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Compendio di Diritto aeronautico

Diritto aeronautico /Air law  (Università degli Studi di Udine)

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Capitolo primo
Profili storici e caratteri dogmatici del diritto aeronautico

Profili storici. L’Italia (insieme alla Germania) ha avuto un ruolo da protagonista nel panorama mondiale, sia dal
punto di vista tecnico che dal punto di vista giuridico; per quanto riguarda il punto di vista tecnico si possono
ricordare le ricerche di Leonardo Da Vinci, il quale, studiando il volo degli uccelli, disegnò dei progetti che si possono
definire i precursori del volo. Il primo strumento volante, però, lo si deve all’intuizione dei fratelli Montgolfier, ai quali
si deve un’invenzione che cambiò in parte il modo di spostarsi: il primo pallone aerostatico (cioè, la mongolfiera)1. Ma
è grazie agli italiani che vi fu un maggiore impulso alla tecnica: nel 1877 Enrico Forlanini realizzò un piccolo elicottero
a vapore, che si sollevò da terra per 13 metri e 20 secondi2. Il primo volo certificato della storia lo si deve all’intuito
dei fratelli Wright, il 17 dicembre 1903 negli USA: questi due fratelli erano in realtà produttori di biciclette e
intrapresero il volo (che in realtà fu un balzo di 37 metri e 12 secondi); fu solo un embrione di esperimento, che però
cambiò la storia3. Nei mesi successivi, in pochissimo tempo, l’aeronautica esplose con invenzioni nettamente più
avanzate dal punto di vista tecnologico. L’Italia è sempre stata un Paese precursore nell’aeronautica e, come spesso
accade, l’ambito militare venne prima dell’ambito civile; infatti è lì che avvengono i maggiori investimenti economici e,
quindi, di ricerca scientifica.
La Regia Aeronautica venne costituita nel 1923 (solo vent’anni dopo il primo volo); il primo nucleo militare
dell’aviazione risale addirittura a prima del volo dei fratelli Wright, fin dal 1894: naturalmente non c’erano gli
aeromobili, ma venivano utilizzati dei palloni aerostatici a fini bellici (per esempio, in Eritrea4). I primi voli di guerra
sono ascrivibili all’Italia nella guerra contro la Libia; per quanto riguarda il trasporto civile, è del 1943 la creazione
dell’Ala Littoria: fu la prima compagnia aerea civile che serviva tutto il Paese. La sua creazione avvenne mediante
l’incorporazione di tre piccole compagnie aeree: la Società Mediterranea di Roma, la Società Servizi Aerei di Trieste
(dei fratelli Cosulich) e la Società Anonima di Navigazione Aerea di Genova5.
Dopo la guerra la tecnologia aeronautica conoscerà un boom che porterà ad un radicale cambiamento della vita di
tutti i giorni: nel 1957 avviene il lancio del primo satellite6 e nel 1969 c’è l’allunaggio. Ma ancor più rivoluzionario è
l’introduzione del Concorde e del Jumbo, sempre nel 1969, perché determina l’abbandono dei vecchi e tradizionali
Jet7: Francia e USA, infatti, volevano realizzare un apparecchio che determinasse un abbattimento dei costi
(soprattutto del carburante) e, nel contempo, realizzare prodotti aeronautici che consentissero di trasportare il
numero maggiore possibile di cose e persone con lo stesso volo. Dal 1969 in poi il costo del trasporto aereo
diminuirà, quindi i costi gestionali verranno abbattuti e la possibilità di intraprendere un volo sarà concessa a un
numero sempre maggiore di persone; fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui il trasporto aereo è diventato un trasporto
di massa. L’ultimo cambiamento rivoluzionario è avvenuto nel 2000 (ma anche prima), con l’avvento delle compagnie
low cost: queste compagnie hanno attuato una politica di forte riduzione dei costi al fine di offrire un prodotto
aeronautico a prezzi assolutamente competitivi, abbandonando il modello tradizionale e classico dei voli
commerciali. Gli analisti ritengono che il processo di low cost non si sia ancora esaurito perché le compagnie che
praticano questa politica stanno applicando ulteriori estremizzazioni al fine di offrire un prodotto competitivo al
massimo nell’ambito aeronautico; l’emergere di queste compagnie, se l’evoluzione si completerà, porterà ala
definitiva crisi delle compagnie tradizionali che si troveranno impossibilitate a competere.
Ora si considerino alcuni dati. Nel 1925 la Regia Aeronautica conosceva un morto ogni 950 ero di volo; oggi nelle
950 ore di volo il conteggio dei morti consiste in una cifra infinitesimale, quindi statisticamente irrilevante. Nel 1926
vennero trasportati 35 mila passeggeri; oggi in Italia viaggiano circa 40 milioni di persone. Nel periodo dal 1997 al
2000 si è avuto un incremento del 700% di episodi violenti a bordo degli aeromobili, questo a danno della sicurezza:
infatti oggi si hanno delle vere e proprie comunità viaggianti e, quindi, l’aspetto della sicurezza diventa un fattore
fondamentale. Si tenga conto che i costi sostenuti per garantire la sicurezza durante i voli incide per il 50% suk costo
del biglietto: ci si chiede allora fino a che punto le politiche low cost possano spingersi e se sia il caso che il

1
Trattasi di pallone aerostatico, non di aeromobile, ma era la prima macchina per trasportare persone capace, in
sostanza, di volare.
2
Anche questo non era un aeromobile, ma solo un piccolo strumento.
3
I fratelli Wright non ebbero fortuna, sia dal punto di vista economico che dal punto di vista dei riconoscimenti,
sostanzialmente per errori strategici di marketing. Investirono i rimanenti anni e soldi in cause intentate a tutti quelli
che utilizzavano le loro invenzioni, perdendole tutte.
4
I palloni aerostatici vennero utilizzati anche dai giapponesi durante la seconda guerra mondiale: sulla base di
calcoli approssimativi e il più delle volte discutibili, venivano fatti partire delle mongolfiere dalle coste giapponesi
che poi sarebbero dovuti precipitare sulle coste statunitensi. Questo era l’unico modo con cui i giapponesi riuscirono
a bombardare gli USA; la maggior parte delle volte, tuttavia, i palloni si sgonfiavano e precipitavano nel mezzo
dell’oceano Pacifico.
5
Si ricordi che società anonima non significa altro che società per azioni: prima della riforma era chiamata in quel
modo.
6
A questo proposito: alcuni (tra cui Querci, ordinario di Diritto aerospaziale all’Università di Trieste) sostengono
che il diritto aerospaziale debba essere compreso all’interno del diritto aeronautico; altri (ed è la dottrina
maggioritaria), invece, fanno rientrare il diritto aerospaziale nell’alveo del diritto internazionale.
7
L’origine del termine jet-set deriva proprio da questo ambito: negli anni ‘60 era usuale riferirsi alle persone ricche
individuandole come appartenenti al jet-set perché, si diceva, era così benestanti dal potersi permettere di viaggiare
in aereo.

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2 Diritto aeronautico

legislatore intervenga per bloccarle; infatti, un abbattimento dei costi potrebbe, eventualmente, anche comportare
una diminuzione degli investimenti nella sicurezza.

Caratteri dogmatici. Accanto al millenario trasporto marittimo, si sono andati sempre più affermando il trasporto
ferroviario (che ha una disciplina molto scarna, a dire il vero), il trasporto stradale e il trasporto aeronautico. Da due
anni a questa parte la crisi mondiale ha investito notevolmente il settore aeronautico: fino a due anni fa c’era il
problema del boom aeronautico e dell’implosione del sistema (le strutture non erano più adeguate per sopportare la
progressiva evoluzione), ora il problema è quello dell’abbandono da parte dei passeggeri e il fallimento delle
compagnie aeree.
Negli anni, come si è visto supra, c’è stata un’enorme evoluzione del trasporto aeronautico, il che ha portato alla
nascita del diritto aeronautico: a livello internazionale nasce con la Convenzione di Parigi del 1919 che per prima
prende atto, dal punto di vista normativo, del fenomeno aeronautico; a livello nazionale il diritto aeronautico nasce
con un regio decreto del 1923. Il diritto aeronautico è l’insieme delle norme e delle discipline che regolano il
fenomeno aeronautico. Il primo carattere è la specialità del diritto aeronautico: si determina una prevalenza delle
fonti tipiche del diritto aeronautico rispetto alle fonti ordinarie ancorché astrattamente superiori dal punto di vista
gerarchico. Questo avviene grazie agli studi di Antonio Scialoja (professore ordinario nell’Università di Roma): costui
fu il primo (negli anni ’40 del XIX secolo) a sostenere la specialità del diritto della navigazione (quindi anche del diritto
aeronautico) rispetto alle altre parti del diritto. In sostanza si dice che il fenomeno marittimo e aereo sono dei
fenomeni speciali, che necessitano di una disciplina speciale e gerarchicamente autonoma rispetto a quella del diritto
sostanziale; è necessario, quindi, creare un ordinamento autonomo e indipendente e gerarchicamente superiore. Vi
è questa specialità per via di due elementi: l’esistenza di un movimento autonomo dell’aeromobile e della nave
attraverso un fluido (che sia aria o acqua poco importa) staccato dalla terraferma; in secondo luogo per l’esistenza di
una spedizione, cioè le persone viaggiano in un ambito (che può essere il cielo o il fiume o il mare) che è staccato
dalla terraferma). Per queste due ragioni si palesa la necessità di una disciplina che è per sensibilità e contenuti
diversa dalla disciplina del trasporto ferroviario e stradale. Secondo la dottrina classica – e anche antiquata – il
codice della navigazione, tuttavia, non dovrebbe essere considerato come un contenitore di due materie distinte e
separate: trattasi, in realtà, di una materia unica e comune, quindi di un diritto unitario con caratteristiche comuni.
Questa opinione è un retaggio del passato; con il passare del tempo si capisce sempre di più come le materie sono
destinate a operare per settori giuridici separati. Tanto è vero che il diritto aeronautico ha conosciuto un’importante
riforma, che ha toccato solo la parte di diritto aeronautico del codice della navigazione; la riforma si è avuta con due
decreti legislativi: il d.lgs. 95/2005 – fatto in tutta fretta – e il d.lgs. 151/2006 (che è intervenuto a correggere gli errori
commessi con il primo decreto). C’è da dire, comunque, che questa è stata una riforma tardiva.
Nei decenni successivi all’entrata in vigore del codice della navigazione del 1942 hanno visto la luce:
- il diritto dei trasporti: è la scienza che studia il diritto del trasporto con qualunque tipologia di mezzo venga
effettuato;
- il diritto della navigazione: studia il fenomeno nell’ambito del trasporto marittimo e del trasporto aereo;
- il diritto marittimo e il diritto aeronautico: studiano espressamente e specificamente il trasporto marittimo e il
trasporto aereo;
- il diritto aerospaziale: secondo alcuni rientra nell’ambito del diritto aeronautico, secondo altri va ricondotto
all’alveo del diritto internazionale.

Il diritto aeronautico è caratterizzato dalla coesistenza di aspetti pubblicistici e privatistici: vengono cioè a coesistere
interessi privati – che devono essere riconosciuti e disciplinati – e interessi pubblici – che devono essere
salvaguardati. Il diritto aeronautico viene definito “la giungla”, perché è un diritto molto tecnico e molto difficile:
entrano in gioco, infatti, interessi privati e pubblici, aspetti di diritto societario, aspetti di diritto internazionale, etc. Per
fare un esempio di situazioni in cui coesistono interessi privati e pubblici basta pensare al comandante
dell’aeromobile: qui vi sono norme che danno al comandante la qualità di pubblico ufficiale (per esempio trarre in
arresto chi viene colto in flagranza di reato o disporre il fermo del sospettato di reato – quindi aspetti pubblicistici) e vi
sono norma che gli attribuiscono il potere di direzione degli aeromobili (per cui aspetti privatistici); si pensi poi al
gestore aeroportuale, il quale deve provvedere alla sicurezza (aspetto pubblicistico), ma potrà inserire all’interno
dell’aeroporto anche dei negozi (quindi aspetto privatistico).

Concludendo, le tappe fondamentali del mondo aeronautico , così come lo conosciamo adesso, sono tre:
l’11 settembre 2001: prima la normativa ad ogni livello si riferiva agli aspetti della safety (intesa come sicurezza
operativa), dopo ci si è concentrati istericamente sulla security (intesa come prevenzione e repressione di condotte
antigiuridiche nell’area aeroportuale e a bordo dell’aereo), abbandonando a torto la ricerca sul terreno della safety8;
la stagione delle privatizzazioni: dal 2000 in poi cambia l’Europa e l’Italia e si arriva alla privatizzazione della gestione
aeroportuale;
la riforma della parte aeronautica: è avvenuta con il d.lgs. 95/2005 e con il d.lgs. 151/2006, che, riformando la parte
aeronautica, hanno tracciato una linea per le presenti e future generazioni che cambierà il modo di volare da qui ai
prossimi anni. Sono state previste modifiche epocali necessarie, per esempio nella nozione di aeromobile che è oggi
considerato tale anche se senza pilota.

8
Tanto che solo due anni fa è stato aggiornata la black list delle compagnie aeree, ovvero quell’elenco che indica le
compagnie che non possono viaggiare sul terreno nazionale ed europeo.

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Capitolo secondo
Le fonti

Aspetti generali. L’analisi delle fonti del diritto aeronautico non può prescindere dalla disamina dell’art. 1 c. nav.:
questa norma formalmente ci dice quelle che dovrebbero essere considerate le fonti di riferimento della nostra
disciplina. In realtà l’articolo non è assolutamente esaustivo delle fonti (in quanto non le indica tutte) ed è ridondante
(ne indica alcune che non sono più applicabili, come le norme corporative – venute meno alla caduta del fascismo);
in secondo luogo, pur avendo riguardo alle fonti, a ben guardare si riferisce alla mera gerarchia delle fonti applicabili
al diritto aeronautico perché, ad esempio, nel novero di questa elencazione l’art. 1 riconduce anche l’analogia legis,
che non costituisce una fonte in senso tecnico ma un mero processo logico.
Una volta chiuso questo discorso necessario, addentriamoci nella tematica. Tutte le fonti che analizzeremo
prevalgono, a prescindere dalla gerarchia, rispetto al diritto comune, sostanziale e civile, in virtù del principio di
specialità che il legislatore ha riconosciuto. L’art. 1 c. nav., come appena visto, deve essere preso con le pinze; ma
quali sono le fonti importanti che non sono previste nell’art. 1? Per forza di cose la Costituzione, visto che il codice
della navigazione è del 1942; in secondo luogo le fonti comunitarie, visto la CEE (ora UE) viene costituita con il
Trattato di Roma del 1957; infine, le Convenzioni internazionali. Quindi l’art. 1 è un po’ deboluccio, perché non
prevede le fonti fondamentali.
Le fonti verranno esaminate in ordine gerarchico.

La Costituzione. La Costituzione soddisfa due importanti funzioni:


funge da ispirazione alla produzione normativa del diritto aeronautico: i principi e valori contenuti nella Carta
fondamentale fungono da ispirazione per il legislatore nella produzione normativa del diritto aeronautico;
costituisce un filtro alla penetrazione della disciplina aeronautica internazionale e comunitaria, in quanto queste
dovranno essere aderenti ai principi e ai valori costituzionali.

Nella Costituzione ci sono alcuni articoli che hanno un’immediata ripercussione nel diritto aeronautico:
Art. 2: si riferisce ai diritti inviolabili dell’uomo (salute, integrità fisica, sicurezza, etc.). questo articolo è stato
fondamentale ed è stato utilizzato dal prof. Baccelli9 come punto di riferimento per una questione di legittimità
costituzionale di una legge di recepimento della Convenzione di Varsavia del 1929, in cui si prevedeva la limitazione
del debito in caso di decesso del passeggero: la Corte costituzionale, con la sent. n. 132/1985, dichiarò l’illegittimità
costituzionale della legge di esecuzione della Convenzione di Varsavia, in quanto contraria all’art. 2;
Art. 9: tutela dell’ambiente. Ha avuto una certa importanza in diritto aeronautico per quanto riguarda l’inquinamento
acustico: da qualche anno c’è una maggiore sensibilità da parte del legislatore e la realizzazione dei nuovi aeroporti
è subordinata ad una certificazione rilasciata dal Ministero e dagli organi sanitari che attesta il rispetto dei limiti
minimi di inquinamento acustico;
Art. 16: riconosce il diritto di mobilità ad ogni cittadino. È stato utilizzato dal nostro legislatore per imporre ai vettori i
c.d. oneri di servizio pubblico. Oggi un vettore (cioè una compagnia aerea) per operare ha bisogno di una
concessione; allora lo Stato concede ai privati di operare nel settore aeronautico, ma subordina questa possibilità a
determinate condizioni. Una nuova compagnia aerea, allora, dovrà chiedere la concessione per operare nelle tratte –
per esempio – Ronchi-Milano, Ronchi-Roma, Ronchi-Milano; lo Stato, però, può subordinare la concessione
all’assunzione, da parte del vettore, dell’obbligo di operare anche sulla tratta Ronchi-Bari o Ronchi-Sassari. Per cui,
sulle tratte che lo Stato autorizza, su richiesta della compagnia, a percorrere, ne può imporre qualcuna di minore
interesse (e meno redditizia, se non addirittura fonte di perdita economica) per la compagnia, ma rilevante per il
pubblico;
Art. 41: l’iniziativa economica privata è libera. Questo articolo è stato usato per aprire la stagione delle
privatizzazioni; in passato il settore aeronautico era caratterizzato dai Monopoli di Stato e questo aveva creato
voragini economiche e disservizi di vario genere. Con l’intervento dei privati si è cercato di porre rimedio a questi
problemi;
Art. 117: a ben guardare gli aspetti del trasporto aereo dovrebbero rientrare nell’ambito delle competenze regionali,
dal momento che questo particolare settore non è nominato. Essendo, però, l’ambito aeronautico e il trasporto aereo
di interesse internazionale10, si è reso necessario un intervento della Corte costituzionale (sent. n. 303/2003), la
quale ha chiarito che alle regioni spetta una funzione del tutto residuale nell’ambito dei trasporti (per esempio, nella
disciplina degli eliporti o, per uscire dall’ambito strettamente aeronautico, nel TPL – Trasporto Pubblico Locale, cioè
autobus, tram, etc.) ma ha confermato la competenza pressoché esclusiva del legislatore statale.

La normativa internazionale. Neanche questa, come si è visto supra, è presente all’art. 1 c. nav. Ci sono delle
convenzioni internazionali in tema di diritto aeronautico; qual è la loro posizione gerarchica? È la medesima dell’atto
normativo che vi dà esecuzione (di solito è la legge ordinaria). La giurisprudenza attribuisce a questa legge di
ratifica, però, una forza particolare: per abrogare questa legge non è sufficiente una legge successiva che si pone in
contrasto, ma è necessario che la legge successiva espressamente ripudi gli impegni internazionali assunti. Le
convenzioni internazionali, però, danno dei problemi perché, affinché una convenzione possa applicarsi e sorga
l’obbligo di adottare una legge di attuazione, le Nazioni pongono un tetto minimo di ratifiche. Molto spesso, poi, le
convenzioni contengono allegati e protocolli; per cui può accadere che ci siano Nazioni che la convenzione, altri che

9
Professore ordinario di Diritto della navigazione all’Università “Federico II” di Napoli; badisi, questo accadde
nell’esercizio della professione di avvocato.
10
Non sarebbe opportuna una disciplina difforme da regione a regione, è preferibile che sia il più uniforme possibile
su scala planetaria.

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4 Diritto aeronautico

firmano il 50% dei protocolli, altri che firmano il 30% degli allegati. In questo modo si giunge a quella che viene
definita la “stratificazione della disciplina internazionale”: non è quindi facile districarsi all’interno delle convenzioni
internazionali se gli impegni non sono assunti in modo omogeneo da tutte le nazioni. La convenzione più importante
è la Convenzione di Montreal del 1999, la quale disciplina il regime della responsabilità del vettore nel trasporto
aereo; altra convenzione importantissima è la Convenzione di Chicago del 1944, che è il frutto di uno sforzo
internazionale volto a dare una prima uniformità alla disciplina del trasporto aereo. La Convenzione di Chicago è
strutturata con degli annessi e degli allegati che impongono allo Stato di adeguarsi, con delle raccomandazioni e,
infine, con un’altra parte dedicata agli standard (prescrizioni di natura soprattutto tecnica) rivolti agli Stati.

Il diritto comunitario. Con il Trattato di Roma del 1957 viene creata la CEE (oggi UE). Le fonti comunitarie sono
due: i regolamenti e le direttive; in virtù dell’art. 117 le fonti comunitarie sono gerarchicamente sovraordinate rispetto
alle norme interne, anche aeronautiche.
I regolamenti sono importanti perché sono immediatamente applicabili ; il regolamento è talmente forte da
disapplicare la norma italiana incompatibile. Il regolamento più importante fu il regolamento CE/2027/1997 (ormai
superato dalla Convenzione di Montreal): si è parlato supra della sent. 132/1985 della Corte costituzionale, la quale
dichiarò costituzionalmente illegittima la legge che stabiliva la limitazione di debito; la cosa, però, dato che siamo in
Italia, continuò e accadde che, dal momento che le compagnie aeree italiane non potevano essere più competitive
con quelle estere11, fu introdotta una nuova legge con cui, partendo dal presupposto che la Corte costituzionale non
aveva detto che il limite era «non consentito» bensì «inadeguato», si è reintrodotto il sistema di limitazione del debito
alzando il tetto massimo. Solo con il regolamento CE/2027/1997 venne definitivamente abrogato il tetto massimo di
debito.
Le direttive necessitano di un formale atto di recepimento e, quindi, di un provvedimento attuativo.

(11.Dopo la sentenza della Corte costituzionale le cose cambiarono notevolmente: se prima le assicurazioni
chiedevano alle compagnie aeree di versare 10 per coprire un rischio di 1000, adesso che le assicurazioni avrebbero
rischiato di versare 100 mila come risarcimento per un sinistro chiedevano alle compagnie aeree di versare 1000.
Ecco che allora questo maggior costo affinché fosse garantita la copertura assicurativa si riversava sul prezzo del
biglietto e, quindi, le compagnie aeree italiane non potevano più competere con quelle estere.)

Il codice della navigazione e le leggi che disciplinano gli aspetti della navigazione aerea. Ci si riferisce alla
legge, al decreto legge e al decreto legislativo. Si ricordi che sono atti normativi della navigazione aerea anche tutti
quegli atti che non si trovano nel codice della navigazione, bensì nel codice civile o nel codice penale, ma che
riguardano direttamente la navigazione aerea (si vedranno infra, per esempio, il reato di disastro aviatorio –
contenuto nel codice penale – e il demanio aeronautico – contenuto nel codice civile).

Le leggi regionali. In ambito aeronautico la competenza regionale è residuale (per esempio, eliporti, aerotaxi, etc.) e
di scarso rilievo.

I regolamenti. Questi, viceversa, nonostante siano comunemente considerati irrilevanti, in diritto aeronautico sono
considerati importanti: essendo una materia molto tecnica, il legislatore si è spogliato di molti poteri e li ha affidati
all’ENAC (Ente Nazionale Aviazione Civile), il quale ha potere regolamentare. Il problema dei regolamenti – anche di
quelli comunitari – è la c.d. tecnocrazia: si hanno dei burocrati che producono i regolamenti, cioè la vita di tutti i giorni
è regolata non già da persone elette dal popolo (che in caso di errori non verranno riconfermate), bensì da persone
che si trovano ai vertici perché, per esempio, hanno vinto un concorso.

Gli usi (aeronautici). Nel sistema generale del diritto gli usi hanno un rilievo del tutto residuale; in virtù del principio
di specialità, se c’è un uso aeronautico lo si applicherà – e solo dopo si andrà a ricercare una legge ordinaria di
diritto comune.

L’analogia legis. Non è una fonte dal punto di vista tecnico, ma è un processo logico; quindi, per individuare
l’eadem ratio di un istituto di diritto aeronautico si andrà a pescare nell’ambito del diritto marittimo.

L’analogia iuris. Se non si è trovata l’eadem ratio nell’ambito del diritto marittimo, ci si rifarà ai principi generali
dell’ordinamento aeronautico. Se ancora non si sarà trovato il bandolo della matassa, allora il problema dovrà essere
risolto tramite il diritto comune, il diritto sostanziale, il diritto civile, etc.

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Capitolo terzo
Gli enti della navigazione aerea

Aspetti generali. Si analizzerà di seguito un aspetto che attiene ai profili pubblicistici del diritto aeronautico, ovvero
si compierà una disamina dei soggetti che operano e interagiscono nel mondo aeronautico. Si analizzeranno dei
soggetti che si pongono ed operano sia nell’ambito nazionale che in quello internazionale.

ICAO. Questo è il primo ente dal punto di vista storico e dell’importanza ed è l’acronimo di International Civil Aviation
Organization: è un’organizzazione internazionale governativa, ed è importante sottolineare il fatto che sia
governativa (non è, di conseguenza, un’organizzazione di privati!). Vi hanno aderito quasi 200 Nazioni, la quasi
totalità (se non addirittura la totalità) delle Nazioni ad aeronautica evoluta, la quali conferiscono all’ICAO ingenti
risorse economiche; l’ICAO fu costituita con la Convenzione di Chicago del 1944, ma divenne operativa solo qualche
anno dopo e precisamente nel 1947. L’ICAO ha assunto, da parte dell’ONU, la qualifica molto importante di istituto
specializzato, con la conseguenza che ogni intervento – in ambito aeronautico, naturalmente – che l’ONU intende
porre in essere deve avvenire previa consultazione dell’ICAO. Gli interessi che vengono in gioco nell’attività
dell’ICAO sono enormi dal punto di vista economico: essa opera nel settore del trasporto aereo, ma anche
nell’industria aeronautica, degli aspetti di pianificazione e di sviluppo planetario; si capisce, quindi, come vi possano
essere delle ingenti conseguenze economiche sugli Stati a seconda delle decisioni assunte. Ci sono due gruppi
(facenti capo l’uno agli USA e l’altro al Regno Unito) che si sono scontrati per il controllo dell’ICAO, con lo scopo di
gestirlo per porre in essere decisioni favorevoli alle Nazioni satellite; attualmente c’è una gestione di compromesso
fra i vari interessi in gioco, cioè, in sostanza, oggi l’ICAO cerca di rendere possibile la convivenza di diversi interessi
internazionali.
Le funzioni che assolve l’ICAO sono quelle della regolamentazione degli aspetti meramente tecnici della navigazione
aerea; per cui le sue azioni hanno ad oggetto la politica di pianificazione aeronautica e di sviluppo del trasporto
aereo a livello planetario, oltreché stabilire le regole per la costruzione di aeroporti e aeromobili. L’art. 44 della
Convenzione di Chicago detta gli obiettivi che devono essere conseguiti dall’ICAO:
progresso dell’aviazione civile;
favorire la sviluppo delle rotte: l’ICAO deve determinare i presupposti per aumentare le rotte del trasporto aereo;
favorire il progresso tecnologico degli strumenti aeronautici, al fine di sviluppare l’aspetto della sicurezza in questo
delicato settore;
monitorare, al fine di evitare discriminazioni in ambito aeronautico.

L’ICAO si occupa di aspetti di natura tecnica e non commerciale (quindi non si occuperà, per esempio, di tariffe),
perché gli aspetti commerciali saranno di interesse di un altro ente, cioè la IATA – e questo è il secondo aspetto da
sottolineare.
Per quanto riguarda l’organizzazione (o governance) dell’ICAO occorre considerare innanzitutto che, come le SPA,
c’è un’Assemblea, che deve essere convocata ogni tre anni (si riunisce a Montreal): è un organo di governo che
delibera l’approvazione del bilancio ed elegge i consiglieri; essa è formata dai rappresentati degli Stati membri. Poi
c’è il Consiglio che è formato da 36 membri nominati, appunto, dall’Assemblea; è l’organo di governo dell’ICAO. Il
numero di consiglieri varia a seconda dell’area geografica e dell’importanza che quella determinata area geografica
ha in tema di aviazione; è comunque tutelata la rappresentanza di ogni area geografica planetaria. Il Consiglio ha la
funzione di raggiungere gli obiettivi previsti dalla Convenzione di Chicago, nonché quelli fissati dall’Assemblea, ed
adotta tutti i provvedimenti necessari per il conseguimento di questi obiettivi. Esso si avvale di una Commissione per
la navigazione aerea, di una Commissione giuridico-legale (per affrontare e risolvere i problemi di natura giuridica),
della Commissione aiuti (deputata a valutare le richieste di finanziamenti richiesti dalle Nazioni) e del Comitato per il
trasporto aereo.
L’ambito di intervento dell’ICAO si sviluppa in due aree: l’area nord-atlantica e l’area mediterranea (che è quella a cui
appartiene l’Italia).

L’ICAO, dal punto di vista normativo-giuridico, produce, per raggiungere gli obiettivi, tre diverse tipologie di atti, che
verranno elencati in ordine di importanza decrescente:
standard: sono prescrizioni obbligatorie necessarie per uniformare determinati aspetti della navigazione aerea (per
esempio, con questi atti si può stabilire che, in cabina di pilotaggio, per i voli di medio raggio sono necessari tre piloti,
mentre per i voli di lungo raggio sono necessari quattro piloti). Gli Stati devono uniformarsi mediante atti di
recepimento interno;
pratiche raccomandate: sono delle raccomandazioni, dei meri suggerimenti;
PANS: sono delle mere interpretazioni autentiche su determinati atti (soprattutto standard); si possono considerare
dei vari e propri chiarimenti.

Quest’ultimo aspetto è la terza cosa che occorre sottolineare e tenere sempre presente.

