Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Ad Galli Cantum
Ad Galli Cantum
Ad Galli Cantum
Sant’Ambrogio
nel suo studio.
Incisione da Am-
brosii Opera pub-
blicata da Johan-
nes Amerbach a
Basilea, 1492.
erano propriamente delle “novità”, né per lui né per la destinataria del suo
racconto. La Chiesa di Milano verosimilmente aveva già quegli usi nella sua
prassi pastorale, ma solo nel contesto degli eccezionali avvenimenti del 386
essi sono offerti all’attenzione ammirata dell’intera cristianità. «Non è del
resto verosimile che il vescovo proprio in quei giorni, nei quali egli stesso
era minacciato di morte e si accavallavano le emozionanti notizie sulle
intenzioni della corte e sui movimenti dei soldati, abbia avuto l’agio di
scrivere poesie e di metterle in musica»14. Nel suo celebre discorso Contra
Auxentium de basilicis tradendis, pronunciato probabilmente la domenica
29 marzo (dunque poco dopo l’inizio dell’occupazione) Sant’Ambrogio
così si esprime:
Quel che è certo è che devi anticipare questo sole fisico: “Svegliati
e alzati e sollevati dai morti, se vuoi che risplenda per te la luce di
Cristo!” Se tu anticiperai questo sole nel suo sorgere, riceverai
come luce Cristo. Sarà proprio lui la prima luce che brillerà nel
247 Ad Galli cantum
sveglia chi ancora sonnecchia, avvisa chi è già desto, conforta chi
è in viaggio, indicando con il suo squillante segnale che la notte sta
per terminare. Al suo canto il brigante abbandona l’agguato e la
stessa stella del mattino ridestandosi si leva e illumina il cielo: al
suo canto il navigante ansioso depone la sua angoscia ed ogni
tempestosa procella, suscitata spesso dai venti della sera, si placa;
al suo canto l’animo devoto si dà alla preghiera e riprende inoltre
la lettura interrotta; al suo canto infine la stessa Pietra della Chiesa
lava la colpa commessa con la sua negazione prima che il gallo
cantasse. Al suo canto ritorna a tutti la speranza, si allieva la pena
dell’infermo, si attenua il dolore della ferita, si mitiga l’arsura
della febbre, in chi è caduto ritorna la fiducia, Gesù fissa con lo
sguardo chi vacilla, richiama chi è nell’errore. Così rivolse Pietro
il suo sguardo e subito la colpa scomparve, fu cacciata la negazio-
ne, seguì la confessione del peccato.26
per cui conditor è da riferirsi anche a Gesù Cristo, una seconda è interna alla
struttura dell’inno: alcuni versi sono riferiti direttamente a Cristo, affinché
coloro che vacillano possano guardarlo per ritrovare il vigore interiore e
spirituale («labantes respice»).
Si vede così riconosciuta, mediante il conditor, la funzione di Cristo,
ossia quella di reggere la notte e il giorno. Siamo di fronte a un’azione
reggitrice, regolatrice («noctem diemque qui regis»). Si osserva subito
l’assonanza con i primi versetti di Genesi in cui si legge — quasi ritornello
— «E fu sera e fu mattina (Va-yehiy ‘erev va-yehiy boqer)» (1, 1-ss).
Questo avvicendarsi è portatore di un progetto provvidenziale — non retto
dal caso né dalla necessità — frutto di una provvidenzialità personale, di un
disegno inimmaginabile pensato da Dio, che istituisce e fonda l’avvicendarsi
dei tempi: «et temporum das tempora»31. Dal tempo cosmico al tempo
umano, la successione voluta da Dio “governatore” è presentata come Suo
dono, quale grazia iscritta nell’ordine della creazione in cui risiede, dunque,
una prospettiva antropologica. «Ut alleves fastidium»: la noia sarebbe
insopportabile se ci fosse sempre la notte oppure sempre il giorno.
