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L’ AEREO PASSA SOLO UNA VOLTA

CAPITOLO 1
Un viaggio all’Estero

1.13 pm, ora di pranzo a casa Streanger.Solito pranzo a base di insalata ed avanzi della cena
precedente.
Pur abitando in una villetta ed avendo parecchi soldi, il cibo a casa mia non è quello da ricconi, e
non vi immaginate neanche i camerieri, i giardinieri, il professore privato o i vestiti di marca.
Jennifer,mia madre, lavora come giudice e per ora sta seguendo un caso abbastanza complicato:
genitori violenti che si incolpano a vicenda, con due figli di 10 e 2 anni. Che disastro. Il compagno
di mia madre, Bill, lavora alla Telecom e ci garantisce almeno una vacanza a spese minime ogni
mese. Ho 3 sorelle: due hanno 17 anni si chiamano Ester e Anita, poi c’ è la più piccolina di 11
anni, Emily.
Frequento la River School, una scuola prestigiosa frequentata da ragazzine snob. Ho dovuto
lasciare la mia vecchia scuola e la mia migliore amica Sharin solo perché mia madre mi disse: “Il
meglio assicura il meglio”, e fino a qui non fa una piega, ma separarmi dalla mia migliore amica per
il volere di mia madre mi ha messo addosso il malumore per un anno. Il primo giorno nella River
School è stato difficile; non trovavo l’aula di biologia e ho girato tutta la scuola. Menomale che una
ragazza alla fine mi ha aiutata, ma appena entrata in classe, mi sono subita una sgridata dalla
professoressa Redirter: “Signorina Cate Streanger, è in ritardo di mezz’ora. Ormai ha 15 anni, deve
prendersi le proprie responsabilità, soprattutto il primo giorno in una scuola prestigiosa”. A seguire,
tutta la classe ha cominciato a ridere di me. Odio quella scuola, ma purtroppo devo rimanerci per
altri due anni.
- Cate mi stavi ascoltando? - mi scuote dai pensieri la voce di mia madre.
- Ehm...scusa mamma puoi ripetere? - le chiedo gentilmente mentre bevo un sorso d’acqua.
- Stavo dicendo che ti sei sporcata la manica di sugo, stai più attenta - mi rimprovera alzandomi il
braccio dal tavolo e giran do la maglietta per mostrarmi la macchia di sugo.
- Oddio no! Mi sono sporcata la maglia degli allenamenti!!! Ed ora con cosa lo faccio kick boxing?
- Prendo il fazzoletto e continuo a sfregare sulla macchia cercando di salvare la mia maglia.
- Tranquilla. Sul tuo letto, quando ho portato il bucato pulito, c’era un’altra maglietta: indosserai
quella per i tuoi allenamenti.
- Ok, grazie. - Guardo mia madre, ma subito dopo ritorno a mangiare i fagiolini al sugo. - Senti
mamma... - ma prima che potessi continuare mi interrompe.
- Cate, finisci di masticare e poi parli.
- Ma Anita, Emily ed Ester lo fanno sempre, se per una volta capita a me non muore nessuno –
Controbatto. Sono stanca di essere continuamente rimproverata in modo severo per cose inutili e
stupide.
- Emily è piccola e deve ancora imparare, invece Anita ed Ester non lo fanno più da tempo - Me lo
dice con tono abbastanza serio.
- Va bene - deglutisco. – Stavo dicendo: quando potrò andare agli allenamenti senza la guardia del
corpo? Faccio quello sport proprio per proteggermi, a cosa mi serve la guardia del corpo?
- Tesoro - si ferma per prendermi la mano e stringerla, ma io la tolgo subito.
Sono ancora arrabbiata per la scuola e per il fatto che continua a trattarmi come una ragazzina.
Lei fa un’espressione triste, poi continua.
- Se vinci 29 gare al livello mondiale, ed appartieni ad una famiglia non benestante, di più, è ovvio
che qualcuno là fuori, come gli avversari che hai sconfitto, voglia vendetta. La protezione è una
sicurezza che ti offre lo Stato, ma sotto nostra richiesta.
- Si ma, se li ho battuti, allora non possono farmi nulla; se ci riprovassero sicuramente
perderebbero ancora - dico dando un tono a quella frase come se fosse ovvia.
- Cate… - Mia madre fa una pausa, legge nei miei occhi come una sete di vendetta, forse un
comportamento infantile, ma non ho mai voluto farmi educare da lei. Ha sempre avuto quel modo
sbagliato di tenermi al sicuro e non si è resa conto che ha creato un muro intorno a me che non mi
permette di realizzare i miei sogni.
Prosegue dopo qualche secondo. – La vita di tutti i giorni non è come quella sul ring. Lì ci sono
delle regole, qui fuori, le persone fanno come vogliono, non vengono limitate da niente, o
comunque se le regole ci sono non vengono rispettate - mi confessa con aria dolce.
Quelle parole mi smuovono dentro qualcosa. Forse è vero, la vita di tutti i giorni non è come quella
sul ring, ma vorrei la mia libertà.
- Ho capito ma… vorrei un po’ più di libertà, quando vado a scuola, quando esco con le mie
amiche... –
Anita interrompe il mio discorso.
-Tu non hai amiche - afferma con un sorriso urtante, ridendo mentre porta alla bocca l’ultimo
fagiolino al sugo.
Tutta la mia famiglia scoppia in una risata enorme, tranne Ester.
-A me sembra che neanche tu esci,Anita, tranne che con Cler, quella tua amica grassottella dall’aria
di una che rapinerebbe un negozio di gomme alla fragola -. Chiude così Ester quella
risata, poi mi sorride.
Anita abbassa lo sguardo , mentre gioca con la forchetta sul piatto.
- Dicevo che vorrei solo la mia libertà - continuo il mio discorso.
- Mi dispiace Cate, non posso fare altrimenti – ribatte mia madre rattristita.
- Certo cosa vi importa! Stiamo parlando di un adolescente di 15 anni che vorrebbe vivere la sua
vita da ragazza normale, ma per essere nata in una famiglia nobile non può essere quello che è.
“Cate metti il vestitino. Cate comportati bene alla cena galante con il principe d’Inghilterra. Cate
abbiamo ospiti lavati i denti se non vuoi ucciderli tutti. Cate non farai calcio,sei una signorina
adesso. Cate di qua. Cate di là.” Non sono chi vorrei essere per colpa vostra –
Gli sto urlando contro. Voglio che sentano il dolore che sento io ogni volta che ottengo un “no”.
Una qualsiasi persona penserebbe che sono solo capricci da bambina, ma la mia vita mi sta
soffocando e nessuno se ne accorge.
Alla fine mi alzo e corro in camera mia a piangere sul letto.
***

18.27 pm è di solito l’ora in cui mia madre ed il compagno Bill vanno a qualche cena galante con
qualcuno di importante come ogni sabato.
Ho saltato gli allenamenti, visto che mi sono chiusa in camera tutto il giorno a disegnare, per avere
i miei spazi e la mia tranquillità; disegnare mi ha sempre aiutata a comprendere di più la realtà, ciò
che è astratto e non si può toccare, quel che l’occhio vede e quel che può solo immaginare. È un
gioco di mente.
Adoro il disegno. È un arte non compresa da tutti, non sempre viene vista come lo specchio
dell’anima, a volte lo sono gli occhi, ma soprattutto il tuo modo di disegnare dice al mondo chi sei.
Chi sfuma, con colori, con il grigio, allora vede il mondo in tutte le sue sfumature, per le cose belle,
per quelle brutte, per le cose di cui vale la pena lottare, quelle che non dobbiamo neanche guardare.
Chi disegna in modo classico allora è una persona dalla grande curiosità, che usa la mente e si apre
solo quando serve; è abbastanza riservato, ma disegna il mondo per come lo vede, per quello che è,
ed è così che si identifica chi lo disegna.
Chi disegna cose astratte non è un amante della Terra, di quello che lo circonda, anzi, ama
l’immaginazione, tutto ciò che non si può toccare ma che si può inventare; pensano che la fantasia,
che la mente, salvi davvero le persone dal mondo che le uccide.
D’improvviso sento qualcuno che bussa alla mia porta:
- Chi è? - dico mentre cerco di riprendermi, e mi asciugo le lacrime con la manica ancora sporca di
sugo.
- Sono Emily – risponde una vocina dietro la porta.
La faccio entrare.
- Cosa c’è? - le chiedo con un filo di voce.
- Lo so che è difficile. Anche io vorrei andare a scuola senza guardia del corpo - mi confessa.
- Almeno con te sta solo a scuola. Puoi uscire tranquillamente con le tue amiche e fare lo sport in
pace. Io invece vengo seguita ovunque per paura che i miei avversari si facciano vivi per vendicarsi.
Non potrai mai capirmi! - Le urlo contro.
D’improvviso qualcuno entra dalla porta bussando. È mia madre.
- Mi dispiace disturbarvi ma… Emily vai di sotto, devi prepararti per la serata. Andiamo a casa del
conte William.
- E ci risiamo! Che vestito devo mettermi? - chiedo scocciata mentre mi alzo dalla sedia.
- No Cate, tu non verrai con noi, oggi resti a casa. Hai ragione, hai bisogno della tua vita, di
sentirti te stessa… - Prima di continuare si siede sul fondo del letto. - Io e Bill abbiamo deciso di
mandarti tre mesi all’estero, da sola, senza guardie. Il suo lavoro lo garantisce ai figli dei soci, e
potrai scoprire il mondo, esercitarti su una lingua, vedere un altro posto, ambientarti e scoprire cose
nuove, fare amicizia e sentirti libera di vivere. Se questo esperimento funzionerà, allora al 4° anno
di liceo ti manderemo di nuovo all’estero per un anno, in un altro stato diverso dal precedente. -
Termina così il suo discorso con aria seria, come per raccomandarmi di stare attenta, e per farmi
capire che per loro è un rischio enorme.
- Grazie mamma -. Sorrido e scoppio in lacrime di gioia abbracciandola felice.
- Mi devi promettere che farai la brava, e che non ti caccerai in dei guai seri. Ora ti do il biglietto
con tutto quello che devi sapere, e le varie località dove andare. Scegline una ed io e Bill faremo il
resto. -
- Grazie davvero mamma, non ti deluderò.
Le sorrido. Mia madre sembrava non capirmi. In fondo sono fatti così i genitori, non capiscono mai
niente dei figli, di quel che stanno passando. Giudicano e giudicano pensando che quel che hanno
provato loro in situazioni simili sia lo stesso che proviamo noi. Le persone gestiscono certi
avvenimenti in modi diversi, quindi dovrebbero soffermarsi cinque minuti in più prima di dire che
sono cose stupide per cui non bisogna piangere.

CAPITOLO 2
Devo dirlo a tutti

7.30 a.m, sono arrivata a scuola, ma Sharin sarebbe passata alla River School, per salutarmi, ed io
avrei approfittato di quel momento per dirle la fantastica novità.
- Ehi star del ring, ci si rivede - mi chiama Sharin avvicinandosi, alzando la mano a pugno per
darmi un colpetto sulla spalla.
La mia guardia si mette subito davanti.
- Ah giusto…la tua guardia. Come va Cate? -
- Bene, ho una fantastica notizia - le dico cercando di farmi vedere da Sharin perché aveva la mia
guardia del corpo davanti.
- Senti Scott,potresti farti da parte? Non vedo la mia amica.
Scott, la mia guardia, si sposta ma cerca sempre di far stare me e Sharin ad un metro di distanza. A
dire la verità non l’ho mai abbracciata per via di Scott, ma anche se abbiamo le vite opposte siamo
migliori amiche da 11 anni.
- Che notizia? - mi chiede curiosa ed eccitata.
- I miei mi mandano tre mesi all’estero questa estate, non vedo l’ora di andare, potrò scoprire il
mondo e farmi nuovi amici senza le mie guardie del corpo appresso, e senza i miei genitori.
- Oddio Cate è una notizia fantastica, sono felice per te - dice la mia amica, tendendo le braccia
verso di me per abbracciarmi.
- Ehi no, ferma Sharin, la mia guardia - le indico Scott, e lei si fa indietro di qualche passo.
- Comunque davvero, te la meriti una vacanza, ma non tornare fidanzata ti prego, so che gli stranieri
sono belli, ma tu sei mia, ricordalo - mi dice ridendo ed accennando un sorriso con le labbra
ricoperte di burro cacao alla ciliegia.
- Ora devo entrare, ho lezione, ci sentiamo oggi pomeriggio? - le chiedo.
- Si certo - poi si volta e prende il suo motorino avviandosi anche lei a scuola.
Io ero diretta verso la classe di italiano.
- Allora ragazzi, siamo vicini all’estate, come avete notato tutti. Oggi voglio che scriviate un tema a
proposito dell’estate e delle vostre aspettative e progetti, magari vacanze, oppure un bagno a mare
con la famiglia o amici, sognate, fantasticate, anche se so che la passerete chiusi dentro casa sotto
un lenzuolo a farvi le maratone delle serie tv. Potete inventare se volete, oppure raccontate cosa vi
aspetterà questa estate. Ricordate, sarà l’ultimo tema che farete, quindi metteteci impegno se volte
alzarvi la media; e dico soprattutto a lei,signorina Terentor -. Così conclude la professoressa Miretti
indicando una ragazza che non aveva fatto nulla tutto l’anno, se esce con tutti 6 i pagella credo
possa essere solo che un miracolo.
Quando impugno la penna sembro una macchina da scrivere,
ho parlato della mia vacanza all’estero e di tutte le mie aspettative. E non come negli altri temi,
dove raccontavo che avrei passato la mia estate tra cene eleganti e vestiti raffinati,
in questo tema scrivo ben altro. Occupo un’ora buona per scrivere sul foglio di brutta, ed in
mezz’ora avevo già ricopiato in bella. Adoro scrivere soprattutto se l’argomento è interessante e mi
appartiene. La maggior parte dei temi che ci da la professoressa Miretti sono noiosi e ho difficoltà a
scrivere, però me la cavo sempre ed un nove non manca mai.
- Signorina Streanger, vedo che non scrive più sul foglio ma fissa il vuoto, deduco che lei abbia
finito - mi porge la mano per prendere il mio foglio.
- Si signora ho finito, ma non lo voglio consegnare, lo vorrei leggere a tutta la classe.
Di solito mi vergogno di leggere i miei temi agli altri, anche se alla fine il contenuto era più che
buono, la professoressa Miretti mi incoraggiava ad avere più autostima, e quando le ho detto che
volevo leggerlo era scioccata,ma mi ha sorriso, come per dirmi che sono maturata e che sto
affrontando una mia paura.
-Perfetto signorina Streanger, faccia pure, vado a sedermi alla cattedra e la ascolteremo tutti -.
Mi sono alzata in piedi, ed ho cominciato a leggere, ho parlato molto delle mie aspettative e
riflessioni, e che vorrei tanto farmi una nuova immagine da far conoscere alle persone di quel posto,
ho detto che non ho ancora scelto la località, ma sarà un viaggio pazzesco alla scoperta di nuove
cose, e che non vedo l’ora di fare.
Finito di leggere tutta la classe si è messa ad applaudirmi.
Finita la scuola, stavo camminando per i corridoi, in cerca dell’uscita, dove ci sarebbe stata la mia
guardia del corpo ad attendermi. Non potevo permettermi un minuto di ritardo, oppure sarebbe
entrato a cercarmi.
Incontrai Eris, una ragazza che se la crede tanto, e come al solito doveva sempre aggiungere
qualcosa di suo al mio tema.
- Uh guarda chi c’ è, la riccona con la guardia del corpo si va a fare 3 mesi all’estero senza
mammina e papino. Scommetto che nella valigia ti mettono il ciuccio ed il biberon, e pure il
caschetto in caso tu ti faccia male, povera piccola Cate.
Sento gli altri ridere nel corridoio. Non riesco a trattenermi a mi avvicino per dirle qualcosa
all’orecchio, facendo però in modo che sentano anche gli altri:
- E tu vai ancora nell’aula di musica con Steve, il figlio del preside, a baciarvi di nascosto? - poi mi
giro e mi allontano, ma Eris non molla, nonostante l’imbarazzo per quello che avevo detto.
- Cate, a proposito come sta tuo fratello? A no è vero, è morto - poi cominciò a ridere.
La rabbia era tanta. Non parlo a nessuno di mio fratello, che ho perso quando avevo cinque anni.
Lui ne aveva nove e giocava sempre con me; mi aiutava a fare i compiti. Era come un padre,il
nostro fratello maggiore, ma è morto per un tumore ai polmoni, e non ne parlo con nessuno.
Eris aveva toccato un punto debole, così mi sono girata e le ho sferrato un pugno dritto sul naso.
Poi mi sono accorta di avere la mano sporca del suo sangue.
Esco di corsa dalla scuola mentre tiravo fuori un fazzoletto dalla tasca dello zaino, con cui mi sarei
pulita la mano, prima che la mia guardia mi vedesse in quel modo.
CAPITOLO 3
Forse ho rovinato tutto

- Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere! - Mi disse mia madre, seduta di fronte a
me al tavolino da pranzo, con in mano una lettera del preside mandata qualche ora dopo le lezioni, a
casa mia.
-Hai tirato un pugno ad una ragazza- mi continua a ripetere.
-Ma mamma è stata la cosa giusta, mi stava provocando, cosa dovevo fare?- le dico cercando di non
andare nei dettagli di cosa avesse detto Eris.
-Non ti giustifica a darle un pugno. Da quando hai deciso di fare kick boxing mi sono raccomandata
che avresti usato la violenza solo in casi estremi o di pericolo-.
-Mamma era un caso estremo -
-Basta non voglio sentire altro, prega che non ti espellano da questa scuola, non farai più questo
sport per 2 settimane, e non andrai all’estero, te lo puoi scordare- afferma delusa ed arrabbiata.
Stavo per scoppiare in lacrime, il mio sogno stava svanendo, dovevo dirglielo.
-Mamma..- non feci in tempo a continuare che mi bloccò
-Ho detto che non voglio sentire altro, basta fila in camera tua-
-Mamma Eris ha parlato di Evan-. le urlo piangendo
Mia madre si gira e si risiede, io le racconto tutto e le scende qualche lacrima.
-Perdonami Cate, mi dispiace. Ora vado a parlare con il preside di questa cosa, e chiedo che non ti
espellano, Andrai all’estero, te lo prometto, e farò in modo che Eris ti chieda scusa per quello che
ha detto-.
Corre ad abbracciarmi. Ecco la mia mamma. Quando vuole ha un cuore così d’oro, e riesce bene a
comprendere quando sembra che me ne sto per le mie, ma in realtà grido aiuto.
-Grazie mamma- le sorrido mentre lei mi accarezza la guancia.
A volte essere trattata come la piccola di mamma mi piace, ma ora sono grande, e devo imparare a
vivere senza di lei.
I miei vanno a sdraiarsi sul letto per un po’, io rimango lì, seduta al tavolino con la lettera del
preside. Più la leggo più capisco che questo non è affatto il mio mondo.
Quella scuola non è per me, e le persone purtroppo sono quel che sono. Cosa posso farci?
Fuori il sole stava tramontando; sfrutto l’occasione per sbirciare e godermi la vista.
Mi alzo dalla sedia, con le pantofole nere ed i calzini bianchi. Si sarebbero sporcati dopo poco visto
che preferisco sempre camminare a piedi scalzi; adoro toccare il pavimento freddo e sentirne la
forma. Scosto la tenda; è stupendo fuori, mi volto.
Posso uscire? Mi guardo attorno. La donna delle pulizie sarebbe arrivata tra mezz’ora, il giusto
tempo per lasciare che il sole si nasconda dietro alle colline.
Corro, esco fuori facendo il più piano possibile, mi siedo sul mio muretto preferito e mi godo la
vista.
Fa caldo, i raggi sembravano entrarti nella pelle e lasciarti un sollievo unico, respiravo quel filo di
vento che oggi ha soffiato in una giornata afosa. È tutto così bello qui fuori.
Chiudo gli occhi, immagino di stare già in India e godermi i 3 mesi da sola, sento i carretti passare e
vendere cose talmente inutili che la gente è così stupida da comprare. Mi scappa una risata. Sento le
voci delle madri supplicare i figli di rientrare a casa perché è tardi, ma loro continuano a giocare
con la palla e farla rimbalzare sull’asfalto. Mi scappa un sorriso. Sento Bollywood, ad un passo da
me. Sento le canzoni che suonano, la confusione, gente che esulta, canzoni guerresche e film che
durano 4 ore. La cassa che accoglie l’ennesimo gruzzoletto di soldi per ottenerne un biglietto. Mi
scappa un sorriso.
-signorina lei non dovrebbe essere dentro casa a fare i suoi compiti da scolara?- Questa voce
interrompe la mia immaginazione.
Apro gli occhi di colpo e mi trovo davanti la domestica con in mano tutti i panni nuovi, il suo
carretto delle pulizie ed il suo solito borsone giallo. Per la paura cado dal muretto, ma in 3 secondi
sono già di nuovo in piedi.
-Mi perdoni, non intendevo spaventarla-. Mi dice correndo ad aiutarmi mentre provavo ad alzarmi. -
Sta bene?-.
Era così carina mentre si preoccupava. La domestica era come una mamma per me, non mi ha mai
fatto mancare nulla e mi dava l’amore di cui mia madre la maggior parte delle volte mi privava.
-No no sto bene, ma ti ho detto un sacco di volte di non darmi del lei-. Mi alzo e con qualche colpo
di mano tolgo dalle ginocchia lo sporco del giardino.
-Scusami-. Dice abbassando la testa.
-Tranquilla, ma non dirai nulla ai miei vero?-. Chiedo preoccupata.
-Certo che no Cate sta tranquilla. Comunque sei contenta del tuo viaggio?-.
Come sapeva del mio viaggio?
-Come lo sai?- chiedo confusa.
-Le voci corrono Cate, e sono più veloci di un aereo-. Mi accarezza dolcemente la guancia e poi
entra cominciando a sistemare le sue cose.
Le voci sono davvero più veloci di un aereo?
Non ho tempo di rispondermi, corro dentro.

***

17.38 pm. Stavo studiando chimica. L’indomani avrei sostenuto l’ultimo test.
Stavo cercando il quaderno quando tra i vari fogli mi esce il libretto delle località.
Manca 1 settimana all’inizio dell’estate, forse dovrei scegliere, tra le varie proposte c’è anche
l’India, con una città da visitare Mumbaii, che ospita la più grande casa cinematografica al mondo.
Mi piacerebbe visitarla, adoro i film. Smetto di cercare informazioni e mi rendo conto di aver
scelto: sarei andata a Mumbaii.
Scendo al piano terra scalza, con i miei pantaloncini corti preferiti neri, e la mia maglia di gioco da
calcio bianca, con il numero 11 (il mio numero preferito) e il mio nome dietro (ne ho comprata una
anche se il calcio non l’ho mai potuto fare).
-Mamma ho scelto la mia località, quella dove voglio andare per l’estate-.
Sento mia madre parlare con Bill. Mi fermo sulle scale per origliare, l’argomento che stavano
trattando sembrava abbastanza interessante.
-Non ci posso credere, l’ha provocata ed ora lei deve chiedere anche scusa per essersi difesa? Non
ho parole.-
- Vabbè l’importante è che non è stata espulsa no?- Dice Bill
-Si,ma, non so come reagirà Cate-. Sembrava così esausta, forse essere nei suoi panni non è facile…
D’improvviso mia madre si gira verso le scale e mi nota lì che ascoltavo
-Ah Cate sei qui, immagino tu abbia sentito tutto della nostra conversazione-
-A dire la verità sì, ma non mi importa di chiedere scusa ad Eris, è solo una stupida. Comunque ho
scelto la località-. Rispondo e sorrido al solo pensiero.
Ci sedemmo sul tavolo a leggere tutte le attività ed i miei mi iscrissero subito.
-Bene, inserisci i dati, qui. In quella casella Bill-. Mia madre continua a dare direttive visto che Bill
era senza occhiali ed era difficile leggere.
Vedo il mio sogno volare alto verso di me. La speranza cresceva, la voglia di correre e prendere ora
l’aereo era tantissima. Volevo andare, volevo vivere ciò che molti prima di me hanno vissuto,
volevo imparare, volevo sapere quel che c’è oltre le mura di casa mia, oltre quello scudo protettivo
che avevano messo i miei attorno a me per non farmi passare. Per non farmi conoscere, ma a volte è
dura vedere un aereo che non può volare ma ha le ali per farlo. Ecco, io sono come quell’aereo, però
posso farcela, è arrivato anche il mio momento di partire. Il mio momento di toccare il cielo.
Quella stessa sera scrivo a Sharin. Passiamo la notte a chattare,ma mi scordo dell’esame che avrei
sostenuto il giorno seguente, così a un certo punto mi precipito a studiare come una pazza.
7.40 a.m. mi sveglio, apro gli occhi, mi rendo conto che sono ancora a letto, guardo fuori la finestra,
il Sole è già alto, che ore sono? Accendo il telefono. È tardissimo, la sveglia non ha suonato, o forse
ho scordato di metterla. Corro, mi alzo, mi vesto.
-Svegliatevi!!! È tardissimo!!-.
E qui comincia il panico totale. Arrivo a scuola alle 7.59 sono salva dalla campanella. Corro in
classe; dai corridoi si sentono ancora le voci che girano, che parlano del pugno di ieri. Sono solo
voci, mi scorrono addosso come l’acqua in un ruscello.
L’esame va alla grande, grazie a qualche bigliettino e suggerimenti.
Ho chiesto scusa a Eris ma neanche mi importava tanto, anche perché io sarei andata a l’estero da
sola questa estate e lei invece ad un campo estivo di bambini con la sorellina.
Manca poco, torno a casa e corro a prepararmi tutta la roba.

CAPITOLO 4
Preoccupazioni

Domani si parte.
Sto mettendo le ultime cose in valigia quando qualcuno apre la porta della mia stanza.
È mia sorella Ester.
-Ehi, pronta per il viaggio?- mi chiede sorridendo.
-Non proprio. Sono molto agitata, non ho mai passato così tanto tempo senza di voi. Senza di te, ed
ho paura di combinare un casino enorme-. Le confesso accennando un sorriso nervoso.
-Ehi, andrai alla grande. Quali attività ci sono?- mi chiede sedendosi sul letto vicino a me.
-Ci sono molti sport tra cui calcio, basket, tennis, e viaggi per delle città, c’è anche vela. Credo che
mi divertirò-. Le sorrido al pensiero di tutte quelle attività da fare e così poco tempo.
- Invece in che scuola andrai a studiare inglese?- mi chiede Ester curiosa.
- Alla Indian school for you , si lo so è ridicolo come nome ma credo che non sia una scuola per
fighette che non hanno nulla da fare se non truccarsi davanti lo specchio nell’armadietto, come
fanno alla River-.
-Almeno lì potrai essere te stessa-. Dice Ester con un aria fiera di me.
-Almeno lì non mi conosceranno per quella che non sono-.
Scoppiamo a ridere entrambe; passare del tempo con Ester mi ha sempre aiutata nei miei momenti
di bisogno, quando ero stressata, oppure triste, è una parte di me, e le voglio un bene infinito.
-Dai vieni qui-. Mi tende la braccia in avanti.
Mi fiondo in quello che sembrava l’abbraccio più caldo al mondo, e quello più bello in tutto
l’Universo.
-Allora di cosa si parla qui?- Una voce fastidiosa riempie quel silenzio così rilassante, è quella di
Anita, che sicuramente sarà lì per fare una battutina delle sue.
-Comunque buona fortuna per domani, spero ti troverai bene nella nuova scuola, ma soprattutto nel
nuovo Stato-. Mi dice accennando un sorrisetto e trattenendo le lacrime, infondo mi vuole bene, e le
mancherò, ma non vuole ammetterlo.
-Grazie Anita -.
Mi metto a letto, ma non riesco a dormire. Troppa emozione,
Comincio a pensare alla mia nuova scuola, alla difficoltà di comunicare in inglese, sono sempre
stata una frana in lingue… e se mi fossi persa durante un tour? Se tutti i miei compagni non mi
accettassero? Se rimanessi sola? Rischio di buttare 3 mesi di vacanza che sicuramente passerò su un
letto d’albergo a mangiare gelato indiano. Tutti quei pensieri, quelle domande mi occupano la testa.
Ho considerato solo gli aspetti positivi di quel viaggio, ma quelli negativi no… sono in un mare di
guai.
Mi alzo dal letto e vado in giardino a prendere un po’ d’aria.
Sono nervosa. Il viaggio più bello della mia vita poteva trasformarsi nel mio peggior incubo. Sento
la porta aprirsi Ho la testa posata sulle ginocchia, sono chiusa a uovo e seduta per terra con la Luna
rivolta verso di me, quelle piccole ciabattine da notte, rosa e con 2 bei unicorni, strusciano per terra,
avanzando, fino ad arrivare vicino a me.
-Cosa vuoi Emily?- le chiedo seccata ed assonnata.
- Perché sei qui fuori? Domani ti aspetta un lungo viaggio. Perché non stai riposando?-
-Perché non ci vado più, ho paura, paura di trovarmi nell’ambiente sbagliato nel momento sbagliato
tra persone sbagliate. Nessuno parlerà la mia lingua, ovviamente viene mandato uno studente per
ogni Stato. Dovrò farmi degli amici che parlano una lingua differente dalla mia, già è difficile per
me farmi degli amici normali, figurati degli stranieri-.
Comincia a scendermi qualche lacrima, non sono ancora pronta a lasciare tutto.
-Cate, sei una ragazza in gamba, ce la farai, ed anche se non ti farai degli amici sfrutta l’occasione
per prenderti una “vacanza” dalla tua vita di tutti i giorni, fai gli sport che ti piacciono, mangia ciò
che vuoi, vestiti come vuoi, puoi fare tutto quello che ti pare, sai quanto darei io per andare via di
qui? Hai questa occasione non buttarti giù così, sfrutta ogni singola cosa che il mondo ti concede, è
così che si va avanti-.
-Chi lo avrebbe mai detto che sei così saggia già ad 11 anni-. Le dico sorridendo ed accennando una
risata spontanea.
-Grazie, mi sento meglio, hai ragione, sfrutterò questi 3 mesi al meglio-.
Emily mi ha aiutata a capire. Ha ragione, l’importante è che mi godrò la vacanza più bella della
mia vita senza che nessuno mi dica cosa fare.
Ritornammo in camera a dormire, mi addormentai dopo qualche minuto, tra i miei pensieri, questa
volta molto più piacevoli e sereni.

CAPITOLO 5
Finalmente arrivata

7.15 a.m. finalmente mattina.


-Forza,forza svegli, dai su-. Cominciai ad urlare ed a saltare sui letti delle mie sorelle.
-Dai è il gran giorno devo partire, su in piedi famiglia dormigliona-.
- Cate smettila di essere così urtante, ora ci alziamo-. Dice quella voce cupa da sotto il lenzuolo, è
sempre quella di Anita.
Ci siamo alzate tutte. Un’ora dopo eravamo in macchina diretti all’aeroporto.
-Wow, questo posto è enorme-. Afferma Emily.
-Già-.
- Cate mi mancherai da morire-. Dice Emily piangendo.
- Ehi, è solo un estate, non una vita, ci sentiremo ogni sera va bene? Ti voglio bene piccola Emi-.
La abbraccio forte e mi faccio sfuggire una lacrima salata.
Mi rivolgo ad Ester, che era già in lacrime.
-Ehi non piangere-. Accennai un sorrisetto e poi la strinsi forte.
-Mi mancherai…-. Disse tra un singhiozzo e l’altro.
-Ci rivedremo presto-. Le lasciai un bacio sulla guancia e scattai una foto con lo sguardo per tenere
a mente quella sua espressione di pace ed amore.
-Ti voglio bene-. Le dico sottovoce. Come se quelle parole fossero proibite nel silenzio di una
famiglia. Ma loro non sapevano che anche se dette a bassa voce, erano urlate ogni giorno. In un
abbraccio, uno sguardo, una carezza. Stavo lasciando parte di me nella mia città. Chi sarebbe stata
la nuova Cate? Lasciai questa domanda in sospeso. Mi rivolsi a mia madre.
-Forza abbraccio di famiglia- ci dice mia madre.
Ci abbracciamo tutti insieme, poi mia madre posa le mani sulle mie spalle e dice:
-Fatti guardare, sei grande adesso, hai messo tutti i paia di mutande necessarie nella valigia?-
- Si mamma-
- E l’asciugamano?-
- Si mamma-
- I calzini? Quelli non possono mancare-
- Si mamma ho preso tutto, stai tranquilla- rispondo seccata ma poi le sorrido e l’abbraccio.
- Sono fiera di te piccola mia, buona estate-. Le scende una lacrime che raccolgo con il pollice.
Comincio ad avviarmi verso l’uscita che da sull’aereo, adoro tutto questo, mi giro e cammino
all’indietro e comincio a oscillare la mano e sventolarla come se fosse una bandiera, e li saluto
allontanandomi pian piano. Mia madre piangeva come fosse un addio, e Ester invece aveva un
fazzoletto in mano completamente bagnato per aver pianto tanto, Emily guardava una nostra foto
che si era portata con se, ed Anita si sventolava con il ventaglio per il caldo, guardando il telefono
in attesa di qualche messaggio.
Girandomi, dico fra me e me: è ora di diventare grandi.

CAPITOLO 6
Arrivata da 20 minuti e già ho combinato un casino

Il viaggio è stato estenuante, come metto il piede fuori dall’aereo faceva un caldo da spaccare le
pietre a metà.
Vado alla reception e chiamo un taxi, salgo in macchina:
-ehm i’m sorry io dovere go to this hotel, tu capire me?-
- ragazzina parlo la tua lingua, per chi mi prendi? Per uno scemo?- mi dice con aria seccata e poi
comincia a guidare.
-oh mi scusi-.
La prima figuraccia è stata fatta. La devo spuntare nella mia lista.
-Ecco grazie, mi può lasciare qui-. Mi rivolgo gentilmente porgendo la paga.
-Si lo so, le istruzioni sono state chiare, già tutto pagato signorina, buon soggiorno in India-.
Rimasi scioccata, come poteva sapere che dovevo andare li? E come poteva essere tutto pagato oltre
all’hotel? Qualcosa non quadrava, scesi dalla macchina ed entrai con tutte le valige e borsoni.
All’entrata mi accolsero gentilmente.
-Hello, i’m Cate, i need a room-. (ciao, sono Cate, ho bisogno di una camera).
Faccio proprio schifo in inglese, il mio accento è orribile.
Non capisco nulla di quello che mi dicono alla reception, ma mi indicarono di prendere l’ascensore
ed arrivare alle camera 11, anche la mia camera portava il mio numero preferito. Prendo l’ascensore
e salgo su, fino al 4° piano, mentre cammino con tutte le valige in mano alla ricerca della camera.
-Eccola-. Tiro fuori la tessera da passare sulla maniglia per aprire la porta, ma avevo così tanti
bagagli.
Ad un certo punto si apre l’ascensore, ed una ragazza della mia età dagli occhi verdi ed i capelli
castani raccolti in una coda alta e perfetta, esce e si fa strada nel corridoio alla ricerca di una
camera.
La guardo incantata. Mi cadono per terra tutte le valigie e la carta, che s’infila sotto la porta.
-Oddio no, la carta-.
La ragazza mi vede e corre ad aiutarmi, si avvicina a me e raccoglie quasi tutta la mia roba.
-Posso aiutarti? Cioè volevo dire can i help you?- con quella voce così vivace e perfetta e quel viso
ricoperto di rosso per l’imbarazzo mi chiese se mi poteva dare una mano.
- Oh si grazie, cioè volevo dire yes thank-.
Cominciamo a parlare all’unisono.
-Aspetta! Sei italiana?-
-Oh, stiamo dicendo le stesse cose-
Scoppiamo in una risata senza fine.
-Piacere mi chiamo Cate-. Le porgo la mano per stringerla.
-Io mi chiamo Elizabeth, però puoi chiamarmi Eliza-.
- Che strano, sei qui per le attività della Telecom?- le chiedo incuriosita.
Era strano che due ragazze italiane completamente sole si ritrovassero nello stesso albergo.
Le regole dicono che ci deve essere un ragazzo a Stato, o se ci sono eccezioni deve stare ad almeno
5 città più avanti, per far ambientare lo studente da solo.
-Si mia madre lavora nella Telecom, ma le regole non dicono che dovevamo incontrarci, ne tanto
meno stare nella stessa stanza-. Mi fa notare Eliza indicando il numero sopra la porta.
-Perché questa è la tua camera? La numero 11?- le chiedo preoccupata.
-Già, mi sa che hanno fatto un grande errore-. Mi dice quasi rassegnata.
-Vabbè tranquilla prendila tu, io chiamo i miei e gli dico dell’errore, tornerò indietro-Alza le spalle
in segno di arresa.
-No, perché non rimani qui? Dividiamo la camera-.
Non so sinceramente perché le ho detto così ma una parte di me non voleva che se ne andasse via.
L’ho appena conosciuta, mi piace, e poi non voglio rimanere sola.
-Sarebbe contro le regole-. Mi fa notare con un aria preoccupata.
-Eh quindi? A volte le regole sono fatte per essere infrante no?-. Le dico accennando un sorriso
malizioso mentre la guardo fissa negli occhi.
-Hai ragione- mi risponde sorridendo.
Per fortuna ci siamo fatte dare una seconda carta e siamo entrate nella stanza.
Passiamo prima giorno a chiacchierare in camera, nessuna di noi due ha voglia di uscire ad
osservare il posto, fa troppo caldo, e tra snack e condizionatore abbiamo deciso di perderci in
chiacchiere e scoprire l’una qualcosa dell’altra. Le ho mentito però. Non volevo che sapesse che ero
una nobile, e che sport facevo, così avrebbe capito tutto di me, e mi avrebbe vista come mi vedono
tutti.
-Che sport fai?- Mi chiede Eliza mettendo in bocca l’ultima patatina al formaggio
-Ehm- . Non sapevo cosa inventarmi. – faccio nuoto, ma sono un po’ una schiappa-
- ah io faccio tennis, lo adoro-.
Lo sport di Eliza non era niente male. Mio padre ha sempre avuto un debole per il tennis ma non ci
siamo più visti una partita insieme da quando è morto, ed il compagno di mia madre odia il tennis.
-Senti, tra le attività da fare qui, se non sbaglio c’ è il tennis, mi potresti insegnare un pochino?- le
chiedo con le guance rosse dalla vergogna.
-Ma certo, mi farebbe piacere insegnarlo a te, secondo me hai un gran potenziale-.
Quel suo complimento mi fece arrossire, ed anche il modo in cui mi guardava.
-Ti va di andarci ora?- Mi chiede con entusiasmo.
-Ok non vedo l’ora di cominciare-. Mi alzo sorridendo. Per la prima volta incontravo una persona
che sembrava avere un grande cuore.
-Fantastico-.
Negli armadi oltre che alla nostra roba si troviamo delle divise per ogni tipo di sport elencati nelle
attività da fare in questo soggiorno in India. Indossiamo le divise per fare tennis e munite di 2
racchette viola scendiamo al piano di sotto e, attraversando una porta, spuntiamo nel retro, dove si
trovavano tutti i tipi di campi.