ENAC. È il più importante che abbiamo in Italia per la navigazione aerea ed è l’acronimo di Ente Nazionale
dell’Aviazione Civile. A fronte delle due riforme della parte aeronautica (cioè quelle intervenute con il d.lgs. 95/2005 e
il d.lgs. 151/2006) all’ENAC sono state attribuite enormi competenze ed enormi poteri (prima erano diverse e molto
inferiori); il problema che sorge è quello a cui si era accennato supra: essendo l’ENAC un organo burocratico, quello

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6 Diritto aeronautico

che interviene è l’aspetto problematico della tecnocrazia, perché il legislatore si spoglia dei propri poteri e li
attribuisce a dei burocrati. Per quanto riguarda i poteri, l’ENAC oggi è in Italia l’unica autorità di regolamentazione
tecnica certificativa di vigilanza e di controllo; l’ENAC fa sostanzialmente tutto, l’aspetto di maggiore importanza è
che rilascia certificazioni e autorizzazioni. È stato istituito nel 1997, ma solo nel 2006 ha auto grande impulso.
I compiti dell’ENAC sono molteplici:
procede alla regolamentazione tecnica: quindi produce regolamenti, dal momento che lo Stato non disciplina tutti gli
aspetti ma lascia l’incombenza all’ENAC. Per esempio, stabilisce i requisiti per diventare pilota, le regola per
costruire aeroporti o aeromobili, etc.;
compie attività di ispezione e di controllo: verificherà che tutti i regolamenti siano stati rispettati dai soggetti del diritto
aeronautico;
irroga sanzioni: questa è la naturale conseguenza del compito di cui al numero 2). Può, per esempio, revocare
l’autorizzazione al vettore che non si comporta bene, può sospendere la concessione a chi gestisce la mobilitazione
dei bagagli, etc.;
deve controllare, monitorare e vigilare sul processo di liberalizzazione che investe anche il settore aeronautico.

L’ENAC, dal punto di vista della struttura, ha una direzione centrale a Roma e poi ha delle periferiche – dette
circoscrizionali – nelle varie aree della nostra Nazione.
Per legge all’ENAC sono stati devoluti dallo Stato gratuitamente in gestione tutti gli aeroporti civili, tutte le strutture
che riguardano l’aeronautica civile appartenenti allo Stato (palazzi, sedi, etc.) e anche, tramite un accordo tra
Ministero della difesa e Ministero dei trasporti e delle infrastrutture, gli aeroporti militari che non vengono utilizzati per
scopi militari; vi è stato questo affidamento in gestione affinché poi l’ENAC provveda ad assegnare queste aree ai
gestori aeroportuali, così come risulteranno individuati da una gara bandita dall’ENAC stessa. Infatti una riforma ha
stabilito che gli aeroporti non devono essere necessariamente considerati demanio necessario, per cui potranno
anche essere privati; questo mutamento è stato configurato, in buona sostanza, come una risposta del legislatore
alle richieste di investitori stranieri che hanno richiesto di poter realizzare aeroporti della propria compagnia
(soprattutto low cost) e che potranno essere utilizzati solo dalla propria compagnia sul territorio nazionale.

ENAV. È l’acronimo di Ente Nazionale Assistenti di Volo; fanno parte dell’ENAV i soggetti che si occupano del
controllo del traffico aereo. La loro più importante funzione è quella di autorizzare il decollo o l’atterraggio in un
determinato contesto aeroportuale. Gli assistenti di volo sono quelli che regolano il traffico aereo e questa è una
funzione delicatissima, tant’è che un tempo questo compito era svolto da soggetti appartenenti all’aeronautica
militare, almeno finché questi si sono accorti che il gioco non valeva la candela: infatti, pur percependo il normale
stipendio, questi sono soggetti dovevano svolgere dei compiti fondamentali e delicatissimi con il rischio di incorrere,
in caso di errore, in responsabilità a cui dovevano rispondere; si è allora ritenuto opportuno conferire questa funzione
a dei civile a cui veniva corrisposto un adeguato compenso per l’attività svolta. Venne realizzato prima un
Commissariato di assistenza di volo, poi un’agenzia autonoma e infine, nel 1994, l’ENAV. Nel 2001, poi, l’ENAV si
trasforma da ente pubblico economico a SPA, le cui azioni, però, sono totalmente in capo al Ministero del Tesoro;
qualcuno ha temuto – e teme ancora: è, infatti, anche questa una delle ragioni per cui vengono indetti degli scioperi
degli assistenti di volo – che questa privatizzazione formale possa un giorno diventare una privatizzazione
sostanziale.
L’ENAV si occupa prevalentemente del contributo del traffico aereo: gli operatori devono impartire in pochi secondi
ordini volti ad impedire, in fase di atterraggio o decollo, collisioni tra aeromobili o tra aeromobili e ostacoli fissi; ma i
compiti non si limitano a questo. Svolgono, infatti, anche altre attività:
si occupa di meteorologia e climatologia: deve rilevare i dati e comunicarli e diffonderli a tutto il mondo aereo,
affinché gli operatori di volo possano essere costantemente informati;
è responsabile della coerente presenza a terra, così come previsto da leggi e regolamenti, di impianti di sicurezza
per la gestione del traffico aereo;
si occupa di addestramento del personale aeronautico;
si occupa della cartografia.

L’ENAV è sottoposto alla vigilanza e al controllo dell’ENAC.

EASA. Torniamo ora ad analizzare gli enti di livello internazionale. È l’Agenzia Europea per la Sicurezza Aerea; a
differenza del passato, oggi questa agenzia ha visto crescere le proprie funzioni e le proprie attribuzioni: se fino
all’anno scorso si poteva dire che era un’agenzia residuale, oggi le vengono attribuiti importanti poteri in tema di
sicurezza.
Le funzioni che svolge sono le seguenti:
la prima – non particolarmente importante, presente anche prima – è quella propositiva nei confronti dell’UE in
ambito di sicurezza aeronautica;
poteri di ispezione nelle strutture aeroportuali dei singoli Stati membri;
potere sanzionatorio, al fine di addivenire alla chiusura di una determinata struttura aeroportuale in caso di gravi
inadempimenti in tema di sicurezza.

I poteri di cui al numero 2) e 3) si riferiscono sì all’infrastruttura aeroportuale, ma anche, indirettamente, al vettore


(quindi la compagnia aerea) e all’industria aeronautica. Le sanzioni che l’EASA può infliggere sono, per esempio, la
sospensione della produzione di un aereo perché non rispetta le norme tecniche oppure la chiusura temporanea di
un aeroporto perché non sono rispettate le norme sulla sicurezza; “sicurezza”, naturalmente, intesa come safety,
quindi intesa come sicurezza operativa (per cui, per rimanere in uno degli esempi precedenti, che un aeromobile sia
costruito con materiali aeronautici garantiti).

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Organizzazione Europea Permanente nel settore dell’Aviazione Civile. Essa era e rimane di risibile importanza;
venne istituita nel 1954 in occasione di una Conferenza Europea del trasporto aereo. L’organizzazione ha costi
enormi e funzioni ridicole: deve, per fare pochi esempi, collaborare con l’ICAO o incrementare la visibilità europea
nell’ambito del trasporto aereo.

IATA. È l’acronimo di International Air Transport Association, ovvero di Associazione Internazionale del Trasporto
Aereo. Mentre l’ICAO è un organismo governativo, la IATA è un’associazione non governativa: non è composta da
Stati, ma da compagnie aeree; in poche parole, è il sindacato delle compagnie aeree. Ne fanno parte un po’ meno
del 95% delle compagnie aeree che operano nelle Nazioni ad aeronautica evoluta: è chiaro, quindi, che se indicono
uno sciopero di 10 giorni le conseguenze politico-economiche sono rilevantissime.
L’obiettivo della IATA, comunque, non è quello di costituire un sindacato, seppur ufficiosamente lo sia; ufficialmente
le funzioni sono:
regolamentazione commerciale delle compagnie aeree;
sulla carta stabilisce le condizioni contrattuali tipo, cioè stimola l’uniformità delle condizioni contrattuali (per esempio,
il sistema del biglietto uniforme nasce uno studio di IATA);
collaborazione con l’ICAO;
promozione del traffico aereo;
risoluzione dei problemi in tema di slot nonché in tema di fiscalità.

Qual era la deriva e lo scopo non scritto della IATA? Sedersi intorno ad un tavolo e stabilire piani tariffari volti ad
eludere ogni forma di concorrenza.
Quando il sistema IATA è saltato? Con la comparsa delle compagnie low cost: queste, infatti, non hanno aderito al
sistema IATA e, a quel punto, questo è saltato.

Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo. È un ente molto importante, di livello internazionale anche se ha
competenza limitatamente all’aeronautica italiana12. Fu istituito in Italia grazie al d.lgs. 66/1999, ma divenne
operativo solo nel 2000; questo decreto legislativo venne posto in essere in attuazione della direttiva 1994/66/CE. In
realtà, l’obbligo in capo alle Nazioni di addivenire alla creazione di questa agenzia discende già dalla Convenzione di
Chicago del 1944, ed in particolar modo dall’annesso 13. L’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo (d’ora in poi:
ANSV) è un ente autonomo caratterizzato da una posizione di terzietà rispetto agli altri poteri dello Stato ed è
sottoposto all’esclusiva vigilanza del Presidente del Consiglio dei Ministri (e non del Ministero dei Trasporti e delle
Infrastrutture).
Per quanto riguarda le funzioni, quella più importante è di condurre inchieste tecniche, quindi porre in essere delle
indagini di natura meramente tecnica (non giudiziaria!), quando si verifica un incidente o un inconveniente grave in
ambito aeronautico: le indagini sono finalizzate a comprendere le cause che hanno prodotto l’incidente o
l’inconveniente grave e non le responsabilità (di cui si occuperà, al massimo, la magistratura). La seconda funzione
che adempie l’ANSV è quella di porre in essere attività di studio in tema di sicurezza, al fine di migliorare gli standard
e il livello di sicurezza in Italia. Studieremo poi l’art. 743 c. nav. (così come recentemente riformato dalla riforma della
parte aeronautica), il quale ci dà la nuova definizione di aeromobile: innanzitutto, con riferimento alla definizione
tradizionale, la norma dice che è aeromobile ogni macchina destinata al trasporto per aria; poi si aggiunge – e qui è
intervenuta la riforma – che è aeromobile ogni apparecchio riconducibile nella nozione di UAV (Unmanned Aerial
Vehicle: aerei a pilotaggio remoto13) o nella nozione di VDS (ovvero gli aerei costruiti per il volo diporto o sportivo).
La competenza dell’ANSV riguarda obbligatoriamente gli incidenti o gli inconvenienti gravi di aeromobili tradizionali e
degli UAV; per i VDS è esclusa l’applicazione delle norme di cui al Libro I, Parte II del codice della navigazione. Il
legislatore è sempre stato molto attento alle tematiche della sicurezza e ha imposto un’ulteriore competenza nel
2006, ovvero un sistema di segnalazione volontaria: gli operatori, la gente comune, etc., potranno segnalare
all’ANSV ogni evento, circostanza e informazione ritenuta utile ai fini della prevenzione e della sicurezza. I
componenti dell’ANSV sono molto spesso dei piloti in pensione; questi, infatti, possono essere assorbiti in diversi
ruoli: può essere consulente tecnico di parte o consulente tecnico d’ufficio (quindi del giudice) oppure possono
essere assorbiti nel ruolo di componenti della ANSV.
Prima del 2000 (quando divenne operativa l’ANSV), la competenza di porre in essere un’investigazione in ambito
aeronautico era il direttore dell’aeroporto; costui, poi, produceva una relazione al Ministro dei Trasporti e delle
Infrastrutture, il quale la valutava e, se del caso, nominava una commissione ministeriale ad hoc per approfondire
l’indagine al fine di individuare le cause dell’incidente o inconveniente grave. Cosa capitava? Capitava che il direttore
dell’aeroporto poneva in essere delle indagini molto superficiali oppure ometteva del tutto queste indagini perché
aveva paura di essere coinvolto da un punto di vista giudiziario con l’interesse della magistratura. Questo sistema è
venuto meno con la costituzione dell’ANSV, dal momento che la Convenzione di Chicago e la direttiva comunitaria
prevedeva la necessità di un soggetto che fosse terzo.
L’ANSV pone in essere delle relazioni in caso di incidente, dei meri rapporti in caso di inconveniente grave: la
differenza consiste nel fatto che le relazioni sono documenti pubblici, (quindi tutti possono estrarne copia), mentre i
rapporti hanno natura più confidenziale (quindi possono essere riprodotti solo dagli interessati e da chi può trarne
vantaggio in tema di sicurezza).
Quindi l’ANSV pone in essere delle indagini tecniche, non delle indagini giudiziarie: è importante distinguere perché
queste ultime sono dirette ad individuare i responsabili, mentre le prime servono a capire perché è avvenuto un

12
Simile a questo ente troviamo degli istituti analoghi in quasi tutte le Nazioni ad aeronautica evoluta.
13
In sostanza, si tratta degli aerei senza pilota.

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8 Diritto aeronautico

sinistro al fine di adottare tutti gli accorgimenti per prevenire in futuro eventuali altri sinistri14. Per fare un esempio
giurisprudenziale: vi è un aeromobile di un importante vettore che atterra e l’impianto frenante non funziona
perfettamente, tanto che in fase di atterraggio si verificano dei sinistri a danno dei trasportati; questo succede tre
volte. Allora scatta l’indagine dell’ANSV, la quale accerta che l’impianto frenante è difettoso; allora va dall’azienda
che l’ha prodotto e le intima di ritirare l’impianto frenante difettoso e di sostituirlo con uno funzionante. Parallelamente
è scattata l’indagine della magistratura, che ha rinviato a giudizio i responsabili di quell’incidente. Vi sono, quindi, due
interessi ben diversi in gioco: quello facente capo all’ANSV che è la sicurezza del volo; quello facente capo alla
magistratura che è il rispetto della legalità. In Italia accade che le indagini poste in essere dall’ANSV non conducano
agli esiti voluti e questo perché vi è un fortissimo clima di omertà da parte degli operatori del mondo aeronautico, dal
momento che hanno paura di essere in qualche modo coinvolti nelle indagini giudiziarie; questo perché in Italia non
sussiste il principio di privilege information, a differenza degli USA e di gran parte degli Stati dell’UE: lì, in concreto, è
previsto che, ove l’operatore (nel nostro caso, l’ANSV) vada dal manutentore per chiedere informazioni, quanto detto
diventa informazione privilegiata e, in quanto tale, non può essere in alcun modo sequestrata e valutata dalla
magistratura (è una sorta di segreto d’ufficio atipico). Questa omertà, in definitiva, crea un gravissimo problema in
tema di sicurezza. Ma questo non è l’unico problema: in Italia oggi la magistratura si pone in una posizione superiore
rispetto all’investigazione tecnica e, quindi, le due indagini, che potrebbero operare parallelamente, si ostacolano;
per esempio, il magistrato pone sotto sequestro l’intera area impedendo così l’accesso anche agli ispettori oppure
pone sotto sequestro la scatola nera15 impedendone l’esame agli agenti dell’ANSV. La conseguenza immediata è
che questi dati non vengono utilizzati ai fini del miglioramento della sicurezza; poi accade che la magistratura operi
congiuntamente con le forze dell’ordine, le quali, non essendo altamente specializzate in materia, spesso
compromettono le prove impedendo di poter accettare le vere cause dell’incidente o dell’inconveniente grave. In
passato ci sono state vari circolari da parte dei vari Ministri di Grazie e Giustizia che invitavano alla collaborazione tra
magistrati e ANSV: questa collaborazione a volte è avvenuta, ma perlopiù vi è stato un forte freno alla ricerca della
sicurezza nel volo. Addirittura il Presidente dell’ANSV ha denunciato che in alcuni casi la magistratura nomina CTU
l’ingegnere ex pilota che è anche ispettore dell’ANSV, con la conseguenza di una sfiducia del mondo aeronautico nei
confronti dell’ANSV: potrebbe accadere, infatti, che si riferiscano delle circostanze ad un ispettore dell’ANSV, il quale
pochi giorni dopo potrebbe essere nominato CTU. La parola d’ordine, insomma, è “non collaborazione”. Per
apprestare delle soluzioni a questi problemi, sarebbe opportuno, dal punto di vista legislativo, introdurre anche in
Italia il principio di privilege information e stabilire l’incompatibilità in capo agli ispettori dell’ANSV ad essere nominati
consulenti tecnici del giudice.
Attualmente l’ANSV ha una trentina scarsa di ispettori ed un budget, non certamente sostanzioso, di quattro milioni
di Euro.
Molto importante è la terza funzione, ovvero quella della segnalazione volontaria: questa innovazione la si deve al
d.lgs. 213/2006, che recepiva la direttiva 42/2003/CE. Questo sistema prevede tutta una miriade di eventi di entità
minore che non possono essere classificati come incidenti o inconvenienti gravi: tutti questi eventi possono essere
trasmessi – quindi elaborati e studiati – a determinati enti con l’obiettivo di elaborarli per finalità preventive. Il sistema
di segnalazione volontaria è previsto dal nostro legislatore sia a favore dell’ENAC, sia a favore dell’ANSV.
La Convenzione di Chicago del 1944 prevede, in tema di sicurezza, dei periodici audit da parte di ispettori
internazionali. L’ultimo audit a cui sono state interessate le autorità aeronautiche italiane è del 2007 e ha fatto
emergere luci ed ombre del nostro sistema; ha interessato quattro organismi – ANSV, ENAC, Aeronautica Militare ed
ENAV Spa – ed è stato teso a verificare la coincidenza alla disciplina, sia nazionale che comunitaria, dell’operato di
questi organismi. L’esito è stato positivo: per quanto riguarda l’ANSV si è preso atto dell’effettiva terzietà rispetto a
condizionamenti esterni; nonostante questo sono stati posti dei rilievi giuridici e delle censure che vedremo qui di
seguito. Innanzitutto è stato rilevato che nel procedimento penale italiano non esiste il sistema del privilege
information. Altro rilievo è stato quello relativo alla mancanza di una disciplina sulla riservatezza (privacy); l’audit in
questione venne posto in essere proprio a partire dalla verificazione di un episodio sgradevole: nel 2005 un ATR32 si
ammarò a Palermo, causando diverse vittime; accadde che la magistratura sequestrò la scatola nera, impedendo
così agli ispettori di verificarne il contenuto, ma dopo pochi giorni le registrazioni della scatola nera erano pubblicate
su internet. Ultima censura effettuata in sede di questo audit è che non veniva disciplinata la convivenza tra
l’indagine tecnica e quella della magistratura.
Attualmente vi sono 150 indagini aperte dell’ANSV: la maggior parte di esse riguardano gli aeromobili tradizionali e
solo una ventina riguardano gli elicotteri. Le indagini dell’ANSV hanno sfatato alcuni miti, per esempio quello per cui
la maggior parte degli incidenti si verificherebbe in fase di decollo e di atterraggio: la verità è che la maggior parte dei
sinistri accade in fase di crociera e perlopiù a cause di un errore umano. Le vittime dei sinistri aerei sono circa 900
all’anno in tutto il mondo e il luogo in cui si verificano il maggior numero di sinistri è l’Africa – seppure abbia solo il 3%
del traffico aereo mondiale.
La competenza dell’ANSV riguarda tutti gli incidenti o inconvenienti gravi che si verificano nel nostro territorio, ma
anche tutti gli incidenti o inconvenienti gravi di un aereo italiano che accadono all’estero. L’ANSV opera solo in
ambito civile; per quanto riguarda gli incidenti o gli inconvenienti gravi che capitano in ambito militare, delle relative
indagini si occupa una sezione speciale dell’Aeronautica Militare.

14
Per cui in caso di incidente o inconveniente grave scatteranno due indagini: quella dell’ANSV e quella della
magistratura.
15
Che poi è arancione.

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Capitolo quarto
Gli Slot aeroportuali

Aspetti generali e definitori. Uno degli argomenti più importanti del diritto aeronautico, con importanti implicazioni
sia di carattere giuridico che economico, politico e sociale, è proprio quello degli slot aeroportuali.
Le fonti sono di natura comunitaria e, precisamente, il regolamento 1993/95/CEE (così come modificato dal
regolamento 2004/793/CE).
Che cos’è uno slot aeroportuale? Grazie al regolamento 2004/793/CE si è avuta una definizione16: è un permesso
che viene accordato ad un vettore (quindi ad una compagnia aerea) di porre in essere tutte le attività relative al
trasporto aereo utilizzando le strutture aeroportuali: queste attività sono l’atterrare o il decollare oppure il caricare o lo
scaricare passeggeri e bagagli o la merce trasportata. In poche parole, lo slot aeroportuale è una banda oraria, cioè
un ambito temporale: lo slot aeroportuale, in definitiva, è il permesso di utilizzare in esclusiva determinate
infrastrutture aeroportuali in una determinata banda oraria (si parla, di solito, di 30 minuti).
A livello di diritto internazionale17 sussiste un principio importante, cioè il principio di libero accesso nei cieli degli
Stati membri (cioè quelli appartenenti all’UE o quelli firmatari di una determinata Convenzione internazionale).
Limitandoci agli aspetti che riguardano l’UE, vi sono dei limiti all’esercizio di questo principio:
limite di reciprocità: una compagnia aerea può esercitare quella determinata attività d’impresa se la Nazione a cui
appartiene consente alle compagnie aeree delle altre Nazioni dell’Unione europea di esercitare quella determinata
attività d’impresa;
limiti di natura ambientale;
limite della congestione delle infrastruttura aeronautiche: ci sono aeroporti, magari sorti 30 o 40 anni fa e progettati
secondo il traffico aereo di quel periodo, che non possono reggere tutte le richieste di tutte le compagnie aeree di
esercitare impresa in quel determinato aeroporto.

È necessario disciplinare in modo giuridico la concessione di questi slot: bisogna, allora, studiarne l’iter, le modalità e
il controllo. Fino a due anni fa, negli USA, c’è stata una crescita esponenziale del trasporto aereo e una crescita
numerica delle compagnie aeree che chiedevano di entrare negli aeroporti: questo poneva un problema di
saturazione degli aeroporti, cioè a volte le richieste dei vettori di entrare negli aeroporti erano superiori alla capacità
fisica degli aeroporti di sopportarle tutte. Quindi, esemplificando, ci sono diverse compagnie aeree che vogliono
effettuare la rotta Monaco-New York (o Monaco-Parigi), però l’aeroporto di Monaco ha una struttura limitata e quindi
c’era il bisogno di un’accurata disciplina dei propri slot.
La politica di slot è una politica molto difficile e di carattere mondiale, che impone un coordinamento a carattere
planetario: questo coordinamento viene fatto da apposite conference, che affrontano e risolvono i problemi di slot. A
livello di UE, qual è stato l’obiettivo dell’intervento comunitario con quei due regolamenti? È stato quello di fissare dei
criteri uniformi di assegnazione degli slot al fine di evitare discrezionalità lesive della libertà di concorrenza. Questi
regolamenti hanno fornito una definizione di slot che prima si poteva ricavare solo per via interpretativa; emerge un
duplice aspetto: temporale (per esempio, si può usare per mezz’ora quella determinata struttura aeroportuale) e
spaziale (ad esempio, si potrà usare quella determinata pista e quel determinato gate). Quei regolamenti distinguono
gli aeroporti in tre tipologie diverse a seconda dell’entità dei traffici; vi è quindi una gerarchia in tema di slot che si
ottiene distinguendo gli aeroporti in:
pienamente coordinati: sono quelli con un traffico aereo così importante che si rende necessario distinguere la
giornata in slot;
ad orario facilitato;
non coordinati: sono quelli assolutamente periferici, che non richiedono alcuna particolare disciplina.

Gli aeroporti pienamente coordinati. A livello di UE è pienamente coordinato l’aeroporto che ottiene questa
qualificazione dal Ministero competente (da noi è il Ministero dei trasporti e delle infrastrutture):
l’atto può essere autonomo;
ci può essere l’istanza di almeno il 50% delle compagnie aeree che operano in quel determinato aeroporto;
ci può essere la richiesta del gestore aeroportuale;
l’UE interviene direttamente (non è mai accaduto).

A livello di UE la disciplina (costituita dai regolamenti testé citati) obbliga gli Stati membri a nominare un
coordinatore, i cui compiti sono quelli di assegnare le bande orarie18, partecipare alle conference internazionali e
vigilare sulla corretta funzione di questi slot aeroportuali. A livello comunitario vengono sanciti i requisiti di questo
coordinatore, il quale deve essere caratterizzato da imparzialità, indipendenza e deve operare con trasparenza e
senza operare discriminazioni. Questa è la favola che racconta l’UE, ma cosa accadde in realtà? Fino al 1997 e per

16
La nozione di slot è stata oggetto, quindi, di innovazione legislativa, perché non sempre è stata così chiara, in
passato era nebulosa.
17
Si intende sia a livello di Unione Europea che a livello di Convenzioni internazionali.
18
Occorre fare attenzione perché non tutte le bande orarie sono uguali: per la tratta Ronchi-Roma, per esempio, lo
slot ideale sarà quello delle 07:00/07:30 (o al massimo 07:30/08:00), perché la tratta è utilizzata principalmente da
chi deve lavorare; viceversa, lo slot 10:30/11:00 finirebbe per essere semideserto e, quindi, antieconomico.

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10 Diritto aeronautico

decenni venne individuato come coordinatore l’Alitalia19; nel 1997 questa situazione non poté più reggere: ci furono
forti proteste dell’UE e l’Italia venne sanzionata per la violazione del principio della libera concorrenza. Questo
periodo, fortunatamente, finì e venne costituito un organismo veramente terzo, l’Assoclearance: è una SPA (quindi
un soggetto di diritto privato), che ha lo scopo di disciplinare e gestire gli slot aeroportuali in modo imparziale.
Nell’Assoclearance, al fine di garantire la trasparenza e una politica super partes nella distribuzione degli slot, si è
ritenuto opportuno fossero rappresentate tutte le compagnie aeree, i gestori degli aeroporti, le forze di Polizia20 e
l’ENAV: questo, finalmente, è un meccanismo che funziona. A livello comunitario è prevista un’altra figura, il
Comitato di coordinamento: è un gruppo di persone rappresentativo di tutte le persone di cui supra che ha lo scopo
di porre in essere proposte, formulare richieste all’Assoclearance, nonché risolvere in via stragiudiziale eventuali
controversie; non tutti gli aeroporti, comunque, devono essere dotati di questo Comitato.

Gli aeroporti ad orario facilitato. Non vi è l’obbligo a livello comunitario di avere un coordinatore perché si tratta di
aeroporti minori, con un traffico limitato: il rischio di congestione del traffico aereo, quindi, è del tutto risibile. È
sufficiente la presenza di un facilitatore che, con la cooperazione dei vari vettori, stila un piano di volo senza che sia
necessaria la politica di slot.

Gli aeroporti non coordinati. Telegraficamente, non vi è mai un problema di traffico aereo tale da impensierire il
gestore aereo.

L’assegnazione degli slot. La disciplina comunitaria è intervenuta con regolamento. Vi è un regola importante,
ovvero la regola del preuso: la compagnia aerea che, in un esercizio, ha avuto quei determinati slot avrà diritto
nell’esercizio successivo (e sostanzialmente per sempre) di utilizzarli; è una regola che tutela l’investimento ed è una
regola di civiltà giuridica. Ogni aeroporto ha un c.d. pool di slot e questo pool nel tempo può aumentare di
consistenza per vari motivi: il gestore aeroportuale ha deciso di costruire una nuova pista d’atterraggio, che quindi
potrà essere utilizzata dai vettori in aggiunta a quelle esistenti; la compagnia aerea X fallisce e, quindi, gli slot che
utilizzava vengono inseriti in questo pool; il vettore comunica all’Assoclearance la rinuncia a determinati slot (per
esempio perché si trova in una situazione di difficoltà finanziaria ed è costretta a risistemare i propri conti).si è detto
supra che c’è il diritto del vettore a vedersi riconfermati lo slot anche l’anno successivo e così via; si parla a proposito
del trasporto aeronautico di un servizio pubblico essenziale, costituzionalmente tutelato. Tuttavia, per serietà e tutela
del mercato, a livello comunitario si è detto che il diritto alla riconferma dello slot è subordinato all’utilizzazione di quel
determinato slot per almeno l’80%; se questo non avviene, il vettore decade dal diritto. Il pool deve essere assegnato
dall’Assoclearance secondo i seguenti criteri:
il 50% delle bande orarie dell’aeroporto X che l’Assoclearance può gestire deve essere riservato ai nuovi vettori. Se il
nuovo gestore rifiuta una banda oraria che gli viene offerta e che si colloca entro 2 ore di differenza da quella
richiesta, perderà il beneficio e si metterà in coda come tutti gli altri
le altre bande orarie saranno destinate a tutti gli altri vettori. Qui c’è innanzitutto una graduatoria sulla base della data
della richiesta; in secondo luogo si guadagnano punti a seconda della destinazione: infatti, nell’assegnazione delle
bande orarie, le compagnie aeree che intendono collegare una città con delle zone depresse altrimenti difficilmente
raggiungibili saranno preferite a quelle compagnie aeree che intendono fare rotte di normale percorrenza.
L’utilizzazione degli slot. Il legislatore europeo si è preoccupato che questi slot vengano effettivamente utilizzati. Si
è già visto che in caso di mancato utilizzo per almeno l’80% si decade dal diritto alla riconferma; tuttavia a questa
regola vi sono delle eccezioni che vedremo qui di seguito. La compagnia aerea che non ha potuto intraprendere voli
per cause di forza maggiore o caso fortuito (per esempio, ci sono stati due mesi di sciopero o 5 settimane ininterrotte
di nevicate): è comunque necessaria una presa d’atto e un’autorizzazione dell’Assoclearance. L’altra eccezione
riguarda, poi, le gravi difficoltà finanziarie (temporanee) in cui versa la compagnia aerea: vi è la possibilità da parte di
una compagnia aerea che si trova in questa situazione di comunicare all’Assoclearance che nell’esercizio corrente
utilizzerà quel determinato slot assegnatoli per – ad esempio – il 50%; così facendo risolleverà le proprie condizioni e
dall’esercizio successivo sarà pronto a riutilizzarlo. Anche in questo caso l’Assoclearance, preso atto del Business
Plan presentatogli e delle garanzie bancarie prestate, emette delle autorizzazioni. Ci sono, poi, altre eccezioni, altre
moratorie per motivi straordinari. C’è un regolamento del 2002 che ha stabilito la prima moratoria dopo l’11
settembre: l’UE ha detto che negli anni successivi ci sarebbe stato un calo fisiologico del traffico aereo, per cui la
regola dell’80% nel biennio 2002-2003 non sarebbe valsa. Nel 2003 c’è stato un altro regolamento che disdiva la
regola dell’80% a causa della guerra in Iraq; l’ultimo è stato quello del 2010: a causa della crisi economica mondiale,
che ha comportato al fallimento delle compagnie aeree e a un calo del 6% del traffico aereo, non si utilizza la regola
dell’80%.