L’avvicendarsi (e il ritorno ciclico) è, pertanto, pensato da Dio come la
bellezza del tempo. Riluce, in tal senso, la ricchezza della liturgia che si dà
nella ripetitività mai monotona. Ambrogio, come già osservato, è attratto da
una creatura, il gallo, e dal suo canto. Al di là della metafora il gallo è inteso,
nella sua immediata significazione, come l’animale che canta nelle prime
ore del giorno, ma nell’inno, il Vescovo di Milano, avvolge il suo significato
in un contenuto nuovo e inedito: il gallo è figura di Gesù Cristo. L’Æterne
rerum conditor, benché «meno teologico di altri [inni] — scrive a tal
proposito Pasini –, almeno ad un primo approccio, è tutto architettato
sull’immagine viva del gallo, che vi compare dall’inizio alla fine. Il gallo
caratterizza l’ultima parte della notte, la ravviva con il suo canto, anticipa
la luce del giorno (nella seconda strofa, con un’ardita sostituzione dell’ef-
fetto uditivo in quello visivo, il canto si fa “luce” ai viandanti); il gallo
segnala il giorno che viene, ne preannuncia l’attività e il sollievo, e invita
a destare la luce, ad assumere di nuovo i propri impegni, a scuotersi ogni
torpore interiore per riprendere di buon animo la vita. Se è segnale della
notte che si chiude, il gallo è allora simbolo e richiamo a venir fuori da quella
tenebra, cui non seppe sottrarsi neppure l’apostolo Pietro»32.
Sarà proprio lui la prima luce che brillerà nel segreto del tuo cuore;
sarà proprio Lui che, se tu gli dirai «Durante la notte sta sveglio per
te il mio spirito», farà splendere per te la luce del mattino nelle ore
della notte, se tu rifletterai sulle parole di Dio. Mentre tu rifletti, si
fa luce. Al vedere quella luce non fisica, ma della grazia, dirai:
«Luce sono le tue prescrizioni». Quando invece il giorno ti
sorprenderà immerso nella tua riflessione sulle parole divine e
quando una così piacevole attività di preghiera e di salmodia
rallegrerà il tuo spirito, di nuovo dirai al Signore Gesù: «Rallegre-
rai le porte del mattino e alla sera.
(Ipse prius in tui cordis inlucestet arcano, ipse tibi dicenti: “De
nocte vigilat ad te spiritus meus” matutinum lumen temporibus
faciet splendere nocturnis, si mediteris verba dei. Dum enim
meditaris, lux est et videns lucem non temporis, sed gratiæ dices:
“Quia lux præcepta tua”, cum autem te meditantem verba divina
dies invenerit et tam gratum opus orandi atque psallendi delectaverit
tuam mentem, iterum dices ad dominum Iesum: “Exitus matutinos
et vespere delectabis”)».35
Il «noctis profundæ pervigil» indica che esiste un essere vivente che non
dorme, veglia nel profondo della notte, immerso nelle tenebre e, difatti,
«pervigil» dice ancor di più che una semplice “veglia”, quale tema cristiano
ricorrente in tanti autori, riverbero della predicazione del Cristo nei Vange-
li. Il vegliare ha un richiamo classico in Ovidio, nell’usignolo descritto
come il «pervigil custos», il custode sveglio, che in Ambrogio è Gesù
Cristo. L’araldo è quasi come la luce stessa per coloro che camminano nel
buio, è colui che annuncia la luce e insieme è la luce: «Veniva nel mondo
la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). S’intuisce che Gesù
Cristo è il grande cantato da Sant’Ambrogio: la sua è una cristologia in canto
o un’innologia cristica.
Da questi ultimi versi si percepisce come l’inno deve essere riletto «in
senso cristologico e come cifre della storia della salvezza Ambrogio legge
le vicende che popolano il giorno e la notte. La notte con le sue tenebre è
propizia alla “torma dei vagabondi” e ai banditi col loro pugnale, è motivo
di ansia al navigante, di inquietudine e spossatezza agli infermi: il canto del
gallo e più veramente la voce di Cristo e il suo apparire come luce, fermano
gli operatori del male, dissolvono le tenebre che li rappresentano, rincuorano
lo spirito, infondono vigore e riaccendono la speranza»38.