CAPITOLO 7
Nessuno di noi ci capiva più nulla
- Ehi Eliza, ma ci sono tantissime persone in questi campi-. Dico scioccata. Apro la porta del retro
dell’hotel ed i campi sono invasi da tantissime persone.
- Cate, la cosa strana è che sono tutti ragazzi italiani. Come noi-
D’improvviso un ragazzo alto con i capelli biondi e gli occhi azzurri si avvicina a noi.
-Posso aiutarvi?-
-Perché siamo tutti italiani qui?- chiede Eliza.
- C’ è stato un grande errore ed ora siamo tutti qui in India ad alloggiare insieme. Ognuno di noi
divide una camera con un’altra persona con cui andrà in una scuola. Praticamente è diventata una
cosa a coppie e per non farci tornare a casa hanno deciso così; di alloggiare tutti nello stesso
albergo.
-Ma è terribile- affermo io.
-Guarda il lato positivo, non dobbiamo fare per forza amicizia con gli stranieri, ci sono loro-. Mi
dice Eliza con un tono dolce.
-Hai ragione- la guardo e le sorrido.
-Beh allora? Volete giocare a tennis con noi?- chiede il biondo di cui ancora non so il nome
-Nome?- dico io.
-Come prego?- mi risponde lui.
-Vorrei sapere il tuo nome-.
-Ah si scusatemi, mi chiamo Noah, piacere di conoscervi-.
-Io sono Eliza- si presenta lei rivolgendogli un sorriso semplice.
-Io sono Cate- rimango sempre fredda e distaccata con le persone che non mi stanno molto
simpatiche, ma mi serve solo tempo per conoscerlo meglio, magari diventiamo amici.
Passiamo un pomeriggio a ridere.
Noah mi offre da bere, mi aiuta a giocare a tennis. Davvero carino con me, mi lanciava sguardi e
sorrisi, credo che siamo diventati amici.
Io e Eliza ci sediamo su una panchina, a vedere gli altri giocare, quando Noah, dopo una partita
vinta 10 a 3 corre verso di noi con il vento tra i capelli.
-Ehi Cate- Dice sedendosi accanto a me e bevendo un sorso d’acqua
-Ehi Noah- rispondo con gentilezza.
-Esisto anche io, ciao Noah- si fa sentire anche Eliza
- Si, ciao Eliza, volevo dirti-. Si rivolge a me. -Anzi dirvi, che stasera un mio amico, Rash, dà una
festa sulla terrazza,volete venire?- ci chiede speranzoso di ottenere un si.
-Si va bene- mi giro verso Eliza per cercare anche la sua approvazione.
-No io non vengo- risponde con tono acido.
-Perché non vieni? Ci divertiremo, la nostra prima festa qui in India-. Cerco di convincerla
-Non sono interessata grazie- Si alza e si dirige verso l’interno dell’ hotel,molto probabilmente nella
nostra camera, così la seguo.
- Scusa, vado da Eliza, ti prometto che ci sarò, spero di convincere anche lei-.
-Ok ti aspetto allora. A stasera-. Mi sorride e poi si alza tornando dai suoi amici, io nel mentre stavo
correndo verso Eliza, che pensava solo a correre per sfuggirmi.
Arrivo fino alla camera, e con la seconda chiave che tengo io apro la porta, Eliza stava raccogliendo
la sua roba per farsi una doccia.
-Ehi cosa ti è preso?- chiedo preoccupata
-Niente, non voglio andare a quella festa e basta-. Mi dice con tono seccato, ed arrabbiato
-C’ è dell’altro, sei arrabbiata, cosa succede?-
Eliza si ferma un momento, si volta e mi guarda fissa negli occhi.
-Tu stavi con lui e…beh mi sentivo esclusa ecco. So che ci conosciamo da 2 ore ma sei un’amica
per me. Mi avevi chiesto di insegnarti a giocare a tennis, ma Noah si è messo in mezzo e mi sono
sentita esclusa, tutto qua-.
-Sei sicura sia solo questo?- Le chiedo con un tono triste, perché mi dispiaceva si sia sentita così,
ma sapevo che c’era dell’altro.
-Si tutto qui, ora scusami ma devo farmi una doccia-.
-No ferma Eliza. Mi dispiace tu ti sia sentita così, so com’ è sentirsi fuori posto, mi dispiace di
averlo fatto provare a te, perdonami. Anche per me sei un’amica-.
Eliza si stava sforzando a mantenere lo sguardo arrabbiato ma un sorriso cercava di spuntare
-Senti, nella mia valigia ci sono tanti vestiti e cose carine, me ne scegli uno che ti piace? Così lo
indosso alla festa-. Mi sorride ed entra nel bagno.
-Ma certo- . Le urlo per farmi sentire con la porta chiusa davanti a me, e tra i miei pensieri a voce
alta mi scappa una frase che menomale ho sentito solo io:
-Che strana ragazza- E dopo averla pronunciata mi scappa un altro sorriso.
Ci facciamo una doccia ed andiamo alla festa, Eliza indossa un top nero e dei pantaloncini jeans
molto corti e chiari, un filo di rossetto rosso e una coda perfetta ed alta, le scarpe bianche basse ed
una borsetta per metterci giusto il telefono e qualche banconota; io porto una specie di vestito unito,
con i pantaloni sotto, come una tutina, nera ovviamente e le scarpe bianche. Non avevo il rossetto
ma mi ero messa il lucida labbra ed un filo di mascara, avevo i miei capelli marroni sciolti, e
selvaggi, come se fossero un biglietto d’entrata nel mondo per conoscermi, perché mi rispecchiano
al massimo.
Usciamo dalla porta della camera e mi sento una diva a sfilare lungo il tappeto rosso del corridoio
dell’hotel.

-Ma se scappassimo?-. Chiede Eliza affacciandosi alle scale per vedere se c’ era qualcuno nei
dintorni.
-Ma sei pazza? E la festa?- Chiedo sbalordita, ma eccitata all’idea.
-Dai, non l’ho mai fatto prima d’ora, ti prego-. Insiste lei prendendomi la mano.
Quel tocco mi provoca un brivido lungo tutta la schiena e faccio difficoltà a distinguere il freddo
che veniva dai condizionatori altissimi dal suo tocco delicato e gentile.
-Dai ti prometto che poi andiamo alla festa-.
Comincio a lasciarmi andare, mezz’ora di ritardo non faceva male a nessuno, e poi tutti arrivano
tardi ad una festa, è il momento in cui c’è più casino. Non ci sono mai stata ad una festa
adolescenziale ma sicuramente i film hanno aiutato molto ad immaginarle.
-Eh va bene ma poi andiamo alla festa vero?-. Chiedo sorridendo e cominciando a camminare.
-Certo-.
Corriamo veloci, usciamo da un’altra porta e sbuchiamo nel cuore della città.
-Attenta!-. Urlo ad Eliza tirandola a me. 3 secondi dopo passa una macchina a tutta velocità. Se non
l’avessi tolta in questo momento sarebbe morta.
-Grazie-. Dice lei riprendendo fiato.
-Forza andiamo-. Le prendo una mano e corriamo per le strade di Mumbai.
I palazzi erano alti ed illuminati, le strade erano piene di vita e mi salta all’occhio il sogno di una
vita. Mi blocco, smetto di correre e mi volto con gli occhi da sognatrice. Il mascara sbavato, il
lucidalabbra consumato, ma gli occhi che splendevano di speranza.
-Andiamo?- chiede Eliza
-Hey andiamo??-. continua ad insistere.
-Quello è Bollywood-. Dico con un filo di voce indicandolo. Avrei voluto che la punta del mio dito
arrivasse a toccarlo.
-Wow!-. Afferma Eliza sbalordita.
-Voglio assolutamente entrarci-. Le dico non distogliendo lo sguardo.
-Andiamo allora-. Sorride. Dietro di lei le luci della città rendevano il tutto ancora più emozionante.
È così bello sentirsi liberi di vivere? Era passato solo un giorno e già mi sentivo a casa, quella vera.
Eliza è stato qualcosa di molto speciale da trovare, e spero rimanga.
Ci avviciniamo al banco dei biglietti, gattoniamo a 4 zampe per terra, così da confonderci nella fila.
Andiamo verso la porta ed il piano funziona alla grande.
-Forza ce l’abbiamo quasi fatta-. Dice Eliza aiutandomi ad alzarmi.
Il film era all’aperto, una volta in piedi il posto era grandissimo, il proiettore con il telone giganti ed
i posti sembravano infiniti. Le persone si stavano già contestando i sedili migliori.
-Prendiamo posto-. Mi dirigo nella fila indietro ma rivolta davanti allo schermo.
Ci sediamo e dopo qualche minuto le luci esterne si spengono, è tutto così emozionante. Parte il
film e cominciano le prime battute, tutto in lingua originale ovviamente, quindi era molto difficile
comprenderli, ma ecco qui che comincia il primo ballo. I loro vestiti sono qualcosa da invidiare, con
tutti quei accessori sembrano delle divinità. Poi il ballo è un misto tra qualcosa di classico e di
moderno; sono perfetti.
-Ti piacciono?-. Chiedo voltandomi verso Eliza.
-Si, sono stupendi-. Risponde lei non distogliendo lo sguardo.
Aveva anche lei gli occhi speranzosi e quelle stelline che brillavano. Si volta verso di me. Ci
guardiamo per un po’ e sorridiamo, tutto questo non sembra vero. Sento un malore allo stomaco,
forse dovevo andare in bagno prima di uscire dalla camera. D’improvviso tutto buio, sento la sua
mano toccare la mia posta tra un sedile e l’altro. Sento come se un vuoto che tenevo dentro da
tempo si fosse riempito. Come se da incompleta fossi diventata talmente piena che potrei per fino
esplodere. Questa sensazione dura poco, le luci si riaccendono ed il contatto con la sua mano
manca.
-Forse dovremmo andare alla festa-. Afferma con un tono più distaccato.
-Ehm ed il film?- Forse la mia voglia di vedere il film superava per fino quella di andare alla festa.
-No davvero andiamo alla festa, te l’ho anche promesso dai-. Dice alzandosi.
-Eh va bene, ma il film lo vedremo prima o poi-.
Accenno un sorriso che non viene ricambiato, sento tensione, ma soprattutto sono confusa. Perché
questo cambio d’umore improvviso? Cosa ho fatto?
Usciamo sempre senza essere viste e camminiamo tornando all’hotel.
-Sicura vada tutto bene?-. le chiedo calciando una lattina per terra sul marciapiede.
-Si sì, va bene-. Sorride in modo forzato. Apre la porta del retro e ci imbuchiamo alla festa con ben
1 ora e mezza di ritardo.

CAPITOLO 8
Una serata incasinata

La musica è fantastica, si balla e c’è anche qualcosa da bere, come alcolici e da mangiare.
Mi giro verso Eliza e le dico cercando di farmi sentire:
-E tu non volevi neanche venire, è uno sballo- poi le sorrido e cerco di comprendere quello che mi
prova a dire lei.
-Hai ragione è fantastica questa festa. Senti Cate, riguardo a prima, non ti ho detto tutta la verità
-Lo avevo capito, allora qual è?- le chiedo urlando perché la musica era così forte che se fosse
crollato un palazzo nelle vicinanze non lo avremmo sentito.
-Beh vedi ecco..- prima che Eliza potesse continuare sbuca Noah da dietro.
-Ehi ragazze pensavo non veniste più! Come va la festa? Vi state divertendo?-
-Si moltissimo, grazie dell’invito sei stato molto carino e scusa per il ritardo- mi congratulo con
Noah di come hanno allestito questo posto, è stato fatto davvero bene.
-Ehi Cate ti va di andare a dare il meglio di noi in pista? Oggi te la sei cavata bene a tennis,
vediamo se in pista sei brava uguale-.
-Mi stai lanciando una sfida? Sembri parecchio ubriaco- gli dissi ridendo
-Va bene, chiamiamola sfida. E poi non ho bevuto, solo qualche bicchiere di troppo. Tutto qua-. Mi
risponde provocandomi.
-Ok ci sto; andiamo-.
Poso il mio bicchiere sul primo tavolo che trovo e corriamo in pista a spassarcela,.
Noah è un eccellente ballerino di hip hop , glielo devo concedere.
Ad un certo punto, la musica sembra farsi sempre più ovattata, e si sentono a fatica le parole, tutto
sembra muoversi al rallentatore tranne io e Noah, che posa le sue mani sui miei fianchi e mi tira
dolcemente verso di sé. Il suo sguardo rimane fisso sulle mie labbra e si avvicina piano piano fino a
quando scoppiamo in un bacio senza fine, con la musica di sottofondo. C è tanta gente intorno ma
sembra che esistiamo solo io e lui, due anime gemelle, che ci stringiamo forte con le mani.
Dopo qualche minuto ci stacchiamo e lui sorride.
Mi giro improvvisamente e non vedo Eliza seduta alla sua sedia, allora penso che avesse incontrato
qualcuno e se la stia spassando.
In quel momento Noah riprende a parlare.
-Vogliamo andare in camera tua?-
-Perché non nella tua?-
- Perché il ragazzo con cui condivido la stanza sta male quindi è rimasto lì-
-Ok- gli rispondo mantenendo un contatto visivo e mordendomi il labbro.
Corriamo in camera per mano, tiro fuori la chiave e come apro la porta, Noah comincia a baciarmi e
continuiamo fino ad arrivare a buttarci sul letto, ma qualcuno interrompe quel momento.
-Ehm, io sono qui-. Era Eliza in camera, aveva gli occhi gonfi e pieni di lacrime.
-Oddio perdonaci Eliza-. Le dico imbarazzatissima di quel momento.
-Noah, forse è il caso che vai-. Affermo imbarazzata
- Ma perché? Non possiamo tornare alla festa?-
- No rimango qui, a domani- . gli sorrido ma poi lo spingo fuori dalla porta.
Appena chiusa vado da Eliza che stava sul suo letto a piangere, con il trucco sbavato e con ancora
un calzino al piede, l’altro lanciato sopra al termosifone.
-Eliza cosa è successo?- chiedo preoccupata alla mia amica.
-Niente, lasciami perdere ti prego-
- Ehi ascoltami- poggio la mia fronte contro la sua e chiudiamo gli occhi -Questa cosa la facevo
sempre con mio fratello. È morto molto tempo fa, ma mi rilassava. Qualsiasi cosa sia successa, ne
puoi parlare con me, non c’ è problema, devi stare tranquilla, ok?-
-Ok...- mi risponde con un filo di voce, poi apriamo gli occhi nello stesso istante.
Ci guardiamo, accenniamo un piccolo sorriso ma poi lo sguardo di Eliza si sposta sulle mie labbra,
io faccio lo stesso perché quel poco di rossetto che le era rimasto mi attira, d’improvviso sento un
nodo allo stomaco, di nuovo, forse non devo andare in bagno.
Eliza mi tocca dolcemente la mano e prova a stringermela, ci ritroviamo con le dita incrociate, pian
piano avanza e comincio a sentire il suo respiro, lei si morde il labbro inferiore, ed io sento le
farfalle nello stomaco, quando mi squilla il telefono in tasca. Mi stacco subito sia da quella
vicinanza tra me e lei ma anche dalle nostre dita incrociate, mi ricompongo e leggo di chi è la
videochiamata. È da mia madre, così rispondo.
-Ehi mamma, come stai?- le chiedo nervosa ma cerco di far finta di nulla.
-Tutto bene amore, come è stato il primo giorno?-
-Ehm bellissimo, scusa mamma posso darti direttamente la buona notte perché stiamo andando ad
una festa e quindi lì non sentiremo nulla..-
-Stiamo? Tu e chi?- Mi chiede mia madre curiosa.
-Io e Eliza, una mia amica, senti mamma ci sentiamo domani ok? Buona notte vi voglio bene, a
tutti-.
Concludo la chiamata. Non si poteva andare avanti, mi avrebbe fatto troppe domande, ed in quel
momento volevo stare con Eliza...
-è molto carina e gentile tua madre- mi dice guardando il pavimento.
-Fidati, è solo apparenza-. Le dico scocciata del fatto che mia madre avesse chiamato in un
momento come quello.
-Vuoi un bicchiere d’acqua?-. Le chiedo dolcemente avvicinandomi al piccolo frigo.
-Si grazie-. Si asciuga le lacrime.
Vorrei davvero capire cosa la turba.
So che vuol dire tenersi tutto dentro ed avere così tanti segreti che alla fine neanche tu conosci.
Senti quel malore alla pancia, senti che tutto ciò ti sta divorando ma non puoi farci nulla. Convivi
col mostro che è in te ogni giorno, sbaglia e lo copri, piangi e lui si fa sentire dentro di te. Sensi di
colpa, sofferenza, piangi, singhiozzi e di nuovo sensi di colpa, di nuovo soffri, piangi e ti senti
soffocare. Le parole rimangono vuote dentro la gola, e le corde vocali sembrano che siano legate
strette tutte insieme e non vogliono saperne di funzionare. Tu non vuoi saperne di liberarle e ci
convivi. Convivi con il mostro che è in te e continui a chiederti se un giorno morirà, ma ti chiedi
anche che se un giorno dovrebbe scomparire, tu chi saresti? Chi potresti essere? Basavi la tua vita
sulla sofferenza, su ciò che c è ma che non vedi, sai però che ti tocca eccome. Ti strappa il cuore e
lo riduce in mille pezzi. Quindi chi diventeresti?
-Senti Cate, se vuoi tornare alla festa per me va bene. Io sto bene-. Sorseggia la sua acqua e mi
distrae da quel mio flusso di pensieri pieni di domande con risposte sconosciute.
-No tranquilla. Rimango qui, domani abbiamo scuola, non è il caso che io rimanga fino a tardi
fuori-. Comincio a spogliarmi, infilo il pigiama e sono sotto le coperte dopo neanche 20 minuti.
Spengo la luce.
-Buona notte-. E mi tiro addosso il lenzuolo.
-Buona notte-.