La mobilità degli slot. Le compagnie aeree possono spostare la rotta: per esempio, se alla compagnia X è stato
assegnato lo slot delle 08:00/08:30 per percorrere la tratta Ronchi-Roma, la medesima compagnia può utilizzare
quello slot per percorrere la tratta Ronchi-Milano; questo spostamento di rotta, però, deve essere autorizzato
dall’Assoclearance. Le rotte, poi, possono anche essere trasferite: per esempio, la compagnia X, titolare dello slot
delle 08:00/08:30 per percorrere la tratta Ronchi-Roma, la trasferisce alla compagnia Y, purché questa appartenga
alla medesima holding; anche in questo caso è necessaria l’autorizzazione dell’Assoclearance. Vi può essere, poi,
uno scambio: si supponga che la compagnia X abbia lo slot delle 08:00/08:30 per Ronchi-Roma, mentre la
compagnia Y abbia lo slot 14:00/14:30 per Ronchi-Parigi; con l’autorizzazione dell’Assoclearance se le possono

19
Questo, insieme ad altri due aspetti, ha costituito il primo step del fallimento dell’Alitalia.
20
Per esempio, in caso di voli delicati che comportano azioni di intelligence e attività di Polizia, possono richiedere
che questi vengano scaglionati nella giornata e che non siano tutti concentrati.

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scambiare, per cui la compagnia X andrà a Parigi, mentre la compagnia Y andrà a Roma. Non è possibile per legge
– solo in Inghilterra è tollerata – alcuna forma di compensazione economica (in sostanza, detta in maniera un po’
grossolana, non è possibile pagare per lo scambio o per altro); ecco perché c’è il controllo dell’Assoclearance.
Nel recente passato accadeva che alcuni soggetti avevano capito l’affare: un gruppo di persone acquistava due aerei
fatiscenti – il più delle volte probabilmente non avrebbero nemmeno potuto volare – e veniva costituita una
compagnia aerea con un capitale sociale minimo; dopodiché andavano dall’Assoclearance per l’assegnazione degli
slot e, visto che vige la regola per la quale ai nuovi vettori vengono riservati il 50% degli slot, era probabile che ne
ottenessero di interessanti. Successivamente andavano dalle compagnie grosse ad offrire in vendita la propria
compagnia aerea, comprensiva degli aerei (che avevano un valore pressoché nullo e, quindi, mercato inesistente) e
degli slot: in questo modo il guadagno era enorme, perché con un investimento di 200 mila Euro o poco più si
sarebbero potuti guadagnare svariati milioni. In conseguenza di queste azioni, la mobilità è comunque vietata per gli
slot ottenuti con quella riserva del 50% e questo vale per due esercizi; in questo modo si valuta anche la serietà del
vettore.

La natura giuridica degli slot. Chi è il proprietario di questi slot? Il vettore? No, perché non esiste nel nostro
ordinamento un diritto di proprietà subordinato (nel nostro caso, all’utilizzo per almeno l’80%). Il gestore
aeroportuale? No, perché si vedrà che la società che gestisce un aeroporto lo fa grazie ad una concessione della
durata di 40 anni. Il proprietario degli slot, allora, è la collettività, quindi lo Stato.

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Capitolo quinto
La sicurezza in ambito aereo

Aspetti generali. La sicurezza in ambito aereo si divide in safety e security; questa distinzione, nata in ambito
aeronautico, si sta espandendo in tutti i settori della nostra vita.
La safety è la sicurezza operativa, cioè le norme che studiano le sicurezza e la manutenzione, con lo scopo di
realizzare un aereo che funzioni, che non si rompa e dia problemi; insomma, si devono porre in essere norme che
stabiliscano la qualità che un determinato aereo deve soddisfare (per esempio: potenza di un motore, numero di
piloti che ci devono essere a bordo, etc.). La security è l’insieme delle norme finalizzato alla prevenzione e
repressione di condotte antigiuridiche a bordo dell’aeromobile o nell’ambito delle strutture aeroportuali ( per esempio:
come devono essere costruiti gli aeroporti al fine di evitare che si portino armi a bordo; oppure si prevedono controlli
da effettuare ai varchi al fine di evitare che un soggetto trasporti stupefacenti; etc.).
Come si è visto supra, il volo nasce in ambito militare; il primo approccio al tema della sicurezza nasce in ambito
militare con la filosofia molto eroica del fix-fly-fix: in pratica si ordinava al pilota di volare, dopodiché se succedeva
qualcosa avrebbe dovuto cercare di riparare in volo l’anomalia; nel caso in cui il tentativo fallisse avrebbe dovuto
cercare di atterrare..
Oggi in tema di sicurezza si ha una produzione normativa abbondante; fino all’11 settembre 2001 il legislatore si
occupava a tutti i livelli di safety; dopo l’11 settembre il mondo è cambiato e la produzione normativa si è quasi
esclusivamente concentrata sulla security.

La safety. Le norme sulla safety studiano i tre seguenti fenomeni:


l’uomo. Ci si riferisce a tutte le norme in materia di lavoro (e non solo) che prevedono la preparazione e i titoli che
devono avere i soggetti che rientrano nel concetto di personale aeronautico;
la macchina. In questo caso fondamentale è l’attenzione verso la blacklist: questa è una lista dei vettori non graditi,
cioè di quelle compagnie che non investono negli aspetti qualitativi dell’aeromobile. L’Italia, dopo l’11 settembre, per
sei anni non ha aggiornato la blacklist, mentre l’Inghilterra l’aggiorna ogni 90 giorni;
l’ambiente. Questi studi riguardano soprattutto le norme urbanistiche, in modo da disciplinare il modo di realizzazione
degli aeroporti.

Grande importanza ce l’hanno l’ANSV e l’EASA; un grande ruolo ce l’ha anche l’ICAO. A livello comunitario vi è un
obbligo di collaborazione in tema di safety.
In tema di safety grande rilievo assume il trasporto di merci, soprattutto in tema di trasporto di merci pericolose;
occorre sapere che già con l’Annesso 18 della Convenzione di Chicago del 1944 si ebbe una disciplina – tuttora
vigente – del trasporto di merci pericolose. In tema di merci pericolose si ha una tripartizione:
elencazione puntuale di merci cui è assolutamente vietato il trasporto aereo (per esempio: materiale liquido
radioattivo, esplosivi a base di fosforo, esplosivi infiammabile a temperature inferiori a 75°, etc.);
merci pericolose che non possono essere trasportate in aereo a meno che non ci sia assoluta emergenza e non vi
siano altri mezzi di trasporto alternativi;
merci pericolose che possono viaggiare in aereo.

L’Annesso 18 pone anche il divieto di voli promiscui, cioè passeggeri e merci non possono viaggiare nello stesso
momento sullo stesso aereo; naturalmente poi vengono poste anche delle eccezioni, come per esempio per i
giornali.
Ultimo tema prima di passare alla security è quello del responsabile della sicurezza; ogni vettore che è deputato al
trasporto di merci pericolose ne deve nominare uno. C’è un diffuso scetticismo nei confronti di questo professionista
perché male si concilia la figura di colui che deve controllare e vietare determinati trasporti con il fatto che questo è
stipendiato dal vettore.

La security. Dopo l’11 settembre la produzione normativa è esplosa, ma alla quantità non sempre è corrisposta la
qualità. Di solito le norme vengono prodotte sulla scia emotiva di determinati eventi: per esempio, dopo l’attacco di
Lockerbie del 1988, fu introdotta la regola per cui l’aeromobile non può partire se non vi è piena corrispondenza di un
bagaglio per ogni passeggero.
Norme sulla security ce ne sono in abbondanza, anche prima dell’11 settembre: per esempio, la Convenzione di
Chicago del 1944, all’art. 3 bis stabiliva la possibilità di usare armi nei confronti di aeromobili civili qualora motivi i
sicurezza lo imponessero. A livello internazionale, l’Annesso 17 della Convezione di Chicago del 1944 prevede
l’obbligo in capo agli Stati di adottare dei programmi di sicurezza. La Convenzione di Tokyo del 1963, poi, attribuisce
poteri di security al comandante; a tal proposito, le hostess e gli steward sono certamente lì per indicare al
passeggero il proprio posto e per dare il giornale, ma in realtà sono dei delegati del comandante in tema di security:
infatti, hanno il potere di interdire l’accesso alle persone sgradite, essendo l’ultimo filtro in tema di sicurezza.
A livello comunitario, il regolamento 2002/2320/CE ha per primo imposto l’obbligo di creare aree sterili nell’ambito
della struttura aeroportuale: le aree sterili sono quelle aree in cui può stare solo chi ha subito, con esito negativo, i
controlli del caso; l’obiettivo è quello di evitare che i soggetti vengano in contatto con bagagli di altre persone che il
controllo non l’hanno subito. Il regolamento 2006/1546/CE, poi, è quello che ha impedito di portare i liquidi a bordo.
Sempre il regolamento 2002/2320/CE prevedeva anche la figura del c.d. addetto anziano: all’interno dell’aeroporto vi
sono diversi servizi (per esempio di pulizia o di ristorazione) e gli addetti a questi servizi sono riconoscibili tramite un
cartellino; chiaramente, però, questo cartellino può essere falsificato con estrema facilità. Si è imposto, dunque,
mediante il recepimento di una prassi già diffuse negli USA, che il gestore aeroportuale organizzi ogni turno di lavoro
con la presenza dell’addetto anziano che sia in grado di riconoscere tutti gli addetti presenti a quel determinato turno.

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14 Diritto aeronautico

A livello nazionale c’è la legge 217/1992, la quale ha cambiato il gestore aeroportuale in tema di security: oggi il
personale che si trova ai varchi non è più personale di Polizia, ma è stato privatizzato. Il costo per lo Stato, infatti, era
diventato eccessivo e non ci si poteva più permettere di distrarre risorse umane dai compiti primari delle Forze
dell’ordine. Questa riforma, se da un lato ha consentito di impiegare “sulle strade” un maggior numero di forze di
Polizia, dall’altro lato il costo della sicurezza è ora riversato sul biglietto (con le già viste conseguenze critiche in tema
di competitività delle compagnie aeree nostrane).

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Capitolo sesto
Le gestioni aeroportuali

Aspetti generali. Il tema della gestione aeroportuale ha risentito della riforma della parte aeronautica, quindi è stato
oggetto di un intervento riformatore ad opera del d.lgs. 95/2005 e, soprattutto, del d.lgs. 151/2006. Vi sono stati
successivamente ulteriori ed importanti interventi in tema di gestione aeroportuale di fonte, però, regolamentare21.
Chi è il gestore aeroportuale? Gli aeroporti devono essere gestiti da qualcuno e questo qualcuno è il gestore
aeroportuale, cioè quel soggetto o entità che si occupa della gestione complessiva dell’aeroporto; egli pone in essere
attività rilevanti dal punto di vista economico (dal momento che remunera le gestione tramite la produzione di
capitale), sensibili da un punto di vista sociale (perché si colloca all’interno dei servizi pubblici essenziali) e sensibili
da un punto di vista della responsabilità e degli obblighi che la legge imporrà in capo al gestore aeroportuale in tema
di sicurezza della comunità viaggiante. Proprio per via di questa sua importanza, l’attività di gestione aeroportuale
deve essere disciplinata in modo puntuale: la normativa degli ultimi anni è stata molto sensibile ed ha prodotto una
regolamentazione molto buona. Il c. nav. dedica alle gestioni aeroportuali tre norme: gli artt. 704, 705 e 706, i quali
sono stati interessati dalla modifica apportata con il d.lgs. 151/2006. Un’altra fonte importante è data dal d.m.
521/1997; questo intervento è fondamentale ed è il frutto di un mutamento del pensiero giuridico che rispecchia una
richiesta di cambiamento da parte della società: siamo, cioè, alla fine degli anni ’90, in piena spinta da parte del
mondo economico-sociale verso le privatizzazioni. Proprio nel 1997, con questo decreto, viene sancito il principio
della privatizzazione delle gestioni aeroportuali: con questo intervento riformatore del 1997 viene sancita la volontà
che le gestioni vengano assunte dai privati22. In precedenza accadeva che le gestioni aeroportuali fossero statali:
accadeva che i vari Ministeri competenti costituissero degli enti pubblici economici oppure delle Spa a totale capitale
pubblico; questa impostazione, però, aveva degli aspetti negativi. Il primo era che nel 100% dei casi la gestione non
era manageriale, quindi la gestione – per vari motivi – era deficitaria: la Spa in linea generale deve remunerare il
capitale investito, deve produrre utili; lì, invece, si produceva una perdita fuori bilancio per lo Stato, e questo per
diversi motivi (uno può essere una gestione spregiudicata, basata su un sistema di tipo clientelare). Il secondo
aspetto negativo era che le gestioni si erano rivelate inadeguate anche dal punto di vista del servizio all’utenza
(intesa sia come passeggeri che come trasportatori)23. Le gestioni aeroportuali, essendo caratterizzate da derive
politiche e da un’impostazione clientelare, davano luogo a delle iniquità e a delle mancanze assolute di trasparenza
delle scelte.
Storicamente in Italia c’erano due diverse tipologie di gestioni aeroportuali:
gestione totale: lo Stato, tramite i propri Ministeri, concedeva la gestione di tutti i servizi dell’aeroporto ad un ente
pubblico o ad una società pubblica;
gestione parziale: lo Stato, tramite i propri Ministeri, concedeva ad un ente pubblico o ad una società pubblica
soltanto alcune competenze e alcuni servizi relativi ad una determinata struttura aeroportuale; quindi vi era una
coesistenza fra più soggetti competenti. Queste gestioni parziali hanno contribuito a rendere la nostra rete
infrastrutturale ancor più obsoleta nel corso degli anni, perché la coesistenza di più competenza in ambito
aeroportuale si è tradotta in concreto nell’immobilismo degli investimenti o, comunque, in interventi tardivi e molto
lenti.

Le gestioni parziali vennero abolite nel 1997 e tutte le gestioni parziali, per legge, sono state automaticamente
trasformate in gestioni totali: in sostanza, il gestore aeroportuale vedeva trasformata la propria gestione da parziale
in totale, salvo disdetta da effettuare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge.

Le fasi storiche. Negli anni ’40 non esistevano i gestori aeroportuali come li consideriamo oggi: erano direttamente
le compagnie che operavano in regime di autoproduzione24; lo Stato si limitava ad una mera presenza in tema di
pubblica sicurezza.
Negli anni ’70 nascono le gestioni (sia totali che parziali) e non vi è la privatizzazione del comparto: vi è la presenza
dello Stato che assegna direttamente , senza gara, mediante decreto ministeriale, ad un ente pubblico costituito ad
hoc o ad una Spa a totale capitale pubblico la gestione dell’aeroporto.
Negli anni ’90 si sente la necessità di una gestione uniforma, quindi viene meno la possibilità delle gestioni parziali e
si ha l’apertura ai privati con procedure ad evidenza pubblica. questa non è stata una privatizzazione scellerata,
totalmente insensibile a istanze di carattere pubblico: il legislatore, infatti, ha previsto che queste società di gestione
debbano avere almeno il 20% di capitale pubblico25.

Le forme di gestione. In Italia esistono quattro forme di gestione:


gestioni totali in virtù di una legge speciale: la durata delle concessioni è stabilito oggi che non possa durare per più
di 40 anni, ma questa durata era, prima della riforma, la durata media; le gestioni concesse senza gara dal Ministero,

21
I regolamenti sono prodotti, in questo caso, naturalmente, dall’ENAC.
22
Dal 1995 in poi il legislatore si è reso conto che non era più possibile lasciare allo Stato la gestione di alcuni
settori e aveva individuato la necessità di iniezione di capitali privati. In realtà, nell’ambito aeroportuale il sistema
era già in default per cui l’intervento fu tardivo.
23
Il caso italiano era un caso del tutto isolato rispetto agli altri Paesi dell’UE, soprattutto se confrontato con i Paesi
del Nord, dove c’era una gestione che produceva grandi utili e un alto grado di soddisfazione dell’utenza.
24
Quindi atterrava un aereo e le compagnie stesse si arrangiavano a scaricare la merce, trasportare i passeggeri e via
dicendo.
25
È una quota notevole perché con quella percentuale, come ben si sa, è possibile convocare l’assemblea dei soci.

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16 Diritto aeronautico

prima della riforma del 1997, mediante la costituzione di un ente pubblico ad hoc o di una Spa a totale capitale
pubblico, ma solo in virtù di una legge speciale, non si sono estinte sol perché è intervenuta la riforma, sono ancora
valide (ecco che quindi una gestione aeroportuale concessa nel 1993 sarà valida fino al 2037 e solo allora si darà
luogo alla privatizzazione di quella gestione);
gestioni totali a seguito della trasformazione della gestione parziale, sempre in virtù di una legge speciale: nel 1997
le gestioni parziale devono da subito (e non alla loro scadenza), trasformarsi in gestioni totali;
nuova forma di gestione privatizzata in ossequio alle previsioni del d.m. 521/1997: è la gestione nuova che prevede
la privatizzazione, che venga individuato un partner pubblico (che deve possedere almeno il 20% delle azioni) e
prevede, ex art. 704 c. nav., un iter nuovo, trasparente e molto buono per l’individuazione del nuovo gestore
aeroportuale. il c. nav. stabilisce oggi che la durata per la concessione delle gestioni è di massimo 40 anni; in realtà,
in concreto, bisogna ritenersi che la durata della concessione sia “secca” di 40 anni. Questo termine, poi, è troppo
breve in termini assoluti: in 40 anni è difficile ammortizzare gli investimenti effettuati in questo ambito; questo
determinerà una proposta prudenziale da parte dell’aspirante gestore aeroportuale. L’iter, così come oggi previsto
dal c. nav., vede sicuramente la centralità del competente Ministero, che tramite decreto provvederà alla
concessione della gestione; ma l’ENAC, a differenza del passato, viene a rivestire un ruolo fondamentale nella
procedura di gara, dal momento che sovrintende tutta la procedura e costituisce anche un impulso all’attività del
Ministero. La gara in questione è una gara pubblica europea: tutti gli operatori e investitori dell’UE possono
partecipare; si dà, inoltre, anche la possibilità ai capitali esteri (provenienti, cioè, da fuori dell’UE) di partecipare alla
gara, purché sia soddisfatto il principio di reciprocità. All’art. 704 si dice che chi investe dall’estero in Italia nella
gestione aeroportuale deve aprire nel territorio italiano una sede secondaria: in questo modo le tasse verranno
versate nell’erario del nostro Paese. Di solito queste gare non sono gare determinate sulla base di chi offre il prezzo
migliore (in soldoni, chi offre più soldi al Ministero gestisce l’aeroporto), bensì sulla base dell’offerta economicamente
più vantaggiosa (in cui si tiene conto di una pluralità di voci). Una volta individuato il soggetto, questo non è
immediatamente l’aggiudicatario: questa società dovrà sottoscrivere una convenzione con l’ENAC, con cui si
puntualizzano gli oneri del futuri gestore aeroportuale nei confronti dell’ENAC, le sanzioni che potranno essere
irrogate dall’ENAC nei confronti del gestore inadempiente, le modalità di ispezione che l’ENAC si riserva di effettuare
nelle infrastrutture aeroportuali, etc.; insomma, in tal modo si specifica il contenuto dell’accordo. Almeno una volta
ogni 4 anni, poi, l’ENAC dovrà verificare che quanto promesso dal gestore in sede di gara sia effettivamente
mantenuto;
gestione c.d. residuale: se la gara va deserta, perché nessun privato è disposto ad assumere la gestione di
quell’aeroporto (perché la gestione è, per esempio, antieconomica), questa è assunta direttamente dall’ENAC o dal
Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture; il costo di queste gestioni, poi, il più delle volte si rileva così elevato che
si opta per la chiusura di quella infrastruttura aeroportuale.

Le modalità di gestione. La legislazione ci dice che il gestore:


deve favorire l’interesse della comunità territorialmente vicina;
deve produrre servizi: per cui un aeroporto deve funzionare (nel senso che ci deve essere un parcheggio, i bagagli si
devono ritrovare, etc.), non deve solo produrre utili;
deve erogare i servizi con continuità e senza discriminazione tra diverse compagnie aeree: quest’ultimo aspetto, in
particolare, significa che le tariffe devono essere uguali per tutti (in passato non era così, perché l’Alitalia godeva di
costi di gestione agevolati.

I gestori aeroportuali guadagnano dalla propria gestione mediante entrate dirette e indirette: con le prime si fa
riferimento alle tasse di imbarco e ai vari diritti che si pagano; le secondo sono molte importanti – perché di gran
lunga superiori a quelle dirette – e sono quelle provenienti da terzi (per esempio, il gestore può indire una gara per
affidare ad una società terza la del parcheggio o del servizio di ristorazione: questa società terza pagherà, quindi, un
determinato canone annuo – o secondo diversi accordi – per la gestione concessagli).
I compiti del gestore sono molteplici e sono i seguenti: gestire l’aeroporto; collaborare con l’ENAC e le altre autorità
aeroportuali; rispettare gli accordi presi con l’ENAC; garantire la sicurezza ai varchi (vd. supra).

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Capitolo settimo
Profili penali della navigazione aerea

Aspetti generali. La parte più corposa della disciplina la si individua nel codice della navigazione; tuttavia, va subito
puntualizzato che gli aspetti penali del diritto aeronautico vengono trattati anche in fonti diverse, per esempio il
codice penale o le miriadi di leggi speciali sparse nell’ordinamento. La riforma della parte aeronautica non ha inciso
sugli aspetti penali.
Secondo la dottrina classica – quindi anche datata (superata) – i reati aeronautici propri potrebbero essere solo quelli
contemplati dal codice della navigazione: questa è la c.d. impostazione formale. I nuovi orientamenti, che sono da
preferire, si caratterizzano, invece, per un’impostazione sostanziale: questi ritengono che debbano essere
considerati reati aeronautici propri anche le fattispecie non contemplate dal codice della navigazione, ma disciplinate
da fonti diverse.
Il legislatore, nella stesura del codice della navigazione, ha optato per una trattazione degli aspetti penali comune
tanto alla parte aeronautica quanto a quella marittima; quindi, per quanto riguarda la giurisdizione, vorrà distinguere
le fattispecie penali in base al criterio del locus commissi delicti. In definitiva, non ha distinto la formulazione delle
fattispecie scindendo fra reati aeronautici e reati marittimi; contrariamente, ha previsto delle fattispecie penali che
vanno bene tanto per l’ambito marittimo quanto per quella aeronautico.
Anche in ambito aeronautico abbiamo i c.d. reati propri, cioè reati che possono essere compiuti solo da determinati
soggetti (la maggior parte delle volte è il comandante dell’aereo).
La dottrina, in tema di trasporti, distingue i c.d. reati propri della navigazione26, che sono delle fattispecie di reato
conosciute soltanto nel mondo dei trasporti (e che non sono previste in via generale, per esempio, nel codice
penale), dai c.d. reati impropri della navigazione, che sono quelli previsti dal codice della navigazione (ma che
conoscono analoghe previsioni in altre fonti.
Nel diritto aeronautico grande rilievo assume la categoria dei reati di pericolo concreto e dei reati di pericolo
presunto: per quanto riguarda i primi, le fattispecie di reato si configurano soltanto ove la condotta del soggetto attivo
determini una concreta messa in pericolo della pubblica incolumità; nei secondi, invece, si prevede la condanna
anche ove la condotta del soggetto attiva non abbia concretamente messo in pericolo la pubblica incolumità.
Un’importanza fondamentale la riveste il principio di extraterritorialità della legge penale: già dalla disamina del
combinato disposto di cui agli artt. 3 e 4 c.p. si evince il significato di questo principio. Per quanto riguarda gli
aeromobili (ma anche le navi) che battono bandiera italiana, questi sono considerati pezzi del territorio italiano,
ovunque si trovino: per cui si applicherà il nostro diritto penale ovunque questo mezzo si venga a trovare. Questo
principio – che comunque conosce qualche eccezione – determina delle deroghe al principio del ne bis in idem: ci
sono stati, infatti, dei casi di soggetti che sono stati sottoposti a procedimenti più volte per la medesima condotta. Vi
sono però tutta una serie di convenzioni internazionali – la più importante è la Convenzione di Tokyo del 1963 – che
hanno determinato un profondo ammorbidimento della regola generale, venendo a complicare ancor di più il quadro
generale della materia; la Convenzione di Tokyo del 1963 ha stabilito delle giurisdizioni concorrenti e ha posto una
riserva di giurisdizione ad uno Stato estero.
I reati in ambito aeronautico e marittimo sono classificabili in varie categorie a seconda del bene giuridico protetto:
delitti contro la proprietà dello Stato;
delitti contro la Polizia di bordo;
delitti contro le autorità consolari e le autorità di bordo;
delitti contro la persona;
delitti contro la fede pubblica;
delitti contro la proprietà dell’aeromobile o del relativo carico;
delitti contro la sicurezza della navigazione.

Quest’ultima è la categoria più importante e qui si tratterà solo questa.

Esecuzione o rimozione arbitraria o omissione di segnali. Il soggetto attivo è chiunque e la condotta è quella di
chi arbitrariamente esegue o rimuove segnali visivi o acustici previsti nell’ambito del settore aeronautico. Il dolo è
generico. Sono previste delle aggravanti ove da questa condotta derivi la caduta o la perdita o la rovina
dell’aeromobile (o della nave).

Omissione di soccorso. È molto importante, stante l’enorme applicazione della norma a causa di una lettura molto
estensiva della norma da parte della giurisprudenza. L’omissione di soccorso non è soltanto l’omissione della
cooperazione di un soggetto al soccorso di un aeromobile in difficoltà (per esempio, l’intervento in caso di incendio),
ma anche l’omissione degli obblighi posti a carico degli addetti al traffico aereo (ENAV) qualora ricevano un SOS. Vi
sono poi applicazioni estensive e, a titolo esemplificativo, vengono perseguiti penalmente gli assistenti di volo anche
nei casi in cui questi avrebbero dovuto sospettare che un aeromobile si trovasse in uno stato di difficoltà e necessità
(per esempio, se perdono il segnale radar). L’omissione di soccorso viene di solito contestata ai piloti che, a fronte
dell’indicazione da parte degli assistenti di volo di dare priorità di atterraggio ad un aereo che si tratta in stato di
avaria o di bisogno, non ottemperano a tale indicazione.

Inosservanza degli ordini dell’autorità. Consiste nella generica inosservanza di un ordine impartito da una
determinata autorità aeronautica; la giurisprudenza ritiene che sia penalmente perseguibile non solo l’inosservanza
in se stessa, ma anche il ritardo nell’osservanza.

26
Da non confondere con i reati propri!

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18 Diritto aeronautico

Abbandono abusivo del comando. È un reato proprio; si ha nell’ipotesi in cui il pilota cede il comando ad un
soggetto che non ne ha i requisiti (è il classico esempio di chi si porta la moglie o l’amante a bordo e le scatta delle
foto mentre pilota l’aereo per metterle su Facebook).

Abbandono di nave o aeromobile. È un reato ancora più grave del precedente; non vi è solo l’abbandono del
comando a persona non abilitata, ma l’abbandono totale di nave o aeromobile.

Usurpazione del comando. La condotta è quella dell’indebita assunzione del comando da parte di un soggetto che
non è abilitato a farlo. Simile alla fattispecie è il comando di nave o aeromobile che supera i limiti dell’abilitazione,
comportamento che viene considerato meno grave.

Ubriachezza. Non è un’ipotesi scolastica, perché il fenomeno è abbastanza comune in ambito aeronautico: questo
non significa che i piloti siano una categoria costituita da persone che notoriamente sono dedite all’alcool; piuttosto
l’attività aeronautica è un’attività che molto spesso determina il c.d. effetto narcosi. La norma allora censura la
condotta dell’aeromobile in stato di ubriachezza ove questa non sia dovuta a caso fortuito o forza maggiore: occorre
tenere ben presente quest’ultima parte della norma, perché sono fenomeni che molto spesso avvengono a causa
della speciale miscela dell’ossigeno27 o della pressurizzazione, che determinano l’effetto narcosi. La norma,
insomma, è stata sostanzialmente posta in essere non perché, come si è già detto, la categoria dei piloti è costituita
da persone dedite all’alcool, bensì per proteggere da incriminazioni formali soggetti che sono caduto in uno stato di
narcosi a causa di eventi strettamente connessi alla navigazione aerea.

Danneggiamento con pericolo di naufragio o di disastro aviatorio. La condizione che viene sanzionata è quella
di chi danneggia un aeromobile (sia in navigazione che fermo), se ne deriva un pericolo che si concreta nella caduta
dell’aeromobile (o nel naufragio della nave).

Inosservanza delle norme sulla sicurezza della navigazione. Si tratta di una norma generica contenuta nel codice
della navigazione. Sono norma che tutelano l’incolumità pubblica e sono contenute nel codice penale: sono, per
esempio, l’attentato alla sicurezza dei trasporti (che ha una casistica ricchissima: si pensi, per esempio, alle vicende
che hanno interessato il lancio di sassi dal cavalcavia) o la strage (che di solito viene applicata in concorso con altri
reati).

Disastro aviatorio. Pur essendo un reato tipicamente appartenente al settore aeronautico, è previsto nel codice
penale28. La dottrina è stata fin dall’inizio divisa sull’individuazione del concetto di disastro: si può definire come un
evento di tali dimensioni che viene a scuotere le coscienze delle persone. È un delitto contro la pubblica incolumità
(che quindi assurge a bene giuridico protetto); in questa categoria il codice penale ne ricomprende molti: l’incendio,
la frana, il disastro ferroviario, il crollo di costruzioni, etc. Per quanto riguarda il disastro aviatorio, si tratta di una
fattispecie sia di pericolo concreto che di pericolo astratto. Il codice penale, poi, ne disciplina tanto la fattispecie
dolosa (art. 428), quanto la fattispecie colposa (art. 449) – che è quella casisticamente più normale e più rilevante.
Noi studieremo quella dolosa, perché quella colposa viene individuata tramite la tecnica del rinvio. L’art. 428 si
struttura in tre commi:
comma 1: «chiunque cagiona […] la caduta di un aeromobile […] è punito con la pena della reclusione»;
il comma 2 prevede delle aggravanti specifiche;
comma 3: se la caduta dell’aeromobile è determinata dal proprietario dell’aeromobile, egli sarà punito solo se dal
fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità.

