Sei sulla pagina 1di 20

Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

treccani.it

Le imprese aeronautiche del primo


Novecento in "Il Contributo italiano alla
storia del Pensiero: Tecnica"
50-67 minuti

Le imprese aeronautiche del primo Novecento

Sulle ali del 20° secolo: artigianato del volo e modernità

Nei primi anni del Novecento chi avesse voluto cimentarsi nella costruzione di una
macchina volante avrebbe potuto acquistare facilmente quasi tutto il necessario:
nell’ottobre del 1909, tra gli articoli del listino prezzi riservato ai soci della
Cooperativa automobilisti italiani di Milano, erano infatti compresi sete per palloni,
pattini, eliche speciali, corde d’acciaio e altri accessori aeronautici. Il catalogo
comparve tra le pagine della rivista «Motori, cicli & sport», concepita «per l’industria
e il commercio del ciclo, dell’automobile. Aeronautica e motonautica» e dedicata ai
sempre più numerosi appassionati cultori dei veicoli meccanici, tra cui – è facile
immaginare – alcuni improbabili emuli dei fratelli statunitensi Wilbur (1867-1912) e
Orville (1871-1948) Wright, proprietari di un’officina di biciclette e costruttori nel
1903 del Flyer, la prima macchina volante a motore del mondo.

Nel circuito commerciale delle forniture aeronautiche erano anche disponibili i


tessuti impermeabili dell’azienda brianzola di stoffe per ombrelli Gavazzi, con sede a
Desio, che insieme all’industria milanese di pneumatici Pirelli si lanciò in quegli anni
nella preparazione delle tele per gli involucri dei dirigibili. Nel 1907 fu proprio la
produzione di mezzi volanti «più leggeri dell’aria» a costituire il volano per la nascita
del primo nucleo industriale aeronautico italiano, legato strettamente agli ambienti e
alle esigenze militari: è il caso della Società Leonardo da Vinci dell’ingegnere Enrico
Forlanini (1848-1930), incaricata dal ministero della Guerra di realizzare aeronavi a
motore con struttura semirigida (dotate di un’intelaiatura nella parte inferiore
dell’involucro per sostenere la gondola e i motori), seguita dopo pochi mesi dalla
Fabbrica italiana aerostati Milano (FIAM), nata per costruire dirigibili di tipo floscio
(costituiti da un involucro per il gas privo di intelaiatura interna).

1 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

Al di là dello stupore suscitato per le grandi dimensioni, gli aerostati non riuscirono a
creare un diffuso immaginario popolare legato al volo: seppur stentati, lontanissimi
dall’incedere lento e imponente dei dirigibili, furono invece i primi voli delle
macchine a motore «più pesanti dell’aria», come quelli compiuti nel 1908 a Roma,
Milano e Torino dall’aeroplano Voisin di Léon Delagrange, a entusiasmare e
avvicinare la gente comune al nuovo sport aeronautico. Le città festanti per i sempre
più frequenti voli dimostrativi e i prati affollati che ospitavano le prime esibizioni
aeree rivelavano il richiamo esercitato dalle macchine volanti a tutti i livelli sociali.

All’inizio del 20° sec. l’aeroplano poteva essere considerato un mezzo rivoluzionario,
in grado di creare un inedito spazio di modernità dalle non trascurabili ricadute
industriali e commerciali. Ai raduni aeronautici italiani – tra cui il noto circuito aereo
del 1909 organizzato nella campagna bresciana di Montichiari – erano frequenti la
partecipazione di eccentrici inventori-piloti e la presenza di prototipi che a stento
riuscivano a staccarsi da terra, precariamente assemblati in officine domestiche: il
volo rappresentava una forma di cimento sportivo, quasi circense, che consentiva
ancora a iniziative individuali, destinate nella maggior parte dei casi all’insuccesso, di
trovare spazio e perfino di ambire a qualche possibilità di riuscita. Si trattava di un
ambito talmente innovativo da sfuggire, almeno agli esordi, a un’appropriazione
elitaria, grazie anche al carattere artigianale che – paradossalmente – caratterizzava
la più spettacolare esibizione di modernità e di progresso tecnologico.