CAPITOLO 9
Primo giorno di scuola

6.45 a.m.
Eliza mi sveglia perché dobbiamo alzarci ed indossare le nostre divise, qui la scuola comincia alle
7.30 e finisce alle 12.30. Indossate le divise con un gonna blu, una camicia bianca, una cravatta
rossa e la giacca blu prendiamo i nostri zaini e ci dirigiamo alla Indian school for you. Appena
entrate il corridoio era pieno zeppo di manifesti, armadietti personalizzati e gente che se la spassava
e rideva, nessuno trattava male nessuno, tutti erano amici di tutti, la scuola che ho sempre sognato.
-Beh non è niente male questa scuola no?- mi rivolgo verso Eliza che già si era fatta strada verso la
sua prima lezione di arte.
-come non detto- mi dirigo anche io alla mia prima lezione di scienze.
Appena suona di nuovo la campanella mi dirigo verso la biblioteca.
-E così tu sei una di quelle nuove-. Afferma una ragazza alta, magra, dai capelli rossi e selvaggi e
gli occhi quasi grigi.
-Scusa ti conosco?-. Chiedo imbarazzata.
-No no, non ci conosciamo, ma io conosco te. Sono Americana, ma parlo anche italiano. Sono
venuta qui per un anno all’estero-. Afferma contenta.
-Beh per essere americana parli davvero bene italiano-.
-Grazie. Posso sedermi?-. mi chiede poggiando la mano su una sedia.
-Ma certo che puoi-. Le faccio spazio togliendo qualche libro di troppo.
-Che studi?-. Mi chiede molto curiosa.
-Scienze, non che io abbia capito moltissimo, è tutto in inglese-. Accenno una risata isterica.
-Aspetta posso aiutarti a tradurlo-. Nonostante la lingua italiana appresa in un modo eccellente ogni
tanto qualche accento lo sbagliava, ed era quasi carina come cosa. Prende un foglio e traduce il
primo paragrafo, poi il secondo, il terzo, ed il quarto. Fine della pagina.
-Wow-. Affermo sorpresa trovandomi davanti gli appunti in italiano.
-Se c’è qualche errore grammaticale perdonami, sono brava a parlare ma a scrivere un po’ meno-.
Sorride.
-Grazie davvero. Comunque non so ancora il tuo nome-. Prendo il quaderno ed inserisco il foglio tra
gli appunti.
-Si scusami, mi chiamo Lauren-.
-Bel nome, davvero-. Sistemo il tutto nello zaino, dovevo andare all’ultima lezione, storia.
-Io dovrei andare-. Zaino in spalla e via.
-Bene è stato un piacere parlare con te, Cate-.
-Grazie, anche per me, speriamo di vederci presto-. Accenno un sorriso e mi dirigo verso l’aula.
Era arrivato finalmente il momento di tornare in hotel, appena uscita fuori alla porta c’è Noah con la
sua macchina.
-Ciao bellezza- mi dice con tono dolce.
-ehi- gli sorrido e gli lascio un bacio sulla bocca.
Vicino a noi si trova Eliza, dovevamo tornare in hotel insieme.
-Eliza senti vuoi un passaggio? Così non devi andare a piedi da sola-.
-Non vado da sola, c’ è Oliver che mi accompagna con il suo motorino-.
-Chi è Oliver?- le chiedo in un modo aggressivo, sgarbata.
Sono aggressiva. Non so, non ho mai avuto una reazione del genere, forse è lo stress che devo
ancora sbollire.
-Calma! È un ragazzo che ho conosciuto nell’aula d’arte, parla un pochino italiano ed è facile
comunicare con lui, ci vediamo più tardi Cate-.
Così Eliza sale sul motorino con questo Oliver, ed io sto provando un immensa gelosia.
-Tutto bene Cate?-. mi chiede Noah.
- Si, tutto ok-.
Ma in realtà non era vero. Di solito, in momenti simili, quando mi sento triste ed arrabbiata parlo
con Ester, che mi aiuta sempre a calmarmi.
Ma non potrei certo dirle che sono gelosa per una ragazza…
Forse è solo una fase o un momento così, anche se conosco da poco Eliza comunque le voglio
bene.

CAPITOLO 10
Una giornata al mare

Sono passate due settimane dal mio arrivo a Mumbai.


Sono in camera di Noah. Ho passato la notte qui. Mi risveglio tra le sue braccia, e con solo la
biancheria addosso.
Ricordo poco della sera precedente. Siamo andati in una discoteca a ballare, il Throb Club. Penso di
aver bevuto troppo. Per la testa ho solo varie scene della serata. Un drink di troppo, Noah che mi
prendere per i fianchi, il suo fiato sul collo, i baci incontrollati, le labbra viola ed un po’ di dolore,
ma infondo è così che descrivono la prima volta. È stato strano. Di solito le ragazze la mattina si
svegliamo emozionate, felici di aver passato la notte tra le braccia di chi amano, ma perché io non
mi sento così?
-Buon giorno amore-. Mi dice con tono dolce appena sveglio.
Mi aveva trovata con gli occhi aperti a fissare il vuoto ma immersa nei miei pensieri, riflettevo sul
fatto che forse Noah non era quello giusto, perché ero così gelosa di Oliver, ed il solo pensiero che
lui e Eliza avessero dormito insieme questa notte sul nostro letto mi faceva salire una rabbia
pazzesca.
-Buon giorno amore-. Rispondo dopo qualche secondo.
-Tutto ok?- mi chiede girandosi su una spalla rivolto verso di me, e con il braccio destro mi avvolge
tra i suoi muscoli da far paura.
-Si sto bene, ma forse è ora che io torni in camera a prepararmi per la colazione, sennò facciamo
tardi.
-Ma amore in camera tua si trova Oliver con Eliza, non vorrai disturbarli-. Ride.
-No ma si devono alzare o faremmo tardi alla colazione-. Rispondo con tono seccato.
- Perché ti interessa così tanto della colazione?-. mi chiede incuriosito.
In realtà non mi importava nulla, volevo solo che Oliver sparisse dal mio letto insieme ad Eliza.
-Senti tesoro, ti vedo parecchio stressata, ti va se oggi andiamo al mare?-. mi chiede
accarezzandomi il braccio cercando di tranquillizzarmi.
Ormai ero in piedi a recuperare la mia roba quando gli dissi: -Va bene-. Poi accennai un sorriso,
magari riuscivo a distrarmi e a non pensare ad Eliza.
-Ok allora chiamo Oliver e lo invito con Eliza al mare con noi-. Mi dice Noah.
Non ci potevo credere, pensavo che il mare fosse una scusa per passare del tempo noi due prima
delle partenza per tornare a casa che si sarebbe tenuta tra 1 mese.
-Ma pensavo fosse un momento per stare io e te, senza Oliver,che odio,ed Eliza-.
-Potresti non odiarlo, è diventato il mio migliore amico, per favore-.
-Proverò, ma solo per te-.
Mi sorride e mi lascia un bacio leggero sulla guancia.
Qualche minuto dopo comincio a dirigermi verso la mia stanza, dove ad attendermi ci sarebbero
stati Oliver ed Eliza.
Entro nella camera e senza degnare di uno sguardo nessuno, mi dirigo verso l’armadio.
Quei due zomparono al mio arrivo, evidentemente stavano facendo qualcosa.
-Potresti anche bussare eh!- mi dice Eliza con tono seccato, mentre Oliver recupera i vestiti, e dopo
aver preso i miei, lo spingo via dal lato del mio letto e lo butto per terra.
-Ehi che fai?- mi dice lui mentre si massaggia un fianco per la caduta.
-Niente, mi riprendo il mio letto-. Rispondo senza neanche guardarlo.
-Ora smamma, prima che ti butti non dal letto, ma dal balcone-.
Mentre Oliver sta uscendo il suo telefono squilla, era per forza Noah, che gli diceva della spiaggia.
Lui risponde, ma poi chiude la porta, e non si sente più niente di quel che stava dicendo.
-Ma perché lo hai fatto?- mi chiede Eliza incredula che io abbia buttato il suo ragazzo giù dal letto e
cacciato dalla stanza.
-Perché doveva andarsene, la stanza è la nostra, non la sua-. Affermo dando un tono alla frase come
se fosse ovvia.
-Mi sembra che fino a 5 minuti fa tu eri nella sua stanza, o sbaglio?- controbatte Eliza.
Oliver aveva deciso, dopo che il compagno di stanza di Noah aveva lasciato, di stare insieme a lui,
così da essere anche vicino ad Eliza.
-Si ma, doveva andarsene punto-.
-Perché ti comporti così con lui? È tanto un bravo ragazzo, non che il mio fidanzato, quindi vorrei
che non venisse trattato così da te-.
Eliza sembrava supplicarmi di farmi andare bene Oliver, ma sono gelosa, non ci riesco.
-Non mi sembra che tu ti sei fatta andare bene Noah-. Affermo io.
-Si ma, con lui è un’altra cosa-. Mi risponde Eliza cercando di giustificarsi.
-è la stessa cosa, mi chiedi di farmi andare bene Oliver quando a te non va bene Noah, ma ti ascolti
almeno?-
-Si e… non posso dirtelo. Senti siamo amiche, anzi per me sei come una migliore amica, possiamo
metterci l’anima in pace per una volta?- mi chiede Eliza.
-Ci provo- le rispondo con un tono serio e distaccato.
Questa storia stava andando avanti da troppo e non sopportavo più la loro relazione.
-Senti, Noah mi ha detto di chiederti se a te e Oliver va di venire questa mattina in spiaggia con
noi-. Le chiedo rimanendo calma, quando in realtà il nome Oliver volevo risparmiarmelo.
-Si certo-. Mi risponde sorridendo, un sorriso spontaneo che adoro in lei.
-ok- le dico accennando un sorrisetto, non potevo mantenermi distaccata, con quella sua espressione
dolce.
Facciamo colazione tutti insieme e andiamo in spiaggia, appena arrivati i ragazzi montano gli
ombrelloni, visto che Eliza si brucia facilmente. Cominciamo con una guerra di sabbia, subito dopo
vado a dare una mano anche io.
Noah si allontana un attimo da me ed Oliver, che nel mentre stiamo montando il secondo
ombrellone.
-Allora? Come va?- chiede gentile ad Eliza.
-Bene-. Risponde lei scocciata.
- Ti va dopo se ci facciamo una partita a pallavolo?Io e te, contro quei due-.
-Senti- Eliza lo porta un pochino più distante da noi per non farci sentire. -La devi smettere di fare il
carino con me ok? Non voglio reggere nessun tuo giochetto e neanche farne parte, ti conviene stare
lontano da Cate, è chiaro?-.
Da lontano vedo Eliza parlare con Noah, mi sembra che lo minacci, perciò corro da loro e cerco di
evitare problemi.
-Che succede qui? Parlate?- chiedo cercando di spezzare quell’aria così imbarazzante e di sfida.
-No niente, parlavamo dei vari corsi lì all’hotel. E Noah voleva provare il corso di bocce, e
partecipare alla gara-. Così termina Eliza con un sorrisetto da vendetta.
-Ah, amore non me lo avevi detto, ma non sei un pochino giovane? È per gli anziani quel corso-.
Prima che Noah mi potesse rispondere,subito i suoi occhi cadono su quelli di Eliza.
Lo minaccia con lo sguardo di stare al suo gioco.
-Ehm no amore, te lo avrei detto a breve. Era una sorpresa e, non penso sia da anziani, è un gioco
molto famoso e praticato; scommetto che ti piacerà-. Risponde imbarazzato e confuso.
-Ehm ok, comunque Oliver ha montato i due ombrelloni, chi vuole fare il bagno?- chiedo eccitata
all’idea.
Corriamo tutti in acqua e cominciamo a schizzarci ed affogarci, poi Noah prende la palla e
cominciamo a giocare a pallavolo. Io ed Oliver contro Eliza e Noah.
-Dai tocca a voi-. Urla Eliza
-Chi tira?-. Chiedo rivolgendomi ad Oliver.
-Batto io dai-.
-Oliver ti sfido a lanciarla più forte che puoi-. Dice Noah aggiustandosi il ciuffo tutto bagnato.
-Va bene-. Dice lui ridendo sotto i baffi e preparandosi al lancio.
-Si, se devi fare questa scemenza almeno sta attento a dove la lanci-. Affermo scocciata.
So che sbaglierà mira e farà male a qualcuno.
-Vado-. Lancia la palla in aria, i muscoli del suo braccio sembrano contrarsi e diventare tutt’uni. La
palla tocca la mano, va velocissima, ma non nella direzione prevista. Colpisce Eliza in faccia,
tempo due secondi che comincia a sanguinare. Vedo il mare tingersi di rosso, la faccia impanicata
di Oliver e Noah stava correndo verso di lei. Tutto sembra andare così lento, il mare tinto di un
colore opposto a quel che ha di solito mi fa ricordare una scena che terrò in mente tutta la vita.
11 anni prima…
-Papà, guarda come lancio la palla-. Avevo 4 anni, ero la bambina più felice su questo pianeta. Mio
padre mi osserva divertirmi sulla riva, lancio la palla e la riprendo, la lancio e la riprendo, un calcio,
cado per terra, mi rialzo. Adoravo giocare sulla riva.
-Ti va se ci facciamo un bagno a mare?-. Chiede lui togliendosi la maglietta. Mia madre e le mie
sorelline quel giorno non erano con noi. Erano rimaste a casa a studiare, e la mamma doveva badare
ad Emily che era ancora troppo piccola.
-Chi arriva per ultimo in acqua è un asinello-. Gli dico buttando la palla per terra e cominciando a
correre in acqua.
Arrivo prima io, mio padre fa un tuffo che anche i pesci a largo hanno sentito.
-Mi hai fregato, piccola furfante-. Mi prende in braccio e mi fa girare. Non mi sentivo la principessa
di papà, non mi ci sono mai sentita, con lui ero parte di una squadra, con lui era tutto possibile e non
mi sentivo più importante. Eravamo alla pari, ci amavamo alla pari e se dovevamo lottare,
dovevamo farlo alla pari ed insieme.
-Papà prendi la palla?-. Gli chiedo facendo galleggiare la mia paperella di gomma nell’acqua bassa,
anche se mi arrivava alla pancia. Da seduto si alza e corre e prenderla. Prima di rientrare in acqua
comincia a toccarsi lo stomaco, lamentandosi.
-Papà tutto bene?-. chiedo senza distogliere lo sguardo dalla mia paperella.
-Si si, forse non dovevo mangiare ed entrare subito in acqua-. Dice sorridendo, anche se il suo
sguardo era più di dolore. Continua a lamentarsi e di entrare in acqua non ne vuole sapere, rimane
lì, fermo in piedi, sulla riva, con la palla in mano che speravo ancora di toccare per giocarci. La mia
paperella galleggia e le onde la portano via, la tengo stretta a me, ma continuo ad insistere
chiedendo a mio padre se va tutto bene. Lui comincia a tossire.
-Hai la tosse papà?-. Alzo finalmente lo sguardo, lo vedo soffrire, ma a quell’età nulla per te è
dolore.
-Papà sta bene, ora entro in acqua e giochiamo-. Provava a camminare ma le gambe era evidente
che stavano cedendo. Tossisce di nuovo ma sta volta perde sangue…
Continua a perdere quel che io chiamavo “dolore rosso”. Quando ero bambina la mia
immaginazione non smetteva mai di funzionare. Quando mi facevo male, e mia madre o mio padre
osservavano quel taglietto mi dicevano sempre: è solo un po’ di sangue, un cerottino e via. Quella
parola “sangue” non mi piaceva, non faceva per me, però quando usciva provavo dolore, piangevo
perché faceva tanto male. Allora lo chiamavo “dolore rosso”, faceva male, ed era rosso.
-Papà ti sta uscendo il dolore rosso-. Continuo a giocare con la paperella, rimpiango di non essermi
allarmata prima, ma ero piccola.
-Tranquilla-. Dice lui tra un colpo di tosse e l’altro premendosi una mano sulla bocca. Quella mano
era ormai piena di sangue, sembrava non respirare.
-Ti metto un cerottino e via-. Dico sorridendo.
Lui mi guarda, mi sorride, vedo una pace nei suoi occhi e pensavo che quel dolore rosso aveva
smesso di fargli male, ero pronta a giocare.
Ma non andò così.
Mi guardò, si era ormai piegato, quasi accucciato. Quel sorriso mi rimane impresso nella mente, lo
vedo cadere nell’acqua, si posa subito sulla sabbia. Quel colore corallino, celeste come il cielo, si
confondevano così tanto che volevo nuotare in entrambi i posti, lo vedo tingersi di quel dolore
rosso, lo sento addosso e tinge anche me. Non volevo dolore, non volevo sentirlo.
I taglietti che mi facevo con la carta, con le forbici a scuola bastavano per capire che non volevo
provare dolore. Ma forse un cerotto non avrebbe tolto quel rosso… un rosso che avevo dentro di
me.
Rimango a fissarlo, era sott’ acqua, ed io non sapevo cosa fare.
Ero paralizzata, quel dolore rosso mi teneva stretta a sé e non mi permetteva di ragionare anche con
la mia tenera età.
Si avvicinano persone degli ombrelloni accanto, lo tirano fuori dall’acqua, urlando.
-C’è un medico?-. ripetevano la stessa frase in continuazione. Si accerchiano tutti attorno al mio
papà. Che stava succedendo? Una signora corre da me.
-Chi aiuta la bambina?-. La signora era in preda alle lacrime, se ci penso ora dovevo essere io a
piangere, e non lei.
-Pensiamo a salvare il papà-. Dice un altro uomo.
-Salvare papà? Sta male?-. chiedo curiosa. D’improvviso era come se avessi riacceso il mio
cervello. Sentendo che la persona più importante per me stava male, è stato come un interruttore per
mettere in moto la lampadina, così da sprigionare luce. Mi libero dalle braccia della signora e corro
in quell’ammasso di persone, ne cercavo una sola, volevo rivedere solo un volto e tra quelle mille
voci ne volevo sentire una, peccato che quella voce era l’unica spenta ormai tra tutte e non l’avrei
più sentita.
Le persone continuano a gridare. Mi volto verso il mare e quel dolore rosso, era ancora lì, tra le
onde. Se ne sarebbe mai andato?

