura, in una fase successiva, assumerà connotati diversi nell’uso
teologico-politico che ne fecero i padri della chiesa.

6
G. Anania, La Risurrezione di Gesù Cristo fondamento ed immagine della Risurrezione della Chiesa. Discorso tenuto
in Roma nella Pontificia Accademia Tiberina la sera del 24 Aprile 1887, PCR XI (1888), Vol. 21, 225-231.
7
“Infedele”, V. Anivitti, Pensieri pel sermone evangelico della domenica delle Palme, PCR I (1878), Vol.
1, 145-151; “ingrata”, B. Castaldi, Considerazioni sul Vangelo della IX domenica dopo Pentecoste, PCR V
(1882), Vol. 10, 51-53; P. Rota, Considerazioni sul Vangelo per la domenica delle Palme, PCR VI (1883),
Vol. 11, 150-154.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

I padri della chiesa

Per quanto concerne la polemica antiebraica dei padri della chiesa, che si articola
anche in un genere letterario detto adversos judaeos, molto è stato scritto. Occorre
sottolineare, in questa sede, che è necessario analizzare i testi in riferimento ai contesti
e ai loro autori. In quel caso emergono, come è stato spesso rilevato, tutta una serie di
problemi e questioni contingenti che rendono la polemica antiebraica suscettibile di essere
interpretata diversamente. Tuttavia, i temi antiebraici della tradizione patristica devono
essere anche compresi nell’ottica teologica, ossia nel solco della tradizione cristiana e
nel modo in cui sono stati recepiti e utilizzati. La punizione politica (ossia la perdita
della autonomia e della libertà) venne utilizzata per spiegare la distruzione del secondo
tempio per mano dei Romani e giustificare, in termini politici, la successiva vittoria
dei cristiani sull’ebraismo, nonchè le politiche di de-emancipazione giuridica – se così
possiamo chiamarle – attuate, anche se in modi non coerenti e conseguenti, a partire dal
periodo tardo-antico. Sulla polemica antiebraica nella letteratura patristica la bibliografia
è vasta: rimando a Limor, Stroumsa 1996 e al numero monografico della rivista «Annali
di storia dell’esegesi», 14/1 (1997). Si veda anche Gardenal 2001 e per nozioni di sintesi
Stefani 2004. Il lavoro più recente su Agostino è di Frederiksen 2008. In riferimento a
questo specifico nesso, tra polemica patristica e tema del deicidio si veda anche Cohen
2007.

Di tono simile, con sfumature più politiche e più attualizzanti, riscontrabili anche in altre
pubblicazioni periodiche [Di Fant 2007], appare un altro brano, in cui alle immagini di
Gerusalemme ingrata e derelitta si aggiungono commenti relativi alla condizione politica del
popolo ebraico (antico):

1. Fa orrore il leggere le orrende tragedie avvenute nel terribile assedio di Gerusalemme, e i


mali che vi aggiunsero gli ostinati!

2. Ma questi, di Gesù Cristo, non saranno che il principio dei dolori!

3. La rovina della città sussiste da diciotto secoli, né la poterono ristaurare né meno i giganteschi
sforzi dell’apostata Giuliano;

4. e la dispersione dell’ebreo popolo, senza sacerdoti, senza sacrifizii, senza tempio e re, la
vediamo coi proprii occhi […].

5. Alla distruzione di Gerusalemme fa seguito la dispersione dell’ebreo popolo per tutto il


mondo: Daniele lo aveva già predetto: che l’Ebrea nazione non sarebbe più il suo popolo: ma
perché?

6. Perché lo avrebbe rifiutato, rinnegato […]. Può darsi più chiara e più precisa descrizione dei
futuri avvenimenti? Iddio ha abbreviato il tempo sopra la città santa per dare fine al peccato e
alla prevaricazione. Passeranno settanta settimane di anni, e verrà il Santo dei Santi, ma dopo
settantadue settimane sarà ucciso il Cristo, e l’ebrea nazione non sarà più il suo popolo perché
lo rinnegherà.

7. […] Così Daniele e così fu.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

8. Ecco il popolo ebreo senza re, senza regno, senza tempio, disperso pel mondo, portando in
fronte il marchio del deicidio8.

Le immagini di Gerusalemme, poetiche ed evocative, rafforzano l’idea della punizione politico


religiosa della città santa. Fallimentari, infine, sono i tentativi di risollevarla per mano di coloro
che sono “infedeli”, come nel caso storico dell’imperatore Giuliano (detto l’apostata) che cercò
di restaurare il tempio di Gerusalemme. L’immagine che si trae dalla lettura di questi testi si
fonda sulla concezione della terra punita e su Gerusalemme distrutta, per colpa del «rifiuto del
Messia» e del «marchio del deicidio» (8).

Questi brani sono di grande interesse perché utili per ricostruire l’immaginazione culturale
relativa alla “Terra Santa”, concepita contemporaneamente come luogo religioso e politico
della riflessione cattolica. Gerusalemme è splendore e grandezza quando rivendicata come
cristiana, ma perdizione e distruzione se associata agli ebrei. La memoria religiosa di
Gerusalemme, trasmessa dalla immaginazione culturale cattolica è un tema di grande interesse,
perché nel corso dell’Ottocento essa è diffusa anche tramite altri canali, che vanno dal
consolidamnto dell’archeologia biblica ai resoconti di viaggiatori e studiosi. Questi pochi
esempi indicano un antagonismo con le coeve concezioni protestanti in cui il rapporto degli
ebrei con la “Terra Santa” è concepito in modo più positivo e con le successive rivendicazioni
ebraiche espresse dal movimento sionista [cfr, in questo Dossier l'articolo di Tullia Catalan].

Infine, se si commentano anche tutti i termini che qui appaiono per definire gli ebrei, si
osserva come essi siano sempre concepiti collettivamente, come il popolo biblico e post-
biblico condannato alla dispersione (al vagare, e quindi alla condizione di “straniero”); un
popolo anomalo, privo di quelle caratteristiche storiche che hanno caratterizzato la storia
delle nazioni antiche (re, regni, istituzioni religiose e politiche). Sono temi che fanno ampio
utilizzo della tradizione antiebraica classica, in cui la fissione tra colpa del deicidio e punizione
politica, visibile nella dispersione e nella anomalia dell’esistenza di un popolo diasporico, senza
istituzioni politiche e re, sembra riflettere una ideologia teologico-politica alimentata dell’idea
che gli ebrei non hanno più accesso alla loro elezione, ossia al patto fondativo contenuto nella
Bibbia. La teologia della sostituzione, elaborata nel corso dei primi secoli dell’era cristiana, e la
cancellazione voluta da Dio dell’antico patto si esprimeva così non solo nella punizione politica
dell’erranza e della dispersione [Pesce 1997; Stefani 2004], ma anche nella sterilità culturale
dell’ebraismo post-biblico, che a più riprese si cristallizza nella lettura negativa dell’ebraismo
rabbinico.

La ricchezza degli ebrei


Oltre ai messaggi meramente religioso-politici, appaiono anche riflessioni più esplicita
sulla condizione ebraica moderna. Occorre scomporre il brano, già in parte analizzato, per
evidenziare quelli che sono alcuni dei temi caratterizzanti dell’antisemitismo politico nella sua
variante cattolica:

1. […] Che importa che al presente

2. abbondino [gli Ebrei] di ricchezze,

3. ascendano ai primi onori,


8
P. Rota, Considerazioni sul Vangelo della Dom. XXVIII dopo Pentecoste, PCR VI (1883), Vol. 12, 304-307.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

4. e si impongano tirannicamente ai seguaci del Nazzareno che troppo li tollerano?

5. La loro grandezza ha fatto loro perdere tutto quello che loro restava di religioso,

6. e l’avidità di arricchire a spese anche della giustizia e dell’equità

7. ha cagionato […] delle reazioni, che la loro esosa avidità e petulanza provocava.

8. Castigo però anche questo permesso da Dio per continuare a tenere la sua mano vendicatrice
sulla riprovata nazione”9.

Queste frasi condensano in poche righe alcuni sottotemi della polemica antisemita di quegli
anni. Se seguiamo con attenzione i punti elencati si comprende come gli articolisti leggano gli
eventi contemporanei in relazione al ruolo assunto dagli ebrei dopo la parificazione giuridica:
nell’età contemporanea sono diventati ricchi (2), hanno acquisito status simbolico e sociale (3),
imponendosi in modo anti-democratico ai cristiani che a loro volta li «tollerano». La libertà
politica si è tradotta in ricchezza e tale situazione è tanto più esecrabile se letta alla luce
della tradizionale denigrazione cattolica del denaro quando associata al mondo ebraico. La
ricchezza degli ebrei è negativa non solo perché corrompe la civiltà cristiana ma anche perché
si riflette in una propensione psicologica che, nell’ottica cattolica, si traduce nell’avidità di
arricchire a spese della società cristiana che benevolmente accogli gli ebrei. Col denaro, la
«superba Sinagoga» antica riuscì a cospirare contro Gesù così, nel presente, il popolo ebraico,
col medesimo atteggiamento, utilizza il «denaro dell'usuraio» nella «lotta contro la chiesa».

Il tema del “denaro ebraico” è un leitmotiv della polemica antiebraica fin dai tempi più antichi:
dai trenta denari di Giuda, ai mercanti nel tempio, dalle norme sull’usura alle violente polemiche
degli ordini mendicanti, il conflitto tra ricchezza ebraica e ricchezza cristiana non da segni di
tregua, sia nel corso della prima età moderna che in età contemporanea. Anzi, la diffusione del
capitalismo industriale, a cui la chiesa opporrà, a parole, una critica severa e una visione di un
perduto mondo idilliaco, gerarchico e “giusto”, non farà che rivitalizzare e acuire le immagini
antiebraiche provenienti dal campo metaforico della ricchezza e dell’economia trascinando
con sé anche le sue pratiche culturali – violenze, saccheggi, espropri. Tuttavia il contesto
ottocentesco si differenzia notevolmente da quello del periodo di antico regime, perché attorno
all’ossessione sulla ricchezza degli ebrei si concentrano una serie di problemi che sono collegati
alla più generale condizione politica e sociale che coinvolge le comunità e i contesti ebraici
europei, i quali si trovano a gestire complesse trasformazioni socio-economiche segnate dalla
esplicita richiesta di trasformarsi in «cittadini utili» e da un generale impoverimento, soprattutto
in Galizia e nella zona di residenza russa, determinato dai cambiamenti innescati dai processi
di industrializzazione.

La stigmatizzazione della ricchezza e del successo ebraici sono temi che assumono una
rilevanza centrale e ossessiva nel contesto della polemica antisemita: da Adolf Stoecker a Karl
Lueger fino a Edouard Drumont, questi temi si trasformano in slogan di grande successo che
sono il frutto di una sapiente selezione di alcuni dati di realtà – il miglioramento economico
e sociale di alcune fasce della società ebraica. È interessante osservare che, nel corso degli
anni Ottanta del XIX secolo, appaiono anche nelle polemiche antiebraiche italiane di matrice
liberale [Pavan 2009, 50], e si può ipotizzare, sulla base dei dati finora disponibili, che in questo
9
P. Rota, Considerazioni sul Vangelo della Dom. XXVIII dopo Pentecoste, PCR VI (1883), Vol. 12, 304-307.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

contesto, il tema della “ricchezza ebraica” costituisca uno dei luoghi di incontro tra le diverse
anime dell’antisemitismo politico ottocentesco. Peraltro, il tema “dell’oro ebraico” corruttore
della società cristiana avrà grande successo anche nei decenni successivi cristallizzandosi nei
romanzi middle-brow del periodo fascista, di cui il best-seller Oro, di Ugo Wast costituisce un
esempio illuminante [Bonavita 2009; Germinario 2010].

La netta condanna dell’integrazione sociale ed economica nella società “ospitante” (sempre


cristiana) serve anche per elaborare un altro tema caro alla polemica antisemita destinata a
duraturo successo. L’idea chiave che guida questi commenti si fonda sulla convinzione che
l’esercizio della libertà politica produce un atteggiamento ebraico intollerabile, ossia la capacità
di integrazione degli ebrei. Invece di valutare positivamente un percorso di inserimento nella
società, peraltro incentivato e predisposto dalle stesse politiche modernizzatrici di governi
cattolici (come nel caso dei domini asburgici), per molti polemisti cattolici il successo degli
ebrei nella società cristiana si traduce in un comportamento tirannico che usurpa il ‘naturale’
ruolo di preminenza dei cristiani nella società. Così – seguendo l’argomentazione cattolica –
l’ossessione della ricerca di ricchezza da parte ebraica provoca delle “reazioni” contro gli ebrei,
che si manifestano nelle varie forme di ostilità antiebraica. Sono gli ebrei a suscitare, come
scrive l’autore, «delle reazioni, che la loro esosa avidità e petulanza provocava. Castigo però
anche questo permesso da Dio per continuare a tenere la sua mano vendicatrice sulla riprovata
nazione». Le ostilità antiebraiche che in quegli anni prendono le forme di movimenti antisemiti
organizzati sono da leggersi come un «castigo» provvidenziale, voluto da Dio il quale non
smette mai di colpire la «riprovata nazione» (8).

Più concretamente, questi brani appaiono più chiari e pregnanti quando letti nello sfondo degli
eventi politici di quegli anni: nel 1878 a Berlino è all’ordine del giorno la discussione della
concessione dei diritti civili degli ebrei di rumeni, uno dei paesi più antisemiti d’Europa e da
poco divenuto indipendente [Lebovitch Dahl 2010, 183]. Nello stesso anno Adolf Stoecker
fonda il partito cristiano-sociale che si ispira apertamente all’antisemitismo politico [Ferrari
Zumbini 2001]. Nel corso del 1881 sono i pogrom russi a suscitare le preoccupazioni del
mondo liberale. Commenti sulla situazione relativa alle drammatiche e precarie condizioni degli
ebrei russi appaiono in tutta la stampa europea, così come in quella italiana e non a caso sono
ripresi da «Civiltà cattolica». Nel biennio 1881-1883 la «Civiltà cattolica» aveva lanciato una
delle sue più aggressive campagne antisemite proprio sul tema dell’omicidio rituale. [Taradel,
Raggi 2000; Crepaldi 2003] Nel 1883 sarà invece l’accusa di omicidio rituale nel villaggio
ungherese di Tiszaeslàr a suscitare le preoccupazioni tra i liberali – tra cui anche la stampa
ebraica [Catalan 2003; Wyrwa 2007] e l’interesse tra i cattolici di fede intransigente. Questi temi
innestati nel discorso religioso vanno compresi alla luce di un contesto di grande conflittualità
in cui l’emancipazione ebraica è lungi dall’essere un processo compiuto. In questo senso,
affermare che sono gli ebrei stessi con le loro intrinseche caratteristiche a causare l’odio dei
gentili e che meritano, quindi, di essere perseguitati e puniti significa adottare una visione di
deresponsabilizzazione politica nei confronti di tutte le forme di antisemitismo [Miccoli 1997].

Infine, un altro aspetto merita attenzione critica. Il successo sociale degli ebrei è percepito
come il risultato di un processo di secolarizzazione dell’ebraismo traducibile nell’equazione
che connette integrazione sociale, modernità e allontanamento dalla religione (tema indicato
al punto 5). Questo argomento, ancora confuso e ambivalente nella pubblicistica cattolica di
questo periodo, coesiste in modo contraddittorio, con il tema ossessivo della onnipresenza
dell’ebraismo tradizionale e rabbinico (ossia talmudico), denunciato spesso come criminale e
intollerabile.

19
Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

Gesù il Cristo e le passioni antiebraiche

Vorrei ora spostare l’analisi sugli effetti culturali di questa forma di antiebraismo, che non
si riduce solamente alla sua variante politica, ma attiva, efficacemente, una manipolazione
delle passioni che permette di comprendere il rapporto tra la diffusione dei corollari politici
associati alla Passione e l’elemento emotivo e performativo dell’antisemitismo. Come si può
notare dai brani menzionati, indirizzati alla predicazione, il tema della “passione di Cristo” ha
una straordinaria capacità di suscitare e mobilitare, facendo forza sulla manipolazione delle
emozioni e la teatralizzazione del racconto, sentimenti radicati nell’animo umano. Non è un
caso che il linguaggio utilizzato nei testi qui presentati sia spesso violento, manicheo, assoluto,
emotivo – in un certo senso passionale e coinvolgente. L’immagine ricorrente del Dio cristiano
che emerge da questi brani è quella di un Dio vendicativo, che punisce contemporaneamente
gli ebrei e i non credenti. Questo aspetto è tanto più interessante se si ricorda che spesso
l’immagine del Dio vendicativo è stata attribuita all’Antico Testamento e agli ebrei, in
opposizione all’immagine del Dio cristiano, elaborata negli scritti del Nuovo Testamento,
ispirato e guidato dall'amore. Inoltre, preme sottolineare che una parte della dottrina della
tolleranza religiosa, riscontrabile negli ambienti cristiani del Seicento e Settecento, fece perno
appunto sulla concezione dell’amore di Dio per tutti i suoi figli (indistintamente dalla loro
appartenenza religiosa). L’orizzonte culturale di questo cattolicesimo sembra non contemplare
l’idea del Dio dell’amore, che scompare per lasciare spazio contemporaneamente al Cristo
sofferente e al Dio (cristiano) vendicativo.

Tolleranza religiosa

Un aspetto poco indagato nello studio dell’antisemitismo cattolico è quello del rapporto
con le teorie della tolleranza religiosa. Per quanto concerne questo tema si veda il classico
lavoro di Firpo 1978. Sono ancora di grande attualità le belle pagine di Luzzatti 1926. Per
una veloce ma un po’ superficiale lettura su questo complesso tema si veda Nussbaum
2009. Ringrazio E. Mazzini per avermi segnalato il testo di Adorno in cui si fa menzione
alle aspettative positive rivolte alla dottrina dell’amore del cristianesimo. Si veda Adorno
1973, 326-327: «All’inizio della nostra ricerca presupponevamo che la dottrina cristiana
dell’amore universale e l’ideale "dell’umanesimo cristiano" si opponessero al pregiudizio.
Questa dottrina è indubbiamente uno dei principali presupposti storici del riconoscimento
delle minoranze in quanto dotate al "cospetto di Dio" di diritti eguali alle maggioranze.
D’altra parte, il Cristianesimo come religione del "Figlio" comporta un antagonismo
contro la religione del "Padre" e i suoi testimoni sopravvissuti, gli Ebrei».

In questi testi è anche rinvenibile un linguaggio che slitta dalla sfera politica a quella emozionale
indirizzando il sentimento religioso verso il disconoscimento dell’alterità ebraica. Oltre a
trasmettere immagini e concezioni politiche ampiamente diffuse anche in altre pubblicazioni,
questi testi invitano a mantenere distinti gli ambiti, a rinnovare i confini tra ebrei e cristiani. Nel
commentare questi brani, che portano i fedeli a rivivere le vicende del Vangelo, si rafforza e
consolida la costruzione di un’antropologia ebraica nettamente negativa. Nei testi analizzati gli
ebrei sono descritti tramite lemmi di derivazione biblica: «... duri di cuore», «infedeli», «feroci»,
«ipocriti» e quindi «ribelli»; gli ebrei abitanti della Giudea e di Gerusalemme sono radicalmente
diversi da Gesù e per questo motivo non riescono ad accogliere il suo messaggio. Gli ebrei sono

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

crudeli, «carnefici» e «spietati crocifissori»10. Non solo sono ‘deicidi’, ma anche determinati ad
infangare le gesta di Gesù, la memoria del suo operato, assimilandolo alla feccia della società
ebraica antica. E ancora, sono «grossolani», incapaci di intendere perché «ciechi», allora, nel
passato, come nel presente. Alla descrizione del contesto ebraico («giudei», «farisei», «scribi»,
«sinedrio»), dipinta con tonalità cupe e fosche secondo una estetica che riprende la mise en
scène della sacra rappresentazione, si contrappone nettamente, sullo sfondo, la figura di Gesù,
«il buon Pastore», che ha salvato l’umanità, morendo sulla croce. Gesù ha mostrato amore verso
gli ingrati ebrei, ostinati e maligni, che meritano solo disprezzo. Gesù Cristo è il nuovo Adamo,
che «i giudei orgogliosi ed ostinati non (lo) vogliono riconoscere»; con la risurrezione egli ha
abolito la legge mosaica, ma anche il popolo ebraico, poiché ora il vero popolo dell’alleanza
sono divenuti i cristiani11. L’immagine di Gesù sofferente e la sua agonia sulla croce sono
contrapposte alla «perfidia» ebraica, alla insofferenza e alla violenza «giudaica». Da un lato
si colloca tutto il dolore e la sofferenza redentiva (Gesù morente), dall’altro la brutalità e la
violenza di coloro che perseverano nell’errore, il popolo ebraico e i suoi gruppi specifici.

10
P. Rota, Considerazioni sul vangelo per la domenica delle Palme, PCR VI (1883), Vol. 11, 150-154. V. Anivitti,
Pensieri pel sermone evangelico della domenica di Passione, PCR III (1880), Vol. 5, 142-145. P.V.D.A.C., Le tre ore
d'agonia: sesta parola dell'agonia, settima ed ultima parola, PCR V (1882), Vol. 9, 22-25; 52-55; 79-81. B. Castaldi,
Sulla Passione di Gesù Cristo: Discorso, PCR V (1882), Vol. 9, 102-108; 137-142; P. Rota, Considerazioni sul vangelo
per la domenica di Passione, PCR IX (1886), Vol. 17, 150-153.
11
C. Carosi, Considerazioni sul vangelo della III domenica dopo Pentecoste, PCR X (1887) Vol. 19, 314-317; P. Rota,
Considerazioni sul vangelo per la II domenica dopo Pasqua, PCR IX (1886) Vol. 17, 216-219; C. Carosi, Le tre ore
d'agonia di N.S.G.C., PCR X (1887) Vol.19, 170-200.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

Tratti somatici raffiguranti gli Ebrei

Figura 2.

Hieronymus Bosch, Salita al Calvario, olio su tavola, (76,7x83,5 cm), 1510-1516 circa, Museum voor
Schone Kunsten, Gand.

Verso il IV secolo dell’era volgare il cristianesimo celebrava con entusiasmo la


conversione al proprio credo di molti popoli mentre gli ebrei rimanevano convinti
della loro verità. La semantica dei temi antiebraici sviluppata in precedenza venne
trasformandosi. Gli ebrei furono sottoposti a un processo di lenta diffamazione della
propria identità culturale: vennero loro attribuite caratteristiche prima riservate ai
“pagani”. Vennero ad esempio ritenuti portatori di demoni, assimilati a bestie, e capri,
come si legge nelle omelie di Crisostomo. Scomparsi i pagani dall’orizzonte simbolico,
il vero “nemico interno” diviene, assieme agli eretici, l’ebraismo [Limor, Stroumsa 1996,
1-26]. Un popolo del corpo, deprivato di una umanità propria e autonoma, che non
coincide con quella elaborata dai cristiani. Si tratta di un elemento culturale che riveste una
netta centralità nel pensiero cristiano e che ha subito un processo di “secolarizzazione”
rilevante in tutta la polemica antiebraica anche di età moderna e contemporanea. Per altri
versi interessante la ricostruzione della polemica antiebraica in Stow 2006.

In termini semiotici la struttura iconica di questa immagine è facilmente ricostruibile anche


scorrendo la tradizione visuale europea, sia nelle sue manifestazioni alte che in quelle più

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

popolari. Le immagini religiose sullo sfondo della passione sono anche segnate da una estetica
di lunga durata, che visivamente segna una differenza fondamentale dei corpi. La descrizione
della società ebraica riflette spesso quella della tradizione iconografica, che dipinge gli ebrei
con tratti somatici segnati dalla bruttezza e dal grottesco. Gli ebrei insomma, a partire della
tradizione patristica, sono parte del «basso» di bachtiniana memoria, del corpo e delle sue
brutture, privati però della componente ironica. Come avevo avuto occasione di notare in un
breve testo a commento del film di Mel Gibson (appunto sulla passione di Cristo) l'aspetto della
manipolazione delle emozioni e l'uso della Passione di Cristo sono modi efficaci e attuali per
veicolare non solo un forte messaggio cristiano ma anche immagini antisemite [Facchini 2004].
La manipolazione delle passioni, la capacità di fare sentire la sofferenza, è elemento centrale
nella tradizione cattolica: il cattolicesimo – in diverse epoche – concentrò molte delle sue risorse
nel diffondere una visione cristiana fondata sulla sofferenza e morte di Cristo, cercando con tutti
gli strumenti possibili di rendere visibile e vissuta quella sofferenza, concentrandosi sull'uso
del corpo di Gesù e sull'attualizzazione della violenza contestuale.

Violenza

Si veda l’analisi condotta da Cohen sulla devozione medievale: «Writing during the
second half of the twelfth century, the German abbot Ekbert of Schönhau was a pivotal
figure in the new trend of Passion devotion. Ekbert’s Stimulus amoris (Prick of Love)
pondered the events of Jesus’ life and death, emphasing the spiritual and moral lessons
to be gleaned from Jesus’s biography. He condemned the Jews as Christ killers in highly
emotional language, emphasizing their gratuitous violence, their “insatiable hostility”,
their blasphemy, and their bonds with Beelzebub, “prince of the demons”» [Cohen 2007,
126 e ss.]. Sulle sacre rappresentazioni e il rapporto con l’antisemitismo moderno rimando
a Favret-Saada e Contreras (2003). Alcuni di questi temi anche in Facchini 2004.

Infine un tema interessante che si può dedurre da questi brani è quello relativo ad una potenziale
etnicizzazione del conflitto religioso ai tempi di Gesù. La descrizione della gratitudine «del
lebbroso samaritano» opposta alla «ingratitudine dei nove lebbrosi giudei», la ricorrente
presenza dei Samaritani, un gruppo ebraico che ha una sua precisa collocazione geografica,
l’attribuire spesso a Gesù una provenienza diversa – la Galilea – rispetto al mondo della Giudea,
permettono di elaborare una immaginazione culturale attenta a contrapporre i gruppi etnici
all’interno del complesso mondo ebraico palestinese del I secolo12. Si tratta di un tema molto
interessante che posso solo accennare ma non analizzare e che andrebbe comparato con i testi
di critica biblica o di storia del cristianesimo antico del periodo. Infatti, è sufficiente per ora
rilevare che proprio in quel periodo venne lentamente a delinearsi una costruzione etnico-
razziale delle vicende gesuane che rifletteva la sensibilità diffusa del periodo, la quale tendeva
ad interpretare i conflitti religiosi dell’antica Palestina alla luce dei conflitti etnici e razziali del
mondo moderno.

Etnicizzazione

Si tratta di un tema interessante che appare chiaramente in alcuni lavori scientifici


dell’epoca e che si ripropone in materiali di altro tipo, a sfondo più marcatamente
apologetico e religioso. Non credo che sia stato sufficientemente preso in considerazione.

12
B. Castaldi, Pensieri pel sermone evangelico della domenica XIII dopo la Pentecoste, PCR, VI (1882), vol. 10, 83-85.

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

A margine dei dati rinvenuti, mi pare possa essere interessante svolgere qualche riflessione
sulla figura di Gesù/Cristo che emerge dai brani analizzati e metterla a confronto con il
più generale contesto culturale europeo del tardo Ottocento: gli studi scientifici, le biografie
romanzate, i pamphlet su Gesù. L’ebraicità di Gesù non è un tema del tutto irrilevante, sia
all’interno della cultura colta che nelle polemiche antisemite della seconda metà dell’Ottocento,
soprattutto laddove si sta definendo un antisemitismo «razziale» con tendenze anti-cristiane,
dai tratti «marcioniti» [Miccoli 1997]. Per quanto l’Italia fosse isolata rispetto ad altri paesi nei
quali prese forma il dibattito scientifico su Gesù e sul cristianesimo, questi temi circolavano
ampiamente anche se recepiti in modi e forme adatte al contesto locale. Nei giornali, negli
ambienti liberali ma anche in quelli del socialismo circolavano, se pure in forma volgarizzata,
i risultati di più ampie e approfondite ricerche sul cristianesimo antico. Nelle pubblicazioni
periodiche cattoliche, e nello specifico ne «La civiltà cattolica», questi studi sono spesso
recensiti, anche se in genere con toni critici e negativi. Parimenti, la pubblicistica ebraica non
manca di partecipare attivamente, con proprie letture a questi dibattiti.

Nonostante la consapevolezza sempre più radicata che Gesù fosse ebreo, molti studiosi di
diversa confessione cercarono di ritrarlo in modo tale da opporlo radicalmente al contesto
storico, religioso e culturale in cui era cresciuto. La difficoltà e il rifiuto di comprendere il nesso
tra cristianesimo ed ebraismo come possibilità di difesa contro i discorsi antisemiti generatisi
nel corso dei decenni successivi si manifesta anche nei temi delle pubblicazioni qui esposti.
Quel nesso tra ebraismo e cristianesimo costituì sempre un irrisolvibile problema per molti
cristiani e per le chiese istituzionali. Un nesso temuto, allontanato, disprezzato, negato. Fu quel
disprezzo meno rilevante e significativo nella costruzione di una moderna cultura antisemita
rispetto ai discorsi biologizzanti e razziali volti a distruggere quel nesso o a distruggere il
cristianesimo incorporato in quel nesso?

Conclusioni

I più recenti contributi scientifici permettono di svolgere alcune riflessioni, di certo non
conclusive, sui caratteri dell’antisemitismo ottocentesco italiano. I linguaggi delle ideologie
antisemite permeano la cultura italiana, sia nella sua componente liberale che in quella cattolica
(in senso esteso). L’ostilità antiebraica di matrice liberale – o per lo meno di alcune correnti di
questa costellazione politica e culturale – sembra accogliere una serie di discorsi ampiamente
diffusi in altri paesi, le cui radici culturali affondano almeno in tre tradizioni di pensiero:
1. la prima, ancora poco studiata, accoglie alcuni temi delle polemiche di matrice religiosa
(ad esempio l’ostilità diffusa nei confronti di alcuni aspetti della ritualità ebraica come la
circoncisione o la concezione negativa nei confronti del Talmud); 2. la seconda è connessa ad
alcuni temi già presenti in nuce nelle discussioni tardo-settecentesche, nella tradizione francese
e tedesca, come ad esempio la polemica sul matrimonio endogamico (che appare tra i punti
delle richieste napoleoniche durante la convocazione del gran sinedrio), o la nozione di «stato
nello stato», che rimandano alle discussioni relative alla natura corporativa dell’ebraismo; 3.
una terza corrente, non ancora ben studiata, risente di tradizioni di pensiero più moderno (come
le discipline etnologiche e antropologiche, o la linguistica europea). Queste forme di pensiero
antisemita non rinunciano al principio giuridico della libertà religiosa e del riconoscimento dei
culti diversi da quello cattolico, come è stato sottolineato da Toscano e ripetuto da Pavan. In
questo caso, per semplificare un discorso molto complesso che va ricostruito con attenzione, si
può parlare di una ostilità di carattere ideologico, talvolta molto radicale, nei confronti sia della
religione ebraica tradizionale che degli ebrei in generale, al quale non propone però forme di

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Facchini, Antisemitismo delle Passioni - Storicamente 7 - 2011

de-emancipazione giuridica, ma forme di cancellazione della identità culturale [Levis Sullam


2008; Pavan 2009].

D’altro canto invece, quando si affrontano le conformazioni discorsive dell’ostilità antiebraica


di matrice cattolica (e più estesamente di quella cristiana), le cose si complicano notevolmente
per due ordini di motivi. Da un lato non si può prescindere, in questo caso, dalla rilevanza del
lungo periodo, essendo la tradizione cristiana molto ricca di temi, immagini, discorsi antiebraici
e costituendo, di per sé, una risorsa positiva da sfruttare nell’arena politica dell’antisemitismo
moderno. In secondo luogo, accanto ad una ideologia pervasivamente antiebraica, costituita
sia da tradizioni teologiche consolidate che dall’incorporamento di nuovi temi, ci troviamo di
fronte ad un discorso del tutto diverso, in cui il dato principale è la messa in discussione della
parificazione giuridica che si fonda sulla concezione cristiana dello stato, o perlomeno di una
sua riproposizione.

La dimensione collettiva che assume l’ebraismo nelle rappresentazioni polemiche cattoliche


è altro tema abbastanza significativo, che in questi testi appare come prioritario considerata
anche la natura del materiale su cui si fonda. Prevale cioè la concezione biblica e patristica del
popolo ebraico nelle sue connotazione più negative, rafforzate, in altri interventi, dalla natura
perversa dell’ebraismo rabbinico, che influisce – nella prospettiva cattolica – sull’antropologia
individuale.

In questo generale contesto, che deve ancora essere studiato in profondità, l’adozione del
tema della Passione e del deicidio nella polemica antiebraica cattolica può essere letto non
esclusivamente come una “permanenza dell’antico”, ma piuttosto come un sapiente utilizzo
politico e culturale dell’antico, non esclusivamente determinato dalla idealizzazione della
cristianità medievale perseguita dalla chiesa cattolica, ma anche dalle straordinarie potenzialità
del rito, della liturgia e dalla loro polifunzionalità capace di influire sulla mentalità collettiva.
La scelta di utilizzare in direzione polemica e antisemita i temi costitutivi della Passione e
del deicidio – temi e immagini che sono conosciuti e noti anche tra chi ha abbandonato il
cristianesimo – indica una scelta precisa all’interno del mondo cattolico, e forse nello specifico
quello italiano, che si propone di offrire – nel contesto della diffusione dell’antisemitismo
europeo – una versione solida, radicata dentro alla tradizione, legittimata dalla logica stessa del
testo sacro, più autorevole e meno aggressiva, ma non per questo meno incisiva.

Mosse aveva parlato, ormai decenni fa, di “cristianesimo infetto”. Uriel Tal ha insistito sulla
rilevanza della tradizione cristiana nella formazione dell’antisemitismo moderno [Tal 1971;
2004]. Anche un tema così apparentemente recondito come quello del deicidio, e l’eclettico
uso delle narrazioni relative alla Passione di Cristo possono svelare perduranti e radicate
forme di disconoscimento del mondo ebraico (antico/moderno, collettivo/singolo) e mostrano,
con chiarezza, come il cosiddetto ‘antigiudaismo religioso’ abbia attivamente contribuito
alla diffusione dell’antisemitismo politico. In realtà, come si può osservare, l’antigiudaismo
teologico, qui analizzato nella sua forma più costitutiva e fondamentale, mostra il volto della
sua intrinseca (ma non necessaria) dottrina politica.

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30
Storicamente 7 - 2011
Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche
Università di Bologna http://www.storicamente.org
ArchetipoLibri http://www.archetipolibri.it

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Dossier - Antisemitismo e Chiesa cattolica in Italia (XIX-XX sec.)

Tullia Catalan
La ricezione del sionismo nella stampa cattolica italiana
(1897-1917)
Una ricerca in corso

________________________________________________________________________

Storicamente ISSN 1825-411X


volume 7 - 2011, December 2011 28th, art. 47
DOI: 10.1473/stor123
http://www.storicamente.org/07_dossier/antisemitismo/catalan.htm

Reprint's Address: Università di Trieste, Dipartimento di Storia e Culture dall'Antichità al Mondo


Contemporaneo, Androna Campo Marzio 10, Trieste, I-34123, Italy, catalant@units.it

Abstract: This article intends to examine the reception of the first Zionism by the Italian Catholic press close
to the Holy See: “Osservatore Romano” and “Civiltà Cattolica”. Three years are analysed in this study: 1897,
birth of Zionism; 1904 visit of the Zionist leader Theodor Herzl to the Pope in Rome; 1917, Balfour
Declaration. Particular attention has been paid to the 1897, crucial moment for the political European Anti-
semitism. For this year have been examined also some local intransigent Catholic newspapers. Principal aim
of this research is highlighting how the Holy See reacted to the Zionist project of settling a Jewish State in
Palestine.

Keywords: Zionism, Catholic Church, Anti-semitism, Italy


La ricezione del sionismo nella
stampa cattolica italiana (1897-1917)
Tullia Catalan <catalant@units.it>
27/12/2011

The Reception of Zionism in the Italian Catholic


Press (1897-1917): a Research in Progress.

This article intends to examine the reception of the first Zionism by the Italian Catholic
press close to the Holy See: “Osservatore Romano” and “Civiltà Cattolica”. Three years
are analysed in this study: 1897, birth of Zionism; 1904 visit of the Zionist leader Theodor
Herzl to the Pope in Rome; 1917, Balfour Declaration. Particular attention has been paid to
the 1897, crucial moment for the political European Anti-semitism. For this year have been
examined also some local intransigent Catholic newspapers. Principal aim of this research
is highlighting how the Holy See reacted to the Zionist project of settling a Jewish State in
Palestine.

Indice
Premessa .................................................................................................................................. 1
La nascita ufficiale del sionismo nel 1897 e le prime reazioni della stampa cattolica............. 4
1904 e 1917: dalla visita di Herzl alla svolta della dichiarazione Balfour ............................ 12
Reference List ....................................................................................................................... 17

Premessa
La reazione della stampa cattolica italiana alla nascita e alla diffusione del sionismo negli anni
di fine Ottocento e primo Novecento, fino alla svolta della dichiarazione Balfour del 1917 con la
concessione inglese di un focolare ebraico in Palestina, è un tema che non è stato ancora molto
approfondito dalla storiografia, che ha scelto di concentrarsi soprattutto sul periodo della prima
guerra mondiale, sugli anni del Mandato Britannico (1922-1948) e sui rapporti fra Vaticano e
stato di Israele dopo il 19481.

Ad oggi, lo studio più esauriente per il periodo precedente al Mandato è ancora il lavoro
di Sergio Minerbi [2008], che ha focalizzato il suo importante volume sui rapporti politico-
diplomatici fra il Vaticano e le altre nazioni, prendendo anche in considerazione i contatti
avvenuti fra la Santa Sede e i leaders sionisti dal 1897 al 1917. Tuttavia, pur avendo usato nel
proprio lavoro la stampa cattolica ufficiale, Minerbi non ne fa oggetto specifico di trattazione,
ma la usa esclusivamente come fonte.2 Sempre Minerbi inoltre, in una ricerca probabilmente
propedeutica al volume, ha affrontato più nel dettaglio le dinamiche intercorse all’interno del
1
Sui rapporti tra il Vaticano e la Palestina durante la grande guerra vedi: Fabrizio 2000; dal Mandato Britannico e fino
alla nascita di Israele: Lapide 1967; Klein 1974; Feldblum 1977; Stevens 1981; Rokach 1987; Kreutz 1990. Rimando
inoltre alla bibliografia citata in Moro 1988, 1054; Mendes 1990; Giovannelli 2000.
2
Per il periodo successivo a quello qui analizzato: Caviglia 1981. Per un’analisi delle reazioni della stampa cattolica
americana dopo la dichiarazione Balfour: Feldblum 1977. Non si sono invece soffermati sul tema dei rapporti fra
Vaticano e sionismo gli autori della monografia dedicata al periodico gesuita «La Civiltà Cattolica»: Taradel, Raggi
2000.

1
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

Vaticano di fronte alle posizioni sioniste durante la grande guerra, avvalendosi in maniera più
diffusa degli organi di stampa ufficiali ed ufficiosi della Santa Sede [Minerbi 1967]. Vi sono
poi altri studiosi, come ad esempio, Renato Moro, Annalisa Di Fant, Michele Nani e di recente
Valerio Marchi, che hanno preso in considerazione in lavori incentrati su altri temi, anche la
questione della ricezione del sionismo nel cattolicesimo italiano3; mentre Raffaella Perin, nella
sua tesi di dottorato ha fornito un interessante contributo alla conoscenza dei fatti soprattutto
grazie ai documenti consultati nell’Archivio Segreto Vaticano, inerenti ai rapporti fra la Chiesa
e il sionismo in occasione della morte di Theodor Herzl4.

Dopo il lavoro pionieristico di Minerbi, ciò che ha caratterizzato la maggior parte della
produzione storiografica su questo tema è stata da parte dei successivi autori la ripresa costante
e spesso acritica delle stesse fonti, che ha condotto in alcuni casi a riproporre i medesimi
errori formali nella loro citazione5, e che nonostante un indubbio approfondimento della lettura
ed evidenziazione di alcuni elementi rispetto ad altri, non ha portato a significativi progressi
nella ricerca rispetto ai risultati raggiunti da Minerbi. Un’attenta ricostruzione dei rapporti
diplomatici tra la Chiesa e la Terra Santa si trova negli studi di Daniela Fabrizio, le cui ricerche
si sono incentrate sulla controversa questione dei Luoghi Santi [Fabrizio 2000; 2004].

Finora inoltre non è stato fatto sul tema del rapporto fra la Chiesa e il sionismo delle origini
uno spoglio mirato su testate del cattolicesimo intransigente di provincia, sicuramente meno
autorevoli dell’«Osservatore Romano» e di «Civiltà Cattolica», ma altrettanto importanti per
toccare con mano quale fosse all’epoca la reazione del mondo cattolico e del “paese reale” alla
nascita e alla diffusione del sionismo, tenuto conto anche della delicata questione dei Luoghi
Santi, assolutamente centrale per la politica diplomatica della Chiesa cattolica6.

Non va infatti trascurato il fatto che il movimento sionista nacque ufficialmente proprio
a ridosso della campagna cattolica europea anti-dreyfusarda, mentre in Austria-Ungheria
si affermava sulla scena politica della capitale il partito cristiano sociale con a capo Karl
Lueger, borgomastro di Vienna dal 18957. Un momento pertanto cruciale per la storia
dell’ebraismo europeo da una parte e, della Chiesa contemporanea dall’altra, che vide in questi
anni la progressiva trasformazione del tradizionale antigiudaismo in antisemitismo politico,
propagandato e sostenuto anche dalla stampa cattolica locale, con linguaggi e stereotipi di
sovente più espliciti e meno raffinati di quelli usati dalle testate più vicine alla Santa Sede,
seppure erano state queste ultime a dare l’avvio alla campagna antisemita [Miccoli 1997].

Vi è poi a mio avviso un’altra pista di indagine che andrebbe presa in considerazione per
comprendere meglio le posizioni dei cattolici e della stampa cattolica italiana sull’evolversi
del movimento sionista fra fine Ottocento e primo Novecento. Sarebbe infatti utile interrogarsi
sulle reazioni degli ebrei italiani, anche quelli non sionisti, agli incontri avvenuti nel 1904 e nel
3
Moro 1988, in particolare 1053-1063, dove affronta però il periodo successivo a quello di nostro interesse; Di Fant
2002, in particolare le pagine 69-74, dedicate all’eco del Congresso di Basilea del 1897 nella stampa cattolica. Vedi
anche Marchi 2011, 161-178; Nani 2006, 190-191.
4
Perin 2010, 19-21, dove si ricostruisce la decisione del Vaticano di non dare alcun cenno ai sionisti dopo la
comunicazione della morte prematura di Herzl nel 1904, pochi mesi dopo aver incontrato Papa Pio X.
5
Ad esempio Rokach 1987, 11 e 209, cita erroneamente la data del saggio di Ballerini su «La Civiltà Cattolica»,
datandolo 1 maggio e non 20 aprile 1897. Lo stesso Minerbi 1988, 304, fa lo stesso errore riprendendo la citazione
dell’articolo da Feldblum 1977.
6
Fa eccezione l’accurato studio di Di Fant 2002.
7
Sull’ascesa a Vienna del partito cristiano sociale e del suo leader Karl Lueger: Boyer 1981; Boyer 1995. Vedi inoltre
per un quadro generale di Vienna e del periodo di Lueger: Wistrich 1990 (1° ed. 1989), 205-237.

2
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

1917 tra autorevoli esponenti del movimento sionista internazionale e la Santa Sede8, in quanto
si può affermare che vi era attenzione da parte della stampa ebraica italiana, anche di quella
non filo-sionista, nei riguardi di ciò che le testate cattoliche italiane, anche quelle provinciali,
sostenevano nei riguardi del sionismo9. In questo modo il quadro dei rapporti fra ebrei e chiesa
cattolica si articolerebbe meglio e attori e punti di vista diversi tra loro entrerebbero in gioco,
restituendoci una realtà più frammentata e complessa di quella ricostruita dagli studi politico-
diplomatici.

Il principale obiettivo di questo lavoro è quello di prendere in esame la stampa cattolica più
vicina alla Santa Sede, «La Civiltà Cattolica» e «L’Osservatore Romano», in modo da capire
attraverso la lettura di queste due testate quale fosse stata all’epoca la ricezione di tre eventi
importanti nella storia del sionismo: la fondazione ufficiale del movimento al I Congresso di
Basilea nel 1897; la visita a Roma del leader del sionismo mondiale Theodor Herzl e il suo
incontro con Papa Pio X nel 1904; la visita di Nahum Sokolow in Vaticano e i primi commenti
a caldo dopo la Dichiarazione Balfour nel novembre 1917.

Si intende poi confrontare quanto emerge da questa stampa cosiddetta “ufficiosa”, sempre
molto attenta e misurata nelle sue considerazioni in merito agli eventi indicati, con le
informazioni desunte sui medesimi avvenimenti da alcune testate cattoliche locali più o meno
prestigiose ed influenti e a quanto sembra da un primo sondaggio meno caute e più esplicite
nella loro avversione al sionismo nei loro interventi. Tale verifica a più ampio spettro è
stata fatta soprattutto per il 1897, ed è stata condotta su alcune riviste del cattolicesimo
intransigente di provincia di una certa importanza e diffusione. Le testate consultate sono quelle
dell’intransigentismo cattolico: «Osservatore Cattolico» di Milano, «Eco di Bergamo»; «Unità
Cattolica» di Firenze; «Voce della Verità» di Roma e «Amico» di Trieste, ma tranne che per
quest’ultima testata, non è stato al momento possibile estendere la ricerca agli altri due momenti
qui presi in esame, il 1904 e il 191710. Va inoltre evidenziato come in realtà tutte le riviste
cattoliche fossero sottoposte nei loro contenuti ad un capillare controllo centrale.

Del resto in questa prima fase del lavoro ci si è concentrati maggiormente sull’inizio del
sionismo e sul 189711, in quanto anche in seguito allo scoppio nell’autunno dello stesso anno
dell’Affaire Dreyfus, la campagna antisemita avviata dalla stampa cattolica trovò in questo
periodo uno dei suoi punti più alti, rispetto alle date successive qui analizzate, caratterizzate
invece da un abbandono dello strumento propagandistico dell’antisemitismo da parte della
Chiesa, anche a causa degli alterni risultati dell’uso politico.

Alla luce di quanto è emerso da questa prima indagine, al di là della irrinunciabile questione
per la Chiesa della salvaguardia dei Luoghi Santi, in questi periodici di modesta caratura
intellettuale, ma di vasta diffusione popolare, per contrastare il sionismo furono usati in modo
incisivo tutti gli stereotipi più noti dell’antisemitismo.

8
Non mi sento di condividere infatti le considerazioni espresse da Canepa 1992, in merito al rapporto di Pio X con gli
ebrei, che mi sembrano poco documentate dalle fonti citate. A riguardo condivido quanto afferma Perin 2010, 19.
9
Da un primo, rapido sondaggio emergono nei maggiori periodici ebraici italiani interessanti punti di vista, che
andrebbero sondati più a fondo.
10
Per un generale inquadramento delle riviste sopracitate: Malgeri 1981; Majo 1992; Giovannini 2001.
11
Colgo l’occasione per ringraziare di cuore Annalisa di Fant che gentilmente mi ha messo a disposizione le sue
riproduzioni di alcune testate cattoliche non facilmente reperibili.

3
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

La ricerca è tuttavia ancora in itinere, altre testate cattoliche di provincia andrebbero consultate
per il 1904 e 1917, poiché il mio sondaggio per queste date si è limitato alla «Civiltà Cattolica»
e all’«Osservatore Romano».

Infine, andrebbe fatto un analogo lavoro anche sulla stampa cattolica vicina ai cattolici moderati
e andrebbero consultate altre fonti, quali ad esempio carteggi di esponenti di rilievo del
movimento cattolico italiano, in modo da vedere quali erano gli orientamenti su questi temi di un
altro importante e non trascurabile versante della Chiesa italiana, i cui rapporti con l’ebraismo
non sono ancora stati approfonditi come invece l’importanza del tema meriterebbe.

Questo contributo vuole essere una prima riflessione sulla ricezione della fase iniziale del
sionismo nella stampa cattolica semi-“ufficiale”. Nelle pagine che seguono pertanto, sarà data
centralità soprattutto al 1897, anno di nascita del movimento sionista, durante il quale le
maggiori testate cattoliche italiane, e anche quelle di provincia, commentarono e discussero
con toni più o meno duri, spesso infarciti da stereotipi antisemiti, l’affacciarsi sulla scena
politica internazionale del nuovo movimento nazionale ebraico, che rivendicava come territorio
la Palestina.

Attenzione inoltre verrà data anche al 1904, anno della visita di Theodor Herzl in Italia e suo
incontro con il Re e con il Pontefice, per poi concludere con la Dichiarazione Balfour del
1917, autentico momento di svolta per il movimento sionista, percepito da questo momento
con maggiore allarme dalla Chiesa e di conseguenza dalla stampa cattolica, preoccupata per la
salvaguardia dei Luoghi Santi.

La nascita ufficiale del sionismo nel 1897 e le prime reazioni della


stampa cattolica.
Il primo articolato commento sul progetto degli ebrei sionisti di fondare un nuovo stato ebraico
in Terra Santa fu pubblicato nella stampa cattolica semi-ufficiale il 20 aprile 1897 sulla
rivista dei gesuiti di diffusione internazionale «La Civiltà Cattolica» da un anonimo estensore,
identificato in padre Raffaele Ballerini12.

L’articolo, La Dispersione d’Israello per il mondo moderno, pur non usando mai nel testo la
parola sionismo, già nel titolo allude al tema della condanna divina nei confronti degli ebrei, in
modo da influenzare da subito i lettori contro gli obiettivi dei sionisti di rientrare in Palestina
[Bensoussan 2007]. Su questa affermazione incentrata sulle Sacre Scritture e sugli scritti di
Agostino13 tese a giustificare in modo inoppugnabile l’impossibilità del ritorno a Gerusalemme
per gli ebrei, si sono soffermati gli storici che hanno preso in esame l’articolo, tanto citato,
ma spesso trattato frettolosamente dalla storiografia, soprattutto quella americana14, che ha
12
L’attribuzione degli articoli (non firmati fino al 1933) si ricava dagli indici generali della rivista. Su «La Civiltà
Cattolica» vedi: Taradel, Raggi 2000, ma anche Luzzatto Voghera 1987. Cenni sulla rivista anche in De Felice 1956.
13
A riguardo cfr. Marchi 2011, 167-168, che riprende nel suo volume questo articolo soffermandosi sulla parte della
condanna divina. Stimolanti inoltre le riflessioni di Nani 2006, 190-191.
14
Cfr. Stevens 1981, 102, che ricordando questo primo articolo della «Civiltà Cattolica», senza peraltro citarne gli
estremi nella nota, afferma che: «It was stated that the Jews knew only one type of livelihood, one based on usury. At
the same time, it was noted that from a theological point of view, there was no divine promise that the Jews would
return to the land of Palestine but only that, before the end of time, they would be converted». Stevens nel suo saggio
cita altri interventi anti-sionisti del periodico in concomitanza con i successivi congressi sionisti del 1898 e 1899, come
del resto fa anche Klein 1974, 11-16. Rokach 1987, 11, invece liquida in poche righe l’inizio del sionismo e le reazioni
della chiesa cattolica, citando sempre «La Civiltà Cattolica», ma con la data errata del 1 maggio 1897, senza nemmeno

4
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

tralasciato invece di analizzare la cornice storica entro la quali sono state enunciate queste
affermazioni.

Si tratta di un intervento lungo, che esige una attenta lettura e che va contestualizzato anche
nel periodo in cui fu pubblicato, non a caso quello pasquale e durante l’intensificarsi sulla
stampa cattolica anche italiana della campagna antiebraica, sull’onda dell’affermazione del
partito cristiano-sociale in Austria-Ungheria, indicata spesso come la nazione più sottomessa
agli ebrei.

In esso sono presenti molti dei temi della polemica antiebraica cattolica dell’epoca: la condanna
dell’emancipazione civile degli ebrei, che è qui interpretata anche come causa principale
dell’antisemitismo moderno; la condanna divina a essere un popolo eternamente in diaspora,
lontano da Gerusalemme e dalla Terra Santa fino al giorno del giudizio e della conversione
di tutti i non cristiani; l’accusa agli ebrei di tramare segretamente all’interno delle rispettive
nazioni, legati dall’appartenenza a una medesima stirpe, ovunque stranieri e ritenuti una nazione
nella nazione15; l’interesse costante degli ebrei per la pratica dell’usura e per i facili guadagni, da
cui il periodico fa derivare la loro presunta incapacità di lavorare la terra e la diffusa debolezza
morale.

L’articolo inizia argomentando le deleterie conseguenze per il mondo cristiano causate


dall’emancipazione civile degli ebrei in Europa, frutto della Rivoluzione francese, che è ripresa
non a caso da Ballerini anche nelle conclusioni, con l’intento di chiudere il suo ragionamento,
ponendo l’accento sull’origine della situazione di criticità nella quale i cristiani a suo avviso
vivono in molti degli stati europei. Nella parte centrale dello scritto l’attenzione del lettore è
convogliata sulla ricostruzione anche quantitativa della presenza ebraica in Europa, nella quale
spicca l’uso di un lessico infarcito di stereotipi di animalizzazione degli ebrei, già rilevati a
suo tempo anche da Giovanni Miccoli [1997, 1437]. Ballerini infatti sostiene che la «stirpe
giudaica pullula con maggiore fecondità», scrive che «circa sessantamila si annidano nella città
di Parigi», e afferma che «il formicolaio però è sempre nelle terre dell’antica Polonia, e nelle
prossime che lo circondano»16.

Collegata inoltre al tema dell’impossibile ritorno degli ebrei in Palestina, è la parte dell’articolo
dedicata a illustrare i fallimenti delle colonie agricole fondate e finanziate dal barone Hirsch in
Argentina: secondo Ballerini questo esperimento non è riuscito per due motivi:

La prima, che il giudeo di lavori faticosi, specialmente campestri, non vuol


saperne; e l’esperienza prova esser più facile trovare una mosca bianca, che
non un ebreo contadino. L’altra, che le condizioni poste agli emigranti erano
sì gravose, che riuscivano intollerabili […] Per lo che i poco più di seimila
che navigarono per quella terra promessa, ne sono in buon numero tornati,
preferendo il viver essi di usura in Europa […].17

inserire il titolo dell’articolo, e riportando una citazione assemblata dalla pagina iniziale e da quella finale con alcune
inesattezze di traduzione, decontestualizzandola da tutto il resto del testo. Probabilmente l’errore primario, come si è
detto, deriva dal testo di Feldblum 1977, 15.
15
Elemento questo sottolineato anche in Taradel, Raggi 2000, 100-101, che tuttavia non collegano l’articolo al tema
del sionismo.
16
R. Ballerini, La dispersione d’Israello pel mondo moderno, «La Civiltà Cattolica», a. 48, X, 1897, 260-263.
17
Ivi, 263.

5
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

L’intento di Ballerini era di sottolineare in questo passaggio che gli ebrei non erano adatti ai
lavori agricoli e di conseguenza non preparati ad affrontare i disagi della Terra Santa.

Vi è poi una parte dello scritto dedicata dal gesuita alla situazione dell’Austria-Ungheria,
definita un vero e proprio “feudo” degli ebrei, arginato solo grazie alla recente «vigorosa
riscossa dei cristiano sociali»; un’altra parte è invece focalizzata sull’Italia, dove gli ebrei
con l’emancipazione sono riusciti a ottenere posti di prestigio e di potere in tutto l’apparato
amministrativo, politico e nel giornalismo. Ballerini afferma infatti: «Quindi non è da stupire
che in Italia pure, contro gli ebrei, come per tutto altrove, prenda fiamma quell’animosità,
che viene giustificata dal titolo di legittima difesa dei diritti più sacri della natura: e sono la
coscienza da salvare e la borsa da conservare»18.

A questo punto, dopo avere illustrato le caratteristiche a suo avviso negative dell’integrazione
degli ebrei nei paesi dell’Europa centro occidentale, Ballerini riprende nuovamente il tema della
Palestina, affermando che tra i vari rimedi studiati

per liberare la cristianità dalla piaga giudaica, si propone spesso quello di


scacciarli da’ suoi confini, di rilegarli nuovamente nella Palestina e costringerli,
coll’oro carpito ai popoli dell’Europa, a ristabilirsi nella pristina loro terra, a
riunirvisi in corpo e rifarvisi nazione, rifabbricando una opulenta Gerusalemme,
che risorgerebbe metropoli del Regno loro.19

Il progetto tuttavia non sembrava percorribile neanche a un sostenitore degli ebrei


come l’economista francese Pierre Paul Leroy-Beaulieu, ricorda Ballerini, riproponendo
le motivazioni sollevate dallo studioso, che vedeva nell’approvvigionamento di viveri,
nell’estensione del territorio e nella presenza dei Luoghi Santi gli ostacoli principali ad
accogliere un così elevato numero di ebrei in Palestina.20

Va notato come l’articolista si rifiuti di ascrivere agli ebrei l’intenzione autonoma di ristabilirsi
in Palestina, ma presenti al contrario il progetto come rimedio escogitato dai cristiani per
liberarsi di essi. Questo stratagemma discorsivo gli permette però di chiudere l’articolo con due
punti che gli stanno, a quanto sembra, particolarmente a cuore e che egli definisce gli unici
rimedi possibili per evitare il rientro ebraico in Terra Santa e la supremazia ebraica nei paesi
dove sono stati emancipati. Il primo rimedio è individuato nella condanna delle Sacre Scritture
alla dispersione degli ebrei; mentre il secondo, definito esplicitamente «il rimedio più pratico,
più alla mano e più efficace» è individuato nell’opera politica dei cristiano-sociali, che tende a
ripristinare la situazione di discriminazione effetto di quella condanna divina.

È proprio su quest’ultimo punto dell’antisemitismo politico usato strumentalmente dai


cristiano-sociali che vorrei soffermarmi, in quanto l’articolo di Ballerini apre una diversa
prospettiva nella lettura dei rapporti che caratterizzarono prima del 1917 i rapporti fra Santa
Sede e i leaders sionisti, e non va trascurato il fatto che Herzl vivendo a Vienna, conoscesse bene
gli strumenti e i temi usati dai cristiano-sociali in funzione antiebraica [Pulzer, 1988; Pauley,
1993].

18
Ivi, 267.
19
Ivi, 268.
20
Ivi, 268-269.

6
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

Non è un caso pertanto che Ballerini concluda il suo lungo intervento dedicando proprio alla
politica dei cristiano-sociali austriaci le considerazioni finali del suo scritto. Parlando di rimedio
possibile contro l’eccessiva influenza ebraica, egli lo individua

nell’uso leale, dov’è lecito, di quell’arma stessa dei popolari suffragi, di cui
l’ebraismo corruttore si è valso, per assoggettare a sé i paesi che lo hanno
ospitato. Quando poi i voti del maggior numero siano in mano dei Parlamenti
cristiani, si potrà vedere fino a qual punto la parità dei diritti, concessa al disperso
Israello, sia da mantenere, sia da togliere, sia da riformare.21

Un messaggio esplicito ai lettori di «Civiltà Cattolica», che da un lato pone in altra luce anche gli
interventi che si ebbero negli anni successivi in concomitanza dei Congressi sionistici, nei quali
il ruolo dell’ebraismo austriaco, ma soprattutto viennese venne sempre messo negativamente in
rilievo; e dall’altro invece sembra sollevare una cauta critica alla politica astensionistica della
chiesa in Italia.