L’ipotesi di cui al comma 1 dà forma a un delitto a pericolo presunto, quella di cui al comma 3 a un delitto di pericolo
concreto. Questo è gravemente ingiusto, perché non è tollerabile che nel nostro ordinamento giuridico ci siano delle
conseguenze penali differenti a seconda della qualifica di chi sta agendo. Si consideri il seguente esempio: Tizio
prende un aeromobile e, mentre è in volo, perde il controllo perché si addormenta ma riprende i sensi giusto in
tempo per compiere un atterraggio di fortuna29 in una zona del tutto desertica. Se Tizio era il proprietario
dell’aeromobile, il fatto è penalmente irrilevante; se non era il proprietario sarà incriminato per disastro aviatorio
colposo. A questa anomalia se ne aggiunge un’altra: la giurisprudenza interpreta estensivamente la norma,
ricomprendendovi non solo il precipitare («caduta») di un aeromobile, ma anche la collisione a terra, nella struttura
aeroportuale, tra, per esempio, la ala e un camioncino. Da esterni potrebbe sembrare che il reato di disastro aviatorio
sia un’evenienza rarissima; invece non è così, perché avendo equiparato gli ultraleggeri agli aeromobili, l’ipotesi di
disastro aviatorio si applica anche agli ultraleggeri (per esempio, i deltaplani): la casistica è, quindi, esplosa. Per
quanto riguarda il disastro aviatorio doloso, si può avere concorso con la strage, nel caso in cui muoia qualcuno; per
quel che riguarda il disastro colposo, invece, si può avere il concorso con Morti o lesioni come conseguenza di altro
delitto (art. 586). Chiaramente si sta parlando sempre di aeromobile civili, non militari. Per concludere, al Ministero
giacciono tutta una serie di proposte: innanzitutto sostituire la locuzione «cagiona […] la caduta» con quella di «fa
precipitare»; poi di eliminare le differenza tra comma 1 e comma 3, rendendo il reato per intero una fattispecie di
delitto a pericolo concreto.

27
Magari può capitare che l’ossigeno si eteri.
28
In ossequio alla tradizione non è stata disposta una norma generale che preveda astrattamente il disastro, ma non
state poste in essere in modo analitico tante fattispecie di disastro.
29
L’atterraggio di fortuna non esclude il fatto che comunque vi è stata la caduta dell’aeromobile.

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Capitolo ottavo
Il personale aeronautico

Aspetti generali. Il mondo dei trasporti è retto da una disciplina divergente da quella tradizionale che si studia in
diritto del lavoro. Il codice della navigazione distingue tra personale di volo e personale non di volo; tutta la disciplina
del personale aeronautico (sia di volo che non di volo) viene affrontata in modo molto corposo da regolamenti. Per
quanto riguarda il personale di volo, si individuano i seguenti soggetti:
comandante: si tratta del personale deputato alla guida e alla conduzione dell’aeromobile;
addetti agli impianti e agli apparati di bordo: coadiuvano il comandante;
addetti ai servizi complementari: non sono altro che le hostess e gli steward.

Per quanto riguarda il personale non di volo, ci sono le seguenti figure:


addetti al traffico aereo: sono gli assistenti di volo;
personale non di volo delle compagnie aeree: sono, per esempio, quelle persone che, negli aeroporti più grande, si
trovano al check in per svolgere quelle mansioni come la pesa del bagaglio;
personale del controllo e della sicurezza;
addetti alla manutenzione: per esempio, le persone a cui è delegato rifornire di carburante gli aeromobili o di
effettuare delle ricognizioni sulla stabilità della struttura;
prestatori di servizi e di assistenza a terra.

Il legislatore del codice della navigazione, certo, pone in essere questa distinzione, ma è di fonte regolamentare
(ENAC) tutta la disciplina relativa ai requisiti professionali, psicofisici, etc., necessari per conseguire gli attestati di
abilitazione indispensabili per svolgere determinate professioni: con quegli atti si stabiliscono, per esempio, l’età
massima per i piloti o le hostess o altre figure, gli attestati che deve avere un manutentore, le visite mediche che si
devono compiere e via dicendo. Questi regolamenti, comunque, vengono posti in essere sotto un impulso di diritto
comunitario.
Spesso le norme fanno riferimento all’equipaggio: questo è costituito dal comandante e da tutto il personale di volo
imbarcato. L’equipaggio viene scelto dall’esercente entro i limiti previsti dai regolamenti ENAC e dalle tabelle
ministeriali: quindi l’esercente dovrà garantire un TOT numero di piloti, un TOT numero di hostess o steward, etc.,
secondo gli schemi previsti da ENAC e Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture.

Il comandante. La figura più importante è quella del comandante dell’aeromobile; il nostro codice vi ha destinato
molti articoli (peraltro interessati dall’intervento riformatore): appare quindi erroneo porre un parallelismo con il
comandante della nave, perché trattasi di figure non coincidenti per quanto riguarda i compiti e le responsabilità
(visto che le due figure divergono per quanto riguarda la normativa). Il codice della navigazione è antico e mutua la
propria terminologia dal codice penale militare di pace: si dice che tutto l’equipaggio è sottoposto all’autorità del
comandante; in tema di disciplina di bordo si dispone che tutti i componenti dell’equipaggio devono prestare
obbedienza ai superiori. Vi è, quindi, la centralità in ambito aeronautico della figura del comandante, il quale è
caratterizzato da un’autorevolezza fornitagli anche dalla lettera della norma. Il comandante viene individuato, come il
resto dell’equipaggio, dall’esercente, che lo individua fra i soggetti dotati delle abilitazioni necessarie previste dalla
legge o dai regolamenti ENAC. Può capitare che a bordo vi siano più persone del medesimo grado; bisognerà allora
fissare una piramide gerarchica: sarà comandante della spedizione colui che risulterà tale dal giornale di bordo.
L’individuazione, in questi casi, del comandante è importante dal punto di vista della responsabilità.
Il comandante ha la rappresentanza dell’esercente, però a differenza dell’ambito marittimo, il comandante non ha
una rappresentanza generale (non può, per esempio, vendere o ipotecare l’aeromobile senza uno specifico
mandato): la ratio di questa limitazione è data dal fatto che le spedizioni aeronautiche, di solito, a differenza di quelle
marittime, sono meno impegnative perché si pongono in un contesto temporale completamente diverso. Quindi il
comandante potrà porre in essere tutta una serie di atti i cui effetti ricadranno sull’esercente, ove sussistano i
presupposti della necessità, vi sia l’assenza dell’esercente in loco e il negozio giuridico sia utile alla spedizione e agli
interessi dell’esercente. Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il comandante deve rendere edotto il terzo soggetto del fatto
che agisce in nome e per conto dell’esercente.
La centralità del comandante si concretizza anche nei poteri che ha:
deve garantire l’idoneità dell’aeromobile ad intraprendere il viaggio: questo compito non è di agevole realizzazione
per il comandante, perché dovrebbe effettuare tutta una serie di controlli e ispezioni che porterebbero via un sacco di
tempo (per cui il più delle volte ci si limita a controlli superficiali);
deve verificare che l’aeromobile sia completamente e convenientemente attrezzato ed equipaggiato;
deve verificare che le condizioni atmosferiche consentano di intraprendere in sicurezza il volo: al comandante è
attribuito il potere di non intraprendere il volo pur in presenza di un’autorizzazione degli assistenti di volo sulla base
di una sua valutazione (antitetica) sulle condizioni di sicurezza.

La Convenzione di Tokyo del 1963, poi, ha tracciato una serie puntuale di poteri, compiti e doveri del comandante; la
più importante riguarda l’ambito della security aeroportuale (cioè la prevenzione di condotte antigiuridiche a bordo
dell’aeromobile): il comandante costituisce l’ultimo filtro rispetto alla comunità viaggiante e può interdire l’accesso
all’aeromobile – o far sbarcare al primo aeroporto utile (se non addirittura prima della partenza) – a merci o
passeggeri ritenuti in qualche modo sospetti di compromettere la sicurezza della spedizione. Il potere è delegabile ed
egli – con una norma introdotta dalla Convenzione di Tokyo che è stata accolta con grande favore – non è

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20 Diritto aeronautico

responsabile dell’attività posta in essere in ossequio a questo potere (sia che la ponga in essere lui stesso o i
soggetti delegati). Questa norma è stata vista con favore perché la giurisprudenza aveva conosciuto casi di azioni
civilistiche di responsabilità nei confronti del comandante: poteva accadere che il comandante lasciasse a terra delle
persone e che queste – magari perché poi si scopriva non essere terroristi oppure sotto l’effetto di alcool o
stupefacenti – chiedevano il risarcimento del danno; per molti anni i comandanti, vista la situazione che ne
conseguiva, nemmeno si sognavano più di lasciare a terra qualcuno.
Il comandante dell’aeromobile ha importanti funzioni pubblicistiche, tanto come ufficiale di polizia giudiziaria quanto
come ufficiale di stato civile. Sotto il primo aspetto:
può trarre in arresto chi colto in flagranza di reato;
può trarre in fermo l’indiziato di reato;
può assumere testimonianza (per esempio: è stato rubato un portafoglio a bordo ed egli, per scoprire il colpevole, è
autorizzato a sentire i presenti in merito all’accaduto);
può sequestrare il corpo del reato;
può procedere a sommari interrogatori.

Sotto il secondo profilo:


può certificare la morte;
può ricevere testamenti;
può attestare nascite;
può celebrare matrimoni (ma soltanto in caso di imminente pericolo di vita).

Oggi tra la disciplina dell’equipaggio marittimo e quella dell’equipaggio aeronautico c’è una profonda differenza:
per l’equipaggio aeronautico non è richiesto il requisito della cittadinanza (in Italia e in UE): è sufficiente essere iscritti
negli albi del personale di volo dell’UE, a differenza dell’ambito marittimo, dove il personale deve essere cittadino
dell’UE (salvo alcune percentuali di tolleranza);
il potere che il comandante dell’aeromobile ha nei confronti dei propri subordinati sono inferiori rispetto a quelli del
comandante della nave: quelli del comandante dell’aeromobile, dopo l’intervento della riforma, si palesano solo in
mere denunce all’esercente o all’ENAC, affinché l’ENAC assuma i provvedimenti più opportuni (quindi il comandante
dell’aeromobile non potrà assumere decisioni in ambito sanzionatorio).

L’esercente. Il codice della navigazione dispone che è esercente colui che assume l’esercizio di un aeromobile,
quindi colui che intende intraprendere l’esercizio di attività di navigazione aerea con un aeromobile di cui ha la
disponibilità (non è necessario che ne abbia la proprietà)30. Il codice della navigazione ha previsto la c.d.
dichiarazione di esercente: esiste un registro apposito presso l’ENAC dove vengono registrati e trascritti i nominativi
dei soggetti che intendono intraprendere la navigazione aerea; l’ENAC provvederà poi a trascrivere questa
dichiarazione nel RAN (Registro Aeronautico Nazionale). In assenza di questa dichiarazione vige la presunzione
(semplice) secondo cui l’esercente coincide con il proprietario di quel determinato aeromobile. La norma prevede che
è necessario provvedere a questa dichiarazione, però non individua nessuna sanzione; è opportuno allora parlare di
pubblicità-notizia.
Sull’esercente grava una responsabilità c.d. vicaria, perché tutti gli effetti dei negozi giuridici conclusi dal comandante
si ripercuoteranno su di lui; il legislatore prevede una responsabilità vicaria (e in solido) dell’esercente nei confronti di
chi rivendica eventuali diritti che sono sorti a fronte di un utilizzo dell’aeromobile avvenuto contro la volontà
dell’esercente nei casi in cui non abbia utilizzato la dovuta diligenza al fine di impedirne l’utilizzo.

Il caposcalo. Il caposcalo fa parte del personale aeronautico non di volo ed è una delle figure più importanti
nell’ambito dell’organigramma aeronautico: è un ausiliario a terra dell’esercente, al quale è legato da un rapporto di
lavoro subordinato. La nomina non è obbligatoria, ma facoltativa. I poteri del caposcalo sono previsti dalla legge: ha
funzioni varie, ma soprattutto burocratiche, organizzative, commerciali, amministrative, etc. Il caposcala rappresenta
l’esercente, quindi ha poteri sull’aeromobile: per esempio, può ordinare al comandante di non intraprendere più un
certo viaggio oppure può indicare i passeggeri o le merci che devono essere esclusi da quel determinato volo. I
poteri di rappresentanza non richiedono la procura dal momento che sono previsti ex lege. Se l’esercente riterrà di
limitare i poteri del caposcalo potrà farlo con un atto pubblico che dovrà necessariamente essere pubblicizzato con
forme idonee al fine dell’opponibilità nei confronti di terzi.

30
La figura dell’esercente corrisponde a quello che nel diritto della navigazione è il c.d. armatore della nave.

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Capitolo nono
L’aeromobile

Aspetti generali. Il codice della navigazione è stato riformato per quanto prevede la nozione di aeromobile: si è
passati dalla nozione di aeromobile come apparecchio caratterizzato dall’attitudine al volo alla nozione di aeromobile
come apparecchio caratterizzato dall’attitudine al trasporto. Il codice della navigazione, insomma, dispone che per
aeromobile si deve intendere ogni macchina destinata al trasporto per aria di persone o cose. Le novità sono che
oggi sono aeromobili anche i mezzi a pilotaggio remoto (UAV); la nozione di aeromobile è stata modificata
considerando anche gli apparecchi da volo, diporto o sportivo (VDS)31 – ai quali, quindi, non si applicherà solo la
parte II del libro I del codice della navigazione).
Gli aeromobili sono considerati beni composti (res compositae); sono costituiti da:
parti comuni (dette costitutive), che possono essere separabili o inseparabili: sono separabili quelle che possono
essere estrapolate dall’apparecchio senza determinarne un deterioramento (per esempio, il motore); queste possono
conoscere negozi giuridici distinti rispetto alla restante parte dell’aeromobile (quindi può accadere che la fusoliera
appartenga a Tizio e il motore a Caio). Le parti comuni inseparabili sono le parti – solitamente – strutturali, dove non
è concepibile un dominio separato ma al massimo una mera comproprietà;
pertinenze: devono essere beni durevoli, strumentali alla navigazione aerea e non sono fisicamente legate
all’aeromobile (per esempio, i paracadute); possono appartenere a soggetti diversi dai proprietari dell’aeromobile;
accessori: sono inscindibilmente legati all’aeromobile (per esempio, impianti tecnologici e strumenti); possono avere
proprietari diversi da quelli dell’aeromobile.

Gli aeromobili sono beni mobili registrati; per universi, però, la disciplina è molto rigida ed è quella tipica dei beni
immobili. In tema di circolazione si registra il maggior rigore normativo e, quindi, tutti i contratti costitutivi, traslativi,
etc. sono disposti a importanti regimi di pubblicità; questo per tutelare l’acquisto del terzo. La pubblicità di questi
negozi verrà fatto nel RAN e sul certificato di immatricolazione.

Costruzione e distruzione dell’aeromobile. La materia è caratterizzata anche da aspetti pubblicistici, non solo
privatistici: per esempio nell’ambito della costruzione rientra il tema della sicurezza.
Proprio iniziando dalla costruzione, occorre precisare che di solito il costruttore non costruisce l’aeromobile per sé,
ma per un committente; ci si era chiesti allora se l’acquisto fosse a titolo originario o a titolo derivativo: la dottrina più
recente ritiene che sia a titolo originario, con la conseguenza, per esempio, che i creditori del committente potranno
aggredire quel bene. Il contratto di costruzione deve essere posto in essere in forma scritta a pena di nullità e
all’ENAC si deve comunicare l’inizio dei lavori, affinché possa procedere agli accessi, alle verifiche e alle ispezioni
dei cantieri.
Per quanto riguarda la demolizione, ci sono state delle recenti novità: l’iter è nuovo, molto severo e rigoroso. Prima
della riforma la demolizione non conosceva forme di controllo, bastava una mera comunicazione e quell’aeromobile
veniva cancellato dai registri. A causa di questa disciplina si era riscontrato un fenomeno increscioso: i proprietari
degli aeromobili ne dichiaravano la demolizione (e quindi dal punto di vista fiscale non esistevano più), ma poi
venivano venduti per circolare perlopiù in Africa Meridionale. Oggi l’attività di demolizione è cambiata: prima di
procedere è necessario darne comunicazione all’ENAC; l’ENAC avrà la possibilità di mandare un ispettore per
verificare l’effettiva demolizione di quell’aereo. Oltre a questo aspetto pubblicistico, occorreva però tenere conto e
disciplinare anche l’aspetto privatistico, ovvero la tutela dei creditori. Prima di procedere alla demolizione bisogna
produrre una pubblicità a tutela dei terzi creditori: verranno affissi degli avvisi nella sede centrale dell’ENAC e in
quelle circoscrizionali e i terzi avranno 60 giorni dalla pubblicazione per opporsi alla demolizione; se vi è
l’opposizione bisogna bloccare la procedura. Occorre tenere conto, però, anche di un altro fatto: il procedimento per
accertare un credito può durare anche molti anni e non si può imporre al proprietario dell’aeromobile di non
procedere alla demolizione – e quindi imporgli di accollarsi le spese di mantenimento dell’aeromobile– per tutto il
periodo; la normativa ha allora stabilito che il proprietario può comunque procedere alla demolizione, purché produca
fideiussione bancaria o assicurativa in relazione a quel determinato credito.
Occorre considerare poi anche gli elementi di individuazione dell’aeromobile che è stato prodotto:
marca di nazionalità (che in Italia è data dalla lettera “I”);
marca di immatricolazione, che è data da quattro lettere che vengono assegnate dall’ENAC;
marche provvisorie temporanee, che vengono attribuite per porre in essere determinate dimostrazioni.

Il produttore costruisce un aeromobile e dovrà immatricolarlo, per cui si rivolgerà all’ENAC per richiedere le marche
di cui ai numeri 1) e 2). Dopo l’iscrizione nell’apposito registro verrà rilasciato dall’ENAC il certificato di
immatricolazione, che riporterà le marche e tutte le caratteristiche dell’aeromobile. Diverso è il certificato di
navigabilità, sempre rilasciato dall’ENAC: questo ha funzione di sicurezza e riporta tutti i controlli e le manutenzioni
che devono essere fatte su quell’aeromobile in base alle prescrizioni tecniche e verificative.
Continuando con i documenti, bisogna analizzare brevemente i documenti di bordo: a bordo l’aeromobile deve
essere dotato di tutta una serie di documenti, che hanno la funzione di incrementare il più possibile la sicurezza e
vengono utilizzati per favorire il controllo delle autorità preposte; servono inoltre per garantire i diritti del personale di
bordo impiegato. Questi documenti sono:

31
Sono, sostanzialmente, gli ultraleggeri (con motore o senza motore).

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22 Diritto aeronautico

(soltanto nel trasporto pubblico di persone) il giornale di bordo: vi sono scritte tutte le vicende che accadono durante
la spedizione;
(nel trasporto di merce) i documenti sanitari doganali;
i documenti assicurativi.

Aeromobili privati e aeromobili di Stato. Gli aeromobili si possono distinguere in privati e di Stato: i primi sono
quelli su cui è stato investito capitale privato; ai secondi, invece, in linea di massima non si applica il codice della
navigazione e la gran parte delle Convenzioni internazionali. Insomma, con le dovute riserve, gli aeromobili di Stato
hanno una disciplina a parte; essi sono gli aeromobili militari, quelli della Polizia, della Protezione civile, dei Vigili del
fuoco e via dicendo.

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Capitolo decimo
Gli UAV

Cenni storici. UAV è l’acronimo di Unmanned Aerial Vehicle, ovvero “aerei senza pilota a bordo”. Sono venuti alla
ribalta recentemente, grazie alle guerre in Afghanistan e Iraq, ma venivano usati anche prima: già nella seconda
metà dell’Ottocento c’erano delle macchine capaci di volare senza il pilota a bordo32; tra gli esempi celebri basti
pensare al caso di Forlanini, che nel 1877 riuscì a far alzare per 13 metri un piccolo elicottero a vapore. Ora le
macchine sono diventate così avanzate e performanti che l’uomo è addirittura diventato un limite: si pensi, per
esempio, ad un volo di 60 ore, è chiaro che un uomo al comando sarebbe limitativo se poto a confronto con una
conduzione computerizzata. Come si è appena visto, gli UAV sono stati riscoperti recentemente grazie alle
operazioni militari c.d. 3D, ovvero dirty-dool-dangerous: si tratta di attività in scenari contaminati (per esempio in aree
dove ci sono radiazioni – dirty) oppure di attività sostanzialmente noioso (per esempio missioni di perlustrazione dei
confini, dove il pilota deve volare per ora e stare a guardare i confini della costa per così tanto tempo che dopo un
po’ la sua vista si assuefa senza più permettergli di notare nemmeno gli aspetti importanti – dool) oppure missioni
pericolose, che nella pressoché generalità dei casi sono di chiara ispirazione bellica (per esempio, missioni di
controllo/spionaggio o di bombardamento – dangerous). Dopo il loro esordio nella metà dell’Ottocento, i primi
tentativi di far volare un aereo senza pilota si ebbe negli anni ’20: questi esemplari, però, erano sostanzialmente
monouso perché la difficoltà nelle manovre portava i piloti ad atterraggi disastrosi. Un famigerato esempio di UAV si
può riscontrare nel V1 (e nel progetto del V2), che si collocava a metà via tra un missile e uno UAV e che veniva
usato dalla Germania nazista per i bombardamenti dell’Inghilterra. Gli UAV furono utilizzati anche negli anni ’50 e ’50
nella guerra in Corea e Vietnam. Fino a poco tempo fa – prima che gli USA ne acquisissero il know how
soppiantando così la sua leadership – il primo produttore di UAV era Israele, il che non appare del tutto ingiustificato:
in quelle zone, infatti, c’è una guerra civile che dura da anni e tutti e tre le “D” sopra citate sono sempre presenti.

Gli UAV nell’ordinamento italiano. In Italia gli UAV assumono importanza dopo la modifica dell’art. 743 c. nav., il
quale ora include nella nozione di aeromobile i «mezzi aerei a pilotaggio remoto»; bisogna prestare attenzione alle
definizioni, perché UAV e mezzi aerei a pilotaggio remoto non è detto che siano del tutto sovrapponibili: questo
perché il pilotaggio remoto presuppone un’attività di pilotaggio, mentre l’UAV presuppone che non ci sia il pilota a
bordo. Quello che importa rilevare è che negli ultimi anni c’era stato un incremento nella produzione e nella
utilizzazione degli UAV: il legislatore ne ha tenuto conto e ora questi UAV possono volare; in concreto, poi, si
rimanda all’ENAC e al Ministero della difesa l’individuazione di quali aerei possono volare in virtù di questa copertura
assicurativa. Sono state mosse della critiche alla riforma, sostanzialmente in due punti:
il presupposto di cui al c. 1 (la finalità di trasporto) non ricadrebbe negli UAV: questa eccezione posta dalla difesa,
però, è criticabile, perché la destinazione al trasporto non si concretizza in una valutazione, per esempio,
dimensionale o numerica della merce trasportata, la destinazione al trasporto va considerata in quanto tale.
Considerando che gli UAV possono essere lunghi pochi centimetri o grandi come un boeing e che i primi possono
essere anche destinati al trasferimento di un singolo medicinale – il che dal punto di vista giuridico è “trasporto” – si
capisce come questa critica sia priva di fondamento;
l’UAV non sarebbe in realtà un aeromobile perché manca il pilota a bordo: questa critica è altresì risibile perché il c. 1
non dice assolutamente che è aeromobile ogni macchina pilotata da un uomo.

Bisogna considerare il c. 2 come una norma esplicativa del c. 1, di cui costituisce una specificazione: si dice, cioè,
che gli UAV sono aeromobile, ma la relativa disciplina si applica entro i limiti individuati dall’ENAC e dal Ministero
della Difesa. Affinché una macchina destinata al trasporto aereo sia considerata aeromobile potrebbe bastare la
destinazione potenziale al trasporto di cose o persone; questa impostazione trova supporto nella l. n. 178/2004, in
cui, dopo che l’Aeronautica Militare aveva completato il processo di certificazione dei velivoli, il legislatore li ha
definiti retroattivamente come aeromobili, nonostante i velivoli militari possano prescindere dal trasporto di cose o
persone.
Per quanto riguarda gli UAV, l’innovazione deriva dagli USA e loro, con questo termine, intendono tanto gli aerei
senza pilotaggio quanto gli aerei a pilotaggio remoto (d’ora in poi APR). I mezzi a pilotaggio remoto hanno sempre
un equipaggio che li governa e con cui mantiene un collegamento che chiude il nesso causa-effetto (nel senso che
ad ogni azione dell’equipaggio corrisponde una manovra dell’aeromobile); può accadere, tuttavia, che in alcuni casi
gli APR non rispondano più ai comandi del pilota (per esempio a causa di un avaria o della perdita del segnale): cosa
si fa in questi casi? Eurocontrol ha imposto che tutti gli UAV siano dotati di un sistema di emergenza, il quale
preveda che, in caso di perdita del data link di controllo, l’aereo dovrà automaticamente indirizzarsi su uno spazio
aereo libero sovrastante un area non abitata e dalla quale non possano derivare pericoli e poi, lì, dovrebbe
precipitare.

Le relazioni tra UAV e pilota, comandante ed esercente. Un aspetto molto rilevante riguarda le ripercussioni che
si hanno in tema di UAV che vengono in rilievo nell’esercizio dell’attività di volo, vale a dire esercente, comandante e
pilota.
La figura dell’esercente è quella che presenta maggiore uniformità rispetto agli aerei tradizionali: il più delle volte la
figura dell’esercente non viene in rilievo nell’attività concreta del volo, egli si limita a predisporre l’azienda con cui poi
altri possano intraprendere il volo.
Per quanto riguarda le altre due figure, queste molto spesso si sovrappongono: tuttavia molto spesso c’è il
comandante e il comandante pilota in secondo. Attenzione, perché l comandante non cessa di essere tale se on è a

32
Alcuni compivano un balzo di 800 metri, ma altri erano in grado di volare per quasi 4000 metri.

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24 Diritto aeronautico

bordo: egli, in qualsiasi caso, risponde di ciò che accade durante il volo. Il pilota, poi, fa quello che il comandante gli
ordini, ferme restando chiaramente la sue acquisite competenze e conoscenze professionali.
Gli UAV sono destinati al trasporto di cose e potenzialmente di persone: si dice ‘potenzialmente’ riferendosi al punto
di vista giuridico, perché per quanto riguarda la tecnica già adesso potrebbe decollare un UAV che trasporta
persone; la realtà, poi, è che la normativa è sempre di rincorsa.
Il comandante deve verificare – e risponde di questa verifica – l’idoneità tecnica al volo dell’aeromobile; l’attività è
certamente delegabile, ma la responsabilità rimane in ogni caso in capo al comandante. In queste condizioni, non ci
sarà ragionevolmente nessun comandante disposto a partire senza aver prima compiuto un’ispezione quantomeno
sommaria. Al comandante, poi, spetta anche la verifica del posizionamento dei carichi33.
Nel pieno riconoscimento degli UAV, poi, occorrerebbe rivedere anche il reato di abbandono di velivolo: il pilota, in
questi casi, infatti, non è a bordo del velivolo e quindi tecnicamente, in queste condizioni, il reato non potrebbe
configurarsi. Occorrerebbe rivedere anche la fattispecie che prevede l’obbligo per il pilota di detenere i documenti di
bordo: in questo caso, dato che i documenti sono a bordo e il pilota non è a bordo, chiaramente il pilota non può
detenere i documenti. Questi due rilievi appena fatti valgono per il trasporto di cose. Per quanto riguarda il trasporto
di persone, i problemi si pongono su un duplice profilo: già si sa che il comandante è ufficiale di stato civile, ma se
non si trova a bordo come fa a ricevere, per esempio, un testamento? Sotto il secondo profilo, al comandante spetta
il compito di gestire al meglio le condotte dell’aeromobile al fine di evitare danni per il mezzo o le persone trasportate:
nel caso in cui ci siano particolari manovre da effettuare non ci sono grossi problemi (seppur non sia a bordo, può
effettuarle efficacemente anche a distanza), ma cosa accade nel caso in cui si dovessero verificare risse a bordo?
Mandare in volo un aereo senza nessuno che controlli la comunità viaggiante non è realisticamente possibile.

Altri concetti problematici. Delle ricadute si hanno anche in termini di responsabilità: non vi sono grosse differenze
per il trasporto di merci; può cambiare qualcosa in caso per danni a terzi sulla superficie e danni ai passeggeri. Si
consideri la seguente situazione: nel momento in cui si perde il data link, l’aereo non sarà senza controllo ma
eseguirà automaticamente l’ordine di dirigersi vero quel luogo; bisognerà vedere se, nel caso in cui in questi
frangesti si verifichi uno schianto con un altro aeromobile, si applica la norma generale. Il problema è che nel
momento in cui l’aereo viene portato in automatico sull’area di distruzione non è più un APR, ma è un UAV dal
momento che non c’è più comando. Su eventuali responsabilità in queste situazioni c’è un vuoto normativo;
Eurocontrol, per esempio, tratta diversamente gli UAV e gli APR (lì si chiamano RPV: Remote Pilot Vehicle) sotto
questo profilo. Quindi, a rigore, nell’ordinamento italiano non tutti gli UAV possono essere considerati aeromobili: si
vede, quindi, come anticipato supra, che la normativa italiana, riconoscendo legislativamente come aeromobili i
«mezzi aerei a pilotaggio remoto» non ha fornito tutela legislativa a tutti i tipi di UAV.
Un ruolo particolare in questo ambito lo gioca anche l’art. 37 della Convenzione di Montreal, il quale prevede la
possibilità per l’esercente di rivalersi sul pilota: questa norma ha un’applicabilità limitata, dal momento che sono rare
le volte che un pilota sopravvive ad un sinistro; in caso di APR, però, il pilota non subirà le conseguenze del sinistro
e quindi l’ambito di applicazione della norma risulterà decisamente maggiore.
Un’altra peculiarità di questi mezzi è la loro conduzione attraverso l’uso di satelliti. Il trasporto aereo, solitamente, è
fatto per lunghe distanze, quindi attraverserà numerose nazioni e si farà uso di un notevole numero di satelliti: se
durante il trasporto cambia il flusso di dati di un satellite e si verifica un sinistro, di chi è la responsabilità? Altro
problema è quello della nazionalità dell’aeromobile: si supponga il caso in cui il velivolo venga comandato da due
stazioni di controllo di nazionalità diversa; qual è la nazionalità del velivolo? Quella della stazione di controllo? E in
questo caso, quale delle due? Oppure quella del satellite? Oppure ancora quella del velivolo stesso? Finora non si
ponevano grossi problemi: un aereo battente quella determinata bandiera partiva con l’equipaggio appartenente a
quella bandiera e quindi la nazionalità era facilmente identificabile; nel momento in cui, però, si divide la stazione di
comando dalla stazione di movimento ci si pone su un terreno insidioso.
Negli ultimi anni l’EASA e l’Eurocontrol si stanno prodigando per la garantire la non facile convivenza degli aerei
manned con gli aerei unmanned34.
Gli UAV sono utilizzati in USA, Russia, Giappone, Italia, Australia e Cina per il monitoraggio delle frontiere e per
tematiche legate alla sicurezza; per la verità, negli USA e in Australia sono utilizzati anche per l’irrigazione dei campi.
Le statistiche dei sinistri degli UAV sono simili (se non forse addirittura migliori) degli aerei manned; questi dati sono
sicuramente molto confortanti. Gli UAV costituiscono un’innovazione importante sotto diversi punti di vista, da quello
tecnico fino ad arrivare a quello ambientale; l’innovazione maggiore, però, è quella che riguarda il pilota: è vero che il
pilota a bordo ha la pressoché piena percezione delle cose che accadono, ma se è a terra non rischia la vita e
certamente ha una visione più analitica della situazione.