Ritorno nella realtà.


Noah è appena arrivato da Eliza, Oliver invece è ancora scioccato.
Riprendi le redini. Riprendi le redini. Riprendi le redini. Continuo a ripeterlo nella mia testa. Quel
dolore rosso mi aveva già fermata una volta, la seconda doveva essere diversa. Così avevo detto a
mia madre mentre mi stringeva tra le braccia piangendo per la morte del mio papà.
Il mio sguardo era fisso sul sangue nel mare, ripresi il controllo, corsi da Eliza, non avrei commesso
lo stesso errore. La portammo a riva.
-Corri, dammi dei fazzoletti-. Urlai a Noah, lui si sbriga ad aprire la tasca dello zaino e cercare i
fazzoletti.
Eliza premeva con la mano sul naso, io la aiutavo. Il flusso era tantissimo, stava ricoprendo tutta la
sabbia sotto i nostri piedi.
-Non aver paura-. Le dico guardandola dritta negli occhi.
È preoccupata,ha un’ansia diversa da quella prima di una verifica o un interrogazione.
È quell’ansia di morire che abbiamo provato tutti almeno una volta nella vita. Mi volto verso
Oliver. -Come ti è saltato in mente? Ti avevo detto di stare attento ed hai fatto tutto il contrario-.
Ero infuriata, quel ragazzo non ci stava con la testa.
-Cate li ho trovati-. Dice Noah aprendo il pacchetto. Gli tremavano le mani.
-Tu chiama un ambulanza. Renditi utile dio mio-. Mi rivolgo ad Oliver che era colui che aveva
causato il problema ed era l’unico immobile a non fare nulla.
-Si si ora la chiamo-. Balbettava e faceva difficoltà a digitare i tasti.
Poggio il fazzoletto che subito si sporca. 5 minuti e già il primo pacchetto era andato. Che casino.
L’ambulanza arriva in fretta, la caricano ed io resto con lei. Oliver ci segue in motorino, anche se
non era in grado di guidare. Noah con la macchina ed un paramedico molto gentile mi fa salire
insieme ad Eliza.
Entriamo in ospedale in fretta e furia e la ricoverano per il setto nasale rotto.
Eravamo tutti preoccupati di come sarebbero intervenuti, perché ci sono delle manovre che fanno
un male.
Siamo in sala di attesa, quando dalla camera di Eliza esce un’infermiera e chiede se qualcuno di noi
poteva entrare a tenere la mano a lei, mentre i dottori le rimettevano apposto il naso.
-Entro io-. Subito si alza Oliver.
-Ma sei matto? Glielo hai fatto tu questo, non se ne parla neanche! Vederti la farebbe stare peggio.
Entro io, sono la migliore amica-. Mi faccio coraggio ed entro. So che avrei sentito delle urla
terribili, ma devo aiutarla, e farle capire che ci sono.
-Ehi-. Le dico con tono dolce mentre mi accomodo accanto a lei. Il sangue si era fermato ed ero
contenta per questo.
-Farà male?-. Mi dice lei con le lacrime agli occhi andando subito al sodo.
-Si, farà male, non ti mento, ma ci sono io. Stringimi la mano più forte che puoi. Sono qui con te. Il
dottore si avvicina al suo volto. Le tocca delicatamente il naso.
-Ehi, pensa ad altro ok?- Le dico. -Ti ricordi in camera nostra quella sera che mi misi con la fronte
poggiata alla tua, per farti calmare? Ecco, fai finta che ora noi stiamo così e non in un ospedale, con
la puzza di candeggina-.
-La sera del quasi bacio-. Sussurra guardandomi solo con gli occhi, non muovendo la testa. Ma
prima che io potessi accennare un sorriso, o fare un espressione, oppure dirle qualcosa, il dottore le
muove il naso. In un colpo secco fa la prima mossa.
Eliza lancia un urlo che fa allarmare tutte le persone nel corridoio e nella sala d’attesa.
Mi si stringe il cuore a sentirla urlare, non esiste cosa più dolorosa in tutto il mondo. Le urla
continuarono per altre 3 volte, e finalmente il suo naso torna a posto.
È sera, siamo ancora in ospedale.
Guardo Eliza addormentata. Sono seduta sulla poltroncina accanto al letto e le tengo la mano,
Noah è fuori e sta telefonando, Oliver è appena uscito dalla stanza
Per andare a prendere i caffe.
D’improvviso Eliza si scuote e fa dei versi. Con l’altra mano le accarezzo una guancia
incoraggiandola ad aprire gli occhi.
-Ehi sei sveglia, come stai?- le chiedo con un’aria dolce.
-Bene, sto bene-. Mi sorride.
-Vieni-. Si sposta e mi fa spazio sul suo letto, per farmi sdraiare vicino a lei.
-Sicura? Non ti do fastidio?- Le chiedo preoccupata.
-No mi farebbe piacere-.
Mi alzo e mi sdraio accanto a lei. Ci guardiamo, ovviamente i nostri nasi non si toccano, ma siamo a
poco di distanza.
Eliza si fa un pochino avanti, fissandomi le labbra, ho le farfalle nello stomaco, come quella sera, le
nostre labbra si stavano per toccare, quando la porta si apre.
Facciamo in tempo a staccarci, vediamo Noah che fissa il telefono, senza degnare nessuno di uno
sguardo.
Io mi alzo e vado da lui.
-Ehi, dove è Oliver?- chiedo curiosa.
-è qui fuori, ha paura di entrare, per Eliza-.
-No, digli di entrare, non sono arrabbiata-. Dice lei con voce stanca.
Oliver entra nella camera ad abbracciarla implorandole perdono.
-Scusami amore, perdonami-. Continua a dire.
Allora mi rendo conto che io non ho mai avuto l’occasione di scusarmi con mio padre, per non aver
fatto nulla, per essere stata immobile nel mio dolore. Non l’ho mai visto su un lettino di ospedale
ma ancora vivo, lì a sorridermi e dirmi che non era successo per colpa mia. Vivo con questo
rimorso, con il mostro che ho dentro.
Con quel pensiero intesta, trascorro la notte accanto a Eliza dormendo a sprazzi.
La mattina seguente Eliza viene dimessa.
Torniamo all’hotel e, mentre lei riposa, io, Noah e Oliver le facciamo compagnia.
Ordiniamo una pizza r ci guardiamo un film horror scelto da Oliver e Noah; hanno un debole per gli
horror quei due.
Io ed Eliza abbracciate tremiamo dalla paura, invece i ragazzi ridono e fanno battutine dandosi il
cinque ogni volta.
Finita quella serata, i ragazzi tornano nelle loro camere, noi restiamo a gustarci un frappé offerto da
Oliver, per farsi perdonare.

CAPITOLO 11
Abbiamo sbagliato

-Come va il naso?- le chiedo,


-Bene, ora che non ho più il cerotto mi sento bene, però fa abbastanza male, è solo viola per i lividi,
ma non lo sento neanche-. Termina ridendo, ed io la seguo, poi piombiamo in una espressione seria
e ci guardiamo negli occhi.
-Sono contenta che stai bene-. Le dico sorridendo.
-è merito tuo. Fossi stata sola con quei due imbecilli di certo sarei morta dissanguata-. E ride. La
sua risata è fantastica.
-Già, in situazioni del genere so mantenere il controllo, me lo hanno insegnato a kick boxing, cioè
volevo dire a nuoto-. Mi correggo subito, visto che Eliza non sa chi sono veramente.
-A nuoto insegnano queste cose? Non lo sapevo-. Mi dice stranita ma sempre con un sorriso sul
volto.
-Già, neanche io lo pensavo-.
Poi torniamo a guardarci. Si avvicina di nuovo, mordendosi il labbro inferiore, non posso resistere,
ma è sbagliato; noi siamo fidanzate con altre persone, e non sarebbe giusto nei loro confronti. Ma
appena è a 3 centimetri di distanza persi il controllo. Non so cosa è giusto e cosa è sbagliato. È la
prima volta che non riesco a ragionare, così subito mi fiondo io per interrompere quello spazio tra di
noi che sembrava così grande.
Le nostre labbra si toccano, il bacio diventava sempre più passionale, ma sempre più sbagliato.
È un errore quello che stiamo facendo, ma le sue labbra sono così morbide, e delicate, come quel
bacio, leggero che poi si trasformò in qualcosa di più grande.
In sentimenti profondi l’una per l’altra. Ci stacchiamo, io la guardo dritta negli occhi e l’unica cosa
che riesco a dire è: non posso.
Mi alzo e corro via, non so precisamente dove ma corro, lungo il corridoio.
Quando arrivo alle scale incontro una mia amica, Sarah, che mi vede in panico e bianca cadaverica
e mi chiede cosa fosse successo.
-Posso dormire nella tua stanza questa notte? Ti prego, ti racconto tutto-.
-Ma certo Cate, vieni-.
Mi prende la mano e mi porta verso la sua camera, e lì comincio a raccontarle tutto.
-Non ci posso credere, che bello-. Mi dice Sarah con un sorriso enorme sul volto.
-è fantastico-. Esclama per concludere ciò che sta dicendo.
-Io non penso sia fantastico, abbiamo tradito i nostri fidanzati, e non credo sia stata la cosa giusta da
fare-. Le confesso imbarazzata.
-Ascoltami, ti piace Eliza?-.
-Si, tanto-. Arrossisco. Sono così imbarazzata a parlare di queste cose con delle persone che non
siano Ester, ma adesso mi devo far bastare Sarah.
-Invece ti piace Noah-.
-Si-
-Ma ti piace come Eliza o di più?- Mi chiede in attesa di una risposta diretta e precisa, ma
soprattutto sicura.
-Di meno, credo di amare Eliza, invece Noah mi piace e basta ma non voglio spezzargli il cuore, è
un bravo ragazzo-.
-Non gli spezzerai il cuore, digli soltanto che ti sei innamorata di un’altra persona, e che vorresti
finirla qui per non continuare ad illuderlo che tu lo ami, quando in realtà non è così-. Sarah aspetta
un segno di vita da parte mia mentre fisso il pavimento, raccogliendo ogni singola parola che
pronunciava, così da analizzarla e studiarla, per formare una frase da dire a Noah per chiudere la
nostra storia.
-Va bene, ma ora cosa faccio? Sono scappata dalla camera con Eliza, devo tornare? E se torno poi
che le dico? Forse non torno va, oppure si, Sarah che dovrei fare?-
-Intanto ti devi calmare. Il problema principale,cioè Noah, lo abbiamo risolto; più o meno.
Comunque tu domani gli parlerai, invece con Eliza dovresti parlare, devi dirle che anche lei deve
lasciare il suo ragazzo, e poi vi potrete mettere insieme.
Comunque siete una coppia bellissima-.
-Grazie-. Accenno un sorriso da ebete al solo pensiero di stare con Eliza.
-Adesso vai, su, va da lei-. Mi incoraggia Sarah.
-Grazie infinitamente, ti devo un grande favore-.
-Ma no tranquilla, a domani Cate-. Lo urla cercando di farsi sentire da me, che ero già partita
lontano verso la nostra camera, verso Eliza.
Entro dentro, la trovo seduta sul letto a leggere un libro dalla copertina interessante.
-Ehi-. Le dico giocando con la manica di una felpa una taglia più grande.
-Ehi-. Mi risponde lei guardandomi 3 secondi e poi ritorna a leggere.
Ha le guance rosse come chi abbia appena pianto.
-Cosa leggi?- Le chiedo sedendomi sul nostro letto, e mi misi vicina a lei, prendendo la sua mano e
facendo in modo che le nostra dita combaciassero.
-L’ aereo passa solo una volta-. È molto carino, credo possa piacere anche a te.
Parla di una storia d’amore, mia madre me lo regalò quando alle medie il mio fidanzato mi lasciò,
questo libro insegna che troverai anche tu la tua anima gemella, e potrebbe essere nell’aereo che
non ti aspettavi di prendere; basta solo aspettare, però io trovo una certa somiglianza con la nostra
storia-. Poi mi guarda e sorride.
Si avvicina alle mie labbra e prova a baciarmi.
-Aspetta- Le dico io scansandomi. -Dovremmo prima lasciare i nostri fidanzati, non possiamo
tradirli così, non è giusto, sono dei bravi ragazzi e non voglio spezzargli il cuore-.
-Da quando definisci Oliver come un “bravo ragazzo”?- mi fa notare lei ridendo.
-Ma smettila-. Le do una piccola spinta ridendo.
-No sai come è, quando mi ha rotto il naso sembravi piuttosto arrabbiata, anzi no, ce l’avevi a morte
con lui-. Scoppia in una risata che contagia anche me.
Non so perché l’ho fatto,ma mi precipito da lei e la bacio fino a consumarmi le labbra, fino a
perdere la condizione del tempo, per poi staccarmi e dire:
-Scusa, sono un imbecille, prima ti ho detto di no ma alla fine l’ho fatto io-.
-No tranquilla, solo potresti non dire “scusa”, oppure “ non posso” dopo un bacio? Non credo sia la
tipica frase da dire subito dopo un momento del genere-. Ride per poi terminare la frase dicendo:
Credo che la giusta parola sia “Ti…” subito le tappo la bocca.
- No ferma, non è ancora il momento giusto per dircelo- poi le tolgo la mia mano dalla bocca.
-Va bene va bene, ma quando chiuderemo con i nostri fidanzati?- Mi chiede Eliza.
-Al più presto-. Mi mordo il labbro e ci torniamo a baciare.