Nel corso del 1897 su «La Civiltà Cattolica» uscì sul sionismo solo questo lungo intervento
di Ballerini, mentre al I Congresso sionista di Basilea che si tenne in agosto, la rivista dedicò
un trafiletto, nel quale però si sosteneva erroneamente che fosse il secondo congresso e non
il primo.22

Dal canto suo l’altro periodico vicino alla Santa Sede, «L’Osservatore Romano» [Leoni
1970; Di Fant 2002, 17-18], fondato nel 1861, era intervenuto già nel giugno del 1894 e nel
maggio del 1895 con due brevi articoli nei quali si commentava, ma in modo ancora fugace il
progetto sionista, non senza tuttavia mettere in campo la più tradizionale e antica delle accuse
antigiudaiche, quella del deicidio, assieme alla condanna divina alla diaspora, che venne come
si è visto ripresa con maggiore forza nel 1897.

Nell’annunciare infatti il progetto di apertura di un’università ebraica a Gerusalemme con il


finanziamento dei Rothschild e degli Hirsch, così si esprime l’anonimo articolista:

Sia questo un nuovo mezzo di richiamo dei Giudei nella loro antica metropoli?
Si comincerebbe così a verificare il ritorno predetto nelle Sacre Carte degli spersi
figliuoli di Giuda nella città deicida, per ivi rendere l’ultimo ossequio al divino
Redentore del genere umano?

Ad ogni modo, vi è chi non vedrebbe di mal occhio spopolarsi l’Europa e il


mondo cristiano da questi nomadi […].23

Ritroviamo qui un tema, quello dell’allontanamento degli ebrei dall’Europa proposto come
un rimedio da alcuni antisemiti, che Ballerini riprese proprio all’inizio del suo articolo, e che
all’epoca probabilmente fu oggetto di discussione all’interno del mondo cattolico. Di condanna
divina alla dispersione vi è cenno anche nel breve articolo Gli ebrei in Palestina, pubblicato
nell’agosto del 1896.24
21
R. Ballerini, La dispersione d’Israello, cit., 271.
22
Cose Straniere, «La Civiltà Cattolica», 48, XII, 1897, 103.
23
Una università ebraica a Gerusalemme, «Osservatore Romano», 22-23 maggio 1895, 2.
24
Gli ebrei in Palestina, in «L'Osservatore Romano», 16-17 agosto 1896, 2. In esso si afferma fiduciosi che «il sogno
di ristaurare la Palestina a Stato giudaico non si realizzerà (…) Le sentenze divine non patiscono smentita, e gli sforzi
umani giammai praevalebunt».

7
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

Nei mesi che anticiparono il I Congresso di Basilea l’«Osservatore Romano» uscì con due
interventi: il primo dedicato alla preparazione degli ebrei americani all’imminente congresso,
nel quale il periodico mise in rilievo come il progetto degli ebrei ricchi «vampiri d’Europa»
fosse di fare della Palestina una sorta di rifugio per «gli inabili e gli impotenti al lavoro»,
sottolineando nelle conclusioni la velleità di tale prospettiva25. Il secondo intervento invece era
solo un breve accenno al fatto che gli ebrei si stavano già attrezzando con delle navi fornite dai
Rothschild per il loro prossimo trasferimento a Gerusalemme26.

Nonostante l’attenzione fosse abbastanza alta negli ambienti vaticani nei riguardi dei progetti
sionisti, le prime notizie sul Congresso di Basilea svoltosi a fine agosto 1897, furono alquanto
laconiche e asettiche, secondo uno schema poi ripreso anche dalla stampa locale, anche se,
come si vedrà, con alcune eccezioni27. Più incisivo e collegato in parte all’impianto discorsivo
riscontrato in «La Civiltà Cattolica», si presenta l’articolo pubblicato dal periodico all’indomani
del congresso, dove la ricostruzione della presenza ebraica nel mondo è accompagnata dall’uso
dell’animalizzazione degli ebrei, comparati questa volta alle immense mandrie, che popolano
le praterie della Pampas nel nuovo mondo».

Per l’«Osservatore Romano» l’impossibilità di avere una statistica corretta sul numero degli
ebrei in Europa, era una prova evidente della fondatezza della condanna di Dio alla dispersione:
«È ancora una prova novella dei vani tentativi che ora fa per darsi una patria, essendo che come
per la nequizia sua il Figliuolo dell’uomo non aveva una pietra sopra cui poggiare il capo, così
essa non deve avere un palmo di terra sopra cui posare il piede»28.

In definitiva le due più autorevoli pubblicazioni cattoliche si pronunciarono nel corso del 1897
con toni spesso irrisori e denigratori nei riguardi del sionismo e senza manifestare, almeno
apertamente all’opinione pubblica, l’esistenza di una seria preoccupazione per il progetto
sionista di fondare uno stato ebraico in Palestina.

Al contrario è ben noto che la chiesa si mobilitò subito per acquisire maggiori informazioni sui
possibili scenari futuri, richiamando a Roma mons. Bonetti all’epoca rappresentante apostolico
a Costantinopoli per trattare la delicata questione con la diplomazia francese, in quanto
all’epoca la Francia era responsabile degli interessi cattolici in Terra Santa.29

Per quanto riguarda invece altre testate cattoliche italiane, va detto che l’interesse nei riguardi
del sionismo, a differenza delle posizioni assunte tempestivamente da «La Civiltà Cattolica»

25
Il nuovo Regno d’Israele, in «Osservatore Romano», 18-19 giugno 1897, 2.
26
La flotta dei Rothschild, in «Osservatore Romano», 22-23 luglio 1897, 3.
27
Il Congresso israelitico a Basilea, in «Osservatore Romano», 30-31 agosto 1897, 1.
28
Gli Ebrei nel mondo, in «Osservatore Romano», 18-19 settembre 1897, 2.
29
Notizia di una pronta azione diplomatica presso la Francia da parte della Chiesa fu data dal periodico ebraico italiano
il «Vessillo Israelitico», settembre, 1897, nell’articolo Il papa ha paura, 297. In esso sono riportati i commenti di «La
Perseveranza» del 7 settembre (organo dei moderati lombardi), e si comunica l’arrivo a Roma da Costantinopoli del
rappresentante apostolico mons, Bonetti per trattare con la diplomazia francese e per discutere con il papa le misure da
adottare contro il sionismo: cfr. Minerbi 1988, 146. La notizia fu riportata, come già noto, anche nel suo diario dallo
stesso Theodor Herzl, che da Vienna il 9 settembre del 1897 la trovò in una nota del «Daily News» del 7 settembre.
Sempre nella stessa giornata, Herzl riportò anche la copia di una lettera da lui inviata a mons. Ermigidio Taliani,
Arcivescovo di Sebaste e nunzio apostolico, nella quale gli chiedeva un incontro per poter illustrargli il progetto sionista,
come a suo tempo aveva fatto l’anno precedente con il suo predecessore mons. Agliardi. Vedi a riguardo: Pagine scelte
dai diari di Teodoro Herzl 1958, 87-88.

8
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

e dall’«Osservatore Romano» giunse, ad eccezione dell’«Osservatore Cattolico» di Milano30,


all’indomani del I Congresso di Basilea, ma si caratterizzò per il numero di articoli e per
l’asprezza dei toni usati rispetto alla linea adottata dai due periodici ufficiosi.

Sull’«Osservatore Cattolico» uscirono cinque articoli nel mese di settembre; cinque ne uscirono
sulla «Voce della Verità» di Roma; due sull’«Amico» di Trieste; mentre l’«Unità Cattolica» di
Firenze fra fine agosto e settembre pubblicò cinque articoli e «L’Eco di Bergamo» ne pubblicò
due. Dagli studi di Valerio Marchi inoltre, apprendiamo che anche «Il Cittadino Italiano», il
periodico cattolico del Friuli, nel corso del 1897 intervenne sulla questione del sionismo e
della Palestina [Marchi 2011, 161-165; Urettini 2007], così come intervennero anche i giornali
cattolici torinesi studiati da Michele Nani [2006, 190-191].

Ci troviamo pertanto di fronte a un materiale abbastanza ricco, che pur essendo in parte ripreso
nei contenuti dalle testate ufficiali italiane e straniere [Di Fant 2002], tuttavia presenta spazi
di riflessione autonoma, che vale la pena indagare più nel dettaglio. Per il 1897 di maggiore
interesse per le posizioni assunte sul sionismo sono gli interventi pubblicati in due periodici:
l'«Osservatore Cattolico» e la «Voce della Verità».

Ad esempio, nell’«Osservatore Cattolico», considerato il maggiore periodico intransigente del


Nord Italia [Di Fant 2002, 19], stupisce non poco il brusco passaggio nell’arco di nemmeno una
settimana da un tono asettico, che nel descrivere il Congresso di Basilea adotta il termine – in
voga nel mondo liberale e fra gli ebrei stessi – di «israeliti» e riporta seppure in modo stringato
e senza ulteriori commenti le decisioni principali dell’assemblea31, ad un linguaggio invece
ricco di stereotipi e di temi propri dell’antisemitismo politico. Ci si trova difatti di fronte ad un
progressivo aumento degli attacchi nei riguardi del sionismo, che si concretizza nel sapiente
uso del singolare per indicare in realtà tutti gli ebrei, come nell’articolo Il Giudeo in cerca di
un regno32, dove si annuncia il progetto sionista, e si mette in rilievo l’incapacità degli ebrei,
nonostante il possesso del denaro, di realizzare i loro desideri: «Poiché gli ebrei così potenti per
oro non sono ancora riusciti a cesellare questo oro in corona. Quel popolo che regna dappertutto,
si affligge di regnare in nessuna parte»33. Anche qui sono intrecciati sapientemente alcuni
stereotipi tradizionali: quello del possesso dell’oro, quello dell’ebreo errante e quello invece
più recente, che stigmatizza la capillare presenza degli ebrei nei ruoli di rilievo delle società
europee, frutto secondo la chiesa della Rivoluzione francese e della conseguente emancipazione
civile e politica degli ebrei [cfr. Brice, Miccoli 2003].

Nei giorni seguenti il periodico intervenne nuovamente, commentando questa volta in prima
pagina, da un lato le reazioni al congresso di Basilea di alcuni antisemiti, definiti «lieti che
gli ebrei pensassero ad andarsene a disinfettare l’Europa», e che erano andati a suo dire ad
applaudire i discorsi di Herzl; e dall’altro introducendo un argomento poco affrontato, quello
delle reazioni negative al sionismo politico di gran parte dell’ebraismo francese e tedesco,

30
Sul periodico, prima del congresso, furono pubblicati due articoli: Notizie della Palestina, «L’Osservatore Cattolico»,
19-20 maggio 1897, 3, nel quale si fa solo cenno all’aumento del numero degli ebrei provenienti da ogni nazione; e Gli
ebrei si cercano una patria, 29-30 maggio, 1897, 3, dove si annuncia in modo asettico l’imminente congresso sionista.
Rimando inoltre alla bibliografia citata da Annalisa Di Fant nel suo articolo pubblicato in questo dossier.
31
Le Utopie Ebraiche, in «Osservatore Cattolico», 31 agosto-1 settembre 1897, 3 e Le Utopie Ebraiche, 1-2 settembre
1897, 3.
32
Il Giudeo in cerca di un Regno, in «Osservatore Cattolico», 2-3 settembre 1897, 3.
33
Ibidem, 3. Passaggio citato anche da Di Fant 2002, 72-73, ma con un’interpretazione legata al tema dell’ebreo errante.

9
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

strumentalmente lette dal periodico come una chiara testimonianza della poca forza e serietà
politica del movimento 34.

Passaggio quest’ultimo importante, perché il sionismo andava a inscriversi per le sue


caratteristiche e per la struttura organizzativa voluta dallo stesso Herzl in quell’insieme di
movimenti di rivendicazione nazionale, che all’epoca caratterizzarono lo scenario europeo
[Berkowitz 1993]; pertanto l’attacco doveva essere condotto dalla chiesa non solo sul piano
teologico, ma anche su quello politico. Infine, vi era nella gerarchia cattolica la costante cura di
minimizzare l’importanza della nascita del sionismo, e perciò in chiusura l’articolo si affrettava
a fugare nei lettori il dubbio che la chiesa nutrisse delle preoccupazioni a riguardo, come al
contrario affermava la stampa liberale35.

Nel mese di settembre l’«Osservatore Cattolico» usciva con un editoriale dedicato al sionismo
e alla figura dell’ebreo errante36, stereotipo della condanna divina alla dispersione, nel quale
riecheggiavano temi e figure quali l’usura, il cosmopolitismo, l’incapacità di lealtà alla nazione
di appartenenza, già proposte e trattate nel primo, pioneristico saggio di «Civiltà Cattolica»,
analizzato in precedenza37:

L’ebreo errante s’aggira, s’aggira: accumula capitali, istromenti del lavoro,


tesoreggia, monopolizza, usuraio che ha in mano le dei mille e mille popoli, fra i
quali erra senza diventare mai sangue e carne di un solo focolare di quei popoli, e
quando gli pare che la sua bisaccia di viaggio sia colma abbastanza per ritornare
a Sionne, egli tenta chiamare a raccolta i dispersi figli di Israele a condurli là, là
alla terra promessa di giorni che furono ma che non torneranno più.

e dove si ritornava anche sulla questione dell’atteggiamento di generale indifferentismo


manifestato dagli ebrei emancipati e liberali nei riguardi del sionismo, usando l’artificio del
singolare e facendo convergere tutti i mali della modernità nell’ebraismo, descritto come
corrotto e vizioso:

Tra i rabbini, nelle sinagoghe, nella stampa ebraica la contraddizione, la


confusione sul tema del sionismo è già ordine del giorno […] Parlate all’ebreo,
parlate al libero pensatore, parlate al positivista del ritorno dell’ebreo a Sionne,
della riedificazione del regno d’Israele, della maledizione di Dio che vieta
in eterno la ricostituzione di quell’antico regno, di quella Gerusalemme,
e positivista e libero pensatore, ed ebreo vi rideranno in viso, o non vi
intenderanno: essi non intendono se non borsa e sport, vino, donna e canto.38

Anche «L’Eco di Bergamo», il quotidiano considerato tra i più moderati fra quelli intransigenti,
faceva proprie queste posizioni asserendo che gli ebrei «preferiranno sempre dimorare tra le
nazioni civili e ricche per dissanguarvi colle usure i cristiani»39, e al tempo stesso metteva
34
Cfr. Il sionismo , in «Osservatore Cattolico», 10-11 settembre 1897, 1.
35
Su queste posizioni anche «L'Eco di Bergamo» che sottolineava in un articolo in prima pagina: Il Congresso degli
ebrei, 3 settembre 1897, come fosse «del tutto falsa la notizia data dai giornali liberali ed ebreofili che il Vaticano abbia
protestato contro la ricostituzione del regno giudaico in Palestina».
36
L’ebreo errante. Sionismo, in «Osservatore Cattolico», 11-12 settembre 1897, 1. L’articolo è stato analizzato da Di
Fant 2002, 72-73.
37
R. Ballerini, La dispersione d’Israello pel mondo moderno, cit.
38
L’ebreo errante. Sionismo, in «Osservatore Cattolico», 11-12 settembre 1897, 1.
39
Nel già citato Il Congresso degli ebrei. Analoghe considerazioni furono fatte anche dalla «Voce della Verità»,
Proteste ebraiche contro il Congresso di Basilea, 11 settembre 1897, 1.

10
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

in luce un altro importante collegamento: quello fra la massoneria di Roma e l’ebraismo di


orientamento liberale, per giustificare così le simpatie manifestate dai giornali liberali nei
confronti del sionismo40.

Per quanto riguarda il periodico dei cattolici intransigenti fiorentini, «L’Unità Cattolica», esso
annunciava l’imminente convegno sionista riecheggiando nel titolo l’intervento di Ballerini in
«La Civiltà Cattolica» e ponendo l’accento sul fatto che gli ebrei italiani probabilmente non
avevano alcuna intenzione di andare a colonizzare la Palestina, in quanto impegnati a «sfruttare i
goym del Bel Paese».41 Nelle brevi corrispondenze successive, dedicate ai lavori del Congresso,
il periodico mantenne tuttavia un linguaggio neutro e asettico, tranne che in una nota dove si
commentava la chiusura dei lavori e si ironizzava sul prezzo imposto dal Sultano per la vendita
della Palestina agli ebrei42.

Di ben altro tenore invece il giornale romano, «La Voce della Verità», che nel corso delle prime
due settimane di settembre pubblicò un paio di articoli fra i più polemici e denigratori degli
ebrei e del progetto sionista, attingendo a piene mani stereotipi e temi dal già citato articolo
di Ballerini, e lanciando anche un durissimo attacco alla stampa liberale italiana, che si era
schierata in favore del sionismo accusando la Chiesa cattolica di preferire in Terra Santa la
presenza dei «turchi infedelissimi» a quella ebraica43.

In un altro articolo pubblicato in prima pagina durante i giorni del Congresso sionista, la «Voce
della Verità» accanto alla tradizionale condanna divina, riproposta per rassicurare i lettori
dell’impossibilità dell’attuazione del progetto, argomentava ulteriormente l’infondatezza della
ricostituzione di un regno ebraico in Palestina, asserendo che oramai «gli ebrei stessi non sono
più adatti a formare una nazione», in quanto privi della capacità di dedicarsi ai lavori agricoli,
e inclini a «errare per il mondo»,risultando fondamentalmente infedeli a qualsiasi patria.

In definitiva i temi antiebraici usati in funzione strumentalmente antisemita dalla stampa


cattolica erano gli stessi, anche se con declinazioni e sfumature che variavano molto secondo
la città e i collaboratori del periodico.

Ad esempio il tenore e il contenuto degli articoli dell’«Amico», il settimanale cattolico diretto


da Ugo Mioni, erano più vicini a quelli dei cristiano-sociali austriaci, ai quali lo stesso Mioni si
appoggiava, anche se con delle riserve, per condurre la lotta politica nella Trieste asburgica44.
Il periodico, infatti, usa un linguaggio graffiante ed esplicito, fatto di continui rimandi alle
tradizionali accuse dell’antigiudaismo come il deicidio e l’omicidio rituale, dimostrandosi più
attento rispetto ai periodici italiani ai rimedi politici a disposizione della chiesa per arginare
la temuta presenza ebraica. Tali posizioni si spiegano con il ruolo, seppur marginale, che
i cristiano sociali avevano conquistato in quel periodo nel mondo cattolico di Trieste e del
Litorale austriaco.

40
Sul nesso ebraismo e massoneria: Taradel, Raggi 2000, 16-35; Germinario 2010, 70-76; Schreiber 2005.
41
Il nuovo regno d’Israello!, in «Unità Cattolica», 24 agosto 1897, 3.
42
Il Congresso israelitico di Basilea, in «Unità Cattolica», 3 settembre 1897, 2.
43
Gli ebrei a Gerusalemme e i massoni a Roma, in «La Voce della Verità», 2 settembre 1897, 1.
44
La questione giudaica, in «L’Amico», 19 settembre 1897, 1. Sull’antisemitismo dell’«Amico»: Catalan 2000,
273-283.

11
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

1904 e 1917: dalla visita di Herzl alla svolta della dichiarazione


Balfour
Negli anni successivi continuò l’attenzione della stampa cattolica italiana nei confronti del
sionismo; in concomitanza dei congressi uscirono dei resoconti dai toni meno accesi rispetto
a quelli adottati nel 189745, fino a giungere nei primi anni del secolo ad un silenzio quasi
completo su quanto stava accadendo in ambito sionista, interrotto saltuariamente da qualche
sporadica notizia46. Questo calo di interesse coincise con il venire meno dell’attenzione nei
riguardi della questione sionista e anche ebraica, che caratterizzò l’atteggiamento della chiesa
sulla stampa nei primi Novecento [Miccoli 2004, 27]. Ciò tuttavia non significò da parte del
Vaticano disinteresse totale nei riguardi dei progressi del sionismo; come ha bene illustrato
Minerbi vi fu sul versante politico e diplomatico una costante attenzione, soprattutto rivolta alla
salvaguardia dei Luoghi Santi47.

Tale mutamento di posizione pubblica è comprensibile se lo contestualizziamo all’interno


di quello che fu dagli anni Ottanta e fino agli inizi del XX secolo l’uso dell’antisemitismo
nella propaganda cattolica.48 Esso fu usato come strumento per colpire il mondo liberale e
il diffuso laicismo e anticlericalismo, dei quali i cattolici vedevano gli ebrei come massimi
rappresentanti. Giovanni Miccoli ricorda che la chiesa giocò, proprio negli anni dell’Affaire
Dreyfus e dell’affermazione dei cristiano-sociali a Vienna e in Austria-Ungheria, tutte le sue
carte per riconquistare la sua antica egemonia nella società. Tale clima contribuì a portare
alla rottura dei rapporti dei cattolici con la Francia ed ebbe nei primi del Novecento l’effetto
conseguente di attenuare la campagna antisemita sulla stampa, visto il finale esito negativo
dell’impegno cattolico nelle fila antidreyfusarde [Miccoli 2004, 23 e 26-27], mentre sulla
stampa provinciale il filone antisemita continuò ad essere ripreso di tanto in tanto, soprattutto
in occasione dei congressi sionisti [Marchi 2011, 171-177].

A dare l’idea di quanto fossero stati anni difficili per gli ebrei quelli del papato di Leone XIII,
ci aiuta un bilancio fatto dagli stessi ebrei sul «Corriere Israelitico» in occasione della morte
del pontefice, avvenuta nel luglio del 1903:

E nemmeno gli stessi organi ufficiali o ufficiosi del Vaticano serbarono un


indirizzo più benevolo verso di noi. La Voce della Verità, la Civiltà Cattolica, e
45
Vedi ad esempio Le colonie Israelite in Palestina, in «La Civiltà Cattolica», 49, III, 1898, 252-256, dove sono descritti
tutti i progressi fatti dai coloni ebrei. Rispetto l’anno precedente, la narrazione è pacata e asettica, priva di qualsiasi
riferimento antisemita, anche perché si tratta di un pezzo tratto dalla «Contemporary Review», a firma di Giuseppe Prag.
Una vena polemica riemerse invece in occasione del secondo e del terzo Congresso sionista: «La Civiltà Cattolica»,
49, 1898, IV, 108-111; «La Civiltà Cattolica», 50, VII, 1899, p. 749. Cfr. anche Klein 1974, 11; Stevens 1981, 102; che
citano entrambi questi due interventi della rivista gesuita; mentre Minerbi 1988, 147, si sofferma sulle considerazioni
fatte da «La Civiltà Cattolica» in merito alla presunta rinuncia di Gerusalemme da parte dei sionisti.
46
Nel 1902 «La Civiltà Cattolica» pubblicò un articolo in occasione del II Congresso sionista austriaco, nel quale
ritornava sullo strapotere degli ebrei in Austria-Ungheria e metteva in evidenza il legame fra le logge massoniche e il
sionismo: Il sionismo giudaico e l’influenza giudaica nella vita pubblica, 1902, 247-248. Citato anche in Klein 1974, 11.
47
Minerbi 1988, 144-145, ricorda che Herzl già prima della fondazione ufficiale del movimento si fosse preoccupato
di ottenere un incontro a Vienna con il rappresentante della Santa Sede, il nunzio Antonio Agliardi, per illustrare i
progetti sionisti, senza però ottenere alcuna risposta positiva.
48
Per una panoramica dell’evoluzione della propaganda antiebraica cattolica a mezzo stampa cfr. Di Fant 2010. Utile
anche uno sguardo ai romanzi d’appendice presenti nella stampa cattolica, attraverso i quali furono veicolati alle masse
molti degli stereotipi antisemiti qui rilevati. A riguardo cfr. Fasano 2008; che ha preso in esame anche due romanzi
pubblicati sulla «Civiltà Cattolica». Per un inquadramento più generale sul rapporto letteratura e antisemitismo:
Bonavita 2009.

12
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

l’Osservatore Romano non aiutarono certo alla lotta contro i pregiudizi religiosi
e la fola degli omicidi rituali.

Così passammo questo quarto di secolo sempre più peggiorando e nel timore
di un avvenire ancora più fosco. Ed oggi siam giunti al punto, che dobbiamo
chiuder gli occhi e abbandonarci alla corrente, come fa un annegato quando sa
che non c’è più speranza di salvarsi49.

Un chiaro segnale che nella Chiesa cattolica vi era stato un mutamento di strategia nei confronti
degli ebrei e quindi del sionismo, si desume dal silenzio che caratterizzò la stampa ufficiosa del
Vaticano in occasione della visita del leader sionista Theodor Herzl a Papa Pio X il 25 gennaio
1904, preceduta tre giorni prima da un colloquio con il cardinale Merry del Val [Nahon 1966;
Nahon 1960].

Né «La Civiltà Cattolica», né tantomeno l’«Osservatore Romano» pubblicarono un rigo su


questi due incontri, che da quanto scrive Herzl nei suoi diari, ebbero come tema la delicata
questione dei Luoghi Santi, e come risultato un cortese, ma fermo rifiuto del pontefice ad
appoggiare in qualsiasi modo gli obiettivi dei sionisti [Minerbi 1988, 303.]50.

Sappiamo dai Diari di Herzl e da alcuni suoi carteggi con il Presidente della Federazione
Sionista Italiana, l’avvocato Felice Ravenna, che in realtà la preparazione dell’incontro con Pio
X non fu un’impresa facile. Essa tuttavia stava particolarmente a cuore al leader del sionismo
mondiale, che con lungimiranza aveva bene compreso quanto la Chiesa poteva influire sul piano
diplomatico e spirituale, in positivo e in negativo, nei futuri piani sionisti di stabilire uno stato
ebraico in Palestina [cfr. Minerbi 1988, 152]. In una sua lettera a Felice Ravenna del settembre
1903, Herzl con grande chiarezza illustrò le ragioni per le quali desiderava tanto conferire con
il papa:

Nou ne voulons que la terre profane en Palestine. Nous n’avons pas l’idée de
toucher aux lieux saints même de loin.

Les lieux saints doivent être extraterritorialisés pour tojours, res sacrae extra
commercium du droit des gens. Cette proposition je veux la faire accepter et
protéger par le Pape, comme le Souverain spirituel respecté et reconnu même
par le chrétiens des autre églises [cfr. Nahon 1960, 242].

Il fatto che in occasione dell’incontro un profondo silenzio caratterizzasse gli organi di stampa
cattolici può essere inteso anche come l’espressione da un lato di una preoccupazione per
l’evolversi del movimento sionista, tanto ridicolizzato agli inizi da tutti i periodici qui analizzati;
e dall’altro da un atteggiamento del Vaticano improntato alla cautela, considerato anche che il
papato di Pio X era iniziato da poco.

49
Leone XIII, in «Il Corriere Israelitico», n. 3, 1903, p. 65.
50
Vedi anche Herzl 1956, 312, che riporta le parole del pontefice: «Noi non possiamo favorire questo movimento. Non
potremo impedire agli Ebrei di andare a Gerusalemme-ma favorire non possiamo mai. La terra di Gerusalemme se
non era sempre santa, è santificata per la vita di Jesu Cristo (…). Io come capo della chiesa non posso dirle altra cosa.
Gli Ebrei non hanno riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo ebreo». Non attendibile
l’interpretazione di Canepa [1992, 364], che ascrive anche all’ostilità nei confronti del sionismo manifestata da una
larga parte dell’ebraismo italiano il fatto che il pontefice non avesse potuto accogliere con favore le richieste di Herzl.

13
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

Da quanto si legge nella stampa ebraica su questo incontro, sembra che anche Herzl avesse
preferito tacere sui suoi esiti negativi e sulla chiusura totale manifestata da Pio X nei riguardi
del sionismo, accentuando la favorevole accoglienza avuta dal Re Vittorio Emanuele.

Fuorviante rispetto alla realtà degli avvenimenti è il resoconto di Dante Lattes sul «Corriere
Israelitico», nel quale si afferma:

Il papa avrà pensato che in ogni modo lo spettacolo è bello e che il Dio pietoso
della Bibbia non può che benedire gli sforzi di coloro che ebbero da Lui una
missione civile ed umana nel mondo […] Il papa deve pensare che il ritorno degli
Ebrei nella Terra dei loro padri è voluto dalla Bibbia e, se si effettuasse, sarebbe
il più gran segno della verità delle Profezie che ce lo promisero. Se insomma la
politica non ci mette il suo bastone, rendendo vana tutta la simpatia che il nostro
movimento desta nelle menti moderne, Re Vittori Emanuele e Papa Pio X […]
saranno fra i sostenitori non meno augusti del nostro risorgimento […].51

Un altro scenario nei rapporti fra ebrei e Vaticano si delineò nel corso del 1917, prima
della Dichiarazione Balfour, durante il papato di Benedetto XV, succeduto a Pio X nel
settembre 1914, quando nel corso di alcuni incontri avuti con il leader sionista Nahum Sokolow
nel maggio dello stesso anno, il pontefice manifestò una prima apertura dettata da ragioni
umanitarie nei riguardi del movimento nazionale ebraico52. A differenza di Herzl, che aveva
capito la chiusura politica e diplomatica del Vaticano verso il sionismo, Sokolow a detta di
Minerbi, si rivelò più ingenuo del suo predecessore, scambiando alcune espressioni di cortesia
del papa per una reale svolta nella politica della Santa Sede [Minerbi 1988, 152]. Nell’incontro
del 1917 la particolare situazione politica generata dal conflitto in corso e il timore della
Chiesa per i futuri equilibri della Palestina, già indicata come probabile protettorato inglese,
contribuirono a focalizzare il tema sulla questione della tutela dei Luoghi Santi, dei quali la
Santa Sede intendeva discutere con le grandi potenze e non con gli ebrei.53

Pur essendo in parte cambiato il clima nei rapporti fra ebrei e Santa Sede e tenuto conto del
fatto che il cardinale Gasparri e monsignor Pacelli nel corso dei rispettivi incontri con Sokolow
manifestarono solidarietà umana per le persecuzioni contro gli ebrei in atto in Russia e il
congedo del Pontefice al rappresentante sionista si concluse con la famosa frase «saremo buoni
vicini», anche in questa occasione la stampa ufficiale cattolica scelse di non dare notizia degli
incontri, adottando la linea già tenuta nel 190454.

I primi articoli sull’«Osservatore Romano» risalgono a dicembre 1917, cioè dopo la


Dichiarazione Balfour, mentre su «La Civiltà Cattolica» si affrontò l’argomento appena nel
1919 [Caviglia 1981, 81-82; Fabrizio 2000]. Bisognerebbe perciò fare uno spoglio della stampa
51
Dante Lattes, Il dr. Herzl da Re Vittorio e dal Papa, «Il Corriere Israelitico», 29 febbraio 1904, 260-261. Più
cauto invece il «Vessillo Israelitico», che valutò comunque in modo positivo l’udienza; Il papa e gli ebrei,
fasc. II, 1904, 66.
52
Un resoconto dettagliato di questa fase dei rapporti fra Vaticano e sionismo in Minerbi 1967.
53
Minerbi 1988, 160. Minerbi sottolinea come vi fosse un diverso modo di intendere la definizione di Luoghi Santi
fra le due parti: per i sionisti essi erano dei siti ben precisi, mentre per il Vaticano essi includevano anche il territorio
nel quale erano situati.
54
Come per il 1904, anche di questo incontro non vi sono resoconti, tranne quello scritto dallo stesso Nahum Sokolow
a Weizmann e usato poi da tutta la storiografia che ha affrontato il tema: Minerbi 1988, 160. Lo stesso Minerbi inoltre
mette in dubbio la presunta simpatia manifestata in quell’occasione da parte del Vaticano nei confronti del sionismo,
non avendone trovata traccia nelle fonti da lui consultate, cfr. Minerbi 1988, 163-164.

14
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

cattolica di provincia per verificare se questa assenza di notizie fosse in realtà presente anche a
livello locale. Tale prolungato silenzio della stampa più vicina alla Santa Sede su di un tema così
sensibile derivava forse dal fatto che nei primi mesi del 1917 gli equilibri politici apparivano
ancora troppo fluidi, nonostante l’accordo Sykes-Picot del 1916 – l’internazionalizzazione della
parte centrale della Palestina – avesse dato speranza al Vaticano per la futura destinazione dei
siti tanto cari alla Chiesa [cfr. Minerbi 1988, 155-159].

Fino alla Dichiarazione Balfour, i rapporti tra ebrei e Santa Sede sembrarono essere migliorati
anche perché il Vaticano confidava in un aiuto da parte ebraica per partecipare alla futura
Conferenza di Pace, (cosa che poi non avvenne) [Minerbi 1988, 167], ma anche perché il
sionismo era ancora visto dalla Chiesa come un’utopia.

Con la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 la situazione mutò radicalmente e la


concessione di un focolare nazionale ebraico in Palestina sotto il protettorato britannico mise il
Vaticano di fronte a un fatto compiuto, facendo sorgere il timore che gli ebrei potessero, come
sostiene Minerbi, governare autonomamente senza uno stretto controllo degli inglesi55. Anche
in questo caso si prese tempo prima di uscire sulla stampa, infatti, appena un mese dopo, nel
dicembre 1917, «L’Osservatore Romano» pubblicò sei articoli sulla questione, in nessuno dei
quali però si riscontra l’uso di un linguaggio infarcito di stereotipi antisemiti paragonabile a
quello rintracciabile negli articoli del 1897. Ciò non significa tuttavia che l’ostilità della Chiesa
nei confronti del movimento nazionale ebraico fosse sopita: semplicemente sul piano politico e
diplomatico viste le incertezze e la prossima Conferenza di Pace, era più opportuno mantenere
un profilo defilato.

La prima notizia della Dichiarazione Balfour l’«Osservatore Romano» la diede il 4 dicembre


1917, riportando gli esiti di una manifestazione svoltasi a Londra nella quale gli ebrei per
mezzo di Lord Rothschild espressero la loro profonda riconoscenza al governo britannico per il
sostegno dato al sionismo, Al meeting partecipò anche Lord Robert Cecil, il quale soprattutto in
un passaggio del suo discorso toccò uno dei punti che maggiormente preoccupavano la Chiesa.
Lord Cecil infatti sostenne che

Una delle cause per le quali la Gran Bretagna è entrata in guerra è stata quella di
assicurare a tutti i popoli il diritto di governarsi da sé stessi e di svilupparsi senza
timore della minaccia dei loro grandi vicini. In questa via una delle più grandi
misure che noi abbiamo preso è il riconoscimento del sionismo. È la prima
misura costruttiva in quella che sarà, lo speriamo, la nuova riorganizzazione del
mondo dopo la guerra. Non è soltanto il riconoscimento di una nazionalità è
la rinascita di una nazione, che avrà una influenza importante per la storia del
mondo e conseguenze incalcolabili sulla razza umana futura.56

Una legittimazione ufficiale del sionismo e dei suoi obiettivi territoriali che senza dubbio
sollevò timori nelle alte sfere del cattolicesimo, in merito alla futura gestione politica dei
Luoghi Santi. Non è un caso che il periodico riportasse il resoconto del meeting, senza tuttavia
aggiungervi alcun commento o considerazione.

55
Cfr. Minerbi 1967, 434. In questo saggio vengono anche analizzati alcuni articoli di dicembre dell’Osservatore
Romano, ma anche altra stampa cattolica provinciale, più esplicita in merito alle posizioni antisioniste del Vaticano.
56
Cfr. L’Inghilterra, la Palestina e gli Ebrei, in «Osservatore Romano», 4 dicembre 1917, p. 2.

15
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

La capitolazione di Gerusalemme e l’entrata degli inglesi a Gerusalemme furono salutate dalla


Santa Sede con una certa apprensione57, anche se l’«Osservatore Romano» si espresse in toni
più positivi, esprimendo in una nota di redazione soddisfazione per il fatto che «la Città Santa
sia in mano di una potenza cristiana piuttosto che di una potenza non cristiana»58. Obiettivo
dell’articolo era probabilmente quello di enunciare le aspettative della Santa Sede. Infatti si
aggiungeva:

Tale sentimento di compiacenza è tanto più grande e ragionevole quando si pensi


ai concetti di libertà e di equanimità che ispirano gli atti dell’Inghilterra: giacché
essi fanno bene sperare che siano riconosciuti e rispettati nella terra che fu culla
della religione cristiana i diritti e gli interessi della Chiesa Cattolica.59

Più incisivi altri due interventi, apparsi nei giorni successivi.

Nel primo fu pubblicata la parte saliente del discorso del Cardinale Vicario di Roma, Basilio
Pompili, che nell’annunciare ai romani la notizia della presa di Gerusalemme, esprimeva
accanto alla gioia anche un profondo rammarico per il fatto che non tutti i liberatori
appartenevano alla «fede voluta da Cristo», alludendo al fatto che pur essendo cristiani, non
tutti erano cattolici. Pompili infatti chiudeva la sua allocuzione con l’auspicio di una redenzione
comune nel nome di Cristo: «affinché tutti gli infedeli, rinnegati gli antichi errori, si ritrovino
presto fratelli nella città consacrata dall’amore di Gesù Cristo».60

Le parole di Pompili furono riprese il giorno successivo con l’intento di porre l’accento
soprattutto sul loro intento spirituale, nell’accentuazione di una auspicabile ricomposizione in
Terra Santa di tutte le chiese cristiane nel cattolicesimo. Per quanto riguarda invece la presenza
ebraica, sancita dalla Dichiarazione Balfour, nemmeno un cenno, ma al contrario una completa
omissione61.

Nei tre momenti salienti per i rapporti tra la Santa Sede e il movimento sionista qui analizzati,
il 1897 acquisisce senza dubbio una sua centralità per quanto riguarda l’uso strumentale di un
discorso antisemita sulla stampa ufficiosa cattolica, che fece da apripista per i temi e i linguaggi
sviluppati poi sulla stampa cattolica provinciale di orientamento intransigente.

Quest’ultima infatti, a seconda della sua locazione geografica e dell’ambiente culturale locale,
oltre a cogliere le tematiche principali enunciate su «La Civiltà Cattolica», diede in alcuni casi
un suo proprio ed originale contributo alla messa in circolazione di nuovi stereotipi antiebraici,
spesso enunciati con maggiore virulenza rispetto ai due periodici vicini alla Santa Sede. Ciò
è imputabile ad una strategia messa in opera dal Vaticano, che non potendosi esporre oltre un
certo limite per equilibri diplomatici, lasciava libere le testate locali ad esso vicine di dialogare
con ben altri toni con il “paese reale”. Di rilievo inoltre per questa prima fase la fiducia
57
Cfr. Minerbi 1967, 436, dove riporta le apprensioni del cardinale Gasparri bene sintetizzate nella frase da lui
pronunciata per l’occasione: «Non suonano le campane in Vaticano per la presa di Gerusalemme. È difficile ritirare una
parte del proprio cuore ai Turchi per darla ai sionisti». Sull’antisionismo della Chiesa e dello stesso cardinal Gasparri
dal 1918 cfr. Minerbi 1988, 184-187; Caviglia 1981.
58
Cfr. La capitolazione di Gerusalemme, in «Osservatore Romano», 12 dicembre 1917, 2.
59
Ibidem.
60
La parola del Cardinal Vicario , in «Osservatore Romano», 13 dicembre 1917, 1. Questo intervento è ricordato
anche da Minerbi 1988, 173-174, soprattutto in merito alle reazioni che esso suscitò in campo diplomatico.
61
Dopo l’occupazione di Gerusalemme, in «Osservatore Romano», 14 dicembre 1917, 1. Lo stesso giorno fu pubblicato
un articolo, Gli ebrei e la Palestina, dove si dava notizia in modo asettico della entusiasta reazione degli ebrei di Odessa
alla dichiarazione Balfour.

16
Catalan, La ricezione del sionismo - Storicamente 2011

che queste testate dimostravano di avere nei confronti dell’operato dei cristiano-sociali, che
venivano additati spesso come rimedio concreto e immediato al temuto dilagare dell’ebraismo
nella società liberale.

Nell’arco di tempo qui preso in esame il sionismo venne nella prima fase spesso ridicolizzato
su queste riviste, per essere poi dal 1904 considerato un autentico e serio pericolo per i Luoghi
Santi, la cui salvaguardia rappresentò uno dei nodi centrali nella politica vaticana dall’indomani
della Dichiarazione Balfour.

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19
Storicamente 7 - 2011
Rivista del Dipartimento di Discipline Storiche, Antropologiche e Geografiche
Università di Bologna http://www.storicamente.org
ArchetipoLibri http://www.archetipolibri.it

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Dossier - Antisemitismo e Chiesa cattolica in Italia (XIX-XX sec.)

Raffaella Perin
Antisemitismo nella stampa diocesana negli anni Trenta del
Novecento

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Storicamente ISSN 1825-411X


volume 7 - 2011, December 2011 23rd, art. 48
DOI: 10.1473/stor124
http://www.storicamente.org/07_dossier/antisemitismo/perin.htm

Reprint's Address: Univ. Cà Foscari Venezia, Dipartimento di Studi linguistici e Culturali comparati, Palazzo
Cosulich, Dorsoduro 1405, Venezia, I-30123, Italy raffaella.perin@unive.it

Abstract: The essay analyzes the Catholic Church's attitude toward the Jews during the Thirties, examining
the diocesan press of the North-East of Italy. Going through the Catholic weekly newspapers it was first
possible to establish their position with respect to the spread of racist and anti-semitic ideologies, and then to
outline which were the images of Jews theorized and propagandized by the Catholic press. The old teaching
of the Catholic doctrine and theology concerning the Jews influenced the construction of the collective
imaginary and the creation of anti-semitic stereotypes from the second half of the XIX century.

Keywords: Racialism, Catholic Church, Anti-semitism, Italy


Antisemitismo nella stampa diocesana
negli anni Trenta del Novecento
Raffaella Perin <perin@unive.it>
23/12/2011

Anti-Semitism in the Diocesan Press in 1930s

The essay analyzes the Catholic Church's attitude toward the Jews during the Thirties,
examining the diocesan press of the North-East of Italy. Going through the Catholic weekly
newspapers it was first possible to establish their position with respect to the spread of racist
and anti-semitic ideologies, and then to outline which were the images of Jews theorized and
propagandized by the Catholic press. The old teaching of the Catholic doctrine and theology
concerning the Jews influenced the construction of the collective imaginary and the creation
of anti-semitic stereotypes from the second half of the XIX century.

Indice
La discriminazione degli ebrei in Germania nella stampa diocesana ..................................... 2
L'immagine dell'ebreo nei primi anni di propaganda antisemita in Italia ............................. 10
Reference List ....................................................................................................................... 18

Lo studio dell'antisemitismo cattolico implica l'assunzione di un metodo nella scelta e


nell'analisi delle fonti che, per essere efficace ai fini di una corretta valutazione del fenomeno,
deve tener conto delle variabili intra ed extra ecclesiali che concorsero alla sua definizione:
dottrinali, teologiche ed ecclesiologiche, ma anche sociali e politiche. Questo vale a maggior
ragione per il periodo preso in esame, gli anni Trenta del Novecento, durante il quale i
regimi fascisti tedesco e italiano diedero avvio a politiche antisemite attraverso l'emanazione
di legislazioni razziali. Tentare di formulare un giudizio storico sull'atteggiamento tenuto dalla
Chiesa cattolica di fronte alla legalizzazione della discriminazione antiebraica da parte dei due
regimi, non può prescindere dagli insegnamenti plurisecolari della dottrina e della teologia
cattolica nei riguardi degli ebrei, ma anche da come essi si declinarono nella prassi, dai risvolti
sociali che produssero e da come confluirono nella creazione di stereotipi antisemiti1 a partire
dalla seconda metà del XIX secolo. Inoltre, è necessario tener presente il disegno sotteso al tipo
di rapporti e accordi politici stipulati dalla Santa Sede tra le due guerre: il mito di un ritorno
alla società cristiana medievale ove la Chiesa permeasse tutti gli ambiti della vita individuale
e collettiva e le fosse riconosciuto il ruolo di guida e controllo sociale nello stato, una visione
di cristianità che finiva inevitabilmente con l'influire anche sul rapporto con le minoranze
religiose.

Il problema appare però più complesso quando si voglia comprendere con formulazioni
generalizzanti un comune sentire e agire del cattolicesimo italiano nei confronti dell'ebraismo,
degli ebrei e della persecuzione razziale e antisemita. In realtà la recente storiografia, grazie
anche all'apertura dei fondi relativi al pontificato di Pio XI dell'Archivio Segreto Vaticano
e dell'archivio dell'ex Sant'Uffizio, ha messo in luce aspetti e dettagli non trascurabili per
1
Parte della storiografia ha messo in luce la presenza anche in epoca medievale e moderna di elementi «potenzialmente
razzisti». Cfr. Yerushalmi 1993; Stroumsa 1996.

1
Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

un'adeguata puntualizzazione della questione, che non può quindi risolversi nel presumere che
le posizioni curiali e del mondo2 siano state sempre del tutto omogenee. Rimandando a studipiù
specifici 3 i problemi riguardanti le discussioni, le decisioni e i diversi atteggiamenti della
gerarchia cattolica, in questa sede vorrei concentrare l'analisi sulla propaganda cattolica, in
particolare sulla stampa diocesana, trait d'union, assieme al clero e alle organizzazioni laicali,
tra il magistero e i fedeli. Essa infatti, opera di giornalisti anonimi, corrispondenti e sacerdoti,
sottoposta al controllo dei vescovi e diffusa a livello popolare, permette di rilevare le modalità
attraverso cui la comunità dei fedeli veniva informata circa l'adozione di misure discriminatorie
e persecutorie verso gli ebrei in Germania e in Italia, ma anche di mettere in luce quale
rappresentazione "dell'ebreo" venisse propagandata e abitasse dunque l'immaginario collettivo
cattolico.

Lo studio che presento fa parte di una ricerca più ampia 4 sull'atteggiamento della
Chiesa cattolica verso gli ebrei, così come emergeva dall'analisi della stampa diocesana di
alcune diocesi appartenenti alla regione ecclesiastica triveneta. In questa sede ho preso in
esame i settimanali diocesani di Venezia, «La Settimana religiosa», di Trento, «Vita Trentina»,
di Treviso, «La Vita del Popolo» e di Udine, «La Vita Cattolica» settimanali diocesani 5.
La scelta di comparare questi quattro casi risponde sostanzialmente a due criteri: per un
verso era possibile sottolineare una certa continuità, un progetto culturale simile, perché
appunto voci di diocesi appartenenti alla stessa regione ecclesiastica; dall'altro, essendo diocesi
con storie e problemi alquanto differenti, si poteva supporre una certa autonomia nella
scelta degli argomenti da affrontare nei rispettivi settimanali. Lo spoglio è stato condotto
cercando di individuare in primo luogo quale fosse la posizione della stampa diocesana
rispetto alla diffusione dell'ideologia razzista e antisemita nazista e in seconda istanza di
capire, indipendentemente dalle scelte del governo tedesco e italiano di introdurre legislazioni
antiebraiche, quale fosse il giudizio sugli ebrei formulato e propagandato dagli stessi settimanali
cattolici.

La discriminazione degli ebrei in Germania nella stampa


diocesana
La scalata al potere del nazionalsocialismo in Germania fu seguita con preoccupazione dal
settimanale diocesano di Trento, un interesse precipuo che non ho riscontrato negli altri
settimanali della regione ecclesiastica triveneta esaminati. I fogli diocesani di Venezia e Udine
si occuparono delle vicende politiche tedesche soltanto sporadicamente fino ai primi mesi del
1933, quando il presidente Hindenburg nominò Hitler cancelliere del Reich. «Vita Trentina» fu
l'unico settimanale che, tra il 1931 e il 1932, mise in luce la componente razzista dell'ideologia
nazionalsocialista. In un articolo uscito nella primavera del 1931, dopo aver ricordato che alle
elezioni di settembre dell'anno precedente il partito di Hitler aveva raccolto milioni di voti ed
era riuscito ad ottenere 107 seggi, «Vita Trentina» sottolineava come l'interesse dei cattolici
per il «movimento hitleriano» non era volto tanto al suo programma politico quanto alle «sue
2
Cfr. Moro 2002, 35. Per i casi del padre barnabita Giovanni Semeria e del vescovo di Cremona Geremia Bonomelli
nei primi anni del Novecento si veda De Cesaris 2006, 175-179. Su Semeria si veda anche Fumagalli 1993, 130-133.
3
Alcuni fra i più recenti studi che si sono avvalsi dei nuovi documenti dell'Archivio Segreto Vaticano sono: Wolf
2005; Fattorini 2007; Wolf 2008; Ceci 2010; Semeraro 2010; Perin 2010.
4
La ricerca aveva preso in esame i casi di Padova, Trento, Treviso, Trieste, Udine, Venezia e Vicenza. Cfr. Perin 2008
e 2011. Si veda anche il sito internet www.circe.iuav.it/Venetotra2guerre.
5
Sull'opportunità di utilizzare la stampa diocesana come fonte per lo studio dell'atteggiamento della Chiesa cattolica
verso l'antisemitismo cfr. Miccoli 1989, 167-169.

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

idee in dissonanza con i principi e la morale cattolica», perché non conformi «ai sentimenti
della razza germanica».

Programma politico

L'osservazione dell'articolista del settimanale diocesano trentino, ove sottolinea che


l'antinazismo cattolico iniziale non era dovuto al programma politico del partito hitleriano,
trova conferma anche in sede storiografica. Enzo Collotti in un articolo degli anni Sessanta
metteva in luce il limite nel carattere delle motivazioni delle riserve della Chiesa nei
confronti del Partito nazista: «si trattava di riserve di carattere strettamente ideologico
nella misura in cui la Weltanschauung nazionalsocialista entrava in conflitto con gli
insegnamenti della Chiesa, mentre nessun attacco diretto la Chiesa muoveva né ai principi
politici del nazismo né ai suoi concreti programmi, per cui non fu posto alcun argine
allo scivolamento verso destra dell'opinione cattolica tedesca che vedeva nel nazismo la
realizzazione di quelle aspirazioni autoritarie e antiparlamentari». Cfr. Collotti 1965, 133.

Avendo esso ben presto manifestato «la sua anima anticattolica», voleva realizzare una
chiesa nazionale tedesca emancipata dal papa, mettendo «la razza germanica al di sopra della
religione»6. Nel 1932 il settimanale trentino stigmatizzò nuovamente il partito di Hitler come
«anticattolico», chiedendosi quale sarebbe stato il suo atteggiamento verso la Chiesa se fosse
salito al potere, posto il suo «comandamento supremo [...] il culto della razza, al quale deve
cedere il campo il protestantesimo, il giudaismo e il cattolicesimo»7.

La posizione dei vescovi tedeschi verso il partito nazista

L'arcivescovo di Magonza nel settembre del 1930 aveva pubblicato una serie di norme
per impedire ai cattolici di avvicinarsi al movimento hitleriano, nelle quali era fatto
espresso divieto di iscriversi al partito. La condanna unanime del nazionalsocialismo da
parte dell'episcopato tedesco arrivò invece nell'agosto del 1932. I vescovi dichiararono
«illecito» appartenere al partito di Hitler per la sua incongruenza con le dottrine
fondamentali della Chiesa cattolica, prevedendo inoltre che la sua eventuale ascesa alla
guida di un eventuale governo non avrebbe tutelato e garantito gli interessi religiosi.
Cfr. G. Sale, Hitler, la Santa Sede e gli ebrei, Milano, Jaka Book, 2004, 36-37. Occorre
altresì segnalare che tra il 1930 e il 1933 anche negli ambienti cattolici tedeschi il
nazionalsocialismo aveva trovato simpatie e consensi. Cfr. G. Miccoli 2000, 118 e n. 3.
Sulla posizione della Chiesa cattolica verso il nazionalsocialismo si vedano inoltre almeno
Lewy 1965; Miccoli 1985; Wolf 2008.

Le preoccupazioni espresse in questi articoli riflettevano in parte le riserve che alcuni vescovi
tedeschi avevano manifestato nei confronti del partito nazista nei primi anni Trenta. Ma al
di là della posizione della Chiesa tedesca verso il nazionalsocialismo, gli accenni che «Vita
Trentina» faceva a proposito delle teorie razziste inserite nel programma della NSDAP risultano
interessanti per due ordini di motivi. Il primo, è stato detto, riguarda l'eccezionalità del
riferimento al razzismo in questi anni in un settimanale diocesano, dove, sebbene la posizione
6
Nazionalsocialismo, «Vita Trentina», 9 aprile 1931.
7
Dove va la Germania?, «Vita Trentina», 25 aprile 1932.

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

della Chiesa cattolica non venisse discussa o spiegata, compariva una chiara presa di distanza
dalle teorie sulla razza.

Cattolici e Teorie sulla razza

Nel mondo cattolico il dibattito era in corso già da tempo in relazione soprattutto alle
discussioni intorno all'eugenetica e al controllo delle nascite in ambito statunitense ed
europeo. Tra il 1915 e il 1916, con la pubblicazione di alcuni articoli in «Vita e Pensiero»,
protagonista di maggior spicco negli ambienti cattolici su queste questioni fu padre
Agostino Gemelli, il quale aveva ad un certo punto imputato all'«incrocio tra le razze» il
calo di fecondità nei matrimoni. Ma vale la pena ricordare anche il convegno sull'eugenica
tenutosi a Napoli nel 1924, a conclusione del quale venne votato un ordine del giorno in
cui si riconosceva che «il proporsi il perfezionamento della razza sia lodevole intento, ma
che si debba raggiungerlo solo con larghe provvidenze sociali ed igieniche, con istruttiva
propaganda, e sopra tutto con la diffusione di una profonda educazione cristiana». Cit.
Maiocchi 1999, 25-26. Sul concetto di «razza» si veda anche Burgio 2000; Pisanty, 65
e seg.

In generale la contrapposizione della Chiesa cattolica al razzismo si richiamava all'unità


del genere umano, alla sua comune origine in Dio, insistendo sul carattere accidentale
e non essenziale delle differenze tra "razze". Maiocchi1999, 149 seg. Teorizzatore
delle differenze tra razze, ma non di una loro possibile gerarchizzazione, nell'ambito
dell'antropologia cattolica fu Wilhelm Schmidt, direttore del Pontificio museo missionario
etnologico lateranense, che nel 1938 pubblicò per i tipi della Morcelliana il libro Razza
e nazione, che divenne un testo di riferimento per i cattolici su questi temi. Anche la
pubblicistica medica degli anni Trenta era ricca di dure critiche alle politiche eugenetiche
tedesche e di rivendicazioni della superiore umanità della medicina italiana. Ivi, 77.
Mancava però ancora una presa di posizione ufficiale della Santa Sede sul razzismo.
Solo dopo l'avvento della NSDAP al potere si fece più urgente la necessità di chiarire
su quali basi dottrinali dovesse poggiare l'atteggiamento della Chiesa verso il razzismo,
come dimostra un promemoria steso nel settembre del 1933 dalla Segreteria di Stato,
dal titolo S. Sede e Nazionalsocialismo: Dottrina e politica, nel quale l'autore, rimasto
anonimo, evidenziava le contraddizioni tra la dottrina cristiana e quella razzista, secondo
cui le qualità morali degli individui e «tutti i valori umani» derivavano e risiedevano nei
«popoli nordici». Il documento è citato da Wolf 2008, 240 seg. Questo documento servì
poi per stendere un altro promemoria che Pacelli inviò al governo tedesco il 14 maggio
1934, dove si diceva che «l'assolutizzazione del pensiero razziale, e soprattutto la sua
proclamazione come surrogato della religione» era una posizione erronea «i cui frutti
perniciosi non si faranno attendere». Ivi, 245. Nell'ottobre 1934, su iniziativa di mons.
Alois Hudal, rettore del collegio tedesco di Santa Maria dell'Anima, con l'approvazione
di Pio XI, la Congregazione del Sant'Uffizio cominciò ad elaborare uno studio interno
sulla dottrina nazionalsocialista della razza, che avrebbe dovuto condurre, nelle intenzioni
del suo promotore, a un'enciclica e a un sillabo di errori da condannare, quali erano il
nazionalismo radicale, il razzismo e il totalitarismo, ma tali documenti non videro mai la
luce. Cfr. Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, S.O. 3373/34 [R.V.
1934, n. 29], fasc. 1-4. Per un'analisi del fondo si veda la voce Razza redatta da T.
Dell'Era in Dizionario storico dell'Inquisizione, vol. III, Pisa Edizioni della Normale,
2010, 1300-1302 e Wolf 2008, 268-287.

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

Inoltre, se nel primo articolo il biasimo per l'adozione di un'ideologia razzista era volto a
sottolineare il fatto che fosse essenzialmente «anticattolica», nel secondo il cattolicesimo,
il protestantesimo e l'ebraismo erano equiparati in quanto bersagli ugualmente colpiti dal
razzismo. L'accostamento delle due confessioni cristiane con l'ebraismo sulla questione non
è di poco conto. Come si vedrà meglio in seguito le proteste e le condanne del razzismo da
parte della gerarchia ecclesiastica erano volte, salvo alcuni casi, soprattutto a tutelare i cattolici.
Nel 1937 «Vita Trentina» denunciò la «sorda e perfida persecuzione nazista» della Chiesa
cattolica, riportando le parole del generale Erich Ludendorff il quale ammetteva di odiare il
cristianesimo perché era una «religione orientale predicata da un giovane ebreo idealista»,
l'Antico Testamento «l'opera di una razza odiata e disprezzata» e perché «tutte le miserie che i
tedeschi han patito sono dovute alla razza ebraica ed al cristianesimo»8. Da quest'articolo si vede
bene come l'antisemitismo nazista avrebbe rivelato sempre di più delle tendenze anticristiane,
non determinando però un atteggiamento diverso della Chiesa cattolica verso la persecuzione
degli ebrei, facendo prevalere una linea di autodifesa. Mancò quasi del tutto una riflessione su
una possibile alleanza delle forze cristiane contro il nazismo, se si esclude la proposta avanzata
in un articolo del dicembre 1934 dal gesuita tedesco Friederich Muckermann, di creare un fronte
unico fra protestanti e cattolici [Miccoli 2000a, 145-146; 2005, 755].

Se nei primi anni Trenta «Vita Trentina» fu il settimanale che più si occupò di
politica tedesca – un interesse spiegabile per la storia di Trento come di provincia di confine
e nondimeno per la presenza di Celestino Endrici alla guida della diocesi e quella di don
Giulio Delugan alla direzione del periodico cattolico, i quali impressero al foglio diocesano un
indirizzo antinazista – la notizia della nomina di Hitler a Cancelliere tedesco venne data invece
anche da altri settimanali diocesani. «La Vita del Popolo» di Treviso per esempio, in un trafiletto
dedicato alle notizie dall'estero, diceva che «nel suo proclama, egli [Hitler] invoca l'aiuto di
Dio Onnipotente per poter fare del bene alla Nazione. Speriamo»9. La settimana successiva, in
vista delle elezioni di marzo, «La Vita del Popolo» precisava che Hitler «è giunto in maniera
relativamente facile al Cancellierato», ma aggiungeva che anche per il suo partito il momento
difficile era arrivato: il Zentrum non aveva voluto aderire al governo hitleriano, perché «sono
ancora troppe le incognite della politica che Hitler seguirà» e che era ancora valida «la condanna
da parte dei Vescovi tedeschi del programma religioso (o antireligioso) di Hitler»10.

