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capitolo 12

Dopo la digressione iniziale che spiega la carestia che incombeva ai quei tempi, nel capitolo 12
Manzoni descrive il celebre assalto ai forni delle Grucce (riferendosi al Tumulto di San
Martino del 1628).
Il governatore dello stato di Milano è altrove, e in sua vece la città è amministrata da Antonio
Ferrer, cancelliere spagnolo, che stabilisce una legge per fissare il prezzo del grano, in modo
da permettere una maggiore equità tra le classi sociali.
Il popolo, di conseguenza, accorre in massa ai forni per acquistare il pane a prezzo ribassato. I
popolani capiscono che la legge non è destinata a durare a lungo, visto che va contro le
dinamiche delle leggi dell’epoca, quindi a maggior ragione si recano in massa verso i forni.
Il governatore manda quindi una commissione di magistrati per far tornare il pane al prezzo
originale, e quando ciò avviene il popolo si imbestialisce: per strada si formano gruppi
spontanei in cui molti improvvisati oratori fanno discorsi per spingere la folla ad una rivolta
violenta. Il giorno seguente, in effetti, la mattina le strade si riempiono nuovamente di popolo
irritato e inizia la sommossa.
Nella strada chiamata Corsia dei Servi c’è il Forno delle Grucce, che è il bersaglio della folla. Il
popolo in tumulto, nonostante il tentato intervento di placare la folla del capitano di giustizia
con i suoi alabardieri, fa irruzione nel forno. I popolani portano via il pane e la farina, e
quando la situazione si tranquillizza rimane l’iconica figura della nube bianca di farina
sollevata in aria.
Contemporaneamente, anche altre botteghe sono bersaglio della rivolta e Renzo, appena
entrato nella città, osserva la rivolta contro il governo di Milano. Alcuni popolani iniziano ad
accusare il vicario di Provvisione (sovrintendente dell’approvvigionamento della città) e altri
prendono le difese del cancelliere Ferrer (che, da buon benefattore, aveva tentato di
abbassare il prezzo del pane). Questi due personaggi saranno centrali nel capitolo 13.
La folla si dirige poi verso la casa del vicario di Provvisione, con le peggiori violente intenzioni.
Renzo, curioso, rinuncia a cercare il Padre Bonaventura e segue la sommossa mantenendosi
leggermente distanziato.

capitolo 13
il capitolo 13 è un capitolo che è strettamente legato al 12, in quanto è la continuazione
dell’assalto ai forni delle Grucce a cui Renzo Assiste
Il vicario di Provvisione è a casa sua, intento a consumare un magro pasto, quando viene a
sapere che la folla si dirige verso la sua abitazione per assediarla e linciarlo. L’uomo si rifugia
dunque in soffitta per il terrore, sperando vanamente che i disordini cessino. I rivoltosi, però,
hanno ormai raggiunto la porta della casa del vicario e provano a scalfirla e sconficcarla in
tutti i modi.
Intanto, Renzo, stavolta per sua deliberata scelta, si trova in mezzo al tumulto. Egli infatti non
disapprova il saccheggio dei forni e l’abbassamento del prezzo del pane, ma non condivide
affatto l’intento di una parte della folla di mettere a morte il vicario.
Di lì a poco viene mandata una guarnigione di soldati per disperdere la folla. Indeciso sul da
farsi per evitare la violenza ma comunque reprimere la rivolta, il comandante della
guarnigione indugia, e questa esitazione viene interpretata come paura. i popolani più vicini ai
soldati, quindi, proseguono imperterriti la loro opera di scardinamento della porta, come se
non ci fosse alcun soldato ad impedirglielo.
Mentre la veemenza della folla aumenta, Renzo reagisce alla volontà di alcuni (come un
vecchio mal vissuto) di uccidere il vicario gridando che fare ciò sarebbe una follia. Viene
quindi visto come una spia del vicario, o addirittura come il vicario stesso travestito da
contadino. L’attenzione della folla, che si era momentaneamente e pericolosamente spostata
su Renzo, ad un tratto passa a Ferrer.
Il cancelliere spagnolo Ferrer, infatti, arriva in carrozza e si fa largo tra la folla, con l’obiettivo
di salvare il vicario per evitare stragi. Approfittando della popolarità acquisita tentando
l’abbassamento del prezzo del pane, Ferrer fa spargere la notizia che sia venuto per portare in
prigione il vicario, e in questo modo la rivolta si calma.
Manzoni a questo punto effettua una intelligente digressione, osservando come nelle rivolte
popolari sono sempre presenti, oltre a coloro che ambiscono a miglioramenti delle proprie
condizioni protestando normalmente, un certo numero di persone che, per fanatismo,
eccitazione o scelleratezza, hanno il solo fine di provocare disordini e violenza. Al contempo,
però, esistono anche coloro che, seppur vorrebbero raggiungere determinati obiettivi, evitano
qualsiasi forma di protesta per sincero orrore a qualsiasi atto di violenza.
La folla popolana protestante è paragonata a una banderuola che si muove portata dal vento,
senza volontà propria: in una situazione di disordine e confusione come quella delle proteste
popolari, il tumulto fa perdere la lucidità alla folla, dunque può bastare una minuscola scintilla
per portare il popolo alla violenza più totale. Le sole parole di oratori improvvisati possono
istigare reazioni che altrimenti non avverrebbero mai.
Il focus torna sulla trama e su Ferrer, che, arrivato nella piazza, si fa spazio tra la folla
promettendo, se egli è colpevole, di portare il vicario in prigione. Renzo contribuisce
attivamente a far spazio alla carrozza di Ferrer, deciso a evitare spargimenti di sangue, a tal
punto che, tra urti e spintoni, sembra quasi aver fatto amicizia con il cancelliere.
Ferrer, con la sua carrozza, arriva sulla porta mezza scardinata della casa del vicario,
promettendo pane e giustizia. Quindi entra nella casa del vicario e lo tranquillizza
promettendogli protezione. Lo carica sulla carrozza e, sempre tra la folla che lo acclama e
impreca contro l’odiato vicario, si dirige lontano dalla folla. Una volta al sicuro, Ferrer
suggerisce al vicario di evitare di farsi vedere dai popolani, che ovviamente lo credono in
prigione, e di agire al servizio del re.