A tale riguardo, la storia del conduttore di taxi genovese Ciro Cirri appare
emblematica: affascinato dalle macchine volanti, affidò la sua vettura a un
collaboratore per dedicarsi alla costruzione di un aereo nello scantinato di casa. Cirri
iniziò così la carriera di sportman dell’aria e, dopo aver ottenuto il brevetto presso la
scuola di Cameri (Novara), si cimentò in diversi voli prima di perdere la vita il 28
maggio 1911 in occasione delle giornate dell’aviazione di Voghera, a causa di un’avaria
al suo Blériot.

La vicenda di Cirri e quelle di altri pionieri dell’aeronautica sfumano spesso dalla


storia alla leggenda, arricchendosi di aneddoti e particolari difficilmente verificabili,
mettendo in luce contaminazioni tra realtà e fantasia utili per comprendere il fascino
esercitato dal nascente mondo aeronautico: non è probabilmente un caso che nel
cortometraggio muto Robinet aviatore del 1911, diretto dal regista Luigi Maggi,
l’eccentrico protagonista, dopo aver assistito a un’esibizione aerea, decida di
progettare e costruire una macchina volante dalle fattezze di un grosso pesce. Il
traballante sorvolo sui tetti di una città è destinato a causare non pochi danni e a
concludersi con lo schianto e l’arresto dell’improvvisato pilota: «miei cari amici –

2 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

scriverà malconcio dalla cella – ho fatto un viaggio formidabile senza il minimo


incidente. Sono arrivato in piena forma in un posto tranquillo».

È lecito ipotizzare che il goffo volo di Robinet rappresentasse una dissacrante parodia
della modernità e dei poco convincenti tentativi di volo compiuti durante le
manifestazioni aviatorie. Tuttavia, il messaggio dell’ironica missiva millantava un
esito che i reali pionieri dell’aviazione coltivavano seriamente: tra loro era diffusa
l’opinione che l’aereo avrebbe rivoluzionato la mobilità umana sfidando lo spazio e il
tempo, consentendo di spostarsi in sicurezza su lunghe tratte e in tempi ridotti. Le
grandi potenzialità dell’aviazione nel campo del trasporto passeggeri apparvero
immediatamente chiare agli osservatori d’inizio Novecento e questa precoce
consapevolezza trovò riscontro nei numerosi articoli pubblicati a tale riguardo nei
periodici e nei quotidiani del tempo.

Andando ben oltre la messa in scena di uno spettacolo sportivo, le esibizioni in volo e
le mostre statiche dei velivoli rappresentavano la vetrina industriale di un nuovo
mondo in piena espansione commerciale, alimentando una sempre maggiore
attenzione mediatica: in Italia, dove dal 1904 svolgeva un’infaticabile opera di
sensibilizzazione la Società aeronautica italiana, si può cogliere lo sviluppo
dell’industria aeronautica nazionale sfogliando le pagine delle numerose riviste
specializzate date alle stampe sulla scia delle prime manifestazioni aeree e
soffermandosi sulle inserzioni pubblicitarie, che costituiscono un parziale, ma efficace
strumento di rilevazione delle nuove imprese attive nel settore.

Tra queste, le Officine dell’ingegnere siciliano Franz Miller, fondate nel 1908 a
Torino, cui nell’agosto 1909 il mensile del Touring club italiano dedicò la copertina:
nell’inserzione interna Miller garantiva l’«esecuzione di qualsiasi macchina per volare
dietro semplice schizzo» e proponeva monoplani completi da 35-40 HP a 12.500 lire.
Il mese successivo, Miller si presentò al campo di volo di Brescia con l’aeroplano
Cobianchi I, costruito per Mario Cobianchi (1885-1944), e con l’Aerocurvo – così
denominato per la particolare architettura alare – realizzato per Leonino da Zara
(1888-1958): entrambi i modelli non riuscirono a decollare, ma nonostante
l’insuccesso dei due prototipi, nei mesi successivi Miller continuò a pubblicizzare
sulla stampa le sue officine.