Ma pochi mesi dopo la situazione cambiò radicalmente. Nel discorso del 23 marzo al
Reichstag Hitler assicurò al protestantesimo e al cattolicesimo il loro influsso nell'educazione e
nella scuola, ravvisando in entrambe le confessioni cristiane «fattori essenziali per la tutela della
morale» del popolo tedesco [Miccoli 2000a, 119]. Il Zentrum votò a favore della legge sui pieni
poteri e il 28 marzo i vescovi tedeschi ritirarono con una dichiarazione pubblica i divieti imposti
nel 1932. «La Settimana religiosa» di Venezia si dilungò a riportare le rassicurazioni di Hitler
sul ruolo assegnato alle religioni cristiane11, e anche il settimanale trentino si risolse a dare la
notizia della fiducia concessa al nazionalsocialismo da parte dell'episcopato tedesco12. Nello
stesso numero di «Vita Trentina», in una rubrica dedicata alla Rassegna politica, comparve
anche un articolo sul boicottaggio contro negozianti, avvocati, medici ebrei tedeschi che,
diceva, «era stato ripetutamente minacciato dai nazionalsocialisti». Aggiungeva però che a
causa delle rimostranze interne ed estere verso l'antisemitismo hitleriano, pareva che l'idea
8
Persecuzione nazista, «Vita Trentina», 29 aprile 1937.
9
Dall'Estero, «La Vita del Popolo», 5 febbraio 1933.
10
Dall'Estero, «La Vita del Popolo», 12 febbraio 1933.
11
In giro per il mondo. All'Estero, «La Settimana religiosa», 2 aprile 1933.
12
La Chiesa in Germania, «Vita Trentina», 6 aprile 1933.

5
Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

sarebbe stata abbandonata. Anche «La Vita Cattolica», settimanale diocesano di Udine, vi
dedicava qualche riga, dicendo che aveva prodotto «viva impressione nell'interno ed all'estero
l'organizzazione del boicottaggio contro tutti gli ebrei. Il boicottaggio, che è stato universale,
è durato un giorno»13. «La Settimana religiosa» non fece alcun accenno alle prime misure
antiebraiche del nuovo governo tedesco, mentre «La Vita del Popolo» il 16 aprile dava la notizia
del ritiro della condanna del nazionasocialismo da parte dell'episcopato tedesco, soprassedendo
anche il settimanale trevigiano sul boicottaggio.

Boicottaggio

Il boicottaggio in realtà non rientrava in un piano tattico prestabilito del partito nazista.
Appena preso il potere cercò di muoversi verso una progressiva emarginazione degli
ebrei dalla vita economica ma non esisteva ancora una strategia coordinata e pianificata.
Sebbene l'antisemitismo facesse parte integrante dell'ideologia nazista fin dall'inizio, le
misure discriminatorie furono introdotte gradualmente in Germania per evitare dissensi
sul fronte interno. Tale approccio emerge chiaramente dal confronto con l'iter delle
politiche antiebraiche volute dal governo italiano che riuscì in poco tempo a portare
all'approvazione delle leggi razziali. Per una comparazione tra Germania e Italia si veda
Di Porto 2000. I primi attacchi a noti esponenti del mondo economico appartenenti
alla comunità ebraica furono infatti condotti dall'ala più radicale del movimento, dalla
Lega di lotta del ceto medio imprenditoriale e dall'organizzazione per il commercio e
l'artigianato, coadiuvati anche dall'Unione dei giuristi nazionalsocialisti e dall'Unione dei
medici nazionalsocialisti tedeschi. Le aggressioni ai negozi ebraici, a giudici e avvocati
ebrei provocarono proteste e appelli al boicottaggio dei prodotti tedeschi nei Paesi
anglosassoni. Hitler decise durante una riunione con Goebbels il 26 marzo, di dare avvio
ad un controboicottaggio, nonostante l'idea di boicottare le attività commerciali ebraiche
in Germania circolasse da tempo: avrebbe dovuto scattare il 1° aprile seguito da un
periodo di attesa. Il boicottaggio ebbe luogo come stabilito, ma la popolazione tedesca
non dimostrò entusiasmo nell'aderirvi. Cfr. Friedländer 2004, 27 e seg.

Nel frattempo aveva avuto inizio un'operazione di de-emancipazione della componente ebraica
della popolazione attraverso l'emanazione di una serie di leggi 14 che rimossero impiegati statali,
avvocati, medici, notai, professori e giornalisti ebrei. Le leggi antiebraiche di aprile furono così
riassunte dal settimanale diocesano di Trento: «L'attività antisemita continua più o meno intensa
soprattutto con l'allontanamento di funzionari ebrei, coll'introduzione del numerus clausus nelle
università e negli impieghi, col boicottaggio della produzione letteraria ebrea, col ritiro del porto
d'armi agli israeliti ecc.»15. La notizia dell'emanazione della «Legge contro il sovraffollamento
delle scuole e università tedesche», approvata il 25 aprile, venne data sempre da «Vita Trentina»
il 4 maggio: «L'antisemitismo continua. Con un decreto governativo si è ridotto il numero degli
studenti universitari ebrei all'1,5% in corrispondenza alla proporzione degli ebrei col resto della
popolazione»16.
13
In Germania. Contro i fuoriusciti, «La Vita Cattolica», 9 aprile 1933.
14
La legge del 7 aprile sulla restaurazione dei pubblici funzionari di carriera prevedeva l'esclusione degli oppositori
politici e dei «non ariani» dagli impieghi statali e comunali, dove per «non ariano», come spiegava il primo decreto
supplementare alla legge, si intendeva «chiunque discendesse da genitori o nonni non ariani ed ebrei in particolare.
È sufficiente che uno solo dei genitori o dei nonni sia non ariano». Dopo l'allontanamento dei funzionari toccò agli
avvocati e poi ai medici. Cfr. Mommsen, 2003, 57 e seg.; Friedländer 2004, 35 seg.
15
Rassegna politica, «Vita Trentina», 27 aprile 1933.
16
Rassegna politica, «Vita Trentina», 4 maggio 1933.

6
Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

Mentre né «La Settimana religiosa» né «La Vita del Popolo» fecero menzione delle
prime leggi antiebraiche in Germania, «La Vita cattolica» di Udine commentò in questo modo
la politica antisemita nazista:

Gli Ebrei passano in Germania un brutto quarto d'ora. Constatiamo il fatto,


lasciando da parte la questione se i metodi usati contro di loro siano o meno
conciliabili con quei fondamentali principi di libertà di giustizia che formano
il patrimonio della coscienza cattolica. Il giudaismo padrone della stampa
mondiale ha levato la sua voce contro il trattamento fatto subire ai propri
correligionari tedeschi ed ha dato fiato a tutte le trombe per commuovere
in nome della giustizia e della libertà l'opinione pubblica mondiale. E non
discutiamo se abbia ragione o torto, ma ci permettiamo di chiedere: come
mai questi patrocinatori della giustizia e della libertà si sono svegliati solo
ora, mentre di fronte alle persecuzioni più atroci del bolscevismo russo e del
governo messicano contro i cattolici parevano immersi nel sonno più profondo?
E non ha forse una buona parte di responsabilità il giudaismo massonico
nella persecuzione religiosa in tutti i paesi del mondo, ove i cattolici sono
perseguitati17?

L'articolista di fronte alle prime leggi antiebraiche tedesche appariva reticente nell'entrare nel
merito della questione e in ben due passaggi evitava uno sbilanciamento attraverso un artificio
retorico: diceva di voler lasciare da parte il problema della conciliabilità tra i principi cattolici
e i metodi della legalizzazione della discriminazione degli ebrei, e di non voler discutere la
plausibilità delle proteste del mondo ebraico per le vessazioni inflitte ai correligionari tedeschi.
L'esitazione dell'articolista non celava in realtà l'ammissione della straordinarietà degli eventi,
ma non condannandoli rivolgeva il suo interesse principale altrove, ovvero alla reazione
del mondo ebraico. Utilizzando il termine «giudaismo», impiegato in senso dispregiativo e
denigratorio, operava un intreccio di piani: identificava gli ebrei su base confessionale ma al
contempo attribuiva loro uno stereotipo consolidatosi nel corso dell'Ottocento, che nulla aveva
a che vedere con la religione ebraica, secondo il quale gli ebrei possedevano il controllo della
stampa mondiale [Attali 2003; Nani 2006, 201 seg.; Dreyfus 2009; Battini 2010a]. Seguivano
poi alcune delle più comuni accuse rivolte agli ebrei 18, la loro responsabilità nella diffusione
dell'ideologia comunista, nella persecuzione dei cattolici e la combutta con la massoneria.
L'atteggiamento assunto da «La Vita Cattolica» rinvia alla posizione generale tenuta in questi
mesi dalla gerarchia cattolica rispetto all'antisemitismo nazista. La Santa Sede e l'episcopato
tedesco non vi si opposero, adottando un criterio espresso da mons. Orsenigo nel telegramma
inviato alla Segreteria di Stato l'8 aprile 1933 in risposta alla richiesta di Pacelli sulla possibilità
di intervenire a difesa degli ebrei, secondo il quale il «carattere governativo» che aveva assunto
la «lotta antisemita» avrebbe reso le proteste della Chiesa cattolica un'interferenza negli affari
interni della Germania [Miccoli 2005, 747-749].

La firma del Concordato 19 del 20 luglio 1933 tra la Santa Sede e la Germania nazista
rappresentò uno spartiacque per la stampa diocesana, che cominciò a ridurre le informazioni
17
Incoerenze, «La Vita Cattolica», 18 giugno 1933.
18
Sull'accusa della responsabilità ebraica dell'ascesa del comunismo in Russia nella stampa cattolica si vedano Taradel,
Raggi 2000, 47-48; Perin 2008. Sullo stereotipo dell'ebreo-massone cfr. Menozzi 2006; Vian 2011.
19
Nonostante il Reichskonkordat avesse dovuto costituire principalmente una sorta di garanzia dei diritti della Chiesa
cattolica in Germania non fu un mero strumento giuridico utilizzato dalla Chiesa cattolica per difendersi dagli eventuali
soprusi del regime nazista. Martino Patti [2008] mostra bene, attraverso l'analisi delle pubblicazioni della collana Reich

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

concernenti la situazione politica in Germania, mentre fino al 1935 scomparvero del tutto
i riferimenti alla discriminazione degli ebrei. Una scelta che ancora una volta riflette una
decisione presa ai vertici della gerarchia ecclesiastica 20 nel momento in cui la Segreteria di
Stato, l'episcopato tedesco e la diplomazia vaticana convennero nell'aprile del 1933, come
scrisse il card. Faulhaber, che la Chiesa non potesse intervenire a favore degli ebrei «perché la
lotta contro gli ebrei diventerebbe anche una lotta contro i cattolici» [Wolf 2008, 194].

Il 7 febbraio 1934 furono messe all'indice le opere di Ernst Bergmann, Deutsche


Nationalkirche e di Alfred Rosenberg, Mythus des 20. Jahrhunderts, condanne segnalate da
«La Settimana religiosa» ma non accompagnate da alcun commento21. In generale dal 1934
i settimanali diocesani esaminati concentrarono la loro attenzione sui soprusi e le vessazioni
cui i cattolici tedeschi furono sottoposti da parte del regime. Le denunce della politica
razzista riguardavano principalmente i cattolici, non gli ebrei, mentre raramente si parlava di
antisemitismo tout court. Nel gennaio 1935, per esempio, «La Vita Cattolica» denunciava in
modo generico il razzismo tedesco:

Solo la razza tedesca è la pura razza umana; tutte le altre sono delle sottospecie da
sopportarsi soltanto... oltre i confini della Germania. Così si pensa in Germania
dai razzisti. [...] Tutti bestie dunque, meno i tedeschi... che in questo caso parlano
proprio da bestie22.

A marzo, riportando il discorso di un deputato tedesco, pronunciato davanti alla Lega dei giuristi
nazisti, nel quale chiedeva che venisse applicata la pena di morte ad ogni ebreo che avesse
rapporti con una tedesca ariana, il settimanale udinese commentava dicendo che «la lotta per il
razzismo è diventata un'ossessione in Germania» e che i nazisti si rendevano ridicoli di fronte al
mondo intero con i loro metodi23. In quest'articolo si condannava il razzismo nei confronti degli
ebrei, ma a ben vedere soltanto nella sua espressione più estrema, mentre continuava a mancare
una presa di posizione che denunciasse la loro discriminazione in seno alla società tedesca.

«La Settimana religiosa», in un articolo ripreso dalla stampa francese 24, condannava il
neopaganesimo tedesco supportato dall'ideologia della razza che vedeva nel cristianesimo e in
particolare nel cattolicesimo un nemico da combattere. Anche in questo caso non compariva
alcun riferimento agli ebrei:

La manifestazione neopagana svoltasi in questi giorni a Berlino e nella quale


si è esaltato una «fede germanica» essenzialmente panteista e anticristiana

und Kirche, come, almeno nel biennio 1933-1934, il consenso del cattolicesimo tedesco verso il nazionalsocialismo
fosse dettato da una convergenza di valori e da una consonanza ideologica autoritaria e antiliberale.
20
Gli scambi tra il segretario di Stato, il card. Pacelli, e il nunzio apostolico in Baviera, mons. Orsenigo, sulle
prime manifestazioni antisemite in Germania sono stati di recente ricostruiti da Brechenmacher 2010. Dalla nuova
documentazione è emerso che Pio XI durante l'udienza del 1° aprile incaricò Pacelli di informarsi presso il nunzio sulla
possibilità di un eventuale intervento della Santa Sede «contro il pericolo di eccessi antisemitici in Germania». Ivi, 338.
21
Opere di Rosenberg e Bergmann condannate dal Santo Uffizio, «La Settimana religiosa», 18 febbraio 1934.
22
Tutti... bestie meno i tedeschi, «La Vita Cattolica», 13 gennaio 1935.
23
Furore razzista..., «La Vita Cattolica», 3 marzo 1935.
24
L'articolo continuava riportando le parole dette da Pacelli in occasione di un suo viaggio in Francia a proposito
dell'«amor di Patria» confuso dal «fanatismo nazional-socialista» con l'«idolatria della razza e divinizzazione dello
Stato». Il segretario di Stato affermava l'esistenza di due patriottismi: «un patriottismo falso, che fa della Patria una
specie di idolo barbaro assetato di tirannia e di sangue, e il vero patriottismo». Per una compiuta ricostruzione degli
atteggiamenti cattolici in ordine ai concetti di «patria» e «nazione» tra le due guerre cfr. Menozzi 2010.

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

è considerata d'altra parte come sufficientemente rivelatrice delle aberrazioni


ideologiche che i teorici del razzismo, ufficialmente sostenuti e incoraggiati,
pretendono di imporre con tutti i mezzi a 65 milioni di Tedeschi25.

Di nuovo fu «Vita Trentina» ad inserire gli ebrei tra le vittime del razzismo tedesco.
Raccontando la vicenda di due donne prussiane condannate a morte per un delitto intendeva
dimostrare l'insussistenza delle teorie naziste sul sangue e sulla razza:

In omaggio alla nuova divinità razzista si è sferrata la lotta atroce contro gli ebrei
[ma] se due rappresentanti purissime di questo sangue possono macchiarsi del
più volgare dei delitti, il sangue prussiano non ha davvero garanzia di perfezione
spirituale. Il razzismo, dunque, non è nient'altro che idolatria26.

Il 15 settembre 1935 nel discorso conclusivo l'annuale Congresso del partito nazista, Hitler
annunciò i nuovi provvedimenti legislativi antiebraici di cui la Germania si sarebbe dotata, e
che saranno in seguito conosciuti come le "leggi di Norimberga".

Leggi di Norimberga

La Legge sulla cittadinanza stabiliva che erano considerati cittadini del Reich solo coloro
che potevano vantare sangue tedesco, mentre gli altri sarebbero stati privati dei diritti
civili e politici e il loro status equiparato a quello degli stranieri. La Legge per la
difesa del sangue e dell'onore tedesco proibiva i matrimoni e le relazioni extraconiugali
tra ebrei e cittadini tedeschi, vietava agli ebrei di impiegare nelle loro famiglie donne
tedesche al di sotto dei 45 anni e di issare la bandiera tedesca divenuta quella del partito
nazionalsocialista nera, rossa e bianca con la svastica.

Alle nuove leggi antisemite tedesche vennero dedicate poche righe sia da «Vita Trentina» sia
da «La Vita Cattolica». La prima pubblicò un trafiletto sul Congresso nazionalsocialista nella
rubrica Rassegna politica27, che elencava i nuovi provvedimenti legislativi, mentre «La Vita
Cattolica», senza soffermarsi sul contenuto delle leggi, esprimeva ancora una volta il timore
che presto anche i cattolici avrebbero potuto subire tali persecuzioni:

Nei vari discorsi tenuti dal Cancelliere, è stata riaffermata la lotta ad oltranza
contro gli Ebrei, ai quali è stata tolta anche la cittadinanza. Hitler ha poi
dichiarato di non voler combattere il Cristianesimo... Le solite affermazioni
bugiarde. [...] Sono state sciolte le Associazioni Cattoliche del distretto di
Muenster perché accusate di svolgere attività politica. [...] Le solite calunnie di
chi vuol combattere la Chiesa28.

Negli anni successivi, mentre anche in Italia si dava il via alla campagna antisemita, gli articoli
sulla situazione della Chiesa tedesca continuarono, mentre sempre meno spazio venne dedicato
25
Il neopaganesimo razzista giudicato dalla stampa francese, «La Settimana religiosa», 12 maggio 1935.
26
Povero sangue puro..!, «Vita Trentina», 28 febbraio 1935.
27
Rassegna politica, «Vita Trentina», 19 settembre 1935.
28
Il Congresso Nazista, «La Vita Cattolica», 22 settembre 1935.

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

alla persecuzione antiebraica, se non accompagnata da un riferimento alla medesima situazione


in cui si trovavano i cattolici.

L'immagine dell'ebreo nei primi anni di propaganda antisemita in


Italia
Dopo la conquista d'Etiopia e con la diffusione delle teorie razziste anche in Italia ebbe inizio
una fase di propaganda che sfociò nel 1938 nell'emanazione delle prime leggi antisemite29. Si è
visto precedentemente il sostanziale riserbo mantenuto dai settimanali diocesani nei confronti
dell'antisemitismo nazionalsocialista, accompagnato per converso dalla pubblicazione di
articoli che a loro volta contribuivano a diffondere un'immagine negativa degli ebrei. La
campagna antiebraica, che prese l'abbrivio in Italia dalla pubblicazione del libro di Paolo
Orano, Gli ebrei in Italia, e da una sua recensione positiva apparsa su «Il Popolo d'Italia», non
determinò alcun cambiamento di linea della stampa diocesana. Negli esempi che seguono si
nota infatti il perpetuarsi di vecchi e nuovi stereotipi che miravano a confermare l'influenza
nefasta agli occhi della Chiesa che gli ebrei continuavano ad esercitare nella società.

Fin dal primo dopoguerra l'accusa più comune mossa agli ebrei nei settimanali diocesani era
quella di essere stati i responsabili della rivoluzione bolscevica in Russia e della propaganda
e diffusione del comunismo negli altri paesi attraverso la massoneria. Nel 1937, anno in
cui l'episcopato veneto scrisse una lettera pastorale collettiva sul pericolo del comunismo,
che precedette di circa due mesi l'enciclica papale Divini Redemptoris, i fogli diocesani
intensificarono la pubblicazione di articoli che contribuivano a diffondere lo stereotipo
dell'ebreo-comunista [Lazzaretto 2005, 351-373]. «La Vita del Popolo» di Treviso il 28
febbraio 1937 pubblicò due trafiletti tesi a ribadire il legame tra gli ebrei, il comunismo e la
massoneria:

280 volontari francesi sono riusciti a scappare dall'inferno rosso spagnolo.


I «guariti dal comunismo» ne raccontano di cotte e di crude con grande
costernazione della massoneria ebraica francese finanziatrice e aizzatrice dei
rossi.

E poi di seguito:

La polizia polacca ha perquisito molte abitazioni del quartiere ebraico di


Varsavia trovandovi 51 agitatori comunisti russi... gentilmente ospitati dal
ghetto. E poi si lamentano se...30

Il settimanale del patriarcato di Venezia, nel novembre 1937 scriveva:

I campioni della democrazia massonico-ebraica sono in tutto il mondo anche i


campioni del bolscevismo, attraverso il quale il capitalismo fa i suoi affari e le
sue speculazioni. Questo mostruoso connubio del capitalismo col bolscevismo
è ispirato dal comune odio contro Dio31.
29
Il primo provvedimento razzista tout court fu il decreto-legge del 19 aprile 1937, n. 880, Sanzioni per i rapporti
d'indole coniugale fra cittadini e sudditi. Sulle reazioni della Santa Sede alla pubblicazione del decreto si veda Ceci
2010. Sull'emanazione delle leggi razziali in Italia alcune opere di riferimento sono De Felice 1993; Sarfatti 1994;
Matard-Bonucci, 2008; Menozzi, Mariuzzo 2010. Si segnalano inoltre alcuni contributi del numero monografico de
«La Rassegna mensile di Israel», LXXIII/2: Israel 2007; Capristo 2007; Minerbi 2007.
30
Nel mondo, «La Vita del Popolo», 28 febbraio 1937.
31
Più vittime della guerra, «La Settimana religiosa», 28 novembre 1937.

10
Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

Lo stesso giorno usciva il numero de «La Vita Cattolica» di Udine con il medesimo riferimento
al connubio tra «ebrei e comunisti»:

Sempre nuove prove emergono in tutti gli stati della propaganda comunista
spiegata dagli ebrei, che si rivelano i più ostinati e pericolosi fautori del
bolscevismo. Così si annunzia che in questi giorni, dinnanzi al tribunale di
Kielce, in Polonia, sono comparsi trenta comunisti, imputati di propaganda
continuata dell'idea comunista ed atea. Una gran parte degli imputati appartiene
alla comunità israelitica di Polonia. Una volta ebreo era generalmente sinonimo
di massone; ora è, bene spesso, sinonimo di comunista. Il che si equivale32.

Ma un caso particolare che riassume per così dire tutti gli stereotipi e le accuse utilizzate dalla
stampa cattolica contro gli ebrei è offerto da una rubrica curata da don Giuseppe Scarpa33,
pubblicata tra la fine del 1937 e l'inizio del 1938 da «La Settimana religiosa». Gli esempi che
illustrerò mostrano come alla luce di un'analisi storico-critica risulti insufficiente l'assunzione
della sola categoria di antigiudaismo, inteso come antagonismo essenzialmente religioso dei
cattolici nei riguardi degli ebrei. La commistione di temi, accuse e stereotipi del moderno
antisemitismo con le polemiche antigiudaiche di tradizione cattolica, congiunta all'avallo che la
Chiesa diede a un certo tipo di antisemitismo34 tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, spiega
perché si possa adottare la categoria di "antisemitismo "antisemitismo cattolico" [Miccoli 1997
e 2003; Stefani 2004; Berger Waldenegg 2008].

La rubrica di don Scarpa si apriva il 28 novembre 1937 con un articolo intitolato Il


Popolo Giudaico, nel quale il sacerdote dava al lettore una serie di notizie sugli ebrei che
abitavano la Palestina prima della nascita di Gesù. Mettendo in rilievo l'attesa messianica
che caratterizzava la religione ebraica, concludeva che tale speranza «allora, come adesso,
costituisce la stessa ragione di vita della razza giudaica»35. Dall'analisi dei settimanali diocesani
veneti dei primi anni Venti si è potuto constatare che era comune l'utilizzo della parola «razza»
36
da parte degli articolisti cattolici, ma in contesti nei quali essa era da intendersi come
sinonimo di "schiatta" o di "stirpe". Nel caso di don Scarpa invece, con l'espressione «razza
giudaica», impiegata non solo in questo primo articolo ma ripetutamente anche nei successivi,
egli conferì consapevolmente alla sua spiegazione della «questione ebraica» un vero e proprio
connotato razzista, considerata soprattutto la nuova valenza ideologica che il lemma «razza»
aveva assunto a partire dagli anni Trenta. Così fece nell'articolo del 2 gennaio 1938 a proposito
del rapporto tra gli ebrei e il cristianesimo nascente, dove l'uso di «razza giudaica» era alternato

32
Ebrei e comunisti, «La Vita Cattolica», 28 novembre 1937. Il medesimo articolo venne pubblicato dal
settimanale diocesano di Padova esattamente un anno dopo, quando il decreto legge del 17 novembre era già
stato emanato. Cfr. Ebrei e comunisti, «La Difesa del Popolo», 25 dicembre 1938.
33
Don Giuseppe Scarpa fu assistente ecclesiastico della Fuci veneziana e dei Laureati cattolici, docente del seminario
e parroco della chiesa San Salvador [Vian 2003].
34
Si vedano gli articoli di padre Rosa a commento del decreto di condanna da parte del Sant'Uffizio della società Amici
d'Israele, nei quali distingueva tra un antisemitismo moderno non tollerabile e uno invece accettabile, se non addirittura
auspicabile perché cristiano: Il pericolo giudaico e gli «Amici d'Israele», «La Civiltà Cattolica», 79 (1928), vol. II,
335-344; Semitismo e antisemitismo. A proposito del decreto del Sant'Uffizio su «gli Amici di Israele», «L'Avvenire
d'Italia», 30 maggio 1928, 2. Si vedano anche le considerazioni di Miccoli 2000.
35
Nell'attesa del Salvatore, «La Settimana religiosa», 28 novembre 1937.
36
Si veda per esempio un articolo del settimanale diocesano di Padova dove si usavano le espressioni «razze latine»
e «razze tedesche protestanti»: L'ipocrisia di certi giornali, «La Difesa del Popolo», 25 ottobre 1914. Perin 2011b.
Sui diversi utilizzi e significati del lemma «razza», oltre a Maiocchi 1999 e Pisanty 2006, si vedano anche Pogliano
2005, 1-12; Barbujani 2010.

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

a quello di «ebrei di razza»37; anche nell'intervento del 23 gennaio, affermando l'esistenza


di «società segrete» e di «comitati di informazione internazionale» ebraici, asseriva che il
loro unico scopo era «il dominio della razza ebraica sul mondo intero»38. Ma a togliere ogni
dubbio sul carattere razzista dell'interpretazione dell'arciprete veneziano sono i contenuti dei
suoi articoli, l'ultimo dei quali, pubblicato il 27 febbraio 1938, si concludeva con un lapidario
giudizio: «Il giudaismo, dunque, è tutta una questione di razza»39.

Nella sua esposizione Scarpa compiva un'operazione piuttosto diffusa a partire dalla seconda
metà del XIX secolo nella propaganda antisemita della stampa cattolica italiana [Miccoli
1989, 1997 e 2003; Moro 1988, 1992 e 2002], nella quale i principali temi del tradizionale
antigiudaismo cattolico di matrice religiosa e le accuse facenti capo al moderno antisemitismo
sociale erano strettamente intrecciati. Il sistema dottrinale e teologico cattolico che riservava
agli ebrei un posto nell'economia della salvezza, costituiva una sorta di punto di partenza per
attribuire agli ebrei la colpa di tutti i mali che la Chiesa riconosceva nella società moderna.
Seguendo gli articoli del sacerdote veneziano si può notare un crescendo, una sorta di escalation
nell'utilizzo di stereotipi antisemiti proprio a partire da argomentazioni antigiudaiche. Così,
nel secondo articolo pubblicato prima di Natale, Scarpa tracciava le linee fondamentali della
religione ebraica al tempo della venuta di Cristo. Magnificando l'isolamento in cui il mondo
ebraico si era chiuso per difendersi dai pagani, l'autore si rammaricava che il «deplorevole
orgoglio, che ai giudei ha dettato la più turpe resistenza agli insegnamenti di N.S. Gesù Cristo»
aveva finito per «mantenerli isolati attraverso i secoli, irretiti in una fede ormai deviata da cabale
di ogni sorta e da interpretazioni contraddittorie»40. Anche la settimana successiva "l'orgoglio
ebraico" era messo sotto accusa:

l'orgoglio nazionale aveva completamente accecato quel popolo al quale pur si


erano volte le predilezioni divine: così lo stesso orgoglio lo acceca tuttora e,
pure dopo venti secoli di umiliazioni e sofferenze, sta ancora nell'attesa del suo
Messia ideale che lo elevi a fastigi di grandezza e di gloria41.

Nell'articolo del 19 dicembre 1937, dopo aver descritto le «sette e i partiti» di cui era composta
la religione ebraica, ribadiva la condanna di un «popolo che vivrà ramingo in ogni angolo della
terra per esser custode dei libri sacri ed il testimonio perenne della redenzione operata da quel
Cristo che non hanno voluto riconoscere»42. Don Scarpa riassumeva in questi primi testi le
principali argomentazioni antiebraiche della dottrina cattolica – il mancato riconoscimento di
Gesù come Messia, la condanna all'esilio dalla Terra Santa e la presenza degli ebrei nel mondo
come popolo testimone – considerandole come verità storica, una concezione tipica, come ha
messo in luce Mauro Pesce, dell'antigiudaismo cattolico [Pesce 1997, 14]. Nondimeno si deve
notare l'aggettivazione che accompagnava tali assunti, «turpe», «irretito», che accentuava la
rappresentazione negativa degli ebrei.

A gennaio l'arciprete annunciava che da quel momento in avanti si sarebbe addentrato


nell'analisi degli «atteggiamenti recenti del giudaismo». Il 16 dello stesso mese la sua rubrica
portava come titolo: «Esiste una questione giudaica», e fin dalle prime battute veniva chiarito
37
Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 2 gennaio 1938.
38
Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 23 gennaio 1938.
39
Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 27 febbraio 1938.
40
Nell'attesa del Salvatore, «La Settimana religiosa», 5 dicembre 1937.
41
Nell'attesa del Salvatore, «La Settimana religiosa», 12 dicembre 1937.
42
Nell'attesa del Salvatore, «La Settimana religiosa», 19 dicembre 1937.

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

che tale questione «esiste oggi come ha esistito nei secoli passati, e che sussisterà fino al
consumarsi delle generazioni: almeno fino al giorno della conversione degli Ebrei, conversione
che sembra prospettata da numerosi passi scritturali»43. Ma se l'incipit può essere fatto rientrare
ancora una volta nella prospettiva dottrinale cristiana, ciò che seguiva, travalicava l'ambito
religioso per abbracciare invece alcuni dei più diffusi stereotipi antisemiti. Diceva infatti
don Scarpa che attualmente si contavano quindici milioni di ebrei nel mondo, riconoscibili
attraverso i loro tratti somatici e le loro sempre identiche caratteristiche comportamentali e
morali44:

Incremento notevole, specialmente se si tien conto di tante stragi; ma quel che


più conta, è il fatto che si tratta di ebrei autentici, con le loro caratteristiche
somatiche e con la loro struttura intellettuale e morale: aderenti alle loro
particolari credenze, praticanti uno stesso rituale, uniti nella venerazione della
loro Torah: ben persuasi di costituire il popolo eletto, destinato a grandi
ascensioni, protesi nell'attesa del riscatto solennemente promesso da Iaveh.

Nella seconda parte dell'articolo don Scarpa portava a supporto delle sue tesi alcune recenti
pubblicazioni sulle quali vale la pena soffermarsi. Chiedendosi perché in ogni epoca e in ogni
luogo in cui gli ebrei avessero formato una comunità si ponesse una «questione giudaica»,
rispondeva:

Dice argutamente il Belloc – nella sua opera magistrale sugli ebrei – che,
in tutti i paesi, in cui essi sono penetrati, hanno prodotto lo stesso effetto,
che produce un corpo estraneo introdotto in un organismo: una irritazione,
irritazione che ha sempre portato alla necessità dell'espulsione. Così da venti
secoli, si è potuto osservare il seguente fatto: gli ebrei penetrano in un paese,
ed in un primo tempo, riescono, con molta umiltà e discrezione, a consolidare
le proprie posizioni; ma, in un secondo tempo – lasciamo di dirne le ragioni –
finiscono per suscitare contrasti e risentimenti tali, da degenerare al più presto
in lotte violente e a portare a stragi o ad esplusioni di massa. Dal Marocco alla
Spagna fino alle ultime deprecabilissime violenze del Reich la storia è lì per
confermarci l'esistenza di fatto di una questione giudaica generata dalla presenza
degli ebrei. […] I lettori potrebbero consultare le pubblicazioni, uscite nel 1937,
di Paolo Orano, del Levi e del Sottochiesa: sarebbero messi al corrente non solo
dell'esistenza di una questione giudaica, ma anche delle ragioni che valgono a
mantenerla sempre viva, nonché delle proposte, sempre inutili, per eliminarla.

Il libro dell'intellettuale cattolico inglese Hilaire Belloc, Gli ebrei, era stato tradotto in italiano
nel 1934 dalla casa editrice dell'Università Cattolica di Milano. In questo passaggio Scarpa
riassumeva la teoria principale del Belloc, formulata attraverso la metafora dell'«organismo
invaso» da un «corpo estraneo», secondo la quale la civiltà occidentale doveva difendersi
dall'invadenza e prepotenza ebraica [Belloc 1934, 2]. Si vedrà successivamente che il sacerdote
veneziano fece sue e ripropose ai lettori del settimanale cattolico le proposte di Belloc
per risolvere la «questione ebraica». Qui invece invitava chi non fosse ancora convinto

43
Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 16 gennaio 1938.
44
L'iconografia dell'ebreo, attraverso la sua deformazione somatica (naso adunco, labbra spesse, barba) doveva servire
a rappresentare il "nemico" per dimostrarne un'alterità identificabile con l'inferiorità. Su questo tema si veda Pallottino
1994, 17-26.

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Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

dell'esistenza di una «questione giudaica», delle ragioni e delle soluzioni per eliminarla, a
prendere visione delle opere di Paolo Orano, Abramo Levi e Gino Sottochiesa.

Paolo Orano, Abramo Levi e Gino Sottochiesa

La pubblicazione del libro di Orano nell'aprile del 1937 segnò l'apertura su larga scala
della campagna antiebraica nella penisola, annunciando il profilarsi dell'avvento di un
problema ebraico anche in Italia, per la delusione che gli ebrei italiani avrebbero provato di
fronte alla Conciliazione. Insistendo inoltre sul carattere sacro della Palestina e leggendo
quindi il sionismo in chiave antitaliana, Orano introduceva un aspetto che sarà centrale
nei mesi successivi: la propaganda del regime presenterà la propria politica antisemita
sulla linea della tradizione cattolica, che per altro il fascismo si arrogava il merito di aver
riproposto come elemento essenziale dello Stato. Sulle opere di Orano si vedano Miccoli
1989, 187-188; Moro 2003: 281; Battini 2010b. Abramo Levi, con tutta probabilità
uno pseudonimo con cui l'autore simulava di essere ebreo, raccoglieva in Noi ebrei gli
interventi sul libro di Orano nei mesi immediatamente successivi alla sua pubblicazione,
Miccoli 1989, n. 91. Gino Sottochiesa invece faceva parte dei cosiddetti propagandisti
cattolici antisemiti studiati bene da Renato Moro. Collaborò con Telesio Interlandi alle
riviste «Il Tevere», «Quadrivio», «La Difesa della razza», che rappresentavano la corrente
più intransigente del razzismo fascista in senso biologista. Una delle fonti dichiaratamente
e ripetutamente tenuta presente dal Sottochiesa nella stesura del suo libro, Sotto la
maschera di Israele, fu l'opera di Belloc, ma riprendendo e al contempo criticando anche
le posizioni di Orano nel segno di un razzismo più accentuato. Cfr. Israel, Nastasi 1999;
Moro 2003, 287 e passim.

Il fatto che Scarpa indicasse questi nomi tra le letture consigliate è indicativo sia dell'estrema
diffusione che tali pubblicazioni avevano già raggiunto all'inizio del 1938, sia dell'avallo
conferito loro dal mondo cattolico.

La settimana successiva la spiegazione del perché continuasse a sussistere una «questione


giudaica» era fatta risalire dal sacerdote veneziano all'antitesi originaria tra giudaismo e
«civiltà cristiana»: «evidentemente chi aveva combattuto il Cristo non poteva rimanere estraneo
spettatore allo sviluppo dell'opera di Lui». In seconda battuta ripeteva quanto già negli articoli
precedenti aveva sostenuto circa la brama di grandezza degli ebrei che derivava loro dalla
coscienza di appartenere al popolo eletto in virtù dell'antica alleanza con Dio, anticipando in
questo caso però anche un affondo che avrebbe fatto in seguito su un'aspirazione che secondo
il sacerdote portava «necessariamente» alla volontà di dominio:

Da quest'ultima concezione si è generata nell'ebreo la convinzione di una


superiorità sulle altre nazioni: qui probabilmente è la ragione più profonda
dell'insorgere della questione giudaica. Infatti la convinzione di superiorità porta
quasi necessariamente ad una volontà di affermazione, che a sua volta trascende
in una velleità di dominio: tutto ciò provoca, nell'altra parte, delle reazioni, che
possono anche raggiungere la violenza45.

L'articolo continuava con una breve disamina storica in cui l'autore faceva notare che la
conquista da parte degli ebrei della stampa, della cultura, dell'alta finanza, dell'industria e della
45
Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 23 gennaio 1938.

14
Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

politica ovvero dei settori economici e sociali più rilevanti, era iniziata quando furono aboliti i
ghetti e fu estesa agli ebrei l'eguaglianza dei diritti civili:

Ora, dal punto di vista storico, ci è facile osservare, che, quando gli ebrei erano
confinati nei ghetti ed era loro negato il diritto di cittadinanza, le loro velleità
non potevano in alcun modo realizzarsi: tutt'al più si limitavano a tramare
e a preparare i mezzi di un futuro riscatto con la segretezza e con l'astuzia;
ma, quando gli ebrei ebbero l'eguaglianza dei diritti civili nei paesi a civiltà
progredita, ivi le cose cambiarono profondamente. I maneggi usati dagli ebrei
per le loro conquiste divennero palesi e perciò stesso urtanti: la corsa alle
padronanze apparve con evidenza anche ai meno accorti. Infatti come mai una
esigua minoranza – il due per cento – quale è quella rappresentata dagli ebrei,
poteva essere riuscita ad impadronirsi delle agenzie internazionali della stampa
così da poter dominare la pubblica opinione? e come mai il giudaismo era
riuscito ad avere il dominio dell'alta finanza così da poter controllare le più
grosse industrie ed i trust delle materie prime? La più semplice spiegazione era
dato trovarla nella formidabile capacità commerciale degli ebrei sorretta da una
intelligenza pronta a tutte le astuzie ed a tutti gli accorgimenti: tuttavia, per la
ragione dei contrari, era ben difficile ammettere una così umiliante conclusione;
ed ecco allora le denunzie di intrighi loschi e di manovre disoneste: ecco le
denunzie di società segrete e di comitati di informazione internazionale, miranti
tutti ad un unico scopo: il dominio della razza giudaica sul mondo intero. [...]
Quanti seggi di primo ordine occupati da ebrei! Cattedre nelle università, posti
di comando nei governi, cariche direttive nella politica…tutto erano riusciti a
conquistare! Non si seppe, non si volle, o non si poté opporsi a tante ascensioni,
non si aveva la percezione del vero pericolo, non si era capito a cosa gli ebrei
miravano.

Ulteriori accuse, come si è visto, con una consolidata tradizione nella stampa diocesana
veneta, erano quelle che seguivano: il sospetto che la prima guerra mondiale fosse stata
voluta dall'ebraismo internazionale, e la convinzione che gli ebrei fossero responsabili della
rivoluzione bolscevica in Russia. Lo scopo, secondo don Scarpa, era sempre il medesimo, quello
di rovesciare l'ordine cristiano e sostituirvi il dominio ebraico:

La grande guerra […] ci ha rivelato in pieno la potenza dell'organizzazione


giudaica. Non vogliamo discutere se tale guerra fu voluta dall'alta industria
giudaica, ma, quel che oramai è fuori discussione, è l'origine del bolscevismo
sovietico. La pace separata tra la Russia e la Germania, lo scoppio della
rivoluzione nel grande impero degli czar e tutta la conseguente propaganda
bolscevica, sono state e sono tuttora un prodotto del giudaismo. I grandi capi
rivoluzionari erano ebrei – per quanto cammuffati di nome – e, se non erano
ebrei, erano almeno controllati dalla internazionale giudaica: tutto questo è fuori
discussione.

Un intero articolo a febbraio fu invece dedicato a I Protocolli dei Savi di Sion, annunciato da
don Scarpa come un libro attraverso il quale era possibile «avere una visione anche più chiara
dei piani giudaici per il dominio di Sion»:

Il libro ci mette al corrente di un piano estesissimo e completo per rovesciare,


con mezzi veramente diabolici, la civiltà cristiana e stabilire sulle sue rovine il

15
Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

regno di Sion. […] Si parte da un presupposto: il giudaismo è oramai in possesso


di tutta la ricchezza mondiale; e, poiché l'oro è il grande mezzo per tutte le
conquiste e per tutte le corruzioni, ecco che il giudaismo non ha che ad applicare
la sua larga esperienza per trarre dalla ricchezza il sistema atto a realizzare i
suoi ideali. Ecco alcuni capisaldi del sistema. Impadronirsi della stampa […] in
modo da poter controllare la pubblica opinione. Rovinare la proprietà fondiaria
[…]. Abbattere le industrie in mano dei cristiani […] Provocare la degenerazione
nelle masse popolari così dal lato fisico come da quello morale, seminando con
ogni mezzo la corruzione e fomentando le passioni. Favorire le ribellioni a tutte
le aristocrazie preparando l'anarchia generale. Creare e sostenere opinioni le più
disparate, così da determinare il disorientamento. Combattere con ogni mezzo
contro il clero […]. Seminare le discordie tra i popoli, provocando le guerre ed
incrementando gli armamenti, così da depauperare le nazioni e da gettarle in
preda all'alta finanza giudaica, la quale finirà per impadronirsi di tutte le loro
risorse e per essere arbitra dei loro destini. Quando tutto sarà divenuto anarchia,
ed i popoli saranno nella disperazione allora la belva, che stava in agguato e
che tutto aveva in forma subdola preparato, uscirà dal suo nascondiglio, e si
impadronirà di tutto il mondo, stabilendo così il regno di Sion. Questi brevi
accenni non possono dare che una pallida idea del contenuto diabolico dei
protocolli, nei quali il popolo cristiano è trattato col più profondo disprezzo,
dove la superiorità giudaica è messa in evidenza con l'orgoglio più spudorato46.

La storia dei Protocolli, la cui traduzione italiana nel 1921 fu opera di due personalità del
mondo cattolico, mons. Benigni e Giovanni Preziosi, è stata ricostruita e approfondita da
un'abbondante letteratura [Cohn 1969; Moro 2002, 58-75; De Michelis 2004.], ma ciò che
preme sottolineare è la conclusione cui arrivava l'arciprete veneziano, il quale affermava che,
sebbene la loro autenticità fosse stata messa in dubbio, essi rispondevano pienamente ad una
«mentalità delineatasi nel giudaismo»:

Gli avvenimenti degli ultimi anni potrebbero confermare la tesi: l'arrembaggio


degli ebrei a tutti i poteri, la loro ricchezza, il loro dominio dell'industria e
della finanza, le rivoluzioni scatenate in Russia, nell'Ungheria e nella Spagna,
e capeggiate tutte da ebrei, che hanno anche avuto l'astuzia di camuffare i loro
nomi di origine evidentemente giudaica: tutto questo ci raccomanderebbe di
stare bene in guardia, e di tenere gli occhi bene aperti. Usando con gli ebrei
molta carità, come ci prescrive la nostra santa religione, badiamo di guardarli
bene in faccia, e di non lasciarci sedurre dalle apparenze: sappiamo per fede che
il regno di Sion non potrà stabilirsi più oltre sulla terra […]. E con la Chiesa
preghiamo pro perfidis iudaeis.

A partire dal mese di giugno del 1938 «La Documentation catholique» pubblicò un'aspra
polemica sorta tra il padre gesuita Charles e H. de Vries de Heekelingen, professore
dell'Università cattolica di Nimega, proprio sui Protocolli: il primo li considerava
incontestabilmente un falso, il secondo sosteneva la tesi che fossero sostanzialmente autentici
[Miccoli 2000b, 548-549]. Sebbene le argomentazioni dell'uno e dell'altro siano state riprodotte
dalla rivista cattolica soltanto nei mesi successivi la pubblicazione dell'articolo di Scarpa, la
polemica non era nuova, al contrario fu innescata proprio da «La Documentation catholique» in
46
Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 6 febbraio 1938.

16
Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

concomitanza con la pubblicazione del primo estratto dei Protocolli in Europa occidentale nel
marzo 1920 [Moro 2002, 60]. Al prete veneziano, ben informato sulla pubblicistica antisemita,
non era evidentemente sfuggito questo dibattito, all'interno del quale si schierò dalla parte di
chi prevedeva un piano diabolico dell'ebraismo internazionale per estendere il proprio dominio,
agendo, come sottolineava nel suo articolo, per tentare di scardinare l'ordine cristiano nelle
società europee.

Nell'articolo successivo elencava dunque i metodi principali per trovare una soluzione al
«problema giudaico», seguendo uno schema utilizzato da Belloc:

1-DISTRUZIONE: diciamo subito che si tratta di una utopia; le stragi sferrate


lungo i secoli hanno designato una intenzione locale, ma non hanno mai avuto il
carattere della universalità: d'altra parte siamo persuasi che la razza giudaica non
si potrà distruggere, perché la sua esistenza è legata alla storia della rivelazione,
e gli ebrei dovranno vivere per essere i testimoni perenni della redenzione.
2-ESPULSIONE: anche in questo caso il provvedimento non ha avuto e non
poteva avere carattere generale e, di conseguenza, gli ebrei, espulsi da un paese,
migravano in un altro. Così anche recentemente dalla Germania sono passati in
Francia e in Italia, ed ora cacciati dalla Romania troveranno altrove un rifugio. 3-
SEGREGAZIONE: ed ecco la costituzione dei ghetti governati da regolamenti
particolari. Ma gli ebrei, pur segregati e privati delle libertà concesse agli altri
cittadini, non saranno impediti di svolgere le loro attività di razza, e forse,
potranno ancor meglio valersi di quell'arma della segretezza, che è per noi la più
pericolosa e la più irritante47.

I sistemi fin qui elencati però, non potevano essere considerati validi dal prete veneziano perché
contrari alla carità cristiana, al contrario di quelli che seguivano, più rispondenti ai fondamenti
religiosi cattolici. Ad ogni modo nessuna delle prospettive del Belloc sembrava soddisfare
Scarpa, perché a parer suo finché continuava a sussistere la «razza ebraica» non sarebbero
venute meno le sue aspirazioni di dominio:

1-ASSORBIMENTO: che può avvenire per assimilazione della cultura cristiana


o meglio per conversione degli ebrei: ma l'esperienza dei secoli non ci lusinga
in proposito. È tanto improbabile la assimilazione attraverso la cultura, che
possiamo dire sia avvenuto piuttosto l'opposto fenomeno: si sa come gli
ebrei si siano serviti della cultura proprio, come uno dei mezzi più efficaci
per esercitare il loro predominio: è significativo ed esilarante in proposito
un capitolo del «Gog» di Papini, ed a quello rimandiamo il lettore. […] 2-
RICONOSCIMENTO: leale degli ebrei attraverso un accomodamento pacifico
con essi, ed è la tesi propugnata con tanto calore dal Belloc: ma, a dir vero, non
ho mai potuto capire come il Belloc, perfettamente inglese, si sia lasciato illudere
in tal modo da una tesi, che, in pratica, non può avere attuazione finchè, durando
la razza ebraica, durano anche le aspirazioni alle quali essa non può rinunciare.
3-CREAZIONE DI UNO STATO GIUDAICO: ed è l'attuale esperimento del
«Sionismo».

Il sionismo fu l'argomento trattato nel numero del 20 febbraio. Su questo tema si è visto in
precedenza come Scarpa avesse accolto le tesi di Orano, ma in aggiunta, attraverso la teoria
47
Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 13 febbraio 1938.

17
Perin, Antisemitismo nella stampa diocesana - Storicamente 2011

della «sostituzione», egli spiegava le motivazioni teologiche per cui la Chiesa cattolica non
avrebbe mai potuto acconsentire alla creazione di uno stato ebraico in Palestina:

Noi cristiani potremo rimanere tranquilli di fronte al fatto che i Luoghi Santi
siano proprio in mano a quella razza, che ha crocefisso il Maestro, e che ha
sempre profondamente odiato il cristianesimo? Potranno gli ebrei, più che i
musulmani, darci garanzia di rispetto per quelle terre benedette [...]? E se
l'ondata di sdegno contro i musulmani ha saputo provocare le Crociate, staremo
noi inerti di fronte al pericolo nuovo, ma non certo minore dell'antico? Ma
del resto è inutile prolungarci in ulteriori considerazioni: la parola divina sta,
immutabile, ad assicurarci che il Regno di Sion fu per sempre distrutto. Così
potremo concludere che il Sionismo rappresenterà, nella storia giudaica, un
esperimento fallito48.

Nelle battute finali del suo ultimo articolo don Scarpa ribadiva a chiare lettere un concetto
emerso in tutti i testi della sua rubrica: «il giudaismo, dunque, è tutta una questione di razza
[...] il giudaismo ora per noi rappresenta una razza e non una religione»49. La spiegazione
dell'incapacità di risolvere la «questione ebraica» tornava poi ad essere di natura religiosa: il
«miracolo» compiuto da Dio di mantenere in vita il popolo ebraico nei secoli obbediva ad un
disegno provvidenziale, «è avvenuto un induramento in una parte di Israele e ciò finché non
sarà entrata la totalità dei Gentili: allora Israele si salverà...». Ma di nuovo i temi teologici
finivano per essere corroborati da stereotipi antisemiti: «Di fronte al mistero di Dio noi ci
chiniamo riverenti, consci tuttavia, che, da tale mistero, non deriva l'altro fatto che si debba
sopportare l'arrembaggio degli ebrei a tutte le cariche, a tutti i poteri, ed a tutte le conquiste».
Per questo, chiudeva don Scarpa, «sottoscriviamo in pieno – e lo facciamo soprattutto per quel
senso di carità e di giustizia che devono animare tutti i nostri atteggiamenti – la nota ufficiosa
apparsa in questi giorni in Italia e che ci sembra piena di equilibrio». Il riferimento era alla
sopraggiunta Informazione diplomatica n. 14 del 16 febbraio 1938, che se per un verso era intesa
a smentire ufficialmente che il regime fascista stesse per inaugurare una politica antisemita,
dall'altro avvertiva che il governo si riservava di vigilare affinché «la parte degli ebrei nella
vita complessiva della Nazione, non risulti sproporzionata ai meriti intrinseci dei singoli e alla
importanza numerica della loro comunità» [Fabre 2007, 46]. Era dunque il primo passo verso
l'adozione di una legislazione razziale anche in Italia.

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48
Dopo la venuta del Salvatore, «La Settimana religiosa», 20 febbraio 1938.
49
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23
ASE 27/1(2010) 189-232

Cristiana Facchini
Le metamorfosi di un’ostilità antica.
Antisemitismo e cultura cattolica
nella seconda metà dell’Ottocento

I. INTRODUZIONE

Qualche anno fa apparvero, in importanti giornali italiani, alcune


vignette sbalorditive.1 Era il periodo della “seconda Intifada”, e in con-
comitanza ai fatti di Betlemme Giorgio Forattini, noto vignettista, uscì
con immagini che facevano ampio ricorso ai tópoi della simbologia
antiebraica cristiana. Quello di Forattini non fu di certo l’unico caso,
ma fu sicuramente il più eclatante, dal momento che le sue vignette
trovarono spazio, in contemporanea, su un quotidiano di tendenza
politica moderata e di grande tiratura nazionale come «La Stampa» di
Torino (peraltro di orientamento filo-israeliano), e su un settimanale
politico come «Panorama», tra gli organi di riferimento della coali-
zione di centrodestra. Le vignette furono ben presto interpretate come
segnale di un emergente antisemitismo europeo, alla pari di analoghe
espressioni, apertamente antiebraiche, che costellano la stampa araba
e musulmana.2
Esaminiamo due vignette note: a) la prima – dal titolo Carri armati
alla mangiatoia – rappresenta Gesù bambino nella mangiatoia e un carro
armato israeliano con la stella di David. Gesù dice: «Non vorranno mica
farmi fuori un’altra volta!» (“La Stampa”, 3 aprile 2002); b) nella secon-
da appare papa Wojtyła crocifisso che dice: «Ma come?! Sparate sulla
casa dove nacque il mio Dio, sparate sul suo sepolcro, fate il tirassegno
contro la stalla di sua madre, terrorizzate i miei sacerdoti e le mie suore,

1
Questo saggio rielabora e arricchisce una ricerca di carattere generale su chiesa cattolica ed
ebrei pubblicato nel 2004. Cf. C. Facchini, L’atteggiamento della chiesa e della stampa cattolica
nei confronti di ebrei ed ebraismo. Un catalogo di fonti: 1878-1962, Bologna, Baiesi, 2004.
2
J. Kotek – D. Kotek, Au nom de l’antisémitisme. L’image des Juifs et d’Israël dans la
caricature depuis la seconde Intifada, Bruxelles, Éditions Complexe, 2003.

189
per far fuori quattro straccioni palestinesi... E se io protesto mi date
dell’antisemita??!!» (“Panorama”, 13 dicembre 2002).3 Sono vignette
che hanno avuto una certa risonanza, perché apparse su prestigiosi pe-
riodici e quotidiani italiani. Cosa si può dedurre da queste vignette, che,
pur intrise della mordacità della rappresentazione satirica, dovrebbero
essere improntate all’ironia? Se ne deduce anzitutto la presenza di un
immaginario marcato dall’idea di una continuità fra israeliani contempo-
ranei e antichi ebrei nei tradizionali reati del deicidio e dell’infanticidio.
In altri termini gli israeliani, in quanto ebrei, sarebbero naturalmente e
collettivamente inclini al deicidio. È un Gesù bambino – icona classica
della devozione controriformista – che ricorda al lettore di essere stato
ucciso già una volta dagli ebrei: solo che in questo caso rischia di essere
ucciso in quanto bambino. Se decostruiamo questa immagine vi possia-
mo rintracciare non soltanto una netta allusione all’accusa cristiana di
deicidio rivolta al popolo ebraico nel suo complesso, ma al tempo stesso
il riemergere dell’imputazione, così diffusa dal medioevo e viva ancora
nel secolo passato, della pratica di infanticidio, da cui prese corpo la
variante dell’omicidio rituale.4
Nella seconda vignetta le allusioni sono di altro genere: centrale è
qui la formula simbolica della crocifissione dei cristiani da parte degli
ebrei – in questo caso nella forma di cittadini dello Stato di Israele –,
tanto più forte in quanto giocata sull’immagine-simbolo di papa Gio-
vanni Paolo II, papa “buono”, promotore del dialogo ebraico-cristiano
e autore di più di una celebre richiesta di scuse per le vittime passate
dell’intransigenza della Chiesa. Lo schema di questa immagine rimanda
subito all’immaginario cui attingevano i periodici antisemiti degli anni
Trenta e Quaranta: lo “Sturmer”, il più noto fra i periodici nazisti, fece
propria la raffigurazione di un giovane “ariano” biondo crocifisso; lo
stesso accadeva nella famigerata “Difesa della razza” di Telesio Inter-
landi. Anche nel caso di questa vignetta di Forattini, dunque, è attiva
la fonte simbolica più radicata nell’immaginario occidentale cristiano,
quella del deicidio nella specie della crocifissione. Si tratta di passaggi
impliciti: il papa, vicario di Cristo in terra, è assunto a personificazione
del «Christus patiens». E con lui tutta la gerarchia della Chiesa mi-
litante: preti, frati, suore sono minacciati dagli ebrei/israeliani (nello
specifico, a dettare questa vignetta fu il caso dell’assedio della Chiesa
francescana della Natività di Betlemme, dove si erano rifugiati alcuni
guerriglieri palestinesi), con l’aggravante della polemica attorno all’ac-

3
Immagini tratte da Kotek–Kotek, Au nom..., 111-12.
4
Per una visione d’insieme rimando a: F. Jesi, L’accusa del sangue. La macchina
mitologica antisemita, Bollati Boringhieri, Torino, 2007 2; J. Frankel, The Damascus Affair.
“Ritual Murder”, Politics, and the Jews in 1840, Cambridge, Cambridge University Press,
1997; R. Taradel, L’accusa del sangue. Storia politica di un mito antisemita, Roma, Editori
Riuniti, 2002.

190
cusa di antisemitismo, l’arma ideologica che, dopo la Shoà, gli “ebrei”
brandirebbero contro ogni loro “nemico”.
In esse riaffiorava con chiarezza, anche ad uno sguardo superficia-
le, l’antica immagine apologetica della Chiesa crocifissa, della Chiesa
impossibilitata a difendersi, tipica della pubblicistica cattolica del pri-
mo Novecento; ed emergeva quel diffuso senso di insofferenza, tipico
degli ambienti cattolici più conservatori, nei confronti del processo di
autocritica avviato a Roma, con fatica, a partire dal Concilio Vaticano
II, e accelerato in prossimità del Giubileo del 2000.
Non è possibile, in questa sede, soffermarsi lungamente sull’ana-
lisi di quelle immagini, ma occorre ricordare che la vignetta satirica
richiede particolari cautele ermeneutiche. Essa condensa e semplifica
immagini e discorsi condivisi: è una narrazione di carattere mitico,
che dà corpo a discorsi generali ed astratti, personificando a un livello
immediato e “popolare” la percezione del ridicolo. Per questo motivo,
le vignette possono esprimere molti elementi della cultura in cui sono
inserite. Le vignette – come ha scritto Ernst Gombrich – utilizzano un
apparato metaforico tendenzialmente condiviso, e pertanto “naturale”.
La vignetta rimane efficacemente “satirica”, volta cioè ad amplificare
i tratti essenziali di un discorso, soltanto se stereotipizza sulla base
di un linguaggio condiviso, suscitando al contempo scalpore, se non
addirittura ribrezzo e scandalo: altrimenti non sarebbe propriamente
“satira”.5
Nel caso in questione, di fatto, Forattini riduceva a uno schema
semplicistico il conflitto israelo-palestinese, banalizzando la complessità
della situazione in uno schema ideale, costruito attorno ai poli signifi-
canti del rapporto ebrei-Cristo, del deicidio, della Chiesa perseguitata,
dell’infanticidio. Il conflitto mediorientale veniva così trascritto nel sem-
plicistico alfabeto dell’iconografia religiosa: e quest’ultimo, a sua volta,
ricalcava formule ampiamente radicate nell’immaginario antisemita. Ma
quello di Forattini, come si è detto, non è stato un caso isolato, in Italia.
Anche più recentemente, nel dibattito politico, sono emerse immagini
segnate da una forte ideologizzazione di stampo antisemita, che in altri
paesi europei susciterebbero una pubblica condanna. Basti pensare alle
interviste e agli articoli di Gianni Vattimo, importante studioso e filosofo
«gauchiste», nonché padre del “pensiero debole”, che negli ultimi anni
sembra adottare un atteggiamento di compiaciuta militanza antisemita,
da lui definita antisionista. Va poi notato che Vattimo, tornato ultima-
mente al massimalismo dei padri, è anche dichiaratamente cattolico.
Ossia è espressione di un certo incontro tra cattolicesimo ed ideologie

5
Per tutte queste questioni rimando ad alcuni classici: E.H. Gombrich, A cavallo di un
manico di scopa. Saggi di teoria dell’arte, Torino, Einaudi, 1973, in particolare pp. 192-215;
Idem, Arte e illusione, Torino, Einaudi, 19622, in particolare 401-36.