CAPITOLO 12
Eliza, non capisco
Il giorno dopo ci incontriamo con i ragazzi al bar, Eliza ed Oliver sembravano flertare e questo mi
infastidisce parecchio , fino alla sera prima non vedeva l’ora di lasciarlo ed invece adesso lo
provoca con lo sguardo? Mi vengono dei dubbi.
-Amore? Amore ci sei?- Mi risveglia dai miei pensieri Noah.
-Si eccomi dimmi, stavo pensando-.
-La barista ti ha chiesto se volevi qualcosa, noi abbiamo già ordinato, manchi solo tu-.
-Si scusate, io vorrei solo un caffè-.
-Amore ma un caffè sicura ti basti per metà giornata? Oggi hai l’ultimo esame di fisica-.
-Si penso mi basti, tranquillo tesoro-.
-Va bene-.
-Ok allora, un caffè, 3 cappuccini, e 7 cornetti-. Riassume la cameriera.
-7 cornetti? Chi ha ordinato 7 cornetti?- domando io sorpresa.
-Uno è per me-. Mi spiega Noah.
-Io ne ho ordinati 6, quando sono nervoso mangio tanto-. Afferma Oliver.
-Ah, ma come fai a rimanere così magro?- gli chiedo curiosa.
-Ah non me lo chiedere perché non lo so-. Mi dice lui scherzando per poi voltarsi verso Eliza e
lasciargli un bacio sulle labbra.
Finita la colazione andiamo a scuola, è giunta la mia ora, devo affrontare l’ultimo test di fisica, ed
avrei ottenuto una borsa di studio nella mia scuola normale.
-Good guys, name and surname on the paper- così ci diede le istruzioni la signora Estremaier.
Impugnai la penna, ovviamente il test era ancora più difficile per me essendo scritto in inglese ma
se non capivo qualcosa potevo utilizzare il dizionario o google traduttore.
Non ci capivo nulla, ed era un grande problema, non potevo deludere così i miei genitori, avevo una
fame da urlo, forse avrei fatto meglio ad ascoltare Noah questa mattina al bar, ed ora mi sento
svenire.
-Miss. Streanger are you ok?-. mi chiede la professoressa preoccupata.
Le spiego che questa mattina non ho fatto colazione ed ora ho così tanta fame che non ci vedevo più
nulla.
D’improvviso una ragazza si alza, e mi lascia un pezzo di panino sul mio banco. La segue un suo
amico e mi lascia una merendina alla cioccolata, infine un’altra ragazza mi lascia una boccetta
d’acqua, erano davvero carini in quella scuola, sono i compagni che ho sempre sognato.
Ma dentro il panino si trovava un biglietto con la soluzione della domanda numero C, nella bustina
con la merendina si trovava la risposta alla domanda numero T-S-E, ed infine nella plastica della
bottiglietta c’erano tutte le altre.
Quei ragazzi mi avevano aiutata, anche se non avevano ragione per farlo; non abbiamo mai parlato,
ma mi hanno vista in difficoltà ed hanno fatto una cosa che quelli della River non farebbero mai.
-Thank you-. Risposi con un labiale a tutti quelli che mi avevano aiutata.
Finita la scuola sono uscita ed ho incontrato Oliver ed Eliza sul motorino, a parlare.
-Ehi, come va?-
-Ehi Cate, bene tu?- mi risponde Eliza, felice di vedermi.
-Ciao Cate-. Mi dice Oliver, ma io gli lancio solo che un occhiataccia.
-Tutto bene, senti Eliza, ti va se andiamo a piedi all’hotel? Insieme intendo-.
-Ah scusa Cate ma, io ed Oliver volevamo andare insieme, e poi andare in camera sua, sai, Noah
non c’ è quindi, ne approfittiamo-.
Si volta verso Oliver e gli sorride.
-Ah ok, non fa niente vado da sola, visto che Noah è alla partita, va bene, ci vediamo.
-Ok, ciao Cate-. Mi saluta Eliza con un sorriso e poi torna a parlare con Oliver
Sono confusa: il giorno prima mi bacia e mi vuole dire ti amo,il giorno dopo sta con Oliver, ci va a
letto e neanche fa caso della mia presenza?
Cammino per la strada, mani nella tasca del mio giacchetto nero leggero, cuffiette e canzone al
massimo. Mi sento così sola, così persa, ma questa sensazione non mi era per nulla nuova.
Rabbrividisco al solo pensiero di perderla. Forse lo sto già facendo, forse dovrei lasciarla in pace.
Ciò che si ama è sempre destinato ad andare via. Eliza per me è come un desiderio. Desiderio.
Desiderare. Sembra quando un bambino corre dalla mamma dopo aver notato in TV una pubblicità
di qualcosa che lo ha particolarmente attirato. Vuole quel qualcosa, lo desidera, ma forse i desideri
vanno oltre ciò? C’è chi desidera una famiglia normale, chi desidera un giocattolo a Natale, chi
desidera un sorriso, chi come nel mio caso, desidera di sentire una voce familiare ormai muta nel
silenzio da troppo tempo. Chi desidera di rivedere quel parco dopo scuola, dove da bambino correvi
per passare le tue ore tra l’altalena e lo scivolo. Desiderare è anche mettersi sotto il cielo stellato
ammirando ciò che con l’occhio non raggiungi ma con la mente si. La mente è desiderio.
L’immaginazione è desiderio, ma si può raggiungere? Ci capita ai compleanni di assistere al soffio
delle candeline ed ammirare il nostro familiare o amico esprimere il suo desiderio. Sappiamo tutti
che quel desiderio rimane fumo sulla cera sciolta. Come si realizza allora? Forse anche Pirandello
aveva un desiderio, che era quello di diventare famoso per le sue opere teatrali, ma non è forse quel
che ha fatto? Forse anche D’Annunzio aveva un desiderio, che potrebbe benissimo essere quello di
vivere la vita perfetta nella casa perfetta, non è quel che ha fatto alla fine? Anche Leopardi aveva un
desiderio, forse era quello di riuscire a vedere oltre quella siepe e non è quel che ha fatto? È stata
l’immaginazione a fargli realizzare il suo desiderio? Tutti noi sogniamo, tutti noi vogliamo tenere il
mondo tra le mani, ma solo chi desidera ottiene, solo chi sogna può vedere un desiderio sciolto dal
suo confine. Il mio desiderio è volare, volare su un aereo via da tutti, volare insieme a chi mi ha resa
felice in questi pochi mesi, chi mi ha fatto capire che anche io ho le ali. Anche io posso volare,
anche io posso respirare l’aria fresca. Questa persona è lei, e se è lei perché la devo lasciar andare?
Sarebbe come volare in alto ma vicini al sole, le ali si bruciano e cadi. Forse non è un male essere
come un aereo, ha un materiale così resistente ai raggi del sole. Allora perché io non posso essere
come quell’aereo? Perché non posso avere quella sorta di scudo che mi difende? Ho troppe
domande per la testa e mi da fastidio non trovarne la risposta, lascio perdere, sono ormai quasi
arrivata all’hotel.
Inciampo su un sasso come una stupida, il telefono si rompe, ho un ginocchio sbucciato. Tolgo le
cuffiette e provo a rialzarmi.
-Vuoi una mano?-.
Questa voce familiare mi riporta alla realtà. Alzo lo sguardo da terra ed è Lauren che mi tende una
mano.
-Si grazie-. Mi alzo e lei raccoglie le mie cose.
-è questo il tuo albergo?-. mi chiede dandogli un occhiata veloce.
-Eh si-. Sposto la ciocca fuori posto e la metto dietro all’orecchio.
-Bello. Senti ti va se andiamo a prendere qualcosa al bar?-. chiede con tono dolce.
-Ma certo, aspetta che vado in camera a posare tutte queste cose-.
Salgo, lancio lo zaino in fretta sul letto e poi corro di nuovo giù da Lauren.
Arriviamo in un bar niente male, ci sediamo ed ordiniamo qualcosa di caldo in una giornata
nuvolosa.
-Qualcosa ti turba?-. Mi chiede Lauren sorseggiando una bevanda alla nocciola.
-No, solo pensieri, penso troppo-. Le confesso ridendo.
-Anche io penso molto-. Mi confessa.
-A che pensi?-. le chiedo.
-Tu a che pensi?-. Mostra un sorriso.
-Beh se te lo dico non sarebbe più un mio pensiero-. Alzo le spalle.
-Beh allora vale anche per me-. Sorride ancora. Lascio qualche secondo di silenzio per poi
riprendere la parola.
-Vorrei essere come un aereo-. Le confesso tornando seria.
-Perché?-. mi chiede.
-Perché loro possono volare, vedere il mondo, non hanno paura del sole-.
-Tu hai paura del sole?-.
Quando mi fa questa domanda sembra avere un tono non di stupore, anzi molto normale.
-Non proprio-. Rido.
-Io penso di si. È difficile uscire allo scoperto, ma è facile bruciarsi-. Gira la sua bevanda.
-Cosa intendi per uscire allo scoperto?-. Chiedo curiosa.
-Sai che intendo-. Continua a fissare la tazza che ha davanti. Non ne vuole sapere di alzare gli occhi
e guardarmi.
-Sai chi sono?-. Chiedo con voce spezzata.
-Si. So chi sei. Ma so anche che lei non lo sa-. Finalmente alza lo sguardo.
-Lei chi?-. Forse sapevo già la sua risposta. Non era difficile da immaginare.
-Sai chi Cate-.
-Eliza?-. Sentivo la voce farsi sempre più piccola, soffocarsi nel silenzio e vivere nell’ombra che
nel mentre la stava divorando.
-Si, proprio lei. Quando pensi di dirglielo?-. Ha improvvisamente un tono freddo.
-Mai-. Confesso. Serro i denti ed una lacrima pizzica la mia guancia rosea in una giornata nuvolosa.
-Ti vedrà come ti vedi tu?-
-Il problema è che non so come mi vedo io-. Era vero, non so chi sono, non so neanche quale è il
mio vero carattere.
-Lei ti vedrà per come ti ha conosciuta Cate-. Mi prende la mano, come per darmi forza e conforto.
Ma purtroppo la forza la devo trovare io, non può darmela lei.
-Mi vedrà come mi vedono tutti. Come mi guardi tu in questo momento-. Faccio girare il cucchiaio
nella tazzina ormai vuota.
-Cate, basta nasconderti, il sole ti vedrà per la luce che emetti, non per le nuvole che porti-.
Quella frase era davvero bella, il sole vede un aereo per come è, non per l’aria che muove con le sue
ali.
-Lo so, ma non sono pronta-.
-Più andrai avanti con il tempo. Più sarà peggio Cate-.
-Non so neanche se le piaccio, è così confusa che muove i miei sentimenti come il mare e le sue
correnti, non so se le piaccio sul serio oppure se con me è tutto un gioco. Questi sentimenti sono
così nuovi ma hanno sempre vissuto in me, sono sempre stati qui ma non ho mai avuto il coraggio
di tirarli fuori, li ho soffocati, tenuti dentro, tenuti tra le braccia del mostro che è in me. Nessuno mi
ha mai amata, nessuno mi vuole bene e comprendo alla perfezione se lei arriverà ad odiarmi perché
mi odio anche io-. Sbatto un pugno al tavolo e le persone accanto si allarmano. Ero distrutta.
-Sono priva della mia libertà e non riesco neanche a trovarla fuori da casa, sono sempre
condizionata dalle scelte di qualcuno che mi risulta difficile dipendere dalle mie. Come riesco ad
uscire da questo cerchio?-. Le prime lacrime si fanno sentire. Era come un buco nero senza fine. I
sentimenti fanno così male.
-Metti un punto Cate. Apri gli occhi, basta vedere le cose come vuoi tu. Vedile da altre prospettive e
dai a questa storia un senso. Dai un senso per continuare a viverla perché il senso non lo darà di
certo Eliza. Sarai tu. In un modo o in un altro. Dipendi dalle tue scelte. Prendi tu una decisione.
Lasciala andare Cate…Lasciala andare… lei può vivere senza di te. Ma tu non puoi vivere senza te
stessa-.
Lascio che quelle parole scatenino una confusione nella mia mente. La vedo solo dal punto di vista
dei miei sentimenti e mi accecano. Ci alziamo e lei mi riaccompagna in hotel.
-Ti prego Cate, fa tesoro di quel che ti ho detto-. Mette le mani nelle tasche del suo giacchetto e poi
se ne va.
Mi siedo sul letto e penso al peggio, a me piace davvero tanto Eliza, e lasciarla mi farebbe solo
male.
Decido di farlo.
Chiamo Ester: solo lei può capirmi in una situazione del genere, è sempre stata aperta a tutto, lotta
per la giustizia, si mette contro chi ha un idea sbagliata e contro chi discrimina, anche se sono suoi
amici. Lei è stata la mia ancora per tanto tempo, mi riporta su quando sprofondo nei miei pensieri
negativi, quando credo possa succedere il peggio, è la me stessa che ho perso, è quella che io vorrei
essere ma in quei vestiti raffinati ed le acconciature non sarò mai.
Finalmente dopo vari tentativi risponde, evidentemente lì non prende bene.
-Ehi Cate- mi dice Ester.
-Ciao Ester- le sorrido, ma comunque avevo quella espressione un pochino strana.
-Che hai fatto? Devo uccidere qualcuno?- mi chiede lei preoccupata e turbata.
-No no è che…- provo a spiegarle ma escono solo che lacrime e le mie parole vengono soffocate dal
mio continuo singhiozzare. Ester riesce sempre a capire quando sto male oppure sono turbata, o
comunque un piccolo pensiero di passaggio mi turba la testa.
-Ehi Cate tutto bene? Devo venire? Guarda che prendo un volo adesso e vengo lì non c’è problema,
arrivo in neanche un giorno, chiedo quello più veloce-.
-No non ti preoccupare, tranquilla.
È che mi sono innamorata di una persona, non volevo dirtelo perché è una ragazza e non sapevo
come l’avresti presa. Io tengo al nostro rapporto, per me è tutto ed avevo paura che non mi avresti
più vista come prima; solo che lei fino a ieri voleva stare con me, ma oggi rideva e provocava il suo
ragazzo Oliver, non so che fare io sono fidanzata con Noah, è tutto un casino, ho parlato con Sarah
ieri e lei mi ha dato dei consigli ma non funziona nulla e non so che fare.
Ora che lo sai, non mi giudicherai vero?
-Cate calma ok? Adesso fai qualche respiro profondo-.
Cerco di calmarmi, di respirare piano come mi dice Ester.
-Punto primo: come ti è saltato in mente di non dirmi una cosa del genere? Io sono sempre qui per
te e non mi faccio nessun problema se stai con una ragazza, un cane, un carciofo. Ti accetto lo
stesso, sei la mia sorellina, e ti vedrò sempre per quello che sei, e mi devi sempre dire tutto, lo sai
che comunque alla fine lo vengo a scoprire, grazie alle mie doti fantastiche da sorella-.
Mi fa scappare qualche sorriso e qualche risata, ha ragione, su certi aspetti è fantastica, glielo
concedo.
-Si ma ora che faccio?- le chiedo preoccupata.
-Facile. Parlare, va da lei e chiedile che cosa vuole fare, perché la ragazza in questione si deve
decidere, non può farti soffrire così, tu ti affezioni troppo alle persone e tocca sempre a me
rimediare e trovare soluzioni-.
- E se non mi vuole? Se sceglie il suo ragazzo? Cosa ha in più di me quel ragazzo dal ciuffo
marrone e lucido, dalla pelle olivastra e gli occhi azzurri? Sono più carina io vero?-. Termino
facendo il broncetto.
-Ehm, Cate ti darei ragione se non fosse come me lo hai descritto, ma purtroppo mi sembra un dio
sceso in terra mi dispiace, ma comunque penso, anzi ne sono sicura, che caratterialmente sei meglio
tu, perché ti conosco, e possono anche batterti in bellezza, ma quella che hai dentro, non te la supera
nessuno, fidati-. Così conclude Ester tranquillizzandomi e dandomi molti consigli.
-Grazie Ester, mi sento così sollevata ad avertelo detto-. Poi ridiamo.
-Tu devi dirmi tutto e lo sai, anche se uccidi qualcuno ti vorrò sempre bene-
Subito la porta della camera si apre, ed è Eliza che entra tutta contenta dopo aver passato il
pomeriggio in camera con Oliver.
-Scusa Ester, devo andare-. Le dico affrettandomi prima che Eliza si butti sotto la doccia.
-Ok, aggiornami-.
-Si certo tranquilla-. Attacco subito.
-Eliza possiamo parlare?-
-Ora dovrei farmi una doccia, magari dopo che ne pensi?- mi dice sbrigandosi a raccogliere le sue
cose, poi continua a parlare: Questa sera Oliver mi ha invitata in discoteca da un suo amico, quindi
vorrei andarci,è tra un ora e mezza e devo muovermi.
-è proprio di questo che volevo parlarti, non sopporto il fatto che fino a ieri volevi me, ed oggi vuoi
Oliver, mi spieghi il motivo?- le urlo in faccia.
-Il motivo è che non sono una persona facile ok? Non so neanche io cosa voglio veramente, hai
ragione, un giorno voglio te un altro lui, non so che farci e se sono così complicata per te vattene,
allontanati da me, non sono quella giusta per te, me ne rendo conto, non voglio farti soffrire, non te
lo meriti, nessuno lo merita, quindi ti supplico di allontanarti da me, lo dico per te, per non farti
soffrire, sono complicata me ne rendo conto, è per questo che tutti se ne vanno dalla mia vita.
Ora ti sto supplicando di allontanarti, perché non voglio che ci rimani male come gli altri perché
non sei come gli altri per me, ma quello che c’è tra noi non potrà mai esistere, non è destinato a
durare, lo so il destino fa schifo, ed è ingiusto ma l’unica cosa che lui non può controllare è il nostro
dolore, quello lo controlliamo noi, quindi ora controlla il tuo e cerca di non farti del male da sola-.
Detto questo entra nel bagno e chiude la porta a chiave.
Sono scioccata, gli occhi mi si riempiono di lacrime, non avevo parole per rispondere a quanto
aveva detto Eliza, mi aveva appena supplicata di andarmene, come poteva aver detto una cosa del
genere? Forse però ha anche ragione, mi dovrei allontanare, è troppo complicata per me e nella mia
vita normale ho già altri problemi, forse è meglio lasciar stare.
Quella sera Noah torna dalla partita durata tutto il giorno, entra in camera e mi ritrova a leggere un
libro con Eliza ancora in doccia.
-Ehi amore-. Mi abbraccia e poi mi bacia.
-Ehi-. Gli rispondo.
-Mi sei mancata tanto oggi, come stai?- mi chiede.
-Io ehm- potevo scegliere:dirgli la verità su tutto, o mentire- Sto alla grande-. Poi gli sorrido.
-Senti, oggi Oliver ed Eliza dovevano andare in discoteca, ma per un problema l’hanno chiusa, ti va
se andiamo tutti insieme in pizzeria? Eliza ancora non lo sa, potresti dirglielo tu?-. così conclude.
-Non ne ho voglia, ma andate voi, non c’ è problema-.
-Dai amore mi lasci con quei due piccioncini che fanno solo schifezze?- ride ma poi mi fa il suo
broncio a cui non so resistere.
-Va bene, ma dì a Oliver che chiamasse lui la sua ragazza per avvisarla del cambio di programmi, io
non ci voglio parlare-.
-Perché? Avete litigato?-.
-Non proprio, tu sta tranquillo amore, e vai a farti una doccia che puzzi parecchio-. Lo prendo in
giro per poi baciarlo.
-Ora vado-. Chiude la porta ed esce.

CAPITOLO 13
Una serata da omofobi

In pizzeria siamo tutti e quattro tesi. Ci scambiamo occhiate nervose.