Un simile insuccesso toccò a un altro inserzionista piuttosto assiduo delle riviste


aeronautiche, il costruttore di motori ed ex meccanico di biciclette e motocicli
Alessandro Anzani (1877-1956), di origine italiana, ma da tempo stabilitosi in
Francia, che a Brescia riuscì a far staccare il suo aereo da terra solo per pochi metri
prima di rovinare al suolo.

3 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

In occasione della manifestazione lombarda presentò le prime creazioni aeronautiche


un’impresa locale, AVIS (Ateliers Voisin Italie Septentrionale), di Clovis Thouvenot e
Gino Galli, costruttori su licenza dell’apprezzato aeroplano francese Voisin. Nella lista
degli aeroplani partecipanti compariva anche il biplano Spa-Faccioli progettato
dall’ingegner Aristide Faccioli e affidato al figlio Mario, probabilmente il primo
velivolo di concezione e fabbricazione completamente italiane. L’ingegner Faccioli e la
Società ligure piemontese automobili di Torino (Spa) non erano peraltro nuovi alle
realizzazioni aeronautiche, avendo messo a punto nel 1908 un affidabile motore per
l’aeronave militare Italia.

È quindi probabile che tra gli hangar del campo di volo bresciano Faccioli avesse
incontrato qualche conoscente tra gli specialisti dell’esercito al seguito dell’ufficiale
della regia marina Mario Calderara (1879-1944), progettista aeronautico e primo
italiano a conseguire il brevetto di volo nel 1909: la squadra militare schierò sul
campo di Montichiari un biplano Wright motorizzato dalle officine meccaniche
milanesi Rebus e tale presenza anticipò lo stretto rapporto fra ambienti militari e
mondo aviatorio destinato a caratterizzare, non senza criticità, la storia dell’industria
aeronautica nazionale.

A neppure un mese dalla conclusione del circuito aereo bresciano, il 15 novembre


1909 venne inaugurata a Milano la prima esposizione di aviazione italiana: numerosi
gli aeroplani presenti e particolarmente nutrita la sezione motoristica, in cui
spiccavano i propulsori realizzati dalle case automobilistiche entrate nel ramo
aeronautico per differenziare gli investimenti e i mercati, come la Fiat di Torino, oltre
alle fabbriche milanesi Edoardo Bianchi & C. e Isotta Fraschini. Non mancavano
espositori di componentistica come la Maffei di Torino, rappresentante italiana delle
eliche integrali francesi Chauvière, e piccolissime imprese artigianali del nuovo
indotto aeronautico, compreso quello ludico dei modellini d’aeroplano.

Tra le pubblicità esposte al salone, quella della fabbrica di biciclette a pedali e motore
Frera di Tradate (Milano) attirò l’attenzione dei costruttori e degli addetti ai lavori,
allettati dall’interessante possibilità di approntare velocemente telai di monoplani e
biplani in uno speciale reparto allestito in sede.

In questa fase, seppure in un vitale quadro caratterizzato da nuove collaborazioni


industriali nonché da prospettive di sviluppo del settore, il sistema produttivo
aeronautico nazionale rivelò un’estrema frantumazione, essendo formato da una rete
di imprese dalle capacità imprenditoriali assai eterogenee: un tale e diffuso
sottodimensionamento industriale, insieme alla preoccupante impreparazione tecnica
e gestionale, sarebbero diventati presto limiti evidenti.

4 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

Dare ali alla patria: prove di volo dal deserto alle trincee

Nel 1911 l’Italia affrontò la guerra italo-turca con una dotazione di velivoli in
grandissima parte francesi o assemblati in Italia su licenza delle case-madri
transalpine Blériot e Farman. All’epoca l’unica azienda italiana piuttosto affermata
era la Caproni: in quello stesso anno l’ingegnere Giovanni Battista (Gianni) Caproni
(1886-1957), dopo la costruzione del primo biplano, iniziò la sua attività
imprenditoriale insieme al collega Agostino De Agostini costituendo la società Ingg.
De Agostini & Caproni Aviazione con sede a Vizzola Ticino (Varese), presto diventata
Caproni & C. a causa del ritiro di De Agostini, cui subentrò Carlo Comitti, facoltoso
appassionato di aeronautica.