191
di sinistra, ben radicate in Italia e nel mondo di lingua e cultura spagnola
e francese, culla non di rado di una diffusa ostilità nei confronti di ebrei
ed ebraismo, sintetizzati oramai in un generico Israele. Si potrebbero
citare, infine, le vicende relative alle sortite del vescovo Robert Wil-
liamson sulla Shoà, le quali non fanno che portare alla luce il profondo
sottobosco antisemita che preme all’interno del mondo cattolico.
Ciò che si richiede allo storico, in questo momento, è allora una
spiegazione della permanenza di queste immagini e concezioni, che si
presentano come veri e propri «survivals», “arcaismi” mai apertamente
discussi, della mentalità collettiva italiana. Accanto all’accettazione
acritica di immagini non solo antisemite, ma perfino razziste (nel senso
più ampio del termine), permane inoltre imperituro e inamovibile il
mito del “buon italiano”. Com’è possibile che intellettuali di rilievo
nazionale e internazionale sentano la necessità, a intervalli regolari, di
appropriarsi di un viscerale antisemitismo, facendo pubblica esibizio-
ne di esso? E da dove deriva tanto “odio simbolico”, tanta riluttanza
all’analisi razionale e distaccata di fenomeni culturali e politici così
complessi?
Partendo da un semplice obiettivo, quello di offrire un quadro ge-
nealogico e morfologico degli atteggiamenti della chiesa cattolica nei
confronti di “ebrei ed ebraismo”, a partire dall’Ottocento e fino agli
anni del “razzismo di Stato” fascista,6 mi sono imbattuta in una serie di
problematiche metodologiche e teoriche che rendono particolarmente
complessa e difficoltosa la trattazione del tema.
Innanzitutto, quando si parla di storia della Chiesa, sarebbe dove-
roso precisare meglio l’oggetto d’indagine: la storia della Santa Sede,
la storia delle chiese locali, la storia della mentalità cattolica che ha
segnato il lungo periodo e che ha formato le mentalità collettiva, sono
tutte storie differenti, che richiedono trattazioni specifiche e metodi
diversificati. Di cosa parliamo, effettivamente, quando affrontiamo il
problema del rapporto tra Chiesa ed ebrei? Cerchiamo di fare storia
dell’antisemitismo? E se sì, che differenza esiste, allora, tra antise-
mitismo e antigiudaismo? E quando parliamo di antisemitismo, ci
riferiamo ad un fenomeno preciso e circoscritto, che ha una sua data

6
Le ricerche sono state condotte presso l’Università di Bologna, dirette da Mauro Pesce e
altri membri del Cisec, il Centro Interdipartimentale di studi sul cristianesimo ed ebraismo che
aveva sede presso la Facoltà di Scienze Politiche di Bologna. Le ricerche di quegli anni hanno
prodotto una serie di tesi centrate sull’analisi di fonti a stampa e sul reperimento di materiali
archivistici di chiese locali, soprattutto per il periodo del fascismo. Gli articoli, che sono stati
riordinati con criterio cronologico erano apparsi in pubblicazioni periodiche, quotidiani, bollettini
ecclesiastici e parrocchiali e affrontavano questioni inerenti alla storia dell’ebraismo, dell’antise-
mitismo, del sionismo e del razzismo, coprendo un arco cronologico che va dagli ultimi decenni
dell’Ottocento fino al Concilio Vaticano II, per addensarsi nel periodo delle leggi razziali, durante
gli anni del periodo fascista. Per una catalogazione di articoli e materiali documentari cf. C.
Facchini, Chiesa cattolica ..., 100-241.

192
di nascita, o per antisemitismo intendiamo un’ideologia proteiforme,
veicolata da secoli di insegnamento cristiano antiebraico? E a qua-
le insegnamento cristiano intendiamo riferirci, a quello cattolico o a
quello delle confessioni protestanti? E in che modo i due insegnamenti
differiscono? E il cosiddetto “insegnamento del disprezzo”, per utiliz-
zare una formula suggestiva,7 come andrà affrontato? Con un approc-
cio di storia delle idee, o con un approccio che privilegi il rapporto
tra i discorsi e l’uso politico e sociale dei discorsi? E a quel punto,
che rapporto supporremo esistente, fra i discorsi e le immagini da
una parte, e le pratiche sociali, politiche e giuridiche dall’altra? Tutti
questi interrogativi non sono irrilevanti, e la loro risposta non potrà
che dipendere da un approccio metodologico disposto a rimettersi in
discussione, e a rimettere in discussione le impostazioni di ricerca
precedenti e correnti.

II. ANTISEMITISMO E ANTIGIUDAISMO

I «media» si trovano spesso a veicolare immagini e discorsi sostan-


zialmente ancorati alle forme dell’immaginario antiebraico di prove-
nienza cattolica e cristiana, ma queste immagini, in genere dotate di
una lunghissima storia, non indicano necessariamente la presenza di una
cultura antisemita profonda e radicata. Si potrebbe perfino supporre un
legame intrinseco fra queste immagini e la tradizione dell’antigiudaismo
classico, di matrice teologica.
Pertanto, quando si affronta il problema dell’atteggiamento della
chiesa cattolica nei confronti di ebrei ed ebraismo, è opportuno pre-
mettere alcune considerazioni sul significato dei termini antisemitismo
e antigiudaismo, tenendo conto dei più recenti sviluppi del dibattito sto-
riografico. Lungi dall’essere una forma di nominalismo fine a se stesso,
il dibattito su questi due termini non indica soltanto il posizionamento
politico degli studiosi coinvolti in esso, ma riflette anche lo stato con-
fusionale che si è ingenerato in questi ultimi anni.8 Per lo storico della

7
Da attribuire a J. Isaac: J. Isaac, L’enseignement du mépris, Paris, Éditions Fasquelle,
1962. Sull’opera dell’intellettuale ebreo francese si veda: A. Kaspi, Jules Isaac ou la Passion
de la Vérité, Paris, Plon, 2002.
8
Gli studiosi che per primi si sono occupati di questi argomenti hanno posto la questione
trovando delle formule e delle soluzioni che non sono a mio avviso risolutive. Di recente la
casa editrice Laterza ha pubblicato un libro di P. Stefani, Antigiudaismo. Storia di un’idea,
Roma - Bari, Laterza, 2004, che non tiene alcun conto degli aggiornamenti delle ricerche su
questo tema, almeno per l’età contemporanea. Si vedano alcune riflessioni recenti anche in M.
Nani, Ai confini della nazione. Stampa e razzismo nell’Italia di fine Ottocento, Roma, Carocci,
2006 e I. Pavan, “L’impossibile rigenerazione. Ostilità antiebraiche nell’Italia liberale”, Storia
e problemi contemporanei, 22 (2009) 35-63 (in part. 39-41); una riflessione interessante, che
registra il problema legato all’uso del lemma “antisemitismo” su cui tornerò in altra sede si trova

193
Chiesa, sarebbe una prova di grave ingenuità e di irresponsabilità non
prestare attenzione alle parole, a ciò che esse veicolano, o alle categorie
che attorno ad esse vengono costruite, soprattutto volgendosi all’analisi
di una cultura, come quella religiosa di tradizione biblica, che pone da
sempre una grande attenzione alla parola. Non è forse sulle parole, e
sulla loro interpretazione, che si consumano straordinari conflitti religio-
si? Sarebbe inoltre ingenuo, dal punto di vista dello storico, non com-
prendere la densità del pensiero religioso che si cela dietro alla scelta e
all’uso di determinate parole, di concetti, di categorie che plasmano la
realtà, e che da essa vengono plasmate.
In secondo luogo, un’indagine terminologica preliminare si rende
necessaria a motivo di un atteggiamento tipicamente italiano, per cui
si tende a una progressiva differenziazione fra i due termini, in quanto
generatori di significati storici distinguibili: antisemitismo e antigiudai-
smo, in tal senso, descriverebbero due fenomeni storici con caratteristi-
che completamente diverse.
Infine, come corollario alle precedenti affermazioni, l’urgenza sto-
riografica di porre ordine tra i due concetti è determinata altresì da un
esame attento delle posizioni assunte dalla Pontificia Commissione per
le relazioni religiose con l’ebraismo, nel documento «Noi ricordiamo:
Una riflessione sulla Shoah», pubblicato nel 1998, in merito alla re-
sponsabilità e al ruolo della chiesa cattolica rispetto all’antisemitismo
e allo sterminio degli ebrei. Non essendo possibile commentare l’intero
documento – cosa che sarebbe d’indubbio interesse –, mi riservo di
indicarne alcuni punti significativi ai fini della presente discussione. Il
documento afferma ad esempio che:
a) «La relazione della Chiesa con il popolo ebraico è diversa da quella
che condivide con ogni altra religione. Non è soltanto questione di
ritornare al passato. Il futuro comune di ebrei e cristiani esige che noi
ricordiamo, perché “non c’è futuro senza memoria”. La storia stessa
è “memoria futuri”».

b) «Entro la fine del diciottesimo secolo e l’inizio del diciannovesimo,


nella maggior parte degli Stati gli ebrei avevano generalmente raggiun-
to una condizione di parità rispetto agli altri cittadini, e un certo numero
di essi occupava posizioni influenti nella società. Ma in quello stesso
contesto storico, e in particolare nel diciannovesimo secolo, prese piede
un nazionalismo esacerbato. In un clima di mutamenti sociali decisivi,
gli ebrei venivano spesso accusati di esercitare un’influenza ecces-
siva rispetto al loro numero, e cominciò a diffondersi in gran parte
dell’Europa un antigiudaismo con connotazioni più sociologiche e
politiche che religiose».

c) «Nello stesso periodo, cominciarono ad apparire delle teorie che

in G.Ch. Berger Waldenegg, Antisemitismo. Diagnosi di una parola, Firenze, Giuntina, 2008.

194
negavano l’unità della razza umana, affermando una originaria dif-
ferenza delle razze. Nel XX secolo, il nazionalsocialismo in Germa-
nia usò tali idee come base pseudo-scientifica per una distinzione tra
le così dette razze nordico-ariane e presunte razze inferiori. Inoltre,
una forma estremistica di nazionalismo fu stimolata in Germania dalla
sconfitta del 1918 e dalle condizioni umilianti imposte dai vincitori, con
la conseguenza che molti videro nel nazionalsocialismo una soluzione
ai problemi del Paese e perciò cooperarono politicamente con questo
movimento».

d) «Non si può ignorare la differenza che esiste tra l’antisemitismo,


basato su teorie contrarie al costante insegnamento della Chiesa circa
l’unità del genere umano e l’uguale dignità di tutte le razze e di tutti
i popoli, ed i sentimenti di sospetto e di ostilità perduranti da secoli
che chiamiamo antigiudaismo, dei quali, purtroppo, anche dei cristiani
sono stati colpevoli».9
La conclusione del documento parrebbe indicare, per lo meno
nella parte (d), l’irriducibilità dell’antisemitismo razziale del nazismo
all’antigiudaismo di matrice cristiana: la sua genealogia proverrebbe
da un luogo “altro”, col quale la cultura cristiana non avrebbe alcun
contatto; questa forma di ostilità antiebraica, divenuta genocida, non
sarebbe stata affatto influenzata da forme storiche di ostilità rubri-
cabili col termine di “antigiudaismo”, di cui certamente sarebbero
colpevoli anche dei cristiani. Quel “dei”, d’altra parte, indica chiara-
mente singoli cristiani, alcuni cristiani, ma non il cristianesimo nelle
sue strutture e nelle sue complesse articolazioni culturali e religiose,
o forse ancora, come suggeriscono altri, è l’inerranza della Chiesa
a non potere essere messa in discussione. Ciò che ha condotto allo
sterminio ebraico non dipenderebbe pertanto dalla tradizione cul-
turale della Chiesa, la quale al contrario si sarebbe sempre opposta
alle ideologie razziste in nome di una fondamentale unità del genere
umano. Antigiudaismo (religioso) e antisemitismo razziale sarebbero,
dunque, due fenomeni differenti, senz’alcun nesso reciproco: il primo,
in definitiva, sostenibile per quanto esecrabile; il secondo vera causa
della Shoà.
Volgiamo ora lo sguardo su un altro testo, sempre di provenienza
cattolica. Il lemma “antisemitismo” viene così sintetizzato:
«Termine assai improprio, coniato circa nel 1870 in Germania per
esprimere avversione in genere (sia religiosa, sia razziale, sociale,
politica) contro gli Ebrei. L’esclusivismo religioso e nazionalistico
da questi professato, la rivalità economica sorta dal fenomeno della
concentrazione della ricchezza e del commercio in mani ebraiche,

9
I corsivi sono miei. Il documento si può leggere integralmente nelle pagine di documen-
tazione del sito www.sidic.org. Il documento è menzionato e discusso anche in: D. Kertzer, I
papi contro gli ebrei, Milano, BUR, 2004, 12-13; G. Miccoli, In difesa della fede. La Chiesa di
Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, Milano, Rizzoli, 2007, 197-222.

195
fanno datare l’A. fin dall’antichità classica, già radicatissimo nel
popolo minuto. In epoca cristiana, specie medievale, i precedenti
dell’odio anticristiano e la necessità di tutelare l’integrità della fede,
imposero un atteggiamento di diffidenza e di difesa che, per quanto
mai ispirato, nella mente della Chiesa, da pregiudizi sociali o razziali,
era pur fatale sfociasse in episodi, anche assai gravi, d’intolleranza e
di persecuzione religiosa (distruzione di libri sacri, massacri, espul-
sioni, isolamento, minorazione giuridica), cui la società laica spesso
indulse e di cui le provocazioni degli stessi Ebrei furono spesso mo-
tivo. L’emancipazione ottenuta dagli Ebrei a datare dalla Rivoluzione
Francese coincide con le vere teorizzazioni dell’A.: così nel mondo
slavo, in genere, si fissa l’A. teologico (= popolo ebraico incarnazione
del male) che porterà ai terribili pogrom. Nella Russia bolscevica
l’A. come fattore di lotta anticapitalistica, in Germania e in Austria
l’A. razziale e quello dei “cristiano sociali” porteranno, attraverso
l’esperienza nazional-socialista, alle mostruosità della guerra 1939-45.
In Francia molti Cattolici, i così detti Cattolici di Destra, si lasci-
arono trascinare in sterili polemiche antiebraiche forse sproporzion-
ate all’entità dei fatti che le originarono (p. es. il processo Dreyfus,
1895). In Inghilterra allignò un A. prevalentemente letterario. In Italia
l’A. non ebbe mai fortuna, a dispetto delle leggi restrittive (R.D. 17
novembre 1938) del governo fascista».10
Questa definizione, apparsa in un Dizionario ecclesiastico intorno
agli anni ’50 del Novecento, venne stilata da Eugenio Zolli (alias Israel
Zoller), e pubblicata dopo la seconda guerra mondiale. Zoller era stato
il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, e si era convertito al
cristianesimo proprio nel momento più buio della storia ebraica, nella
Roma occupata dai nazisti.11 La voce, che riassume un lavoro dello stes-
so Zoller pubblicato in precedenza, nel 1945, merita di essere commen-
tata: è implicito in essa che gli ebrei siano la causa prima dell’ostilità
nutrita nei loro confronti, e che essi siano effettivamente pericolosi per
la società all’interno della quale sono inseriti.
Questa voce descrive il fenomeno dell’antisemitismo secondo i prin-
cipi sostanzialmente indicati dalle posizioni ecclesiastiche riscontrabili
in tutta la pubblicistica cattolica degli anni ’30, da quelle più semplici
e rivolte a un vasto pubblico, fino alle più raffinate.12 Le affermazioni

10
Diretto da Mons. Angelo Mercati – Mons. Augusto Pelzer, Torino, Unione Tipografico-
Editrice Torinese, 1953, la voce è curata da E. Zolli (ex rabbino capo della comunità di ebraica
di Roma, convertitosi proprio alla fine della seconda guerra mondiale: vero nome Israel Zoller,
proveniente dalla Galizia). La voce è tratta da uno scritto di Zoller/Zolli del 1945.
11
E. Zolli, Antisemitismo, A.V.E., Roma, 1945; ristampa recente a c. di A. Latorre, San Paolo,
Cinisello Balsamo, 2005.
12
G. Miccoli, “Santa Sede e Chiesa italiana di fronte alle leggi antiebraiche”, Studi storici
29 (1988) 821-902; Idem, “Caratteri e tappe dell’antiebraismo cristiano”, Quale storia 2-3 di-
cembre XVIII (1990), 17-37; G. Miccoli, “Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo fra
Otto e Novecento”, in: Storia d’Italia, Annali 11, Gli ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, vol. 2,
Dall’emancipazione a oggi, Torino, Einaudi, 1997, 1369-574; R. Moro, “Propagandistici cattolici
del razzismo antisemita in Italia (1937-1941)”, in: C. Brice – G. Miccoli (a cura di), Les racines

196
di Zoller riposano su tre presupposti: a) che l’antigiudaismo sia un
fenomeno meno pericoloso dell’antisemitismo; b) che la Chiesa non
abbia alcuna responsabilità storica nei tragici eventi che hanno condotto
alla Shoà; c) che l’antisemitismo, per essere tale, debba essere esclusi-
vamente di carattere razzista, e in ultima istanza, come tale, capace di
generare il genocidio.13
La questione della “responsabilità” – che avrebbe dato l’abbrivo
alla riflessione sulla Shoà nel mondo cattolico e protestante – sarebbe in
tal modo grandemente ridotta, e sposterebbe la totale colpevolezza del-
la tragedia europea alla sola Germania nazista, unico paese, del resto,
che ha dovuto fare i conti con il tragico evento europeo, accollandosi
per buona parte la responsabilità dello sterminio degli ebrei (e di altri
gruppi, tra cui zingari, omosessuali e dissidenti politici).14 La tradizione
della secolare ostilità antiebraica non sarebbe quindi né sufficiente,
né tantomeno utile a spiegare la furia genocida e la violenza nazista
del nazismo, scatenatasi in Europa nella prima metà del XX secolo
(senza scordare la violenza dello stalinismo, che ha generato milioni
di vittime, e questo non solo in periodo di guerra).15 Tuttavia, occorre
ricordare che il razzismo di Stato, istituzionalizzato nella Germania
nazista, e ispirato all’eugenetica, alle ricche tradizioni dell’antisemi-
tismo e ad altre correnti razziste sorte verso la fine del XIX secolo (e
riadattate), non è facilmente semplificabile in una formula unica, che
permetta allo storico di risolvere una volta per tutte la questione del

chrétiennes de l’antisémitisme politique: fin XIX-XX siècle, Roma, École française de Rome,


2003, 275-345; Idem, “Le premesse dell’atteggiamento cattolico di fronte alla legislazione raz-
ziale fascista. Cattolici ed ebrei nell’Italia degli anni venti (1919-1932)”, Storia contemporanea
6 dicembre XIX (1988), 1013-119; Idem, “L’atteggiamento dei cattolici tra teologia e politica”,
in: F. Sofia – M. Toscano (a cura di), Stato nazionale ed emancipazione ebraica, Roma, Bonacci,
1992, 305-49.
13
Sia il tema del razzismo che quello dei genocidi, di cui è lugubremente costellata la storia
del Novecento, sono argomenti complessi e molto dibattuti che non possiamo affrontare in questo
saggio. È opportuno per lo meno segnalare che manca una chiara descrizione di cosa fosse il
razzismo nell’Europa degli anni ‘30, quale consapevolezza critica esistesse nei suoi confronti,
quando e come avvenne la fissione con la tradizione dell’antisemitismo. A questo riguardo
rimando ancora alle posizioni di G. Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’Olocausto,
Milano, Mondadori, 19923, passim. Sul secolo dei genocidi, si veda, in italiano B. Bruneteau, Il
secolo dei genocidi, Bologna, il Mulino, 2006; G. Lewy, Il massacro degli Armeni. Un genocidio
controverso, Torino, Einaudi, 2006; M. Flores, Il genocidio degli Armeni, Bologna, il Mulino,
2006.
14
Parlo in generale di sterminio ebraico, ma bisognerebbe essere più precisi e parlare in senso
lato di eliminazione fisica del nemico sociale, culturale e politico. Ad essere sterminati furono
ebrei, oppositori politici, omosessuali. Prima della eliminazione fisica è necessaria però una fase
persecutoria dei diritti, che prevede la separazione e la concentrazione in appositi luoghi, come
i campi di concentramento. Cf. E. Traverso, La violenza nazista. Una genealogia, Bologna, il
Mulino, 2002; sul caso della persecuzione dei diritti cf. M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista.
Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino, 2000, in particolare i capp. 3 – 5 che distinguono
diverse fasi.
15
Traverso, La violenza nazista..., passim.

197
perché un genocidio di quelle dimensioni sia potuto accadere nel cuore
dell’Europa.
A fronte dell’esistenza di un feroce nazionalismo e dell’elabora-
zione di una religione di Stato frequentemente sintetizzata nel termine
“neopaganesimo” (di cui Alfred Rosenberg fu il più noto esponente),
rimangono evidenti le tracce del contributo cristiano e cattolico alla
costruzione del nazismo, come quello di eminenti intellettuali come
Martin Heidegger e Carl Schmitt; o delle posizioni di apertura ed
entusiasmo di cattolici e protestanti, nei primi anni ’30, rispetto al
regime.16
Inoltre, anche nelle sue forme più apertamente “neopagane”,17 l’ide-
ologia nazista non fu del tutto anticristiana: si pensi, al riguardo, al
testo più noto e più commentato, soprattutto negli ambienti cattolici,
di Alfred Rosenberg, il quale, pur elaborando una visione anticristiana
dell’ideologia nazista, mise a punto una concezione del “Cristo aria-
no” che, se pure circolava negli ambienti intellettuali almeno a partire
dalla seconda metà dell’Ottocento, venne ampiamente discussa negli
ambienti cattolici. In altri termini, l’esponente più razzista, colui che
viene di fatto definito come l’ideatore del “neopaganesimo” nazista,
l’ideologo del primato del sangue nella definizione della nazione, non
poté ignorare del tutto la figura di Gesù, anche se visioni fortemente
negative del cristianesimo furono assai diffuse nella propaganda del
regime.18
Non è questa la sede per affrontare la questione del termine “neo-
paganesimo”, col quale la chiesa cattolica e altre confessioni cristiane
descrivono fenomeni culturali e religiosi concepiti spesso come antago-
nisti rispetto alle proprie tradizioni, o ancora il significato e la diffusione
del Gesù “ariano” e, per contro, l’effettiva diffusione a livello popolare
del “Gesù ebreo”, tale da indicare allo storico, con maggiore chiarezza,
il significato di tale questione. A complicare ulteriormente il quadro
concettuale e storico di questo periodo – ossia del periodo dei totalita-
rismi e dei razzismi di Stato – si aggiunge la frequente imprecisione nel

16
Cf. M. Patti, Chiesa cattolica tedesca e Terzo Reich (1933-1934), Brescia, Morcelliana,
2008; S. Heschel, The Aryan Jesus. Christian Theologians and the Bible in Nazi Germany,
Princeton University Press, 2008; G. Bonola, “Un no e un sì al ‘paragrafo ariano’ nella chiesa
(i «Gutachten» di Marburg ed Eriangen)”, Annali di storia dell’esegesi 16/2 (1999) 459-83; il
recente volume sull’antisemitismo della tradizione critica protestante: A. Gerdmar, Roots of
Theological Antisemitism. German Biblical Interpretation and the Jews, from Herder and Semler
to Kittel and Bultmann, Leiden - Boston, Brill, 2009.
17
I termini “paganesimo” e “neo-paganesimo” si trovano già a partire dalle fonti ottocen-
tesche, sia in ambito protestante che ebraico. Non è chiaro quando siano entrati nel lessico
teologico del cattolicesimo.
18
Cf. Civiltà cattolica 85/1 (1934) 238-49; sulle concezioni naziste del cristianesimo cf.
R. Steigmann-Gall, The Holy Reich. Nazi Conceptions of Christianity 1919-1945, Cambridge
University Press, Cambridge - New York, 2003; S. Heschel, The Aryan Jesus..., passim.

198
definire con sufficiente chiarezza che cosa sia il “razzismo”, per gli attori
dell’epoca: una credenza nell’inferiorità di alcune “razze” rispetto ad al-
tre? Un’adesione alle politiche eugenetiche? un’istituzionalizzazione di
pratiche e di norme volte a separare gruppi umani da altri e a relegarli a
ruoli marginali? Quali sono i gruppi sistematicamente colpiti? E perché?
O tutte queste cose combinate insieme? E come furono affrontati, tutti
questi problemi, nella cultura dell’epoca, sia nel mondo cattolico che
in quello delle diverse confessioni cristiane? Infine, sarebbe necessario
avere una più chiara cognizione del rapporto tra i totalitarismi, come
nuovi sistemi politici, e le chiese ufficiali.19
In definitiva, se analizziamo con attenzione le forme di ostilità an-
tiebraica nel corso dei secoli, il semplice modello antigiudaismo teolo-
gico/antisemitismo moderno – quest’ultimo sostanzialmente riassunto
nell’antisemitismo di matrice razziale e biologica – stenta a reggere,
considerato il carattere proteiforme dell’ostilità antiebraica cristiana nel
corso dei secoli, e la capacità di questo discorso di articolarsi, dall’età
medievale fino all’età moderna, in campi differenti: economico, giuri-
dico, biologico, folklorico, popolare, medico e teologico. Non solo il
termine antigiudaismo viene in genere utilizzato per analizzare le forme
del discorso antiebraico dei secoli precedenti la rivoluzione francese,
ma spesso, nella storiografia italiana, è invalso l’uso di utilizzare acri-
ticamente svariati concetti, e molti storici si sono mostrati riluttanti ad
applicare il termine di “antisemitismo” all’analisi delle ideologie antie-
braiche, soprattutto per il periodo liberale. Renato Moro, analizzando
per lo più la cultura di matrice cattolica, mostrava, in alcuni saggi degli
anni passati, una certa prudenza nell’adottare il termine “antisemitismo”
per descrivere la pur documentata tradizione culturale dell’antiebraismo
cristiano:
«L’odio verso gli ebrei era molto antico e risaliva alle origini del cris-
tianesimo, ma la nascita di una nuova parola indicava un mutamento
profondo e significativo, segnalava il nuovo carattere razziale e politico
di tale ostilità, che per un lungo scorrere di secoli era stata invece,
qualsiasi fossero le sue sottostanti motivazioni sociali o psicologiche,
profondamente e fondamentalmente religiosa. Tuttavia, la nuova parola
non definiva una realtà appena nata, non rappresentava un mero punto
di partenza, ma segnalava anche il punto di arrivo di una lunghissima

19
Su questo ultimo punto si veda a titolo indicativo, ma non aggiornato M. Burleigh, Sacred
Causes. The Clash of Religion and Politics, from the Great War on the War to Terror, Harper-
Collins, New York, 2002; cf. R. Moro, “Religione del trascendente e religioni politiche: il cat-
tolicesimo italiano di fronte alla sacralizzazione fascista della politica”, Mondo contemporaneo
1 (2005) 9-67; Idem, “Religion and Politics in the Time of Secularization: The Sacralisation
of Politics and Politicisation of Religion”, Totalitarian Movements and Political Religions 6/1
(June 2005) 71-86; Idem, “L’antisemitismo cattolico”, in: G. Battelli – D. Menozzi (a cura di),
Una storiografia inattuale? Giovanni Miccoli e la funzione civile della ricerca storica, Roma,
Viella, 2005, 229-50.

199
evoluzione nella quale agli aspetti di tipo religioso erano venuti affian-
candosi e sostituendosi caratteri diversi. E a tale evoluzione la Chiesa
e i cattolici non erano stati del tutto estranei».20
L’affermazione si rivela alquanto problematica perché l’ostilità
«fondamentalmente religiosa» sembra neutra, o ancora relegata a un
universo di senso, quello della religione, che peraltro non viene mai de-
finito, e che sembra del tutto superato, arcaico. Una tale ostilità, «fonda-
mentalmente religiosa», non si tradurrebbe in pratiche discriminatorie,
di esclusione o violenza, ossia in pratiche politiche e sociali, ma in un
deposito di idee e di concezioni teologiche, sospese in una dimensione
aleatoria, ultramondana e astorica.
Quella di Moro, a ben vedere, è una posizione condivisa anche da
studiosi israeliani, e da intellettuali ebrei di diversa provenienza geogra-
fica: ricorda l’affermazione di Dan Segre, secondo il quale l’antisemi-
tismo laico e razziale del nazismo – un fenomeno privo di componenti
cristiane, e definibile piuttosto come “paganesimo” – avrebbe tratto
la sua origine dall’Illuminismo, dal romanticismo e dal decadentismo
di matrice nietzscheana.21 Questa posizione informa anche l’opera di
Léon Poliakov, perlomeno nelle sue conclusioni (sebbene in un modo
molto più complesso, e non privo di contraddizioni), e si presenta con
sfumature interessanti anche in Hannah Arendt, riemergendo in maniera
straordinariamente problematica e contraddittoria nell’opera di Georg
Mosse.22
Ed è proprio l’opera di Mosse, che sembra informare nel complesso
la posizione assunta dalla chiesa cattolica, anche nei suoi documenti
ufficiali, depurati di tutti quegli aspetti ambivalenti e problematici che lo
studioso tedesco non mancava di sottolineare. Almeno due sono i punti
che vorrei segnalare: Mosse, innanzitutto, va alla ricerca di una genesi
del razzismo in quanto dottrina capace di elaborare concezioni nuove
sulle “razze umane”, collocate in una scala gerarchica, fino a giungere
alle elaborazioni ideologico/politiche del “miglioramento della razza”
patrocinate dal movimento eugenetico tedesco ed europeo.23 La fissione

20
R. Moro, La chiesa e lo sterminio degli ebrei, Bologna, il Mulino, 2002, 39.
21
Ib., 38.
22
H. Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. it. Milano, Comunità, 1967; Mosse, Il razzismo
in Europa..., passim.
23
La definizione di razzismo è altrettanto problematica. Se ora ci sono chiare le caratteristi-
che fondamentali del fenomeno e le oggettivazioni politiche di tale ideologia, occorre sottolineare
che nel xix che nel xx secolo il razzismo fu fenomeno condiviso da molti almeno a livello di
sistema di pensiero. Sulle concezioni della razza nella Germania nazista cf. C.M. Hutton, Race
and the Third Reich, Cambridge, Polity Press, 2005; sul movimento eugenetico in Italia cf. R.
Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, Firenze, La Nuova Italia, 1999. Sul razzismo,
tema quanto mai discusso in questi anni, si veda almeno: P.-A. Taguieff, Il razzismo. Pregiu-
dizio, teorie, comportamenti, Milano, Raffaello Cortina, 1999; G.M. Fredrickson, Breve storia
del razzismo, Roma, Donzelli Editore, 2002; A. Rattansi, Racism. A Very Short Introduction,

200
tra dottrine della razza di matrice ottocentesca, eugenetica ed antisemi-
tismo, si rivela quanto di più complesso si possa immaginare, poiché
se l’assunto di base di Mosse è quello di affermare con insistenza che
protestantesimo e cattolicesimo non furono responsabili del razzismo
nella sua variante nazista, allo stesso tempo tutta la sua ricerca mostra
la straordinaria dipendenza dell’ostilità antiebraica dalla proteiforme
tradizione del pensiero cristiano. Si tratta quindi di ricostruire con preci-
sione i nessi e i rapporti, nonché gli usi politici di quel universo culturale
dell’ostilità antiebraica, quanto mai complesso e cangiante, camaleon-
tico e simbolicamente potente.
Alla luce di quanto premesso, occorre poi ricordare che l’Italia
– nell’immaginario degli studiosi e all’estero – continua ad essere
concepita come una sorta di “isola felice”, secondo uno stereotipo un
po’ patetico: un paese in cui sarebbe avvenuta una “felice integrazio-
ne” della minuscola comunità ebraica, e nel quale “l’antisemitismo
razziale” andrebbe visto come un frutto d’importazione tedesca.24 No-
nostante un gran numero di contributi seri e documentati, che vanno
in direzione contraria, stenta ancora a prendere forma una rappre-
sentazione più complessa delle cose, che non si esaurisca nella solita
immagine consolatoria del “mito del buon italiano”.25 La questione è
ovviamente più complessa: la presenza di antisemitismo e razzismo
in Italia non può essere liquidato con la semplice idea di un’impor-
tazione, considerando la effettiva diffusione di dottrine ed ideologie
nel contesto europeo; allo stesso tempo, l’Italia non è e non fu im-
mune dalle dottrine razziste e antisemite ed è compito specifico dello
storico ricostruirne i tratti, tendendo conto della specificità e della
complessità.

III. CHIESA ED EBREI: IL PROBLEMA STORIOGRAFICO

È risaputo che una riflessione storiografica relativa al rapporto Chie-


sa/ebrei, e articolata a più livelli, si dà solo all’indomani del Concilio
Vaticano II, particola modo la Declaratio Nostra Aetate, pubblicata il 28
ottobre 1965 avente come oggetto i rapporti tra chiesa cattolica e altre
religioni. Solo in quel frangente prese corpo concretamente la necessità
di affrontare la questione della responsabilità dei cattolici e del catto-

Oxford, Oxford University Press, 2007.


24
A riprodurre queste immagini peraltro sottoposte ad ampia critica dalla storiografia italiana
più recente si presta l’opera di M.A. Matard-Bonucci, L’Italia fascista e la persecuzione degli
ebrei, Bologna, il Mulino, 2008.
25
Sull’argomento si veda D. Bidussa, Il mito del bravo italiano, Milano, Il Saggiatore, 1994,
e per una critica al medesimo cf. A. Cavaglion in: L. Monaco (a cura di), La deportazione nei
lager nazisti. Didattica e ricerca storiografica, Milano, Angeli, 2000, 131-32.

201
licesimo nelle tragiche vicende della recente storia europea, confluite
nell’eliminazione fisica di milioni di ebrei, unica minoranza a-cristiana
(e in particolare non cattolica) nell’Europa di tradizione cristiana.26
Quali ragioni avevano condotto a uno sterminio di quelle dimensioni
in Europa? Vi aveva contribuito l’insegnamento del disprezzo? O l’odio
antisemita andava imputato a una fonte diversa?
Fu proprio un intellettuale ebreo laico, Jules Isaac, sopravvissuto
alla Shoà, a sostenere la necessità di riflettere sull’insegnamento del
disprezzo e sulle responsabilità della Chiesa nella distruzione degli ebrei
d’Europa. Era necessario, dal suo punto di vista, riflettere sulla dottrina
cristiana, e di conseguenza sulla teologia della chiesa cattolica, eventual-
mente ponendo in atto una riforma di quegli insegnamenti. Nascevano
così, negli anni ’50, i primi gruppi di “amicizia ebraico-cristiana”.27 Pri-
ma dell’intervento di Isaac, un analogo impulso si era già manifestato in
Inghilterra, grazie all’opera del teologo e studioso anglosassone James
Parkes,28 che aveva dato alle stampe, nel 1934, un testo di denuncia sul
nesso letale tra gli insegnamenti del cristianesimo e l’antisemitismo.29
A fronte dell’impegno intellettuale di Parkes, che non abbandonò mai
il proposito di realizzare il proprio obiettivo, le prese di posizione della
Chiesa cattolica, nel corso degli anni ’30, cominciarono a differenziarsi
rispetto a quello che veniva percepito come un antisemitismo «völkish»,
frutto di un nazionalismo esacerbato.30 Queste prese di posizione catto-
liche – accanto a quelle degli anni ’20, che miravano a una prima forma
di revisione teologica31 distinguendo la tradizione antisemita del catto-

26
Esistono anche minoranze musulmane, ma la loro storia è più recente, in genere si
tratta di gruppi convertitisi all’islam durante il periodo di espansione islamica nella zona dei
Balcani. Per quanto concerne i musulmani di Spagna, non ne rimane traccia, essendo stati,
assieme agli ebrei, convertiti nel corso della «reconquista» cattolica della penisola iberica. A
differenza degli ebrei di età moderna i musulmani potevano ancora fuggire in terre islamiche.
Per gli ebrei la situazione è più complessa, dipendendo la loro situazione dalle politiche di
tolleranza religiosa dei diversi stati cristiani e delle potenze islamiche dell’epoca.
27
Per un recente contributo vd. E. Mazzini, “Da cultura ammessa a retaggio discorsivo.
L’antiebraismo e la «Civiltà cattolica» nel primo quindicennio del secondo dopoguerra”, Storia
e problemi contemporanei 50/XII (2009) 83-99.
28
Su Parkes si veda http://www.southampton.ac.uk/parkes/.
29
Il testo a cui faccio riferimento è J. Parkes, The Conflict of the Church and Synagogue: a
Study in the Origins of Anti-Semitism, London, Soncino Press, 1934; Parkes scrisse molte opere
negli anni più bui della storia europea sulla questione ebraica e sull’antisemitismo, sempre dal
punto di vista delle responsabilità degli insegnamenti e dell’eredità religiosa cristiana: cf. Idem,
Jesus, Paul and the Jews, London, SCM 1936; Idem, The Jew in the Medieval Community: a
study of the political and economic situation, London, Soncino Press, 1938; Idem, The Jewish
Problem in the Modern World, London, Thornton Butterworth, 1939; Idem, Palestine, Oxford,
Clarendon Press, 1940; Idem, The Jewish Question, Oxford, Clarendon Press 1941; Idem, An
Enemy of the People: Anti-Semitism, Harmondsworth, Penguin 1945; Idem, The Emergence of
the Jewish Problem, 1878-1939, London, O.U.P. 1946. Vd. La bibliografia nel sito: http://www.
soton.ac.uk/parkes/docs/biblio.pdf
30
Cf. Miccoli, “Santa Sede, questione ebraica...”, 1544-1574.
31
Ib., 1559 e Moro, “Le premesse...”, 269-72.

202
licesimo rispetto alle ideologie dell’antisemitismo razziale – appaiono
indubbiamente timide e inadeguate, rispetto all’opera solitaria di Parkes,
e a fronte soprattutto del parallelo tentativo di trovare una conciliazione
fra cattolicesimo e nazismo.32
La revisione voluta dal Concilio Vaticano II ha tutto il sapore, quin-
di, di un’operazione in un certo senso ‘rivoluzionaria’, che ha contribu-
ito in maniera significativa a modificare i rapporti tra cristiani ed ebrei,
dando il via a una riflessione teologica e storica di portata irreversibile.
Le affermazioni contenute nei documenti conciliari circa l’ebraismo
e gli ebrei, così come la pubblicazione dei Sussidi per la catechesi,
hanno inaugurato una folta serie di ricerche in vari settori della sto-
ria del cristianesimo e della Chiesa, tutte tese ad analizzare le forme
dell’antisemitismo cristiano e cattolico nel corso dei secoli. L’apertura
del Concilio ha inoltre stimolato, per vie diverse, la stessa ricerca acca-
demica, contribuendo allo sviluppo di ricerche miranti a far luce sulla
storia degli ebrei nel mondo cristiano e sulle articolazioni del rapporto
ebraico-cristiano nel corso dei secoli.33

Le ricerche su questi temi possono essere suddivise in alcune im-


portanti aree tematiche e cronologiche:
1) la riflessione storiografica sulle forme dell’ostilità antiebraica
nel cristianesimo delle origini, patristico e medievale, che rifletteva una
necessità, forse oggi meno avvertita, di revisionare alcuni aspetti della
teologia cattolica sugli ebrei;34
2) gli studi di età medievale e moderna, che si sono concentrati in
Italia sulle fonti inquisitoriali, con un’attenzione particolare, in questi
ultimi anni, alla questione delle accuse di omicidi rituali (diffusissime
in tutta l’Europa cristiana a partire dal medioevo): un filone d’indagine
che ha condotto a rivedere il processo di beatificazione di Simonino di
Trento;35 minore attenzione, invece, è stata riservata ad altre forme del

32
Cf. a questo riguardo Patti, Chiesa cattolica tedesca..., passim, e le annate 1933 e 1934
della rivista “Civiltà cattolica”.
33
Cf. G. Cereti – L. Sestieri, (a cura di), Le chiese cristiane e l’ebraismo, Casale Monferrato,
Marietti, 1983; Mazzini, “Da cultura ammessa a retaggio...”, passim.
34
Si veda la discussione in: M. Pesce, “Antigiudaismo nel Nuovo Testamento e nella sua
utilizzazione. Riflessioni metodologiche”, ASE 14/1 (2007) 11-38; il già menzionato Parkes
seguiva un’esigenza di questo tipo. In ambito cattolico tra le opere più importanti si veda: Ro-
semary R. Reuther, Faith and Fratricide. The Theological Roots of Anti-Semitism, New York,
Seabury Press, 1974.
35
Lo studio dell’accusa del sangue ha una bibliografia piuttosto estesa che non possiamo
riproporre in questa sede. Sul caso di Simonino si vedano D. Quaglioni, “Il processo di Trento”,
in: M. Luzzati (a cura di), L’inquisizione e gli ebrei in Italia, Roma - Bari, Laterza, 1994, 19-34;
Idem, “Fra tolleranza e persecuzione. Gli ebrei nella letteratura giuridica del tardo Medioevo”,
in: Storia d’Italia, Annali 11, Gli ebrei in Italia, a cura di C. Vivanti, vol. 1, Dall’alto Medioevo
all’età dei ghetti, Torino, Einaudi, 1996, 670-75; A. Esposito – D. Quaglioni, Processi contro
gli ebrei di Trento (1475-1478), Padova, Cedam, 1990; R. Po Chia-Hsia, Trent 1475. Stories of a

203
conflitto antiebraico, come pure alla produzione dei discorsi, teologici
e di altro tipo, generati in questo stesso periodo;36
3) la mole di studi più imponente, forse, confluisce nel campo della
contemporaneistica, concentrandosi massimamente sul periodo fascista
e sulle tragiche vicende della seconda guerra mondiale.
Meno studiato è l’Ottocento, anche se, come vedremo, rimane di
centrale importanza. Anche per quel che riguarda il Settecento, la sto-
riografia italiana raccoglie interventi meno sistematici, nonostante la
straordinaria proliferazione, in questo periodo, di discorsi di carattere
innovativo sul problema ebraico, soprattutto in coincidenza della que-
stione polacca (ossia lo smembramento della Polonia) e della rivolu-
zione francese.37 Accanto ad essi, in un’età di complesse trasformazioni
economiche e politiche, che non risparmiano gli insediamenti ebraici
dell’Europa occidentale e centrale, cominciano a prodursi discorsi volti
a preparare l’integrazione culturale degli ebrei nel contesto europeo,
sebbene la portata di queste ideologie, antiebraiche e/o filo ebraiche,
non risulti del tutto chiara, e rimanga per lo più inesplorata sul versante
italiano.38
Il mio contributo cercherà ora di enucleare alcuni elementi delle
ideologie antisemite sviluppatesi in ambiente cattolico nel corso della
seconda metà dell’Ottocento, con l’obiettivo di comprendere se, e in
che modo, le due categorie di antigiudaismo e antisemitismo descri-
vano fenomeni diversi. Mi occuperò in prima istanza delle tappe che
condussero all’affermarsi l’antisemitismo sulla scena politica e cultu-
rale dell’Europa tardo-ottocentesca: si trattò di un fenomeno nuovo?
Venne forse percepito come in opposizione al cristianesimo, nelle sue
varie forme? E che percezione ne ebbero, gli intellettuali che tentarono

Ritual Murder Trial, New Haven - London 1992; D. Quaglioni - A. Esposito, Processi contro gli
ebrei di Trento (1475-1478). Vol. 2: I processi alle donne (1475-1476), Padova, Cedam, 2008.
36
Si vedano a questo riguardo alcune opere in lingua inglese che hanno mappato con at-
tenzione metodologica le forme dei discorsi e delle pratiche antiebraiche: R. Chazan, Medieval
Stereotypes and Modern Antisemitism, Berkeley, University of California Press, 1997; J. Cohen,
The Friars and the Jews, New York, Cornell University Press, 1984; Idem, Christ Killers. The
Jews and the Passion from the Bible to the Big Screen, Oxford - New York, Oxford University
Press, 2007; per l’Italia si vd. G. Todeschini, “Fra stereotipi di tradimento e cristianizzazione
incompiuta: appunti sull’identità degli ebrei d’Italia”, Zakhor. Rivista degli ebrei d’Italia 6 (2003)
9-20.
37
Cf. P. Mendes-Flohr – J. Reinharz (eds.), The Jew in the Modern World. A Documentary
History, New York - Oxford, Oxford University Press, 1980 (1995).
38
Sul rapporto tra Chiesa cattolica ed ebrei nel Settecento vd. G. Rosa, “La Santa Sede e
gli ebrei nel Settecento”, in: Vivanti (a cura di). Dall’emancipazione a oggi..., 1069-1087; M.
Caffiero, “Tra chiesa e stato. Gli ebrei italiani dall’età dei Lumi agli anni della Rivoluzione”,
in: Vivanti (a cura di). Dall’emancipazione a oggi..., 1091-132; Eadem, “Alle origini dell’an-
tisemitismo politico. L’accusa di omicidio rituale nel Sei-Settecento tra autodifesa degli ebrei
e pronunciamenti papali”, in: C. Brice – G. Miccoli (a cura di), Les racines chrétiennes de
l’antisémitisme politique (fin xixe-xxe siècle), Roma, École française de Rome, 2003, 25-59.

204
di comprenderlo criticamente? Antisemitismo e antigiudaismo furono
all’epoca categorie operative distinguibili?

IV. TIPOLOGIA E GEOGRAFIA DELL’ANTISEMITISMO OTTOCENTESCO

1. Tipologia

L’esame scientifico e il dibattito pubblico sull’antisemitismo comin-


ciano a prendere forma tra gli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo.39
La reazione di molti intellettuali, in quella stagione, riflette una serie di
preoccupazioni rispetto ad eventi politici e sociali che si manifestano,
in modo sempre più ricorrente, a partire dagli anni ’70, anche per effetto
della grande crisi economica in cui versa il capitalismo industriale.40
È necessario osservare comparativamente i diversi contesti nazionali
europei, ma risulta abbastanza evidente come siano già operanti – nel
corso di tutti gli anni ’80 e in modo particolare intorno agli anni ’90
del XIX secolo – forme di ostilità antiebraica in tutti i paesi dell’Euro-
pa occidentale, con caratteristiche nuove rispetto a quelle del periodo
post-emancipatorio della prima metà del secolo. In realtà, sarebbe più
corretto parlare di una giustapposizione di forme nuove e di forme vec-
chie, che vanno ad arricchire in modo considerevole la tipologia e la
geografia dell’antisemitismo.
Volendo tracciare una tipologia dell’ostilità antiebraica europea
nello scorcio finale del secolo (con particolare attenzione alle correnti
cristiane, e ponendo attenzione alla scansione temporale), potremmo
osservarne la portata e la diffusione in tre grandi tempi:

1. A partire dagli anni ’70, una messe di pubblicazioni denuncia la


pericolosità degli ebrei emancipati. Alcuni di questi testi seguono linee
tradizionali, insistendo sulla negatività della religione ebraica in quanto
espressione del “Talmud”. Massima espressione di questa campagna
denigratoria – non dissimile da quella di età moderna che portò ai ro-
ghi del Talmud – è l’opera Der Talmudjude del canonico ed ebraista
austriaco A. Rohling, pubblicata nel 1871 e già ristampata sei volte nel
1877. Apparso in Francia nel 1888, il testo di Rohling divulga in tutto il
mondo francofono teorie ed immagini antiebraiche ampiamente diffuse

39
Non si possono indagare in questa sede le forme di analisi scientifica dell’ostilità antie-
braica che sono servite e hanno costituito lo sfondo della trasformazione dell’atteggiamento
ostile dei cristiani verso gli ebrei nel corso del Sei e Settecento e che ha portato all’affermazione
dell’eguaglianza tra ebrei e cristiani.
40
Cf. P. Ferrari-Zumbini, Le radici del male. L’antisemitismo in Germania: da Bismarck a
Hitler, Bologna, il Mulino, 2001, 155-87.

205
in area tedesca. Sono i medesimi anni della pubblicazione degli scritti
antiebraici di A. Drumont, la cui France juive, pubblicata nel 1886,
diventa immediatamente un «bestseller».41
Questa massiccia produzione di testi è arricchita da un’altra cor-
rente, spesso ritenuta “tradizionalista” e religiosa (sostanzialmente nella
linea di Rohling), perfettamente rappresentata dalla rivista dei Gesuiti
«Civiltà cattolica», che nei primi anni ’80 pubblica a più riprese feroci
articoli contro gli ebrei.42 La rivista dei Gesuiti merita speciale attenzio-
ne, per tutta una serie di motivi storici: in primo luogo, essa si presenta
come un punto di osservazione strategico per comprendere l’evolversi
delle forme del pensiero cattolico, e segnatamente delle strategie e delle
modalità con cui gli ambienti cattolici affrontano temi di importanza eu-
ropea; anche la polemica antiebraica che costella le pagine della rivista
è d’importanza cruciale, perché sarà ampiamente riutilizzata in Italia
negli anni del razzismo e dell’antisemitismo di Stato.
«Civiltà cattolica», del resto, dimostra anche un’ottima capacità di
osservazione della realtà: non soltanto registrando tutte le questioni
attinenti alla situazione degli ebrei negli altri paesi europei, ma anche
intervenendo con prontezza nel dibattito italiano, censurando e critican-
do, spesso con toni severi, sia le difese provenienti dal mondo ebraico
che le istanze più progredite dell’esegesi biblica in Italia. Si tratta di un
vero e proprio laboratorio di antisemitismo cattolico, sintetizzabile nelle
ricorrenti demonizzazioni del Talmud, che di fatto non sono che una
semplificazione e demonizzazione della religione ebraica.43 La rivista
riattiva, allo stesso tempo, l’accusa di omicidio rituale, facendone un
vero e proprio cavallo di battaglia. Accanto ad interventi di carattere
saggistico, i padri Gesuiti pubblicano romanzi d’appendice rivolti al
grande pubblico, all’interno dei quali non appaiono secondarie forme di
discorso “razzizzanti”,44 tendenti a rappresentare gli ebrei come portatori
di elementi culturali ed etnici fissi, immutabili, tra i quali non sembra
avere alcuna rilevanza nemmeno la possibilità di una conversione al
cristianesimo, o di una trasformazione di tipo individuale, né tantomeno
la possibilità che una cultura religiosa, come quella ebraica, possa ma-

41
La France juive, Flammarion, Paris, 1886 è pubblicato in 2 volumi e viene ristampato 140
volte nell’arco di due anni. G. Kauffmann, Édouard Drumont, Paris, Perrin, 2008.
42
Miccoli, “Antiebraismo, antisemitismo: un nesso fluttuante”, in: Brice – Miccoli (a c.
di), Racines chrétiennes..., 3-23; R. Taradel – B. Raggi, La segregazione amichevole. La civiltà
cattolica e la questione ebraica, 1850-1945, Roma, Editori Riuniti, 2000, 16-35; Kertzer, I papi
contro gli ebrei..., 143-62; V. Pinto, “Il diavolo in cielo. Il codice culturale antisemita in ‘Civiltà
cattolica’ (1879-1914)”, Clio 45/1 (2009) 31-63.
43
F. Crepaldi, “L’omicidio rituale nella moderna polemica antigiudaica di Civiltà cattolica
nella seconda metà del XIX secolo”, in: Brice–Miccoli (a c. di), Racines chrétiennes..., 25-59.
44
Sul termine razzialeggiante cf. C. Guillamin, Sexe, race et pratique du pouvoir. L’idée de
nature, Paris, Coté-femmes, 1992. Mi riservo di intervenire su questo punto in altra sede.

206
nifestarsi in differenti modi e adesioni.45 La presenza di queste correnti
“razzialiste” si affianca a un’ideologia politica che, pur fondata su una
messe di concezioni di carattere religioso e teologico, non si differenzia
in modo sostanziale dall’antisemitismo politico ricorrente negli ultimi
decenni dell’Ottocento. La dottrina politica che si integra con questa
visione teologica degli ebrei può essere dunque valutata come una “te-
ologia politica” sugli ebrei.

2. Accanto a queste forme ideologiche ispirate all’odio antiebrai-


co, si manifesta parallelamente una corrente di antisemitismo politico,
di ispirazione cristiana e cattolica, che non proviene direttamente dal
mondo ecclesiale o dalla Santa Sede, bensì dai diversi contesti locali.
È un antisemitismo che si articola in due momenti: da un lato, con
l’elaborazione di un’ideologia antiebraica che secondo alcuni storici
sarebbe “innovativa”, e che si esprime in movimenti culturali e riviste,
giornali, fogli di vario tipo; dall’altro, con un passaggio dal livello te-
orico a quello pratico, ossia con la costituzione di leghe, associazioni e
partiti che si diffondono velocemente nell’Impero austro-ungarico, in
Francia e in Germania, (dove però, a differenza degli altri paesi, esiste
anche una “questione cattolica”, perché i cattolici costituiscono, alla
pari degli ebrei, una minoranza religiosa e politica).46 Tutti questi movi-
menti sfruttano i nuovi linguaggi e mezzi offerti dalla politica moderna,
semplificando il discorso antiebraico in slogan efficaci e facilmente
spendibili.47 Si rivolgono spesso a ceti sociali penalizzati, impoveriti
dalla crisi economica e non più protetti dal sistema corporativo delle
leghe (come ad esempio gli artigiani produttori in Germania, studiati
da Shulamit Volkov).48 Puntano inoltre il dito sulla presenza ebraica nel
mondo della politica e dell’economia, avvertendo come innaturale la
presenza nella sfera del potere degli ebrei emancipati. Il sottotesto antie-
braico che percorre queste correnti culturali è una dottrina dello Stato,
secondo la quale Stato e società sono e dovrebbero essere cristiani.
Come vedremo più avanti, la maggior parte di questi gruppi rivendica,
con modalità e strumenti moderni, uno Stato cristiano in cui riformulare
un’ideale coincidenza tra governo, religione e società.

3. Esistono poi, nel magmatico discorso antiebraico, immagini e

45
Su questo in particolare R. Bonavita, “Grammatica e storia di un’alterità: stereotipi
antiebraici cristiani nella narrativa italiana 1827-1938”, in: Brice–Miccoli (a c. di), Racines
chrétiennes..., 89-119 (ora in R. Bonavita, Spettri dell’altro. Letteratura e razzismo nell’Italia
contemporanea, Bologna, il Mulino, 2009).
46
Ferrari Zumbini, Le radici..., 95-116.
47
Cf. Sh. Volkov, Germans, Jews, and Antisemites. Trials in Emancipation, Cambridge - New
York, Cambridge University Press, 2006.
48
Ib, 84-55 e passim.

207
tópoi che fanno capolino in testi e soggetti di matrice politica di varia
provenienza – liberale, democratica, radicale e socialista – comunque
non esplicitamente ispirati o appartenenti al mondo cattolico e cristia-
no. Questo gruppo, che ho separato dal mondo cristiano e cattolico,
non può essere analizzato in questa sede, ma costituisce un universo
poliedrico e cangiante, dove immagini, discorsi e testi dedicati agli
ebrei prendono forma, molto spesso, attraverso strategie di prestito
culturale, dal ricco deposito delle immagini cristiane, da quello re-
lativamente innovativo della tradizione settecentesca, come pure da
nuove teorie e forme del discorso (ad esempio La questione ebraica
redatta dal giovane Marx).49 Questa complessa area di pensiero si
caratterizza per la presenza di forme di ostilità che prospettano so-
luzioni politiche e legislative diverse: si va da posizioni esplicite di
“razzismo”, come quella elaborata dal padre dell’antisemitismo mo-
derno Wilhelm Marr (spesso collegate a risoluzioni politiche radicali
e violente, quali l’espulsione o la deportazione – sovente in Palestina
– fino a giungere al massacro),50 a posizioni che non si propongono
quasi mai l’abrogazione della parificazione giuridica, quanto piuttosto
una cancellazione simbolica dell’ebraismo in senso lato.51 A questo
livello, l’ostilità antiebraica può articolarsi in una visione negativa
e semplificante dell’ebraismo e della sua storia, o in una tendenza
a chiedere agli ebrei di rinunciare alla loro storia, al loro passato:
quasi inducendoli a un silenzio che, se non prevede la conversione al
cristianesimo o al cattolicesimo, prevede almeno la cancellazione di
un patrimonio storico-culturale e religioso percepito come alieno e
negativo.52 Questa ostilità, spesso ravvisabile anche nelle concezioni
di tanta filosofia di matrice tedesca (di fatto legata alle tradizioni
cristiane) va analizzata con attenzione, perché a differenza delle altre
non produce progetti espliciti di de-emancipazione, ma contribui-
sce ad arricchire il discorso antiebraico di nuovi tópoi, rivisitandone
alcuni e inventandone di nuovi, producendo in continuazione delle

49
K. Marx, La questione ebraica, Roma, Manifestolibri, 2004. Le opinioni sul testo di
Marx sono discordi. Per una contestualizzazione storica con discussione rimando al testo di M.
Nani, “Movimento operaio e ‘questione ebraica’ nell’Europa del secondo Ottocento”, Storia e
problemi contemporanei, 12/50 (2009), 18-33 (nello specifico la nota 22). Si legga, al contrario,
P. Birnbaum, Géographie de l’espoir. L’exil, les Lumières, la désassimilation, Paris, Gallimard,
2004), 41-84.
50
Ferrari Zumbini, Le radici..., passim; si noti che in questo periodo la pratica della de-
portazioni di intere popolazioni era ampiamente diffusa sia nell’impero turco-ottomano. Cf. E.
Benbassa – A. Rodrigue, Storia degli ebrei sefarditi. Da Toledo a Salonicco, Torino, Einaudi
2004, passim.
51
Un aspetto questo spesso passato sotto silenzio. Cf. S. Levis Sullam, L’archivio antiebrai-
co. Il linguaggio dell’antisemitismo moderno, Bari - Roma, Laterza, 2008, 27.
52
Da qui tutti i problemi generati dalle politiche dell’assimilazione che influenzeranno in
modo significativo, ma anche creativo, l’identità degli ebrei europei.