33
Un eccessivo carico posizionato sul muso dell’aereo potrebbe compromettere seriamente la fase di decollo; se il
carico è eccessivamente posizionato sulla coda, invece, è la fase di atterraggio a complicarsi notevolmente,
sorgendo così il rischio di sinistri disastrosi. Se, infine, il carico è eccessivo nel mezzo dell’aereo potrebbero sorgere
dei problemi strutturali.
34
È stato posto come obiettivo del quadriennio 2009-2012.

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Capitolo undicesimo
I servizi di handling aeroportuale

Aspetti generali. L’handling aeroportuale non va assolutamente confuso con il gestore aeroportuale. La normativa
in tema non è fra le più semplici, dal momento che è un intreccio fra regolamenti e leggi, fra disciplina interna e
disciplina internazionale. Le fonti sono date dalla direttiva 96/67/CE, recepita con il d.lgs. 18/1999: questa è la fonte
più importante innanzitutto perché ha posto una disciplina in tema di handling aeroportuale e, cosa più importante,
ha impostato una liberalizzazione del sistema di handling aeroportuale.
Gli aeroporti devono considerarsi come beni funzionali all’erogazione di molteplici ed eterogenei servizi che hanno
pertinenza con il trasporto aereo: l’esercizio di questi servizi viene demandato a soggetti privati, anche se essi, il più
delle volte, assumono l’etichetta giuridica di servizi di pubblico interesse. Questa osservazione è presupposto
essenziale e necessario per la nozione di handling aeroportuale; in realtà non esiste una vera e propria definizione,
la nozione che abbiamo è il risultato di uno sforzo dottrinale: handling aeroportuale è il coacervo di attività e di servizi
prestati a favore dell’aeromobile, dei passeggeri o delle merci trasportate.
La dottrina distingue, sulla base delle diverse discipline legislative, diverse categorie di handling, a seconda del luogo
ove viene prestato questo servizio:
air-side handling (o handling di prossimità): sono tutti i servizi che entrano in diretto contatto con l’aeromobile (per
esempio, i servizi per il rifornimento del carburante o quelli per la movimentazione di bagagli e merci);
landside handling: si tratta di tutti quei servizi che vengono dati nell’ambito dell’aeroporto, ma non in diretto contatto
con l’aeromobile (per esempio, i servizi di ristorazione, i negozi, i servizi di parcheggio delle autovetture, etc.).

La disciplina è posta a livello comunitario e di legge perché il processo di liberalizzazione del mercato dei servizi di
handling è stato, sebbene con le dovute eccezioni, pressoché assoluto per i servizi di landside handling e più cauto
per quelli di air-side handling.

La liberalizzazione dei servizi di handling. Il d.lgs. 18/1999 ha definitivamente abbandonato, in tema di handling
aeroportuale, il monopolio pubblico in favore del libero mercato. Prima del ’99 il gestore dell’aeroporto o gestiva
personalmente tutti questi servizi oppure li affidava a terzi soggetti, però al di fuori di ogni forma concorsuale (quindi
in totale assenza di concorrenza): vi era allora una politica discriminatoria e accadeva che il medesimo servizio (per
esempio, la movimentazione dei bagagli) veniva fatto pagare a tariffe diverse a seconda – nell’esempio di specie –
della compagnia aerea che chiedeva il servizio35. Il Consiglio di Stato più volte ha censurato la condotta in questione
e anche il Garante della concorrenza ha preso la medesima posizione.
Altro tema molto importante che ha poi portato alla liberalizzazione era il divieto di autoproduzione dei servizi: c’è
una legge del 1990 che stabilisce che in ogni settore nel quale lo Stato o un ente riconducibile al settore pubblico
gode di una riserva di esercizio di funzioni, il cittadino – o comunque la singola impresa – ha il diritto di fare da sola36;
nel sistema aeroportuale, quindi, si era perfettamente nelle condizioni di legittimità dell’autoproduzione, ma
nonostante ciò questa non era consentita. Per cui accadeva, per esempio, che, atterrata all’aeroporto di Linate la
compagnia di bandiera inglese, questa non poteva affidare il servizio di movimentazione bagagli al personale
inglese, ma doveva affidarsi al prestatore di handling locale: il problema non era solo tariffario, ma anche di qualità
del servizio erogato, che poteva non essere all’altezza degli standard della compagnia aerea estera. Tutto questo –
si faccia attenzione – in piena violazione della normativa in tema di autoproduzione. Con il d.lgs. 18/1999 si è
eliminato questo sistema di monopolio e si è imposto il principio della privatizzazione e della concorrenza. La
direttiva del 1996 non pone in essere una privatizzazione assoluta, ma tiene conto della peculiarità del settore
aeroportuale, dovuta essenzialmente a due aspetti: la sicurezza aeroportuale e la capacità strutturale degli aeroporti.
Quindi vi è stata l’apertura al mercato dei servizi di handling, ma con dei paletti. Sono quattro gli aspetti che
delimitano la totale deregulation di questi servizi:
il volume del traffico aereo: la normativa si applica soltanto agli aeroporti medio-grandi;
lo spazio all’interno della struttura aeroportuale;
l’unbundling;
deroghe generiche alla liberalizzazione: sono deroghe di risibile importanza.

I limiti alla liberalizzazione. La struttura aeroportuale. Nel 1999, quindi, il legislatore italiano ha detto che tutti i
servizi di handling devono essere liberalizzati: l’individuazione mediante procedura ad evidenza pubblica
dell’erogatore di servizi non è effettuata mediante l’assegnazione all’offerente il maggior ribasso, ma si svolge
mediante l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il secondo punto molto importante sul quale
la normativa si è soffermata è quello dell’obbligo di una pluralità di soggetti erogatori il medesimo servizio, cosicché
l’utenza possa scegliere a quali soggetti rivolgersi per ottenere il servizio di handling: quindi, per esempio, il
viaggiatore potrà andare nel ristorante che vuole e la compagnia aerea potrà rivolgersi, per la movimentazione dei
bagagli, alla cooperativa che preferisce (o, in alternativa, autoprodurre). Questo in linea generale, perché la
normativa prevede delle eccezioni e dei limiti:

35
Per esempio, veniva fatto pagare meno alla compagnia di bandiera, mentre c’era un incremento anche del 50%
per le compagnie aeree che si ponevano in concorrenza con la compagnia aerea di bandiera. Il tutto, naturalmente, si
ripercuoteva sul costo del biglietto.
36
È questo il concetto di autoproduzione.

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26 Diritto aeronautico

il gestore aeroportuale può affidare la prestazione di servizi di handling a un numero limitato di soggetti se giustifica
la sua scelta adducendo motivi generici di limiti strutturali dell’aeroporto o per motivi di sicurezza;
vi sono poi altri limiti che divergono a seconda del tipo di servizio di handling erogato, ma non sono rilevanti;
il gestore aeroportuale può anche affidare la gestione del servizio ad un solo soggetto. Il limite è autorizzato anche in
tema di autoproduzione perché la norma consente anche di limitare (si faccia attenzione: limitare, non impedire!) il
numero di soggetti autorizzati all’autoproduzione. Vista la delicatezza della limitazione, vengono poste alcune
precisazioni: quell’unica società che eroga il servizio deve comunque essere individuata mediante una procedura ad
evidenza pubblica e la durata del contratto che lega il gestore aeroportuale con l’erogatore del servizio di handling
non può essere superiore a 7 anni; inoltre la società non deve essere in alcun modo partecipata o controllata dal
gestore aeroportuale. Tutto questo per garantire un minimo di trasparenza. In secondo luogo il gestore dovrà
produrre all’ENAC una relazione da cui si evincano le motivazioni che hanno condotto a questa procedura
semplificata; l’ENAC, poi, costituirà un’apposita commissione affinché questa relazione venga analizzata e
approvata37. La commissione così costituita potrà svolgere anche indagini o ispezioni per verificare se quanto
contenuto nella relazione è vero;
vi sono ulteriori limiti – in Italia – ascrivibili al fatto che alcuni servizi tecnici possono risultare particolarmente delicati
o costosi: questi rientrano, allora, nella prescrizione di una norma che ne consente l’esercizio diretto da parte del
gestore (per esempio, il servizio di de-icing, ovvero quel servizio volto a eliminare dalla pista ghiacci e altre insidie
dovute al maltempo). Sono quei servizi che in ambito di diritto amministrativo vengono ricondotti al concetto di
monopolio naturale38.

L’unbundling. Ci si riferirà ora a una legislazione presente in tutti i Paesi dell’UE e negli USA, che cerca di tutelare e
difendere la concorrenza da pratiche formalmente corrette, ma sostanzialmente volte a distruggere la concorrenza e
formare monopoli. Nei servizi di handling lo scopo della norma vista supra è quello di apertura al mercato; accadeva
che grandi gruppi tendessero a porre in essere una politica volta a penetrare nei mercati e a distruggere la
concorrenza con strategie spregiudicate. Facendo un esempio: per quanto riguarda il servizio di movimentazione dei
bagagli, una società forte farà un’offerta molto appetibile, magari anomale, perché l’interesse di quella società è
penetrare nel mercato; una volta entrata in quel settore, comincerà ad espandersi fino a ricomprendere tutti i servizi
e, magari, a diventare il gestore aeroportuale. È chiaro che in una situazione del genere si potrà porre solo la società
facente parte di una holding, in cui risultano inserite diverse altre società con grossi utili grazie ai quali il bilancio della
società che fa l’offerta antieconomica – e che risulterà quindi in perdita – può essere compensato. Il legislatore si è
accorto di questa situazione e ha imposto l’obbligo di contabilità separata , al fine di evitare sussidi incrociati: in
questo modo viene eliminata l’impresa che ha fatto un’offerta così bassa da far ritenere dubbio che il suo bilancio
possa risultare in attivo. Tutto questo allo scopo di garantire la concorrenza.

Il problema del personale. Un problema che si è verificato e che si verifica tuttora in tema di concorrenza è quello
del personale. Si è visto supra che le concessioni degli aeroporti ai gestori durano 40 anni e che alcune di esse sono
già scadute o stanno per scadere: nel momento in cui si procede all’individuazione del nuovo gestore, nel caso in cui
questo fosse diverso si porrebbe il problema dell’occupazione. Vi è una norma nel d.lgs. 18/1999 che prevede
l’obbligo – in capo a chi ha vinto o a chi vincerà – di assorbire il personale39; non occorre valutare necessariamente
questo come una cosa assolutamente positiva, seppur umanamente lo sia40: essa, infatti, costituisce una grave
limitazione della concorrenza perché, nel caso in cui quel servizio consti di un numero rilevante di dipendenti,
risulteranno estromesse le società più piccole.

37
Questa valutazione è postuma, nel senso che viene valutata quando la decisione del gestore è già esecutiva.
38
Sono tutti quei servizi in cui la concorrenza non produce benefici o vantaggi.
39
Non solo nel senso numerico, ma anche nel senso delle persone singolarmente identificate.
40
In Germania e in Inghilterra, per esempio, una norma simile non esiste.

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Capitolo dodicesimo
Il volo diporto o sportivo

Aspetti generali. Il codice della navigazione riformato, oggi, all’art. 743 ci dà la nozione di aeromobile: esso
ricomprende gli UAV, ma a anche i VDS. I VDS si distinguono in due categorie: i VDS con motore e i VDS senza
motore (per esempio, parapendii, deltaplani, etc.). Storicamente gli ultraleggeri erano considerati aeromobili dal
punto di vista dottrinale e legislativo; poi venne introdotta la l. n. 106/1985, che sottrasse il mondo VDS dalla nozione
di aeromobile. In definitiva, oggi, dopo la riforma della parte aeronautica, i VDS sono giuridicamente degli aeromobili
e vengono applicate loro le relative norme – ad esclusione di quelle contenute nella Parte II del Libro I del codice
della navigazione: per esempio, se un soggetto perde il controllo del proprio VDS (per esempio, un deltaplano) e
precipita in un campo senza aver fatto del male a nessuno, sarà perseguibile per il reato di disastro aviatorio.
La normativa è diversa a seconda che il VDS sia a motore o senza motore. Ma qual è l’elemento che distingue un
VDS con motore dall’aeromobile tradizionale? Il VDS con motore viene definito dalla l. n. 106/1985, che stabilisce le
dimensioni massime, il peso e la potenza del motore entro i quali si può parlare di VDS con motore e non di
aeromobili tradizionali.
Le inchieste aeronautiche non vengono svolte all’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo; l’Agenzia Nazionale
per la Sicurezza del Volo avrà la facoltà – non l’obbligo – di porre in essere delle semplici di monitoraggio. Così
come in tema di costruzione dell’aeromobile non vi è competenza alcuna da parte dell’ENAC: vi è solo un potere di
vigilanza e autorizzazione dell’Aeroclub Italia. Più in generale deve ritenersi che il volo da diporto o sportivo sia
materia sottratta all’ENAC, e quindi ai suoi poteri ispettivi, regolamentari e sanzionatori; in questo particolare
segmento vi è la competenza dell’Aeroclub. L’identificazione dei VDS è completamente diversa rispetto a quella degli
aeromobili tradizionali: vi sono stati dei problemi perché in alcuni casi le targhe corrispondevano ad aeromobili
militari.
La cosa più importante è che aver considerato i VDS degli aeromobili ha consentito di chiarire alcuni aspetti in tema
di responsabilità: si applicherà, infatti, la normativa prevista per gli aeromobili e, quindi, la Convezione di Montreal del
1999 per i danni biologici e la Convenzione di Roma del 1952 per i danni prodotti a terzi sulla superficie. In tema di
responsabilità vi è il problema di capire – in caso di incidente con un VDS – quali siano i responsabili del sinistro e a
quali conseguenze si vada incontro. Si tenga in considerazione l’esempio seguente: c’è un incidente con un
ultraleggero ed entrambi i passeggeri muoiono: l’individuazione del responsabile è importante perché alla famiglia di
questo verranno pignorati i beni affinché all’altra venga corrisposta una somma per risarcire il danno derivante dalla
perdita del famigliare. Il responsabile, allora, non è sempre chi guida; o meglio: vige una presunzione semplice –
quindi è sempre possibile fornire prova contraria – secondo cui pilota è colui che siede sul posto che
convenzionalmente è considerato del pilota (magari il posto è individuato nel libretto).
Si è detto che, oggi, i VDS sono giuridicamente aeromobili: il dato, sulla base di un’analisi comparativa mondiale, è
congruo per i VDS a motore, meno per gli altri. Quindi la riforma è opportuna e congrua nella parte in cui equipara gli
ultraleggeri a motore con la categoria degli aeromobili; è, invece, discutibile l’aver definito i VDS senza motore come
aeromobili, dal momento che in pressoché nessun ordinamento ad aeronautica evoluta accade.
Quali sono le norme che si applicano ai VDS? Per il principio di specialità si applica prima la l. n. 106/1985 (e i
relativi regolamenti attuativi) e successivamente tutte le fonti aeronautiche, con l’esclusione di quelle contenute nel
Libro I, Parte II c. nav. (che riguarda gli aspetti amministrativi: per esempio, le indagini tecniche dell’Agenzia
Nazionale per la Sicurezza del Volo41). Nella pratica ci si è chiesti quale regime normativo è applicabile all’ipotesi di
un uso diverso del VDS (nella maggior parte dei casi con motore) rispetto alle finalità sportive o diportistiche (per
esempio, per lavoro o nelle attività di prevenzione incendi): la giurisprudenza ha ritenuto che la normativa di
riferimento non muta e che verranno di volta in volte applicate in aggiunta le norme previste per lo specifico utilizzo
che saltuariamente sarà stato esercitato; dal punto di vista assicurativo, invece, le polizze, in linea di massima,
prevedono che un impiego diverso dell’ultraleggero determina l’inefficacia del contratto. Proprio in tema di
assicurazioni, si deve rilevare che mancano ancora specifiche disposizioni; in questo caso, allora, soccorre un
regolamento comunitario del 2004 che impone la copertura assicurativa di tutti i veicoli circolanti nell’UE. L’aspetto
assicurativo è un aspetto ancora lacunoso, che nemmeno dal recente intervento riformatore del luglio ’10 è stato
affrontato in maniera convincente (soprattutto per quanto riguarda i VDS senza motore).
Per quanto riguarda il regime di iscrizione, i VDS con motore sono iscritti (non presso i registri detenuti presso
l’ENAC, ma) presso dei registri detenuti dall’Aeroclub Italia: quindi oggi i VDS con motore si possono ritenere dei
beni mobili registrati. Per i VDS senza motore, invece, non vi è un analogo registro, quindi la circolazione deve
ritenersi tutto sommato libera.

La riforma del luglio ’10. Quest’estate è stato prodotto un nuovo regolamento attuativo della l. n. 106/1985. Questo
intervento, tra le altre cose, ha risolto il problema di identificazione dei VDS (la confusione che si creava tra le targhe
degli ultraleggeri e quelle degli aeromobili militari: vedi supra), prevedendo una normativa che risolve in parte
l’impasse. L’aspetto più importante, però, è stato quello per cui è stato liberalizzato ancor di più il volo da diporto o
sportivo; qualcuno era favore di questo intervento (su tutti gli operatori e l’industria aeronautica legata ai VDS42), altri
erano contrari. La maggior liberalizzazione consiste sostanzialmente in quanto segue:
aumento dei livelli tecnici (potenza del motore, peso, portata, etc.) per la riconduzione alla categoria dei VDS;
in tema di sorvolo, prima di luglio molte aree erano interdette al volo da diporto o sportivo (per esempio, le zone
abitate) o questo era consentito solo se effettuato a determinate altezze; ora il sorvolo è completamente libero;

41
L’Agenzia Nazionale per la Sicurezza del Volo ha mere facoltà di monitoraggio, non ha l’obbligo di
investigazioni e ispezioni.
42
In questo modo, infatti, si dà nuova linfa agli investimenti nel campo dei VDS.

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28 Diritto aeronautico

sono state modificate le altezza che i VDS possono raggiungere.

La ratio del regolamento era quella di venire incontro alle richieste dell’industria aeronautica, che si trovava in
difficoltà economica.

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Capitolo tredicesimo
I beni della navigazione aeronautica

Una premessa necessaria. In ambito aeronautico, diversamente da quello marittimo, il concetto di demanialità è un
concetto più sfumato ed eventuale: infatti, in Italia, gli aeroporti possono appartenere innanzitutto ai privati; ove non
siano di proprietà dei privati, appartengono al Ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture e rientrano nella categoria
del demanio accidentale (e quindi sono alienabili); se appartengono al Ministero della Difesa43 fanno sì parte del
demanio necessario ma possono essere sdemanializzate.

L’aerodromo. Per l’esercizio della navigazione aerea è necessario predisporre di strutture ed impianti fissi: questa
generica categoria viene definita “autodromo”. La nozione di aerodromo ci viene data dall’Annesso 14 (costitutivo
dell’ICAO): lì si individua come elemento caratterizzante qualsiasi area – su terraferma o su acqua – [comprensiva di
tutte le installazioni, edifici, etc. strumentali all’esercizio dell’attività aeronautica (per esempio, i parcheggi)] deputata
all’arrivo o alla partenza o al movimento degli aeromobili. Quindi l’aerodromo è la categoria generale di tutti i beni
della navigazione aerea. La categoria aerodromo, poi, conosce delle sottocategorie:
aeroporti. È la sottocategoria più importante della famiglia degli aerodromi e la sua definizione non si discosta da
quella di aerodromo: per aeroporto si intende una struttura attrezzata, tanto su terraferma quanto sull’acqua, idonea
a ricevere un aeromobile o a consentirne il movimento o l’involo. Il codice della navigazione, oggi, parla solo di
aeroporti e aviosuperfici;
campi di fortuna. Sono delle aree destinate in prevalenza all’atterraggio (ma in alcuni casi anche all’involo) per motivi
di urgenza e necessità;
campi di volo. Sono delle aree destinate a parecchi voli da diporto o sportivo per ultraleggeri senza motore;
eliporti. Tradizionalmente erano quelle strutture deputate all’atterraggio o involo di elicotteri; oggi, grazie alle
modifiche intervenute, è più opportuno parlare di strutture deputate all’atterraggio e involo di aeromobili a decollo
verticale44;
aeroscali. Sono aree deputate all’atterraggio o involo di dirigibili;
idroscali. Sono le aree riservate agli idrovolanti;
aviosuperfici. Servono all’atterraggio o al decollo di particolari tipi di aeromobili, nel senso che i piloti devono disporre
di particolari autorizzazioni per poterne usufruire; queste aree sono attrezzate in modo particolare.

Gli aeroporti. Questa sottocategoria degli aerodromi è, nella prassi, a sua volta suddivisa in sottocategorie.
Innanzitutto, tenendo conto della tipologia del traffico, si procede ad una prima divisione in:
intercontinentali: sono i voli lunghi, quelli che collegano diversi continenti;
internazionali;
nazionali.

Vengono considerati di primo livello gli aeroporti di cui al 1) e al 2), di secondo livello quelli al 3), di terzo livello quelli
marginali utilizzati per aeromobili deputati al lavoro aereo o di taxi aereo.
Il Ministero dei Trasporti predispone dei piani generali finalizzati a distinguere diverse categorie di aeroporti,
predisponendo, quindi, una suddivisione ancora più puntuale.
Una suddivisione ancora più importante è data dalla filosofia sottostante all’impiego degli aeroporti: in Italia, con le
dovute riserve, esiste ancora la politica aeroportuale point to point, ovvero dell’offerta di voli diretti anche dagli
aeroporti minori45; il mutamento di prospettiva è stato introdotto dagli USA, i quali hanno sostituito l’impostazione
point to point con la politica della rete hub and spoke. I vettori si sono accorti che la remunerazione del capitale
investito non era eccellente, perché gli aerei che partivano spesso erano semivuoti; le compagnie aeree, allora,
hanno mutato prospettiva. Oggi, con la politica hub and spoke gli aeroporti minori avranno delle linee di
collegamento con uno o due o tre o etc. aeroporti (i c.d. hub), a seconda dell’estensione dei confini nazionali, che poi
trasporteranno i passeggeri nelle varie destinazioni. Si era detto qualche tempo fa che una Nazione come l’Italia può
tollerare un unico hub aeroportuale; in realtà sarebbe più opportuno avere due hubs (realisticamente, Roma e
Milano), vista la conformazione fisica del nostro Paese e la posizione all’interno del continente europeo (è chiaro che
un udinese troverà più comodo e meno dispendioso, per andare a Londra, recarsi a Malpensa piuttosto che a
Fiumicino). In un prossimo futuro, quindi, spariranno i voli diretti dagli aeroporti periferici.
Altre categorie sono quelle degli aeroporti doganali e degli aeroporti periferici. I primi sono definiti dal Ministero dei
Trasporti e dal Ministero delle Finanze e sono quegli aeroporti in cui possono transitare merci o persone che
provengono dal di fuori dei confini dell’UE. Gli aeroporti sanitari sono individuati dal Ministero della Sanità, dal
Ministero dei Trasporti, dall’Organizzazione Mondiali della Sanità e da altre specifiche autorità e si dividono in due
categorie: gli aeroporti appartenenti alla prima categoria sono i più importanti; attualmente in Italia appartengono a
questa categoria solo gli aeroporti di Roma (Ciampino e Fiumicino) e di Milano (Linate e Malpensa). Queste strutture
sono deputate a ricevere situazioni di emergenze batteriologiche (per esempio, SARS), virali, etc.46, che vengono
dirottate in queste strutture perché sono dotati di laboratori e ambulatori e, quindi, pronti ad affrontare emergenze di

43
E si tratta, nella pressoché totalità dei casi, di aeroporti militari (per una precisazione vedi infra).
44
Per riferirsi a questi apparecchi si usa l’acronimo di VTOL (Vertical Take-Off and Landing).
45
Per esempio: Ronchi-Londra, Ronchi-Mosca, etc.
46
Riguardanti sia merci che persone.

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30 Diritto aeronautico

questo tipo. Quelli della seconda categoria sono molti di più:anche questi sono dotati di laboratori, ambulatori, etc.,
ma con lo scopo di ricevere merci, effettuare controlli veterinari oppure accogliere voli provenienti da zone ritenute
dall’OMS a rischio (per esempio, Paesi del terzo mondo).
Ulteriore categoria è quella degli aeroporti di interesse nazionale: in questo ambito la competenza è di esclusiva
pertinenza dello Stato (anche l’ENAC ha minore competenza dello Stato); questi sono nodi aeroportuali strategici per
la Nazione, quindi nutrono di un regime e di una fiscalità di favore. Come si fa ad ottenere l’etichetta di aeroporto di
interesse nazionale? Innanzitutto deve esserci una proposta del Ministero dei Trasporti; poi deve esserci un’intesa
della Conferenza Stato-Regioni; deve essere sentita l’Agenzia del Demanio, che ha un parere meramente consultivo,
non vincolante); deve essere acquisito il parere della Commissioni parlamentari; infine, viene approvato dal Consiglio
dai Ministri e decretato dal Presidente della Repubblica.

La proprietà degli aeroporti. La proprietà può essere innanzitutto privata, cioè un soggetto privato può essere
autorizzato dall’ENAC a realizzare e/o utilizzare un aeroporto. Proprietario dell’aeroporto, poi, può anche essere lo
Stato (o altro ente pubblico): si tratta di aeroporti civili se appartengono al Ministero delle Infrastrutture, aeroporti
militari se appartengono al Ministero della Difesa. A proposito degli aeroporti militari, questi possono essere aperti
anche al traffico civile, totalmente o parzialmente (cioè vi può essere un contemporaneo utilizzo condiviso). La
maggior parte degli aeroporti militari italiani è aperto al traffico civile.

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Capitolo quattordicesimo
Lo spazio aereo

Aspetti generali. Dal punto di vista fisico, lo spazio aereo è lo spazio che sovrasta ogni singolo Stato, ma anche i
mari territoriali e le acque internazionali. Potrebbe sembrare che l’esigenza di una normazione dello spazio aereo
derivi dalla sua utilizzabilità; in realtà i primi riferimenti li si trova nel diritto romano, sebbene lì ci si riferisse allo
spazio aereo inteso come spazio collegato al diritto di proprietà. Con il passare del tempo e con l’evoluzione
tecnologica le cose sono cambiate notevolmente.

Lo spazio aereo terrestre. Lo spazio aereo ha grande importanza per gli Stati sia dal punto di vista economico, sia
dal punto di vista geo-politico. L’utilizzazione dello spazio aereo si ha sia per usi civilistici che per usi militari. Nel
diritto romano si parlava di diritto di proprietà “dagli inferi alle stelle”: la stessa definizione è stata ripresa dal codice
civile, che agli artt. 832 e 840 tratta della proprietà del sottosuolo e dello spazio sovrastante il suolo. Tale
impostazione illimitata, però, è stata circoscritta dal comma 2 dell’art. 840: questa norma – tralasciando il sottosuolo,
che non ci interessa – limita la possibilità del proprietario di opporsi ad attività che si svolgono ad un’altezza tale da
escludere un suo interesse a proibirle47. L’art. 823 c. nav. stabilisce che il sorvolo di fondi di proprietà privata da parte
di aeromobili deve avvenire in modo da non ledere l’interesse del proprietario: è chiaro che, nel momento in cui si
disciplinano le modalità del sorvolo, implicitamente se ne riconosce la possibilità. Chiaramente non rileva solo il
diritto nazionale; nell’evoluzione della normazione degli spazi aerei, si era partiti – per gli Stati – da una teoria della
sorvolabilità limitata e si è giunti poi ad una teoria della sovranità illimitata: dal momento che il sorvolo è un’attività
concretamente pericolosa, lo Stato, in quanto garante dell’incolumità pubblica, decide se e quali aerei possono
sorvolare nei propri cieli.
Nella definizione del digesto del 1914, lo spazio aereo viene tracciato, dal punto di vista della sovranità,
analogamente al territorio e alle acque territoriali, cioè di luoghi in cui si svolgevano attività sotto il controllo dello
Stato: si diceva che fintanto che è utilizzabile lo spazio aereo è dello Stato; oltre tale limite si deve considerare cosa
comune. Questa appartenenza dello spazio aereo ai singoli Stati viene confermata dal fatto che nella prima guerra
mondiale il sorvolo non autorizzato dello spazio aereo veniva considerato atto di invasione; anche dopo la fine della
guerra, comunque, questa definizione è rimasta: basti pensare che, qualche tempo fa, se un aereo avesse mancato
l’atterraggio a Ronchi, avrebbe dovuto avvisare le difese jugoslave che avrebbe sorvolato il loro territorio per
riprendere posizione al fine di tentare un nuovo atterraggio. Dalla Convenzione di Parigi del 1919 (riconosciuta in
Italia con un regio decreto del 1923) viene formalizzato il diritto di ogni Stato sullo spazio aereo sovrastante il
territorio e le acque territoriali. La Convenzione di Chicago del 1944, poi, ha ribadito l’orientamento in termini di
sovranità sullo spazio aereo da un lato e dall’altro ha espressamente previsto il diritto per gli aerei battenti bandiera
di uno degli Stati contraenti di sorvolo non offensivo del territorio degli altri Stati non contraenti. La Convenzione di
Chicago ha anche stabilito che lo spazio aereo sovrastante acque internazionali non è assoggettabile alla sovranità
di alcuno Stato. Sempre la Convenzione di Chicago, poi, divide gli aerei in due grandi categorie: gli aerei civili (che
sono quelli adibiti al traffico di merci o passeggeri oppure a fini turistici o sportivi, etc.) e aerei di Stato: questi sono i
voli militari, di dogana, di Polizia, dei Vigili del Fuoco, oltre a quelli che nel comune sapere sono definiti aerei di
Stato48; si possono racchiudere in questa categoria anche gli aerei utilizzati dalla Protezione Civile, vista la
disposizione dell’ultimo comma dell’art. 744 («Sono equiparati agli aeromobili di Stato gli aeromobili utilizzati da
soggetti pubblici o privati, anche occasionalmente, per attività dirette alla tutela della sicurezza nazionale»). Agli
aerei di Stato non si applica la Convezione di Chicago, il che ha anche senso: si pensi, infatti, allo stabilire come
regola generale il sorvolo del territorio da parte di aerei anche militari: significherebbe consentire ad uno Stato di
attaccare un altro senza che questo abbia la possibilità di difendersi. Nella Convenzione ci sono 11 articoli che
trattano la sorvolabilità dei singoli Stati contraenti e che sono legati a tematiche di sicurezza e sovranità: per
mantenere in capo ai singoli Stati la sovranità sugli spazi aerei, l’art. 9 prevede la possibilità per i singoli Stati di
interdire il sorvolo di determinate aree o di determinate rotte49; il limite posto a questo potere è che le aree interdette
devono avere un’estensione ragionevole e devono essere disegnate in modo da non creare inutile intralcio alla
navigazione. Le limitazioni devono valere sia per i velivoli nazionali che per quelli stranieri; queste limitazioni, inoltre,
devono essere comunicate all’ICAO, che ha il compito di recepirle e di comunicarle a tutti gli Stati contraenti. Il
comma 2 dell’art. 9 prevede la possibilità per gli Stati di attuare i descritti limiti con effetto immediato. Nel caso
qualche velivolo si addentri nelle aree interdette, ai sensi della Convenzione può essere imposto al comandante del
velivolo di atterrare in un aeroporto definito; l’unico limite a questo obbligo è che l’atterraggio venga indotto senza
l’uso di armi che possano mettere in pericolo le persone a bordo o altri aeromobili50.

