Marc Jongen (a cura di) Milano-Udine, Mimesis, 2011 pp. 159 Nei tempi natalizi pu capitare di scorgere su un foglio di cielo stellato (uno di quelli che si utilizza per confe- zionare un presepe di francescana tra- dizione) un paesaggio mediorientale dove, tra i palmizi, spuntino minare- ti e cupole di moschee. A parte lovvio anacronismo, interessante costata- re come nellimmaginario che carate- rizza i luoghi e gli ambienti delle tre grandi religioni sia costante la presen- za delle palme atorno ai loro templi; anche a Roma, per esempio, abbonda- no palme intorno alla sinagoga cen- trale del gheto, al presepe di piazza San Pietro e allingresso della gran- de moschea nel quartiere Flaminio. La palma ricorda la comune origine geo- grafca delle religioni monoteistiche, il contesto e lhumus in cui hanno potuto prosperare e difondersi (forse solo per questo la palma dovrebbe essere acco- stata alla stella, alla croce e alla mezza luna, altrimenti cos marcatamente di- verse). Non a caso dagli ebrei usata come simbolo nella Festa delle capanne e prima nella Festa del raccolto, men- tre, mentre dai cristiani viene bene- deta la domenica prima di Pasqua per ricordare il festoso ingresso di Ges a Gerusalemme. Oggi per, questa pian- ta rischia di simboleggiare ben altro, almeno soto i cieli italiani, dove un famigerato parassita, il coleotero ros- so, ne sta divorando il cuore, compor- tandone lentamente la caduta dei bei rami, fno alla morte. Perch questa premessa per scri- vere la recensione a un libro dal titolo Il capitalismo divino? Perch se si con- sidera lItalia come latuale centro di una bufera capitalistica che minaccia lUnione europea, nonch il luogo che ospita la sede principale del catolice- simo, la seguente frase che si pu leg- gere in un frammento di Benjamin, epicentro tematico dellintero volumet- to, sembra dare alla triste vicenda delle palme italiane un segnale decisamen- te profetico: In Occidente il capitali- smo si sviluppato parassitariamente sul cristianesimo, tanto che alla fne, la storia di questultimo in sostanza quella del suo parassita il capitalismo. Stando alle parole di Benjamin, se oggi girovagassimo come dei fneur per le strade della cit eterna, potremmo for- se vedere nei fusti di palma ormai spo- gli limmagine di un lento declino e di perdita di vitalit dello spirito religioso a tuto vantaggio di quello del capitali- smo. Insomma, da simbolo di festa e di 170 essein 2-3/2011 gioia a simbolo di mestizia, di soferen- za, di pericolo imminente, di qualcosa che infestato da un male silenzioso, invisibile che destina a morte certa. Che la crisi fnanziaria atuale sia inquietante di per s, non c bisogno di dimostrarlo, ma che i movimenti del capitale, le transazioni fnanziarie, le obbligazioni in genere, per non dire i pi recenti i fondi di investimento al- ternativi come gli hedge found e i mutui subprime, trovino terreno fertile grazie a un loro travestimento religioso, que- sto qualcosa di diverso che andrebbe dimostrato, o quanto meno discus- so e approfondito. Questa lidea di fondo che ha spinto i curatori italiani a tradurre un colloquio che si svol- to nel luglio del 2005 in Germania tra brillanti pensatori (Sloterdjk, Groys, Macho, Weibel e Hrisch, con Jongen come moderatore) proprio intorno al frammento di Benjamin Kapitalismus als Religion (Capitalismo come religione). Anche se il colloquio si svolto pri- ma della crisi atuale, contiene comun- que degli spunti molto interessanti e, ad ogni modo, lampia introduzione di Franchini e la postfazione di Perticari compensano mirabilmente tale scarto temporale. Prima di addentrarci in questi con- tributi, per, giova dare pi spazio al frammento di Benjamin, a partire pro- prio da una sua doverosa premessa che se da una parte corregge la rota intrapresa da Weber nella compara- zione tra cristianesimo e capitalismo, dallaltra ci anticipa che il traguar- do di unanalisi