208
rappresentazioni dell’ebraismo e degli ebrei spesso chimeriche ma
nondimeno efficaci.53
Intorno agli anni ’90 dell’Ottocento il fronte antisemita si arricchisce
di nuove esperienze. Lo scoppio dell’«Affaire Dreyfus», in Francia,
segna una vera e propria crisi della cultura liberale e del processo eman-
cipativo che con grandi difficoltà si era lentamente diffuso nell’Europa
occidentale. Non occorre ricordare che l’«Affaire» suscitò un intenso
e vivace dibattito internazionale, dividendo non solo il mondo intellet-
tuale francese, ma anche quello di altri paesi europei.54 Verso la fine del
decennio l’antisemitismo sembra raggiungere successi di tipo politico
e pratico: nel 1897 Karl Lueger, ispirandosi apertamente all’antisemi-
tismo politico, diventa sindaco di Vienna;55 e in quello stesso anno, in
Algeria, sotto l’amministrazione francese, viene eletto un sindaco che si
ispira all’antisemitismo di marca drumontiana. In Algeria, a differenza
di Vienna, il successo dell’antisemitismo si concretizza in un violento
pogrom di ebrei algerini, il che induce il governo francese a rimuovere,
dopo un anno appena, il sindaco neo-eletto.56

2. Geografia

Per quanto riguarda la geografia dell’antisemitismo di matrice cri-


stiana, sempre considerando quest’ultimo quarto del XIX secolo, siamo
in grado d’individuare cinque grandi aree di diffusione:

1. Un fronte francese (con l’appendice algerina) costituito da una


tradizione cattolica antiebraica molto agguerrita in senso ideologico, e
politicamente organizzata a livello locale in leghe e cooperative.57

2. Un complesso fronte austro-ungarico, dove ai primi partiti politici


di matrice cattolica si aggiungono ideologie antiebraiche di ispirazione

53
Sulle rappresentazioni chimeriche degli ebrei e dell’ebraismo rimando alle pagine ancora
molto utili di G. Langmuir, Toward a Definition of Antisemitism, Berkeley, University of Cali-
fornia Press, 1990, 311-352; Idem, History, Religion and Antisemitism, Berkeley, University of
California Press, 1990; un’interessante discussione sulle “rappresentazioni” si trova in Chazan,
Medieval Stereotypes..., passim.
54
Sull’«Affaire Dreyfus» la bibliografia è vasta. Si veda P. Birnbaum, L’Affaire Dreyfus, la
République en péril, Paris, Gallimard, 1994. Per una analisi della reazione cattolica in Italia cf.
A. Di Fant, L’Affaire Dreyfus nella stampa cattolica in Italia, Trieste 2002.
55
P.G.J. Pulzer, The Rise of Political Anti-Semitism in Germany and Austria, Cambridge/
MA, Harvard University Press, 1988; Su Lueger si veda anche G. Miccoli, “Questione ebraica
e Santa Sede”, in: La legislazione antiebraica in Italia e in Europa - Atti del Convegno nel cin-
quantenario delle leggi razziali, Roma, 17-18 ottobre 1988, Roma, Camera dei deputati, 1989.
56
Mosse, Il razzismo..., 173-74.
57
Ib., 174.

209
nazionalista e pan-germanica, che sono contemporaneamente antisemite
e antislave,58 di contro a movimenti pan-slavi ostili ai gruppi di cultura
e lingua tedesca e che, a loro volta, vedono negli ebrei di lingua tedesca
dei nemici sia in termini religiosi che in termini nazionali (è il caso dei
cechi, ad esempio);59 sempre all’interno dell’Impero, l’accusa di omi-
cidio rituale viene reiterata a più riprese, istituzionalizzando una forma
di aggressione tradizionale che si diffonde a macchia d’olio.60

3. Un fronte tedesco, con ideologie antisemite ispirate al predicatore


di corte Adolf Stoecker e a frange di diverso colore politico: la costel-
lazione tedesca secolarizza temi teologici provenienti dalla riflessione
filosofica (la maggior parte dei filosofi tedeschi ebbero una visione so-
stanzialmente negativa degli ebrei e dell’ebraismo).61

4. Non meno rilevante, nel quadro dell’Impero zarista (dove gli


ebrei vivono in una condizione giuridica non parificata), la presenza di
un fronte di violento antisemitismo a carattere teologico, che abbraccia
le sfere sociale ed economica, scatenando violentissimi pogrom (per
esempio ad Odessa, nel 1871, oltre a quelli tristemente più noti del
1881-82).62

5. Un fronte italiano, gestito e alimentato dalla Santa Sede, che


prende forma nelle riviste periodiche e nei fogli cattolici, da quella dei
gesuiti a quelle locali, e che si diffonde anche al di fuori dei confini
italiani. La lotta contro gli ebrei, condotta dalla Santa Sede, è stata ben
descritta da D. Kertzer, e non deve essere sottovalutata.63 Essa riflette

58
Ib., 175s.
59
M. Miller, “The Rise and Fall of Archbishop Kohn: Czechs, Germans, and Jews in Turn-
of-the-Century Moravia”, Slavic Review 65/3 (Fall 2006), 446-74.
60
Taradel, L’accusa del sangue..., 214-40; H. Kieval, “The Importance of Place: Compa-
rative Aspects of the Ritual Murder Trial in Modern Central Europe”, in: T.M. Endelman (ed.),
Comparing Jewish Societies, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1997, 135-65; Idem,
“Middleman Minorities and Blood: Is there a Natural Economy of the Ritual Murder Accusation
in Europe?”, in: D. Chirot – A. Reid (eds.), Essential Outsiders: Chinese and Jews in the Modern
Transformation of Southeast Asia and Central Europe, Seattle, University of Washington Press,
1997, 208-33.
61
Cf. Per una visione d’insieme sulle tradizioni antisemite tedesche cf. Volkov, Germans,
Jews..., cap. 4; poca attenzione viene data al rapporto tra tradizione filosofica tedesca e immagini
negative dell’ebraismo e degli ebrei: cf. Y. Yovel, Les Juifs selon Hegel et Nietzsche. La clef d’un
énigme, Paris, Éditions du Seuil, 2001; J. Cohen, Le spectre juif d’Hegel, Paris, Galilée, 2005.
62
Infine si staglia l’immagine della Romania, un paese sostanzialmente ortodosso, che rag-
giunge l’indipendenza politica nel 1877. La Romania ebbe con una imponente comunità ebraica
e un conflittuale rapporto con essa. La Romania fu culla di violenti movimenti antisemiti da
spingere le comunità ebraiche d’Europa a interventi frequenti in difesa degli ebrei romeni. Si
vedano ad esempio le belle pagine di L. Luzzatti, Dio nella libertà, Bologna, Zanichelli, 1926,
481-560.
63
Kertzer, I papi contro gli ebrei..., passim.

210
non solo le posizioni ufficiali della Chiesa cattolica, ma si impone an-
che – con tutta una serie di ritocchi culturali – a livello locale, fuori ed
entro i confini italiani; molto spesso il suo potente influsso lo si ritrova
anche tra intellettuali di provata fede liberale.64 Non meraviglia perciò
di trovare, nella stampa cattolica, agguerrita e militante, un’attenzione
a tutti i segni e gli eventi del mondo europeo, a riprova che l’antisemi-
tismo, nelle sue forme ideologiche e nei suoi tentativi di farsi pratica,
fu un fenomeno tentacolare, di carattere internazionale, osservato con
crescente interesse.65
Sono questi i primi segnali di una crisi sempre più evidente del
processo emancipativo degli ebrei, che si era trascinato, con maggiore
o minore successo e con varie battute di arresto, dalla rivoluzione fran-
cese in poi, in molti paesi dell’Europa occidentale e nell’Impero austro-
ungarico.66 Un processo che vedeva una nuova forma di integrazione
degli ebrei negli stati nazionali, attraverso una loro parificazione giu-
ridica, e che permetteva al contempo un libero accesso a tutte le forme
della vita associata, a carriere politiche e professionali prima di allora
del tutto vietate: nonostante le difficoltà opposte dalla società cristiana
(e/o gentile), in molti paesi gli ebrei riuscirono a integrarsi con un certo
successo. Nell’arco di due generazioni, non esistono più professioni
esclusivamente ebraiche, legate ai divieti della società di antico regime,
ma assistiamo a un fiorire, nelle grandi città, di svariate professioni rese
possibili anche dal dinamismo economico del periodo liberale e dall’av-
vento del capitalismo (per quanto rimangano vietate, talora, le carriere
nella burocrazia di Stato o nelle accademie). Al successo e all’integra-
zione in certi paesi, si oppone la situazione certamente più problematica
degli ebrei insediati in alcune zone dell’Impero austroungarico (come la
Galizia) e nei territori dell’Impero zarista (la zona di residenza) – dove,
non occorre ricordarlo, gli insediamenti ebraici sono demograficamente
densi. Questo processo di veloce modernizzazione, a tratti inarrestabile,
non manca di incidere sullo stesso mondo ebraico, trasformandone ra-
dicalmente non soltanto i comportamenti culturali e sociali, ma anche
il tradizionale sistema religioso. Un vivace e talvolta aspro dibattito si
apre allora, all’interno del mondo ebraico, sulla religione, sulla storia

64
Il caso, a mio parere, emblematico, per rimanere in Italia, è quello di Francesco Gabba su
cui mi permetto di rimandare a C. Facchini, David Castelli. Ebraismo e scienze delle religioni
tra Otto e Novecento, Brescia, Morcelliana 2005, 84; in un recente articolo di Ilaria Pavan il
caso Gabba è stato menzionato in riferimento alla tradizione antiebraica liberale. Mi sembra più
appropriato analizzare il caso Gabba come momento di fissione tra cultura cattolica e liberale
proprio nelle forme del discorso antisemita.
65
Taradel–Raggi, La segregazione amichevole..., passim.
66
Per una visione panoramica dei processi di emancipazione ebraica in Europa cf. P. Birn-
baum – I. Katznelson (a cura di), Paths to Emancipation, Princeton, Princeton University Press,
1995; M. Brenner – V. Caron – U.R. Kaufmann (a cura di), Jewish Emancipation Reconsidered,
Tübingen, Mohr-Siebeck 2003.

211
e sul ruolo stesso degli ebrei nella nuova società europea – dando vita
alla formazione di diverse “confessioni” ebraiche e a inedite forme di
identità culturale.67
Brevemente riassunte, le varie culture antiebraiche si intersecano
nelle loro conformazioni discorsive, ma non risultano veicolate dai me-
desimi attori politici e istituzionali, esprimendo pure delle progettualità
che spesso configgono tra di loro. Si tratta di una geografia complessa e
disarticolata, che solo lo studioso riesce ad ordinare in senso genealo-
gico – ricostruendone la genesi – e in modo morfologico. Nel prossimo
paragrafo, esamineremo alcune tra le prime reazioni a questo fenomeno,
nuovo ed antico allo stesso tempo.

V. RISPOSTE COEVE ALL’ANTISEMITISMO: ALCUNI CASI ESEMPLARI

Il primo momento di crisi che abbiamo individuato, tra gli anni


’70 e gli anni ’80, diede luogo a svariate prese di posizione a difesa
degli ebrei. In Italia l’esempio più significativo rimane un testo dal
titolo Pro Judaeis, apparso a firma di Corrado Guidetti (pseudonimo di
Giacomo Treves) intorno al 1884, nel quale si cercava di dare risposta
alle accuse più ricorrenti, generalmente veicolate dalla polemica cat-
tolica dei Gesuiti, nei confronti degli ebrei: e precisamente riguardo
alla presunta immoralità del Talmud, agli atteggiamenti economici
deprecabili, all’accusa di omicidio rituale. Guidetti dedica alcune pa-
gine alla confutazione dell’esistenza di una “razza ebraica”, espres-
sione da poco entrata nel lessico culturale e politico dell’Ottocento, il
cui campo semantico, però, oscilla ancora tra significati non sempre
coincidenti. È interessante notare come, intorno al 1880, questo lemma
assuma un significato che desta, nel mondo ebraico, serie preoccupa-
zioni.68 Al testo di Guidetti risposero con veementi attacchi le pagine
di «Civiltà cattolica».69

67
La bibliografia su questi temi è ovviamente vasta. Una interessante analisi del rapporto
tra ebrei russi e modernità si trova in Y. Slezkine, The Jewish Century, Princeton, Princeton
University Press 20062; per la medesima questione nell’impero austro-ungarico rimando a W.O.
McCagg, A history of Habsburg Jews 1670-1918, Bloomington - Indianapolis, Indiana University
Press 1997; per il contesto americano si può vedere ora un libro che al pari di quello di Slezkine
ha suscitato grande dibattito: A.R. Heinze, Jews and the American Soul: Human Nature in the
Twentieth Century, Princeton, Princeton University Press, 2004. Sul rapporto tra modernità e
religione ebraica si veda il recente G. Filoramo (a cura di), Le religioni e il mondo moderno,
vol. 2, Ebraismo, a cura di D. Bidussa, Torino, Einaudi, 2008.
68
Il capitolo dedicato al lemma “Razza” indica una sensibilità a questo problema che deve
ancora essere analizzata nel dettaglio. Cf. C. Guidetti, Pro Judaeis, Torino 1884. Per la polemica
contro il testo di Guidetti cf. Taradel – Raggi, La segregazione amichevole....
69
Su questo testo cf. T. Catalan, “Le relazioni”, in: Brice–Miccoli (a c. di), Racines chrétien-
nes...: 146s.; Facchini, David Castelli..., 68s.

212
Gioverebbe, a questo punto, individuare i tipi di difesa messi a pun-
to da intellettuali, ebrei e non-ebrei, per affrontare questa montante
ostilità:

1. Una prima linea di difesa e di spiegazione del conflitto tra ebrei e


cristiani si può rintracciare in tutti quei testi di storia ebraica – redatti da
ebrei e da gentili – che seguono i crismi della cultura scientifica allora
dominante. Gli scritti di questo tipo sono ispirati dalla fede nella capaci-
tà della scienza di distruggere il pregiudizio antiebraico, attraverso una
descrizione e una spiegazione scientifica dei fenomeni storici. Impron-
tati a un’ideologia fondata sulla fiducia nella ragione, e nella capacità
degli uomini di discernere tra vero e falso, questi lavori si rivolgono
per lo più ad un pubblico colto, e vengono successivamente riutilizzati
in altri testi di carattere divulgativo, dove la ricerca è semplificata e
trasformata in un messaggio più chiaro e immediato.70

2. All’interno di questa tendenza di alta divulgazione scientifica


si trova tutta una ricca mole di scritti di carattere storico-scientifico
sull’omicidio rituale – una questione che la Chiesa condannerà defini-
tivamente solo nel 1962. I lavori sull’accusa del sangue servono da un
lato a mostrare l’infondatezza di questa potente “macchina mitologica”,
che ha sortito effetti spesso tragici sul mondo ebraico, dall’altro a met-
tere a disposizione materiali documentari che possano essere utilizzati
in sede giudiziaria.71 Questi lavori sono meno autonomi dal punto di
vista scientifico, poiché si accompagnano in genere a casi giudiziari o
a polemiche contro testi del tenore di quello di A. Rohling, o di opere
consimili.72

3. In stretta connessione a questi testi, notiamo pure una forma di


reazione all’antisemitismo basata su pratiche già sperimentate in passato
dagli ebrei, per proteggere la propria autonomia e il proprio status giu-
ridico. Mi riferisco all’utilizzo di strumenti giuridici volti a proteggere
le comunità e la cultura ebraiche dalle accuse di omicidio rituale o dagli
attacchi infamanti, come quello reiterato al Talmud, ai quali è accom-
pagnata in genere una sorta di confutazione e difesa. Questo genere di
difesa giuridico-legale, presente anche in epoca moderna, continua a
funzionare per tutta l’età contemporanea. In età moderna – come nel

70
Su questo tema mi permetto di rimandare a Facchini, David Castelli....
71
Su questo tema si può rimandare al lavoro di insieme di Taradel, L’accusa del sangue...,
passim.
72
Il testo più noto è quello di Strack, ampiamente usato contro il Talmudjude di Rohling. Si
veda per l’Italia le campagne scatenate ad esempio dai cappuccini o da altri ambienti cattolici
e utilizzate dai giornali; cf. T. Caliò, La leggenda dell’ebreo assassino. Percorsi di un racconto
antiebraico dal Medioevo a oggi, Roma, Viella, 2007, 151-84.

213
caso citato di Simonino di Trento – il meccanismo giuridico, di per
sé molto differente rispetto all’età contemporanea, funziona laddove
sussista una certa autonomia della giurisdizione laica, o comunque una
volontà di non assecondare le istanze del clero locale.73 Questo tipo
di attivazione della protezione giuridica assume una notevole rilevanza
nel caso delle reiterate accuse di omicidio rituale diffuse nella secon-
da metà dell’Ottocento e nel corso del Novecento, ma è una strategia
utilizzata anche nel caso della pubblicazione dei Protocolli dei Savi
anziani di Sion.74 Il ricorso al processo, il cui risultato può sancire con
forza di legge la falsità di un determinato testo o delle accuse con-
tenute in esso, non contribuisce tuttavia ad arginare la diffusione di
calunnie e stereotipi negativi. La protezione giuridica, garantita dalla
legge, non è infatti sufficiente, da sola, ad evitare la diffusione di una
vera e propria mitologia antiebraica, che sfrutta ora tutti i canali della
cultura di massa. Più in generale, tutti gli sforzi che mirano a provare
la falsità delle accuse antisemite, quand’anche attraverso l’utilizzo di
argomentazioni scientifiche, o con un ricco concorso di prove e di dati,
possono ugualmente rivelarsi inefficaci: è stato infatti dimostrato che i
vari modelli di discorso antiebraico funzionano soprattutto in virtù della
loro effettiva falsità.75

4. Un’ultima tipologia, infine, comprende testi appartenenti ai più


svariati generi, come pamphlet, apologie, trattati sociologici, inchieste,
dedicati esclusivamente all’antisemitismo. Questi lavori introducono
nuove modalità di spiegazione dell’antisemitismo, per cui la trattazione
degli aspetti sociali, politici ed economici viene associata all’analisi dei
caratteri religiosi dell’ostilità antiebraica. Come vedremo, in questi testi
l’antisemitismo è percepito solo in parte come una novità: si tratta di un
fenomeno difficile da spiegare, perché molti intellettuali di fede liberale
non pensano che il processo di emancipazione degli ebrei possa essere
o diventare reversibile. Per alcuni autori non è pensabile un ritorno al

73
Su questi aspetti, molto significativo è il caso di omicidio rituale di Trento: ma si possono
evidenziare molti altri casi simili. Mi sembra che una analisi comparata delle forme di protezione
giuridica delle comunità ebraiche nell’Europa cristiana sia un tema non del tutto esplorato e che
potrebbe rivelarsi interessante anche per una indagine delle prassi politiche ebraiche di carattere
diasporico.
74
Cf. L. Wolf, The Myth of the Jewish Menace in World Affairs or, The Truth About the
Forged Protocols of the Elders of Zion, New York, The Macmillan Company, 1921; N. Cohn,
Licenza per un genocidio. I “Protocolli degli Anziani di Sion”. Storia di un falso, Torino, Ei-
naudi, 1969; C. De Michelis, Il manoscritto inesistente. I “Protocolli dei savi di Sion”, Venezia,
Marsilio, 2004; Idem, La giudeofobia in Russia. Dal Libro del “kahal” ai “Protocolli dei savi di
Sion”. Con un’antologia di testi, Torino, Bollati Boringhieri, 2001; S. Romano, Falsi protocolli.
Il “complotto ebraico” dalla Russia di Nicola II a oggi, Roma, Corbaccio, 1992; C. Ginzburg,
Il filo e le tracce, Milano, Feltrinelli, 2006, 189-204.
75
Rimando alle interessanti notazioni di Volkov, Germans, Jews..., 152-55.

214
mondo pre-moderno, controllato da forze ecclesiastiche e caratterizzato
dalla presenza di un ordine gerarchico e dall’ineguaglianza giuridica. I
principi innescati della Rivoluzione francese sono percepiti come pe-
renni. Per questo motivo, il fenomeno è compreso da un lato come
nuovo, dall’altro come una riemersione di elementi culturali primordiali
e “atavici”, per usare termini molto diffusi alla fine dell’Ottocento, e
utilizzati in Italia da Cesare Lombroso.76 L’antisemitismo si presenta
spesso come un fenomeno che, secondo alcuni, è destinato a scompa-
rire con l’avanzamento della civiltà liberale, tanto più se democratica
(queste, ad esempio, le conclusioni di B. Lazare).
Nel prossimo paragrafo, mi soffermerò solamente su alcuni testi
appartenenti a quest’ultima tipologia, quasi tutti apparsi nel decennio
finale dell’Ottocento, perché è proprio in questo scorcio di tempo che
le forme di antisemitismo europeo sembrano consolidarsi, e al contem-
po assumere una concretezza più evidente e pericolosa (soprattutto in
riferimento all’«Affaire Dreyfus» in Francia). I testi che prenderò in
considerazione, provengono quasi tutti dalla Francia, un paese con una
forte tradizione culturale cattolica, e furono pubblicati in tempi mol-
to ravvicinati, assumendo una certa rilevanza nello scenario culturale
coevo. Si segnala ad esempio la posizione di Israël chez les nations,
opera del cattolico liberale Anatole Leroy-Beaulieu, pubblicata una pri-
ma volta nel 1893 e più volte ristampata, di cui esiste anche una tradu-
zione inglese:77 questo testo, giova ricordarlo, attirò al suo autore le ire
di buona parte del mondo cattolico francese.78 Sempre in Francia, nel
1894, apparve L’antisémitisme, son histoire et ses causes, dell’intellet-
tuale ebreo di area socialista Bernard Lazare: un lavoro in due volumi,
talvolta caotico, ma piuttosto interessante per il tentativo di analizzare
con sistematicità il fenomeno dell’antisemitismo, dalle origini all’età
contemporanea.79 E infine c’è il caso di Enquête sur l’antisémitisme,
raccolta di interviste rilasciate dai massimi studiosi e intellettuali del
tempo (per lo più francesi e italiani), curata da Henri Dagan e pubblicata

76
A questo riguardo si veda il testo redatto da Lombroso a commento dell’ondata di antisemi-
tismo europeo negli anni ’90 in relazione all’«Affaire Dreyfus». Il testo era stato preannunciato
da un acceso dibattito apparso nei giornali nel corso del 1893. M. Toscano, “L’uguaglianza senza
diversità: stato, società, e questione ebraica nello stato liberale”, Storia contemporanea XXV/5
(1994) 696s. C. Lombroso, L’antisemitismo e le scienze moderne, Torino, Roux, 1894.
77
Edizione utilizzata in questo saggio: Israel among the Nations. A Study of the Jews and
Antisemitism, London - New Rochelle/N.Y, W. Heinemann, 1895.
78
P. Pierrard, Juifs et catholiques français. D’Édouard Drumont à Josef Kaplan, Paris, Les
Éditions du Cerf, 19972, 197. Il testo fu pubblicato nel 1893 riscuotendo un grande successo.
79
Si tratta di un testo molto articolato e problematico, perché come in molti altri casi di
intellettuali ebrei e laici di fine Ottocento, raccoglie molti pregiudizi che erano in quegli anni
condivisi da ebrei e cristiani, tra i quali il fatto che parte della responsabilità della ostilità verso
gli ebrei fosse da ricercare nel carattere dell’ebraismo stesso. A questo riguardo si veda anche Y.
Chevalier, L’antisemitismo. L’ebreo come capro espiatorio, Milano, Istituto Propaganda Libraria
1991, 16ss.

215
nel 1899. Vi si trovano le opinioni di vari protagonisti della scena cultu-
rale di fine Ottocento, tra i quali spicca Émile Durkheim che tratteggia,
seppure in modo rapido, il meccanismo sociale del “capro espiatorio”.80
Accanto a questi testi, vorrei soffermarmi inoltre sulla voce «Antise-
mitism», redatta e pubblicata agli inizi del Novecento per l’edizione
americana della Jewish Encyclopedia.81 La voce sintetizza le ricerche
sull’antisemitismo condotte in Europa prima dell’avvento del nazismo,
ed esprime in maniera esemplare a concezione cui erano pervenuti, in
area tedesca, gli studi ebraici sull’argomento.

VI. CHE COS’È L’ANTISEMITISMO? CAPIRE E ANALIZZARE

«Religious differences are no longer the cause of the hatred of the


Jews. Perhaps they never were». (A. Leroy-Beaulieu)

«Selon la formule d’un philosophe chrétien, un des plus grands pen-


seurs de notre temps, Nicolas Berdiaeff, “l’antisémitisme à base reli-
gieuse” est donc “le plus sérieux, le seul qui mérite d’être étudie”. Si-
non le seul, dirai-je, du moins le principal, parce qu’il est à la base».
(J. Isaac)

1. Il primo testo di area francese che passeremo in rassegna è co-


stituito da Israël chez les nations, di enorme rilevanza ai fini del nostro
discorso, in quanto redatto da un autore cattolico. Il testo fu ampiamente
utilizzato anche da Cesare Lombroso, nel suo saggio sull’antisemiti-
smo.82 L’analisi di Leroy-Beaulieu è un tentativo di descrivere la co-
stellazione discorsiva dell’antisemitismo contemporaneo e di confutarlo
sistematicamente. Parte dell’ostilità antiebraica viene fatta derivare, ge-
neticamente, da due forme del discorso religioso:

a) dalle narrazioni bibliche e dal loro uso: è il caso ad esempio del


celebre versetto del Vangelo di Matteo in cui il popolo reclama a gran
voce, di fronte a Pilato, che «il suo [di Cristo] sangue ricada su di noi e
sui nostri figli»:83 immagini di questo tipo, secondo Leroy-Beaulieu, si
sono trasmesse in forme rituali e liturgiche, e quindi risultano doppia-

80
Chevalier, L’antisemitismo..., 80.
81
Vedi “Antisemitism”, in: Jewish Encyclopedia, vol. 1, New York, Funk – Wagnalls, 1901-
1906, 630-41.
82
Si veda al riguardo E. D’Antonio, Cesare Lombroso e l’ebraismo, tesi di laurea in Storia
del cristianesimo, Facoltà di Scienze Politiche - Indirizzo Storico-Politico, Università degli Studi
di Bologna, relatore Prof. Mauro Pesce, a.a. 1998-99; Idem, “Aspetti della rigenerazione ebraica
e del sionismo in Cesare Lombroso”, Società e storia 92 (2002) 283-308.
83
Leroy-Beaulieu, Israël..., capitolo 2.

216
mente potenti;84 da esse derivano l’idea del popolo ebraico come “assas-
sino” e “criminale” e l’idea di una “vendetta di sangue”, teologicamente
giustificata dal Vangelo stesso, per mano dei cristiani.85

b) Dai molteplici attacchi al Talmud, e quindi ai riti e alle tradizioni


dell’ebraismo, che vedono proprio nel corso del XIX secolo una cri-
stallizzazione dei tópoi che fanno dell’ebraismo una religione crudele e
criminale, quando non addirittura sanguinaria e cruenta (e, nel migliore
dei casi, un “fossile storico”):86 da questa tradizione secolare di accuse
discenderebbe la “demonizzazione” non soltanto delle pratiche culturali
(e quindi religiose) dell’ebraismo di matrice rabbinica, ma anche dei
suoi principi etico-morali. Accanto a questi discorsi, l’autore analizza
anche l’accusa di omicidio rituale.
Nel terzo capitolo dell’opera, l’analisi si sposta sul rapporto tra ebrei,
cristianesimo e idee moderne: laddove Leroy-Beaulieu, nello specifico,
cerca di decostruire un altro mito diffuso dall’antisemitismo moderno,
quello che vorrebbe gli ebrei tra i fautori di una “modernità” percepita
come acerrima nemica della società cristiana tradizionale. È un’accusa
che proviene in particolare dalle classi colte cristiane, mentre quelle
menzionate in precedenza, di carattere più tradizionale, sono condi-
vise soprattutto a livello popolare. Questa nuova concezione, secondo
Leroy-Beaulieu, è comune a tutti i gruppi del mondo cristiano: cattolici,
ortodossi (greci e russi), riformati.87 Ne è un classico esempio la pre-
dicazione del pastore di corte Adolf Stoecker – autore di una “difesa
dall’ebraismo”, del 1878, e fondatore del partito cristiano-sociale – 88,
il quale si pone due obiettivi: combattere e competere con la social-
democrazia tedesca, ripristinando le basi e i fondamenti della società
cristiana attraverso il “contenimento” degli ebrei in Germania e l’inseri-
mento di quote nelle università e nelle professioni.89 Vorrei sottolineare,
a margine di queste annotazioni, che questa concezione combina due
elementi: da un lato il rifiuto della modernità come creazione ebraica,
dall’altro l’idea, già più tradizionale, che le sfere dell’economia e del
potere politico debbano essere sottratte agli ebrei, come se la modernità

84
Una corrente di studi recenti analizza le forme dell’antisemitismo cristiano guardando ai
rituali e alla liturgia. A questo proposito rimando all’interessante lavoro di J. Favret-Saada – J.
Contreras, Le Christianisme et ses juifs: 1800-2000, Paris, Éditions du Seuil, 2004; Cohen,
Christ killers... Mi permetto di rimandare al mio saggio “Antisemitismo delle passioni. Note
sulla predicazione cattolica” che apparirà nel dossier Antisemitismo e chiesa cattolica. Ricerche
in corso, nella rivista online www. storicamente.org (materiali in corso di stampa).
85
Leroy-Beaulieu, Israël..., 15s.
86
Ib., 17s.
87
Ib., 74.
88
A. Stoecker, Das moderne Judenthum in Deutschland, besonders in Berlin. Zwei Reden
in der christl.-socialen Arbeiterpartei, Berlin 1879.
89
Leroy-Beaulieu, Israël..., 47.

217
producesse una sorta di “mescolanza impura”, un abominio politico che
andrebbe contro le leggi della ideale «civitas» cristiana.
La contro-argomentazione di Leroy-Beaulieu consiste nel dimo-
strare che gli ebrei non hanno creato affatto la modernità, e non sono
fondatori di scienze o di discipline “ebraiche”, ma che, al contrario, la
modernità è un prodotto squisitamente cristiano. Il diciottesimo secolo,
il secolo della nascita della “modernità”, non è né ebraico né francese,
come vorrebbero Treitschke e Stoecker: costoro attaccano le fonti sba-
gliate, perché tutto ciò che è “rivoluzionario”, così come lo spirito anar-
chico, non è stato prodotto dall’ebraismo o dagli ebrei, bensì da precise
correnti di pensiero e di azione di matrice cristiana.90 Effettivamente,
mostrando una conoscenza raffinata dei processi storici, l’intellettuale
francese non manca di affermare giustamente che «non è l’ebreo che
ha emancipato il cristiano, bensì il cristiano, meglio “l’ariano”, che ha
emancipato l’ebreo».91 Gli ebrei sono “modernizzatori” non in quanto
membri della loro religione, che rimane estremamente tradizionalista,
ma solo ed esclusivamente in quanto usciti da quella religione. Quindi
chiunque accusa (o alternativamente elogia) l’ebraismo come religione
che produce la “modernità” – anche qualora sia ebreo egli stesso, come
James Darmsteter – dimostra di avere quantomeno le idee confuse.92
Nel quarto capitolo, la discussione volge su un altro argomento di
grande complessità, ossia l’invenzione della categoria di “semita”. Dopo
l’ebreo – legato al suo universo religioso, le cui caratteristiche sono
spesso frutto dell’immaginazione piuttosto che di una reale conoscenza
– viene il “semita”, che è sempre un ebreo, anche se il termine viene
preferito e utilizzato dalle correnti più intransigenti del nazionalismo. È
proprio questa nuova dottrina politica che opta per l’utilizzo dei lemmi
“ariano” e “semita”, frutto di un lungo e articolatissimo «iter» all’in-
terno della linguistica comparata ottocentesca.93 È proprio nel corso
dell’Ottocento, epoca di nazionalismi, che si comincia ad utilizzare il
temine “razza”, assieme al connesso indicatore “sangue”, per indicare
un gruppo umano, un popolo, una stirpe, una schiatta e una nazione. Le
ideologie nazionaliste immaginano la “nazione” come il prodotto di un
rapporto di parentela tra la “razza” (o la “nazione”) e degli antenati mi-
tici, in cui il collante è composto dal sangue che veicola caratteristiche
fisico-biologiche e culturali (lingua, religione), in una sorta di unione
mistica fra nazione immaginata e avi inventati. Una concezione di “na-

90
Ib., 57-61.
91
Ib., 84.
92
Ib., 50-51.
93
Su questo affascinante e complesso tema rimando a M. Olender, Le lingue del paradiso.
Ariani e Semiti: una coppia provvidenziale, Bologna, il Mulino, 1991; T. Masuzawa, The Inven-
tion of World Religions, Chicago, University of Chicago Press, 2005, 207ss.; Facchini, David
Castelli..., 123-30.

218
zione” che non fu adottata ovunque, ma che ebbe un’enorme fortuna.94
Va letto in quest’ottica il pamphlet Qu’est-ce qu’une nation?, pubblicato
nel 1882 da Ernest Renan, colui che con più forza si adoperò per definire
la nazione in termini non razziali ma che contemporaneamente aveva
contribuito, più di ogni altro, a diffondere le immagini semplificanti
dell’“ariano” e del “semita”, in quanto “razze” e “culture” dai tratti
distinti e inequivocabilmente diversi.95 Leroy-Beaulieu, tuttavia, non
attribuisce a Renan la responsabilità di aver diffuso tali semplificazio-
ni, ma attribuisce l’operazione culturale – l’utilizzo dei lemmi “razza”
e “semita” – al mondo tedesco, permeato dalla storica ossessione del
giogo straniero (a partire dalla riforma luterana) e colpevole di aver
trasformato gli ebrei, col moderno nazionalismo, in una “razza asiatica”,
ossia i “Semiti”, e i Tedeschi in Indo-germanici (o “Ariani”).96 Anche
l’ossessione contro l’ebraismo avrebbe una specificità tutta tedesca,
a detta dell’autore, poiché solo nella lingua tedesca si dà il binomio
“Deutschtum” e “Judentum”, come espressione di due essenze definite
e stabili, di due civiltà e “spiriti” differenti e antitetici.97
In questo contesto, l’alterità religiosa collimerebbe con l’immagi-
ne dell’ebreo in quanto straniero, e sarebbe radicata in una tradizione
culturale che appartiene al mondo pre-moderno, vale a dire alla coin-
cidenza tra nazione e religione, come si trova ad esempio nell’Impero
turco-ottomano, dove i gruppi religiosi sono spesso anche antiche na-
zioni (drusi, greci ortodossi, armeni cristiani).98 La stessa inscindibile
identità tra nazione e religione si trova radicata nella Russia zarista
(stato ancora pre-moderno dal punto di vista delle sue istituzioni poli-
tiche) e viene sorprendentemente rivendicata nella Germania moderna.
Si tratta, secondo Leroy-Beaulieu, di un elemento arcaico della cultura
tedesca, che non riesce a concepire la “nazione” in senso moderno, cioè
nell’accezione che le ha conferito Renan: come un nuovo conglomerato
politico e culturale, all’interno del quale si mescolano etnie, religioni e
lingue diverse, formando una compagine legata dal comune senso pa-

94
Quello del nazionalismo etnico è argomento complesso; rimando alla lettura di alcuni
classici: E. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismi. Programma, mito, realtà, Torino, Einaudi, 2002;
A. Smith, Le origini etniche delle nazioni, Bologna, il Mulino, 1998; E. Gellner, Nazioni e
nazionalismi, Roma, Editori Riuniti, 1997.
95
E. Renan, Qu’est-ce qu’une nation? Conférence faite en Sorbonne, le 11 mars 1882, Paris,
C. Lévy, 1882. Sul contributo di Renan alla diffusione di questa immagine, si veda in particolare
E. Said, Orientalismo, Milano, Feltrinelli, 2004. Per l’opera di Renan, cf. E. Renan, Che cos’è
una nazione? Roma, Donzelli, 2004. Queste due immagini contrapposte del pensiero di Renan
dovrebbero essere analizzate più a fondo.
96
Leroy-Beaulieu, Israël...,.76.
97
Questo aspetto è molto interessante e forse deriva dal lessico filosofico. Cf. infra.
98
Leroy-Beaulieu, Israël..., 82. Nell’impero turco-ottomano, si esce dalla nazione uscendo
dalla religione, la natio esprime anche l’appartenenza religiosa. L’argomentazione si trova anche
in Renan, Qu’est-ce qu’une nation...

219
triottico e da un comune progetto per il futuro. Non a caso, proprio nel
suo testo, Renan aveva portato come esempio l’Impero turco-ottomano
e il concetto di nazione che si rifletteva nel suo sistema di dominio. Era
questo concetto di nazione (quello pre-moderno), che guardava agli
antenati comuni e alla coincidenza tra nazione e religione, che appariva
nelle pagine di «Civiltà cattolica», ma anche in molti quotidiani italia-
ni cattolici dell’epoca,99 così come nelle rivendicazioni antisemite dei
cattolici francesi guidati dal Drumont.
Così, prosegue l’autore, il “lamento nazionalista” risulta meno
moderno di quanto non appaia a prima vista: l’imposizione del nome
“Semiti” si sarebbe potuta avere anche nella Spagna di età moderna,
se solo ci fossero state, a quel tempo, dottrine etnologiche in grado di
sostenerla.100 La stessa visione degli ebrei come “tribù straniera”, o
l’idea di un antisemitismo concepito come reazione nazionalistica nei
confronti dell’ebraismo (in quanto, per l’appunto, “tribù straniera”),
non sono invenzioni moderne, ma si trovano già nella Bibbia, ad esem-
pio nel libro di Ester, o negli scrittori greci e latini: nel libro di Ester,
d’altronde, si parla di un popolo con leggi e riti diversi, che per questo
motivo è talmente odiato da attirarsi le ire del re.101 Se ci si fa portavoce
di simili concetti di nazione, osserva ancora l’autore, è proprio vero che
non ci sarà mai posto per gli ebrei nel quadro delle nazioni moderne.
Ed è ugualmente inevitabile, sulla base del modello di nazione proposto
da Renan, la creazione di un fossato profondo tra “modernità”, incar-
nata dall’Occidente e dalla Francia, e “Oriente”: ove con quest’ultimo
termine s’intendono le culture orientali (come quella russa o quella
turco-ottomana), il nazionalismo tedesco e, per estensione, il cattoli-
cesimo più intransigente, basate come sono su rivendicazioni di tenore
pre-moderno.
Leroy-Beaulieu dimostra di accettare l’idea di un’esistenza delle
“razze”, ma non ritiene possibile ricondurre lo sviluppo di alcuna na-
zione europea alla “razza” ariana. Per la cultura antropologica e razziale
dell’Europa tardo ottocentesca sarebbero popoli “alieni” anche i Finnici,
gli Ungheresi, poiché, come i “Semiti”, parlano lingue che non apparten-
gono al ceppo indoeuropeo. Ma i gruppi umani, così come le razze o le
stirpi – e «mutatis mutandis» anche i gruppi etnici – possono cambiare
lingua e cultura. Il metodo analitico di Leroy-Beaulieu, in conclusio-
ne, combina analisi di carattere sociologico e storico, puntando a una
ricostruzione complessa della storia ebraica, che non riduca i diversi
fenomeni sociali e culturali a un gioco di essenze spirituali. I bottegai

99
Il contributo più importante in questa direzione rimane quello di Nani, I confini della
nazione..., cap. 3. Ma vedi anche Taradel – Raggi, La segregazione amichevole..., 36-37.
100
Leroy-Beaulieu, Israël..., 77.
101
Ib., 78.

220
ebrei russi – conclude l’autore – non hanno nulla a che vedere con gli
antichi “Semiti” del deserto.
Ci si pone allora la questione, giustamente, del perché questo espe-
diente retorico sia potuto diventare così convincente, e rilevante, nella
cultura della seconda metà dell’Ottocento e del primo Novecento. La
risposta è che «Genio semitico, istinti semitici, civiltà semita, sono di-
ventate mere astrazioni».102 La lettura storica delle vicende ebraiche se-
condo una tale filigrana è assolutamente priva di logica e di sensatezza,
ma semplice, banale e quindi convincente.103

2. Passiamo ora al testo di Bernard Lazare, il quale decide, fin dalla


scelta del titolo, di analizzare direttamente l’antisemitismo, e lo fa par-
tendo dalle origini, cioè senza limitare l’indagine agli aspetti moderni
del fenomeno, o a un’analisi storico-semantica del lemma. A differenza
del cattolico liberale Leroy-Beaulieu, che aveva scelto un’immagine
più elegante, quella di “Israele tra le nazioni” (nel tentativo di restituire
al lettore un’idea della complessa identità culturale degli ebrei nella
diaspora), Lazare, di famiglia ebraica, mostra di condividere invece
una serie di valutazioni negative dell’ebraismo: una postura tipica di
molti ebrei dell’epoca, ancorché legittima, perché fondata sulla libertà
dei moderni di opporre una critica agli aspetti di qualsivoglia cultura
religiosa – della propria come di quella altrui.
L’esperienza di Lazare è interessante, perché lo studio storico
dell’antisemitismo si prospetta per lui come un vero e proprio viaggio
conoscitivo. Se all’inizio dell’indagine troviamo l’idea consueta per cui
gli ebrei sarebbero responsabili dell’odio che si sono attirati in diver-
si momenti storici e contesti sociali, nel seguito del testo il problema
dell’antisemitismo si fa via via più complesso, mostrando i suoi volti
cangianti e le sue caratteristiche istrioniche. L’antisemitismo – a detta
di Lazare – può manifestarsi in diversi modi e in molteplici forme, e
i nessi tra modi e forme appaiono innumerevoli: l’antisemitismo può
passare da un registro economico ad uno teologico, dal piano culturale al
metafisico, dal sociale all’etnico. In una suddivisione parziale, l’autore
cerca di offrire una sorta di fenomenologia dell’antisemitismo moderno,
secondo quanto andava dispiegandosi davanti ai suoi occhi: nelle sue
varianti cristiano-sociale, economica, etnologica e nazionale, metafisica,
rivoluzionaria e anticristiana.
Per quanto concerne il campo cristiano, Lazare osserva che «c’est
la permanence des préjugés religieux qui généra l’antisémitisme chri-
stiano-social».104 Secondo lo studioso francese, gli Israeliti sarebbero

102
Ib., 92.
103
Ib., 92.
104
B. Lazare, L’antisémitisme, son histoire et ses causes, Paris, Léon Chailley, 1894, 229.

221
stati emancipati da un movimento filosofico che rifletteva le istanze di
un mero mutamento economico, senza che ad esso corrispondesse una
reale presa di coscienza sulla questione ebraica, che avrebbe comportato
l’eliminazione definitiva di tutti quei pregiudizi di stampo teologico
e religioso che erano stati trasmessi di generazione in generazione.105
Se l’“antigiudaismo letterario” aveva corroborato il suo corrispettivo
giuridico nell’Antico Regime, dopo la parificazione era inevitabile che
l’“antisemitismo letterario” conducesse a un’analoga restaurazione
dell’“antisemitismo legale”.106
Nell’analisi dedicata agli attacchi del Talmud, Lazare afferma che
«les antisémites chrétiens de notre temps ont du juif, de ses dogmes et
de sa race, la même conception que le antijuif du moyen âge».107 L’au-
tore individua due correnti fondamentali dell’“antigiudaismo” cristiano
corrente: quella dell’«abbé» Luigi Chiarini, che intende ricondurre gli
ebrei nell’alveo della Chiesa tramite la conversione e l’abbandono del
tanto vituperato “Talmud” e quella più aggressiva e intollerante, ricon-
ducibile al canonico A. Rohling,108 che punterebbe alla soppressione
degli ebrei in quanto incapaci di contribuire al bene dello Stato. Secondo
Rohling, in effetti, la presenza degli ebrei risulterebbe nociva per uno
“Stato” inteso in senso cristiano, vale a dire per uno Stato che tendesse
a favorire la vita religiosa dei cittadini, mirando al fine della loro sal-
vezza ultraterrena. La conclusione è che «une partie de l’antisémitisme
moderne va reposer sur la théorie de l’état chrétien et de son intégrité,
et c’est ainsi qu’il le rattachera a l’ancien anti-judaïsme».109 I cristiani
percepiscono gli ebrei del loro tempo – quelli che hanno raggiunto il
benessere e l’integrazione – con gli occhi del presente, a cui aggiungono
però gli antichi pregiudizi: vedono contemporaneamente il “deicida” e
il “finanziere”.110
Secondo Lazare, il contributo veramente innovativo nell’antisemi-
tismo moderno, deriverebbe dall’apporto della corrente nazionalista-
etnologica, sorta in Germania, ma passata ben presto anche in Francia.
Lazare individua in Hegel il massimo responsabile di questa teoria,
ampiamente diffusa da Renan.111 Si tratta di un punto interessante che
sottolinea un nesso spesso taciuto: la dottrina nazionalista (tedesca ma
non solo) si alimenta di una teoria razzista e razziale (ispirata dalle dot-
trine etnologiche e da una certa antropologia fisica) che, nella versione

105
Su questo argomento si veda R. Schechter, Hobstinate Jews. Representations of Jews in
France, 1715-1815, Berkeley - Los Angeles - London, University of California Press, 2003.
106
Lazare, L’antisemitisme... [1894], 228.
107
Lazare, L’antisemitisme..., [1894], 55.
108
Autore del famigerato Der Talmudjude pubblicato nel 1871: vd. infra.
109
Lazare, L’antisemitisme..., [1894], 191-92.
110
Ib., 238.
111
Ib., 240.

222
antiebraica, sfrutta le categorie dell’ariano e del semita, nutrendosi di
una forte vena metafisica, spirituale e filosofica. Il nazionalismo postula
l’esistenza di una nazione-razza non solo come gruppo di sangue ma
anche come portatrice di una essenza spirituale: gli ebrei non possono
farvi parte in alcun modo, essendo l’incarnazione di uno spirito (quello
semita, ebraico e, talvolta, cristiano) che è antitetico rispetto a quello
della nazione tedesca, ariana e germanica. Nella seconda metà dell’Ot-
tocento questo discorso si ritrova sia negli ambienti cristiani che in
quelli anticristiani. E la riflessione più articolata – ci dice Lazare – viene
dalla Germania, dove ha preso piede l’idea dell’esistenza di una vera
e propria “razza” o “nazione” straniera ed ebraica. Lazare ci consegna
quindi l’immagine dell’antisemita di fine Ottocento, per il quale «le Juif
est un individu de race étrangère, incapable de s’adapter, hostile à la
civilisation e à la foi chrétiennes. Immoral, antisocial, d’un intellect dif-
férent de l’intellect aryen, est en outre un déprédateur et malfaisant».112
Partendo da questo assunto, l’autore ha proceduto nella descrizione di
tutte le correnti antisemite del suo tempo, confutandole nel dettaglio.

3. Del tutto diversa, per lo stile e per l’approccio, è invece l’opera


di Henri Dagan, che raccoglie interviste a diversi intellettuali europei
(soprattutto francesi e italiani) sulla questione dell’antisemitismo e della
sua rinnovata diffusione nei paesi di tradizione liberale. Pubblicato nel
1899, questo lavoro reagisce all’«Affaire Dreyfus», anche se vi trovia-
mo accenni ad eventi dell’antisemitismo francese legato alle teorie di
Édouard Drumont.113 L’opera presenta tutti i caratteri di un’inchiesta, e tra
gli studiosi interpellati appaiono gli italiani Cesare Lombroso e Achille
Loria, intellettuali molto noti dal punto di vista professionale, e altresì
conosciuti negli ambienti del movimento socialista europeo. Molti di loro
sono “scienziati sociali”, alcuni criminologi e antropologi – cioè refe-
renti di quelle discipline che, come l’antropologia e l’etnologia, avevano
contribuito più di altre ad elaborare e diffondere la “scienza delle razze”
– e quasi tutti seguaci devoti del metodo “positivo”. Tra gli intellettuali
francesi i nomi più celebri sono quelli di Émile Durkheim e di Albert Re-
ville.114 Le risposte sono per necessità brevi, e spesso superficiali rispetto

112
Ib., 245.
113
H. Dagan, Enquête sur l’antisémitisme, Paris, P.-V. Stock, 1899.
114
Durkheim è noto come il padre fondatore della sociologia come disciplina scientifica au-
tonoma. Autore di studi ormai considerati dei classici del pensiero come Il metodo sociologico
e Il suicidio, nutrì grande interesse anche per lo studio delle religioni, di cui è testimonianza non
solo la sua magistrale opera Le forme elementari della vita religiosa (ed. originale pubblicata nel
1913), ma anche la seconda sezione della rivista da lui fondata alla fine dell’Ottocento, l’“Année
sociologique”. Albert Reville, meno noto in Italia, fu non solo uno dei padri fondatori della storia
delle religioni, ma anche importante esponente del protestantesimo liberale francese. Tra le sue
opere più note si ricordi: Prolégomènes de l’histoire des religions (1881); Histoire des religions
(2 volumi, 1883-1889).

223
agli studi finora citati; nondimeno, esse appaiono di grande interesse,
specialmente per il lettore contemporaneo, perché ci consegnano una
testimonianza dell’epoca su questo problema. Nei testi di area culturale
francese emergono con maggiore nettezza alcune questioni tipiche della
storia nazionale, ad esempio l’associazione della “questione ebraica”
con l’editto di Nantes e l’espulsione degli ugonotti – una persecuzione
religiosa che era stata non priva di ricadute sul piano economico.115
Ricorrenti, nelle risposte a Dagan, sono pure i riferimenti al recente
caso algerino: la legge Cremieux aveva concesso cittadinanza francese
agli ebrei algerini, e ai musulmani che ne avessero fatta esplicita ri-
chiesta; la vicenda suscitò resistenze violentissime da parte dei coloni,
sfociando ben presto in moti violenti verso gli ebrei.116
Per Lombroso la spiegazione dell’antisemitismo è semplice, e si
trova nel conflitto di classe tra poveri e ricchi (il criminologo torinese,
tuttavia, non manca di utilizzare assiomi razzialeggianti). L’antisemi-
tismo francese, in particolare, è per Lombroso un’ideologia politica
cattolica, contro-rivoluzionaria: una spiegazione semplicistica, che non
tiene conto del fatto, per esempio, che tra gli anti-dreyfusardi ci fosse
un personaggio complesso come Ferdinand Brunetière, il quale non fu
mai antisemita.117
D’indubbio interesse si rileva l’intervista al barone Garofalo, procu-
ratore generale a Napoli, autore di un importante testo di criminologia.118
Per Garofalo «l’antisemitismo non esiste in Italia»,119 ma è piuttosto
un fenomeno che può manifestarsi «ex abrupto», senza il supporto di
particolari tradizioni culturali. In Italia la sua assenza è determinata
dall’inconsistenza demografica degli ebrei, e dalla loro quasi totale
assenza nel Sud. La loro presenza, nel commercio e nella stampa, è
effettiva soltanto al Nord e a Roma, anche se, a differenza che in altri
paesi, gli ebrei non si sono ancora sostituiti alla aristocrazie («ils n’ha-
bitent pas encore les palais de la vieille aristocratie»).120 In politica gli
ebrei non hanno posizioni marcatamente distinguibili, e negli affari

115
In particolare le risposte di De Molinari, editore capo del “Journal des Économistes”,
Dagan, Enquête..., 42-46. Un tópos classico del Seicento che vedremo applicato anche al mondo
ebraico nel testo di Simone Luzzatto e che contribuì in modo significativo a diffondere l’idea
della tolleranza religiosa basata sull’utilità economica. Non conosco studi comparati sulla que-
stione, che tengano presente anche il problema dell’espulsione degli Ugonotti. Stessa logica
esplicativa della cacciata degli ebrei dalla Spagna e da altri paesi. Spiegazione adottata dagli
ebrei stessi. Vd. S. Luzzatto, Discorso circa il stato de li Hebrei, Venezia, appresso Giovanni
Calleoni, 1638.
116
Vd. supra.
117
Dagan, Enquête..., 46-47.
118
Viene segnalato come colui che, assieme a Ferri e Lombroso, ha dato vita all’antropolo-
gia criminale (anche se l’autore pare non condividere i presupposti lombrosiani relativi al tipo
criminale). Cf. Dagan, Enquête..., 48.
119
Ib., 48-49.
120
Ib., 49.

224
economici sono addirittura più prudenti dei cristiani; non sono amati,
e continuano ad esercitare pratiche ritenute odiose come l’usura; dal
punto di vista nazionale, infine, non manifestano alcun atteggiamento
pericoloso, perché il pericolo – secondo Garofalo – proviene da altre
«sectes». Una nota rilevante, di carattere sociologico, è la sottolineatura
del fatto che gli ebrei «non sono amati», soprattutto nei circoli della
«sociabilité» borghese, dove sono considerati dei «parvenus», e i loro
modi sono facilmente stigmatizzati. Insomma, pur esistendo, l’ostilità
e la marcata antipatia nei confronti degli ebrei non si traducono in Italia
in “movimento sociale” o in “agitazione nazionale” di protesta, quindi
non si dà antisemitismo in questo senso.121
Di taglio diverso, ma altrettanto interessante, è l’intervista rilascia-
ta da M.E. Duclaux, eminente scienziato dell’Académie française. È
in questa intervista che emergono gli spunti più interessanti intorno
al dibattito francese sull’antisemitismo: in merito al fatto che fosse
stato Ferdinand Brunetière ad accusare Renan di avere diffuso certe
semplificazioni, o che l’origine dell’agitazione antisemita andasse at-
tribuita ad intellettuali come James Darmsteter e certi antropologi.122
Su quest’ultima faccenda il giudizio di Duclaux è perentorio, perché
l’agitazione antisemita, nelle sue manifestazioni violente e di piazza,
non può essere il frutto delle elucubrazioni degli intellettuali, ma deve
essere conseguenza di conflitti endemici di carattere economico e so-
ciale, che generano invidia e frustrazione. L’osservazione è notevole
soprattutto per lo storico d’oggi; Duclaux, tuttavia, sembra dimenticare
che le idee degli intellettuali sono quasi sempre veicolate – nell’epoca
della diffusione della stampa di massa – da giornali, vignette, pamphlet,
che semplificano i messaggi per renderli efficaci.123
In un certo senso, da quanto emerge anche in questo testo, gli intel-
lettuali intervistati, con poche eccezioni, fanno risalire l’antisemitismo
moderno ad una commistione di tradizioni culturali religiose e ad una
situazione sociale complessa, in cui gli ebrei emergono in quanto classe
della media borghesia più dinamica e vivace. Il conflitto sociale sembra
costituire la cornice atta a comprendere questo fenomeno, soprattutto
nel contesto francese, ma questo tipo di lettura sembra anche molto
semplificante, come tutte le letture che seguono parametri intellettuali
già stabiliti. Nelle opere di Lazare e di Leroy-Beaulieu l’analisi lasciava
spazio alla complessità, senza cercare di risolvere la questione una volta
per tutte, e forse senza nemmeno pretendere di dare risposte definitive.

121
Ib., 51.
122
Ib., 51-55. Si tratta di una faccenda complessa quanto poco nota, di cui però non possiamo
ricostruire i tratti principali in questa sede. Rimando ad un intervento di altro tipo un approfon-
dimento su questa questione.
123
Su questo rapporto si vedano le interessanti riflessioni di Volkov, Germans, Jews...,
153-55.

225
Entrambi sottolineavano la difficoltà di cogliere, capire e criticare un
problema – quello dell’ostilità antiebraica – che appariva nuovo e antico
allo stesso tempo. Gli intervistati di Dagan, diversamente, dimostrano
in maniera retrospettiva la limitatezza dell’osservatore contemporaneo.
Come spesso accade, i testimoni di un’epoca non sempre sono in grado
di cogliere i problemi che la agitano, e fenomeni come l’antisemitismo
rappresentano un esempio eclatante.

VII. RISPOSTE DELL’EBRAISMO LIBERALE TEDESCO

Se volgiamo lo sguardo a un altro contesto, quello tedesco, così


ricorrente nelle voci francesi, notiamo un atteggiamento ulteriormen-
te differenziato. Per sintetizzare la complessità del mondo tedesco ho
scelto di analizzare la voce “Antisemitism” che compare in The Jewish
Encyclopedia, opera pubblicata negli Stati Uniti agli inizi del ’900 per
iniziativa dello Hebrew Union College, espressione accademica e istitu-
zionale dell’ebraismo riformato americano, che a sua volta, raccoglieva
la tradizione scientifica ebraico-europea di lingua tedesca ed inglese.
La voce registra le ricerche sull’antisemitismo effettuate prima dell’av-
vento del nazismo. Come ho già detto, si tratta di testo doppiamente
interessante, sia dal punto di vista dei contenuti che dal punto di vista
della loro organizzazione. L’antisemitismo vi è definito come «a modern
word expressing antagonism to the political and social equality of the
Jews»:124 fenomeno moderno che si oppone, dunque, all’eguaglianza
politica e sociale degli ebrei.
Attento soprattutto al mondo di lingua tedesca, l’estensore della vo-
ce afferma che il lemma “antisemitismo” trae la sua origine da una teoria
di carattere “etnologico”, che ritiene vera la coincidenza tra “semiti”
ed ebrei e li distingue irriducibilmente, in quanto tali, dagli “ariani” o
“indoeuropei”:
«The word implies that the Jews are not posed on account of their
religion, but on account of their racial characteristics. As such are men-
tioned greed, a special aptitude for money making, aversion to hard
work, clannishness and obtrusiveness, lack of social tact, and especially
of patriotism. Finally the term is used to justify resentment over every
crime or objectionable act committed by an individual Jew».125
Si tratta dunque di una teoria razziale/etnica, che attribuisce agli
ebrei – considerati indistintamente come individui e come membri di
un gruppo “etnico” – alcune caratteristiche sociali ed economiche, la cui

124
“Antisemitism...”, in: Jewish Encyclopedia..., I, 641b.
125
Ib. Il redattore della voce è Gotthard Deutsch, professore di Jewish History allo “Hebrew
Union College” di Cincinnati.

226
storia andrebbe forse rintracciata nel regime della cristianità medioevale
e moderna. Mi riferisco nello specifico all’accusa di comportamento
economico esecrabile, rivolta dai cristiani agli ebrei, che nel mondo mo-
derno assume diverse manifestazioni: tratto peculiare e profondo di tutta
la polemica antiebraica del cristianesimo, riscontrabile già nei Vangeli.
Si tratta di un dato culturale perdurante e profondamente radicato nella
mentalità cristiana, veicolato da sermoni, immagini, prediche, liturgie,
commentari e leggi.126
Un altro aspetto notevole della voce, spesso marginale nel discorso
sull’antisemitismo, è l’attenzione posta sulla definizione di ebraismo
come religione (gli ebrei non sono definiti, negli altri interventi che
abbiamo analizzato, in base alla loro religione): è un dettaglio di non
secondaria importanza, che non a caso fa la sua comparsa nella cultura
ebraica di matrice tedesca.127 In Germania e negli Stati Uniti, nel corso
di tutto il XIX secolo, fu attuato infatti il tentativo di trasformare il
retaggio tradizionale dell’ebraismo di matrice rabbinica in religione mo-
derna, di cui l’ebraismo riformato costituisce un esito particolarmente
vivace e consolidato.
La voce accenna brevemente anche all’origine del termine “an-
tisemita”, notandone il primo utilizzo nel campo della linguistica e
il successivo passaggio a quello della classificazione antropologica.
L’autore non riesce a stabilire con certezza la sua prima utilizzazione
in questo senso, ma la fa risalire al periodo intorno agli anni Settanta
del XIX secolo. Il termine “nazioni semite” è attribuito invece ad
August Ludwig von Schlözer e a Johann Gottfried Eichorn, linguisti
e biblisti, anche se questi autori lo utilizzano ancora in un’accezione
“filologica” e storica.128 Il vocabolo andrà lentamente a designare, oltre
alle caratteristiche linguistiche, anche determinate caratteristiche di
natura etnica e culturale. In questo caso, però, non si tratta solamente
di confezionare dati etnici sulla base di elementi linguistici e culturali,
ma di ipotizzare e teorizzare l’inferiorità di un gruppo linguistico e
culturale rispetto ad un altro. Così, prima è stata tematizzata l’esi-
stenza delle lingue semitiche, quindi quella di popoli corrispondenti,
sino a teorizzare l’inferiorità della loro civiltà: un’idea, questa, che
fu diffusa – come viene rilevato nell’articolo – da E. Renan in Fran-
cia, malgrado lo stesso Renan avesse frequentemente ripetuto che gli
ebrei moderni non erano associabili ai “semiti”, e che non esisteva
una “razza” ebraica. L’associazione di “semiti”, ebrei e civiltà di infe-

126
Per il periodo medievale si veda il recente lavoro di Todeschini, “Fra stereotipi del tradi-
mento e cristianizzazione incompiuta: appunti sull’identità degli ebrei d’Italia”, Zakhor 6 (2003)
9-20.
127
Mi permetto di rimandare al mio C. Facchini, “Voci dell’ebraismo liberale. Costruire la
religione ebraica”, in: Bidussa (a c. di), Ebraismo..., 171-196.
128
“Antisemitism...”, 642a.