47
Per fare un esempio: se può opporsi al passaggio di un elettrodotto, non può opporsi al passaggio di un aeroplano.
48
Si fa riferimento a quelli che trasportano, ad esempio, cariche politiche.
49
Per esempio, può vietare il sorvolo di aree dove sono ubicati arsenali, perché se un aereo spia dovesse sorvolarle
verrebbero poste in essere delle attività di spionaggio che comprometterebbero le difese e la concreta capacità di
reazione dello Stato.
50
Concretamente, l’obbligo di atterraggio verrà imposto mediante il posizionamento di un caccia – che ha ben altra
agilità e mobilità nelle manovre – davanti all’aeromobile che ha violato il divieto di sorvolo; questa manovra
causerà, dal momento che un aereo ha bisogno di addentrarsi in aria fluida, la perdita di quota e quindi lo
costringerà all’atterraggio.

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32 Diritto aeronautico

A margine della Convenzione di Chicago del 1944, sono stati adottati ulteriori accordi, che avevano lo scopo di
contribuire alla liberalizzazione del mercato. Il primo di questi accordi è l’International Air Transit Agreement, che ha
affermato le prime due “libertà dell’aria”:
libertà di attraversamento del territorio di un altro Stato51 senza atterrare;
diritto di atterrare senza scopi commerciali.

Il secondo accordo – ovvero l’International Air Transport Agreement – ha affermato, poi, le altre tre “libertà dell’aria”:
libertà di sbarcare nel proprio territorio passeggeri, posta e merci imbarcate nel territorio di bandiera del velivolo;
libertà di imbarcare passeggeri, posta e merci con destinazione il Paese di bandiera del velivolo;
diritto di imbarcare e sbarcare passeggeri, posta e merci con destinazione in ogni altro Paese contraente diverso da
quello di bandiera (questa è la libertà più importante perché ha consentito, ad esempio, ad Air France di fare un volo
Berlino-Londra).

L’Italia non ratificò questi accordi per tutelare i propri vettori; le cinque “libertà dell’aria” sono, quindi, state introdotte
per l’Italia dal Trattato europeo.
Tornando alla gestione dello spazio aereo in Italia, con il d.lgs. 250/199752 si è attribuito all’ENAC il compito di gestire
lo spazio aereo tramite l’ENAV. Quindi in Italia ci sono due enti che gestiscono lo spazio aereo: l’ENAC e il Ministero
della Difesa. Il coordinamento, comunque, non risulta difficile: in tempo di pace e senza allarmi è gestito dall’ENAC,
in caso di allarme o per esigenze di Stato è gestito dal Ministero della Difesa.
L’art. 794 c. nav., infine, costituisce una norma di chiusura e prevede che gli aerei stranieri possano sorvolare lo
Stato italiano – fatte salve le Convenzioni internazionali ed esclusi gli aerei di Stato – in condizione di reciprocità.

Gli spazi extra aerei (o cosmici). La disciplina è in fase più che embrionale, stante che a rigore non si potrebbe
nemmeno parlare di spazio aereo (poiché non vi è aria!). Lo spazio extra aereo (o cosmico) è soggetto al diritto
internazionale.
Lo spartiacque fra lo spazio aereo e lo spazio cosmico non è normativo, ma fisico: finché le tecniche di volo utilizzate
per la navigazione sono tecniche di volo aeronautico siamo nello spazio aereo, oltre siamo nello spazio cosmico;
stante la differenza di intensità dell’atmosfera, etc., ci si trova tra l’80esimo e l’84esimo km d’altitudine (all’84esimo siamo
di sicuro nello spazio cosmico).
Finché siamo nello spazio atmosferico, lo spazio si sposta in maniera sincrona rispetto al movimento terrestre; nello
spazio cosmico gli oggetti, invece, gravitano secondo traiettorie del tutto proprie: questo osta alla configurazione
dello spazio cosmico come soggetto alla sovranità degli Stati.
L’ONU è il primo ente che si è occupato dello spazio cosmico: viene da allora definito come inappropriabile,
interdetto all’utilizzo di armi (in particolare quelle nucleari) e liberamente esplorabile; è previsto un obbligo di
soccorso agli astronauti, un obbligo di prevenzione degli eventi dannosi e un obbligo di composizione delle
controversie; vige la libertà di ricerca e sfruttamento delle risorse spaziali.
La Luna è in appropriabile e di libera esplorazione.

51
Fa riferimento alla bandiera battuta dall’aeromobile.
52
Che, tra le altre cose, ha anche istituito l’ENAC.

32

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Capitolo quindicesimo
Le assicurazioni aeronautiche

Aspetti generali. Il contratto di assicurazione ordinario lo troviamo disciplinato nel codice civile all’art. 1882 e lo si
può definire come il negozio mediante il quale un soggetto (l’assicuratore) si obbliga a rivalere l’assicurato dalle
conseguenze dannose che originano da un evento53 di fatto imputabile allo stesso assicurato. La peculiarità del
contratto di assicurazione è la sua aleatorietà: il rischio dedotto nel contratto è imprevedibile nel suo verificarsi; di
fatto, l’assicuratore si obbliga in relazione ad un fatto del quale non può prevedere con certezza l’avverarsi o meno.
La conseguenza è che nel contratto di assicurazione non trovano applicazione quegli ordinari istituti o rimedi che
operano nella generalità dei tipi negoziali, cioè, nello specifico, la rescissione per lesione o la risoluzione del
contratto per sopravvenuta impossibilità della prestazione. Quindi il rischio è un elemento costitutivo del contratto,
per cui se non sussiste il rischio il contratto di assicurazione sarà nullo. Il codice civile conosce, nell’ipotesi di
insussistenza del rischio, un unico rimedio a tutela dell’assicuratore che abbia predisposto l’organizzazione e gli
strumenti necessari per fronteggiarlo: il rimedio è che l’assicuratore potrà continuare a godere della corresponsione
dei premi fino a che non gli venga comunicata l’insussistenza del rischio contrattuale.
Alle assicurazioni aeronautiche (nonché a quelle di diritto marittimo) la disciplina del codice civile si applica in via del
tutto residuale: l’art. 1885 c.c. espressamente stabilisce che alle assicurazioni aeronautiche si applicano le norme del
codice civile ove manchino disposizioni espresse contenute nel codice della navigazione54. Le assicurazioni
aeronautiche si modellano sulla disciplina delle assicurazioni marittime: l’art. 1021 c. nav. fa un espresso rinvio
all’art. 521 c. nav., che detta la disciplina dell’assicurazione di diritto marittimo; la materia è altresì regolata sul piano
internazionale dalla Convenzione di Roma del 1952 sulla responsabilità per danni a terzi sulla superficie (così come
modificata dal successivo Protocollo di Montreal del 1978), nonché a livello comunitario dal regolamento (CE) n.
795/2004. Al di là di questa cornice normativa in cui si innestano le assicurazioni aeronautiche, la disciplina di
dettaglio più significativa è quella che viene contenuta nei contratti di assicurazione, i quali consistono perlopiù in
formulari predisposti in sede internazionale dallo IUA (International Underwriting Association of London). Gli oggetti
dell’assicurazione aeronautica potranno essere tanto i beni (quindi le merci trasportate), quanto i beni suscettibili di
entrare nel patrimonio dell’assicurato, quanto ancora le persone fisiche.

Gli elementi di differenziazione rispetto alle assicurazioni ordinarie. Li vedremo impostando il discorso secondo
uno schema a punti, così da renderlo più chiaro. Essi sono:
il rischio putativo: si era detto che il rischio nei contratti di assicurazione è l’elemento costitutivo e che quindi la sua
mancanza ne avrebbe determinato la nullità; nel nostro ambito non è sempre così. Viene data la possibilità
all’assicurato di avvalersi degli effetti del contratto di assicurazione anche quando abbia, in buona fede,
erroneamente ritenuto esistente il rischio che lo ha indotto a stipulare tale negozio; quindi in caso di insussistenza
del rischio non solo viene data tutela all’assicuratore, ma un qualche rimedio viene dato anche all’assicurato: questi,
naturalmente, dovrà dare prova della sua buona fede, dimostrando, ad esempio, che non gli è pervenuta la
comunicazione dell’inesistenza dell’evento assicurato;
la universalità dei rischi: mentre nelle assicurazioni ordinarie il contratto opera per i soli eventi o rischi presi in
considerazione o indicati dalle parti, nel caso delle assicurazioni aeronautiche, invece, la copertura opera per tutti i
rischi tipici della navigazione aerea; se vengono indicati specifici rischi, un contratto verrà fatto dalle parti per
escludere l’operare della garanzia assicurativa per quegli eventi. Sennonché nella prassi l’elenco di questi pericoli
eccettuati è talmente ampio da ridurre di fatto l’ambito di applicazione del contratto;
l’assicurazione per sinistri successivi: se il medesimo bene (per esempio, l’aeromobile) viene colpito da più sinistri
nel medesimo viaggio, l’ammontare dell’indennizzo che dovrà essere corrisposto dall’assicuratore non potrà
superare il valore del bene; viceversa, se i fatti dannosi originano e si verificano nel corso di più viaggi, questo
plafond non opera;
c.d. dichiarazione di abbandono: nel caso di perdita presunta o effettiva dell’aeromobile ovvero di danni alle merci
trasportate tali da ridurre in maniera significativa il valore dei beni, la loro utilizzabilità nonché l’interesse del
destinatario del carico a ricevere la merce, l’assicurato che fornisca le relative prove potrà emettere la c.d.
dichiarazione di abbandono; per effetto di tale dichiarazione la proprietà dei beni assicurati si comunicherà ovvero
verrà trasferita in capo all’assicuratore, il quale a sua volta sarà obbligato a corrispondere l’indennizzo totale.

Le varie ipotesi di assicurazioni aeronautiche. In alcuni casi l’assicurazione potrà e dovrà essere contratta in
funzione della possibile insorgenza di obbligazioni perlopiù risarcitorie, a seguito del verificarsi di determinati
sinistri55: questa è l’ipotesi, per esempio, delle assicurazioni per la responsabilità civile ovvero, ad esempio,
dell’assicurazione dell’esercente per danni a terzi sulla superficie, per danno da urto e, in generale, per le varie
ipotesi di sinistro aeronautico.
Nell’assicurazione delle persone fisiche, al di là dei trasportati, vanno ricondotte le assicurazioni contro gli infortuni
del personale navigante.

53
Nel diritto della navigazione lo possiamo definire “sinistro”.
54
Si può anche dire che l’art. 1885 è una delle espressioni della specialità e autonomia del diritto della navigazione,
come consacrato nella norma d’apertura del codice della navigazione.
55
Il prof. Antonini fornisce una mirabile definizione di sinistro, descrivendolo come «evento lesivo fonte di danno
per le persone e le cose trasportate».

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34 Diritto aeronautico

C’è poi l’assicurazione dei beni materiali, che riguarda in primis le merci, ma particolare rilievo assume anche
l’assicurazione dell’aeromobile. L’art. 743 c. nav. definisce l’aeromobile come il mezzo destinato al trasporto per aria
di persone o cose; l’aeromobile lo si può definire, per quanto riguarda le sue parti, come res composita: esso consta
di parti scindibili, inscindibili e di pertinenze. Oggetto di assicurazione potrà essere l’aeromobile nella sua integralità
ovvero nelle sue diverse parti: se l’aeromobile è in volo troverà applicazione l’istituto dell’universalità dei rischi,
ovvero l’assicurato (che è perlopiù l’esercente) potrà essere man levato da tutte quelle conseguenze dannose che
sono tipiche di un’attività pericolosa qual è la navigazione aerea; se, invece, l’aeromobile non è in volo ma si trova
depositato in un’autorimessa, la copertura sarà perlopiù limitata al solo rischio dell’incendio. Per completezza
bisogna dire che il contratto di assicurazione ricomprende, di norma, tra i rischi garantiti anche il furto, il vizio occulto
e oggi – a seguito del regolamento (CE) 785/2004 – anche la guerra e gli eventi dannosi che originano da fatti dolosi
o gravemente colposi dell’esercente o dei suoi ausiliari56: quelle appena esposte sono possibilità che la legge
internazionale accoda, ma che saranno poi le parti a recepire o meno nel contratto di assicurazione.

L’assicurazione per danni a terzi sulla superficie. Si tratta di un’ipotesi di assicurazione obbligatoria
dell’esercente ovvero do colui che assume su di sé l’esercizio della navigazione aerea con i relativi rischi: se
l’esercente non si assicura per questa particolare ipotesi di responsabilità civile a suo carico potranno in primo luogo
essere applicate delle sanzioni amministrative da parte delle autorità di vigilanza della navigazione aerea (ENAC),
quali ad esempio il divieto di atterraggio o di decollo; la conseguenza ben più gravosa, però, comporta nel caso di
mancata attuazione dell’obbligo di copertura assicurativa, la decadenza dello stesso dal beneficio della limitazione di
responsabilità.

L’azione diretta di danno. L’altra peculiarità è quella dell’operare dell’azione diretta di danno: sicuramente anche in
questo caso il diritto della navigazione è pionieristico, nel senso che introduce un istituto che troverà attuazione
anche in altri settori dell’ordinamento (per esempio, nel d.lgs. 209/2005, recante il codice delle assicurazioni private).
Mentre nell’ordinario contratto di assicurazione, a norma dell’art. 1917, il danneggiato potrà convenire in giudizio
esclusivamente il danneggiante, il quale a sua volta potrà chiamare in garanzia l’assicurazione perché lo sollevi dalle
pretese del danneggiato (si parla, infatti, di rapporto trilatero), nel caso di assicurazione per danno a terzi sulla
superficie la struttura è di fatto molto più semplificata: a seguito di eventi dannosi derivanti dall’intrapresa
dell’esercizio della navigazione aerea potrà agire direttamente nei confronti dell’assicurazione del responsabile del
fatto illecito e quindi chiedere la condanna della stessa al risarcimento del danno; quindi non avremo più quella
struttura a trilatero danneggiato-danneggiante-assicurazione, ma avremo un rapporto processuale diretto
danneggiato-assicurazione del danneggiante. Quest’ultima, qualora sia risultata soccombente nel giudizio di merito,
potrà rivalersi nei confronti dell’autore dell’illecito – sua controparte contrattuale – qualora sia stata costretta a
corrispondere l’indennizzo nel caso in cui avrebbe potuto sottrarsi a tale obbligo.

56
Questo in linea generale, cioè a prescindere dalle ipotesi di volo o di non volo.

34

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Capitolo sedicesimo
La responsabilità dell’operator per danni a terzi

La responsabilità per danni a terzi sulla superficie. Premessa. La materia è regolata dalla Convenzione di Roma
del 1952, che ha sostituito il precedente testo del 1933 e che è stata quindi modificata dal protocollo di Montreal del
1978. La disciplina dettata dalle fonti internazionali è perlopiù preordinata a tutelare tutti coloro che, estranei al
fenomeno della navigazione aerea, subiscono un danno a seguito e per effetto dell’esercizio della stessa; dal che ne
derivano due principali conseguenze (che sono tra loro strettamente collegate):
un aggravamento della responsabilità del danneggiante;
un alleggerimento dell’onere probatorio gravante sul danneggiato.
Il legislatore internazionale (e di riflesso anche quello nazionale) si è preoccupato di tutelare i soggetti estranei
all’esercizio della navigazione aerea contro delle fattispecie di danno che gli stessi non sono in grado né di evitare,
né tantomeno di prevedere. A livello nazionale la norma da richiamare è l’art. 965 c. nav., che sostanzialmente si
struttura allo stesso modo degli artt. 941 (per ciò che concerne il trasporto aereo di persone) e 951 (per ciò che
concerne il trasporto aereo di cose): l’art. 965 non detta una disciplina precisa di tale responsabilità, bensì si limita a
rinviare alle norme internazionali (in primis alla Convenzione di Roma del 1952); questa norma è espressione del
processo di internazionalizzazione dell’intero diritto della navigazione aerea (almeno per ciò che concerne gli istituti
più significativi).
La Convenzione – che è stata ratificata dall’Italia – si applica ai danni cagionati ai terzi tanto da aeromobili
immatricolati in Italia, quanto da aeromobili immatricolati nei registri degli altri Stati contraenti. Vi sono, però, delle
eccezioni, delineate in primis dagli artt. 25 e 26 del testo convenzionale ed espressamente richiamati dall’art. 965, c.
2, ovvero: tale normativa non si applica agli aeromobili di Stato, a quelli militari e a quelli adibiti a funzioni di dogana
e di Polizia; non trova nemmeno applicazione – e lo specifica l’art. 25 della Convenzione – nel caso in cui tra
danneggiante e danneggiato intercorra un rapporto contrattuale. Il che significa che, in quest’ultimo caso, il
danneggiato avrà a disposizione la sola azione risarcitoria contrattuale e non anche quella extracontrattuale.

Il soggetto obbligato. La Convenzione prevede l’ingenerarsi dell’obbligazione risarcitoria per danni cagionati a terzi
sulla superficie dalla navigazione aerea in capo all’operator (secondo la terminologia usata dalla Convenzione
stessa). Non vi è perfetta coincidenza fra la nozione di “operator” della Convenzione e quella di “esercente” delineata
dall’art. 874 c. nav., perché l’esercente lo si può definire come il soggetto che assume su di sé l’esercizio della
navigazione aerea57; non necessariamente l’esercente, sul quale grava la predisposizione dell’organizzazione
necessaria alla navigazione aerea, per essere qualificato come tale deve provvedere allo svolgimento pratico della
stessa. Mentre l’operator sarà sempre colui che materialmente pratica l’attività navigazionistica, non essendo
necessario che lo stesso rivesta la qualifica di esercente. Per esempio, nell’utilizzo occasionale58 del mezzo
aeronautico, operator sarà colui che materialmente utilizza tale mezzo, a prescindere dal fatto non gli venga
trasmessa la qualifica di esercente.

La responsabilità. Tale responsabilità opera in capo all’operator dal momento del decollo, ovvero dall’attivazione
dei motopropulsori strumentali allo stesso (momento iniziale), fino all’effettuazione della frenata successiva
all’atterraggio (momento finale).
La responsabilità dell’operator la si può definire come una responsabilità di tipo oggettivo, ovvero lo stesso sarà
responsabile allorquando il danno cagionato al terzo sia causalmente riconducibile alla sua sfera, a prescindere da
una valutazione di carattere soggettivo (dolo o colpa). Per essere ancora più precisi, si può dire che è una
responsabilità oggettiva di tipo relativo, dal momento che l’operator è ammesso a fornire delle prove liberatorie:
può dimostrare che l’attività di volo si è svolta conformemente alle norme che governano la navigazione aerea:
questo è il caso, per esempio, del danno cagionato da emissioni sonore per effetto del passaggio sopra un
determinato fondo di un aeromobile. Alla medesima conclusione si poteva già giungere, comunque, prima
dell’entrata in vigore della Convenzione sulla base, ad esempio, delle disposizioni contenute nel codice civile (artt.
822 ss.), le quali colpiscono solo quelle emissioni (sonore o di altro tipo) che superino la normale soglia di
tollerabilità: quindi con riguardo a questa prova liberatoria, oltre alle espresse previsioni contenute nella disciplina
speciale, si può anche fare riferimento a quella ordinaria, quantomeno per taluni aspetti;
per quanto riguarda il danno cagionato a seguito di un conflitto armato o a seguito di un atto dell’autorità, si può dire
che le stesse sono riconducibili alla forza maggiore.
La Convenzione, dal punto di vista del danneggiato e per le considerazioni richiamate in Premessa, ha voluto
facilitare l’esercizio delle pretese risarcitorie da parte dello stesso: l’art. 1.1 prevede che il danneggiato possa limitarsi
a dimostrare di aver subito delle conseguenze lesive dei suoi diritti o delle sue posizioni giuridiche a seguito
dell’esercizio della navigazione aerea; per chiarire, sarà sufficiente, per vedersi accolta la propria domanda, che il
danneggiato dimostri il collegamento tra evento lesivo e attività di navigazione aerea.
La responsabilità è una responsabilità di tipo limitato e ha i massimali delineati dal regolamento (CE) 785/2004.

57
Laddove la nozione di esercizio può essere resa riprendendo le parole di Pescatore: esercizio è lo «svolgimento di
un’attività tipica rispetto all’utilizzo del mezzo aeronautico e che comporta il soddisfacimento di utilità proprie di
colui che la svolge».
58
E comunque di durata inferiore ai 14 giorni.

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36 Diritto aeronautico

In ambito ICAO – e più precisamente in sede di legal committee – è stato approvato un progetto di revisione della
normativa esaminata, il quale, in primo luogo, distingue tra basic risks (ovvero rischi tipici) e not basic risks (ovvero
rischi atipici): per quanto riguarda i primi, la responsabilità dell’operator è delineata in modo piuttosto rigoroso, ovvero
di tipo oggettivo assoluto fino a 100 mila Diritti Speciali di Prelievo (d’ora in poi: DSP) e soggettiva per colpa presunta
al di là di tale soglia; l’intento è quello di equiparare tale disciplina a quella più generale contenuta nella Convenzione
di Montreal del 199959. Con riguardo, invece, al secondo tipo di rischi, il progetto prevede l’esclusione della
responsabilità dell’operator nel caso di atti di terrorismo, nonché nelle ipotesi di cattura dell’aeromobile; la
giurisprudenza internazionale ha di fatto attenuato questa previsione nel caso in cui simili episodi potevano essere
prevenuti predisponendo un’adeguata organizzazione60.

La responsabilità per danni da urto. È regolata dal successivo art. 966 c. nav., che riprende la disciplina
codicistica relativa all’analogo istituto del diritto marittimo. Questa norma trova applicazione nelle ipotesi di urto fra
due aeromobili, oppure tra un aeromobile e una nave a condizione che questi mezzi siano in movimento.
Diversamente si applicherà la disciplina relativa alla responsabilità per danni a terzi sulla superficie. Per esempio, nel
caso in cui non sia possibile accertare con esattezza la causa del danno, le conseguenze graveranno sull’esercente
titolare e utilizzatore del mezzo che le ha subite, cioè troverà applicazione il principio espresso dal broccardo res
perit domino. Alla medesima conclusione si deve giungere anche nel caso in cui la produzione del danno sia
imputabile alla sola condotta esclusiva del danneggiato; viceversa, nel caso in cui sia possibile configurare la
responsabilità di più soggetti/esercenti, l’obbligazione risarcitoria si configurerà come un’obbligazione parziaria:
ciascun danneggiante risponderà della quota di danno a sé imputabile, salva la dimostrazione della responsabilità
esclusiva dell’altro soggetto coinvolto nel sinistro e, quindi, eventuale esercizio dell’azione di regresso.

La responsabilità per lancio di oggetti spaziali. È regolata da una Convenzione firmata nel 1973 e ratificata
dall’Italia nel 1983. È perlopiù configurabile, allorquando da tale attività derivino delle conseguenze dannose, una
responsabilità dello Stato del lancio, nei confronti del quale potrà agire lo Stato di nazionalità del danneggiato già in
sede diplomatica e senza attendere il previo esaurimento dei ricorsi interni. La normativa nazionale, invece, prevede
che sia il danneggiato ad agire nei confronti dello Stato di appartenenza, anche se quest’ultimo ha già inoltrato la
relativa pretesa risarcitoria.

59
Ratificata dall’Italia nel 2003 ed entrata in vigore nel 2004.
60
Questo assunto è stato fatto dalla Corte Suprema statunitense nella sentenza di condanna della compagnia aerea
americana Pan Am.

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Capitolo diciassettesimo
Il bird striking

Il fenomeno del bird striking. Lo si può definire come il fenomeno che si identifica con la collisione o impatto tra
l’aeromobile e un gruppo di volatili. La materia non è oggetto di una disciplina specifica, ma nella stessa si sono
succedute talune importanti pronunce della giurisprudenza (in particolare due sentenze del Tribunale di Genova, una
del 2001 e l’altra del 2007).
In entrambi i casi, il giudice del merito ha riconosciuto la responsabilità tanto del gestore aeroportuale, quanto del
soggetto preposto al controllo della navigazione aerea (ENAV), nonché del Ministero dei Trasporti61. Viene
riconosciuta una duplice responsabilità dei predetti soggetti, in primis a titolo contrattuale, dal momento che si
afferma il diritto del vettore all’utilizzo dell’infrastruttura aeroportuale (responsabilità del gestore) in condizioni di
sicurezza (responsabilità dell’ENAV). Alla responsabilità contrattuale di tali soggetti si aggiunge anche una
responsabilità extracontrattuale sulla base dell’art. 2050 c.c., dal momento che il giudice del merito qualifica l’attività
aeronautica come attività pericolosa.
Simili asserzioni sono state vivacemente contestate dalla dottrina – nonché da certa giurisprudenza – dal momento
che, secondo questo indirizzo, si può qualificare la navigazione aerea come attività pericolosa ex art. 2050 c.c. solo
se la stessa avvenga per finalità sportivo-ricreative oppure in presenza di condizioni metereologi che particolarmente
avverse.
Il giudice del merito, tra l’altro, nega che il bird strike integri in ogni caso gli estremi del fortuito, dato che si tratta di un
evento che è perlopiù prevedibile ed evitabile tramite i dovuti accorgimenti.
Si tratta, comunque, di una pronuncia che è in attesa di successive conferme: l’orientamento, quindi, è suscettibile di
successive modificazioni.

61
Al momento dei fatti accertati con le due sentenze, non era ancora stato istituito l’ENAC.

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Capitolo diciottesimo
La responsabilità del vettore aereo

Sezione prima – Profili generali

Il tema, molto importante, non è di facile comprensione, stante la molteplicità di norme che si intrecciano e si
sovrappongono; noi studieremo solo alcuni profili. Ci sono molti profili di responsabilità: c’è il regime di responsabilità
dell’erogatore dei servizi di handling o quello del gestore aereo, etc.; noi ci occuperemo del danno biologico arrecato
ai passeggeri e ai danni arrecati alle merci e ai bagagli.

Preambolo storico. All’inizio dell’aviazione civile è stato necessario porre in essere un bilanciamento degli interessi
in gioco, hanno cioè valutato la priorità degli interessi da valutare: da un lato vi era l’interesse a tutelare l’integrità
fisica (quindi il passeggero o le merci trasportate), dall’altro lato vi era l’esigenza di tutelare la nascente industria
aeronautica; questo bilanciamento ha fatto sì che gli Stati adottassero delle legislazioni a favore dell’industria
aeronautica. Alla base di questa scelta vi era una riflessione: era necessario produrre una normativa che tutelasse
chi investe al fine di limitare il rischio di imprese e, quindi, al fine di stimolare sempre di più nuovi investimenti in
questo nascente settore strategico; questo chiaramente, sacrificando l’interesse dei passeggeri e, quindi, limitando
la tutela dei loro diritti.
Questo regime di favore si palesava in un regime di responsabilità soggettiva per colpa presunta: il vettore, in questi
casi, quindi, si presume responsabile ma ha la possibilità di fornire prova liberatoria. Questo favor, però, si spinge
oltre: la normativa viene a fissare il quantum risarcibile, stabilendo dei tetti massimi di risarcibilità; si viene a fissare
l’istituto della limitazione del debito del vettore.
Successivamente è intervenuta un’evoluzione sociale e politica e, quindi, anche normativa, per cui questo
bilanciamento è stato modificato; la tecnologia ha fatto passi da gigante e gli standard di sicurezza sono molto
migliorati. L’industria aeronautica, quindi, non è più quella degli anni ’50/’60, per cui non è più necessario tutelare
l’investimento nel settore aeronautico, trattandosi ormai di un’industria consolidata. Si è verificata allora un’inversione
di tendenza nella normativa, che si è palesata – con le dovute riserve – in:
norme che prevedono una responsabilità oggettiva;
eliminazione del limite di debito del vettore: questo ragionamento è stato fatto dal legislatore soltanto per il danno
biologico alla persona e non anche per il trasporto di merci (o di bagagli); quindi vi è sempre un favor normativo che
tutela l’industria aeronautica per quanto riguarda il trasporto di cose o merci.