complessiva su que- sto fenomeno molto lontano: [Se] nel capitalismo bisogna scorgere una religione, [] oggi, dimostrare que- sta strutura religiosa del capitalismo, non solo, come pensava Weber, in quanto prodoto religiosamente con- dizionato, bens come fenomeno es- senzialmente religioso, condurrebbe ancora sulla cativa strada di una po- lemica universale smisurata. Non riu- sciamo a stringere la rete dentro la quale ci troviamo. In futuro, per, ne avremo una visione complessiva [p. 119]. Deto ci, Benjamin non si sot- trae comunque al compito di trateg- giare un proflo di questa strutura; non rinuncia, cio, a descrivere i trat- ti con cui il capitalismo riconoscibi- le come qualcosa di intrinsecamente divino: esso puro culto senza dog- ma n teologia; non conosce liturgie, nel senso che sempre domenica; inf- ne, non toglie mai il peccato dal mon- do ma anzi lui a generare colpe. Il primo trato del culto signifca che il capitalismo ha capito benissimo di quanto luomo consumatore abbia bi- sogno di acquisire dei beni per fuga- re langoscia di un mondo senza senso e di una vita senza scopo vale a dire che il capitalismo serve sostanzial- mente a soddisfare quelle medesime preoccupazioni, quei tormenti, quel- le inquietudini, cui in passato davano risposta le cosiddete religioni[p. 119]. Il secondo la capacit di creare la suggestione della festa perenne, del- la sospensione del ciclo lavorativo, e quindi del dirito di ognuno di sentire quotidianamente il profumo della re- denzione. Infne, il terzo punto, che togliendo la condizione di possibilit di prendere coscienza di questo modo di agire, lascia degenerare un senso di colpa inconscio in cui il seguace di questa religione si avvita senza fne. Se questi sono i trati religiosi del capitalismo intuiti da Benjamin nel 1921, cosa ne dicevano gli amabili con- vegnisti riunitisi la sera del 14 luglio del 2005 a Karlsruhe? Sloterdik, per primo, ci conduce sulle soglie del 2200 per poi come un profeta a ritroso co- gliere un percorso lineare, a grossis- 171 Critiche e Recensioni sime tappe, nella storia che va dalle prime crociate fno a Singapore capi- tale del nuovo capitalismo. Lorigine di questo avvicendamento da cogliersi, secondo Sloterdik, nella delusione che provano i cristiani sulla soglia del san- to sepolcro quando lo scoprono vuoto. Liniziale consapevolezza che Dio non vada pi cercato nel mondo esteriore atraverso le crociate ma interiorizza- to e riscoperto nelle azioni, lorigine dellEuropa atuale, che passa per il protestantesimo, lilluminismo, le rivo- luzioni fno a giungere allatuale forma comunitaria, democratica e liberale. Ma il percorso non sembra arrestarsi qui, bens proseguire sul versante orienta- le, perch qui che si sta sperimentan- do unoriginale miscela razionalismo e democrazia: il capitalismo autoritario. Un modello che poi virilmente si dif- fuso in Cina, in Russia, negli stati Uniti dAmerica di Bush (il convivio si svol- to nel 2005) e anche in Italia. Un capi- talismo divino nato sul libero arbitrio e morto autoritario, dunque, quello di Sloterdik. Se questa sembra essere la tesi for- te del dibatito, gli altri non peccano in originalit. Non potendoci dilun- gare, li sintetizziamo brevissimamen- te. Groys, in chiave calvinista, presenta il lato sedutivo del capitale, la sua ca- pacit di rappresentare lassenza di Dio, di metere tuti nelle condizioni di aspetare linvestimento di una som- ma di denaro per poter agire. Macho, invece, sostiene che il capitalismo auto- legitimandosi stia lentamente moren- do, perch ha perso la sua dimensione nascosta, ed diventato rifessivo; entrato cio nellepoca della sua cultu- ralizzazione, perdendo la carateristi- ca cultuale che notava Benjamin. Per Weibel, invece, il capitalismo ha spinto troppo in l la sua capacit di rendere cultuale e sacro loggeto di consumo, invitandoci costantemente alla cieca fducia nel marchio, del brand, che ci