227
riore capacità creativa, ad ogni modo, prese lentamente a diffondersi
in parecchi ambienti; coloro che attaccavano gli ebrei e l’ebraismo
poterono pertanto ricorrere all’autorevolezza di uno scienziato e libero
pensatore della fama di Renan:
«When they repeated in reference to the Jews what he had said of the
Semites – namely, that they lacked personal courage; that their moral
ideal was different from ‘ours’; that they were selfish, chiefly negative,
and altogether “une race incomplète”».129
Una breve menzione viene concessa anche alle forme antiche di
antisemitismo, testimoniate addirittura dal libro di Ester, laddove si
parla di un popolo disperso tra le nazioni con usi e costumi propri,
odiato da tutti e di nessuna utilità per il re.130 Ma al di là di questo
breve cenno, l’autore, riallacciandosi a molti studiosi ebraici del suo
tempo, afferma che «what is properly known as anti-Semitism had
its roots in the age following the French Revolution, when religious
liberty had become a more or less accepted dogma in political scien-
ce, and a new basis had to be found for the attacks on the Jews, more
particularly for the opposition to their full enfranchisement».131
È quindi discusso il ricorrere dell’antisemitismo anche in perio-
di precedenti, antisemitismo che non veniva rintracciato nell’età del
cristianesimo medievale, essendo l’ostilità antiebraica in esso diffusa
sostanzialmente di matrice religiosa. Ciò che emerge dalla lettura di
questa voce, a differenza di quanto abbiamo visto in Lazare, Leroy-
Beaulieu e altri intellettuali, è perciò l’idea di una sostanziale novità
dell’antisemitismo moderno, basata sul rifiuto di una parificazione
giuridica, politica e sociale degli ebrei: per questo motivo si rende
necessaria una descrizione di tutte quelle manifestazioni che si fanno
portavoce di tali politiche. La lista presentata va dalla politica di Fe-
derico Guglielmo IV di Prussia nei confronti degli ebrei all’ostilità dei
Gesuiti di «Civiltà cattolica», nonché dei cristiani tedeschi. L’antise-
mitismo, ritenuto sostanzialmente un fenomeno tedesco, avrebbe avuto
la propria data di nascita con le elezioni del 1878, in concomitanza
con l’aumento dei parlamentari conservatori in Germania: la sostanza
stessa di questa mutazione è determinata dalla caratteristica politica
dell’antisemitismo che, pur utilizzando argomentazioni di carattere
razziale, mirerebbe implicitamente a una cristianizzazione dello Stato.
L’aspetto innovativo dell’antisemitismo moderno si fonderebbe sul

129
“Antisemitism...”.
130
Questa descrizione della specificità del popolo ebraico e dell’ostilità mostrata dalle nazioni
fin dall’antichità e attestata da questo testo biblico si trova anche nelle apologie ebraiche di età
moderna. Per quanto mi è dato sapere le apologie ebraiche presentano spesso questa antica genesi
dell’ostilità delle genti verso gli ebrei.
131
“Antisemitism...”, 643.

228
presupposto che l’ebraismo e gli ebrei non possano essere cittadini
eguali e liberi di uno Stato (che dovrebbe essere) cristiano. Questo
aspetto – il carattere dello Stato moderno – è ciò su cui rifletterà in
seguito, seppure in modo diverso, anche Hannah Arendt; ma è nel
complesso intreccio Stato moderno-nazione-religione che l’antisemi-
tismo dev’essere studiato, anche in connessione con le teologie e le
ideologie politiche delle varie forme di cristianesimo.
L’aspetto interessante di questa voce stilata per la Jewish Encyclo-
pedia è che, pur nell’osservazione di una certa varietà di fenome-
ni antiebraici nel corso storico, vi si enfatizzano elementi in genere
sottaciuti, e che «mutatis mutandis», con le dovute differenziazioni,
costituiscono anche parte del bagaglio concettuale e politico dell’an-
tisemitismo nazista. La novità dell’antisemitismo si fonda, per gli
estensori della voce, sugli elementi che ho appena evidenziati: cultura
moderna dei diritti, eguaglianza politica, concetto di ebraismo come
culto e religione, concetto di Stato neutrale, cristianizzazione della
società. Gli elementi innovativi sono individuati insomma nell’in-
treccio tra teoria “etnologica” e uso politico dell’ideologia antise-
mita, in diversi campi del sociale e in determinati ambienti cristiani:
i cristiano-sociali di Stoecker, i partiti cattolici austriaci e Lueger, i
partiti antisemiti nella cattolica Ungheria, il movimento antisemita
cattolico di Drumont in Francia. Tra gli altri paesi in cui vengono
registrati moti antisemiti si fa menzione – oltre che dell’«Affaire
Dreyfus» – anche della Russia, della Romania, dei pretesi casi di
omicidio rituale di Polna e di Tiszla Eslar. La discussione di elementi
legati alla questione delle accuse di omicidio rituale viene rimandata
a una voce più accurata, ma qui non li si esclude del tutto dalle ma-
nifestazioni di antisemitismo moderno, ritenute anche frutto di odio
religioso (ad esempio nel caso in cui esse si manifestino nelle zone
a dominio musulmano). L’antisemitismo è qui inteso solamente nel
senso di «opposition to Jews on the ground of their ethnical inferio-
rity». L’aspetto politico e cristiano dell’antisemitismo moderno è ben
evidenziato, ma accanto ad esso emerge una concezione etnica in base
alla quale gli ebrei hanno precise caratteristiche per cui risulterebbero
inferiori, così come inferiore sarebbe anche la loro cultura. Quasi
assente, dallo spoglio della voce, quella corrente culturale “radicale”
e atea di ostilità antiebraica che successivamente – secondo alcuni
studiosi – sarebbe confluita nel nazismo, anche se furono proprio le
esperienze cristiano-sociali austriache, probabilmente, a segnare il
giovane Hitler nella Vienna del suo tempo. Utilizzando questa voce,
non intendo affermare che l’analisi del fenomeno in essa contenuta
sia precisa ed esatta. L’ampio dibattito sull’antisemitismo attesta al
contrario una notevole differenziazione metodologica nell’analisi del
fenomeno, e mostra due linee interpretative di fondo: l’una tendente

229
ad estendere l’indagine sul lungo periodo, l’altra a soffermarsi preva-
lentemente sugli aspetti moderni, in particolare politici. In ogni caso
la centralità della cultura cristiana e cattolica non viene emarginata,
né risulta minimizzato il suo impatto sulla formazione di un’ideologia
politica antisemita nei tempi moderni.

VIII. RIFLESSIONI CONCLUSIVE

La diffusione dell’antisemitismo moderno, generalmente associata


dagli studiosi alla nascita stessa del lemma e alla sua condensazione
nelle forme del razzismo nazista, non fu affatto un fenomeno chia-
ramente e facilmente distinguibile dalle forme di ostilità antiebraica
tradizionale. Gli osservatori dell’epoca che furono diretti testimoni
di questo fenomeno politico e culturale tentarono di comprenderlo
inserendolo in una cornice storica, o semplicemente osservandone le
caratteristiche ritenute “nuove”. L’indagine che abbiamo svolto rivela
soprattutto le difficoltà d’individuare con chiarezza in che cosa con-
sista il “nuovo antisemitismo” ottocentesco, e in che cosa dovrebbe
differire dall’antigiudaismo. Il lemma “antigiudaismo” sembra essere
utilizzato solamente da Bernard Lazare, il quale oscilla, tuttavia, in
modo impreciso tra i due termini, individuando svariate forme di “an-
tigiudaismo” – legale, filosofico, sociale e via di seguito.132
I testi che ho presentato mostrano tutti – con diverse sfumature
– come la componente cristiana e cattolica sia alla base delle nuove
forme di antisemitismo, e come essa si leghi, in svariati modi, alle
nascenti dottrine nazionaliste e razziali dell’epoca. Accanto alla varietà
dei discorsi cristiani sugli ebrei, appaiono nel corso del XIX secolo
ideologie nazionaliste e razziste che, utilizzando parte dei risultati
provenienti da discipline scientifiche, come la linguistica, l’etnologia
e l’antropologia, sviluppano ideologie antiebraiche con temi nuovi
ma non del tutto indipendenti dalle costellazioni discorsive di matrice
religiosa.
Dai testi esaminati si possono trarre una serie di riflessioni che
vanno approfondite e indagate con più precisione. Almeno tre testi
– con l’esclusione di Dagan – individuano un problema interessante,
ossia l’emersione di una diffusa concezione dello stato cristiano, non
più inteso in termini pre-moderni, ma connesso al diffuso sentimento
nazionale. In questo senso la dottrina dello stato e la concezione della
nazione cristiane sfruttano ed elaborano entrambe, come ideologia

132
Rimando al saggio di E. Mazzini, “Aspetti dell’antisemitismo cattolico dopo l’Olocausto”
in: La Shoah in Italia, (a cura di) M. Flores - N. A. Matard - Bonucci, E. Traverso, 2, Torino,
Utet , 2010 (in stampa).

230
portante, quella dell’antisemitismo moderno. In questa fase, gli os-
servatori, notano la presenza di ostilità antiebraiche anti-cristiane, che
non sembrano però assumere una posizione privilegiata rispetto alle
costellazioni antisemite ispirate al cristianesimo, e in modo particola-
re, al cattolicesimo. Lazare aveva acutamente notato che nel corso del
XVII secolo la tradizione religiosa antiebraica (che era esclusivamente
religiosa) si stava trasformando: gli imperativi emersi, con la forma-
zione dello stato assoluto, erano indirizzati a capire se e come fosse
possibile integrare e “tollerare” gli ebrei negli stati cristiani. Le dot-
trine della tolleranza religiosa all’interno dello stato cristiano avranno
esiti molto differenti,133 ma una sostanziale componente dell’antisemi-
tismo moderno sembra ispirata da un problema simile, in una fase in
cui lo stato sembra affermarsi come a-confessionale. L’antisemitismo
cattolico, nello specifico, sembra volere unire concezione dello stato
cristiano, «societas» cristiana e nazione cristiana. In questa dottrina
politica gli ebrei, come osserverà Leroy-Beaulieu, non troveranno
mai un diritto di esistenza. Ma lungi dall’essere una riproposizione
della “nazione pre-moderna”, questa concezione è più complessa e
sfocerà, col crollo dell’impero austro-ungarico, nella proposizione di
nazionalismi etnici, che in alcuni casi saranno anche cattolici o ispirati
dalla tradizione religiosa.
La concezione dell’antisemitismo di ispirazione cristiana e catto-
lica, così come si manifestava nel corso della seconda metà dell’Otto-
cento, come ideologia frammentata e movimento politico, non appariva
dissimile dalle forme dell’antigiudaismo classico, in particolare quello
del periodo tardo antico, il quale, accanto ad immagini fortemente ne-
gative dell’ebraismo (apparato ideologico) associava una sistematica
politica di erosione dei diritti giuridici raggiunti dalle comunità ebrai-
che all’interno dell’impero romano.134 Analisi più puntuali dovranno
quindi indagare meglio questo nesso, e comprendere le ideologie anti-
semite sia alla luce del suo complesso retaggio teologico che alla luce
del loro rapporto con le concezioni moderne del nazionalismo e dello
stato, tenendo ben presente le differenze sostanziali.135

133
Non esiste un saggio che faccia il punto sulla teoria della tolleranza religiosa e della
naturalizzazione degli ebrei in Europa.
134
La bibliografia su questo tema è estesa. Si veda ora: M. Goodman, Roma e Gerusalemme.
Lo scontro delle civiltà antiche, Roma - Bari, Laterza, 2009.
135
Su questi temi rimando a R. Moro, “Il mito dell’Impero in Italia fra universalismo cristiano
e totalitarismo”, in: D. Menozzi – R. Moro (a cura di), Cattolicesimo e totalitarismo. Chiese
e culture religiose tra le due guerre mondiali: Italia, Spagna, Francia, Brescia, Morcelliana,
2004, 311-71; G. Miccoli, “Chiesa e società in Italia fra Ottocento e Novecento: il mito della
cristianità”, in: Id., Fra mito della cristianità e secolarizzazione. Studi sul rapporto chiesa-
società nell’età contemporanea, Casale Monferrato, Marietti, 1985, 21-92; D. Menozzi, La
Chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino, Einaudi, 1993, 136-54. Ringrazio Elena Mazzini
per questa nota.

231
Nonostante una critica puntuale dell’antisemitismo prodotta in
tempo reale da intellettuali competenti e preparati, ciò che più colpisce
è la mancata efficacia di quelle analisi e critiche di farsi senso comune.
Si tratterà allora di capire come mai, a fronte di serie decostruzioni
dell’antisemitismo moderno, della sua irrazionalità logica e della sua
falsità storica, esso sia rimasto così centrale nella cultura europea e
occidentale.
Cristiana Facchini
Dipartimento di Discipline storiche, antropologiche e geografiche
Università degli Studi di Bologna
Piazza San Giovanni in Monte, 2
IT-41024 Bologna
cristiana.facchini@unibo.it

232
ASE 37/1(2020) 253-291

Cristiana Facchini
L’ostilità antiebraica
nel mondo cattolico:
un percorso storiografico e politico

I. STORIOGRAFIE

L’antisemitismo di matrice cattolica, o come si preferisce, l’anti-


giudaismo cattolico (e per altri contesti cristiano), ha caratteristiche
intellettuali e pratiche molto specifiche, in genere ancorate alla storia di
lungo periodo delle due religioni che, tuttavia, non possono essere del
tutto scisse da forme di ostilità antiebraica di matrice non religiosa. Un
intenso dibattito di carattere concettuale e semantico sulla differenza
tra antigiudaismo e antisemitismo si è consumato tra gli storici che si
sono occupati del tema, senza però trovare soluzioni convincenti. E
mentre molti hanno insistito sulla maggiore virulenza dell’antisemiti-
smo moderno, sul suo inedito linguaggio che abbraccia diversi ambiti
della vita aggregata, di recente lo storico David Nirenberg ha offerto
una interessante lettura dell’antigiudaismo, che attribuisce una valenza
centrale e significativa alla matrice religiosa, o meglio allo slittamento
del discorso religioso negli ambiti della filosofia, della metafisica e del
politico.1 Innanzitutto, il macro-fenomeno dell’antisemitismo cristiano,

1
D. Nirenberg, Anti-Judaism. The Western Tradition, New York, W.W. Norton & Company,
2013, ma anche il testo italiano di P. Stefani, Antigiudaismo. Storia di una idea, Roma-Bari, La-
terza, 2004. Sulla discussione relativa al concetto di “antisemitismo” in una prospettiva di scienze
sociali cf. Y. Chevalier, L’Antisemitismo. L’ebreo come capro espiatorio, Milano, IPL, 1992 (ed.
or. francese); per l’uso del termine “antisemitismo” nel contesto del cristianesimo medievale si
veda l’importante opera di G. Langmuir, Toward a Definition of Antisemitism, Berkeley, Uni-
versity of California Press, 1996; Id., History, Religion, and Antisemitism, Berkeley, University
of California Press, 1993; R. Chazan, Medieval Stereotypes and Modern Antisemitism, Berkeley,
University of California Press, 1997; importante anche il lavoro di J. Cohen, The Friars and the
Jews, Ithaca, Cornell University Press, 1982. In questi ultimi decenni, una nuova generazione
di storici, soprattutto americani e israeliani, ha contribuito ad arricchire il dibattito storiografico,
su temi relativi alle rappresentazioni cristiane dell’ebraismo e degli ebrei. Per l’età medievale
mi preme segnalare gli scritti di S. Lipton, Dark Mirror. The Medieval Origin of Anti-Jewish

253

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e più nello specifico quello cattolico, può essere affrontato in due modi
diversi: da un lato può essere analizzato ricostruendo, attraverso casi
microstorici, la sua evoluzione nello specifico contesto nazionale e in un
determinato periodo; al contrario può essere studiato all’interno di una
più generale e complessa macro-narrazione, che percorre i punti salienti
che dalle origini del cristianesimo fino al Novecento hanno forgiato i
diversi tipi di discorso antiebraico.
Questo contributo ha obiettivi molto più modesti, anche se cercherà
di offrire una lettura delle forme dell’antisemitismo cattolico, guardando
sia al contesto italiano, con le sue peculiarità, che a quello transnaziona-
le del cattolicesimo nel periodo noto come “lungo Ottocento”.2
La tendenza ad analizzare l’antisemitismo come fenomeno di lungo
periodo si sviluppò nel corso dell’Ottocento, quasi sempre come reazio-
ne a momenti di crisi, innescati spesso dall’antisemitismo politico che
costituì, secondo alcuni storici, una novità nel panorama culturale dell’e-
poca.3 Di rado quello religioso, di cui dirò qualche cosa nei paragrafi
successivi, costituì il punto di partenza per una riflessione intellettuale
più puntuale, per lo meno fino agli anni ’30 del Novecento.4

Iconography, New York, Metropolitan Books Harry Holt, 2014; Id., Images of Intolerance. The
Representation of Jews and Judaism in the Bible moralisée, Berkeley-Los Angeles, University of
California Press, 1999 (che riprendono una tradizione autorevole di studi dediti all’iconografia
antiebraica). Il rinnovamento storiografico ha seguito linee di ricerca spesso caratterizzate sia
dalle specializzazioni cronologiche (antichità e tardo antico, medievale, moderno e contempo-
raneo), sia per aree geografiche dove il rapporto tra cristianesimo ed ebrei ha trovato sia forme
concrete caratterizzate da relazioni basate su interazione e conflitto sia da forme immaginarie,
dove le stereotipie si fondano più sulle conformazioni discorsive anche in assenza di ebrei.
2
La prospettiva del “lungo Ottocento” introdotta da Eric Hobsbawm permette di far coincide-
re la storia politica delle varie fasi dell’emancipazione ebraica iniziata con le patenti giuseppine
inaugurate dall’imperatore Giuseppe II a partire dal 1781 e gli eventi rivoluzionari, soprattutto
quelli francesi, che portarono all’emancipazione del piccolo nucleo ebraico francese, fino alla
Prima guerra mondiale. Se analizzati in una prospettiva di rapporti ebraico-cattolici, si potrebbe
estendere la periodizzazione fino agli anni ’30 del Novecento.
3
Sulla nascita dell’antisemitismo politico e sul rapporto con il cristianesismo, sia cattolico
che protestante, rimando ad alcuni lavori influenti: G. Miccoli, “Santa Sede, questione ebraica
e antisemitismo fra Otto e Novecento”, in: C. Vivanti (a cura di), Storia d’Italia, Annali 11:
Gli ebrei in Italia, II. Dall’emancipazione ad oggi, Torino, Einaudi, 1997, 1372-1574; Id.,
“Antiebraismo, antisemitismo: un nesso fluttuante”, in: C. Brice, G. Miccoli (éd.), Les racines
chrétiennes de l’antisémitisme politique (fin XIXe-XXe siècle), Roma, École française de Rome,
2003; Id., Antisemitismo e cattolicesimo, Brescia, Morcelliana, 2013. Su questo argomento si
vedano anche C. Facchini, “Le metamorfosi di un’ostilità antica. Antisemitismo e cultura cattoli-
ca nella seconda metà dell’Ottocento”, ASE 27/1 (2010) 187–230; E. Mazzini, “L’antisemitismo
cattolico dopo l’Olocausto”, in: S. Levis Sullam, E. Traverso, M. Matard Bonucci, M. Flores (a
cura di), Storia della Shoah in Italia, II, Torino, Utet, 2010, 320-335.
4
Su questo aspetto insiste J. Connelly, From Enemy to Brother, Cambridge, Harvard Uni-
versity Press, 2012. In questo senso trovano un significato preciso le opere di teologi cattolici
come Jacques Maritain, John Osterreicher, ma anche protestanti, come James Parkes, e le reazioni
di intellettuali come Eric Voegelin. Questi tentativi, inascoltati negli anni ’30, contribuirono
a formare una tradizione critica la cui voce cominciò ad avere risonanza negli anni ’60, in un
contesto socio-politico mutato.

254

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Vorrei, innanzitutto, riflettere, anche se in modo superficiale, sulla
storiografia della crisi, che si esprime su questo tema non tanto come
una meditazione storica articolata, ma come una risposta immediata a un
problema che appare e scompare, che viene percepito come pericoloso
ma viene anche velocemente dimenticato, ossia quello dell’ostilità an-
tiebraica e più genericamente dell’antisemitismo. Gli eventi della storia
europea che hanno inciso sulla percezione del pericolo tra gli intellettuali
del tempo sono illuminanti rispetto al modo in cui nell’Ottocento il pro-
blema delle comunità ebraiche diventa visibile, almeno per una porzione
di opinione pubblica alfabetizzata e consumatrice di informazioni. Vorrei
selezionare tre momenti maggiormente significativi che hanno in qual-
che modo offerto una spiegazione dell’antisemitismo, focalizzandomi
particolarmente su quello di matrice religiosa e cattolico nello specifico,
fermo restando che le connessioni e i nessi con ostilità antiebraiche di
altre tradizioni cristiane e con quelle non strettamente religiose sono
talvolta ben chiari e talvolta così intrecciati da non poter essere recisi.
Da un punto di vista ebraico, le crisi maggiormente significative
sono in genere collocate a cavallo tra Otto e Novecento, all’interno
di quella che spesso è definita crisi di fin de siècle, quando due casi
internazionali attirarono l’attenzione dell’opinione pubblica. Accanto
ai visibili problemi relativi alle comunità ebraiche dell’impero zarista
o della Romania, che divenne Stato indipendente nel 1877, alla fine
dell’Ottocento furono l’Affaire Dreyfus e la campagna elettorale di Karl
Lueger, che divenne poi sindaco di Vienna nel 1897, a suscitare due
tipi di reazione: quella degli intellettuali e quella di una componente
del mondo ebraico che si era mobilitato in difesa dei diritti degli ebrei
almeno a partire dal caso di Damasco del 1840.5 I due casi costituiscono
il punto di arrivo di conflitti che si erano generati nel corso della secon-
da metà dell’Ottocento in concomitanza alle politiche di parificazione
giuridica nei confronti degli ebrei di alcuni Paesi dell’Europa centrale
e occidentale, tra cui l’Italia. Il dibattito che suscitò l’antisemitismo di
fine secolo è importante perché le immagini e i temi relativi agli ebrei e
all’ebraismo circolarono ampiamente nei circuiti dell’opinione pubbli-
ca dell’epoca. Suscitarono reazioni emotive e partecipazione politica,
contribuirono a definire rappresentazioni dell’ebraismo, sia in senso
negativo che positivo.6
La crisi degli anni ’30 del Novecento innescata dall’avvento del
regime nazista assume, d’altro camto, una significativa rilevanza perché

5
J. Frankel, The Damascus Affair. “Ritual Murder”, Politics, and the Jews in 1840, Cam-
bridge-New York-Melbourne, Cambridge University Press, 1997; R. Harris, Dreyfus. Politics,
Emotion, and the Scandal of the Century, New York, Metropolitan Book Henry Holt and Co.,
2010.
6
Su alcuni aspetti rimando a Facchini, “Le metamorfosi di un’ostilità antica”, 187-230.

255

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fornisce allo storico una certa quantità di indizi interessanti che illumi-
nano certe dinamiche culturali e religiose dell’epoca: è solo in questo
periodo che all’interno dei gruppi cristiani di diversa confessione si fa
lentamente strada una consapevolezza religiosa dell’ostilità antiebraica
che convive però con una forte percezione, almeno nel mondo cattolico,
di un’assoluta diversità del discorso cattolico sugli ebrei rispetto alle
forme del razzismo di Stato messe in atto dai regimi totalitari.7 Non
è questa la sede per analizzare le posizioni assunte da diversi teologi
o intellettuali cattolici e protestanti dell’epoca, ma è sufficiente men-
zionare come un momento di crisi politica intensa contribuì a cercare
anche nel campo religioso risposte a fenomeni politici drammatici. È
in questi anni che un piccolo gruppo di teologi e intellettuali cristiani,
tra cui alcuni cattolici, cominciò a riflettere sulla responsabilità della
tradizione cristiana e della Chiesa nello sviluppo dell’antisemitismo.8
Parallelamente, anche tra gli intellettuali ebrei cominciarono a emergere
tentativi di fornire risposte atte a comprendere il radicamento dell’an-
tisemitismo nel cuore della civiltà europea. Penso in particolare alle
reazioni di Jules Isaac (1877-1963), la cui voce cominciò a sentirsi dopo
la fine della Seconda guerra mondiale, in un contesto molto mutato dagli
eventi tragici della Shoah. Questo periodo è particolarmente rilevante
nella prospettiva religiosa, perché con maggiore sensibilità rispetto alla
fine dell’Ottocento, il mondo cristiano reagisce ponendosi questioni
prima del tutto assenti, come ad esempio la rilevanza dei “diritti umani”
in una prospettiva universale.9
La terza fase di riflessione teologica e storiografica sull’antisemi-
tismo religioso si colloca in reazione alla Shoah e risale ufficialmente
agli anni ’60 del Novecento, in coincidenza con la sua messa a punto
nel documento Nostra aetate steso dai padri conciliari in occasione del
concilio Vaticano II.10 Per la precisione, alcune chiese cristiane reagi-
rono dopo la fine della Seconda guerra mondiale in linea ideale con i
tentativi del tutto fallimentari degli anni ’30 e si posero come obiettivo

7
Vd. Miccoli, “Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo”, 1380-1574 (spec. 1562
ss.) che lavora soprattutto sulla distinzione elaborata negli ambienti gesuiti tra “antisemitismo
plausibile” e “antisemitismo volkish” e quindi pericoloso, da rigettare.
8
Connelly, From Enemy to Brother. Sulla difficoltà di definire la gravità del razzismo di
Stato si veda anche E. Fattorini, Pio IX, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Torino,
Einaudi, 2007; sulla mancata enciclica di Pio IX, cf. G. Passelecq, B. Suchecky, L’encyclique
cachée de Pie XI. Une occasion manquée de l’église face l’antisémitisme, Paris, La Découverte,
1995; sulle rappresentazioni antiebraiche e sul rapporto con il regime fascista, vd. E. Mazzini,
Ostilità convergenti. Stampa diocesana, razzismo e antisemitismo nell’Italia fascista (1937-
1939), Napoli, ESI, 2013.
9
S. Moyn, Christian Human Rights, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2015.
10
Sul testo si veda G. Miccoli, “Due nodi: la libertà religiosa e la relazione con gli ebrei”,
in A. Melloni, “La chiesa come comunione. Il terzo periodo e la terza intersessione settembre
1964 - settembre 1965”, in: G. Alberigo (a cura di), Storia del concilio Vaticano II, IV, Bologna,
Il Mulino, 1999, 119-219.

256

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la revisione teologica degli insegnamenti cristiani sugli ebrei e sull’e-
braismo.11 Accoglievano di fatto le voci solitarie che qualche decennio
prima avevano denunciato le responsabilità dell’«insegnamento del di-
sprezzo», per citare la famosa frase di Jules Isaac (1877-1963).12
Lo studio dell’antisemitismo cattolico segue quindi una sua parti-
colare evoluzione di carattere storiografico, anche piuttosto definita, e
se ha trovato, paradossalmente, un ambiente maggiormente ricettivo
in Paesi che hanno avuto un cattolicesimo aggressivo contro gli ebrei,
come la Francia, l’impero austro-ungarico o la Germania, quello italia-
no è stato più lento a recepire questi temi, anche se non ha mancato di
consolidarsi, producendo una mole di studi puntuali e approfonditi. I
tre momenti di crisi storiografica andrebbero analizzati con attenzione:
essi segnalano e offrono una serie di informazioni utili sulle traiettorie
storiografiche nazionali e internazionali, sui rapporti di potere istituzio-
nali che hanno generato o rallentato la storiografia sull’antisemitismo,
indirizzandola in certe direzioni a scapito di altre e soprattutto, nel caso
dell’antisemitismo religioso, indicano i motivi che hanno indotto a un
ripensamento teologico (prima di tutto) e storiografico su questo tema.
Questa premessa indica i problemi relativi alla ricostruzione e inter-
pretazione di questi dati, alla luce anche delle tendenze storiografiche
più recenti, che hanno aperto nuove vie di ricerca, a volte anche molto
innovative.
Detto questo, e lasciando al momento da parte la questione storio-
grafica, occorre fornire qualche dato preciso sulle caratteristiche del
mondo ebraico italiano per poter comprendere i tratti salienti dell’an-
tisemitismo cattolico sia in una prospettiva di storia italiana che in un
contesto più generale di storia della Chiesa e del cristianesimo. Più nello
specifico vorrei attirare l’attenzione sulla relazione ebraico-cristiana in
un Paese come l’Italia che ha una storia ebraica caratterizzata da inse-
diamenti di lungo periodo, talvolta eccezionali come quello romano, e
al contempo una presenza demografica molto contenuta rispetto ad altri
Paesi europei dove gli insediamenti di ebrei furono consistenti, raggiun-
gendo a volte il 25% o il 39% di popolazione ebraica nelle città.13 La
specificità italiana, anche rispetto alla tradizione antisemita, in parte è
debitrice di questa scarsa visibilità materiale se escludiamo invece al-

11
Mazzini sostiene che non ci furono reazioni rilevanti, in E. Mazzini, L’antiebraismo cat-
tolico dopo la Shoah. Tradizioni e culture nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1974),
Roma, Viella, 2012, diversamente Connelly, From Enemy to Brother. Vd. C. Facchini, “Culture
cattoliche ed ebrei dopo la Shoah. Riflessioni a margine di due recenti pubblicazioni”, ASE
29/1 (2012) 149.
12
J. Isaac, L’enseignement du mépris: vérité historique et mythes théologiques, Paris,
Fasquelle, 1962.
13
I dati sulla demografia ebraica si possono vedere in S. Della Pergola, “La popolazione
ebraica in Italia nel contesto ebraico globale”, in: C. Vivanti, Gli ebrei in Italia, 2: Dalla eman-
cipazione a oggi, Torino, Einaudi, 1997, 897-936.

257

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cune città del Centro e del Nord Italia dove nel corso dell’Ottocento si
crearono situazioni di inurbamento ebraico. L’esigua presenza ebraica
non va certamente sottovalutata nell’affrontare la questione dell’antise-
mitismo in Italia, che presenta ovviamente degli orientamenti particolari
da leggersi sia in riferimento al contesto europeo che in riferimento alle
prassi di lungo periodo.
Prima di tutto l’Italia ottocentesca, per quanto pervasa da un moto
risorgimentale e patriottico che ebbe un certo influsso europeo transna-
zionale, appariva agli osservatori del tempo un Paese arretrato, con un
basso tasso di alfabetizzazione, nonostante politiche riformatrici e mo-
dernizzanti introdotte già a partire dal Settecento. La presenza dei ghetti
in molte città italiane doveva contraddistinguere in modo significativo
l’immaginario dell’epoca, e non colpisce che essi rimasero per lungo
tempo, anche a Ottocento inoltrato, i luoghi verso i quali si riversavano
tumulti e manifestazioni antiebraiche.14 Parto dal ghetto quale luogo
centrale, fisico e simbolico, perché ha avuto, per ebrei e cristiani, un
ruolo così differente. Non a caso fu proprio il ghetto di Roma l’ultimo
a essere liberato, con le vicende di Porta Pia che portarono al crollo
dello Stato pontificio e l’annessione di Roma e dei suoi territori al regno
d’Italia. La presa di Roma, che simbolicamente rappresentò anche la li-
berazione dal ghetto del più antico insediamento ebraico europeo, svolse
un ruolo centrale sia nell’immaginario ebraico che in quello cristiano. I
ghetti costituirono, in modi diversi, un luogo dell’immaginario ebraico
e cattolico; furono spazi materiali da distruggere o risanare, luoghi da
abbandonare non appena le condizioni economiche fossero propizie,
o da dimenticare. Per i cattolici furono talvolta una sorta di modello
ideale di segregazione, naturale difesa dall’ebraismo, percepito come
una minaccia costante nel mondo cristiano.15
L’Italia che giunse all’unificazione nel 1861 era caratterizzata da
una popolazione che, a differenza di altri Paesi europei, mostrava una
presenza compatta e uniforme dal punto di vista religioso ed etnico,

14
Su alcuni casi di fine Settecento si vedano le riflessioni di A. Toaff, Storie fiorentine. Alba
e tramonto dell’ebreo del ghetto, Bologna, Il Mulino, 2013; per il caso di Padova cf. P.C. Ioly
Zorattini, Una salvezza che viene da lontano. I “purim” della comunità ebraica di Padova,
Firenze, Olschki, 2000; M. Bertolotti, Le complicazioni della vita: storie del Risorgimento,
Milano, Feltrinelli, 1998.
15
Molta storiografia ebraica sull’età contemporanea si è concentrata sull’immagine potente
dell’“uscita dal ghetto”, per indicare un’era del tutto nuova. J. Katz, Out of the Ghetto. The
Social Background of Jewish Emancipation, 1770-1870, Cambridge, Harvard University Press,
1973. Non abbiamo a disposizione uno studio sistematico sulle concezioni ebraiche e cattoliche
relative al ghetto in età contemporanea. Su alcuni aspetti di questo tema si vedano gli studi di B.
Raggi, R. Taradel, La segregazione amichevole. “La Civiltà Cattolica” e la questione ebraica
1850-1945, Roma, Editori Riuniti, 2000. Sulle letture ebraiche si rimanda, per alcuni spunti, a C.
Facchini, “Discussion of The Jewish Ghetto and the Visual Imagination of Early Modern Venice
by di D. Katz”, Quest. Issues in Contemporary Jewish History 16 (2019) 175-186.

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perlomeno se comparata ad altre zone d’Europa dove i conflitti nazio-
nali divennero particolarmente virulenti a partire dalla fine dell’Otto-
cento. Differenze culturali e linguistiche esistevano anche in Italia, e
confluirono successivamente nel regionalismo e nelle tradizioni dialet-
tali più o meno “alte”, come del resto per ogni altro Paese dell’Europa
occidentale e centrale. Il processo che condusse alla costruzione della
nazione preferì, in un primo momento, relegarle in un passato mitico,
anche talvolta plurale, che trovò espressione nello studio delle culture
antiche. Solo in un successivo momento, pur nella scia di una tradizio-
ne più antica, queste vennero lentamente integrate nel folklore locale
attraverso le raccolte di leggende e costumi locali. Questo dato non è
del tutto secondario per quanto concerne il trattamento delle tradizioni
culturali presenti nella penisola. Ebrei e riformati delle valli valdesi era-
no da considerarsi come gruppi con specifiche tradizioni culturali, ma
soprattutto erano minoranze religiose. Fu nel corso dell’Ottocento che
queste minoranze religiose divennero parte di una nuova concezione
di nazione: per i protestanti si presentò l’occasione, del tutto inedita,
di poter esercitare attività missionaria, che si espresse in un’articolata
campagna conversionistica se pure con esiti piuttosto deludenti; per
gli ebrei, il processo di adattamento alla nazione italiana prese altre
vie, non ancora del tutto studiate: la grammatica del patriottismo fu
certamente centrale e, probabilmente, influì anche sulle concezioni
e rappresentazioni dell’ebraismo in quanto religione.16 Ma una delle
caratteristiche maggiormente visibili fu l’alta partecipazione politica
che si espresse anche in una considerevole rappresentanza nelle cari-
che dello Stato, in Parlamento, e in istituzioni pubbliche di notevole
rilievo. Nell’età liberale infatti non pochi furono gli ebrei che diven-
nero membri del Parlamento, ministri del regno, autorevoli professori
universitari, scienziati di chiara fama, sindaci ed esponenti di diversi
gruppi politici. Questo riconoscimento istituzionale, che avvenne pure
in altri Paesi, fu possibile anche grazie al non expedit e rese plausibile
un atteggiamento volto a minimizzare diverse forme di ostilità antie-
braica provenienti sia da ambienti cattolici che da ambienti anticlericali
o liberali.17

16
C. Ferrara Degli Uberti, Fare gli ebrei italiani. Autorappresentazioni di una minoranza
(1861-1918), Bologna, Il Mulino, 2011; E. Schächter, The Jews of Italy, 1848-1915. Between
Tradition and Transformation, London, Valentine Mitchell, 2011; S. Klein, Italy’s Jews from
Emancipation to Fascism, Cambridge, Cambridge University Press, 2018.
17
Si veda il caso di Tullo Massarani, in M. Bertolotti, “Giacobbe and Tullo Massarani”, in:
C. Facchini, T. Catalan (eds.), “Portrait of Italian Jewish Life (1800s-1930s)”, Quest 8 (2015)
29-67; sulla ricezione dell’antisemitismo non italiano si veda l’atteggiamento di L. Luzzatti, in
C. Facchini, “Luigi Luzzatti and the Oriental Front: Jewish Agency and the Politics of Religious
Toleration”, in: M. Dogo, Tullia Catalan (eds.), The Jews and the Nation-States of Southeastern
Europe from the 19th Century to the Great Depression: Combining Viewpoints on a Controversial
Story, Newcastle, Cambridge Scholars, 2016, 227-245.

259

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Questo sommaria descrizione è utile per comprendere come analiz-
zare il rapporto del piccolo gruppo ebraico italiano nel contesto della
storia unitaria. Una minoranza che Arnaldo Momigliano negli anni ’30
non mancò di descrivere attraverso l’idea di un processo di “naziona-
lizzazione parallela” delle diverse culture locali e regionali. Per Mo-
migliano l’integrazione degli ebrei nel tessuto della nuova nazione era
paragonabile a quello delle culture regionali, dimenticando che la diffe-
renza di religione costituiva un elemento significativo e non secondario
della specificità ebraica.18
La parificazione giuridica fu un processo lento che prese forma a
partire dal periodo del tardo Illuminismo all’interno di discorsi di ma-
trice teologica, filosofica e giuridica.19 Nel caso italiano è sorprendente
come non appaia, nel corso del Settecento, una riflessione atta a scar-
dinare, anche in modo astratto, l’assetto giuridico in cui si trovavano
le comunità della penisola. Per capire meglio una storia tutto sommato
poco nota nei suoi dettagli, partiremo dall’idea che il processo che portò
alla parificazione giuridica delle minoranze religiose, tra cui gli ebrei,
prese forma in Europa a partire da un’evoluzione delle concezioni del
diritto che si vennero a definire all’interno di diversi contesti cristiani.
Alcuni studiosi insistono maggiormente sulle mutazioni di carattere
economico e sostengono che il processo di parificazione giuridica fu
conseguenza della formazione di un’economia capitalista e di una socie-
tà commerciale aperta.20 Solo partendo da questo presupposto è possibile
comprendere la rilevanza e il ruolo che hanno ricoperto le tradizioni
antisemite, tra cui quella cattolica, nel lessico e nelle pratiche politiche
e culturali dell’Europa otto e novecentesca. Riprendo un’idea che venne
proposta da Anatole Leroy-Beaulieu in Israel chez les nations il quale,
polemizzando con una lettura che attribuiva all’ebraismo la creazione
della società moderna, sosteneva che essa era il risultato dell’interazione
e del conflitto tra culture cristiane.21 Credo che questo aspetto aiuti a
comprendere meglio il processo che ha portato alla trasformazione di
un modello politico in cui le minoranze religiose erano subordinate e

18
Sulla questione della “nazionalizzazione parallela” cf. A. Momigliano, “Recensione a Cecil
Roth, Gli ebrei in Venezia (1933)”, in: Id., Pagine ebraiche, Torino, Einaudi, 1987, 237-239.
19
Il dibattito sull’emancipazione degli ebrei fu accidentato e irregolare. Segnalo alcuni testi
recenti: R. Schechter, Obstinate Hebrews. Representations of the Jews in France, 1715-1815,
Berkeley-Los Angeles, University of California Press, 2003; A. Sutcliff, Judaism and the En-
lightenment, Cambridge, Cambridge University Press, 2003. Per una lettura degli aspetti religiosi
dell’Illuminismo, cf. D. Sorkin, The Religious Enlightenment. Protestants, Jews, and Catholics
from London to Vienna, Princeton-Oxford, Princeton University Press, 2008.
20
Su questo interessante dibattito si vedano ora le riflessioni di F. Trivellato, The Promise
and Peril of Credit. What a Forgotten Legend about the Jews and Finance Tells Us about the
Making of European Commercial Society, Princeton-Oxford, Princeton University Press, 2019.
21
A. Leroy Beaulieu, Les juifs et l’antisémitisme: Israël chez les nations, Paris, C. Lévy,
1893.

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talvolta perseguitate a un modello in cui ad esse viene riconosciuto il
diritto di potersi esprimere liberamente e ai suoi membri di essere con-
siderati cittadini a tutti gli effetti, trasformazioni che non avvennero né
in modo lineare né in modo armonioso e che, in alcuni casi, si rivelarono
effimere. Questi mutamenti presero forma all’interno di diverse culture
cristiane che non furono mai organicamente compatte e uniformi, ma
che furono conflittuali e spesso elaborarono visioni radicalmente oppo-
ste del loro passato, in cui tra l’altro collocare anche la storia ebraica.
Una trasformazione delle ideologie sugli ebrei e sull’ebraismo va spesso
di pari passo con una mutata sensibilità religiosa, sia nella percezione
del cristianesimo che della sua storia. Esempi illuminanti li troviamo
se analizziamo alcuni contesti locali: ad esempio, tutto il dibattito che
ruota attorno al Gesù storico di Samuel Reimarus è alimentato dalla
discussione relativa alla parificazione giuridica da concedere agli ebrei,
e non è comprensibile senza pensare al ruolo esercitato da filosofi ebrei
come Moses Mendelssohn.22 Parimenti, nel dibattito sull’emancipazione
ebraica che animò i rivoluzionari francesi, le note posizioni dell’Abbé
Grégoire furono anche sostenute da convinzioni millenariste, che svol-
sero un ruolo fondamentale accanto alle riflessioni di carattere giuridico
ed economico.23

II. CRONOLOGIE

Guardando alla storia d’Italia in relazione al rapporto con il mondo


ebraico le date rilevanti sono, oltre al periodo giacobino che importa
dalla Francia la parificazione giuridica, il 1848, 1861, 1870, le crisi fine
secolo (ad esempio le questioni riguardanti Dreyfus, gli omicidi rituali
e Lueger), la Prima guerra mondiale, il 1929 coi Patti Lateranensi, gli
anni ’30. La situazione post-bellica è segnata da cambiamenti radicali
i cui effetti si percepiscono solo con lentezza. Nel nostro caso sono
la nascita di Israele e la Shoah, oltre ovviamente alla configurazione
internazionale della guerra fredda.
La cronologia è meramente indicatrice di momenti ritenuti storica-
mente significativi nel rapporto ebraico-cristiano. Essi non rappresen-
tano però cambiamenti significativi, nel senso che a volte accolgono
trasformazioni già in atto, a volte invece imprimono delle svolte i cui
risultati sono del tutto imprevedibili. Qualche riflessione è d’obbligo

22
Su questo dibattito si veda ad esempio D. Klein, “Reimarus, the Hamburg Jews, and the
Messiah”, in: M. Mulsow (ed.), Between Philology and Radical Enlightement, Leiden, Brill,
2011, 159-182.
23
Vd. J. Karp, A. Sutcliff (eds.), Philosemitism in History, Cambridge, Cambridge University
Press, 2011; per l’Italia, V. De Cesaris, Pro Judaeis. Il filogiudaismo cattolico in Italia (1789-
1938), Milano, Guerini & Associati, 2006.

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sul ’48, ossia sulle rivoluzioni ottocentesche che ebbero certamente un
impatto giuridico emancipativo in molti Paesi europei, tra cui l’emana-
zione dello Statuto albertino nel 1848. In questa particolare circostanza
è degna di menzione la breve parentesi entro la quale lo Stato della
Chiesa, nella persona di papa Pio IX, si fece portavoce di un possibile
movimento di unificazione politica dell’Italia, che sarebbe stato guidato
dal papa stesso.24 È evidente che nel ’48 lo Stato della Chiesa, nella po-
sizione di Pio IX, poteva portare a termine un progetto di unificazione
in direzione liberale e non poteva evitare la questione dell’emancipa-
zione o parificazione delle comunità religiose non cattoliche. La vera
differenza, rispetto ad altri Paesi, si trova nella tradizione precedente,
ossia quella settecentesca, che sembra non esprimere un parallelo e
coevo sviluppo su queste tematiche.25 Si tratta di un dato abbastanza
significativo, perché permette di cogliere possibili esigenze a livello te-
ologico che avrebbero in qualche modo dovuto articolare la politica del
papa nei confronti delle minoranze religiose. Non sorprende la presenza
di alcuni esponenti di primo piano del mondo ebraico, poi attivamente
coinvolti nella costruzione dello Stato unitario, nella partecipazione a
questa impresa, dando luogo a quel fenomeno che è stato genericamente
apostrofato con il termine di “neoguelfismo ebraico”.26 Un possibile
dialogo tra ebrei e cattolici di impostazione liberale è tema che richiede
una maggiore attenzione perché costituisce uno snodo importante nella
storia d’Europa: questa potenziale collaborazione indica una necessità
di ripensamento della tradizione religiosa, obbligando i cattolici liberali
a esprimere un’opinione rispetto al ruolo dell’ebraismo all’interno della
storia del cristianesimo e, viceversa, impone agli ebrei di riarticolare la
loro percezione del cristianesimo. Queste correnti culturali sono state
in genere descritte col termine “filosemitismo”, una tendenza presente
in diversi ambienti cristiani tesa a rileggere la storia del cristianesi-
mo in una direzione tale da permettere una giustificazione teologica
all’espansione dei diritti civili.27 Va precisato che molte posizioni di
apertura nei confronti delle minoranze ebraiche maturate nel corso del
tardo Settecento provengono da ambienti cristiani fortemente segnati
da istanze di rinnovamento. Le aperture sono quindi sempre da leggersi
sia in termini politici che teologici, essendo i due contesti fortemente
interconnessi. Il discorso politico che apre all’emancipazione ebraica è
intriso di temi religiosi, di riferimenti biblici e di uso strumentale del-

24
Si veda ora I. Veca, Il mito di Pio IX. Storia di un papa liberale e nazionale, Roma, Viella,
2018; D. Kertzer, The Pope who would be King. The Exile of Pius IX and the Emergence of
Modern Europe, New York, Random House, 2018.
25
Sul Settecento cf. M. Caffiero, Storia degli ebrei nell’Italia moderna, Roma, Carocci, 2014.
26
G. Luzzatto Voghera, Il prezzo dell’eguaglianza. Il dibattito sull’emancipazione degli
ebrei in Italia (1781-1848), Milano, Franco Angeli, 1998.
27
De Cesaris, Pro judaeis: il filogiudaismo cattolico in Italia (1789-1938).

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la conoscenza (peraltro sommaria) del passato. Un testo emblematico
che riassume concisamente le atmosfere dell’Illuminismo tedesco, ad
esempio, è il dramma teatrale di Gotthold Ephraim Lessing, Nathan
der Weise (1779).
Talvolta, invece, la “conversione” degli ebrei come precondizione
dell’accesso alla piena appartenenza nazionale appare come sotto-testo
che pervade la pubblicistica pro emancipazione di matrice cristiana, e
che non è del tutto assente in quella cosiddetta anticlericale.28 Essa è
spesso condivisa anche da ebrei che per motivi di classe e educazione
abbandonano, al pari dei cattolici, la tradizione dei padri. La “conver-
sione” verso una comunità trans-religiosa, quella della patria, funziona
a livello però di rappresentazioni culturali e simboliche, mentre sul
piano normativo i diversi Stati nazionali che adottano la parificazione
giuridica riconoscono, anche se in forme diverse, la diversità di culto.29
Si tratta di un’ambivalenza che si presenta in molti Paesi europei,
e che in alcuni casi, come negli Stati tedeschi, è accompagnata da lun-
ghe discussioni sulla natura della religione e della sua adattabilità alle
condizioni dello Stato moderno. Va detto, per essere precisi, che questo
dibattito verte più in generale sulla “religione” e non esclusivamente
sull’ebraismo, visto che nemmeno le comunità cristiane rimangono al
di fuori di questo tipo di riflessione. Infatti, anche i cattolici, laddove
costituiscono un gruppo minoritario, sono spesso sottoposti a lunghe cri-
tiche in quanto inaffidabili come potenziali cittadini, e la resistenza alla
concessione dei diritti nei loro confronti è molto più tenace, soprattutto
perché essi sono percepiti come cittadini sleali, fedeli prima a Roma e
poi al proprio Paese.30
Per comprendere la mia lettura dei rapporti tra ebrei e Chiesa cat-
tolica, più estesamente il cattolicesimo in Italia, è necessario quindi
comprendere queste premesse. Autori come Massimo D’Azeglio (1798-

28
S. Levis Sullam, L’archivio antiebraico. Il linguaggio dell’antisemitismo moderno, Ro-
ma-Bari, Laterza, 2008; Id., “Critici e nemici dell’emancipazione”, in: M. Flores, S. Levis
Sullam, M.-A. Matard-Bonucci, E. Traverso, Storia della Shoah in Italia. Vicende, memorie,
rappresentazioni, I, Torino, Utet, 2010, 37-61.
29
In genere si prende ad esempio il detto di Clermont-Tonnerre, secondo il quale tutto deve
essere concesso agli ebrei come individui ma nulla come collettività, per indicare la difficoltà
ad accogliere gli ebrei nei nuovi Stati nazionali. Eppure, va sottolineato che la religione ebraica
riuscì a dotarsi di istituzioni collettive anche nell’età dell’emancipazione. In Italia la discussione
fu condotta, nella seconda metà dell’Ottocento, intorno all’applicazione della legge Rattazzi. Con
il regime fascista, la normativa sull’organizzazione delle comunità ebraiche venne risistemata e
riorganizzata, in modo non dissimile dalla gestione dei rapporti con la Chiesa cattolica. Su questo
tema cf. E. Capuzzo, Gli ebrei nella società italiana. Comunità e istituzioni tra Ottocento e No-
vecento, Roma, Carocci, 1999; G. Fubini, La condizione giuridica dell’ebraismo italiano, Firenze,
La Nuova Italia, 1974; G. Disegni, Ebraismo e libertà religiosa in Italia, Torino, Einaudi, 1983.
30
Interessante a questo riguardo il lavoro di A. Joskowitz che analizza gli atteggiamenti
ebraici verso il cattolicesimo in Francia e Germania: A. Joskowitz, The Modernity of Others.
Jewish Anti-Catholicism in Germany and France, Stanford, Stanford University Press, 2014.

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1866), Niccolò Tommaseo (1802-1874), Antonio Rosmini (1797-1855)
sono fondamentali perché ancorano il loro pensiero sulla nozione di
cristianesimo fondato sulla libertà, ossia offrono una lettura apologetica
della libertà come derivazione dai fondamenti stessi del cristianesimo.31
Entro questo contesto era possibile trovare una soluzione teologica alla
parificazione giuridica, spesso segnata da orientamenti millenaristici
cristiani (ma non ancora apocalittici) in cui la “conversione degli ebrei”
era un dato di fede centrale.32
Lo Statuto albertino emanato nel ’48 pone quindi le basi, diffuse
dalla prima emancipazione, per una estensione dei diritti agli ebrei.
Questo processo sarà portato a compimento senza la Chiesa, in una
situazione di aperto conflitto con lo Stato italiano. Lo scontro è ben
rappresentato dalla svolta attuata da Pio IX, a partire dal ’49 dopo la
proclamazione delle Repubblica romana, e poi nell’evoluzione impressa
nei decenni successivi, di cui il Sillabo degli errori moderni (1864) è
un’epitome molto chiara, sancendo una posizione di temporanea rottura
di adattamento ai processi di cambiamento in corso, peraltro rivisitata
in una direzione ampiamente ambigua negli anni ’80 dell’Ottocento
con Leone XIII.33
Dopo il ’48 la Chiesa cattolica si fece promotrice di una tradizione
antiebraica particolarmente ostile. Tra gli anni ’40 e gli anni ’50 due
casi raggiunsero visibilità internazionale, anche grazie alla diffusione di
nuovi media, come la stampa. Il primo caso è quello di Damasco, che
portò sulla scena pubblica l’accusa del sangue, un tema a cui la Chiesa
diede particolare risonanza nell’Ottocento.34 È interessante notare come,

31
Su questi autori e la condizione ebraica vd. F. Sofia, “L’identificazione dell’Italia oppressa
con l’oppresso Israele”, in: Dalla Bibbia al Nabucco, Brescia, Editrice Morcelliana, 2014, 9-40;
Ead., “The promised land: biblical themes in the Risorgimento”, Journal of Modern Italian
Studies 17 (2012) 574-586.
32
Uso queste nozioni senza vigilanza critica, riferendomi alla particolare tendenza millena-
ristica di personaggi quali l’Abbé Grégoire, punto di riferimento nel dibattito francese. A. Gold-
stein Sepinwall, “A Friend of the Jews? The Abbé Grégoire and Philosemitism in Revolutionary
France”, in: Karp-Sutcliff (eds.), Philosemitism in History, 111-127.
33
Per una discussione sulla questione del rapporto tra modernità e Chiesa rimando alla
bibliografia sulla secolarizzazione che in parte condivido. È più preciso parlare di atteggiamenti
selettivi rispetto alla modernità per una definizione della quale rimando a Facchini (2008). C.
Facchini, “Voci dell’ebraismo liberale. Costruire una religione moderna”, in: G. Filoramo, D.
Bidussa (a cura di), Le religioni e il mondo moderno. Ebraismo, Torino, Einaudi, 2008, 171-196.
Per una comprensione dei fenomeni religiosi e quindi anche della Chiesa cattolica nel corso
dell’Ottocento, rimando a C. Bayly, The Birth of the Modern World. Global Connections and
Comparisons, Oxford, Blackwell, 2004 (ed. it. Torino, Einaudi, 2007); J. Osterhammel, Die Ver-
wandlung der Welt, München, C.H. Beck, 2009; sul tema della secolarizzazione rimando all’im-
portante lavoro di C. Taylor, A Secular Age, Cambridge, Harvard University Press, 2007 (ed.
it. Milano, Feltrinelli, 2009) e a D. Menozzi, La chiesa cattolica e la secolarizzazione, Torino,
Einaudi, 1993; G. Miccoli, Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Genova, Marietti, 1985.
34
J. Frankel, The Damascus Affair. “Ritual Murder”, Politics, and the Jews in 1840, Cam-
bridge, Cambridge University Press, 1997.

264

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al contrario, scarsa risonanza internazionale ebbe il caso di Badia Pole-
sine, che si risolse positivamente ma che scosse le comunità ebraiche del
Veneto asburgico.35 Il secondo invece fu quel del “ratto” del fanciullo
Edgardo Mortara, avvenuto a Bologna nel 1857, città appartenente allo
Stato pontificio.36
Va aggiunto, a maggior comprensione del periodo in questione,
che due fattori complicano una lettura lineare dei rapporti tra Chiesa
ed ebrei in questo periodo. Accanto a un’elite cattolica che esprimeva
posizioni diverse rispetto all’espansione dei diritti, ostilità antiebraiche
molto radicate erano diffuse tra contadini e classi sociali meno agiate,
come dimostrano le reiterate forme di malcontento popolare nel corso
della prima metà dell’Ottocento.37 I casi studiati dal già menzionato
Emanuele D’Antonio e da Maurizio Bertolotti indicano comportamenti
di classe differenti, che complicano notevolmente il quadro generale. In
questi casi, prima dell’Unità, le politiche di mediazione e risoluzione
dei conflitti potevano essere perseguite da membri della Chiesa stessa,
in diretta opposizione a direttive ufficiali provenienti da Roma, o a
comportamenti delle parrocchie e chiese locali.38
L’adesione di alcuni intellettuali ebrei al movimento risorgimentale
pone ovviamente al centro della nostra riflessione anche la questio-
ne relativa alla loro concezione di ebraismo. Che nozione di religione
avevano gli ebrei che parteciparono a questo moto? Possono essere
considerati alla stregua dei loro colleghi cristiani che proponevano delle
visioni di cristianesimo spesso in conflitto con quelle espresse dalle
chiese ufficiali?
Alcuni esempi possono essere illuminanti al riguardo. Nel corso
dell’Ottocento furono molti gli ebrei che presero parte alla vita politica
del Paese. Alcuni di loro erano più interessati di altri a offrire una solu-
zione alla “questione religiosa”.39 La presenza delle logge massoniche
nella costruzione dello Stato nazionale si riflette anche sulle offerte
simboliche e sulle rappresentazioni religiose. Se inizialmente questo
problema non fu al centro della riflessione cattolica, in modo graduale,

35
Su questo caso si veda la tesi di dottorato di E. D’Antonio, Badia Polesine 1855. Storia
di una calunnia del sangue nell’Italia dell’Ottocento, tesi di dottorato, ciclo 28, Università di
Udine, a.a. 2015-2016; Id., “Jewish Self-Defense Against the Blood Libel in Mid-Nineteenth
Century Italy: The Badia Affair and Proceedings of the Castilliero Trial (1855-56)”, Quest. Issues
in Contemporary Jewish History 14 (2018) 23-47.
36
D. Kertzer, The Kidnapping of Edgardo Mortara, New York, Alfred Knopf, 1997.
37
Alcuni casi citati in Levis Sullam, “Critici e nemici dell’emancipazione”; Bertolotti, Le
complicazioni della vita.
38
E. D’Antonio, La società udinese e gli ebrei fra la Restaurazione e l’Unità d’Italia, Udine,
Istituto Pio Paschini, 2012.
39
Non tanto intesa come “secolarizzazione” ma come risoluzione e adattamento a pro-
blemi di conflitto tra visioni del mondo differenti, e spesso anche a visioni della religione
differenti.