Nei campi di volo militari italiani, oltre a quelli schierati in Libia, erano disponibili
circa una novantina di velivoli, tra cui una quarantina di Blériot, una quindicina di
Nieuport, dieci Henry Farman, tre Breguet, due Maurice Farman, due Deperdussin e
un ormai superato Voisin, tutti dotati di propulsori francesi Gnôme, Renault e Labor.
L’eterogenea linea di volo schierava, inoltre, tre aeroplani inglesi Bristol Coanda, un
paio di Etrich Taube di produzione austriaca e un Albatros tedesco. La
rappresentanza italiana era davvero esigua, con cinque monoplani Caproni
motorizzati Gnôme e Anzani, oltre a due biplani Filiasi e Asteria dotati di motori
Gnôme.

Nonostante i risultati operativi poco significativi raggiunti in Libia, dove per prima
l’Italia impiegò gli aerei in operazioni militari di ricognizione e bombardamento, la
nascita dell’originario nucleo di aviazione del regio esercito suscitò un certo interesse
e ciò convinse l’Aero club d’Italia a lanciare la sottoscrizione ‘Date ali alla patria’:
l’iniziativa, partita all’inizio di marzo 1912 e conclusasi nel 1913 dopo un’intensa
attività di voli propagandistici, consentì di raccogliere oltre tre milioni di lire da
impiegare per il potenziamento dell’aviazione militare, a partire dalle centomila lire
donate dal re Vittorio Emanuele III. Contemporaneamente, la riorganizzazione della
componente aeronautica rese possibile la predisposizione di un programma di
costruzioni da attuarsi entro la primavera del 1913 per allestire una quindicina di
squadriglie dotate di circa 150 aerei (una cinquantina di Blériot, una quarantina di
Maurice Farman, una trentina di Nieuport, quindici Henri Farman, sette Caproni,
oltre a un paio di idrovolanti Henri Farman e Bristol) di cui circa settanta da far
costruire in stabilimenti italiani, al fine di indurre positive ricadute occupazionali e
ottenere una sensibile riduzione dei costi di produzione.

Per motivi di bilancio Giulio Douhet (1869-1930), trasferito al Battaglione aviatori dal
luglio 1912 e all’epoca maggior teorico dell’impiego dell’arma aerea a livello

5 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

internazionale, in una relazione risalente al mese di novembre evidenziò la necessità


di costituire solo dodici squadriglie e di ordinare una cinquantina di aerei, compresi
una ventina di apparecchi da addestramento. Nonostante tali contrazioni, si trattava
comunque di una commessa in grado di dare un impulso determinante allo sviluppo
dell’industria aeronautica nazionale. Le modalità per l’attribuzione degli ordini
furono studiate per favorire la nascita di nuove imprese italiane o con sede in Italia,
anche attraverso l’unione fra aziende nazionali e straniere in grado di attirare capitali
esteri: nell’aprile 1912 Louis Blériot aveva creato a Torino la Società italiana
transaerea (SIT), mentre la Società anonima fratelli Macchi, nata nel 1905 come
ruotificio e carrozzeria, decise di lanciarsi nel settore aeronautico. Dopo i primi
incoraggianti risultati, il 1° maggio 1913 la Macchi diede vita, insieme alla Société
anonyme des établissements Nieuport, alla Società anonima Nieuport-Macchi con
sede a Varese, seguita dopo quattro giorni dalla costituzione a Milano della Società
anonima costruzioni aeronautiche Savoia, titolare dei brevetti francesi Farman.