Io lanciavo delle occhiatacce a Oliver, ed Eliza le lanciava a Noah. I due poveri ragazzi si
guardavano straniti:
-Allora cosa ordiniamo?- chiede Noah
-Oh non lo so, forse un piatto a base di ruba amiche? Credo proprio che sia il tuo preferito Noah-.
Risponde Eliza.
-Beh il tuo Eliza è quello a base di gelosia, te lo vedo mangiare ogni giorno-. Le rispondo io
difendendo Noah.
-Ehm io ordino un insalata, sono a dieta- dice Oliver riferendosi a Eliza.
- A giusto, qui il ragazzo deve rimanere tutto in forma e con gli addominali per rubare i cuori delle
persone-. Gli faccio notare io.
-Non penso sia lui a rubare i cuori delle persone, forse quel biondino accanto a te ne sa qualcosa
Cate-. Mi dice con arroganza Eliza.
-Ok ora basta, qualsiasi sia il vostro problema risolvetelo ok? –Sbotta Noah -Io e Oliver non
centriamo nulla va bene? Sono stanco di voi due, siamo usciti proprio per cercare di trovare la pace
almeno sta sera-.
-Ehi amore, perdonami, hai ragione, andiamocene, lasciamo la coppietta a fare le loro solite
schifezze-.
-Ehm Cate non esageriamo-. Mi dice Noah cercando di mantenermi calma.
-No invece è così,Eliza racconta cosa hai fatto ad Oliver eh? Vediamo se hai ancora il coraggio di
andarci a letto, perché almeno io rimango coerente, tu no-. Mi alzo e sbatto le mani sul tavolo. Poi
mi risiedo tutta imbarazzata perché ogni persona per tavolo mi aveva sentita e mi aveva guardata
male.
- Oddio scusate, perdonatemi, sono molto stressata e vorrei solo un po’ di pace ecco, ora me ne
vado-. Prendo la mia borsa e mi dirigo verso la porta.
Eliza sembrava pentita, non vuole che me ne vada.
-Aspetta Cate-. Mi dice Eliza. Io mi giro e lei stava correndo verso di me.
-Cosa vuoi?- mi volto urtata. Adesso mi corre anche dietro?
Mi bacia.
Mi bacia davanti a tutti ma soprattutto davanti ai nostri ragazzi.
Ci stacchiamo dopo 10 secondi.
-Io voglio te, sono una persona difficile è vero, ma voglio te nella mia vita ok?- Mi dice Eliza con
una lacrima che le percorre la guancia.
-E cosa mi dice che domani non bacerai qualcuno, oppure mi mollerai per un altro?- le dico
piangendo, ma rimanendo sempre seria.
-Quello che ho fatto ora te lo dovrebbe dire, Cate… - fa una pausa, poi si dirige verso il palco dove
delle ragazze indiane stavano ballando una danza meravigliosa mentre una accompagna quel ballo
con una canzone. Eliza le prende il microfono dalle mani.
Scende dal palco e rimane lì, poi prosegue.
-Ti amo Cate, ti amo davvero, e te lo sto dicendo davanti a degli stupidi indiani che non capiranno
un accidente di quello che sto dicendo, ma ti amo. Quel che ho fatto era da incoerenti e non voglio
assolutamente che tu ti allontani. Dal primo momento che ti ho vista i miei occhi sono brillati,
quella luce spenta da tempo ha ripreso vita. Non voglio che tu te ne vada. Non voglio lasciarti nelle
mani di qualche stupido ragazzo. Io voglio te Cate Stranger. E ti amo per questo-.
Forse faccio bene a non mollare, non posso perdere una ragazza splendida come lei…
Corro da lei ed Eliza fa lo stesso, ci baciamo un’altra volta per poi abbracciarci.
-Ti amo anche io-. Le dico mentre sprofondo in quell’abbraccio pieno di lacrime.
È tutto così bello. È tutto da film, ed è tutto così vero. Quel che provo per lei è vero, sincero, come
un bambino nella sua tenera età. Come un abbraccio, come uno sguardo. È tutto così sincero. Basta
mentire, basta mentire su i miei sentimenti, basta mentire a me stessa di essere così perché non sono
così. Io sono questa. La ragazza che ha affrontato questo soggiorno. Ero la vera Cate in ogni
affermazione, decisione, gesto, domanda. Ero io. Aveva ragione Lauren…il sole mi vede per come
splendo e non per le nuvole che porto.
Ci distacchiamo, e ci guardiamo per qualche secondo, quando un signore comincia ad applaudire,
poi ne segue un altro, ed un altro ancora, fino a quando tutto il locale applaude e sorride, tranne
Noah ed Oliver, che erano furiosi e non ci riuscivano a credere, io ed Eliza eravamo
imbarazzatissime poi ci dirigiamo verso il tavolo.
-Bene, fate schifo-. Dice Noah prendendo le sue cose ed alzandosi.
-Si concordo, siete una vergogna per tutti-. Lo segue Oliver.
-Ma Noah te lo avrei detto che ci eravamo baciate, lo so sono una traditrice, mi dispiace di averti
spezzato il cuore-. Gli confesso mantenendo la mano di Eliza.
-Anche per me è lo stesso Oliver. Poi aggiunge anche lei.
-Non intendo questo Cate, fate schifo perché siete due ragazze, ma non vi vergognate a fare queste
cose in pubblico?-. dice Noah.
Resto scioccata, pensavo che il problema fosse il fatto che li avessimo traditi, ed invece…
-E tu Noah, non ti vergogni ad andare in giro con quel cervello che ti ritrovi? Con la mentalità che
hai? Sai che ti dico: se ti faccio così schifo, ora te ne andresti, ma invece me ne vado io, anzi, ce ne
andiamo noi, e tu e il tuo amico omofobo, potete pure rimanere qui, al tavolo da soli e single, ciao-.
Gli rispondo a tono.
Come si sono permessi di dire una cosa del genere?
Mi giro e porto con me Eliza, poi alzo il dito medio e li mando a quel paese.

CAPITOLO 14
Siamo io e te…

Eliza ed io torniamo in Hotel tenendoci per mano.


-Ehi, credo che i campi per allenarsi siano chiusi, ma, io mi chiedevo se…ecco vedi-. Le dico
imbarazzata cercando le parole giuste.
-Se mi va di insegnarti ancora a giocare a tennis?- mi chiede togliendomi le parole di bocca.
-Si-.
-Ok andiamo-. Mi risponde sorridendo.
Scendiamo ed arriviamo ai campi con le racchette.
-Allora ti devi piegare e devi mettere la racchetta precisa e dritta, se no non riesci a sbilanciarti
quando ti devi muovere-.
Facciamo una partita, ovviamente vince Eliza che scavalcando la rete viene da me gioendo e
buttandomi a terra.
-Te la cavi bene, ma ho vinto io, sono imbattibile-. Poi ride, e da sdraiate sul campo ammirammo le
stelle.
-Il cielo è bellissimo questa sera-. Le dissi con gli occhi lucidi.
-Già, è bellissimo-.
-Guarda Cate-. Mi dice Eliza indicando in alto nel cielo.
-Cosa?- chiedo io curiosa.
-Un aereo-. Mi indica quelle lucine rosse e blu, che si muovevano nel cielo.
- Che bello. Tra qualche settimana dovremmo salirci noi-. Le faccio notare che manca davvero poco
a tornare a casa, e non voglio lasciare tutto questo, non voglio lasciare lei.
- Lo so ma, dobbiamo scegliere. L’aereo passerà solo una volta, possiamo decidere di rimanere
insieme, o finirla Cate-.
-Lo so, ma finché non passa io non voglio decidere, lo prenderò al volo, come faccio sempre-. Le
dico distogliendo lo sguardo da quell’aero e voltandomi verso di lei.
Ci baciamo. Sotto le stelle. Ognuno di noi ha un posto felice. Il posto felice esiste. Ogni volta che
mi sentivo sola, che mi sentivo triste, uscivo fuori casa ed andavo nel giardino. La sera, quando il
cielo stellato non mi faceva sentire sola. Quei puntini illuminati, sono sogni che puoi immaginare di
afferrare con la mano, ma solo l’immaginazione può prenderli, solo se sai volare li raggiungi. Le
persone ti tradiscono, ti feriscono, invece il tuo posto felice rimane lì è perfetto e non subisce
cambiamenti. Il tuo posto è puro e limpido.
Sin da piccola, la sera, mi fermavo, alzavo lo sguardo e vedevo sopra di me un cielo blu notte, ho
sempre sognato di trovare qualcuno con quella luce negli occhi, ma mi rendo conto che è
impossibile, le sere uscivo per sfogarmi e trovavo quel conforto che neanche un abbraccio sa darti,
alzavo lo sguardo e mi tranquillizzavo. Pensavo di salire in alto e toccare i pensieri più nascosti. Le
persone mutano, cambiano, si spengono come le stelle, ma tu guardandole non te ne accorgi, quella
luce ti arriva lo stesso ma è a distanza di anni, che per te non sono neanche secondi, quella luce è
vecchia ed ormai spenta ma comunque ti sembra come se stesse splendendo ancora. La notte dopo
riguardi il cielo e non ti rendi neanche conto che quella stella non c’è più. Ce ne sono troppe e
neanche le distingui, non sai se quella stella si è spenta, se è morta, non lo sai ma comunque ti
accontenti delle altre. È quello che succede a tutti. Le persone vicino a noi si spengono e non ce ne
rendiamo conto. La loro luce in qualche modo continua ad arrivarci.
Gli aerei, loro si fingono stelle, li vedi nel cielo e li sai distinguere. Passano solo una volta, non
rivedrai mai lo stesso aereo in quel cielo. Ecco. Voglio essere come quell’aereo, voglio passare una
volta, distinguermi invece di sembrare a tutti sempre la stessa persona.
Tutti questi pensieri mi fanno venire sonno, così torniamo in camera.
Appena arrivate chiudo la porta, mi giro e ci guardiamo per qualche secondo. E succede di nuovo, i
nostri occhi cadono contemporaneamente sulle labbra, e ci avviciniamo pian piano, fino a quando
non siamo ad un centimetro, e ci baciamo, con passione, non ci volevamo staccare, ed ecco la mia
giacchetta per terra, tolti i calzini, sfilata la zip del suo vestito blu, che le sta divinamente. Sciolta la
sua coda alta e sempre perfetta,le mie mani danzavano sul suo corpo ad un ritmo che solo noi
conoscevamo. Comincio a baciarla sul collo, scendendo molto lentamente lasciando che quel
silenzio venga riempito dai suoi gemiti di piacere. Le sue mani non seguono ritmo, rimangono fisse
aggrappate alle lenzuola. Lascio baci leggeri sulla pancia e le mie labbra non ne vogliono sapere di
fermarsi. Scendono.
Dopo qualche ora siamo senza vestiti sdraiate sul letto a guardarci ad un palmo di distanza,
sentivamo l’una i respiri affannati dell’altra. Sono le 3.56 a.m. e so che dobbiamo riposare. Accendo
il telefono, mi rendo conto che mia madre mi aveva lasciato 15 chiamate perse.
-Oddio! Vabbè la richiamerò domani-. Affermo stanca, posando il telefono sul comodino.
-Tua madre?- Mi chiede Eliza.
-Si, mi ha lasciato 15 chiamate perse-.
-Mi piacerebbe conoscerla, lei ma anche tutta la tua famiglia, so davvero poco di te- mi dice Eliza
mordendosi il labbro.
Le avevo mentito, non le avevo detto tutto su di me. Non volevo mi vedesse come tutti gli altri mi
vedono, lei ha un modo unico di guardarmi, e la verità potrebbe rovinare tutto.
-Eliza, la vedo come una cosa impossibile, io tra poco tornerò a casa, alla mia vita di tutti i giorni,
quella monotona, non credo ci rivedremo-. Le dico in modo triste al solo pensiero di lasciarla.
-Voglio fare parte della tua vita di tutti i giorni- mi dice a bassa voce.
-Scusa non ho capito-
-Ho detto che, voglio fare parte della tua vita di tutti i giorni, voglio svegliarmi la mattina e trovarti
nella mia stessa scuola, poter fare una cena con la tua famiglia, fare una passeggiata lungo il mare,
voglio essere il pezzo più bello della tua giornata, della tua vita, tu sei il mio pezzo più bello.
-Dopo questa cosa così dolce dovremmo baciarci?- cominciamo a ridere per la cretinata che ho
sparato.
-Quanto sei stupida-. Mi dice sorridendo ma poi ricominciamo a baciarci senza una fine.

CAPITOLO 15
Gli ultimi momenti

-Sei pronta?-. Mi chiede mentre si avvicina alla piccola cucina aprendo la busta di popcorn. Li versa
in una ciotola.
-Prontissima-. Prontissima con una stupida bandierina in mano e con la tv accesa davanti agli occhi.
-Sbrigati la partita sta per cominciare-. Dissi eccitata di vedere una partita di tennis dopo anni. Ero
felice di guardarla con lei soprattutto.
-Eccomi-. Sorride, si siede accanto a me e cominciamo ad assaggiare i popcorn e gustarli. La partita
comincia.
-Mi è venuta in mente un idea-. Mi guarda con un sorriso malizioso.
-Che idea?-. Metto in bocca un altro popcorn
-Baciamoci ogni volta che Adriano Panatta segna-. Prende la mia mano.
-Ci sto-. Rispondo ricambiando il sorriso malizioso di Eliza.
Ecco il primo punto. Un bacio. Il secondo. Un altro bacio. Ecco il punto decisivo.
-Dai ce la puoi fare-. Lo incoraggio da dietro lo schermo anche se non mi poteva sentire. Eliza fa lo
stesso, i nostri occhi sono puntati alla televisione e non vogliamo staccarli. Eccolo che lancia e
segna.
-Si!!!-. dice Eliza entusiasta.
-Dai!!!-. Affermo io ancora più contenta. Ci alziamo nello stesso momento ed esultiamo.
Tutto questo è stupendo.
Vedo nei suoi occhi la gioia che aveva mio padre quando Big Bill vinceva. La stessa felicità nei
loro occhi. Il tutto sembra a rallentatore, il suo sorriso verso lo schermo.
Mi volto e la ammiro. Un angelo nel purgatorio. Costretto a stare nelle braccia di una peccatrice,
ma questo angelo è ignaro di tutto ciò. D’improvviso mi sento in colpa. Perché continuare a
mentirle? Per salvarmi la pelle? O forse perché rischio più di perderla. Questi pensieri negativi
sembrano uscire dalla mia mente nel momento in cui sento le sue braccia stringermi. Era così felice
con me. Ed io mi sento così fortunata ad averla qui ad esultare con me. Non ho mai avuto il
coraggio di vedere una partita, avrei pianto. Invece adesso, qui, mi sento felice, mi sento così bene
che sembra di averlo vicino a me, solo che nei panni di una ragazza di 15 anni felice e spensierata.
-Ti amo-. Sento queste parole rimbombarmi nell’orecchio unite a quella stretta forte delle sue
braccia. Mi sciolgo.
-Anche io-. Sorrido dentro di me ed il mio cuore si scalda.

***

Andiamo a correre. Ci serve un po’ di esercizio fisico.


-Forza Cate abbiamo fatto solo 8 km-. Dice Eliza ridendo mentre io mi butto per terra tra la natura.
-Che sfaticata che sei-. Afferma ridendo. Poi si siede accanto a me.
-Mi dici sfaticata e poi ti siedi-. Le faccio notare.
-E che faccio rifiuto?-. Mi da un colpetto e ridiamo insieme.
-Quanto manca?-. le chiedo tornando seria.
-Esattamente altri 8 km-.
-No dico alla partenza-.
-Mancano 3 giorni-. Risponde tornando seria anche lei, abbassa lo sguardo e si sistema il calzino.
-Così poco?-. Ero triste. Non volevo lasciare questo posto. Era stupendo. Voglio rimanere qui con
lei per sempre.
-Eh già-. Mi risponde.
-Sei davvero convinta che non possa funzionare?-. Chiede speranzosa di ottenere un si.
Le sto ancora mentendo. In questa ultima settimana sembra voglia darmi la possibilità di dirle la
verità, ma rimango sulle mie. Non glielo dirò.
-Non lo so Eliza, è tutto molto complicato-. Sono davvero triste che non possa funzionare. I miei
neanche lo accetterebbero.
-Va bene, non insisto più. Ma sappi che se un giorno cambierai idea, mi ritroverai nella città dove in
inverno si riempie di bianco candido e luci dalle vette più alte-.
Nei suoi occhi vedevo delle scintille: sogni che sa si realizzeranno.
-Comunque ora alziamoci perché dobbiamo proseguire per gli altri 8 km-. Mi tende la mano.
-Eh va bene-. Mi alzo e continuiamo a correre.
Arriva il giorno della partenza, ed io non voglio lasciare andare Eliza.
Stiamo preparando i bagagli e sistemando la stanza.
-Ti ho fatto questo tieni- mi porge questo pezzo di puzzle fatto di carta e ricoperto di scotch.
-e cosa dovrebbe significare?- chiedo confusa.
-Io ne ho un altro, combaciano alla perfezione, sul mio c’ è scritto il tuo nome, e sul tuo il mio,
questo è il pezzo che rende stupenda la nostra vita, o almeno la mia-.
È triste: crede che per me non sia lo stesso.
-Eliza, per me è così, è vero sei il pezzo più bello della mia vita ed è forse vero che ti amo?-. Il suo
viso era stupendo. Quelle pochissime lentiggini, le guancie rosse e gli occhi verdi mi davano un
senso di pace.
-Ti amo anche io Cate-. resterei intere giornate a perdermi dentro quello sguardo.
A bordodell’aereo che ci riporta a casa, ci teniamo per mano e dormiamo con la testa sulla spalla
l’una dell’altra.
Appena arrivate a destinazione, lascio un attimo i bagagli ad Eliza ed andai in bagno.
Il mio telefono nella mia borsa, affidata nella mani di Eliza, comincia a squillare. Lei lo prende e
legge che la chiamata è da parte di mia madre, non poteva resistere, voleva conoscerla ed era un
buon momento.
-Pronto?-
-ehm ciao tesoro, senti io e Bill faremo 5 minuti di ritardo stai tranquilla stiamo arrivando. Ci
racconterai tutto ma prima ci sarà la cena con il duca Estordi, è venuto dall’ Australia solo per
parlare con noi, ed in più la mia piccola star del ring è stata chiamata per fare la sua trentesima gara
per vincere le nazionali, non sei contenta amore?-
Eliza resta scioccata da quel che sente, mi vede che torno dal bagno e chiude la chiamata.
-Ehi a chi hai risposto al mio telefono?- chiedo scherzando ed avvicinandola a me per baciarla.
Eliza si scansa, ha gli occhi lucidi, e sta per piangere.
-Ehi tutto bene?- le chiedo preoccupata
-Famiglia nobile la tua, a proposito hai una cena con un duca sta sera, mettiti uno dei tuoi vestiti da
cerimonia, mi raccomando il migliore, e menti anche a lui su chi sei, ti riesce bene, vero star del
ring?-
La vedo soffrire. Eliza fa fatica a parlare, mi guarda con disprezzo mentre trattiene le lacrime.
Viene da piangere anche a me.
-Ti prego. Non anche tu, non guardarmi così-.
-Mi hai mentito, perché lo hai fatto?-
-Proprio per questo- cerco di prenderle le mani e stringerle mentre entrambe eravamo in lacrime-
Tutti mi vedono come la riccona di turno, non volevo che anche tu mi guardassi così. Sono andati lì
per farmi conoscere come una persona diversa, come quella che sono io, non come gli altri vogliono
vedermi solo perché porto un etichetta di famiglia-.
-Io ti avrei vista in ogni modo per come sei, anche io penso che questo mondo sia pieno di etichette,
non ti avrei giudicata-.
-L’ho fatto perché non ti volevo perdere-. Riesco a dire solo questo.
-Beh ti do una notizia, mi hai appena persa-.
Lo dice con le lacrime di rabbia, poi prende le sue cose e se ne va.
-Eliza io…ti prego…non andare via anche tu-. Sussurro tra me e me, mentre la vedo andare via,
chissà dove. Non le ho mai chiesto dove abitasse. Ci siamo innamorate dal primo istante senza
sapere nulla l’una dell’altra.
-Eccola la mia piccola-. Dice mia madre abbracciandomi da dietro.
Continuo a fissare il vuoto, perché ormai lei non la vedo più. È sparita tra la folla, tra la gente
comune, da speciale era diventata normale, e faceva male.
-Cate? Cosa è successo stai bene?- mia madre si sta preoccupando, tutta la mia famiglia lo sta
facendo, ma io continuo a fissare la folla, sperando di rivederla, sperando in un suo ritorno
improvviso, in un suo bacio o carezza.
Ma non sarebbe più tornata indietro. Eliza mi avrebbe ricordata come la ragazza che vedevano tutti,
ed era proprio doloroso da accettare.