265

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dopo la Rivoluzione francese, venne a formarsi un pensiero definito
“integrista”, tendenzialmente difensivo, che approntò un’interpretazio-
ne della rivoluzione come il prodotto del lento operare delle “sette” e
dei gruppi eretici.40 L’utilizzo di un gergo religioso per spiegare gli
eventi che avevano prodotto un trauma profondo nel tessuto sociale
della Chiesa francese non è esclusivo patrimonio della Chiesa cattolica,
ma riflette una tendenza generale del linguaggio culturale ottocentesco.
Le stesse argomentazioni cattoliche che lessero la rivoluzione entro
lo schema eresia/setta, le troviamo con segno positivo tra intellettuali
filo-rivoluzionari, concentrati a cercare una forma religiosa diversa che
potesse meglio esprimere le esigenze del mondo moderno.41
L’attenzione con cui alcuni esponenti del mondo ebraico guardarono
alla questione religiosa è da menzionare in riferimento a uno dei membri
più influenti della massoneria italiana e caso emblematico del patriotti-
smo ebraico. David Levi va citato perché, oltre a rappresentare un caso
esemplare del rapporto tra massoneria ed ebraismo, come è stato ben
dimostrato dai lavori di Francesca Sofia,42 offre anche una riflessione
sulle religioni, dal problema dell’educazione religiosa a quello del ruolo
dell’ebraismo, in un Paese a maggioranza cattolica. Non è sorprendente
che David Levi fosse, prima della svolta di Pio IX, un suo strenuo soste-
nitore.43 Levi offrì una lettura moderna dell’ebraismo, basato sulla Bibbia
e sul profetismo. Sostenne con determinazione che la questione ebraica
era dirimente per comprendere la differenza tra regimi liberali e regimi
conservatori.44 Di fatto offrì un’interpretazione politica dell’ebraismo,
sulla scia degli orientamenti culturali presenti soprattutto in Francia.45
L’unità d’Italia raggiunta nel 1861 consolida, almeno a livello nor-
mativo, un processo di espansione dei diritti civili che di fatto non sem-
pre anticipa trasformazioni culturali già in corso da tempo. Le consolida
e in qualche modo fissa. L’eguaglianza giuridica raggiunta dagli ebrei,
e altri gruppi religiosi, nel regno d’Italia diviene ben presto un fenome-
no visibile sia nella partecipazione politica che nella vita culturale. Le
condizioni economiche, per alcuni strati sociali già integrati nel tessuto

40
Miccoli, “Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo”.
41
Alcuni riferimenti in C. Facchini, “Dall’eresia del liberalismo a quella del nazismo”, ASE
32/1 (2015) 267-281; Id., “Incontri inconsueti: modernisti tra gli ebrei e spiritualità contempo-
ranee”, in: A. Botti, C. Facchini, P. Zanini (a cura di), Modernisti ed ebrei, Numero monografico
di Modernism 5 (2019) 15-61.
42
F. Sofia, “Il Vangelo eterno svelato: David Levi e la massoneria”, in: F. Conti, M. Novarino
(a cura di), Massoneria e Unità d’Italia. La Libera Muratoria e la costruzione della nazione,
Bologna, Il Mulino, 2011, 203-221.
43
A. Grazi, “A Jewish Construction of a Catholic Hero. David Levi’s ‘A Pio IX’”, Studies
in Christian-Jewish Relations 6/1 (2012): https://doi.org/10.6017/scjr.v6i1.1909.
44
Si veda soprattutto H. Zimmern, “David Levi, Poet and Patriot”, Jewish Quarterly Review
9/3 (1897) 363-402.
45
Facchini, “Incontri inconsueti”.

266

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sociale delle città, migliorano e il maggiore tasso di alfabetizzazione,
in un Paese in gran parte analfabeta, contribuisce al successo di un’in-
tegrazione in condizioni sociali predisposte a sfruttare il consumo di
capitale cognitivo. È indubbio che l’unità del Paese incise positivamente
sull’integrazione del mondo ebraico nel tessuto sociale, dove peraltro
la partecipazione politica dei cattolici rimase relegata alla dimensione
locale a causa del non expedit. Lo scontro tra Chiesa e Stato si acuì dopo
la presa di Porta Pia, nello stesso decennio che vide il peggioramento
del conflitto sociale, la Comune di Parigi e la crisi economica. Alla
crisi economica si aggiunse anche il kulturkampf voluto dal cancelliere
Bismarck, che si prospettò come una politica aggressiva nei confronti
della minoranza cattolica tedesca.46 Nel 1872 lo Stato italiano, in una
linea simile, chiuse i seminari teologici, creando un vulnus in quello che
doveva essere un confronto sulla formazione dei ministri di culto e sulla
politica educativa religiosa. Questo costituì uno dei problemi centrali
della Chiesa cattolica negli anni a venire, assorta dalla necessità di rigua-
dagnare la sua egemonia sociale e politica. Questa priorità sarà espressa
dalla sistematica ricerca di un compromesso con lo Stato liberale che
confluirà nella politica dei concordati, firmati paradossalmente con Stati
che erano profondamente mutati nelle loro strutture fondamentali, ossia
lo Stato fascista (1929) e quello nazista (1933).
Gli anni ’70 dell’Ottocento costituirono certamente un momento
particolarmente conflittuale che esacerbò i rapporti tra neo Stato e Chie-
sa cattolica, in un contesto europeo segnato da gravi problemi economici
e politici. La domanda che ci si può porre è se in quegli anni il discorso
antisemita abbia subito una svolta, si sia in un certo senso esacerbato
e sia peggiorato.
Alcuni storici hanno sostenuto che a partire dalla fine degli anni ’70
prendono forma, nel contesto europeo, nuove forme di ostilità antiebrai-
ca, spesso rubricabili nel lemma di “antisemitismo politico”. Il neologi-
smo con cui si presenta questa costellazione di tradizioni antiebraiche,
ossia il termine antisemitismo, appare solo a partire dal 1879. In genera-
le, che sia attribuibile a Wilhelm Marr o meno, poco importa,47 ciò che è
invece rilevante è che la tradizione storiografica attribuisca a due autori
tedeschi, ossia all’attività di Wilhelm Marr e a quella del predicatore di
corte Adolf Stoecker, la svolta antiebraica tra 1878 e 1879.48 La novità
consisterebbe nell’aver introdotto il termine “semita” al posto di ebreo,

46
M. Ferrari Zumbini, Le radici del male: l’antisemitismo in Germania, da Bismarck a
Hitler, Bologna, Il Mulino, 2001.
47
M. Zimmermann, Wilhelm Marr: The Patriarch of Anti-Semitism, Oxford-New York,
Oxford University Press, 1986.
48
Ferrari Zumbini, Le radici del male; G. Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini
all’olocausto, Bari-Roma, Laterza, 92018; S.Volkov, Germans, Jews, and Antisemites. Trials
in Emancipation, Cambridge, Cambridge University Press, 2006.

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ma è ovvio che, nel contesto generale dell’epoca, questa differenza non
fu così dirimente come la storiografia successiva ha sostenuto.49
Infatti, se alla fine degli anni ’70 le tradizioni più visibili e aperta-
mente ostili agli ebrei traevano linfa sia dalla tradizione cristiana che
da quella anticristiana, è utile osservare che Civiltà cattolica pubblicò
nel 1872 un importante articolo, dal titolo Il Golghota e il Vaticano, un
tema che era già apparso nei discorsi del pontefice nel corso dei decenni
precedenti, nel quale si offriva una lettura religiosa della politica antiec-
clesiale attraverso la potente immagine del “deicidio”.50 L’importanza
di questo discorso non va sottovalutata, per il forte nesso che istituisce
tra eventi politici e teologia.
A ridosso della crisi economica del 1873 si era già manifestato un
atteggiamento fortemente antiebraico negli ambienti ecclesiastici, con
la pubblicazione di un testo destinato a grande successo. Nel 1871 il
canonico cattolico August Rohling (1839-1931) pubblicò il Der Tal-
mudjude.51 L’opera ebbe un ampio successo: nel 1877 aveva già visto
sei ristampe e nel 1888 venne tradotta da Edouard Drumont in Francia.
Il testo di Rohling fu redatto anche come parziale risposta cattolica alle
politiche repressive di Bismarck. L’attacco che Rohling fece all’ebrai-
smo ebbe vasta risonanza europea e una ricezione molto diffusa anche
negli anni seguenti, in occasione della ripresa delle accuse di omicidio
rituale. Quanto questo testo abbia influito su autori come Wilhelm Marr
e Adolf Stoecker, e quanto abbia contribuito a rilanciare l’antisemitismo
tout court e, per una certa fase, quello politico, è ancora da valutare con
precisione. Certamente la pubblicazione del testo è allineata alla serie
di articoli contro il Talmud che apparvero nella rivista dei gesuiti.52
Sempre nel corso degli anni ’70 altri due elementi di politica in-
ternazionale si affacciano all’orizzonte e svolgono un ruolo rilevante
nella formazione di discorsi antiebraici: da un lato l’indipendenza della
Romania (1877) e i problemi relativi alla sua immensa comunità ebraica,

49
Sulla costruzione della nozione di “semita” esiste ormai una bibliografia abbastanza vasta.
Alcuni spunti interessanti in T. Masuzawa, The Invention of World Religions. Or, How European
Universalism was Preserved in the Language of Pluralism, Chicago, University of Chicago
Press, 2005. Ma si veda anche B. Lewis, Semiti e antisemiti. Indagine su un conflitto e su un
pregiudizio, Bologna, Il Mulino, 1990.
50
F. Berardinelli, “Il Golgota e il Vaticano”, La Civiltà cattolica 23/I (1872) 641-666; di-
versi articoli su questo tema appaiono nel corso degli anni ’70 nel periodico gesuita. Lo stesso
argomento, con toni polemici inediti, si trova anche nei discorsi del papa: cf. Miccoli, “Santa
Sede, questione ebraica e antisemitismo”, 1407; Raggi-Taradel, La segregazione amichevole;
A. Di Fant, “La polemica antiebraica nella stampa cattolica romana dopo la Breccia di Porta
Pia”, Mondo contemporaneo 1 (2007) 87-118.
51
A. Rohling, Der Talmudjude. Zur BeherzigungfürJuden und Christen aller Stände, Mün-
ster, Adolf Russel, 1872.
52
F. Crepaldi, “L’omicidio rituale nella ‘moderna’ polemica antigiudaica di Civiltà cat-
tolica nella seconda metà del XIX secolo”, in: Brice-Miccoli (éd.) Les racines chrétiennes de
l’antisémitisme, 61-78.

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unica in un Paese tecnicamente guidato da una leadership nominalmente
liberale a non ottenere la parificazione giuridica. La questione romena,
che di fatto è questione ebraica, ci interessa da un lato perché essa attira
l’attenzione di molti politici e uomini di Stato ebrei, e dall’altro rivela
i tratti di un cristianesimo, quello ortodosso, fortemente intrecciato con
la concezione di nazione e incline a opporsi ai più elementari tratti di
modernità politica. Al Congresso di Berlino (1878) la questione della
Romania sarà all’ordine del giorno, mentre nel medesimo anno Adolf
Stoecker fonda il Partito cristiano-sociale che si ispira apertamente
all’antisemitismo politico.53
Gli anni ’70 sono caratterizzati da un’agguerrita polemica antie-
braica che spesso si intreccia con una serie di problemi e questioni
politiche contingenti. I temi religiosi non possono essere distinti netta-
mente da quelli politici e sociali, perché la stessa nozione di religione
e di ebraismo ha dei confini molto indefiniti nella rappresentazione che
è elaborata in quel periodo.
Se guardiamo al mondo italiano di quegli anni, accanto a un’ade-
sione certamente significativa nei confronti dell’unità d’Italia, anche
sostenuta dall’assenza di cattolici nel Parlamento italiano dell’epoca,
non è secondario il “caso Pasqualigo”, sempre del ’73, che è stato
spesso descritto, nella storiografia, come unico caso di “antisemitismo
liberale”.54 In quell’occasione i motivi dell’attacco ad personam rivolti
alla candidatura di Isacco Pesaro Maurogonato a ministro delle finanze
possono celare sia una cultura ancora sospettosa nei confronti degli
ebrei, che un uso strumentale della polemica antiebraica a fini politici.
Al di là del vero motivo sotteso a eliminare un politico autorevole e
potente dall’accesso a un ministero, funzionò in quel frangente il di-
scorso basato sulla religione, nella formula che immaginava l’ebraismo
come “Stato nello Stato”.55 L’ebraismo talmudico concepito come una
minaccia alla convivenza civile non è un’idea condivisa solo dai gesuiti
e dalle frange del cattolicesimo europeo, che si faceva erede di un’antica
tradizione ostile alla letteratura rabbinica, ma trova anche una sua fonte
in tradizioni di marca illuminista.56 L’ostilità manifestata a più riprese
dal noto giurista liberale Francesco Gabba mostra come la conoscenza
del Talmud fosse, nonostante i tentativi di tradurlo nella cultura moder-
na, spesso fallimentare.57

53
Ferrari Zumbini, Le radici del male.
54
A.M. Canepa, Emancipazione, integrazione e antisemitismo liberale in Italia: il caso
Pasqualigo, Milano, Edizioni di Comunità, 1975.
55
Vd. G. Luzzatto Voghera, “Isacco Pesaro Maurogonato”, in Dizionaro biografico degli
Italiani 72 (2008): http://www.treccani.it/enciclopedia/isacco-maurogonato-pesaro_(Diziona-
rio-Biografico).
56
57
C. Facchini, David Castelli. Ebraismo e scienze delle religioni, Brescia, Morcelliana, 2005.

269

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Tra gli anni ’60 e ’70, accanto ai processi di unificazione nazionale
che videro sorgere Germania e Italia nel contesto europeo, divennero più
visibili anche i risultati dell’emancipazione ebraica il cui tortuosissimo
percorso politico contrastava con i successi di un segmento della sua
società, quella borghesia che emerse e divenne visibile anche grazie alle
varie politiche di modernizzazione volute dai governanti dell’epoca.
Questa elite ebraica ha caratteristiche differenti nei diversi Paesi: mag-
giormente visibile nel mondo economico, in Germania non accede alle
cariche di Stato più importanti, come l’esercito o la prestigiosa burocra-
zia. In Francia e Italia queste cariche, comprese quelle in generale le-
gate allo Stato, sembrano più facilmente raggiungibili: sindaci, ministri
dello Stato e personalità politiche importanti raggiungono una visibilità
concreta accanto alle importanti case bancarie, come i Rothschild, e i
grandi industriali dell’Europa centrale. Va detto che, per capire meglio
le rappresentazioni fornite dai vari gruppi antisemiti, la struttura religio-
sa delle comunità ebraiche nell’Ottocento è estremamente diversificata
da Paese a Paese, e che le adesioni alle forme ufficiali della religione
ebraica sono anch’esse articolate in sistemi piuttosto diversi e forme di
ebraismo non sempre identiche.58
Gli anni ’80 si aprono con una serie di grandi crisi, che vanno dai
pogrom russi scatenati dopo l’uccisione di Alessandro II, ai casi di ac-
cusa del sangue. Su questi temi la Chiesa cattolica non sarà silenziosa
e mentre seguiva con sguardo cauto l’evoluzione dei movimenti politici
apertamente ispirati all’antisemitismo, come nel caso di Adolf Stoecker,
o più tardi quello di Karl Lueger a Vienna, seleziona i temi che ritiene
rilevanti per la sua propaganda. Nel biennio 1881-1883 sono due gli
argomenti che si profilano nel dibattito pubblico: se nel corso del 1881
sono i pogrom russi a suscitare le preoccupazioni del mondo liberale,
in quel medesimo periodo Civiltà cattolica lancia una delle sue più
aggressive campagne antisemite sul tema dell’omicidio rituale.59 Com-
menti sulla situazione relativa alle drammatiche e precarie condizioni
degli ebrei russi appaiono in tutta la stampa europea, così come in quella
italiana, e non a caso sono ripresi anche dai gesuiti. Nel 1883 il caso di
accusa di omicidio rituale di Tiszàeslàr, un villaggio nella campagna
ungherese, si ripresenta come affaire internazionale alla stregua di quel-
lo di Damasco. Il caso suscita emozioni e reazioni intense, acquisisce
visibilità internazionale, e si protrae per un certo periodo anche per le
caratteristiche specifiche che svela, per il suo particolare carattere tor-

58
La bibliografia su questi temi è molto vasta e specializzata. Per una visione generale si
veda ora D. Sorkin, Jewish Emancipation. A History across Five Centuries, Princeton-Oxford,
Princeton University Press, 2019.
59
Raggi-Taradel, La segregazione amichevole; Crepaldi, “L’omicidio rituale nella ‘moderna’
polemica antigiudaica”, 61-78.

270

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bido ed esotico. Notevoli sono le reazioni che suscita, anche da parte
ebraica, come nel caso di Arnold Zweig che scrive un dramma teatrale
dai tratti profondamente inquietanti.60 A fronte di questa situazione, una
delle reazioni immediate che cerca di attenuare le polemiche si trova in
una pubblicazione del 1884. Il Pro judeis di Corrado Guidetti risponde
in generale a queste accuse: omicidio rituale, condanna del Talmud, e
polemiche contro il comportamento economico degli ebrei. Tornerò su
questo testo.
Sempre nel medesimo decennio, accanto alla traduzione francese del
Talmudjude di Rohling, apparso nel 1888, è la France Juive di Edouard
Drumont (1844-1917), pubblicata nel 1886, a diventare immediatamente
un bestseller e a consacrare Drumont nell’arena pubblica dell’antisemi-
tismo europeo.61 Nel 1889 Drumont si fa promotore di leghe contro gli
ebrei e nel 1892 fonda la rivista La libre parole che diventa un punto
di riferimento per la disseminazione dell’odio nei confronti degli ebrei.
Negli anni successivi Drumont fu promotore di violenti attacchi contro
Dreyfus.
Negli anni ’90 le tensioni accumulate nei decenni precedenti sem-
brano esplodere in Francia e nell’impero asburgico, a Parigi e Vienna.
L’Affaire Dreyfus e l’elezione del borgomastro di Vienna a capo di un
partito che fonda il suo programma su un’esplicita ideologia antisemi-
ta, portano alla luce quelle che, per lo storico, sembrano essere delle
tensioni politiche e sociali ben visibili fin dagli anni ’70. Occorre fare
una breve pausa e fermarsi qui, a cavallo tra Otto e Novecento, quando
le ideologie antiebraiche, su cui ancora non abbiamo detto molto, si
condensano in pratiche politiche.
Lo scoppio dell’Affaire Dreyfus in Francia segna una vera e propria
crisi della cultura liberale e del processo di emancipazione politica che,
con grandi difficoltà, si era lentamente diffuso in Europa occidentale.
Non occorre ricordare che l’Affaire suscitò un intenso e vivace dibattito
internazionale, dividendo non solo il mondo intellettuale francese, ma
anche quello di altri Paesi europei.62 Studi recenti hanno in realtà sve-
lato come il fronte dreyfusardo fosse permeato da alleanze paradossali,
e mostra come la cultura religiosa ottocentesca non fosse poi divisa su
linee così chiare e distinte.
Accanto all’Affaire Dreyfus sono le elezioni di Vienna a dare visi-
bilità al movimento politico cattolico antisemita. Nel 1897 Karl Lueger,

60
Sul caso vd. D. Biale, Blood and Belief. The Circulation of a Symbol between Jews and
Christians, Berkeley, University of California Press, 2008. Arnold Zweig scriverà poi un dramma
teatrale: Ritualmord, Berlin, Hyperionberlag, 1914.
61
E. Drumont, La France juive. Essai d’histoire contemporaine, Paris, Marpon-Flammarion,
1886.
62
Sull’Affaire si veda tra gli altri Harris, Dreyfus. Politics, Emotion; sull’Italia, A. Di Fant,
L’affaire Dreyfus nella stampa cattolica italiana, Trieste, Edizioni Università, 2002.

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ispirandosi apertamente all’antisemitismo politico, diventa sindaco di
Vienna, dopo una lunga negoziazione con l’imperatore.63 Nello stesso
anno, in Algeria, sotto l’amministrazione francese, viene eletto un sin-
daco che si ispira all’antisemitismo di marca drumontiana. In Algeria,
a differenza di Vienna, il successo dell’antisemitismo si concretizza in
un violento pogrom di ebrei algerini che induce il governo francese a
rimuovere, dopo un anno appena, il sindaco neoeletto.64
Le accuse di omicidio rituale continuano, con la loro presenza, a
farsi sentire non solo nelle aree dell’impero austro-ungarico, ma anche
in Germania e altre zone d’Europa, come ad esempio nel caso di Corfù o
quello tedesco di cui si fa portavoce don Albertario, uno dei più ferventi
portavoce dell’antisemitismo italiano.65
Prima di passare a una disamina delle conformazioni discorsive,
delle retoriche antiebraiche di questi ultimi decenni che chiudono l’Ot-
tocento, occorrerà ricordare che anche le politiche della Chiesa cattolica
hanno subito una svolta, inaugurando, detto un po’ perentoriamente,
una politica più aperta alla società moderna. La storiografia attribuisce
questa svolta al pontificato di Leone XIII, il quale inaugura una politica
sociale volta a competere coi partiti socialisti e ad affrontare il grande
dilemma che viene posto al centro della politica, ossia la questione
sociale. È un aspetto interessante questo che influisce anche sul tema
dell’antisemitismo, considerando che i discorsi antisemiti si nutrono di
una consistente componente sociale e anticapitalistica, spesso in difesa
della società tradizionale e delle sue strutture corporative.66
Tornando alla nostra cronologia, verrebbe da chiedersi se la crisi di
fine secolo abbia inciso sulle tradizioni antisemite che si manifestarono
in Europa nel corso della seconda metà dell’Ottocento. Tutto sommato,
i due casi eclatanti si risolsero piano piano, anche se non immediata-
mente: Lueger non applicò le leggi antisemite e trovò una forma di
compromesso con la numerosa popolazione ebraica di Vienna; Dreyfus
venne reintegrato circa una decina di anni dopo.67 Il nuovo secolo si
apriva così con varie sconfitte per la prima stagione dell’antisemitismo
politico moderno. Rimanevano certamente precarie le condizioni delle
comunità ebraiche in Europa orientale, e per lo più nell’impero russo

63
Su questo rimando a P. Pulzer, The Rise of Political Antisemitism in Germany and Austria,
Cambridge, Harvard University Press, 1994.
64
Su questa questione si veda ora S.B. Roberts, Citizenship and Antisemitism in French
Colonial Algeria, 1870-1962, Cambridge, Cambridge University Press, 2017.
65
Si veda tutto il numero monografico di Quest. Issues in contemporary Jewish history
3 (2012); A. Di Fant, “Don Davide Albertario propagandista antiebraico”, in: C. Facchini (a
cura di), Antisemitismo e chiesa cattolica in Italia (xix-xx sec.). Ricerche in corso e riflessioni
storiografiche, dossier di Storicamente 7 (2011): DOI: 10.1473/stor106.
66
Su alcuni aspetti di queste tradizioni cf. M. Battini, Il socialismo degli imbecilli. Propag-
anda, falsificazione, persecuzione degli ebrei, Torino, Bollati Boringhieri, 2010.
67
Pulzer, The Rise of Political Antisemitism; Harris, Dreyfus. Politics, Emotion.

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che vide tuttavia, anche in assenza di esplicite politiche di parificazione
giuridica o consapevolmente modernizzatrici come quelle asburgiche,
una lenta integrazione nel tessuto sociale di un impero che di lì a poco
sarebbe crollato.68
La fine del secolo annunciava anche un relativo cambiamento nel
mondo ebraico, che per tutto il corso dell’Ottocento aveva cercato, lad-
dove possibile, di emanciparsi e adattarsi alle norme dell’equiparazione
giuridica. Norme che investivano, lentamente, le comunità religiose,
che all’interno di diversi Stati erano state tollerate secondo le leggi
delle comunità di antico regime. In Italia, come ad esempio in Francia,
spiccavano in questo ruolo ebrei e riformati calvinisti, come ugonotti
e valdesi.69 Altrove però la situazione era molto più complessa, come
negli Stati tedeschi che giunsero a unificazione nel 1870, o in Inghilterra
e nei Paesi Bassi, dove la questione delle minoranze cattoliche aveva
tormentato l’andamento dei processi di unificazione, e dove i cattolici
più degli ebrei rappresentavano minoranze religiose oppresse ancorché
socialmente influenti. Il mosaico religioso era maggiormente complesso
negli imperi, sia in quello asburgico che in quello russo.
A fine Ottocento la chiesa Cattolica era notevolmente cambiata.
Aveva perso i suoi domini territoriali, e si erodeva lentamente la sua
rilevanza in Paesi dove aveva esercitato un’egemonia culturale di primo
piano, come Italia, Francia e Spagna. Spesso i movimenti di liberazione
nazionale che si erano diffusi in America Latina erano apertamente
anticlericali, in alcuni casi si ispiravano alle ersatz delle religioni otto-
centesche. Come già detto, in Germania i cattolici, che costituivano una
minoranza demograficamente rilevante, venivano attaccati da politiche
aggressive. La situazione non migliorava nei domini asburgici, dove
però il rapporto tra Chiesa e potere politico era estremamente compli-
cato dal fatto che qui, più che altrove, diverse anime del cattolicesimo
erano radicate sul territorio.
Non è un caso che proprio dall’impero austro-ungarico si vedano al-
cuni cambiamenti significativi già a fine Ottocento. Alla fine del secolo
appariva sulla scena politica e anche religiosa un nuovo attore ebraico
che intrattenne, fin dai primissimi tempi, un rapporto controverso con
la Chiesa cattolica e in particolare con il papa. Fondato da Theodor
Herzl, un ebreo di origine ungherese ma attivo nella Vienna di Lueger,
il sionismo si costituì come movimento nazionale alla stregua dei na-
zionalismi europei ottocenteschi.

68
J. Veidingler, Jewish Public Culture in the Late Russian Empire, Bloomington, Indiana
University Press, 2009; e il più datato J. Frankel, Gli ebrei russi tra socialismo e nazionalismo,
Torino, Einaudi, 1997.
69
Per una storia dei protestanti in Italia cf. G. Spini, Risorgimento e protestanti, Torino,
Claudiana, 2008; Id., Italia liberale e protestanti, Torino, Claudiana, 2002.

273

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Theodor Herzl (1860-1904) e prima di lui Leon Pinsker (1821-
1891), a cui si deve un brevissimo trattato dal titolo Autoemancipazio-
ne (1883), non furono intellettuali ebrei religiosi. In particolar modo
Herzl viene spesso descritto come “ebreo assimilato”, intendendo con
questo termine indicare una persona cresciuta in un contesto avulso da
legami o principi provenienti dall’ebraismo. Herzl fece una carriera di
intellettuale giornalista nella Vienna di Sigmund Freud e Karl Kraus,
di Arthur Schnitzler e, appunto, Karl Lueger. Fu il caso Dreyfus a
convincerlo della necessità di risolvere la “questione ebraica”, tro-
vando una soluzione politica. Un decennio prima erano stati i terribili
pogrom del 1881 che colpirono anche Odessa a motivare nella stessa
direzione il medico ebreo russo Pinsker. Era necessario trovare una
soluzione che potesse aiutare gli ebrei di quei Paesi in cui la perse-
cuzione e il massacro erano una realtà concreta.70 Il pragmatismo di
questi primi progetti, incluso quello di Herzl, è certamente mitigato
da visioni utopiche di rinascita e rifondazione politiche tipiche della
cultura ottocentesca. Inoltre, il sionismo fin da subito venne lentamen-
te arricchito di altri elementi più attenti alla “rinascita” della cultura
ebraica e della lingua, secondo i principi che avevano ispirato il na-
zionalismo romantico.71
Il movimento sionista cercò fin da subito il sostegno della Chiesa
per una politica di colonizzazione della Palestina che era ancora, alla
fine dell’Ottocento, sotto il dominio turco. La questione va iscritta nel
più ampio progetto europeo noto con il nome di “questione orientale”
e diretto allo smantellamento dell’impero turco, voluto e animato da
potenze coloniali come Inghilterra e Francia, ma anche da Russia e
impero asburgico. In questo senso l’attenzione di Herzl e della leader-
ship sionista alla posizione della Chiesa cattolica è di estremo interesse
per almeno due motivi: da un lato perché dal punto di vista teologico
l’apparizione di un movimento nazionale ebraico, così come la politica
dei diritti civili, obbligava la Chiesa come istituzione a rivedere la sua
millenaria posizione sugli ebrei; dall’altro perché imponeva comunque,
a fronte di un apparato ideologico/teologico difficile da smantellare, una
realpolitik pragmatica e attenta a evitare di perdere spazio e rilevanza
nella società moderna. Questi due livelli di azione della Chiesa cattolica
sono evidenti nel modo in cui viene trattata la “questione ebraica” nei

70
Di Pinsker si veda L. Pinsker, Autoemancipazione. Appello di un ebreo russo ai suoi fra-
telli, Genova, Il Melangolo, 2004 (che fu pubblicato intorno al 1883). Su Herlz cf. D. Penslar,
Theodor Herzl. A Charismatic Leader, New Haven, Yale University Press, 2020.
71
Sul nazionalismo rimando ai testi classici: A. Smith, Le origini etniche delle nazioni,
Bologna, Il Mulino, 1998; E. Hobsbawm, Nazioni e nazionalismo dal 1780. Programma, mito,
realtà, Torino, Einaudi, 2002; E. Gellner, Nazioni e nazionalismo, Milano, Editori Riuni-
ti, 1997; B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi, Milano,
Feltrinelli, 2018.

274

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primi decenni del Novecento, in particolare nel corso degli anni ’30 e
durante la Seconda guerra mondiale.72
Il periodo che precede la Prima guerra mondiale si segnala con una
serie di nuove tendenze culturali e l’apparizione di nuovi problemi.
Per quanto concerne il canone testuale dell’antisemitismo, I protocolli
degli anziani Savi di Sion contribuirono a fornire una teoria compatta
del complotto che si era formata nel corso del secolo precedente. Que-
sto libretto, la cui genesi rimane ancorata a due interpretazioni diverse,
l’una che rimanda al contesto culturale francese e l’altra a quello russo,
fu pubblicato per la prima volta dopo la Rivoluzione russa del 1905.73
Durante la Prima guerra mondiale, che aprì un contenzioso nel mondo
ebraico tra patriottismo e guerra fratricida, l’antisemitismo visse un’in-
tensificazione che trovò un tragico peggioramento alla fine del conflitto.
Il crollo di due imperi produsse, da un lato, apolidi e, dall’altro, una
rivoluzione che venne letta come ennesima cospirazione ebraica contro
il mondo cristiano. I “protocolli” assunsero un significato ora “profe-
tico” e vennero ristampati e tradotti in molte lingue europee. In Italia
i massimi propagandisti furono prima un ex prete cattolico, Giovanni
Preziosi, e poi, nel ’38, in una nuova fase di intensificazione dell’odio
antiebraico, Julius Evola, un antisemita vicino agli ambienti nazisti.74
La Chiesa cattolica non sembra proporre discorsi alternativi rispetto
a quelli coltivati nel secolo precedente, anche se vanno segnalate alcune
novità di rilievo. La prima, come ha osservato Renato Moro, è connessa
alla questione del modernismo, un termine che nel lessico cattolico in-
dica un movimento di preti che si fecero promotori di un rinnovamento
religioso attuato in parte attraverso l’adesione a uno studio storico e
scientifico dei testi sacri e delle origini cristiane. Il movimento, che
venne scomunicato come “eresia” moderna, fu perseguitato in modo
sistematico tanto che, nella storiografica cattolica, esso assunse un ruo-
lo centrale di battaglia contro le posizioni integriste della Chiesa.75 Il
modernismo avrebbe, secondo alcuni studiosi, provocato un più pro-

72
T. Catalan, “La ricezione del Sionismo nella stampa cattolica italiana (1897-1917)”, in: C.
Facchini (a cura di), Antisemitismo e chiesa cattolica: DOI: 10.1473/stor123 e bibliografia citata.
73
Sui protocolli vd., tra i testi classici, N. Cohn, Licenza per un genocidio. I “Protocolli degli
Anziani di Sion”. Storia di un falso, Torino, Einaudi, 1969; P.A. Taguieff, La forza del pregiu-
dizio. Saggio sul razzismo e sull’antirazzismo, Bologna, Il Mulino, 1994; C.G. De Michelis, Il
manoscritto inesistente. I “Protocolli dei savi di Sion”, Venezia, Marsilio, 1998.
74
Su Evola vd. F. Cassata, A destra del fascismo. Profilo politico di Julius Evola, Torino,
Bollati Boringhieri, 2003.
75
La bibliografia sul modernismo cattolica è estesa, ma si possono citare i testi più recenti:
P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna, Il Mulino, 1961;
É. Poulat, Histoire, dogme et critique dans la crise moderniste, Paris, Casterman, 1962; M.
Ranchetti, Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo, Torino, Einaudi, 1963;
L. Bedeschi, Interpretazioni e sviluppo del modernismo cattolico, Milano, Mondadori, 1975;
M. Guasco, Modernismo. I fatti, le idee, i personaggi, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1995; G.
Vian, Il modernismo. La chiesa cattolica in conflitto con la modernità, Roma, Carocci, 2012; G.

275

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fondo interesse nei confronti della religione ebraica. In quale misura il
modernismo ebbe un ruolo rilevante nei confronti del mondo ebraico?
E su quali temi specifici? L’assenza di ricerche sistematiche su questo
argomento non permette di valutare con precisione se l’apertura verso
una migliore e maggiore conoscenza del cristianesimo e dell’ebraismo
abbia diminuito l’intensità dei pregiudizi. In Italia certamente i contatti
e le simpatie personali si fecero sentire, come testimoniano i casi esem-
plari di Giorgio Levi della Vida e Luigi Luzzatti, se pure nello sfondo
di molteplici conflitti culturali. Maggiori risultati sono forse rinvenibili
in altri Paesi, come la Francia e la Germania, anche se accompagnati
sempre da una linea parallela di ostilità che si intensifica.76
Dopo la Prima guerra mondiale si rinvigoriscono tematiche a sfondo
apertamente razzista a cui anche i cattolici partecipano: si tratta, a dire
il vero, delle frange “integrali” che si rifanno però a una consolidata
ideologia cattolica ed ecclesiastica di lungo periodo. Se abbiamo già
detto di Giovanni Preziosi, non si devono dimenticare le pubblicazioni
di Rocca D’Adria, apertamente basate sulla credenza che gli ebrei per-
petrassero l’omicidio rituale, tematizzato anche nell’enciclopedia diretta
da monsignor Benigni.77
Non si può affermare con certezza se ad alimentare questa vena
cattolica così fortemente antiebraica fosse l’emersione di una nuova
ideologia nazionalista, molto più intollerante, certo è che essa riappa-
re come ideologia politica in un momento di grave crisi della società
europea, il cui cardine fondamentale è ancora quello della centralità
del cristianesimo e del cattolicesimo, in un’Europa testimone di una
disastrosa guerra e del crollo della Russia zarista.
Gli ambienti italiani, così come quelli francesi e inglesi, vedono
l’emersione di un antisemitismo letterario di nuovo tipo: non sono
molti gli studi su questi temi, ma qualche lavoro aiuta a comprendere
il fenomeno.78 Esempio emblematico è costituito dalla conversione al
cattolicesimo di un noto scrittore come Giovanni Papini, il quale adotta
fin da subito una postura antisemita, espressa non a caso attraverso un
romanzo sulla vita di Gesù, Storia di Cristo.79 Non credo che l’adesione
all’antisemitismo sia da leggersi come retaggio “nazionalista”,80 ma
costituisce parte del problematico nesso tra cattolicesimo e nazione,

Verucci, L’eresia del Novecento. La chiesa e la repressione del modernismo in Italia, Torino,
Einaudi, 2010.
76
Facchini, “Incontri inconsueti”.
77
M.T. Pichetto, Alle radici dell’odio. Preziosi e Benigni antisemiti, Milano, Franco Angeli,
1981; L. Menconi, Giovanni Preziosi e “La vita italiana”. Biografia politica e intellettuale,
Napoli, Aracne, 2018.
78
P.-A. Taguieff (éd.), L’Antisémisme de plume, Paris, Berg, 1999.
79
G. Papini, Storia di Cristo, pubblicato nel 1921. R. Bonavita, Spettri dell’altro. Letteratura
e razzismo nell’Italia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 2010.
80
R. Moro, La chiesa cattolica e lo sterminio degli ebrei, Bologna, Il Mulino, 2002.

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cattolicesimo e antisemitismo così come si era sviluppato nell’Europa
tardo ottocentesca. Il romanzo di conversione si colloca in un punto
cruciale della cultura moderna, ossia attorno al senso e all’identità di
Gesù. È proprio attorno alla figura di fondazione del cristianesimo che
si sviluppa, a partire dall’Ottocento, una guerra di interpretazioni tra
autori cristiani, sedicenti atei e ebrei. Il Cristo di Papini va compreso
entro le traiettorie culturali delle ricerche europee sul Gesù storico e dei
loro usi in campo letterario e politico. In quel senso, il posizionamento
chiaramente antisemita di Papini è comprensibile e schierato nella linea
tradizionale della Chiesa cattolica.81
L’avvento del fascismo, l’abolizione della massoneria (1925) e la
stipula del Concordato (1929) pongono la Chiesa in una posizione meno
marginale rispetto al passato. L’antisemitismo di questo periodo è più
capillare e globale, la struttura della diaspora ebraica cangiante con un
polo americano che sta consolidandosi, così come lo statuto giuridico
dei singoli e delle comunità religiose. Se per l’Italia è ormai venuto
meno il fragile sistema che, come vedremo, aveva garantito un proces-
so di parificazione giuridica agli ebrei, non veniva meno il suo assetto
simbolico che continuava ad alimentarsi nel patriottismo. È certamente
un aspetto interessante perché rispetto al Concordato anche le comuni-
tà ebraiche recepiranno una ristrutturazione istituzionale con la legge
Falco del 1930.82 Come già detto, l’elemento che venne ad aggiungersi
in questo periodo è caratterizzato dal sionismo, che impresse anche una
differente percezione dell’ebraismo inteso in senso non esclusivamente
“religioso”. L’aspetto “nazionale” dell’ebraismo, mai del tutto dismesso
nel corso dell’Ottocento, è vibrante nelle pagine antisemite dei cattolici,
ma anche in quelle dei sionisti. Gli equivoci sono limpidi, e l’uso stru-
mentale delle diverse interpretazioni diventa evidente nel corso degli
anni ’30, in un regime di assenza di libertà.83

III. NARRAZIONI: NOTE PER UNA MORFOLOGIA DEL DISCORSO ANTIEBRAICO

Una morfologia del discorso antiebraico è certamente utile in quanto


descrive molto spesso ampi ambiti del pensiero cristiano sugli ebrei, ma

81
Bonavita, Spettri dell’altro; sulla figura di Gesù nella cultura italiana dei primi decenni
del Novecento, vd. C. Facchini, “The ‘war zone’ of the historical Jesus. Scholarship, politics,
and religion in Italy (1890s-1930s)”, in: C. Facchini, A. Lannoy (a cura di), The other Jesus.
Alternative histories of Jesus and the religious world of the past from the nineteenth and early
twentieth centuries, Turnhout, Brepols (in corso di stampa).
82
M. Sarfatti, Gi ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Torino, Einaudi,
2007.
83
Si vedano, ad esempio, le problematiche nozioni relative al concetto di religione in Airoldi
2015.

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non riserva grosse sorprese, se non la sua capacità di essere cangiante e
ripetitiva allo stesso tempo. Come ho già detto possono coesistere due
modi analitici, quello di lungo periodo e quello circostanziato, quello
che si sofferma sulla novità dell’antisemitismo e quello che lo osserva
come un fenomeno perenne, antico e sempre presente (e quindi religio-
so?). Per sciogliere l’intricato nesso tra temi vecchi e nuovi, propongo
di osservare attraverso gli occhi dei commentatori, che percepirono
l’antisemitismo nelle diverse crisi che si susseguirono a partire dalla
seconda metà dell’Ottocento.
Se guardiamo all’Italia, è interessante segnalare che una prima pre-
sa di posizione sull’antisemitismo fu quella che venne pubblicata nel
1884 da un autore che si firma con pseudonimo, Corrado Guidetti, in
un lavoro dal titolo Pro Judeis.84 Altre reazioni da parte ebraica sono
disseminate tra gli articoli e le segnalazioni che apparvero nelle riviste
ebraiche dell’epoca, come il Vessillo israelitico o il Corriere israelitico,
che sono stati analizzati in momenti diversi da Tullia Catalan e Ulrich
Wyrwa.85 Analisi dell’antisemitismo nell’ultimo quarto dell’Ottocento
sono state condotte anche da M. Toscano, il quale si è concentrato più
su ambienti non legati alla Chiesa o al mondo cattolico.86 In altra sede ho
dedicato una breve analisi alle reazioni di fine secolo, concentrandomi
in particolare su lavori di ambito francese, e su una riflessione tedesca
degli inizi del Novecento, che era tratta dai lavori provenienti dall’ebrai-
smo riformato tedesco e americano.87 Di recente Wyrwa è tornato sulle
reazioni di ambito ebraico, selezionando materiali tedeschi.88
Le analisi condotte in tempo reale su fenomeni culturali e politici
come l’antisemitismo sono interessanti, perché offrono una chiave di
lettura spesso imprecisa per lo storico, ma utile per capire i meccanismi
culturali di un’epoca lontana. In alcuni casi, come quello di Leroy-
Beaulieu (1843-1916) e di Bernard Lazare (1865-1903), non a caso

84
C. Guidetti, Pro Judaeis: riflessioni e documenti, Torino, Tip. Roux e Favale, 1884.
85
W.U. Wyrwa, Gesellschaftliche Konfliktfelder und die Entstehung des Antisemitismus.
Das Deutsche Kaiserreich und das Liberale Italien im Vergleich (Studien zum Antisemitis-
mus in Europa Bd. 9), Berlin, Metropol, 2015; T. Catalan, “Le reazioni dell’ebraismo italiano
all’antisemitismo europeo”, in: Brice-Miccoli (éd.) Les racines chrétiennes de l’antisémitisme,
137-162.
86
M. Toscano, Ebraismo e antisemitismo in Italia. Dal 1848 alla guerra dei sei giorni,
Milano, Franco Angeli, 2004.
87
Facchini, “Le metamorfosi di un’ostilità antica”.
88
U. Wyrwa, “‘L’Osservatore Cattolico’ and Davide Albertario: Catholic Public Relations
and Antisemitic Propaganda in Milan”, in: R. Nemes, D. Unowsky (eds.), Sites of European
Antisemitism in the Age of Mass Politics 1880-1918, Waltham, Mass., Brandeis University Press,
2014, S. 61-75; Id., “Antisemitic Agitation and the Emergence of Political Catholicism in Mantua
around 1900”, Quest. Issues in Contemporary Jewish History. Journal of Fondazione CDEC 3
(2012): www.quest-cdecjournal.it/focus.php?id=303; Id., “The Language of Antisemitism in
the Catholic Newspapers Il Veneto Cattolico - La Difesa in Late Nineteenth Century Venice”,
Church History and Religious Culture 96 (2016) 346-369.

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apparsi alla fine del secolo, è possibile individuare i primi tentativi di
dare corpo e senso al fenomeno antiebraico e anche alle difficoltà di
volta in volta incontrate da coloro che si addentrano in questo campo.
È opportuno segnalare anche il differente impatto dei libri rispetto
agli articoli di rivista, tanto più quelli presenti nei periodici ebrai-
ci che ebbero una diffusione certamente non comparabile rispetto a
quelli cattolici o simili alla Civiltà cattolica, che ebbe una diffusione
internazionale di rilievo. Il libro, rispetto agli articoli, entra in un
circuito di diffusione diverso e più accessibile. La sua circolazione
è maggiore rispetto ad altri tipi di scritti, anche se forse maggiore
impatto ebbero altri generi, come il romanzo, il feuilleton, il dramma
teatrale o l’opera.89
In questo specifico caso il testo di Guidetti è significativo in quanto
segnala i principali temi antisemiti (un termine che viene usato come ne-
ologismo ma senza particolare rilevanza dall’autore stesso) del periodo.
Guidetti si sofferma sulla nozione di “razza”, utilizzata in quel contesto
nel senso di popolo straniero inassimilabile alla nazione moderna, sulle
caratteristiche economiche degli ebrei, sull’attacco al Talmud e infine
sull’accusa del sangue. Presenta inoltre un’appendice di scritti suddivisi
tra recensioni a pubblicazioni antisemite e documenti contro l’accusa
del sangue. Mi soffermo su questo testo per due motivi: primo perché
si tratta di una primissima riflessione sull’antisemitismo in generale, e
perché si colloca in una prima fase di crisi, meno rilevante rispetto a
quella di fine secolo, ma certamente significativa, caratterizzata, tra le
altre cose, soprattutto da un evento di visibilità internazionale come i
fatti di Tiszaeslàr in Ungheria. Ma c’è un secondo elemento, mai indi-
viduato prima da chi ha brevemente segnalato questo lavoro, e cioè un
tentativo di rivitalizzare un’alleanza cattolico-ebraica che di fatto, come
ho detto, esisteva ma era stata marginalizzata dagli eventi che avevano
portato all’unificazione del Paese. Il libro infatti segnala la diffusione di
un antisemitismo cattolico come fenomeno non controllato dalla Chiesa,
che prende corpo nelle specificità locali, e segnatamente indica i danni
dell’Osservatore Cattolico di Milano, diretto da don Albertario che un
decennio dopo condurrà una battaglia antisemita capillare e aggressiva
usando i diversi casi di omicidio rituale.90 L’autore di Pro judaeis è
consapevole della campagna antiebraica condotta da Civiltà cattolica
sia nei primissimi anni della sua fondazione che negli anni ’80, secondo
due linee tematiche: quella del complotto operato da ebrei e massoni a
danno della Chiesa, ben esemplificata dalla pubblicazione del romanzo

89
Il mezzo utilizzato per diffondere l’antisemitismo fu particolarmente importante per la
Germania, dove gli slogan antisemiti furono ampiamente utilizzati nelle campagne di propaganda
contro gli ebrei: francobolli,
90
Guidetti, Pro Judaeis; vd. anche Di Fant e Wyrwa.

279

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e bestseller L’ebreo di Verona, e quella dell’accusa del sangue.91 Lungi
però dall’attribuire alla Chiesa una centralità nella conduzione di questi
attacchi denigratori, Guidetti sceglie una strategia del tutto differente
rispetto a quella che vedremo altrove, che si fonda sull’idea che la
Chiesa non abbia mai sostenuto attivamente, nella sua millenaria storia,
le forme di antisemitismo più virulento (come ad esempio la calunnia
dell’accusa del sangue) e che le teorie del complotto, apparse sulla rivi-
sta diretta dai gesuiti, provengano direttamente da ambienti “settari” per
i quali il complotto era opera dei gesuiti stessi.92 È un dato significativo
e sottovalutato dagli storici. Innanzitutto, segnala giustamente come la
teoria del complotto fosse stata utilizzata nella polemica anticlericale,
soprattutto in Francia. Questo testo offre un’argomentazione che ha una
lunga storia, e che insiste sull’ideale alleanza con le autorità cristiane
(nello specifico il papa), sostenendo che se ora erano perseguitati gli
ebrei, in passato lo erano stati i cristiani. In questo caso Guidetti fa
riferimento non tanto al caso storico delle persecuzioni dei cristiani
nell’impero romano, quanto a quella più recente dei gesuiti. Non c’è
spazio per soffermarsi maggiormente su questo particolarissimo testo,
ma va certamente segnalato che agli inizi degli anni ’80 si registrava
con preoccupazione l’insistenza con cui si parlava di ebrei come “razza
straniera”, come soggetto inassimilabile e come corpo estraneo dentro
agli Stati nazionali di nuova istituzione. Si tratta di una nozione che,
come scriverà con più precisione Leroy Beaulieu alla fine del secolo,
trae sostentamento da diverse correnti culturali del pensiero europeo.93
Il capitolo di Guidetti è di particolare interesse perché discute la nozio-
ne di “razza” partendo inizialmente dalla nozione di gruppo religioso
endogamico incapace di mescolarsi con le culture nelle quali si trova.
L’argomentazione si pone come risposta alle accuse, provenienti da vari
settori della cultura cattolica e liberale, di impossibilità per gli ebrei
di divenire cittadini e patrioti italiani alla stregua degli altri soggetti.
Se le prime pagine sembrano rispondere alle accuse di costituire uno
“Stato nello Stato”,94 un tema maggiormente diffuso tra i liberali che
tra i cattolici, il capitolo sulla “razza” va oltre, e usa le ricerche stori-
che sulla Bibbia e sulla nascita del cristianesimo per dimostrare che

91
Bonavita, Spettri dell’altro.
92
Per un contesto più generale vd. ora I. Veca, La congiura immaginata. Opinione pubblica
e accuse di complotto nella Roma dell’Ottocento, Roma, Carocci, 2020; S. Pavone, Le astuzie
dei gesuiti. Le false Istruzioni segrete della compagnia di Gesù e la polemica antigesuita nei
secoli XVII e XVIII, Roma, Salerno Editrice, 2000.
93
Facchini, “Le metamorfosi di un’ostilità antica”.
94
Ripresa nel caso Pasqualigo, come già accennato, ma presente in altre forme e con altre
sfumature anche tra altri esponenti dell’elite liberale su cui rimando a I. Pavan, “L’impossibile
rigenerazione. Ostilità antiebraiche nell’Italia liberale (1873-1913)”, in: T. Dell’Era, D. Menozzi
(a cura di), L’antisemitismo italiano, numero monografico di Storia e problemi contemporanei
50/22 (2009) 35-63.

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gli ebrei non sono un gruppo chiuso, e che praticarono conversioni e
proselitismo. Insomma, scriveva l’autore, «il Giudaismo devesi consi-
derare una religione e non una razza».95 Non è un caso che venga a più
riprese, per motivi talvolta diversi, citato Ernest Renan, il quale aveva
da poco pubblicato un intervento dal titolo Le judaisme comme race et
comme religion.96
La percezione di una possibile configurazione dell’ebraismo come
religione “nazionale”, chiusa, etnica, impermeabile, e degli ebrei come
membri di una “razza” dalla quale non si può uscire, costituisce argo-
mento molto discusso che investì diversi campi del dibattito europeo su
temi anche molto diversi che vanno dalla definizione di religione, alla
conoscenza delle caratteristiche strutturali e dei processi storici dell’e-
braismo, alla definizione di nazione e ai rapporti tra nazione e religione.
Ciò che qui interessa maggiormente è il rifiuto di definire l’ebraismo
come un gruppo dal quale non si può uscire e al quale non si può aderire,
appunto una “razza” e non una religione. In parte, si potrebbe ipotizzare,
l’autore fornisce anche una risposta alle concezioni che sia Civiltà cat-
tolica, sia membri dell’elite liberale, per motivi diversi, condividevano,
quando affermavano che gli ebrei non potevano essere cittadini di uno
Stato moderno se non si liberavano del tutto della religione (talmudica),
e che rimanevano comunque ebrei anche quando battezzati.97
Tra le righe, implicita e mai discussa, appare l’onnipresente minac-
cia che il grande tema del deicidio offriva alla cultura religiosa dell’epo-
ca. Ed è su questo argomento che propongo di concentrare il prossimo
paragrafo.

IV. IL TEMA DEL DEICIDIO

Ho già offerto un’analisi del deicidio così come viene codificato nel-
le riviste indirizzate al clero.98 A differenza di coloro che lo interpretano
come tema secondario perché di carattere religioso o teologico, la mia
lettura ha posto l’accento sugli aspetti culturali che sono declinati sia
nella liturgia che nel rito e nella sua capacità di prestarsi a diversi usi.
Nella decina di anni che vanno dal 1878 al 1888, la rilevanza di questo
tema segue certamente le indicazioni del pontefice che con l’immagine

95
Giudetti, Pro Judaeis, 34.
96
E. Renan, Le Judaïsme comme race et comme religion, Paris, Calman Lévy, 1883. Si-
gnificativo in questa direzione anche il testo di M. Mortara, Le proselytisme juif (Paris, A.
Wittensheim, 1875).
97
Bonavita, Spettri dell’altro; Crepaldi, “L’omicidio rituale”.
98
C. Facchini, “Antisemitismo delle passioni. La Palestra del clero e il tema del deici-
dio nella seconda metà dell’Ottocento”, in: Ead. (a cura di), Antisemitismo e chiesa cattolica:
DOI: 10.1473/stor122.

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del deicidio offriva una lettura del dramma della perdita di potere tem-
porale della Chiesa. La lettura politica della “passione di Cristo” e il
tema del deicidio appaiono sulla scena pubblica, in modo politicamente
e culturalmente pregnante, sin dagli anni ’50.99 La Civiltà cattolica, dalla
data della sua fondazione (1850) fino alla fine degli anni ’70, utilizza il
tema della morte di Cristo, in quanto parte del macro-sistema narrativo
e mitico dei racconti della Passione, alla luce dell’attualità politica,
con l’intento di dare senso alle vicende che segnano la storia dell’unità
d’Italia.100
Questo nesso, che negli articoli della Palestra del clero viene ri-
proposto nelle sue molteplici sfumature, è tematizzato in un articolo di
Civiltà cattolica pubblicato nel 1872, La chiesa e il Golghota. In rispo-
sta a quegli eventi, Pio IX aveva insistito, nei suoi discorsi pubblici, sul
nesso tra calvario, sofferenza di Cristo, persecuzione anticristiana delle
origini e politiche anticlericali degli Stati moderni.101
Il tema del deicidio è tanto più interessante perché si colloca nello
spazio tra testo e rito, si offre come rappresentazione e narrazione di un
evento topico dell’identità cristiana, capace di spiegare altri fenomeni
attraverso le tecniche di attualizzazione che vanno dall’esegesi testuale
alla performance rituale. La centralità assunta dal tema del deicidio im-
plica quindi, in un contesto politico mutato, non solo la riproposizione
di un discorso teologico tradizionale, ma contribuisce a diffondere una
serie di corollari, alcuni di carattere politico e altri di carattere culturale
destinati a un successo immenso. A un primo livello, attraverso la storia
della “passione di Cristo”, si intende ricordare che il popolo ebraico è
deicida e come tale non può essere liberato dalla sua necessaria schia-
vitù (quindi subordinazione politica) attraverso meccanismi moderni e
concezioni nuove di parificazione giuridica. Questo è un aspetto parti-
colarmente interessante, perché l’antisemitismo politico che si forma
e diffonde nel mondo cattolico ottocentesco contiene una critica alle
politiche di emancipazione e integrazione, causa dell’eccessiva presenza
e visibilità pubblica degli ebrei.102
L’accusa di deicidio si fonda su argomentazioni che sono contempo-
raneamente religiose e politiche, e permette alla Chiesa di interpretare il
conflitto in cui essa si trova coinvolta entro uno schema chiaro, traduci-
bile nei seguenti termini: l’immagine di Gesù crocifisso, che riaffiorerà
nelle icone visive, rappresenta la crocifissione della Chiesa. Il crimine
perpetrato dai “giudei” è ora compiuto da “anticlericali, massoni, ebrei

99
Miccoli, “Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo”, 1398-1407.
100
J.D. Lebovitch Dahl, “The Role of the Roman Catholic Church in the Formation of Mod-
ern Anti-Semitism: La Civiltà Cattolica, 1850–1879”, Modern Judaism 23/2 (2003) 180-197.
101
Miccoli, “Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo”, 1407.
102
Facchini, “Antisemitismo delle passioni”.

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moderni”. Lo struttura del discorso è semplice, si fissa sull’immagine
binaria e sulla dicotomia noi/loro, amico/nemico che permette l’assun-
zione di toni manichei, assoluti, dualistici (Chiesa/Sinagoga, Bene/Male,
Dio/Satana). Il tema della colpa originaria e quello della responsabilità
collettiva del deicidio sono funzionali alla comprensione di fenomeni
sociali associati alla modernità, e permettono di assimilare i movimenti
di critica e opposizione alla Chiesa entro l’immagine del nemico teo-
logico già noto, come gli ebrei, e ricordare al contempo che la Chiesa,
come in passato, “risorgerà vincitrice”, come “Cristo il terzo giorno”,
annientando i suoi nemici.103 La lotta tra bene e male, tra Gesù e “giu-
dei”, tra Chiesa e civiltà moderna, rappresentata da ebrei e massoni, è
tutta contenuta entro questa elementare grammatica antiebraica e garan-
tisce una spiegazione semplice degli eventi, passati e contemporanei,
facilmente decodificabili dai fedeli più o meno alfabetizzati o acculturati
attraverso le immagini note della passione e del deicidio.
La realtà era ben differente, ovviamente. Ma questo tema più di
ogni altro si prestava a essere commentato sia nella stampa locale, che
a essere predicato nelle chiese, anche se in momenti liturgici precisi,
come durante la Pasqua. Rimanevano, come vedremo, i temi attuali su
cui si poteva tornare, e che spesso accompagnavano il commento della
Passione.
Immagini ricorrenti, diffuse anche nella stampa locale, guardavano
alla distruzione di Gerusalemme come la prova della vendetta divina,
e la dimostrazione della sconfitta politica del giudaismo antico e la
vittoria del cristianesimo. Gerusalemme, città del Signore e distrutta,
piena di ebrei infedeli, è simbolo della sconfitta ebraica e della vittoria
cristiana. E Gerusalemme sconfitta poi vincitrice è assimilabile a Roma
perduta, per mano di ebrei e massoni, ma che un giorno risorgerà col
cattolicesimo.104
Non è neanche sorprendente scorgere, a commento del tema del dei-
cidio, la classica polemica sulla ricchezza ebraica. Il tema della ricchezza
ebraica e della sua capacità corruttrice appartiene al campo semantico
dell’economia e trova nella tradizione cristiana una lunga e consolidata
tradizione.105 Come nei testi e nella documentazione raccolta per consoli-
dare il culto del martire bambino san Simonino,106 la capacità corruttrice

103
Ibidem.
104
Di Fant, “La polemica antiebraica”; Facchini, “Antisemitismo delle passioni”.
105
Vd. soprattutto G. Todeschini, La ricchezza degli ebrei. Merci e denaro nella riflessione
ebraica e nella definizione cristiana dell’usura alla fine del Medioevo, Spoleto, Cisam, 1989.
106
Cf. ad esempio i commentatori ottocenteschi responsabili della raccolta di documentazione
su Simonino. Si veda ora M. Iacovella, “San Simonino da Trento. Un culto locale dall’antise-
mitismo politico al Concilio Vaticano II”, Rivista di storia del cristianesimo 12/2 (2015) 381-
404; E. D’Antonio, “Jewish Intellectuals and the “Martyrdom” of Simon of Trent in Habsburg
Restoration Italy. Anti-Semitism, Relics, and Historical Criticism”, in: S. Cavicchioli, L. Provero,
Public Uses of Human Remains in History, Abingdon, Routledge, 2019, 80-96.

283

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del denaro ebraico diventa un tema di grande successo, soprattutto in
contesti di tensione sociale e di conflitto di classe, e non è un caso che
essa sia alimentata da una continua utilizzazione di tropi antichi che
vengono continuamente aggiornati. Certamente, le vicende dell’inte-
grazione ebraica negli Stati nazionali, e in genere l’emersione di una
borghesia ebraica visibile e spesso legata alle istituzioni del nuovo Stato
nazionale (specialmente in Italia e Francia), contriburono a rafforzare
questo discorso, che in età medievale e moderna era centrato invece sul
conflitto tra funzionamento delle economie rurali e prestito a interesse,
quando non direttamente sulla competizione tra ebrei e cattolici (e altri
cristiani) per il controllo del mercato del prestito. Non sorprende quindi
che questo tema sia presente in tradizioni culturali diverse, da quelle
socialiste a quelle cattoliche. Ma c’è di più. Si potrebbe anche seguire
la linea interpretativa, già rinvenibile tra autori del primo Novecento, e
accettare l’idea, che parrebbe confermata dalle ricerche più recenti, che
nel discorso di Pio IX del 1872 e nel sermone dell’anno successivo si
trovano già in nuce alcuni temi che diverranno cavallo di battaglia dei
movimenti politici antisemiti.107 In un intervento recente Ulrich Wyrwa
ha ripreso un’interpretazione di Martin Philippson, che attribuiva proprio
a questa tradizione la nascita dell’antisemitismo politico o dell’antisemi-
tismo moderno. Wyrwa riprende l’osservazione di Philippson e scrive:
Philippson, an attentive observer, pointed out that in a speech from the
early 1870s, Pope Pius IX had attacked Jewish journalists and suggested
that “Jews surrendered only to the love of money”. The papal charges,
Philippson noted, anticipated the language of secular antisemitism far
more than they drew on the repertoire of religious Jew hatred.108
Il tema del deicidio incorpora molti messaggi: intercetta la questione
economica, radicalizza la percezione della diversità tra Gesù, il cristia-
nesimo e gli ebrei, pone al centro del confronto una nozione rilevan-
te dell’antropologia cristiana, che è quella del Christus patients.109 La
sofferenza di Cristo, che è quella della Chiesa che lo incarna, non parla
solo a un pubblico molto più vasto di quello alfabetizzato nelle nozio-
ni scientifiche, ma intercetta anche l’aspetto emotivo ed emozionale
dell’antisemitismo. Gli studi di area tedesca hanno individuato abba-
stanza precocemente questi aspetti dell’ostilità antiebraica, anche grazie
all’assunzione freudiana fatta propria dalla scuola di Francoforte.110

107
D. Kertzer, The Kidnapping of Edgardo Mortara, New York, Alfred Knopf, 1997; D.
Kertzer, The Popes Against the Jews: The Vatican’s Role in the Rise of Modern Anti-Semitism,
New York, Vintage Books, 2001.
108
Wyrwa, “‘L’Osservatore Cattolico’ and Davide Albertario”, 61.
109
Topos classico dell’iconografia cristiana, il Cristo sofferente sorge in età bizantina e
diventa un tema iconico e narrativo, simbolico e visuale, centrale nell’antropologia cristiana.
Cf. J. Taylor, What did Jesus Look Like?, London, Bloomsbury, 2018.
110
Facchini, “Antisemitismo delle passioni”.