Nella corsa alla produzione di aeroplani si gettò anche la Wolsit & C. di Legnano,
industria satellite della Macchi fino al 1909 impegnata nella costruzione delle
automobili inglesi Wolseley e, dopo l’infruttuosa avventura industriale aeronautica,
nella produzione di rinomate biciclette. A Torino si insediò invece la Fabbrica italiana
motori Gnôme et Rhône, controllata dalla sede francese, produttrice dei più diffusi e
pubblicizzati motori avio.

La crescita dell’industria aeronautica, fin dal 1913 rappresentata dal Sindacato


industriale aeronautico per lo studio e la difesa degli interessi economici degli
industriali e commercianti italiani di apparecchi di locomozione aerea, fu tuttavia
tanto veloce quanto disordinata: numerose aziende non possedevano i necessari
requisiti tecnico-organizzativi per far fronte a produzioni così complesse, situazione
che determinò notevoli ritardi nelle consegne. Douhet confidava nel fatto che,
nonostante i problemi, l’industria aeronautica italiana grazie alle commesse militari
avrebbe potuto accumulare l’esperienza necessaria per affrancare il Paese e il settore
dalla dipendenza estera: tali considerazioni inducevano ottimismo riguardo l’esito dei
concorsi banditi tra il marzo e l’aprile del 1912 per aeroplani da guerra e motori
d’aviazione militare, ma i risultati – dopo le prove condotte nella primavera del 1913
sul campo di Mirafiori – tradirono le attese. Nonostante i tre motori finalisti (Fiat,
Spa tipo Anzani e il rotativo della Luct) rispettassero le specifiche tecniche e le
prestazioni richieste, non risultarono sufficientemente innovativi da meritare il
premio in denaro previsto per lo sviluppo del progetto e la messa in produzione delle
unità.

6 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

Per quanto riguarda gli aerei, il concorso perse di interesse a causa delle contestuali
commesse di aerei già sul mercato varate dal ministero della Guerra, circostanza che
evidentemente scoraggiò gli investimenti su velivoli di nuova concezione. Ben più
significativo si rivelò il concorso bandito nell’ottobre del 1912 per monoplani e biplani
sperimentali con cui dotare due squadriglie: a Mirafiori, dopo le selezioni rimasero in
lizza l’anfibio della Società anonima meccanica lombarda (SAML), un paio di
monoplani Bobba costruiti su licenza francese e un monoplano Sia. Tuttavia anche in
questo caso il premio non venne assegnato. L’esito dei concorsi rappresentò insomma
la presa d’atto che l’industria italiana era ancora incapace di progettare prodotti
competitivi e tecnicamente all’avanguardia.

La positiva collaborazione fra imprese private e settore pubblico militare


sperimentata in occasione della progettazione e della produzione di dirigibili non si
ripeté; la politica ministeriale di frammentare le commesse per la costruzione di aerei
su licenza fra tante piccole fabbriche non ripagò in termini di esperienza e non
consentì alle industrie aeronautiche di svilupparsi per affrontare autonomamente il
mercato: all’inizio del 1913 praticamente tutto il materiale aeronautico proveniva
dall’estero e l’industria nazionale non seppe imporsi per l’inadeguatezza tecnologica e
tecnica dovuta a una buona dose di inesperienza e improvvisazione. Basti pensare che
la SAML, pur finalista del concorso per aerei sperimentali, venne fondata appena un
decennio prima, nel 1901, per costruire impianti di mulini, pastifici, pompe
meccaniche, macchine per laterizi e fonderie.

Un altro problema era rappresentato dalla precarietà finanziaria di molte aziende


aeronautiche, attestata dai risicati capitali sociali, dai continui cambiamenti degli
assetti societari e dalle riconversioni che coinvolsero anche costruttori in grado di
produrre macchine di un certo interesse: è il caso della Fabbrica torinese velivoli
Chiribiri & C., fondata nel 1911 con un capitale sociale di appena 48.000 lire, che si
dedicò alla costruzione di automobili dopo aver presentato al concorso ministeriale
per velivoli sperimentali un buon monoplano, e della Società Antoni di Pisa, presente
al medesimo concorso con un altro monoplano, fallita alla fine del 1912 dopo aver
battuto il record di traversata marittima detenuto da Luis Blériot.