Le fonti. La prima grande fonte normativa che tutelava le compagnie aeree era la Convenzione di Varsavia del
1929, la quale rispecchiava in pieno questa politica di tutela dell’impresa aeronautica: innanzitutto prevedeva l’istituto
del limite del debito (tanto per i danni biologici quanto per le merci trasportate) e poi prevedeva anche la
responsabilità soggettiva per colpa presunta del vettore. Vi furono poi tutta una serie di Protocolli (per esempio il
Protocollo dell’Aia del 1955, il Protocollo di Guatemala del 1971, i 4 Protocolli di Montreal del 1975) e accordi posti in
essere con il fine di far evolvere la situazione.
Un altro atto molto importante – che non è fonte, perché ha origini privatistiche – è l’accordo di Montreal del 196662:
non sono le Nazioni che hanno posto in essere questo accordo, ma le compagnie aeree statunitensi (per questo si è
detto supra che ha origini privatistiche). Queste compagnie aeree avevano capito che è meglio evitare interventi
normativi dannosi per il bilancio, possibilmente anticipandoli in qualche modo: avevano notato che iniziava ad aversi
un movimento di critica nei confronti dell’impostazione della Convezione di Varsavia del 1929; le compagnie, a
Montreal, autonomamente hanno alzato, per timore di sentenze pilota o di iniziative politiche, la limitazione del
debito63 e quei soldi venivano erogati sulla base di un regime di responsabilità oggettiva (quindi senza possibilità di
fornire prova liberatoria).
Il successivo step fu dell’UE, ma da noi gli interventi furono tardivi: soltanto con il regolamento (CE) n. 2027/1997
viene meno – limitatamente ai soli danni biologici – l’istituto della limitazione del debito (dei vecchi 190 milioni di
Lire). Questo regolamento prevedeva anche il c.d. sistema dl doppio binario: per i risarcimenti fino a un importo pari
a 100 mila DSP64 vigeva un regime tendenzialmente di responsabilità oggettiva, per la parte superiore a 100 mila
DSP il regime di responsabilità diventa soggettivo per colpa presunta. Fino a 100 mila DSP di dice che la
responsabilità è tendenzialmente oggettiva perché c’è il c.d. contributo di negligence, cioè che il fatto lesivo sia
ascrivibile ad un’azione del passeggero (per esempio, in una fase di turbolenza il passeggero si alza e si mette a
ballare; altro esempio può essere il caso giurisprudenziale dell’autolesionismo).
Successivamente la comunità internazionale si è riunita per far fronte alla vetustà della Convenzione di Varsavia del
1929: è così che venne alla luce la Convenzione di Montreal del 1999 (entrata in vigore il 28 giugno 2004); oggi è il
nostro testo fondamentale. Questa Convenzione oggi ricalca la disciplina del regolamento (CE) n. 2027/1997 e
prevede il venir meno dei limiti del debito del vettore per il danno biologico e il doppio binario; conferma, invece, lo

62
Da non confondere con i Protocolli sopra citati.
63
Questi vettori si impegnavano a risarcire, in caso di decesso, i superstiti con 58 mila $ ovvero, a determinate
condizioni (per l’esempio la rinuncia all’instaurazione di un contenzioso, 75 mila $.
64
Il DSP è una moneta convenzionale indicizzata a varie valute mondiali (per evitare ripercussioni in caso di
fenomeni svalutativi) che a oggi vale circa 1,4 €.

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spirito tradizionale della norma per quanto riguarda il trasporto di bagagli e merci e prevede, quindi, in questi casi, la
limitazione del debito e tendenzialmente un regime di responsabilità soggettiva per colpa presunta. Oggi il legislatore
italiano ha abdicato a disciplinare il tema del responsabile del vettore: gli artt. 941 e 951 c. nav. non disciplinano il
tema, ma semplicemente rimandano a quanto disciplinato a livello internazionale.
Qual è l’elemento causale che determina una responsabilità del vettore? I seguenti:
danneggiamento: le cose o le merci caricate vengono danneggiate o rubate;
lesione dell’integrità fisica: un passeggero muore o si fa male;
ritardo.

La causa ignota determina sempre responsabilità del vettore (dal momento che il vettore non può dimostrare la
responsabilità di altri).

Sezione seconda – i profili di responsabilità

Quali sono le obbligazioni del vettore? Trasferire da un luogo ad un altro cose o persone; queste cose o persone
sono sottoposte alla vigilanza o ala protezione. Ci sono poi tutta una serie di obbligazioni accessorie, come
somministrare un minimo di vitto e via dicendo.

Il regime di responsabilità per inadempimento. Cosa accade se il vettore decide di non trasportare le cose o le
persone (per esempio, il volo viene cancellato)? In questo caso il regime per inadempimento non è disciplinato dalla
Convenzione di Montreal del 1999, ma del codice della navigazione: all’art. 949 bis è previsto un regime di
responsabilità soggettiva per colpa presunta; il passeggero avrà, quindi, diritto ad un risarcimento, ma dovrà esibire il
biglietto aereo (che fornisce prova che è stato concluso un contratto) e il vettore deve risarcire il danno a meno che
dimostri che quel danno non è dovuto a sua responsabilità (per esempio, uno sciopero non preannunciato degli
assistenti di volo).
Un’ipotesi particolare di inadempimento è l’overbooking: può accadere che si abbi acquistato un biglietto e
quell’aereo parta, ma ci venga impedito di imbarcarci. È una pratica con valutazioni e dati statistici sottostanti, volta
ad ottimizzare il più possibile i profitti: le compagnie aeree sanno che, nel momento in cui vendono tutti i biglietti di un
volo da, per esempio, 500 posti, statisticamente non si presenterà mai la totalità delle persone che ha acquistato il
biglietto (per esempio può accadere che due fidanzati litighino e ognuno vada per la propria strada oppure che il
titolare del biglietto perda l’aereo oppure che abbia l’influenza, etc.), per cui vendono, per rimanere nell’esempio, 510
biglietti, considerando una disaffezione del 2%. Può, però, capitare che tutti si presentino: in questi casi una delle
soluzioni è fare accomodare qualcuno in business, ma se questa non c’è o se anche questa è esaurita qualche
passeggero deve per forza rimanere a terra. L’overbooking è oggetto di una disciplina ad hoc: prima c’era il
regolamento (CEE) n. 2995/1991, mentre ora c’è il regolamento (CE) n. 261/2004, cos’ come successivamente
modificato (non si applica, quindi, il codice della navigazione). Il regolamento n. 261/2004 prevede, al fine di
garantire la massima tutela del passeggero, un risarcimento65 che dovrebbe scattare autonomamente. Il regolamento
prevede un risarcimento che deve scattare automaticamente e che consisterà nel:
rimborso del biglietto aereo o concessione di un biglietto per un volo immediatamente successivo;
rimborso per vitto e alloggio;
somma di denaro. L’ammontare sarà diverso a seconda dei chilometri che si sarebbero dovuti percorrere: se il
viaggio era entro i 1500 km, si avrà diritto a 250 €; se il volo era tra i 1500 km e i 3500 km, si avrà diritto a 400 €; se il
volo era sopra i 3500 km la somma di denaro sarà pari a 600 €. Questa è la tutela minima garantita perché il
regolamento fa salvo il danno ulteriore: se un soggetto prova di aver subito un danno superiore può farlo valere, in
via giudiziale o stragiudiziale; per esempio, Tizio compre un biglietto Ronchi-Roma per sostenere l’esame da notaio
e viene lasciato a terra. Il solo problema in questi ultimi casi è la quantificazione del danno ulteriore.

Questo regolamento si applica a tutti i voli (anche di compagnie straniere) in partenza da un aeroporto dell’UE, ma
anche ai voli di compagnie dell’UE diretti nell’UE. C’è stata una modifica regolamentare che ha introdotto una
variazione nella disciplina dell’overbooking: adesso, già dal momento dell’imbarco, si prevede che alcuna fasce di
utenza (nello specifico, i portatori di handicap e i bambini) non possano essere in alcun modo vittima del fenomeno
dell’overbooking. Certo, può capitare che uno di questi soggetti arrivi quando i posti siano già tutti occupati; in questo
caso alle altre persone viene chiesto se qualcuno sia disposto a rimanere a terra, richiesta che naturalmente viene
accompagnata da tutta una serie di benefit. Nel caso in cui nessuno accetti, viene estratto il numero dei passeggeri
che rimarrà a terra; insomma, non vi è più la priorità del check in come u tempo. La disciplina dell’overbooking non si
applica al trasporto gratuito.

Il ritardo. La disciplina sul ritardo è molto complicata; oltre a ciò, l’utenza è molto vulnerabile, perché la normativa è
poco precisa. In questi casi vi è un inadempimento all’obbligazione del vettore, cioè quello di eseguire il trasporto in
tempo; il codice della navigazione e la Convenzione di Montreal del 1999 prevedono un regime di responsabilità per
colpa presunta66.

65
Si parla di risarcimento (e non di indennizzo) perché siamo di fronte ad un illecito contrattuale. La distinzione è
importante per la determinazione del quantum.
66
Quindi il vettore potrà fornire prova liberatoria adducendo, per esempio, le condizioni meteo avverse; non
costituisce sicuramente giustificazione il fatto di non aver ancora fatto il pieno di carburante.

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L’escamotage delle compagnie aeree è quello di stampare sul biglietto (il più delle volte sul retro e in piccolissimo),
quindi contrattualmente, frasi del tipo: «gli orari di partenza e di arrivo sono meramente indicativi» oppure «non è
garantito il rispetto di eventuali coincidenze» e via dicendo. Si vedrà che la giurisprudenza condanna comunque il
vettore al pagamento di un risarcimento soltanto ove il ritardo risulti abnorme, cioè quando superi la normale
tolleranza che il comune sentire può sopportare67.

I sinistri ai passeggeri. Il primo intervento normativo è costituito dalla Convenzione di Varsavia del 1929, la quale
poneva come regola la responsabilità soggettiva per colpa presunta del vettore; poi è intervenuto l’accordo di
Montreal del 1966 che ha stabilito la responsabilità tendenzialmente soggettiva; infine, il regolamento n. 2027/1997
ha imposto il regime del doppio binario, concretizzato poi dalle diposizioni della Convenzione di Montreal.
Per quanto attiene il danno biologico, la Convezione di Montreal del 1999 prevede all’art. 18 un istituto di civiltà
giuridica che è l’istituto della Lump sum: quando accadono questi sinistri, infatti, le conseguenze possono essere
molto gravi (per esempio, invalidità permanenti molto gravi); se il contenzioso, allora, può durare molto tempo, come
fanno le persone ad affrontare le spese? L’istituto della Lump sum permette all’avente diritto di avere
un’anticipazione per far fronte alle spese contingenti immediate; l’assicuratore deve anticipare parte del risarcimento
solo ove le singoli Nazioni prevedano questo istituto68.

Il trasporto di bagagli. Il regime della responsabilità del vettore varia a seconda della tipologia dei bagagli:
bagaglio consegnato: la Convenzione di Montreal del 1999 configura un regime di responsabilità oggettiva (si
conosce qualche eccezione, ma si riferisce ad ipotesi scolastiche, come per esempio il dolo del passeggero);
bagaglio non consegnato (quello che comunemente viene chiamato “bagaglio a mano”): in questi casi vige una
responsabilità soggettiva per colpa presunta, per cui sarà il passeggero a dover dimostrare che è responsabile il
vettore per la perdita o il danneggiamento del bagaglio.

Il trasporto di cose. La prima ipotesi di responsabilità è quella per inadempimento (cioè, la merce rimane a terra):
nel trasporto di cose la fattispecie di inadempimento è regolata dal codice della navigazione all’art. 952, il quale
prevede un regime di responsabilità soggettiva per colpa presunta. La Convenzione di Montreal del 1999 non
prevede una disciplina puntuale di questa fattispecie e troverà quindi applicazione l’art. 952: quindi il vettore si
presume responsabile per inadempimento, però potrà produrre una prova liberatoria (per esempio, aver adottato
tutte le misure possibili per evitare l’inadempimento).
Per quanto riguarda l’ipotesi del ritardo, la Convenzione di Montreal del 1999 prevede un regime di responsabilità
soggettiva per colpa presunta: il vettore, quindi, è ammesso a produrre prova liberatoria dimostrando l’assenza di
propria responsabilità.
La terza e ultima responsabilità nel trasporto di cose è quella di perdita o avaria delle merci: in tema di trasporto
aereo di merci, in caso di perdita o avaria, una puntuale disciplina a livello internazionale venne data dal Protocollo n.
4 di Montreal del 1975; questo protocollo, poi, è stato mutuato dalla Convenzione di Montreal del 1999. Cosa
prevedeva questo accordo (e quindi cosa prevede la Convenzione di Montreal)? Veniva previsto un regime di
responsabilità tendenzialmente oggettivo: ciò implica che il vettore è responsabile automaticamente per la perdita
totale o parziale o la avaria della merce trasportata in modo automatico, senza poter produrre la prova generale di
aver adottato tutte le misure necessarie possibili. Ma perché “tendenzialmente oggettivo”? Perché il Protocollo ha
previsto una serie di pericoli eccettuati (cioè una serie di casi o fattori che fanno venir meno la responsabilità del
vettore), che hanno carattere tassativo; essi sono:
il vizio o il difetto della merce o la natura della merce (per esempio, la c.d. autogermogliazione di sementi);
il difetto o il vizio di imballaggio;
il fatto di guerra;
l’atto dell’autorità (per esempio, si caricano delle merci sull’aeromobile, queste arrivano in dogana e vengono fatti dei
controlli; nell’ambito di questi controlli la merce può essere danneggiata);
qualora il fatto sia imputabile alla colpa generica del caricatore (ma questo è un punto dibattuto, a cause della
genericità della formulazione).

Sezione terza – Il quantum risarcibile

La limitazione del debito. Perché si parla di limitazione del debito e non di limitazione della responsabilità? Nel
mondo dei trasporti esiste l’istituto della limitazione del debito, il quale deve essere inteso come la limitazione che
viene posta per legge alla quantità massima del debito risarcibile; il debitore, successivamente, risponderà con tutti i
propri beni fino alla concorrenza massima di un tetto stabilito dalla legge. Ciò che viene limitato, insomma, è il
quantum risarcibile. Diversa è la limitazione della responsabilità, che è un istituto proprio del diritto societario: ciò che
viene limitato, qui, non è il debito, ma i beni aggredibili.
Nel tema dell’istituto della limitazione del debito si utilizza una misura convenzionale, ovvero i DSP.
Storicamente la limitazione del debito era prevista tanto nel trasporto di cose, quanto nel trasporto di persone;
l’istituto nasceva per dare aiuto e impulso alla nascente industria aeronautica. Con la Convenzione di Montreal del
1999 – recependo il regolamento (CE) n. 2027/1997 – viene abolito l’istituto della limitazione del debito, ma per i soli
danni biologici al passeggero. In Italia un primo scossone alla limitazione del debito del vettore in caso di danno
biologico al passeggero si ebbe con una sentenza della Corte costituzionale, la n. 132/1985: in quel caso era morto

67
È evidente che un parametro di questo genere non consente un’omogeneità di giudizi.
68
L’Italia lo prevede per la RC auto alla l. n. 990/1969.

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42 Diritto aeronautico

un passeggero e tutti gli eredi erano stati risarciti con i canonici 195 milioni di Lire; venne, però, sollevata una
questione di legittimità costituzionale della legge di recepimento dell’art. 22 della Convenzione di Varsavia del 1929,
in quanto contraria all’art. 2 Cost. La Corte accolse il ricorso sostenendo che, effettivamente, il limite violava l’art. 2
Cost. perché il risarcimento al passeggero e agli eredi non era garantito e, comunque, non era congruo. Questo
ingenerò una serie di costi per le compagnie aeree, che dovettero correre ai ripari assicurandosi; le compagnie,
comunque, riuscirono ad accorparsi e a spingere verso l’approvazione di una legge di rientro nella Convenzione di
Varsavia, forzando la sentenza della Corte costituzionale dal punto di vista delle motivazioni:
venne stabilito l’obbligo di copertura assicurativa delle compagnie aeree: in questo modo il risarcimento sarebbe
diventato certo;
viene alzato il tetto massimo del debito: la Corte costituzionale, infatti, aveva definito il limito come incongruo.

Per fortuna il regolamento (CE) n. 2027/1997 fa venire meno, per i soli danni biologici (cioè lesioni o morte) e a livello
comunitario, l’istituto della limitazione del debito; a livello internazionale, poi, viene meno solo con la Convenzione di
Montreal del 1999.
L’istituto della limitazione del debito è proprio di tutti i settori dei trasporti; nel trasporto di merci, questo favor per il
vettore rimane. Per esempio, per i bagagli (che possono essere consegnati o non consegnati), se il contenuto viene
distrutto o perso, il risarcimento del danno è limitato ai 1000 DSP; questo limite può essere superato perché si può
stabilire, mediante accordo fra il passeggero e il vettore, una deroga, ovvero la c.d. dichiarazione di speciale
interesse alla riconsegna69. In caso di bagaglio il limite viene meno anche ove si riesca a dimostrare che la perdita o
l’avaria si sia verificata per dolo: in questo caso di avrà diritto al totale risarcimento. Per quanto riguarda il trasporto di
merci, il limite è di 17 DSP per chilogrammo di merce caricata: anche in questo caso il limite può essere aumentato,
però anche in questo caso dovrà essere concluso un contratto (cioè la dichiarazione di speciale interesse alla
riconsegna); a differenza del trasporto di bagagli, la disciplina del trasporto di merci è lacunosa, perché a livello
comunitario o internazionale non è stato previsto il venir meno della limitazione del debito nelle ipotesi di dolo70. Per il
danno biologica al passeggero non vi è più nessun limite, ma il regolamento (CE) n. 2027/1997 e la Convenzione di
Montreal del 1999 prevedono che, fino a danni biologici quantificabili in 100 mila DSP, il regime è di responsabilità
tendenzialmente oggettiva (salvo il c.d. contributo di negligence); per i danni biologici superiori ai 100 mila DSP (e,
comunque, per la morte) vi è una responsabilità soggettiva per colpa presunta.
Per dovere di completezza, il limiti in DSP citati e che si citeranno sono stati, qualche mese fa, aggiornati da un
provvedimento dell’ICAO del circa il 13%.

I soggetti debitori. Soggetto debitore è, innanzitutto, il vettore contrattuale. Vi può, poi, essere un volo in code
share71: in questo caso si può chiedere il risarcimento alla compagnia aerea contrattuale, ma anche a quella di fatto.
Si può chiedere il risarcimento anche ai dipendenti o preposti che si ritiene responsabili del danno. La richiesta di
danni si può anche fare all’agenzia di viaggi presso cui si è acquistato un pacchetto-viaggio. Tutti i soggetti (quindi il
vettore – contrattuale o di fatto –, i dipendenti o preposti e l’agenzia di viaggi sono responsabili in solido.

I soggetti creditori. Innanzitutto è creditore il soggetto proprietario della merce (o del bagaglio), mentre per il danno
biologico è creditore il soggetto che si è fatto male. Ma per il decesso chi ha il diritto al risarcimento? In Italia, dal
punto di vista civilistico, in caso di decesso, per orientamento della giurisprudenza, il diritto al risarcimento viene
riconosciuto al coniuge, ai discendenti diretti e anche ai nipoti72; se non ci sono questi soggetti, allora si
considereranno gli ascendenti e i fratelli e le sorelle. Il quantum risarcibile è tanto più basso quanto più lontano è il
vincolo di parentela; occorre tener conto che qui non ci sono tabelle, qui il quantum è determinato dall’età73 e dal
prudente apprezzamento del giudice.

Aspetti conclusivi. La Convenzione di Montreal del 1999 ha previsto all’art. 50 l’obbligo di copertura assicurativa: a
livello planetario, quindi, oggi c’è un obbligo di copertura assicurativa. In realtà, la Convenzione di Montreal del 1999
obbliga i singoli Stati che vi aderiscono74 ad imporre ai vettori che operano nei loro cieli un’adeguata copertura
assicurativa; oggi, quindi, i massimali variano a seconda del singolo Stato (per cui, mentre in USA e nell’UE la
copertura è idonea, non si può dire lo stesso, per esempio, di alcuni Paesi asiatici).
Dal punto di vista dell’individuazione del foro competente, poi, la Convenzione di Montreal è molto buona; i fori sono:
il domicilio del vettore;
la sede principale del vettore;
la sede dove è stato concluso il contratto;
il luogo di destinazione;

69
Questo, però, comporterà ordinariamente un aumento della tariffa.
70
Vi sono stati dei tentativi in giurisprudenza, ma le sentenze pilota sono deboli e numericamente scarse.
71
Con il termine code sharing si intende un accordo tra linee aeree nel quale un vettore commercializza un servizio
e pone il suo codice sui voli di un altro vettore. Prevede l'inserimento di due codici aerei in un solo volo, in modo da
assicurarne il riempimento.
72
I nipoti sono presi in considerazione da un orientamento degli ultimi 3 anni.
73
Nel senso che per i soggetti più anziani il risarcimento sarà minore, mentre per i danneggiati giovani il
risarcimento sarà più corposo.
74
Gli Stati aderenti a Montreal sono il 99% delle Nazioni in possesso di aeronautica.

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il luogo di residenza del passeggero75.

75
Mentre le precedenti opzioni erano già previste in convenzioni previgenti e sono state solo confermate, questa è
stata proprio introdotta dalla Convenzione di Montreal del 1999.

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Capitolo diciannovesimo
Il ritardo

Questo argomento si collega al tema della responsabilità del vettore, ma stante la numerosa casistica impone una
disanima separata.

La disciplina del ritardo. Anche in questo caso si applica la Convenzione di Montreal del 1999, che rispetto alla
Convenzione di Varsavia del 1929 è sicuramente innovativa e migliorativa per alcuni aspetti, per altri è meramente
ripetitiva, ma è anche – purtroppo – lacunosa. La Convenzione di Montreal del 1999 ha, anche in tema di ritardo,
posto l’istituto della limitazione del debito e l’ha fissato a 4200 DSP; tuttavia, se ad arrivare tardi non è la persona ma
il bagaglio, il limite è di 100 DSP; se ad arrivare in ritardo è, invece, la merce, il limite rimane confermato ed è di 17
DSP per chilogrammo di merce caricata. Anche in questi ultimi due casi è proponibile la dichiarazione di speciale
interesse alla riconsegna. Nel trasporto di merci, se le merci sono separate in colli, il ritardo si applicherà soltanto sui
colli che verranno consegnati in ritardo (non su tutta la spedizione), salvo che il ritardo della consegna della minima
parte di colli abbia arrecato nocumento all’intera spedizione. Anche in caso di ritardo la Convenzione di Montreal del
1999 è lacunosa, perché non prevede neanche in questo caso il superamento della limitazione del debito in caso di
dolo; questo aspetto ha suscitato delle perplessità di legittimità costituzionale della legge di esecuzione della
Convenzione.
La Convenzione di Montreal, ad oggi, non pone nessuna definizione di ritardo e questa è la grave lacuna di questo
testo; si dice solo che in caso di ritardo vi è una responsabilità soggettiva per colpa presunta. In Italia ci sono due
orientamenti giurisprudenziali:
c’è chi rapporta e valuta la responsabilità del vettore al singolo caso concreto: in caso di ritardo si pone in essere
un’approfondita valutazione e si vede la capacità di quella singola compagnia di adempiere perfettamente ai propri
obblighi (per esempio, la compagnia X è di piccole dimensioni ed eventuali ritardi, entro un certo limite, devono
essere tollerati);
l’orientamento dominante si riferisce ad un parametro oggettivo, ovvero quella diligenza del buon padre di famiglia,
con l’aggiunta del carattere della professionalità; questo è senz’altro l’orientamento preferibile.

La Convenzione di Montreal non ci dà nemmeno l’ambito spaziale e temporale del concetto di ritardo, dal momento
che non viene detto se il regime di responsabilità vige dal momento della partenza fino al momento dell’atterraggio o
fino a quando si scende dall’aereo e si entra nell’aeroporto76 oppure ancora fino a quando vengono riconsegnati i
bagagli77 (per parte della dottrina, in questo caso, il passeggero avrebbe diritto sia al risarcimento per il ritardo dei
bagagli, sia ai 4200 DSP per il ritardo del passeggero). Sulla base della Convenzione di Montreal non vi è una tutela
vera del passeggero in caso di ritardo, non essendovi una disciplina specifica; è, quindi, la giurisprudenza a dare
delle risposte.
Ad aggravare questo quadro nebuloso c’è il fatto che le compagnie aeree hanno approfittato di questa situazione;
IATA, infatti, ha posto nel biglietto le seguenti diciture:
«gli orari di partenza e di arrivo sono meramente indicativi»;
«gli orari non sono garantiti»;
«non vi sono garanzie nelle coincidenze»;
«gli orari di arrivo e di partenza non fanno parte degli elementi essenziali del contratto»;
etc.

Le associazioni dei consumatori hanno sostenuto che si tratterebbero di condizioni vessatorie poste unilateralmente:
il Tribunale, però, lo ha negato, poiché è legittimo che una delle parti si assuma l’obbligo di trasporto senza
assumere l’obbligo di trasporto puntuale “spaccato al secondo”. Però è anche vero che una generica obbligazione di
trasporto entro un certo ambito temporale è stata assunta; e allora quando si può parlare di ritardo? Quando il tempo
di arrivo è caratterizzato da un ritardo abnorme, irragionevole, anormale rispetto al tempo effettivamente previsto; è
comunque rimesso al prudente apprezzamento del giudice. L’utenza, in definitiva, è sicuramente vulnerabile.
Vi sono, infine, accordi e regolamenti a livello di UE che prevedono delle forme di tutela come l’obbligo di assistenza,
informazione, etc.; obblighi, peraltro, il più delle volte disattesi.

76
Può accadere, infatti, che l’aereo atterri puntuale, ma che poi si rimanga “intrappolati” in aereo per mezz’ora
perché non si trova una scaletta.
77
Può accadere che, pur scesi dall’aereo e in aeroporto, occorra attendere delle ore per vedersi riconsegnato il
proprio bagaglio.

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Capitolo ventesimo
Gli accordi tra i vettori aerei

Il code sharing. Letteralmente “condivisione di codici di volo”, è il contratto che si è sviluppato nella pratica e che
ordinariamente prevede il coinvolgimento di una compagnia aerea maggiore e di una compagnia aerea minore. In
realtà tutti gli accordi che vedremo infra coinvolgono una compagnia aerea maggiore e una compagnia aerea
minore; questo perché tutti gli accordi hanno delle comuni esigenze, in particolare per la compagnia maggiore:
implementare e gestire le rotte meno appetibili;
aumentare i ricavi unitari di ogni anno;
ottenere più slot.

La compagnia aerea minore, per servire le rotte meno appetibili, permette alla compagnia aerea maggiore di
utilizzare i propri aerei: per esempio, la vecchia Alitalia garantiva le rotte maggiori (per esempio, Roma-New York),
mentre quelle minori (per esempio, Roma-Cagliari) le facevano fare alla Meridiana.
Il problema era che l’utente stipulava un contratto con la compagnia aerea maggiore e aveva determinate
aspettative, poi invece viaggiava con una compagnia minore che naturalmente gli offriva un servizio più scadente.
Questo è il fenomeno del c.d. cult lease: il consumatore subiva un trattamento qualitativamente inferiore rispetto a
quello che doveva essere fornito secondo contratto.
Con la riforma della parte aeronautica il code sharing è stato menzionato all’art. 780c. nav., il quale è rubricato
Condivisione di codici di volo e accordi commerciali fra vettori e stabilisce: «Nella combinazione di più trasporti aerei
che utilizzano lo stesso codice di volo e in ogni altro accordo commerciale, i vettori sono tenuti a rispettare le regole
di concorrenza, i requisiti di sicurezza prescritti, nonché ad assolvere gli obblighi di informazione di cui all’art. 943».
L’art. 943 c. nav. (che è sempre un prodotto della riforma aeronautica) si applica sia al code sharing che a tutti gli
altri accordi commerciali fra vettori; la norma tratta del cult lease e, rubricata Obblighi d’informazione, stabilisce che
«qualora il trasporto sia effettuato da un vettore aereo diverso da quello indicato sul biglietto, il passeggero deve
essere adeguatamente informato della circostanza prima dell’emissione del biglietto»: il consumatore, cioè, deve
poter decidere se accettare di essere trasportato quella diversa compagnia aerea o no. La norma poi prosegue: «in
caso di prenotazione78, l’informazione deve essere data al momento della conferma della prenotazione». In caso di
mancato rispetto di questi obblighi di informazione, l’art. 943, c. 2 c. nav. stabilisce delle gravi sanzioni; il
passeggero, infatti, può chiedere:
la risoluzione del contratto;
il rimborso del biglietto;
risarcimento dei danni.

Il legislatore, quindi, ha cercato di eliminare il fenomeno del cult lease. C’è da notare, però, che non ha disciplinato il
fenomeno del code sharing, l’ha solo nominato: quindi il contratto di code sharing, ad oggi, rimane confinato nella
categoria dei contratti atipici79. Un contratto è tipico la sua “struttura” non è prevista da alcuna disposizione di legge
oppure quando la causa non è riferibile a uno dei contratti già previsti dall’ordinamento (per esempio, il contratto di
ormeggio). All’interno dei contratti tipici, poi, c’è la categoria dei contratti socialmente tipici: questi sono quei contratti
atipici che, per la grande diffusione nel territorio e per il costante ripetersi nel tempo, assumono delle connotazioni
ricorrenti. Il code sharing, proprio per la sua enorme diffusione e per il fatto che dopo la riforma è stato menzionato
(ma non definito e disciplinato) è un contratto socialmente tipico. Si è detto supra che, con il contratto di code sharing
la compagnia aerea maggiore permette ad una compagnia aerea minore di utilizzare la tratta della compagnia aerea
maggiore utilizzando anche i clienti della compagnia aerea maggiore.
Si chiama code sharing perché prende origine da una particolarità: le due compagnia aeree condividono il codice di
volo, ovvero quel codice alfanumerico che individua sia la compagnia aerea che la tratta del volo. Per esempio, AT15
individua la compagnia aerea Alitalia (AT) e la tratta Roma-New York (15); quando c’è un accordo di code sharing il
codice di volo potrebbe essere, invece, il seguente: MAT15, ad indicare la compagnia aerea Meridiana (M), la
compagnia aerea Alitalia (AT) e la rotta Roma-New York (15). Il codice di volo viene assegnata da IATA. Il code
sharing può avvenire tramite un accordo privato singolo oppure all’interno di una più vasta politica commerciale fra le
due compagnie.
Vengono individuati quattro tipi di code sharing:
il free flow: la compagnia aerea maggiore prenota un determinato numero di posti per i propri clienti nell’aeromobile
della compagnia minore, posti che possono essere disdetti fino al momento della partenza e senza che la compagnia
aerea maggiore subisca alcuna conseguenza o sanzione;
nel soft block c’è un termine entro il quale la compagnia aerea maggiore deve confermare o meno alla compagnia
aerea minore i posti prenotati. Se entro il termine concordato la compagnia aerea maggiore non comunica la
disdetta, è tenuta a pagare i posti prenotati;
nell’hard block non c’è un termine entro cui la compagnia maggiore deve comunicare la disdetta. Si applica la regola
c.d. del “vuoto per pieno”: la compagnia aerea maggiore deve pagarli tutti, anche se non occupati dai propri clienti;

78
Il che accade spesso oggi, dal momento che tutti gli acquisti avvengono via Internet.
79
L’art. 1322 c.c. stabilisce che «le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una
disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento
giuridico».

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48 Diritto aeronautico

l’ultima tipologia è un misto fra il 2) e il 3): una parte dei posti si prenota con il sistema del soft block, l’altro con il
sistema dell’hard block.