284

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Il deicidio, che accompagna la storia della passione, si concentra sul
tema della sofferenza, così importante nella sensibilità ottocentesca e
novecentesca, e la oppone alla tematizzazione della sofferenza ebraica,
che viene a formularsi come chiave di lettura del ruolo degli ebrei nella
società moderna proprio nei medesimi anni.111 Per spiegare meglio la
mia ipotesi interpretativa, che qui non posso analizzare nel dettaglio,
ma che mi pare centrale per capire anche i problemi del confronto e
dello scontro tra ebrei e cattolici nel Novecento, penso sia opportuno
analizzare il tema del deicidio e la sua interpretazione sociale e politica
accanto al tema del popolo ebraico e della sua sofferenza, legata all’e-
silio. Insomma, si potrebbe leggere il discorso del papa sulla sofferenza
del Golgota come opposizione al tema del Profeta di David Levi, dove
il popolo ebraico diviene emblema della sofferenza ma anche della re-
denzione, secondo l’interpretazione politica della Bibbia diffusa almeno
nella prima metà dell’Ottocento.112 Alla sofferenza e redenzione nazio-
nale, così presente anche in altri generi letterari (come l’opera classica),
la Chiesa oppone una sofferenza di Cristo che è quella della Chiesa in
una prospettiva di futuro riscatto e liberazione. Il tema della sofferenza
e della persecuzione oscilla tra percezioni teologiche e religiose e in-
terpretazioni politiche. Nel tema del deicidio, il crimine dell’ebraismo
antico sembra incomparabile con altri tipi di sofferenza e persecuzione,
come quelli sperimentati dagli ebrei. Si potrebbe affermare che la Chiesa
non ha più il monopolio dell’interpretazione della Bibbia e si trova a
competere non solo con gli studi scientifici così temuti e continuamente
monitorati, ma anche con la maggiore pregnanza di letture politiche
di certi topoi religiosi che sono ampiamente diffusi. Che questo tema
rimanga centrale fino e oltre gli anni ’30 del Novecento, e che di fatto
costituisca uno dei poli centrali del confronto ebraico cristiano, mi pare
una dimostrazione di quanto sostenuto.113

V. L’ACCUSA DEL SANGUE. IL MEDIOEVO NELLA MODERNITÀ


O UNA MODERNITÀ MEDIEVALE?

Altro grande tema della polemica antiebraica cattolica è quello


dell’accusa del sangue, che nel lessico cristiano è meglio nota come

111
Sulla nozione di sofferenza ebraica e sulla sua diffusione vd. R. Cohen, Jewish Icons,
Berkeley, University of California Press, 1998; Y. Slezkine, The Jewish Century, Princeton,
Princeton University Press, 2004.
112
In questo Levi sembra dipendere da Joseph Salvador, un autore molto citato nel suo Il
profeta (1866).
113
Su questo rimando a J. Cohen, Christ Killers. The Jews and the Passion from the Bible
to the Big Screen, Oxford, Oxford University Press, 2007.

285

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“omicidio rituale”.114 L’accusa del sangue apparve nell’Europa cristiana
in età medievale ed ebbe una diffusione geografica piuttosto ampia fino
all’età della riforma protestante, per poi venire di fatto assorbita più nel-
la cultura cattolica che in quella dei riformati, anche se non scomparve
mai del tutto dall’orizzonte culturale cristiano.115
Sorta in età medievale, l’accusa del sangue ebbe un grande successo
nell’Ottocento. I motivi di questo successo non sono però stati sufficien-
temente analizzati. Qual è il motivo per cui l’accusa del sangue diventa
uno dei cavalli di battaglia della polemica cattolica contro gli ebrei? E
cosa cambia rispetto all’età medievale?
Per comprendere alcuni di questi quesiti osserveremo la questione
da una prospettiva cattolica italiana, che sembra privilegiare questa po-
lemica, alimentandola con coerenza e sistematicità fin dagli anni ’80.
Possiamo prestare attenzione a un periodico che, accanto a Civiltà catto-
lica, si fa portavoce del più aggressivo antisemitismo cattolico italiano,
L’Osservatore Cattolico, diretto da don Davide Albertario, esponente
di punta di un cattolicesimo sociale e intransigente allo stesso tempo.116
L’Osservatore Cattolico apparve nel 1864 e appartiene a quella nebu-
losa di fogli e periodici cattolici che si fanno promotori della battaglia
contro la civiltà moderna e costituiscono uno degli strumenti della pro-
paganda politica e religiosa contro le fazioni più liberali della Chiesa.
La posizione di Albertario fu fin dalle prime battute allineata con il
magistero papale, in un contesto, Milano, in cui era radicata un’auto-
revole tradizione liberale cattolica. La linea antisemita del giornale,
avversato dalle frange del cattolicesimo liberale, apparve negli anni
’80, in concomitanza con il magistero di Leone XIII.117 Le polemiche di
Albertario, che sono innanzitutto indirizzate al liberalismo, accolgono
gli stessi temi dell’antisemitismo cattolico di marca europea, che attacca
la presenza ebraica nel mondo moderno, e in particolare la loro presenza
nella stampa e nel giornalismo, e soprattutto la loro capacità di occupare
posizioni di potere e governare i cristiani. Questo tema, che alimenta
anche quello del complotto, appare molto frequentemente nella pub-
blicistica cattolica, da sempre preoccupata dal carattere poco cristiano
dello Stato liberale. Albertario non mancherà neppure di condannare
le posizioni del Congresso di Berlino sulla Romania e la sua comunità
ebraica, così come non mancherà di condannare il capitalismo moderno

114
R. Taradel, L’accusa del sangue. Storia politica di un mito antisemita, Roma, Editori
riuniti, 2002; C. Facchini, Infamanti dicerie. La prima autodifesa ebraica dall’accusa del sangue,
Bologna, EDB, 2014.
115
Su questo tema si veda ora M. Teter, Blood Libel. On the Trail of an Antisemitic Myth,
Cambridge-London, Harvard University Press, 2020.
116
Di Fant, “Don Davide Albertario propagandista antiebraico”; Wyrwa, “‘L’Osservatore
Cattolico’ and Davide Albertario”.
117
Wyrwa, “‘L’Osservatore Cattolico’ and Davide Albertario”.

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come un’attività ebraica.118 Tuttavia, se su questi argomenti Albertario
sembra allinearsi su posizioni europee, sull’accusa del sangue invece si
contraddistingue per la violenza dell’attacco. E su questo tema si accre-
dita presso gli antisemiti europei come il giornale che con sistematicità
si occupa del tema dell’“omicidio rituale”. Albertario fornisce dati e
costruisce una solida storia dell’accusa del sangue, compilando liste che
testimoniano il “rito del sangue” fin dalla tarda antichità.119 Il rito del
sangue che prevede l’uccisione di un bambino cristiano e l’uso del suo
sangue per i riti ebraici alimenta la fantasia ottocentesca, scatenando
molteplici casi in tutta Europa. Ma Albertario sembra fornire i nessi che
tengono assieme le accuse specificamente religiose in cui dal Golgota
al Talmud, fino all’omicidio rituale, l’ebraismo, inteso come religione
e (in)-civiltà, può essere svelato come un enorme crimine dal quale il
cristianesimo deve proteggersi.
Dalla grande immolazione deicida consumata sul Golgota, venendo giù
giù fino a noi, la razza maledetta da Dio non ha cessato di spargere il san-
gue dei discepoli di Cristo. Ha sete e bisogno e obbligo rituale di sangue
cristiano. Ed attraverso il mondo si raccoglie un grido uniforme dalla
bocca di tutti i popoli: «Gli ebrei ammazzano i cristiani, specialmente i
bambini, per fare uso del loro sangue in orribili cerimonie». E gli assas-
sinii commessi ma rimasti ignorati? E quelli perpetrati dalla Massoneria,
per dato e fatto della Giudaicheria, colla quale è una cosa sola?120
Albertario, come osserva Wyrwa, non sfrutta il noto caso ungherese,
ma partendo dal 1888 utilizza un caso meno noto (un’accusa di uso di
sangue cristiano ma senza omicidio) che ebbe poca risonanza inter-
nazionale.121 Tra il 1891 e il 1892 L’Osservatore Cattolico ospita una
fitta corrispondenza con Berlino, e si lancia in una battaglia agguerrita
per svelare la verità dei “riti di sangue”, pubblicando una serie di cor-
rispondenze dall’estero e articoli dettagliati sulla storia dell’accusa del
sangue. Il caso che fece da catalizzatore della campagna antisemita fu
quello di Corfù, che attirò l’attenzione della stampa antisemita tedesca
e di quella liberale.122 Di Fant non manca di evidenziare anche l’apprez-
zamento del papa che, in un incontro con don Albertario, esprimeva un
giudizio positivo sull’attività del periodico che era ormai noto per la
sua specializzazione in “questioni ebraiche”.123

118
Ibidem.
119
Per una discussione sulle origini cf. Facchini, Infamanti dicerie.
120
Citato in Di Fant, “Don Davide Albertario propagandista antiebraico”.
121
Wyrwa, “‘L’Osservatore Cattolico’ and Davide Albertario”.
122
Cf. M. Margaroni, “Antisemitic Rumours and Violence in Corfu at the End of 19th
Century”, in: W. Bergmann, U. Wyrwa (eds.), “The Making of Antisemitism as a Political
Movement. Political History as Cultural History (1879-1914)”, Quest. Issues in Contemporary
Jewish History 3 (2012): http://www.quest-cdecjournal.it/focus.php?id=306.
123
Prete Davide Albertario, “L’Osservatore cattolico in Vaticano. Udienza privata di quasi
un’ora”, L’Osservatore Cattolico, 7-8 marzo 1892, 1-2 (in Di Fant, “Don Davide Albertario
propagandista antiebraico”).

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Due sono gli aspetti significativi della campagna italiana sull’accu-
sa del sangue: 1) essa è sostenuta principalmente da giornali cattolici,
tra cui quello dei gesuiti, e viene lentamente accolta tra i “classici”
dell’antisemitismo moderno, così come appare evidente dai resoconti
tedeschi agli inizi del ’900;124 2) il secondo aspetto di questa polemica
internazionale, che vede coinvolto anche uno dei massimi critici dell’ac-
cusa, ossia Hermann Strack (1848-1922),125 concerne invece il tentativo
di don Albertario di dimostrare “scientificamente” l’esistenza dei riti
di sangue. L’accusa del sangue è facilmente connessa con il tema del
deicidio e con la tradizione talmudica, con l’idea che l’ebraismo fosse
definito da riti antisociali, se non criminali, che in fondo spiegavano la
pericolosità degli ebrei contemporanei. La pretesa di dimostrare scien-
tificamente la verità di questa tradizione è il punto maggiormente cri-
tico della polemica cattolica condotta dai giornali italiani, che mise in
imbarazzo anche i cattolici tedeschi, immersi in un contesto antisemita
ma molto critico rispetto a queste credenze.126
Va detto che, anche in questo caso, la trasformazione dell’ostilità
verbale in pratiche violente, che in quegli anni scoppiarono sia a Corfù
che in Algeria, e a Xanten in Francia, spinsero la Chiesa e lo stesso
Albertario a prendere le distanze, così come accadde con i fatti dei
cristiano-sociali a Vienna.127 La linea ecclesiastica sembra indicare una
via ideologica all’antisemitismo che rifugge però dalle prassi politiche
esplicitamente aggressive e violente, tipiche, secondo la Chiesa, delle
comunità cristiane “settarie”, come ortodossi o protestanti. Dura è la
condanna nei confronti delle violenze francesi e algerine, condotte da
antisemiti cattolici francesi. La linea ideologica perseguita, che ricorre
in tutte le pubblicazioni di questo periodo e sarà reiterata anche ne-
gli anni della propaganda antisemita di Stato, è quella della “difesa”.
L’antisemitismo cattolico non è aggressivo, bensì “difensivo”: serve
come antidoto al corpo sociale cristiano per proteggersi dall’ingerenza
dell’ebraismo.
I cattolici si limitano a constatare quale sia il carattere dell’ebreo, quali
siano le sue opere, quali effetti derivano da quel carattere e da quelle
opere. Noi che in Italia ci siamo trattenuti degli ebrei più di ogni altro

124
Di Fant, “Don Davide Albertario propagandista antiebraico”; Wyrwa, “‘L’Osservatore
Cattolico’ and Davide Albertario”; Facchini, “Le metamorfosi di un’ostilità antica”.
125
Missionario e studioso protestante, fu anche uno strenuo difensore degli ebrei, soprattutto
nei casi di accuse del sangue: H. Strack, Der Blutaberglaube in der Menschheit, Blutmorde und
Blutritus, München, Beck, 1892. Tuttavia, la sua polemica contro il giudaismo antico riflette
molti aspetti del confronto ebraico-cristiano del tardo Ottocento e diversi problemi dell’antise-
mitismo teologico. Cf. su questo tema A. Gerdmar, Roots of Theological Antisemitism. German
Biblical Interpretation and the Jews, from Herder and Semmler to Bultmann and Kittel, Leiden,
Brill, 2009, 239-247.
126
Miccoli, “Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo”.
127
Ibidem.

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giornale cattolico, ben ci guardammo dall’eccitare le passioni popo-
lari, ma abbiamo compiuto il dovere nostro di istruire i cristiani sulla
natura dell’ebraismo. […] noi non propugneremo mai l’anti-semitismo
cieco, passionato, piazzaiuolo; ma i cattolici devono difendersi contro
gli ebrei dai quali sono assaliti in modo iniquo, con arti scellerate, con
prepotenze inaudite, i cattolici devono salvare la fede, la coscienza, la
pace, la borsa contro l’invadenza semitica.128
Certamente il caso Albertario si presenta, come altri casi di propa-
ganda antisemita perseguita da periodici locali a Torino o Venezia,129 in
un contesto generale che non accoglie con entusiasmo la linea aggressi-
va del periodico. Negli stessi anni, altre testate, come il Corriere della
sera, conducono una critica serrata sia contro l’accusa del sangue che
contro le persecuzioni degli ebrei in Europa orientale.130

Allo stato attuale della ricerca si possono tracciare alcune linee


conclusive, che aggiornano il dibattito storiografico sugli orientamenti
della Chiesa nei confronti degli ebrei nel periodo in questione. Occorre
osservare che l’antisemitismo sfrutta ampiamente la trasformazione dei
media moderni e che la sua incisività si misura anche in relazione al
livello di alfabetizzazione delle culture in cui si diffonde.131 L’ostilità
antiebraica del mondo cattolico si presenta, nel corso dell’Ottocento,
pervasiva e diffusa, fondata su linee di pensiero capaci di integrare le
novità provenienti da altri Paesi e altre tradizioni culturali, con una
rilettura dei topoi più tradizionali, declinati in un linguaggio moderno
(come nel caso del “deicidio”). Il comportamento della Chiesa in Italia
sembra prediligere una linea di sistematica denigrazione del mondo
ebraico, concepito come un insieme organico di comportamenti, cre-
denze e rituali estremamente pericolosi, un corpo estraneo nel tessuto
sociale cristiano. Gli ebrei e l’ebraismo sono rappresentati come un
insieme di pratiche sociali e di credenze che esprimono, di volta in volta,
una religione pericolosa, criminale e comportamenti sociali moderni
legati alla diffusione del capitalismo e alla nascita della società moderna.
La scelta di costruire queste rappresentazioni sul tessuto solido della
tradizione teologica e dei discorsi religiosi si spiega con la centralità

128
“L’antisemitismo”, L’Osservatore Cattolico, 2-3 luglio 1892, 1 (citato in Di Fant, “Don
Davide Albertario propagandista antiebraico”).
129
Su Torino in particolarevd. M. Nani, Ai confini della nazione. Stampa e razzismo nell’Ita-
lia di fine Ottocento, Roma, Carocci, 2006.
130
Di Fant, “Don Davide Albertario propagandista antiebraico”; Wyrwa, “‘L’Osservatore
Cattolico’ and Davide Albertario”. Sulla presenza di critiche all’antisemitismo ma non italiano
si veda l’opera di Luzzatti: cf. Facchini, “Luigi Luzzatti and the Oriental Front: Jewish Agency
and the Politics of Religious Toleration”, 227-245.
131
Non affronto in questa sede il tema dei media, ma rimando a Facchini, “Antisemitismo
delle passioni”. Anche di Di Fant ha affrontato il rapporto tra Chiesa e stampa: Di Fant, L’affaire
Dreyfus. Sul rapporto tra Chiesa, media e antisemitismo si veda ora R. Perin, La radio del papa.
Propaganda e diplomazia nella seconda guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 2017.

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assunta dalla tradizione nel pensiero cattolico del tempo e con la volontà
di marginalizzare quelle correnti culturali del cattolicesimo liberale che,
se pure con limiti e con una tendenza a convertire gli ebrei, si erano fatte
promotrici di una politica di parificazione giuridica.
La resistenza alla società moderna e alla cultura liberale è una resi-
stenza alla parificazione giuridica delle minoranze religiose, e in partico-
lare quella degli ebrei. È un aspetto centrale nella riflessione cattolica di
matrice intransigente, che si differenzia rispetto alle tendenze antisemite
presenti nella cultura liberale, le quali possono offrire una visione ne-
gativa dell’ebraismo ma al contempo un ferma difesa dei diritti politici
acquisiti nel corso dell’Ottocento.
L’altro punto su cui riflettere concerne il carattere dei processi di
secolarizzazione. La ricerca di questi ultimi anni ha mostrato che la
secolarizzazione è stata un processo ambiguo, permeato non solo da
un confronto tra cultura “laica” e chiese ufficiali, ma dalla coesistenza
di diverse visioni del mondo e diverse concezioni della religione che si
scontrano su un terreno simbolico e politico il cui sfondo è quello dello
Stato nazionale.
L’aspetto più significativo di questo scontro è caratterizzato dalla
centralità della scienza e dall’uso politico della religione. La politiciz-
zazione dei discorsi religiosi è un dato di fatto che appare centrale nella
riflessione della Chiesa cattolica. L’attacco contro l’ebraismo, per quan-
to sistematico e capillare, è inserito in un contesto europeo di conflitti
religiosi virulenti. Anatole Leroy-Beaulieu, da osservatore acuto della
società del suo tempo qual era, lo aveva compreso con molta nitidezza.
Dopo un’opera magistrale sull’antisemitismo, l’intellettuale cattolico
liberale pubblicava un testo dal titolo emblematico, Les doctrine de
haïne (1902), in cui sosteneva come, nel corso dell’Ottocento, si fossero
formate tre dottrine dell’odio: l’antisemitismo, l’antiprotestantesimo e
l’anticlericalismo.132 Questa lettura merita di essere ripresa perché per-
mette di cogliere aspetti spesso marginalizzati o eliminati dalla storio-
grafia. Di Fant ha analizzato questi discorsi individuando le somiglianze
della teoria del complotto applicata agli ebrei e ai gesuiti. Guidetti aveva
individuato il problema già negli anni ’80 dell’Ottocento.
La competizione religiosa, e il conflitto con le tradizioni antieccle-
siastiche, creano un contesto di polemica aspro e talvolta brutale, dove
l’antisemitismo emerge come dottrina politica particolarmente virulenta.
In questa guerra di tutti contro tutti, gli ebrei sono la componente della
società europea più debole e fragile, per la loro particolare struttura

132
Su questo autore, e in particolare su Israel chez les nations, cf. Facchini, “Le metamorfosi
di un’ostilità antica”; ma anche A. Di Fant, Alcune considerazioni su polemica antiebraica e
polemica anticlericale alla fine dell’Ottocento (2004): https://www.openstarts.units.it/dspace/
bitstream/10077/10247/1/Di_Fant.pdf.

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diasporica. Ma la consistenza e complessità del conflitto spiega anche
l’incapacità di cogliere gli aspetti pericolosi dell’antisemitismo e la
fatica degli intellettuali dell’epoca, tra cui gli ebrei stessi, a trovare una
spiegazione chiara e una soluzione politica.
Cristiana Facchini
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
Università di Bologna
cristiana.facchini@unibo.it

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Culturecattoliche
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a margine
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)u fon,ipo@n@ o$ir , diei . gi ldh di rnlti.ton clnoki o
Prl6nd a r6u mlro lndiM R dub tdm l .d nEdi{rL
. q!.Ud mo&mi ollizad concltgoc ine$& rclh ebriosnt.
fin.* . rgLk Da q@b tgudr I OnMlro, il kolo d.3li frdj
blbli.i.M d.l Lno 6enk n ll. ionoBnnr iblidrl'Muin,. ch.
rmlia w sdi. di t6.i r p6nia d!ll! fin. d.sli Mi Qll.fur. iU.
6D.d.sn rn' s.$rnb. nd, hg!qk tr($cm.,m4i.Mo
bibtico cb. .n sbb .ci erhl. h oio . Novenb, m cvidd't'
ur mtur Ec'biu crtulm d., 6Dno d' .brc' .d .bn,no .L
rui mlb rh'sn L auhe nordr c[. 'l pclksmrss'o h *L-
frr. olg,niahin@ t, 75),il
.h. a sA un .ln nb di 8dd. intdss F @mpEnd.c il 6DDdo
rE p.ll.slnoNnnr. v'|e*rrm,uroE P'u.h.r, nlvolr' rd(' (
nebdolosrc'.liutnc. p.D. rndz'd. rlmodo 'n n' ' v,rgs'dd'
Fll.gifl cn{&iokn,no il prno
f .iirirni soe mim@ (76) . & pur prcnd. itr consid.roioD. u
coDE di \nni pR!d!nr:, .h. d,tuo iddintu, nfi( d.r t3?0,
nonro sdropm. d u .l@ !.'ri .o (771.E di €no u F.tu ch.
lrumc. nnuc: d.(minm *h. r.dimich.(tigi6. t qlle
tudioiondbbrlrDlii di diMich. ron.h.. noi RliFai .0r
6srdo qu.ll. pi!n66 ..nbli . .o*juiv. tun slo d.I 6p.ri.E
d.l Flkslm m rd. d.l ns inlillle dd vnssio Eligis. &Dr
sntM r cui i cm.[Dib. *9r'E i! fom n di.b, l .!p.ii.d d.l
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rci rni Edtni d@ la shsh smDiioDo l. .@o@io!i lod.md.
o.sdr. ch. 'nt/*.do p'E6tr D.i Ba pE-b.n .i Ac.doquidr !
.l.n.nh d' ..Fn.u trb6 ch! cqloForc uo &slic' enhh
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Blmri !b. F,rm 3c,r |4di rimrk n.t c,nDo.huo. ! udr
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B.d, !ubbl,6 'l ro E{o trd I c53.. i d rrdK ardir, qbn
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\ c tugl' .br.i tsehr i*nu dlrur. i ursso (. b.n lllmdbri
d. Meini), ffih. h rinc.m coinvol3iffiro co lc vi.m& hsich.
d.ll .hrrilno .!DF.. d F * !d rull, *mbro n.l cnn'6b mlicu
iblim. cm. b.n .vidmilio El lihro.AlMra idcrcsb il rb
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dcil@ prsi Eligtos mE, d ch. in que cao.m Ddicol.ffii.
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e larohcs FuDD.vo,o orico d slstrrfrlmsbolK',.mlj tuo
'muin!rc drlhgino (.lr.drl P.p. d' nFrorft ter6(c "d.l
vus.lo" vui ndrvdd uu cdtrrdduoD. El'n\r iq lnro ri
udrv, svilDpp,ndoin qu.gti rni dllmr. l. s.duredct @nchv4 d
uru \irim. Fs,ih diktut. h$hc
dr rsm.r.rri a d qk ' drch'E/'oD. I' ch,cs b ,Eo,d!b d.
uo punrod' \i$ Err9os6un ncoDo*n.Droi .d''r$o itrq@b
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di Bolgi M di ditl. Cd Bli ehi bad.li L Si..€pg mir
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libd! dbim (h. inp.tm I d.dui d.lL @id i pm d lsd., '
divi 3{.di.!i d.ll. ita lli sisi di Fofdi s .lit rrl]tld
di alcolo uefio . dr fii* di Bb, n e mn1.e duhb rd
h. m d.lino di pFrricrioN clhql. I cui Fe tl 16 pot lo d
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Tubvn, h d.n.dirr. erlni&U. tr6'| crnohcr D.rb'.D.


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p@curuion. di.m.. crtblicr di hv& un..ollMioD. el
.mple 3i@ n.d'omnt.l., di. u. vir F u pohh.r rrd.
n di c.no sonn.so dlsli inr.
r.s d.ll. srndi por.nz Ei .onflontid.lla qu.sionrcri.rbl.'
ln q*no *ne v! Lno il raprmr,r.,, c.rclio nai confMli d.l
lMdo ouslmtu. in q6lr b. modorpculm r qu.lb tidrioMl.
odilii cinoli.. rci confidri d.ll. "@ !-c!nolich." i! lld rd
nini i prordtmti (30). Ir 16l!M, qudo c.pnob. ch. r.mi!. .m
h iishziod. l3l d.ll. Nrion. Ubir..h. scili h rpdizida d.U.
PiLdin.(?9ndmbr,947)d6cnv..pinconrndzion Doholo
sic' ch. 6n sslr'do d.nb.ll. rfrnrM. d.llinllrseio c'noli.o.
k dn(*@)i:6r.ch.' c'holi.i bd:rdo.hbqmdoi.,.oofrcori
dir cotridb g.cpolntrodb mi.bqdro probl.mdkodo\.

sli rreEs,su 0i.oiv.4.Tno 1.d

llkzc.D'blo rffronu LoEr'on. d.lla ns'ud.llo sbrotl l


*lul Olh rd ur n.'oquntu
hdizioruk Drsr di msizioD. r ibribnicr. ! oi si inribuiv! in

I'c Ln(nnm.nro carohae'a 'ndr.d' umpri g.ftnk 6iihri


1fl mnlrcnud.[. $u,od nr.m,oD,r, cm. r. N,ioiiun,r.
p,u i! s.n.6r.. d.lh curtuElric, (r06-||e) Lr nt*ir,daroddo,
!a 6-. l, SDm. rn'@no litrmzidi. &3li os lon c\. do-
6' rud' prdui.ibdo di4*'

. (6m. qP i di adie.m)
. polnon, hlo3trh., fon.m.n. D.3,r\.,,o,nr i uftcc,lvuo
comp.n.DriiLlbvid'zio!'L DoLbic! @noli6 ( 120-124,li d.fi
nhr tmbn{ prc6lsi. rl.1o,m &ll or,nion.p!ibli$ c.nore
un! lmezioD. d.lh eoruli! $ri(i. ndioml. d.lsidirmochc
n. d.l.sininrvr l.it.ur llll) Sr qu.{o pu'o rol ni rh'o di
conconbEod l !u@( lidd.!. rtrm (h(, ir @n.omibd.ln.
m.ryft d' qkt. p.ritoDi rll .$t dd lq4i, "rmbn di por. rr
ftm.E ch.r'.roruimed.r siudtioclnoticoo.ionfur d, kEk
. diF. pit drl coD.n'o $ ilupp.,l. lr rou d. in T.na Sdu ch.
d.g8im.rr Dh.b6ic'" IB2
Suqu.h hri plo.tsd.rlnc'sro m g'udD'od' qr{oirp. *. 'rr.
lkdd moh dri,, Dd s..tuo,Ni ru@r qrcll.coddraoni
di cutcE r.olqi@. Elisi6o . hdizidiL ch. .v*60 cdtribuno
afomeu$|idod.e.si'odiEdig
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o nclh sdmpr 6nol'c. in qu.l
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N.mL. r, prRtrp,zion p.i i dnid d.lt. ninoruE c,rblich. in
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Cristiana Facchini

Chiesa cattolica ed ebrei in Italia.


Dalla età moderna al Novecento

1. Introduzione

Nel suo Anti-Judaism, lo storico David Nirenberg ha ricollocato al centro del pensiero religioso
cristiano occidentale il tema della ostilità nei confronti del ‘giudaismo’, superando un tema
storiografico su cui molto si è dibattuto, ossia la differenza tra ‘antigiudaismo’ e ‘antisemitismo’
(Facchini 2010). Nirenberg individua nell’antigiudaismo, e nelle sue metamorfosi, una categoria del
pensiero politico tipicamente occidentale. Che sia una teoria convincente o meno, quello che ci
interessa in questa sede è l’assenza, in questo testo, del mondo cattolico nel contributo che il
cristianesimo occidentale offre al tema della ostilità antiebraica, se si esclude il contesto medievale
iberico, di cui Nirenberg è uno specialista. Dopo la Riforma protestante, in questa genealogia, il
dibattito sull’antigiudaismo sembra passare da contesti riformati a contesti secolari, con una
direzione che pone l’enfasi sull’Illuminismo e sulla rivoluzione francese (Nirenberg 2013).
Questo contributo parte proprio da quella assenza, senza tralasciare i problematici e potenziali
intrecci con il mondo della riforma protestante. E parte da un contesto geografico sempre
marginale, quello della penisola italiana che fu, e rimane, nonostante tutto, sede dello stato della
chiesa e del papato, dove una presenza ebraica demograficamente contenuta ma culturalmente
vivace e relativamente stabile, si trova insediata da tempi che, in alcuni casi, risalgono al periodo
dell’impero romano.

2. Gli ebrei negli stati italiani di antico regime

Una delle caratteristiche più salienti della presenza degli ebrei nella penisola italiana è rinvenibile in
un tipo di insediamento che, dopo le espulsioni medievali e della prima età moderna, rimane
abbastanza invariato dal punto di vista demografico, anche se complessivamente differenziato in
senso etnico, almeno a partire dal momento in cui un considerevole numero di profughi iberici, sia
ebrei che nuovi cristiani, giungono nelle città degli stati italiani (Israel 2002). Da un punto di vista
geografico, invece, gli insediamenti ebraici sono destinati a subire cambiamenti significativi anche

1
in conseguenza delle politiche di espulsione adottate nelle zone dell’Italia meridionale, che
determinano la loro scomparsa dalla Sicilia e altre zone del Sud (Caffiero 2014).
Si potrebbe quindi partire da questo preciso momento storico, che si colloca, da un lato, dentro al
Rinascimento e dall’altro in prossimità di due eventi storico religiosi importanti: innanzitutto, la
‘riconquista’ della penisola iberica condotta da Ferdinando II di Aragona e Isabella di Castiglia, che
portò alla caduta del regno di Granada, alla espulsione degli ebrei, alle conversioni forzate e poi alla
persecuzione, tramite il tribunale della Inquisizione, di Conversos e Moriscos; in seconda istanza, il
successo della Riforma protestante che cambiò radicalmente il panorama religioso della cristianità
latina. Questi due fenomeni vanno analizzati in modo interconnesso se si vogliono cogliere alcuni
aspetti del rapporto tra chiesa ed ebrei.
Per la prima età moderna si può a buon diritto parlare di una fase storica caratterizzata dalla
cospicua presenza di profughi e di flussi migratori di gruppi obbligati a lasciare il proprio paese di
residenza per altre destinazioni, spesso in fuga dalla persecuzione religiosa e alla ricerca di nuovi
spazi di insediamento. Tra questi gruppi, la presenza ebraica è cospicua e si inserisce in un processo
di espulsioni e emigrazioni coatte di lungo periodo, che iniziano già in epoca medievale. A
complicare la situazione della prima età moderna si aggiunge la presenza di ebrei già convertiti al
cattolicesimo, i Conversos, desiderosi o obbligati a ritornare ebrei in alcuni luoghi di residenza che,
come Amsterdam, Livorno, Amburgo, diventeranno insediamenti di significativa rilevanza, sia dal
punto di vista religioso che economico (Israel 2002; Bodian 1997).
La nuova geografia degli insediamenti ebraici toccò anche la penisola italiana, dove l’influsso della
Chiesa cattolica informò, sia nei suoi territori che in quelli di altri stati di antico regime, le prassi di
tolleranza religiosa. Uno degli aspetti che maggiormente colpisce, in questa fase storica, è
l’ambivalenza delle politiche cattoliche rispetto alla presenza ebraica, dove, a fronte di una
caratterizzazione di tipo repressivo, che viene a definirsi con maggiore rigore negli anni del
Concilio di Trento e reiterata nei secoli successivi, si trova anche una posizione maggiormente
pragmatica e influenzata da correnti di pensiero che sono influenzate dal pragmatismo mercantile e
dalla ragion di stato.

3. L’atteggiamento della chiesa nei confronti degli ebrei

Gli atteggiamenti del mondo cattolico nei confronti degli ebrei nei territori italiani e nello stato della
chiesa possono essere suddivisi in tre modalità, che talvolta si intersecano tra loro.
La prima, quella che caratterizzò in molti casi le politiche di apertura nei confronti dei profughi, si
basa sul principio della utilità economica, che troviamo elaborato sia negli ambienti cattolici

2
spagnoli che in quelli italiani e ampiamente sfruttato in ambienti calvinisti e riformati. Il principio
della utilità economica trova peraltro una sua ricezione nel mondo ebraico, in particolare nell’opera
di Simone Luzzatto, la cui opera ebbe una certa diffusione negli ambienti europei nei secoli
successivi (Facchini 2011; Facchini 2013). Sulla base di questo principio, fin dai primi decenni del
Cinquecento, un esiguo numero di città italiane decise di accogliere nuovi cristiani profughi dalla
penisola iberica, concedendo loro il diritto di ritornare all’ebraismo. Questi flussi migratori furono
quindi caratterizzati dalla elargizione di privilegi che, come nel caso di Ferrara, Livorno, Ancona,
ma anche Venezia, Padova e la stessa Roma, permisero agli ebrei iberici di insediarsi in alcune
importanti città della penisola.
Tuttavia, ciò che maggiormente caratterizza la politica ecclesiastica nei confronti del mondo ebraico
in Italia, sia nei domini papali che negli altri stati, fu la decisione di introdurre, tramite
l’emanazione di una serie di bolle papali, una forma di segregazione urbana che era stata inaugurata
con la creazione del ghetto veneziano nel 1516 (Calabi 1996; Calabi 2016; Katz 2017). Molto è
stato scritto sulla nascita dei ghetti, e sul ‘ghetto’ in generale come specifico spazio urbano per
gruppi sociali marginali (Wirth 1927; Wirth 1928; Duneier 2016). In particolare su quello di
Venezia si trovano analisi puntuali e articolate, così come interpretazioni differenti, più o meno
attente agli aspetti religiosi (Facchini 2011).
A differenza di quello veneziano, che sembra rispondere ad una logica di gerarchia spaziale ispirata
sia al criterio della ‘zoninizzazione’ che a quello religioso, la segregazione urbana inaugurata da
Paolo IV, con la bolla Cum nimis absurdum (1555), ebbe una spiccata ispirazione teologica, volta a
separare gli ebrei dai cristiani (Stow 2001; Di Nepi 2013; Caffiero 2014). Gli obiettivi che
caratterizzarono la scelta della ‘segregazione urbana’ non furono univoci, e vanno certamente
analizzati anche in connessione alle diverse nozioni di spazio urbano esistenti all’epoca (Terpstra
2019; Sigmund 2005). In ogni caso, il progetto di segregazione degli ebrei fu portato a termine
lentamente ma con continuità, e se prese corpo soprattutto nel corso del Seicento, non mancarono
ghetti istituiti anche nel Settecento (Milano 1963; Caffiero 2014).
Di fatto, sia per motivi religiosi che per scelte urbanistiche precise, si può affermare che il ghetto, al
di là dei termini che vennero utilizzati per descriverlo, si impose in quasi tutte le città italiane che
ospitavano insediamenti ebraici, e fu una specifica invenzione cattolica e italiana (Todeschini
2016). La prima età moderna si caratterizza per una spiccata tendenza al disciplinamento, in parte
come conseguenza delle norme stabilite nel corso del Concilio di Trento: l’istituzione dei ghetti
conferma questa impostazione e consolida il principio teologico in base al quale l’accettazione degli
ebrei nella società cristiana si ispira al dettato agostiniano e paolino, in base al quale l’ebraismo

3
costituisce la testimonianza vivente della vittoria della ecclesia, ma prospetta anche la futura
conversione, senza la quale non è possibile alcuna redenzione finale.
Detto questo, nella prima età moderna la situazione degli ebrei nella penisola italiana fu sottoposta
anche ad espulsioni e migrazioni forzate: l’espulsione più massiccia fu quella dai territori dell’Italia
meridionale sotto il controllo spagnolo, e quelle dalle città dei domini papali, dove agli ebrei fu
permessa la residenza solo in alcune città. Non mancarono casi di grave persecuzione, ma furono
tuttavia contenuti, mentre un controllo sistematico dei comportamenti e degli scritti ebraici fu
sottoposto alla supervisione inquisitoriale, dopo il rogo del Talmud (1553) avvenuto in Campo dei
Fiori e che precedette di qualche anno l’emanazione della Cum nimis absurdum (Segre 1996).
La segregazione urbana degli ebrei fu accompagnata dalla creazione di istituzioni aggiuntive che si
caratterizzarono per la spiccata dimensione religiosa, come i tribunali della Inquisizione, volti a
controllare la condotta religiosa ortodossa ma pensati primariamente per la repressione della
‘eresia’ protestante, e le case dei catecumeni, dedite alla conversione degli ‘infedeli’ (ebrei e
musulmani) e dei protestanti (Caffiero 2014; Al Kalak – Pavan 2013).
Il ‘ghetto’ non fu solo una innovazione urbana, atta a separare e sottoporre a controllo una
minoranza religiosa, ma rimase a lungo un tema di scontro culturale, almeno a partire dalla
distruzione fisica dei ghetti che fu attuata dalle truppe francesi, dopo la rivoluzione, nel periodo
della loro dominazione in Italia. L’apertura o la distruzione dei ghetti rappresentò per tutto
l’Ottocento e oltre gli ideali di una società aperta, mentre per ampi strati della chiesa cattolica, esso
rimase un modello di controllo da riproporre per una società ordinata gerarchicamente (Taradel –
Raggi 2000).
Il rapporto tra ebrei e chiesa cattolica negli stati italiani di antico regime si caratterizzò per la
presenza di politiche diverse, che inclusero l’espulsione, la segregazione e varie forme di
persecuzione, ma va ricordato anche che la segregazione urbana non riuscì ad imporsi ovunque:
alcune città rimasero, per tutto il corso della prima età moderna, senza ghetto, come Livorno e Pisa
o i piccoli insediamenti delle zone rurali, come nei domini estensi (Aron Beller 2013).

4. Incontri e confronto tra ebrei e mondo cattolico

Sarebbe tuttavia erroneo limitare il rapporto tra ebrei e chiesa cattolica solo a questi aspetti. Ve ne
furono altri che se possono, a buon diritto, essere considerati marginali, rimangono tuttavia
consistenti, soprattutto nelle relazioni di lungo periodo. Da un punto di vista religioso e culturale è
opportuno segnalare la presenza, nel mondo cattolico, di correnti religiose che, fin dall’epoca
rinascimentale, furono particolarmente attratte da alcuni aspetti della cultura ebraica, in particolare

4
dalla tradizione cabbalistica, che era divenuta nota, nei circoli cristiani, a partire dal tardo
medioevo. Rappresentanti di questa tradizione furono, negli ambienti italiani, Giovanni Pico della
Mirandola, il gruppo dei neoplatonisti facenti capo a Marsilio Ficino, ma anche l’influente opera del
frate minorita Pietro Colonna Galatino, il cui De arcanis catholicae veritatis (1518) ebbe vasta
diffusione fino a quando, nei primi decenni del Seicento, Galatino fu accusato di plagio. Nelle zone
tedesche, simili furono le l’attività e gli interessi di Johannes Reuchlin e di grandi ebraisti che poi,
in alcuni casi, divennero protestanti, come Sebastian Münster (Frank 1992). È qui sufficiente
menzionare che queste diverse correnti cristiane si fecero promotrici, in diverse fasi storiche, di una
idea di riforma del cristianesimo fortemente ispirata da istanze chiliaste in cui si prospettava una
società redenta dove trovavano riconoscimento, in una visione di armonia universale, gli ‘infedeli’
(ebrei e musulmani), e i ‘pagani’ (antichi e moderni). Si tratta di una tradizione religiosa molto
significativa e resistente, spesso ostacolata e perseguitata dalle chiese ufficiali per i suoi interessi
eclettici, l’apertura a fonti non canoniche e ortodosse e per le simpatie nei confronti della magia
rinascimentale che aveva affascinato, tra gli altri, personaggi accusati di ateismo, come Giordano
Bruno.
Nel contesto del tardo Seicento e del Settecento le correnti del chiliasmo cristiano si
diversificarono: in alcuni casi alimentarono forme di ‘filosemitismo’, in altri casi invece furono
apertamente ostili agli ebrei (Karp – Sutcliffe 2011).
Un secondo aspetto che va tenuto conto nella storia dei rapporti tra chiesa cattolica ed ebrei sia per
l’età moderna che per quella contemporanea pertiene l’approccio alla interpretazione delle sacre
Scritture. Il conflitto sulla interpretazione di ampie parti dell’antico Testamento costituì uno dei
problemi centrali e ricorrenti del rapporto tra le due religioni, che nell’epoca della riforma si acuì
maggiormente in conseguenza dell’interesse dei grandi riformatori per le fonti del cristianesimo
delle origini, e per uno studio che facesse sua la lezione della grande stagione filologica
dell’Umanesimo.
Non bisogna dimenticare che, accanto al testo antiebraico che Martin Lutero pubblicò nel 1543
(Delle menzogne degli ebrei/Von den Juden und Ihren Lügen), il riformatore tedesco diede alle
stampe, nel 1523, un importante lavoro dal titolo Che Gesù Cristo è nato ebreo (Dass Jesus
Christus ein geborener Jude sei), che esercitò un ruolo fondamentale per lo sviluppo della critica
biblica e della teologia storica, per lo studio del Gesù storico, e del giudaismo e cristianesimo
antichi. È, in parte, da questo interesse e dal desiderio di rifondare il cristianesimo sulla base di una
lettura più attenta e precisa delle fonti antiche, che si sviluppò, tra le diverse componenti del mondo
riformato, un interesse per la storia del cristianesimo e del giudaismo che incentivò, fin da subito,
l’uso e la traduzione di testi provenienti dalla letteratura ebraica. Questi interessi stimolarono lo

5
sviluppo di una ebraistica cristiana che, se da un lato, produsse rappresentazioni non esatte della
cultura ebraica, dall’altro, pose la cultura ebraica al centro della sua riflessione, creando rapporti
con esponenti di quel mondo, costruendo imponenti biblioteche e collezioni di testi, e, in forma più
complessa, sviluppando possibilmente anche un discorso politico sulla presenza degli ebrei nel
mondo cristiano, che diverrà tema maggiormente dibattuto nel corso del Settecento (Frank 1992;
Sutcliffe 2003)
Se torniamo al mondo italiano, va notato un elemento particolarmente significativo su questo punto:
lo studio storico del cristianesimo e dell’ebraismo antichi venne sottoposto ad un controllo che
passa, come per altre questioni, dalla censura ecclesiastica. E se si può affermare che rispetto ad
altre zone d’Europa, la cultura cattolica in Italia si mostra più reticente nei confronti dello sviluppo
di un discorso storico sul cristianesimo, non va sottovalutato l’interesse dei grandi ebraisti cattolici
e la parallela ricca produzione manoscritta di letteratura ebraica polemica contro il cristianesimo
redatta nei territori italiani (Facchini 2019). Questi aspetti, che attendono una disamina storica
puntuale, indicano che, al di là delle forme censorie, disciplinanti e di controllo messe in atto dalla
chiesa cattolica di Roma, l’interazione culturale e religiosa, oltre a quella sociale ed economica, se
pur polemica, caratterizzò il rapporto tra cristiani ed ebrei in età moderna.

Questi temi appariranno con maggiore rilevanza nel periodo dell’Illuminismo, quando la chiesa
dovette affrontare nuove sfide provenienti da ambienti cattolici aperti a nuove riforme, sia di
carattere politico che religioso. Accanto alla soppressione della compagnia di Gesù, il Settecento
vide anche la formazione di una cultura anti-clericale che recepiva molti dati della tradizione
libertina di età moderna, che si espresse sia tra esponenti del Deismo che tra coloro che
abbracciarono forme di ateismo. Al centro delle critiche, provenienti da questi differenti ambienti,
era la natura dello stato cristiano e la necessità di separare le sue prerogative religiose da quelle
politiche. Il tema era stato affrontato dai grandi filosofi del tardo Seicento, primi fra tutti, Baruch
Spinoza e John Locke. Di fatto, nel corso del Settecento, sulla scia delle correnti deiste, si venne
delineando un discorso sulla tolleranza religiosa che, attento a ridefinire le prerogative dello stato
moderno, riformulava la natura del cristianesimo, ma non recepiva estesamente, soprattutto in
Europa occidentale, le riflessioni sul pluralismo religioso della prima età moderna. Nel caso italiano
il dibattito sulla tolleranza religiosa ebrei fu spesso un corollario dei conflitti tra diversi gruppi
cattolici, divisi tra sostenitori di riforme religiose e politiche e gruppi curiali (Caffiero 2014).

5. Tra Settecento e Ottocento

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Negli antichi stati italiani i rapporti tra ebrei e chiesa furono caratterizzati dalla dinamica che si
espresse tra movimento conservatore ed Illuminismo: e mentre le politiche di tolleranza degli
Asburgo – che nei confronti degli ebrei si concretizzarono con le patenti di tolleranza giuseppine
(1781) – cominciarono ad esercitare il loro influsso anche nei territori italiani, le dinamiche sociali
ed economiche anticiparono, soprattutto nelle città di porto, le teorie della tolleranza religiosa,
laddove, processi di inclusione civica e di integrazione economica permisero una maggiore
integrazione di una crescente élite ebraica borghese (Sorkin 2001 e Dubin 1999). A Mantova, così
come a Livorno e a Venezia, le correnti dell’Illuminismo religioso si fecero sentire, creando anche
spazi di dialogo tra ebrei e cristiani, mentre dai territori tedeschi arrivavano anche le prime
suggestioni sulla riforma dell’ebraismo (Bregoli 2014).
A Roma, e nelle città del suo dominio, la situazione rimaneva segnata da una politica spesso
caratterizzata da forme di repressione e controllo, che per tutto il corso del Settecento insistette sulla
conversione forzata di bambini e si caratterizzò per l’assenza di critica alle accuse di omicidio
rituale, su cui la chiesa mantenne una posizione di sostegno, fino a farsi attiva promotrice di questa
accusa nel corso dell’Ottocento (Caffiero 2004; Taradel 2002; Facchini 2011).
Gli effetti della Rivoluzione francese che si diffusero anche nei domini italiani durante il cosiddetto
periodo giacobino e posero le condizioni per un processo di parificazione che venne a definirsi con
molta fatica nel corso dell’Ottocento e portato compiutamente a termine con il processo di
unificazione del paese. Anche in questo frangente continuarono ad evolversi e ad interagire due
anime del mondo cattolico, una maggiormente ispirata ai principi liberali e una seconda tesa a
proteggersi dagli effetti del mondo moderno, riconoscibile fin dai primi decenni dell’Ottocento
negli ambienti cattolici che svilupparono un atteggiamento di reazione rispetto alla rivoluzione
francese, percepita come conseguenza dell’azione del settarismo religioso (in particolare quello
massonico) e della riforma protestante (Miccoli 1997).
Il periodo che si colloca tra la rivoluzione francese, la Restaurazione e i moti rivoluzionari del 1848
si caratterizza per una intensa dinamica di cambiamenti, che vanno dalla emancipazione politica
dell’epoca giacobina a quella borghese, nonché dalla diffusione di rappresentazioni dell’ebraismo
che, usufruendo di stereotipie provenienti dall’età moderna, costellano sia le argomentazioni del
fronte anticlericale, la cui critica sprezzante investì anche il cattolicesimo, che quelle degli ambienti
cattolici.
Tra i cattolici, esponenti parzialmente ispirati da correnti filosemite furono rappresentate dalle opere
di Vincenzo Gioberti, Antonio Rosmini e Niccolò Tommaseo che si fecero promotori di un moto
risorgimentale guidato da un cattolicesimo illuminato, dal sostegno di un percorso verso
l’emancipazione ebraica, anche se, va detto, ebrei e protestanti rimanevano collocati entro

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l’orizzonte escatologico di una finale conversione (Levis Sullam 2010). L’emancipazione politica
degli ebrei, dopo quella effimera del periodo giacobino, fu introdotta nel 1848, con lo Statuto
Albertino, da cui poi si sviluppò il principio costituzionale di ‘libera chiesa in stato sovrano’, in
base al quale venne accolto un certo livello di pluralismo religioso, almeno dal punto di vista
giuridico.
Una specificità del rapporto tra chiesa ed ebrei in Italia, nel corso dell’Ottocento, fu rappresentata
dalla alleanza che venne ad istituirsi tra le correnti risorgimentali di matrice cattoliche, che
sostennero un processo di unificazione sotto la guida di Papa Pio IX, ed élite ebraiche sostenitrici
del Risorgimento italiano (come di altri moti nazionali in altre zone d’Europa), che ha indotto gli
storici a parlare di ‘neoguelfismo ebraico’ (Luzzatto Voghera 1998).
La svolta di Pio IX apportò un mutamento radicale nei confronti della cultura moderna, che si
espresse attraverso il Syllabus (1864), nel quale la chiesa prese le distanze nei confronti della
cultura liberale, dei suoi modelli politici e culturali segnati anche dall’avanzare di nuove forme di
conoscenza scientifica.

6. Chiesa e conflitto con il mondo moderno

In questa fase, il contrasto con le istanze liberali e modernizzatrici che portarono poi alla
unificazione del paese, si caratterizzò anche per una esplicita posizione anti-ebraica, che trovò
diverse forme espressive. Ma ben prima dei cambiamenti di posizione della chiesa cattolica, due
casi di risonanza internazionale avevano occupato la scena pubblica tra gli anni ’40 e ’50 del
secolo: la scomparsa, a Damasco, di un monaco cattolico, si trasformò ben presto in una accusa di
omicidio rituale che, grazie alla diffusione della stampa e al dibattito sulla condizione degli ebrei in
Europa, assunse una rilevanza centrale nella cultura dell’epoca (Frankel 1997; Jesi 2003). Il
secondo caso, invece, scoppiò nello stato della chiesa, a Bologna, dove una domestica cattolica
battezzò segretamente un bambino ebreo, in pericolo di vita. Il caso del bambino Edgardo Mortara
divenne ben presto simbolo della arretratezza della chiesa cattolica, che non rinunciava a
promuovere forme di conversioni forzate nei confronti dei fanciulli ebrei (Kertzer, 1998). Questi
però furono anche anni in cui i processi emancipativi, almeno per le fasce sociali più agiate della
borghesia ebraica, raggiunsero risultati riguardevoli, testimoniati dalla presenza di ebrei in molte
professioni liberali, in politica, nei campi della scienza e della ricerca, nelle sfere dell’economia e
dell’industria, tutti aspetti che la chiesa cattolica – così come altre forze politiche ostili agli ebrei –
continuò a criticare, opponendo la sua visione gerarchica della società.

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La linea conservatrice della chiesa fu rafforzata dalla nascita della stampa cattolica. Nel 1850 venne
fondata la rivista La civiltà cattolica, diretta dai gesuiti, che si lanciò ben presto, e con maggiore
vigore negli anni successivi alla presa di Porta Pia (1870), in una sistematica diffamazione nei
confronti di liberali, ebrei e massoni, responsabili di aver commesso un nuovo ‘deicidio’, nel
privare la chiesa della sua sovranità politica (Miccoli 1997; Facchini 2011; Facchini 2020). La crisi
degli anni ’70 dell’Ottocento, che comprende la caduta dello stato della chiesa, il crollo
dell’economica mondiale, il kulturkampf in Germania e la Comune di Parigi, provocò forte
risentimento nei confronti dei processi di emancipazione ebraica rinvigorendo varie forme di
antisemitismo politico, in cui la componente cattolica fu molto influente soprattutto in Francia e
nell’impero austro-ungarico. I massimi rappresentanti dell’antisemitismo politico furono il francese
Eduard Drumont e i cristiano-sociali a Vienna, negli anni dell’elezione di Karl Lueger a sindaco
della città (Pulzer 1988; Volkov 2006; Germinario 2011).
In Italia essa si tradusse in forme di ostilità di vario tipo, paradossalmente molto aggressive dal lato
delle rappresentazioni ma più vigilate nei confronti dei comportamenti politici, anche per effetto del
non expedit che impedì una estesa partecipazione cattolica alla vita politica del paese. Inoltre, la
chiesa cattolica preparò, negli anni ’80 dell’Ottocento, una campagna denigratoria nei confronti
dell’ebraismo, attraverso pubblicazioni che si fecero promotrici dell’accusa di omicidio rituale e di
una nuova stigmatizzazione del Talmud, divenuto nuovamente bersaglio della critica cattolica. I
discorsi antisemiti sviluppati dai cristiano sociali austriaci o negli ambienti tedeschi e francesi
fecero presa nella propaganda politica, pur rimanendo ancorati alla dimensione locale (Di Fant
2002; Nani 2006, Wyrwa 2016; Wyrwa 2018).
Una certa rilevanza venne assunta dal periodico L’Osservatore cattolico fondato a Milano nel 1864
e diretto da Don Albertario. Appartenente a quella nebulosa di fogli e periodici cattolici anti-
moderni, la posizione espressa da Albertario fu, fin dalle prime battute, allineata con il magistero
papale, in un contesto, Milano, in cui era radicata una autorevole tradizione liberale cattolica. Le
polemiche di Albertario accolgono gli stessi temi dell’antisemitismo cattolico di marca europea, che
attacca la presenza ebraica nel mondo moderno, e in particolare la loro attività professionale nella
stampa e nel giornalismo, o la loro capacità di occupare posizioni di potere. Ma il cavallo di
battaglia di Don Albertario fu quello dell’accusa del sangue con il quale si accreditò presso gli
antisemiti europei: in effetti, Don Albertario fornì una storia coerente dell’accusa del sangue, che
dall’antichità si era tramessa fino all’Ottocento, e che dal Golgotha al Talmud, fino all’omicidio
rituale, faceva dell’ebraismo, inteso come religione e (in)-civiltà, un sistema religioso crimine dal
quale il cristianesimo doveva proteggersi (Di Fant 2011; Facchini 2020). La formazione di una
cultura cattolica integrista va di pari passo con la sistematica denigrazione dell’ebraismo e si

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esprime in una molteplicità di linguaggi dove la minaccia dell’ebraismo, sempre inteso in una forma
astorica e compatta, prende forme diverse, dalla religiosa alla economica, dalla politica alla
culturale, condividendo spesso gli stessi argomenti anti-ebraici che animarono i movimenti
antisemiti più diffusi.

7. Cattolici ed ebrei: contatti ed interazioni

Queste posizioni furono, in parte e sempre in modo ambiguo, contenute da una forma di cautela
espressa dai vertici romani, i quali manifestarono spesso ostilità nei confronti dell’antisemitismo
politico di massa riconducendo così i diversi discorsi antisemiti entro l’alveo religioso (Miccoli
1997). Inoltre, la presenza di culture cattoliche ispirate ai principi liberali rese possibile forme di
alleanze con esponenti del mondo ebraico, tra cui va ricordato l’eminente economista e
costituzionalista Luigi Luzzatti, estensore peraltro di una politica di separazione tra stato e chiesa
atta a proteggere i diritti dei cattolici (Pertici 2014) e sostenitore di una originale teoria della
tolleranza religiosa (Facchini 2015).
Agli inizi del Novecento, esponenti del mondo cattolico influenzati dalla cultura moderna, e in
particolare dalla diffusione degli studi biblici provenienti dalla Francia e dalla Germania, si fecero
promotori di un rinnovamento ecclesiastico che venne ben presto condannato e scomunicato (Vian
2012). I rapporti tra ambienti modernisti ed ebrei è tema ancora poco esplorato, ma rivelano una
serie di inattesi incontri e intrecci sia personali che intellettuali che in qualche modo complicano la
storia delle relazioni tra cattolici ed ebrei (Botti, Facchini, Zanini 2019). In questi ambienti prese
forma, anche se in modo mai del tutto incisivo, un tentativo di reinterpretazione dei rapporti
ebraico-cristiani, che però, a causa della repressione ecclesiastica, troverà molti ostacoli
nell’imporsi soprattutto in Italia e renderà maggiormente difficile, per la chiesa cattolica, che aveva
fatto della sua battaglia contro il liberalismo e la cultura moderna il suo cavallo di battaglia, trovare
una risposta alle forme di antisemitismo degli anni ’30. Negli ambienti integristi, che si fecero
promotori anche nei primi decenni del Novecento di una sistematica denigrazione dell’ebraismo,
ebrei e modernisti cominciarono ad essere associati e concepiti come una minaccia congiunta nei
confronti della incolumità della chiesa. Sono da ricordare in particolare le attività antiebraiche di
Monsignor Benigni, e la diffusione in Italia dei Protocolli dei Savi di Sion da parte di Giovanni
Preziosi.
La nascita del fascismo contribuì a rafforzare la componente anti-liberale della chiesa cattolica, la
cui alleanza con il regime venne definitivamente sancita dai Patti del Laterano (1929). Rimanevano
presenti voci critiche che spingevano cattolici e non cattolici verso forme di dissenso individuale,

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talvolta verso l’esilio, ma che rimasero tuttavia marginali anche negli anni del razzismo di stato,
quando la politica ecclesiastica faticò enormemente a trovare una soluzione teologica e politica
contro la presa del razzismo e dell’antisemitismo. Anzi, in quel frangente, sia nazisti che fascisti
fecero ampio uso della storia e delle tradizioni antisemite che le varie tradizioni cristiane avevano
alimentato nel corso dei secoli. E se non mancarono, tra esponenti del mondo cattolico così come di
quello protestante (soprattutto francese, tedesco e austriaco), tentativi di trovare una soluzione
teologica all’antisemitismo di stato, queste voci rimasero minoritarie ed inascoltate fino al Concilio
Vaticano II (Connelly 2012).

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