Tra le ditte che incontrarono difficoltà a onorare gli impegni presi con il ministero
anche la Caproni & Faccanoni, nata nel settembre 1912 dalle ceneri della Caproni &
C., impossibilitata a rispettare le consegne dei velivoli Bristol in conseguenza del
blocco della produzione deciso dalla casa madre inglese a causa di un grave difetto
tecnico riscontrato alle ali. Grazie all’intervento di Douhet, finalizzato a non
disperdere il patrimonio di esperienza di una delle più attive case aeronautiche

7 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

italiane, le officine Caproni furono acquistate – non senza polemiche – dal ministero
della Guerra, che assunse anche l’ingegner Caproni.

La Grande guerra: il decollo dell’industria aeronautica

Mentre si stava profilando la partecipazione dell’Italia al conflitto, nel maggio del


1915 l’aviazione militare era praticamente ancora tutta da organizzare e poteva
contare su tre dirigibili e un’ottantina di aerei operativi divisi in una quindicina di
squadriglie, oltre ai velivoli in dotazione alla regia marina. Si trattava di macchine
(Blériot, Farman e Nieuport) in gran parte dotate di motori rotativi realizzati con
processi costruttivi ancora artigianali, dalla manutenzione complessa e frequente,
inadatti a un intensivo uso bellico: le articolate teorie di Douhet sul potere aereo e sul
dominio dell’aria, ritenuto elemento decisivo nelle guerre moderne, non invertirono
di fatto la sostanziale sfiducia dello Stato maggiore dell’esercito riguardo le
potenzialità strategico-operative dell’aeronautica, anche alla luce dei non certo
esaltanti risultati industriali del settore.

Nel periodo di neutralità italiana le aeronautiche degli altri Paesi coinvolti nel
conflitto si rafforzarono notevolmente, costringendo l’Italia a un enorme sforzo
organizzativo e produttivo per colmare tali ritardi in vista dell’entrata in guerra. Nel
gennaio 1915 fu costituito il Corpo aeronautico, composto da una Direzione generale e
due Comandi d’aeronautica, quattro battaglioni (dirigibilisti, aerostieri, squadriglie
aviatori e scuole aviatori), oltre a uno stabilimento di costruzioni aeronautiche, una
Direzione tecnica (DTAM, Direzione Tecnica Aviazione Militare) e un Istituto
centrale aeronautico. Gli stanziamenti per il potenziamento dell’aeronautica,
quadruplicati rispetto alle iniziali previsioni, furono portati a sedici milioni e mezzo di
lire.

In particolare, l’analisi del funzionamento e delle dinamiche interne alla Direzione


tecnica è di estremo interesse per capire i rapporti fra industria privata, politica e
organismi militari: tra i compiti principali della Direzione, istituita a Torino – dove si
concentrava la produzione di circa il 50% delle forniture aeronautiche –, vi era la
standardizzazione dei velivoli ispirata a principi di semplicità costruttiva e di
pilotaggio, al fine di facilitare i tecnici e consentire corsi di volo più brevi agli allievi
piloti. A tal fine la DTAM consentì il passaggio di propri tecnici all’industria, per
immettere nel sistema produttivo personale preparato e consapevole delle esigenze
operative militari: significativi i casi di Rodolfo Verduzio (1881-1958), incaricato
dell’omologazione e del collaudo degli aerei, futuro progettista del noto velivolo
Ansaldo SVA (acronimo di Savoia Verduzio Ansaldo) protagonista nel 1918 del volo
su Vienna; dell’ingegnere Ottorino Pomilio (1887-1957), che lasciò la Direzione per

8 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

dedicarsi alle costruzioni aeronautiche da imprenditore; e di un progettista come


Corradino D’Ascanio (1891-1981), collocato in congedo provvisorio nel 1916 e assunto
proprio dalla fabbrica Pomilio. Una tale osmosi condusse a significativi risultati
tecnici, ma espose anche a possibili conflitti di interesse, soprattutto da quando, nel
1917, le competenze gestionali della Direzione passarono alla Commissione centrale
tecnico-amministrativa composta da membri civili e da esponenti politici: l’ordine di
un numero spropositato di velivoli all’industria, neppure in grado di soddisfare tali
richieste, rappresentò il segno evidente di un sistema esposto fortemente a dinamiche
clientelari, caratterizzato dallo spreco di denaro pubblico a tutto vantaggio degli
industriali del settore.