CAPITOLO 16
L’ho persa per colpa tua
18.25 pm
Sono a casa nel mio letto. Piango da quando Eliza mi ha mollata all’aeroporto. Mi sento a pezzi.
-Ehi. Mi dispiace per Eliza- si avvicina dolcemente a me Ester, di solito la sua presenza è sempre
gradita per me, in ogni situazione, ma non adesso.
-Voglio stare sola-.
3 ore prima succedeva questo.
15.25 pm avevo appena messo piede dentro casa, avevo il volto bianco, sembravo una bambina che
aveva visto un fantasma.
-Tesoro rispondi, cosa ti è successo?-
-Cate, rispondi alla mamma dai-. Dice Anita scocciata per quello che stava accadendo.
-Vuoi che li mandi via tutti- mi ripeteva Ester.
-posso farti un lavoretto oppure un biglietto per farti stare meglio?- Mi chiede Emily.
-Amore quando ti ho telefonata sembrava tutto apposto, a parte che non hai risposto al fatto che sei
entrata alle nazionali e farai la tua trentesima gara, ma sembravi tranquilla-.
-Mi hai chiamata-. Dissi solo questo risvegliando i miei pensieri.
-Tu mi hai chiamata ma io ero in bagno, ecco a chi ha risposto Eliza- ora avevo compreso tutto.
-Sei stata tu, a dire tutte quelle cose- mi rivolgo cominciando ad urlare contro mia madre.
-In che senso Cate non ti capisco- mi dice mia madre confusa.
-Al telefono non ero io ma Eliza- le dico urlandole
-Lei non sapeva chi ero, che vita facevo, mi ha conosciuta per come sono veramente. Senza quei
vestiti da cerimonia addosso, oppure le 29 medaglie al collo. Avevo fatto di tutto per non farglielo
sapere, per paura che non mi vedesse per quella che sono, ma tu rovini sempre tutto nella mia vita,
rovini tutto, l’ho persa per colpa tua, come ho perso me stessa per colpa tua-.
Me ne sono andata lasciando a terra le mie cose e sono salita in camera.
Questo era successo
Adesso sono tra le braccia di Ester.
-per favore lasciami sola ti prego, non ti voglio qui adesso- cerco di sciogliere l’abbraccio, ma è
troppo caldo e confortevole che alla fine cedo e scoppio in lacrime.
-L’ho persa Ester, l’ho persa per sempre- sussurro in quell’abbraccio.
-Non l’hai persa Cate, la ritroveremo, te lo prometto-.
Lasciai che quell’abbraccio tirasse via le mie lacrime. Era dura da accettare ma l’avremmo ritrovata
prima o poi, me lo sentivo.

CAPITOLO 17
Il messaggio
Sono passati 7 mesi dal viaggio a Mumbai.
Ho ripreso la solita vita, la scuola, lo sport… quella che avevo cercato inutilmente di cambiare.
Sulla scrivania c’è in cornice il pezzo di puzzle che mi aveva fatto Eliza.
Alla River mi sono fatta nuovi amici, vedo spesso anche Sharin, che forse si trasferirà alla River.
Dopo quella litigata con mia madre non le ho parlato per un mese, forse anche di più.
Lei ha provato a farsi perdonare togliendomi la mia guardia del corpo e lasciandomi uscire con le
mie amiche ogni volta che volevo, anche se ai miei non andava tanto bene che io fossi stata con una
ragazza, tra i 3 quella più arrabbiata ero io, ed era diventata una regola a casa mia quella di non
parlare del mio viaggio 3 mesi in India, e quindi neanche di Eliza.
-Ehi a cosa stai pensando?-. Sharin mi da una pacca sulla spalla e mi risveglia dai pensieri.
-Nulla-. Con il cucchiaino prendo un po’ di gelato e lo porto alla bocca.
Eravamo davanti alla nostra gelateria preferita a gustarci i nostri gusti di gelato preferiti.
-Cate-. Sharin si gira verso di me.
-Cate devi andare avanti. So che è difficile ma ti prego-.
-Non parlare di lei-. Le dico con tono freddo.
-Ecco vedi! Ci stai ancora male. Non riesci neanche a chiamarla con il suo nome. So che per te non
è facile e comprendo, ma non puoi rimanere ferma nello stesso punto. Non ti fa bene. Lei molto
probabilmente ti avrà già dimenticata. Devi vederla da altri punti di vista e vivere la tua vita. Ora va
molto meglio no?-.
-Si, ma mi manca troppo-. Scoppio in lacrime.
Fa troppo male. Quel vuoto che si era riempito la prima volta che l’ho vista d’improvviso era
tornato. Mi sento sola, senza amore, perché era lei a farmi sentire amata. Ho smesso di vedere le
partite, di andare al mare anche se faceva freddo, ho smesso di guardare le stelle perché era lei la
stella più bella. Vorrei prendere un aereo ed andare da lei. Ma quel’aereo dove mi avrebbe portata.
Dove abitava? Non lo so, non l’ho mai saputo e l’ho sempre ritenuto superficiale e stupido, ma
dovevo rendermi conto prima che mi sarebbe servito una volta persa Eliza.
-Vieni qui-. Mi tende le braccia. Quello fu il primo abbraccio che io abbia mai dato a Sharin. Lo
terrò sempre impresso nella mente. Le voglio davvero molto bene.
Tornando a noi Ester era super felice e voleva conoscere Eliza se non ci fosse stato tutto quel
casino.
Qualche mese fa i miei mi proposero di fare il viaggio durativo un anno, ma non sono tanto sicura
di volerci andare, ora la mia vita va bene, sono una ragazza normale ma soprattutto sono felice. Ed
ho chi mi rende felice.
16.06 pm sto facendo i compiti quando Anita entra nella mia camera.
-Ehi brutta- mi chiama sempre con il suo modo gentile.
-ciao anche a te- alzo gli occhi al cielo.
-mi stai disturbando, io devo fare i compiti, domani ho una verifica-.
-Non mi importa ora mi ascolti e basta-.
-Ok- ho posato la matita e mi sono girata verso Anita.
-Senti, te ne devi fregare-
-Di cosa?- chiedo io curiosa
-Fammi finire di parlare- mi risponde lei urtata.
-Va bene ma calmati-.
-Dicevo che te ne devi fregare di quello che è successo con Eliza ok? Non ti merita, anche con la
verità in mano se fosse stata la ragazza giusta per te ti avrebbe accettata, invece è scappata, ti ha
mollata, quindi lasciatela alle spalle. So che c’era questa regola di non parlarne ma avevo il bisogno
di dirtelo, perché secondo me dovresti andare all’estero un anno, togliendo Eliza ti eri divertita, era
andato tutto bene-.
-Era andato tutto bene perché mamma si era occupata di tutto, il fatto che ci trovavamo tutti nello
stesso albergo non era un caso, mamma lo ha organizzato per non farmi sentire da sola. In pratica
sono andata in un posto dove c’era ugualmente nostra madre, non fisicamente ma aveva preparato
tutto perché pensava che non ce l’avrei fatta. Me lo ha detto-. Spiego il tutto ad Anita, me lo dovevo
aspettare da mia madre una cosa del genere.
-Ah, non lo sapevo, ma comunque tu ne hai le capacità. Vai a New York, oppure Los Angeles, lì ti
divertiresti un mondo, tu pensaci, sei in grado di passare un anno lì, perché sei forte Cate, non te
l’ho mai detto ma non vuol dire che non lo penso. Dai su, tu pensaci, non lasciare che il passato
blocchi il tuo futuro-.
Mi da una pacca sulla spalla e poi si alza e se ne va.
Forse è vero, devo lasciarmi alle spalle il passato, e pensare al futuro, a quello che è meglio per me,
anche se ora va benissimo la mia vita.
Prendo la cornice e la apro. Ho il pezzo di puzzle tra le mani, ci cade sopra una lacrima,allora leggo
2 lettere e improvvisamente capisco di doverlo bagnare: dentro c’ era un messaggio.
Emily entra con un qualcosa di liquido in un bicchiere tra le mani, forse uno di quei soliti
esperimenti.
-Emi dammi qui- glielo strappo dalle mani.
-Ehi quello è mio che fai Cate?-
Ne verso un pochino sul pezzo di puzzle, e leggo la scritta: 4 anno, località New York Chapin
School.
Il messaggio era ben chiaro, Eliza sarebbe andata a New York un anno, dovevo andarci anche io,
dovevo rivederla, e scusarmi, ma soprattutto spiegarle tutto.

CAPITOLO 18
Tra la folla c’ era anche lei…

È passata qualche settimana dalla scoperta del messaggio di Eliza.


Non sono più nella pelle. Manca davvero poco all’inizio del quarto anno,e non vedo l’ora di
rivederla.
In attesa di quel giorno, devo affrontare l’ultima gara per il campionato mondiale di kick boxing.
Se avessi vinto,sarei diventata una vera e propria star, ed avrei avuto molti soldi. Come se
mancassero nella mia famiglia.
Sono nello spoiatoio a prepararmi per l’incontro.
-Allora noi ti lasciamo-. Dice mia madre tutta agitata.
-Mamma. certo è una gara molto importante ma non c’è bisogno di preoccuparsi-.
-Va bene, cerco di rimanere calma –afferma poco convinta- Andiamo-. Tutta la mia famiglia esce
dallo spoiatoio e rimango solo io ed i miei pensieri. Sento tutta la folla esultare.
-Sei pronta?-. Entra il mio allenatore.
-Come non mai-. Rispondo sicura di me. Mi posiziono davanti la porta in attesa di sentire il mio
nome.
-Cate. Metti da parte qualsiasi tuo pensiero al momento. Concentrati a stendere la tua avversaria e
vincere-. Mi raccomanda.
Fisso la porta come incantata. Faccio un cenno con la testa ed una lacrima sembra voler bagnare la
mia guancia. No. Non glielo permetto.
-Ed ecco a voi Cate Stranger-. Annuncia il presentatore.
Apro la porta e si va in scena. Le persone erano migliaia.
I fotografi facevano risplendere il ring con il flash delle loro macchinette fotografiche.
La mia avversaria era di statura poco più alta di me, aveva degli addominali pazzeschi e sembrava
una tosta e preparata, non potevo permettermi di perdere. Dopo qualche calcio e pugno siamo già
stanche. Ognuna di noi due sa capire che mossa stava per fare l’altra, e non è di vantaggio per
nessuna delle due. Fino a quando mi sferra un calcio in aria sulla gamba e mi fa cadere a terra
dolorante.
Mancavano 10 secondi e l’arbitro avrebbe dichiarata conclusa quella gara, ed avrei perso. Sugli
spalti migliaia di persone mi incoraggiavano, la mia famiglia, amici, parenti, ma sono sicura, di aver
visto anche lei, Eliza, che mi guardava fissa negli occhi per darmi la forza di rialzarmi e di non
farmi perdere lo scontro.
Mancavano 5 secondi e la mia avversaria già cantava vittoria.
Ma io mi sono alzata. Ho fatto una scivolata da terra e le ho rotto una caviglia, mi alzai facendo
una verticale in avanti, e vinsi lo scontro.
Tutti sono in piedi ad applaudirmi,ma io cerco solo il suo sguardo, che mi aveva abbandonata di
nuovo.
Finito lo scontro torno nello spogliatoio passando in mezzo ai vari giornalisti li ad attendermi.
Ester entra e chiude a chiave la porta alle sue spalle.
-Che succede?-
-Niente- rispondo io asciugandomi il sudore.
-Sei appena diventata una star, una leggenda e non hai l’aria di una persona entusiasta del suo
lavoro, quindi che succede?-
Prendo fiato e poi rispondo:
-Ho visto Eliza tra la folla-
-Che cosa? Dov’ era?- mi chiede Ester preoccupata.
-Non lo so l’ho vista tempo 2 secondi, dovevo rialzarmi oppure avrei perso la gara, ma quando ho
vinto cercavo il suo sguardo e lei non c’era più-.
-Mi dispiace Cate- Ester mi abbraccia e tra il rumore della gente che esultava, io continuavo a
sentire silenzio nel mio cuore da quando Eliza mi aveva lasciata.
CAPITOLO 19
Viaggio a New York

Sono a New York da tre mesi.


Finalmente sono partita.
Posso sentirmi libera per un anno, e spero di rivedere Eliza.
Come al solito per i miei genitori sembrava un addio, ma ho 17 anni ormai, non sono più piccola
come lo ero in quei 3 mesi, sono cresciuta ed ho finalmente riavuto la mia libertà.
Quando sono arrivata a New York era Settembre, appena cominciata la scuola. È davvero bello quì,
studiano l’italiano ed io aiuto gli insegnanti.
Sto imparando tante cose e mi sono fatta amica tantissime persone.
Adoro questo posto.
Dopo un paio di mesi ho capito che, magari Eliza non sarebbe più venuta per il viaggio un anno
all’estero e mi sono rassegnata all’idea, lo sto superando, ma ho colto questa occasione per andare
avanti con la mia vita.
Certo mi ci sono voluti 2 anni, ma ora ho ripreso le redini della mia vita.
9.25 a.m. cominciano le lezioni qui a New York, siamo a Dicembre, e fuori nevica.
Vado verso il mio armadietto per posare il libro di chimica, quando vedo una ragazza con un
cappotto marrone 2 taglie più grande, dei capelli marroni raccolti in una coda alta e perfetta, con
degli occhi verdi, mettere un biglietto nella fessura del mio armadietto.
-Eliza?- lo dico ad alta voce stupita che era proprio lei.
La ragazza si gira sconvolta.
-Cate- mi sorride ma poi comincia a correre via verso l’uscita con ancora il biglietto in mano, non
essendo riuscita ad infilarlo.
-No non un’altra volta- cominciai a correrle dietro,anche se era uscita fuori con la neve ed io avevo
solo una stupida divisa con una camicia leggera. Ma non potevo perderla ancora.
- Eliza ferma ti prego. Per favore ascoltami. Ti prego ferma.
Ci ritroviamo fuori a correre sul marciapiede con quel gelo, sotto la neve che cade.
Riesco ad afferrarle un braccio e a fermarla.
Quando Eliza si gira, la bacio.
La bacio con passione, come avevo fatto quella sera in camera quando eravamo ancora ragazzine e
non sapevamo neanche bene chi eravamo. Solo 2 bambine che si amavano ma che si sono perse
lungo il percorso della vita.
Ci stacchiamo, Eliza prende la parola.
-L’aereo passa solo una volta, devo tornare a casa-.
-Quindi non rimani un anno qui?- Le chiedo con le lacrime agli occhi.
- Mi dispiace Cate, ti amo- mi risponde anche lei con una lacrima calda che bagnava quella guancia
fredda e rosa.
-L’ aereo passa solo una volta Cate, ed anche il tuo. Devo andare, mi dispiace-. Mi abbraccia e mi
stringe così forte da non farmi sentire più quel freddo addosso, da non farmi sentire la neve nelle
scarpe, oppure quella tra i capelli e sui vestiti.
-Ti amo anche io Eliza, non dimenticarlo. E non dimenticarti di me per favore-. Le supplico con gli
occhi lucidi. Il suo contatto risveglia la mia pelle. Risveglia i miei sentimenti che erano rimasti per
troppo tempo fermi senza qualcuno che li prendesse.
-Mai- mi dice lei con tono deciso.
Si stacca dall’abbraccio. Si asciuga le lacrime. Con le mani gelide prende il mio viso sconvolto. Mi
guarda sorridendo. Come per scattare una foto con gli occhi, ma io volevo che non ne rimanesse
solo una foto.
Mi apre la mano e lascia il biglietto, non aggiunge altro, tra la neve e la nebbia se ne va,
lasciandomi sul marciapiede tra i pensieri freddi, ed il cuore ghiacciato, ma con il suo biglietto in
mano. Una lettera per la precisione. Credo che non la leggerò mai. Mi è bastato quel piccolo
momento nella neve per congelare il ricordo e tenerlo nel mio cuore.
Eliza ha ragione. Il mio aereo passa solo una volta, devo prenderlo al volo, ed è quello con la
direzione “futuro”.

RINGRAZIAMENTI

Partirei col ringraziare chi ha sempre creduto in me. Prima di tutti me stessa, che non ha mai smesso
di crederci ed ha portato avanti questo progetto fino alla fine.
Ringrazio chi mi ha supportata, chi ha letto le anteprime, chi mi ha aiutata a revisionare. In
particolare la ragazza che amo, Alessandra Mennillo, mia sorella Ilaria Piccolo, e la mia mentore,
Maria Teresa Casella.
L’idea di scrivere questo libro è nata in un periodo dove mi sentivo oppressa dalla mia vita, un po’
come Cate. Un personaggio emotivamente forte che non smette mai di sognare. È una ragazza
sicura di sé che non lascia niente sul superficiale. Trova qualcosa di profondo in tutto ciò che vede,
tocca, sente. Il suo incontro con Eliza, le ha stravolto la vita. Le ha fatto imparare delle lezioni di
vita molto importanti, ma soprattutto Cate ha finalmente trovato se stessa. Questo libro parla di
crescita. Un viaggio può cambiare la vita di ognuno di noi e magari chissà...anche voi troverete la
vostra anima gemella sull’aereo del vostro futuro.

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