Il navigante, pertanto, mediante questo canto si rincuora e le furie del
mare si placano. Siamo davanti, forse, a un cenno quasi autobiografico: la
tempesta ricorda le peripezie vissute da Ambrogio oppure il naufragio del
fratello Satiro39. Infatti, «non ci aspetteremmo il richiamo al mare e al
pericoloso lavoro dei naviganti in chi verosimilmente ascoltava il canto del
gallo nel ben mezzo della pianura padana. Ma negli scritti di Ambrogio il
ricordo del mare ricorre con significativa frequenza. Qui innegabilmente
contribuisce a dare una dimensione cosmica a tutta la rappresentazione»40.
Entra ora in scena il gallo del Vangelo (cfr. Lc 22,61.62): anche colui che
è la Pietra della Chiesa è implicato in questo canto. Il gallo deterge il suo
peccato, poiché fa venire in mente a Pietro le parole di Gesù e la propria
debolezza. Nel Trattato sulla penitenza41 Ambrogio chiedeva al Signore di
conferirgli la grazia di poter piangere con i peccatori, pianto che è metafora
di un lavacro redentore, pianto che il sacerdote stesso non trattiene e così
aiuta il peccatore a lavarsi e allo stesso tempo lava se stesso dalle colpe.
Sicché, Pietro forte e roccioso durante il giorno, si sente turbato e sperduto
nella notte. Irrompe, qui, inatteso ed efficacissimo, il dramma salvifico della
passione di Cristo e il dramma personale di Pietro. L’Apostolo viene
253 Ad Galli cantum
Si mettono a piangere
coloro ai quali Gesù volge il suo sguardo.
Pietro negò una prima volta,
e tuttavia non pianse,
poiché il Signore non lo aveva guardato.
Negò una seconda volta,
ma non pianse,
poiché il Signore non lo aveva guardato ancora.
Rinnegò una terza volta
e pianse un pianto amarissimo.
Imita Pietro,
quando per la terza volta esclama:
“Signore, tu sai che io ti voglio bene”.
Tre volte aveva rinnegato,
e per tre volte fa la sua professione.
Aveva rinnegato nella notte,
e alla luce del giorno
dichiara il suo amore.
Insegnaci, o Pietro,
quanto ti abbiano giovato le lacrime.
Eri caduto prima di piangere,
ma dopo aver pianto
fosti scelto per governare gli altri,
tu che prima non eri riuscito
a governare te stesso.46
«Tu lux refulge sensibus», alla fine torna il tema della luce. Luce che
rifulge sui sensi che si riaprono alla vita, ma anche a quel sonno dell’anima,
del peccatore, che è ricondotto alla grazia. La voce non può che cantare la
misericordia del Signore: «l’aspetto che, creando, Dio ha voluto risaltasse
non è genericamente il suo amore, ma il suo amore nella forma della
misericordia»47. «L’inno è, così, tutto un’invocazione e un sospiro alla luce,
che sta per vincere le tenebre e apparire all’orizzonte: ma, di là da quella che
sta per inondare la terra, l’anelito si orienta allo Splendore che è Cristo
stesso, del quale è imminente l’apparizione nell’intimo dell’anima»48.
Conclusione: Già da questa semplice rilettura dell’inno Æterne rerum conditor si
omnia Christus osserva come Sant’Ambrogio possedesse un’invidiabile cultura letteraria,
est nobis.
tanto da portare molti a Cristo con l’eloquenza del suo dire e con l’eleganza
classica della sua scrittura. «La soavità della sua parola mi incantava»49,
ricordava di lui uno spirito sensibile ed esigente come Agostino.
Samuele Pinna 256
«Qualcuno, però, non esclude che già nei primi versi l’interlocutore sia Cristo» (Inni-
iscrizioni-frammenti, p. 30, 1-4). | (29) De fide, I,9,58. | (30) I. Biffi, Fede, poesia e canto del
mistero di Cristo in Ambrogio, Agostino e Paolino di Aquileia, p. 96. | (31) L’espressione
tempora temporum dice l’immensità dei tempi o il ritmo stesso dei tempi. | (32) Cfr. C.