ha reso del tuto incompetenti nellac- quisto. Infne Hrisch sostiene che il capitalismo sia intrinsecamente sata- nico, dando a questo aspeto un signi- fcato faustianamente benefco, cio di chi vuole il male per produrre il bene; la cristologia la maestra di tale arte, e quindi ben venga un capitalismo cristiano. Il dibatito condoto con cura e per- spicacia da Jongen non ha mancato di intrecciarsi e confrontarsi da lontano anche con la prospetiva di Zizek, che allepoca aveva da poco pubblicato un articolo di successo e che opportuna- mente i curatori del libro riportano tra i materiali. La tesi di Zizek si intreccia con la trama flmica di uno degli episo- di della saga Guerre stellari (La Vendeta dei Sith), in cui si combate unepica lot- ta contro lImpero del male allinsegna di un ritorno di orientaleggianti valo- ri New Age. In breve, secondo il noto flosofo di Lubiana, per fuggire da una realt sempre pi complessa e im- prevedibile in cui non si riesce a stare al passo con le continue innovazioni tecnologiche e i cambiamenti geopoli- tica, stiamo inseguendo un capitalismo virtuale generatore di un mondo par- allelo in cui tuto pu essere soto con- trollo. Solo che, avverte, la prospetiva orientale, verso cui ci sta atirando lo stesso capitalismo asiatico, rischia di annichilirci ancora di pi, e chiosa di- cendo: Per resistere a questa tentazio- ne, dovremmo rimanere fedeli a una certa eredit cristiana (p. 144). Se questo il resoconto molto sin- tetico e sicuramente manchevole di un dibatito originale, arguto e lungimi- rante (come dovrebbe essere un con- vivio flosofco-politico), diverso il punto di vista post-2007 dei curatori italiani di questo colloquio, Franchini 172 essein 2-3/2011 e Perticari. Il primo vede in questa cri- si lennesima prova della bont del- le analisi marxiane e confrontandole con il frammento di Benjamin, ab- bozza una teologia economica di tuto rispeto. Ne viene fuori unaten- ta disamina sullessenza divina del capitalismo, sulla sua capacit di mo- difcare la storia senza rivelarsi mai del tuto, senza svelare il suo volto, come un Dio, appunto: Il capitale in generale non si incontra nella storia in forma pura, ma lo troviamo scomposto unicamente in processi ciclici reali e in fgure fenomeniche determinate (pp. 12-13). La ricostruzione di questi cicli riprende e aggiorna quelli della prima sezione del II libro del Capitale, dedi- cato appunto alla sua Metamorfosi, ed interessante evidenziare in questo abbozzo teologico-economico il ruolo svolto secondo lautore dal fenomeno poco noto dellevemerismo che guarda verso il basso e che riconduce le di- vinit a personaggi storici realmente vissuti e particolarmente onorati du- rante la loro esistenza [p. 23] in una sorta di riduzione teologica che guida la storia in modo altalenante ma che riafora in ogni nuova metamorfo- si. Il discorso si articola dunque sulla confutazione di unambigua teologia politica che avrebbe distrato il dibat- tito sulla natura religiosa del capitali- smo, deviandolo sul falso tema della secolarizzazione delle categorie teo- logiche: Ora invece la teologia eco- nomica considera il capitalismo come una religione indipendente, fruto non di una derivazione, o di una sopravvi- venza, ma di unautentica metamorfosi del cristianesimo in capitalismo ovve- ro di una sostituzione del primo con il secondo atraverso un aspro confit- to secolare la pars destruens della me- tamorfosi e atraverso unoperazione costrutiva di restitutio in integrum, di paziente collazione e ricucitura di funzionali elementi religiosi appar- tenenti a svariate tradizioni [p. 33]. Dopo una fase autoritaria governa- ta dalla fgura ideal tipica del Dio pa- dre e quella successiva di una prodiga Dea madre dal Welfare rassicurante, la ricostruzione o riduzione teologi- ca sembra stia prendendo una forma bancocratica, di un Capitale-Dio con- cetuale, automatico, che presta soldi esautorando