capitolo 14
la folla in tumulto si disperde e molti tornano alle proprie case, mentre i soldati evitano
ulteriori tentativi degli ultimi facinorosi a fare irruzione nella casa del vicario.
Intanto Renzo, staccatosi dalla calca, affamato, cerca un’osteria in cui alloggiare. Dopo aver
sambiato qualche opinione riguardo alla rivolta con una piccola folla di persone che ha
trovato sul luogo, si fa accompagnare da un poliziotto travestito verso l’osteria più vicina.
L’uomo, però, in quanto poliziotto che aveva ascoltato le sue opinioni scambiate
precedentemente sulla sommossa, ha un altro intento, ovvero quello di portare renzo al
palazzo di giustizia.
I due si fermano però in un’osteria dove Renzo si rifocilla. Durante la cena, il poliziotto intima
a Renzo di riferire all’oste il proprio nome, cognome e città di provenienza, come prescritto da
una grida. Renzo, però, è restio a dare il proprio nome, e, sotto effetti di alcool, inizia ad
imprecare contro le gride e le leggi imposte sul popolo.
Il poliziotto, quindi, decide di adottare un’altra strategia, e inizia a parlare a Renzo mentre
questi continua a bere. Ingenuamente, sotto effetti di alcool, Renzo rivela al poliziotto il suo
nome e questi, liberandosi con uno strattone, si affretta a uscire in strada dirigendosi verso il
palazzo di giustizia.
Manzoni a questo punto specifica come sia alquanto difficile per lui narrare la verità dei fatti,
visto che essa potrebbe portare i lettori a pensar male di Renzo, in quanto questi è
completamente ubriaco. A suo favore, però, Manzoni ricorda che il motivo per cui in così poco
tempo Renzo si è ubriacato è che l’alcool non è certo una sua abitudine.
Poco lucido, Renzo diventa presto lo zimbello dell’osteria, che lo prendono in giro
stuzzicandolo con domande canzonatorie, ma il giovane non fa mai il nome di Lucia o altre
persone conosciute perché gli dispiacerebbe vederla diventare un oggetto di burla da parte di
quegli ubriaconi.

capitolo 15
Renzo, completamente ubriaco, viene portato dall’oste nella sua stanza per dormire,
continuando a rifiutarsi di rivelare il suo nome all’oste. Il padrone per la locanda, messo a
dormire Renzo, torna nella sala dove gli altri stanno mangiando.
La mattina dopo, prima del risveglio di Renzo, l’oste esce ripensando all’ingenuità di Renzo
nell’aver rivelato il suo nome al poliziotto e si dirige verso il palazzo di giustizia. Ai tempi
vigevano norme che punivano molto severamente gli osi che ospitavano criminali o ricercati
dalle autorità, quindi il proprietario dell’osteria rende testimonianza al notaio criminale (a cui
in realtà già il poliziotto aveva denunciato Renzo).
Al risveglio di Renzo, il giovane si ritrova circondato da due birri (poliziotti) e dal notaio
criminale. Renzo indugia e medita sul da farsi mentre si veste, in procinto di essere portato al
palazzo di giustizia. Nel frattempo, le strade si riempiono nuovamente di brulicanti gruppi di
rivoltosi pronti a far ricominciare le sommosse.
il notaio non può dunque rendere troppo palese l’arresto di Renzo, che dunque viene portato
verso il palazzo di giustizia solo ammanettato. Tuttavia, egli viene soccorso dalla folla che lo
libera disperdendo birri e notaio.

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