Con il sistema del code sharing accade che i biglietti vengono emessi al passeggero dalla compagnia maggiore,
passeggero che poi viene trasportato dalla compagnia minore; che fattispecie intercorre in questa triangolazione?
Tra la compagnia aerea maggiore e quella minore il code sharing si avvicina al contratto di trasporto, mentre dal
punto di vista del passeggero la dottrina maggioritaria ritiene che il contratto si avvicini a quello di subtrasporto:
avremo, quindi, un vettore c.d. contrattuale e un vettore operativo (o di fatto); in questi casi la Convenzione di
Montreal del 1999 stabilisce che il passeggero vanta gli stessi diritti sia nei confronti del vettore contrattuale, sia nei
confronti del vettore di fatto.

Il charter di aeromobili. È quel contratto in cui l’esercente, ossia il vettore, si obbliga nei confronti del charterer (o
utilizzatore), verso corrispettivo, a compiere con un aeromobile determinato uno o più viaggi per il trasporto di
persone o cose. È denominato nella pratica come il noleggio di aeromobile, ma in realtà non ha niente a che fare con
il noleggio. Il contratto di noleggio, nel settore marittimo, ha un suo significato in alcuni casi. Il noleggio è sempre
stato visto come una “casella vuota”: si pensi al fatto che nel diritto civile non esiste; infatti, tutti quei contratti che
genericamente vengono definiti come “noleggio” sono in realtà contratti di locazione (si pensi al noleggio di film),
contratti di appalto (per esempio il noleggio di gru, magari con il manovratore) o contratti di trasporto.
Nel diritto dei trasporti è previsto un contratto di noleggio di nave e un contratto di noleggio di aeromobile;
quest’ultimo viene costruito sulla base del noleggio di nave: l’art. 940c. nav., infatti, stabilisce che «al noleggio di
aeromobile si applicano le norme degli articoli da 384 a 395». L’art. 384 ss. disciplinano la fattispecie del noleggio e
l’art. 384 c. nav. in particolare lo definisce come «il contratto per il quale l’armatore, in corrispettivo del nolo pattuito,
si obbliga a compiere con una nave determinata uno o più viaggi prestabiliti, ovvero, entro il periodo di tempo
convenuto, i viaggi ordinati dal noleggiatore alle condizioni stabilite dal contratto o dagli usi». Sulla base di questa
norma si è aperto un dibattito dottrinale: un parte della dottrina ha sostenuto che si tratta di un contratto di trasporto;
la seconda parte della dottrina, invece, afferma che l’art. 384 c. nav. non parla di “trasporto” ma di “viaggi”, di
conseguenza l’obbligazione è quello di compiere viaggi. Nell’ambito del diritto marittimo sono state ravvisate poche
obbligazioni aventi ad oggetto solo il compiere viaggi; nell’ambito del diritto aeronautico, invece, non è stata ancora
ravvisata nessuna forma di noleggio. Il contratto di charter, quindi, può essere ricondotto o alla locazione di
aeromobili o al contratto di trasporto; questo perché dai formulari di contratto si è rilevato che esistono due tipi di
contratti di charter:
con equipaggio: la fattispecie è riconducibile al contratto di trasporto;
senza equipaggio: la fattispecie è riconducibile al contratto di locazione di aeromobile.

Il contratto di charter è sempre un accordo commerciale tra una compagnia aerea minore e una maggiore. Viene
utilizzato molto spesso nei viaggi organizzati: l’esercente (vettore) si obbliga ad effettuare il viaggio richiesto
dall’utilizzatore (charterer o tour operator) e a trasportare le persone clienti del tour operator (quindi, contratto di
trasporto); se il vettore mette a disposizione del charterer i propri aeromobili senza equipaggio non si tratta più di un
contratto di trasporto, bensì di locazione di aeromobile.
Spesso si usa il termine charter per riferirsi agli aeromobili non di linea: quindi il vettore non l’obbligo di offrire la
propria prestazione a tutti e neanche l’obbligo di rispettare gli orari stabiliti da altri. Meno chiaro è il rapporto che
intercorre fra passeggero ed esercente80: secondo la prima teoria la triangolazione è un contratto a favore di terzi,
nel senso che il charterer stipula con l’esercente un contratto di trasporto a favore di una terza persona (sua cliente);
per la seconda teoria, invece, il charterer stipula con l’esercente una cessione frazionata del contratto di trasporto.
Queste due visioni derivano dal fatto che i biglietti vengono emessi dall’esercente-vettore direttamente a nome del
passeggero, ma questo non ha nessun contatto con il vettore: per cui alcuni dicono che non c’è nessun contratto tra
vettore e passeggero (prima teoria), altri sostengono che il charterer cede una frazione del contratto che il charterer
a suo tempo stipulò con l’esercente-vettore. Il passeggero troverà tutela nel Codice del consumo e nella
Convenzione di Bruxelles sul contratto di viaggio (CCV): egli potrà agire indistintamente nei confronti del tour
operator e dell’esercente.

Il dry lease. È il contratto con il quale un soggetto (proprietario dell’aeromobile) si obbliga a trasferire il godimento
dell’aeromobile ad un altro soggetto (la compagnia aerea minore) per un periodo di tempo determinato; si tratta di un
contratto nato dalla pratica che ricorda il contratto di locazione, tanto che all’inizio si discuteva se si trattasse di
leasing o locazione. La dottrina maggioritaria, alla fine, preferì equipararlo alla locazione: questo non significa che si
applica tout court la disciplina della locazione di aeromobili, perché questi contratti hanno delle peculiarità; tuttavia,
ove questi contratti non abbiano previsto la disciplina di un determinato aspetto ci si rifarà alla disciplina già prevista
dal codice della navigazione per la locazione di aeromobili. Non si tratta di leasing operativo perché lì è previsto un
maxicanone finale per l’acquisto dell’aeromobile, mentre nel dry leasing, seppur ci sia il pagamento di canoni
periodici, questo maxicanone non c’è. Lo scopo di questo contratto è quello di implementare la propria flotta senza
affrontare ingenti investimenti per acquistare gli aeromobili.

Il wet lease. È il contratto con il quale l’esercente si obbliga a compiere verso corrispettivo i viaggi indicati
dall’utilizzatore per il periodo di tempo determinato dal contratto. I viaggi riguardano sempre il trasporto di persone (e

80
esercente ← charterer

passeggero

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non di cose) e l’aeromobile è di proprietà dell’esercente. La dottrina maggioritaria ritiene di inquadrare il wet lease nel
trasporto di persone; in questo caso, però, l’utilizzatore è un vettore. Quindi anche qui avremo il vettore contrattuale
(utilizzatore) e il vettore di fatto (trasportatore): si applica allora la Convenzione di Montreal del 1999 (per la quale il
passeggero può far valere contro il vettore di fatto i diritti che potrebbe far valere contro il vettore contrattuale) e l’art.
984 c. nav. (che stabilisce l’obbligo di informazione). L'utilizzo tipico del wet lease è quello di garantire al locatore la
copertura dei propri servizi in particolari momenti, ad esempio in periodi con particolari punte di traffico oppure
quando gli aeromobili normalmente utilizzati dal locatore sono a terra per lavori di manutenzione di maggiore
importanza. Un altro utilizzo del wet lease, anche se non particolarmente diffuso, è quello di consentire a compagnie
aeree inserite nella cosiddetta lista nera emessa dall'Unione Europea, che impedisce loro per motivi di sicurezza di
operare nell'area della stessa Unione, di svolgere servizi in ambito europeo.

Il franchising aeronautico. Il franchising non è più un contratto atipico; ora è un contratto tipico perché lo prevede la
l. n. 129/2004: la definizione data dalla legge è molto più ampia e diversa da quella conosciuta nella pratica. Nella
pratica il franchising è conosciuto come il contratto mediante il quale un’impresa dotata di una rete commerciale
trasferisce, dietro pagamento di un canone (c.d. royalty), a un’impresa che ha una rete distributiva il proprio know-
how. L’art. 1 della l. n. 129/2004 definisce il franchising come «contratto tra due soggetti giuridici economicamente
indipendenti in base al quale una parte concede la disponibilità all'altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di
proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni,
diritti d'autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l'affiliato in un sistema
costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi».
Si tratta quindi di un contratto tipico perché la l. n. 129/2004 non nomina e basta il contratto di franchising, ma lo
disciplina nello specifico.
Per quanto riguarda il franchising aeronautico, la compagnia aerea maggiore affilia nella propria rete commerciale
una compagnia aerea minore, alla quale vengono affidati i clienti della compagnia aerea maggiore; la compagnia
aerea minore dovrà mantenere gli stessi standard qualitativi della compagnia aerea maggiore, dal momento che
utilizza la stessa livrea, le hostess e gli steward indosseranno la stessa divisa, etc. Non si potrà verificare, insomma,
il fenomeno del cult lease. Il franchising aeronautico è diverso dal franchising di cui alla l. n. 129/2004: mentre nel
franchising s’ingloba un soggetto minore e lo si inserisce nella propria rete, nel franchising aeronautico la compagnia
aerea maggiore gestisce direttamente la maggior parte delle proprie linee e si avvale della compagnia aerea minore
solo per la gestione delle singole linee.

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Capitolo ventunesimo
Il contratto di trasporto aereo

Aspetti generali. Si tratterà di seguito dei contratti che intercorrono tra compagnia aerea e passeggero (nel caso del
trasporto aereo di persone) o tra compagnia aerea e mittente (nel caso di trasporto aereo di cose). È bene definire
subito i soggetti: il vettore è colui che effettua il trasferimento da un luogo di partenza determinato a un luogo di
arrivo determinato; il passeggero è l’utente che intende essere trasferito dal vettore da un luogo ad un altro; il
mittente è il soggetto che intende far trasportare delle cose di cui egli è il legittimo possessore. Nel trasporto di cose,
rispetto al trasporto di persone, vi è una particolarità: vi è un soggetto terzo (il destinatario) che non entra a far parte
del rapporto tra vettore e mittente, ma è colui a vantaggio del quale viene effettuato il trasporto; è, insomma, la
persona alla quale il vettore consegna le cose trasportate per ordine del mittente.
Il contratto di trasporto è una sottospecie del contratto di appalto di servizi. Che cos’è che differenzia il trasporto
aereo dagli altri trasporti? L’elemento nel quale viene effettuato, cioè l’aria. Il contratto di trasporto aereo è un
sottotipo del contratto di trasporto, il quale è disciplinato nel codice civile; lì vi troviamo una disciplina valevole per
ogni tipo di trasporto: per esempio, l’art. 1678 c.c. definisce il contratto di trasporto come quel contratto mediante il
quale il «il vettore si obbliga, mediante corrispettivo, a trasferire persone o cose da un luogo ad un altro». Il trasporto
aereo di cose, invece, è espressamente disciplinato dal codice della navigazione.
Dopo la riforma della parte aeronautica, attraverso la tecnica del rinvio mobile, la disciplina del contratto di trasporto
aereo, sia esso nazionale o internazionale, la si trova nella Convenzione di Montreal del 1999. A questa normativa
bisogna aggiungere la normativa comunitaria, in particolare il regolamento (CE) n. 261/2004, che disciplina
specifiche ipotesi di modificazione della vicenda contrattuale (per esempio, il caso in cui il volo venga cancellato o vi
sia un impedimento del vettore o del passeggero, etc.); questo regolamento, comunque, si riferisce solo al trasporto
aereo di persone.
All’interno del trasporto aereo di persone vi è un ulteriore specificazione: il trasporto aereo gratuito e il trasporto
aereo amichevole (o di cortesia). Occorre subito precisare che, nell’art. 1678 c.c., l’elemento del corrispettivo è un
elemento essenziale del contratto di trasporto: esso può essere sia a livello pecuniario, sia a livello di altro interesse
patrimoniale giuridicamente rilevante. Questo interesse giuridicamente rilevante non sempre si identifica con il
denaro, ma può assumere diverse forme: per esempio un gruppo di studenti prende l’automobile di uno del gruppo e
dividono la spesa della benzina per il trasferimento da casa loro all’università; ancora, un datore di lavoro mette a
disposizione un proprio pulmino per la raccolta dei propri dipendenti per portarli sul posto di lavoro. In tutti questi casi
c’è un corrispettivo che viene versato: o per la suddivisione delle spese o già compreso in un risparmio economico
che ha il datore di lavoro. Il trasporto gratuito costituisce sempre un contratto, perché da una parte c’è un soggetto
che si obbliga ad effettuare il trasferimento di una persona o di una cosa da un luogo all’altro, dall’altra c’è un
soggetto che versa un corrispettivo (in qualunque forma esso sia): questo è importante, perché, giunti a questa
conclusione, non si può che dire che si applicano le norme sulla responsabilità contrattuale. Questo, invece, non
avviene nel caso del trasporto di cortesia: il trasporto di cortesia avviene senza il versamento di un corrispettivo. Per
esempio nel trasporto dell’autostoppista: questo non versa niente e al vettore non gliene viene niente; questo, allora,
non è un contratto di trasporto, per cui se succede qualcosa all’autostoppista si dovranno invocare le norme sulla
responsabilità extracontrattuale. Il contratto di trasporto aereo è stato preso in considerazione dalla Convezione di
Montreal del 1999, la quale parifica il trasporto aereo gratuito al trasporto aereo oneroso, con particolare riferimento
alla responsabilità in caso di sinistri e perdita del bagaglio. Quindi si è detto: nel caso di trasporto gratuito si applica il
regime della responsabilità contrattuale, mentre nel caso del trasporto amichevole si applica il regime della
responsabilità extracontrattuale. A questo proposito occorre precisare che prima della riforma della parte
aeronautica, per tutto ciò che non era previsto nella sezione del contratto di trasporto aereo, ci si riferiva alla
disciplina della parte marittima: nel caso della responsabilità extracontrattuale, il codice della navigazione nella parte
aeronautica si richiamava all’art. 414 c. nav., il quale stabilisce che il vettore risponde nei confronti del caricatore per
dolo o colpa grave; la conseguenza era che anche nel trasporto aereo il vettore rispondeva solo per dolo o colpa
grave. A seguito della riforma della parte aeronautica, non si fa più riferimento alla disciplina della parte marittima;
nel caso del trasporto di cortesia, non applicandosi né la Convenzione di Montreal del 1999 né l’art. 414 c. nav., ci si
deve rifare all’ordinamento comune: e qual è la norma che si applica? Sicuramente non l’art. 2054 c.c. (che tratta
specificamente la responsabilità derivante dalla circolazione di veicoli e natanti), perché l’aereo non può essere
equiparato ad un veicolo; si applicherà l’art. 2043 c.c., per cui ora il vettore ora risponderà anche per colpa lieve.

La disciplina della forma del contratto di trasporto e la sua conclusione. In generale il contratto di trasporto è
un contratto a forma libera; vi sono tuttavia dei casi in cui è richiesta la forma scritta ad probationem (per esempio,
nel trasporto di cose).
Il trasporto di persone è a forma libera, anche se nel 99,9% dei casi viene emesso dal vettore un documento scritto:
il c.d. biglietto di passaggio. Questo documento è sottoscritto solamente da una parte, ma nonostante ciò fa piena
prova tra le parti. Il biglietto è nominativo ed individua da un lato il vettore, dall’altra il passeggero che deve essere
trasportato nella tratta (individuata nel biglietto) e in quell’orario (anch’esso individuato nel biglietto). Il biglietto
contiene tutte le condizioni del contratto; inoltre esso deve contenere un espresso rinvio alla Convenzione di
Montreal del 1999 per tutto ciò che riguarda la responsabilità del vettore. La Convenzione di Montreal del 1999
stabilisce che, in assenza di queste indicazioni e in assenza del biglietto, il contratto è comunque disciplinato dalla
Convenzione stessa: da questo si desume che il contratto di trasporto di persone è un contratto a forma libera. Il
contratto di solito si perfeziona con l’incontro della volontà delle parti; nel nostro caso questo incontro c’è o in
biglietteria o, nel caso della biglietteria elettronica, l’incontro delle volontà si perfeziona in un momento anteriore

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52 Diritto aeronautico

all’emissione e rilascio del biglietto: nelle prenotazioni on line, infatti, viene assegnato un codice di prenotazione, con
il quale il contratto è già perfezionato. Si badi bene che questa non è una prenotazione! Nei principi generali il
contratto si conclude quando l’accettazione della proposta giunge al proponente; i requisiti sono che la proposta
deve contenere tutti gli elementi del contratto e l’accettazione deve investire tutti gli elementi della proposta. Quindi
devono essere indicati la tratta, il luogo di partenza e il luogo di arrivo, il prezzo, etc.: nel momento in cui si va su
internet si ha informazione di tutti gli elementi del contratto, per cui quando si effettua la prenotazione in realtà si
accetta una proposta già completa. Nel biglietto, poi, in caso di code sharing, deve essere indicato che il passeggero
sarà trasportato materialmente da un’altra compagnia aerea. Il biglietto può essere ceduto alle condizioni previste
dalla compagnia aerea; nell’ipotesi – del tutto astratta – in cui vi sia un biglietto non nominativo, la dottrina ritiene che
questo possa essere ceduto dal possessore senza particolari osservazioni. Nel trasporto aereo di persone vi è una
particolarità: il trasporto del bagaglio. A tal proposito vi sono due teorie: la prima lo qualifica come un trasporto di
cose distinto dal trasporto di persone; la seconda ritiene che il trasporto di bagaglio sia compreso nel trasporto di
persone. Quest’ultima è la teoria dominante e configura il trasporto di bagagli come un’obbligazione accessoria al
trasporto di persone: la teoria di fonda sul fatto che non potrebbe sussistere il trasporto di bagaglio senza il trasporto
del relativo passeggero. Il bagaglio può essere consegnato o non consegnato al vettore: il bagaglio non consegnato
contiene oggetti personali. Se questo bagaglio non osserva determinati limiti di peso o di volume deve essere
consegnato al vettore; in questo caso il bagaglio verrà registrato e, a seguito di questa registrazione, ci sarà un
supplemento di prezzo. In ogni caso il vettore che prende in consegna il bagaglio deve rilasciare una ricevuta al
passeggero; il vettore è responsabile di questo bagaglio fin quando il passeggero non ne riprende possesso. Mentre
negli altri tipi di trasporto il vettore prende direttamente in consegna il bagaglio, in ambito aereo non è così: vi sono
società di handling che si occupano del trasporto dei bagagli dalla struttura aeroportuale all’aeromobile. In passato si
è dibattuto sulla responsabilità in caso di perdita del bagaglio, ci sono state anche delle sentenze che hanno ritenuto
responsabili le società di handling; attualmente si ritiene che responsabile della perdita del bagaglio sia sempre il
vettore, a prescindere che la perdita sia dovuta all’operatore di handling o meno. Quindi l’operatore di handling viene
considerato un ausiliario del vettore; questo facilita dal vita del passeggero, che, per ottenere il risarcimento, fa
causa direttamente al vettore.
Nel trasporto di cose, invece, non si ha il rilascio di un biglietto, ma di una lettera di trasporto (la c.d. Air Waybill) in
cui si indicano la forma degli imballaggi, i tipi di merci, le organizzazioni in colli, etc. Vige, quindi, la regola della forma
scritta ad probationem, perché la lettera di trasporto aereo fa fede per quanto riguarda la stipulazione del contratto di
trasporto aereo di cose. Qual è la natura giuridica della Air Waybill (d’ora in poi AWB)? Nel diritto marittimo la
corrispondente è la polizza di carico; sia nella polizza di carico che nella AWB sottosta un contratto di
compravendita, nel senso che questo trasporto avviene a seguito di una compravendita di merci. Soprattutto nel
caso del trasporto marittimo di cose (dove i viaggi durano dei giorni) poteva accadere che le merci fossero vendute in
corso di tragitto81; anziché portarle ad un destinatario, il vettore avrebbe dovuto portarle ad un destinatario diverso.
Nella polizza di carico risultava un particolare destinatario; in corso di tragitto, le merci vengono vendute e il vettore
deve portare queste merci ad un altro destinatario, che non è indicato nella polizza di carico. Lo strumento giuridico
che il legislatore ha congegnato per facilitare queste vendite in corso di viaggio è il seguente: la polizza di carico,
anziché valere come mero documento di attestato di trasporto, vale come titolo rappresentativo di merci. Questo
significa che le proprietà delle merci passa con la consegna della polizza di carico; se il venditore, in corso di viaggio,
fa pervenire al vettore una seconda polizza di carico con destinatario differente, il vettore deve consegnare queste
merci al nuovo destinatario che si trova indicato nella polizza di carico. La polizza di carico finale, nella quale risulta il
secondo destinatario, è contenuta nell’iniziale originale polizza di carico: c’è un unico foglio nel quale vengono
indicati i nomi dei vari soggetti e il nome del primo destinatario; successivamente, se c’è una vendita in corso di
tragitto, si annota nella stessa polizza di carico il nominativo del secondo destinatario. Ecco che la proprietà della
merce viaggia con la proprietà della polizza di carico (come se fosse un libretto al portatore). Nel caso, invece, del
trasporto aereo, prima della riforma aeronautica anche la AWB valeva come titolo rappresentativo di merci, al pari
della polizza di carico (quindi il possessore della polizza di carico otteneva anche le merci) e il vettore doveva
consegnare le merci solo a chi era in possesso di quella AWB; dopo la riforma della parte aeronautica, la AWB non
costituisce più titolo rappresentativo di merci. Ora è un mero documento di legittimazione: questo significa che potrà
sempre essere messa in discussione non soltanto le indicazione che risultano dalla AWB, ma anche al stessa
proprietà delle merci. Anche la AWB è sottoposta alla Convenzione di Montreal del 1999. Nel caso in cui non venga
rilasciata la AWB, il vettore deve in ogni caso rilasciare una ricevuta di carico: fondamentalmente la differenza è che
mentre la AWB viene rilasciata in tre esemplari (uno viene consegnato al mittente, l’altro al vettore e l’altro al
destinatario) e contiene già le indicazioni di contratto, la lettera di carico è in due copie che sono in capo al vettore e
al mittente. Ulteriore particolarità è il diritto di contrordine: il diritto di contrordine è un diritto che spetta in capo al
mittente e che dà la possibilità di dare nuove istruzioni al vettore a trasporto già avviato; egli può indicare nuovi
destinatari, nuovi aeroporti o può anche ordinare il rientro nell’aeroporto di partenza. Il diritto di contrordine spetta
sempre al mittente e questa è una particolarità perché dovrebbe spettare, a rigore, al proprietario: per cui se il primo
destinatario vende i beni al secondo destinatario in corso di tragitto, il primo destinatario non potrà dare l’ordine al
vettore di trasportare la merce al secondo destinatario; questo ordine lo potrà dare solo il mittente.

Le obbligazioni delle parti. Per quanto riguarda il trasporto di persone o di cose, il vettore deve trasferire gli utenti
da un luogo di partenza determinato a un luogo di arrivo determinato; il vettore deve effettuare il trasferimento nel
giorno e nell’ora pattuiti. Nel trasporto di persone c’è una particolarità: visto il traffico, gli orari possono essere
considerati meramente indicativi; c’è un limite di tolleranza – stabilito dalla giurisprudenza – che è di circa due ore. Il

81
La situazione è la seguente: Tizio vende un bene a Caio e stipula un contratto di trasporto marittimo di cose con
Sempronio; durante il viaggio, Caio vende il medesimo bene a Nevio.

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vettore deve adempiere a tutte le formalità amministrative e sanitarie (nel trasporto di cose anche doganali); nel
trasporto di persone il vettore ha l’obbligo di protezione del passeggero, mentre nel trasporto di cose c’è un obbligo
di custodia delle cose a lui affidate. Obbligo di protezione e obbligo di custodia sono obblighi strumentali: è l’obbligo
che permette l’adempimento dell’obbligazione. Nel caso di trasporto di cose, il vettore deve riconsegnare le cose
effettuando le operazioni di sbarco (oltre che di imbarco). Per quanto riguarda il trasporto di persone, nei viaggi di
una certa durata deve mettere a disposizione un vitto; inoltre, in tutti i viaggi, deve assicurare la propria
responsabilità verso i passeggeri e adempiere i più vari obblighi di informazione. Alcune obbligazioni sono
strumentali, altre accessorie; le obbligazioni accessorie sono quelle che potrebbero esistere anche autonomamente
rispetto all’obbligazione principale, come per esempio il vitto: infatti, nel vitto c’è quello compreso nel contratto base,
ma se il passeggero ha particolarmente fame può chiedere un extra pagando un supplemento82.
Per quanto riguarda il passeggero e il mittente, questi sono obbligati a versare il corrispettivo, che può essere
imposto dal vettore (nel caso di volo di linea) o pattuito (nel caso di volo charter). Nel trasporto aereo di persone è
richiesta una maggiore cooperazione, perché il passeggero deve rispettare il regolamento di bordo (che non tocca
minimamente il mittente, che sull’aereo nemmeno ci sale). Il passeggero e il mittente devono presentarsi al luogo di
imbarco all’orario stabilito.

Le vicende del rapporto contrattuale. Occorre da subito sottolineare che c’è una profonda differenza fra il contratto
di trasporto di persone e il contratto di trasporto di cose. Nell’ambito del contratto di trasporto di persone, c’è
un’ulteriore differenza tra il contratto di trasporto marittimo e il contratto di trasporto aereo, dal momento che
quest’ultimo gode di un tutela che nelle altre forme di trasporto non ci sono. Il regolamento (CE) n. 261/2004 pone in
essere una serie di tutele nel caso di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, inadempimento e
recesso unilaterale.
Per quanto riguarda l’impossibilità sopravvenuta per fatto non riferibile al vettore, le cause possono essere la forza
maggiore (per esempio, una tempesta, un uragano, un violento temporale, etc.), il caso fortuito (per esempio, uno
sciopero) o il fatto del passeggero o del mittente. In questi casi vi è una distinzione; se il viaggio è già iniziato e il
passeggero rimane bloccato in un aeroporto di scalo, questi ha più possibilità:
il rimborso del biglietto e il viaggio di ritorno all’aeroporto di partenza;
la prosecuzione del viaggio verso la destinazione originariamente pattuita con volo alternativo in condizioni
equiparabili (nell’immediatezza o a distanza di giorni);
la compagnia deve fornire anche vitto, alloggio, possibilità di fare telefonate, inviare fax, e-mail, etc.;
una compensazione pecuniaria (che sostanzialmente consiste in un risarcimento forfettario), che comunque lascia
salve tutte le ulteriori pretese risarcitorie.

Qualora, invece, il contratto sia stipulato ma non si possa partire, si può ottenere o il rimborso del biglietto o la
possibilità di partire con un volo alternativo (che però può essere effettuato nell’immediatezza o a distanza di tempo
– se il passeggero lo accetta).
Per quanto riguarda il trasporto di cose, se il viaggio non è iniziato ma il contratto è stato concluso deve essere
restituito il corrispettivo del trasporto e le merci devono essere scaricate dall’aeromobile; nel caso in cui il trasporto
sia iniziato, il vettore è obbligato a chiedere informazioni al mittente: nel caso in cui l’impedimento si verifichi in un
luogo intermedio, il mittente può far temporaneamente scaricare le merci a proprie spese. Quindi nel trasporto aereo
di cose, qualora si verifichi un fatto non riferibile al vettore, in realtà il contratto può risolversi per impossibilità
sopravvenuta soltanto qualora il mittente non dia istruzioni alternative. Mentre nel trasporto aereo di persone, se si
verifica una bufera, un uragano, etc., il contratto si risolve automaticamente (e poi c’è la possibilità di proseguire con
un volo alternativo a scelta del passeggero), nel contratto di trasporto aereo di cose il contratto non si risolve mai
(cioè si risolve solamente se il mittente non dà istruzioni alternative per proseguire il viaggio).
Per quanto riguarda il recesso, secondo le norme generali questo può aversi, ai sensi dell’art. 1373 c.c., solo in
presenza di una specifica previsione legislativa o contrattuale e, nei casi di esecuzione immediata, finché il contratto
non abbia avuto un principio di esecuzione; nel contratto di trasporto aereo, invece, il passeggero e il mittente
possono recedere unilateralmente dal contratto anche dopo l’inizio dell’esecuzione del contratto. Si ritiene, infatti,
che l’art. 1671 c.c. (riferito all’appalto) debba applicarsi anche alla fattispecie del trasporto, species del genus
appalto, con la conseguenza che il recesso unilaterale è consentito, ma con l’obbligo del recedente di tenere indenne
il vettore dalle spese e dai danni.

Prescrizione e decadenza. Mentre la prescrizione e la decadenza sono nel nostro ordinamento due istituti
differenziati (la prescrizione si riferisce all’estinzione del diritto per decorso del tempo, mentre la decadenza
all’estinzione dell’azione con la quale può essere fatto valere quel diritto), nell’ambito internazionale questa
distinzione è molto sfumata (nei paesi anglosassoni addirittura non esiste). Quali sono quindi i problemi che oggi noi
– come diritto italiano – affrontiamo quando ci affacciamo al diritto internazionale? Sono in particolare quelli di
adeguare la nostra disciplina interna ad una disciplina diversa: da quando la nostra parte aeronautica si riferisce in
toto alla Convenzione di Montreal, ci rimanda in toto ad un pezzo di normativa che, fino al momento della riforma del
205, non era conosciuta nel nostro ordinamento. Nella Convenzione di Montreal non esiste la differenza fra
prescrizione e decadenza, lì l’azione può essere fatta valere entro i due anni dal verificarsi del sinistro o dalla perdita
del bagaglio o quant’altro; questa differenza fra prescrizione e decadenza ce la poniamo perché in alcune traduzioni
(come quello dello spagnolo e del’italiano) l’art. 35 è stato impostato come ‘prescrizione’, ma in realtà se si va a
leggere la norma nella sua sostanza ci si accorge che con la prescrizione ha poco a che vedere: l’art. 35 ha a che
vedere con la decadenza, perché parla di un termine di due anni per esperire un’azione. Nella traduzione francese,

82
Quindi è un contratto che prescinde dal contratto di trasporto di persone.

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54 Diritto aeronautico

invece, la Convenzione di Montreal parla di decadenza dell’azione. Quindi, mentre in alcuni Stati non si è posto
nessun problema, nel nostro, dal momento che l’articolo è stato tradotto come ‘prescrizione’ quando tale non è, ci si
è arrovellati per cercare di coordinare il nostro istituto interno della prescrizione con quello internazionale: la
soluzione proposta dalla dottrina maggioritaria è quella di far coincidere il regime della prescrizione internazionale
con il nostro regime, con la conseguenza che, oggi, per noi, nel contratto di trasporto aereo di persone la
prescrizione coincide con la decadenza.

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