diriti. Da questo scenario non si discosta di molto Perticari, che pur in quella che lui stesso dice essere solo una ri- sposta immediata agli stimoli del col- loquio tedesco, non perde la lucidit per trateggiare il capitalista divino, ri- prendendo e atualizzando i tre aspet- ti delineati da Benjamin, come colui che ha in mano oggi tre leve culturali e cultuali di smisurata portata: a) ge- stisce e governa ogni forma di gloria; b) gestisce le coordinate e gli indicato- ri della politica dellimmortalit e del- la vita eterna atraverso la costruzione dellimmagine mediale; c) d ordini e comanda, fa societ e gestisce linte- ro circo mediatico a ogni livello del- la vita quotidiana globale [p. 157]. Quale alternativa proporre allora, si domanda Perticari: in che modo ci si pu distrarre da questo sguardo ipno- tico? Cosa ci consentirebbe di girare la testa fuori da una ritrovata caver- na platonica? forse nella moderniz- zazione del pensiero agostiniano della conversione, [] nella zona turbolen- ta della teologia o della esperienza cristiana della storia che dimora [] il senso pi ampio di una rivoluzione globale dellanima e di un rivolgimen- to generale delle istituzioni? [p. 158]. Oppure in una flosofa che sappia es- sere una nuova pratica di vita in cui luomo possa trovare la forza di una nuova paideia, cio limpulso educati- 173 Critiche e Recensioni vo per un contratacco pedagogico in grado di portarlo a un nuovo contato con la realt della vita e con lautoedu- cazione dellintelligenza [ivi]. Questa chiusura interrogativa ma anche orientativa verso alcuni per- corsi di ricerca ci d la possibilit di tornare al capitalismo del frammento di Benjamin nel punto in cui laveva- mo presentato allinizio, ovvero il suo aspeto parassitario. C infati da no- tare, a nostro avviso, come in fondo ci che il capitalismo divora, per di- ventare divino, sia lelemento cultua- le, la sua dimensione liturgica, e in particolare quella redentiva, dome- nicale, in cui la dinamica del senso di colpa trova un momento di rotu- ra o di soluzione. La dimensione del- la festa essenziale al capitalismo, dice Benjamin: In esso non c gior- no lavorativo, non v giorno che non sia un giorno festivo nel tremendo si- gnifcato del dispiegamento di tute le pompe sacrali, dellestremo sforzo di chi lo venera [p. 120]. Credo che tra queste righe ci sia un elemento soto- valutato che corrisponde al fato che un primo antidoto alla fagocitazio- ne del capitalismo sia proprio quello di riativare il culto, ridando senso e sedutivit alle liturgie. Tuto ci che valorizza il culto allinterno di un orizzonte di senso pi ampio, pu es- sere salvifco. ovvio che ci pu av- venire in modo laico, come religioso o pagano. Salvifco pu essere col- lezionare libri antichi, come faceva Benjamin, coltivare hobby, alimen- tare delle passioni ma anche tornare nei templi dove si ofciano funzio- ni pregne di senso. Del tentativo di riscatare il culto dal mercato, devo- no sentirsi investite non ultime le isti- tuzioni religiose, a partire dalle loro universit e i loro seminari. Anche a loro, se non sopratuto, speta un im- mane lavoro di aggiornamento, di ri- vitalizzazione del culto, atraverso la riscoperta della sedutivit non solo agapica dei gesti nelle loro funzioni religiose, che dovrebbero essere capa- ci di risemantizzare i gesti quotidia- ni della propria dimora e della vita in comune. Forse non un caso che da alcuni luoghi di frontiera della teolo- gia sud americana si colgono dei se- gni di vitalit e di critica costrutiva, di percezione dellimportanza della gestualit, dellincontro festoso comu- nitario e dellatenzione alla ritualit domestica come primo passo per usci- re dalle abitudini imposte dal merca- to (v., in questo numero, recensione al libro di A. Potente, Un bene fragile). Da quelle parti, le palme continuano a prosperare, e non mancheranno di es- sere benedete. Gianluca Sacco 174 essein 2-3/2011