Pasini, Ambrogio di Milano. Azione e pensiero di un vescovo, San Paolo, Cinisello Balsamo
(MI) 1996, pp. 115-116. | (33) Inni-iscrizioni-frammenti, p. 30, 7. | (34) De beata vita, IV,35.
| (35) In Ps. 118, “kof” 19,30. | (36) I. Biffi, Teologia e poesia. Ambrogio, Dante, Manzoni,
Claudel, p. 28. | (37) Anche nell’inno di Natale (In natale Domini) Ambrogio parla di caligo
noctis (cfr. la Prima Lettera di Pietro). | (38) I. Biffi, Fede, poesia e canto del mistero di Cristo
in Ambrogio, Agostino e Paolino di Aquileia, p. 97. | (39) Cfr. ibid., p. 68. | (40) Inni-
iscrizioni-frammenti, p. 33, 13-14. | (41) II,8,71-73. Cfr. I. Biffi, Fede, poesia e canto del
mistero di Cristo in Ambrogio, Agostino e Paolino di Aquileia, pp. 84ss. | (42) Cfr. Exp. Ev.
Luc., X, 87-93. | (43) I. Biffi, Per ritrovare il Mistero smarrito. Riflessioni su Gesù il Signore,
l’intelligenza della fede, la scuola dei maestri, Jaca Book, Milano 2012, p. 21. | (44) Id.,
Fede, poesia e canto del mistero di Cristo in Ambrogio, Agostino e Paolino di Aquileia, p.
97. | (45) A. Paredi, Vita di Ambrogio, Edizioni O.R., Milano 1986, p. 78. | (46) I. Biffi (a
cura di), Sant’Ambrogio, Preghiere, Piemme, Casale Monferrato 2003, pp. 61-63. | (47) S.
Pinna, Il “mysterium iniquitatis” alla luce di Cristo Redentore. Il problema del Male nella
teologia di Inos Biffi, in: Rivista di Teologia Morale (2014) 183, pp. 407-417, p. 416. | (48)
I. Biffi, Teologia e poesia. Ambrogio, Dante, Manzoni, Claudel, p. 29. | (49) Conf., 5,13,23:
«Et veni Mediolanum ad Ambrosium episcopum, in optimis notum orbi terræ, pium
cultorem tuum, cuius tunc eloquia strenue ministrabant adipem frumenti tui et lætitiam olei
et sobriam vini ebrietatem populo tuo. Ad eum autem ducebar abs te nesciens, ut per eum
ad te sciens ducerer. Suscepit me paterne ille homo Dei et peregrinationem meam satis
episcopaliter dilexit. Et eum amare cœpi primo quidem non tamquam doctorem veri, quod
in Ecclesia tua prorsus desperabam, sed tamquam hominem benignum in me. Et studiose
audiebam disputantem in populo, non intentione, qua debui, sed quasi explorans eius
facundiam, utrum conveniret famæ suæ an maior minorve proflueret, quam prædicabatur,
et verbis eius suspendebar intentus, rerum autem incuriosus et contemptor astabam et
delectabar suavitate sermonis, quamquam eruditioris, minus tamen hilarescentis atque
mulcentis, quam Fausti erat, quod attinet ad dicendi modum. Ceterum rerum ipsarum nulla
comparatio; nam ille per Manichæas fallacias aberrabat, ille autem saluberrime docebat
salutem. Sed longe est a peccatoribus salus, qualis ego tunc aderam. Et tamen propinquabam
sensim et nesciens». | (50) J. Fontaine, Prose et poésie: l’interférence des genres et des styles
dans la création littéraire d’Ambroise de Milan, in: AA. VV., Ambrosius Episcopus, I, Vita
e Pensiero, Milano 1976, pp. 124-170: p. 162. | (51) Exp. Ev. sec. Lucam, V,11. | (52) I. Biffi,
Teologia e poesia. Ambrogio, Dante, Manzoni, Claudel, p. 31 | (53) Id., Per ritrovare il
Mistero smarrito, p. 21. | (54) J.-L. Charlet, Richesse spirituelle d’un hymne d’Ambroise:
“Æterne rerum conditor”, in: Maison-Dieu 173 (1988), p. 61. | (55) I. Biffi, Teologia e
poesia. Ambrogio, Dante, Manzoni, Claudel, p. 33.