In base ai dati forniti nel 1919 dall’Ufficio produzione della Direzione tecnica, le otto
fabbriche di costruzioni aeronautiche operanti nel 1915 nel corso della guerra erano
salite a ventisette, in grado di produrre un totale di circa 12.000 aerei (dai circa 400
aerei prodotti nel 1915 si sarebbe arrivati a quasi 6500 nel 1918). Nello stesso periodo
le officine specializzate nell’assemblaggio dei motori costruirono circa 24.000
propulsori, passando da sei a diciotto, mentre il ramo delle riparazioni e della
componentistica, formato da decine di imprese, nacque praticamente da zero durante
il conflitto. Poche centinaia di operai impiegati nel 1915 nel settore aeronautico alla
fine della guerra diventarono decine di migliaia.

I numeri, nonostante la produzione in cifre assolute sia molto inferiore a quella dei
maggiori Paesi coinvolti nel conflitto, attestano efficacemente gli sforzi profusi per
garantire un numero adeguato di aeroplani all’esercito italiano: tale mobilitazione
produttiva si può cogliere nelle inserzioni pubblicitarie comparse sui giornali che
attestano l’impegno dell’industria aeronautica per lo sforzo patriottico, anche
attraverso il finanziamento di lauti premi in denaro destinati ai migliori piloti da
caccia o da bombardamento elargiti dalle maggiori fabbriche di materiale bellico
(Fiat, Michelin, Pirelli, ma anche le più piccole Officine di Savigliano). I concorsi
promossi periodicamente dalla stampa e finanziati dalle imprese contribuirono a
diffondere il mito dell’aviatore, spesso ritratto nelle riviste come un eroe-dandy, in
posa accanto ad aerei con stemmi personalizzati (su tutti, l’inconfondibile cavallino
rampante di Francesco Baracca o il teschio nero di Fulco Ruffo di Calabria).

Al termine del conflitto, nell’ambito della fisiologica contrazione delle spese belliche,
fu inevitabile procedere al ridimensionamento delle dotazioni aeronautiche e degli
organici: molti mezzi aerei dell’aviazione militare vennero dismessi, riacquistati dalle
imprese produttrici a prezzo di saldo e rivenduti sui mercati esteri con ingenti
margini di guadagno. Qualche aeroplano fu rilevato perfino da alcuni ex aviatori di

9 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

guerra, anch’essi smobilitati in massa e ritornati in molti casi alle occupazioni


prebelliche.

Nel dopoguerra la difficile riconversione al mercato civile della produzione


aeronautica fu caratterizzata dalla mancanza di una chiara strategia di sviluppo del
settore, nonché di realistici piani industriali per nuovi velivoli. I primi tentativi
promozionali dell’aeronautica commerciale videro protagonisti uomini pochi mesi
prima acclamati per le loro imprese belliche: i numerosi raid e circuiti aerei
organizzati dai costruttori ebbero il compito di esaltare le prestazioni di velivoli e
motori derivati da prodotti militari, come nel caso dei propulsori Isotta Fraschini che
– si legge in una pubblicità diffusa sulla stampa dell’epoca – «tanto validamente
contribuirono, nel periodo di guerra, al successo delle più gloriose imprese aeree» e
quindi «saranno, durante la pace, mezzo potente nelle più feconde opere della nuova
aviazione commerciale».

Il fascismo: dalle favole alate allo schianto

La forza evocativa del volo, accresciuta notevolmente durante il conflitto fino a


diventare mito della guerra aerea e dei suoi ‘assi’, venne sfruttata dal fascismo per
manifestare il moderno, volitivo e dinamico spirito del regime nell’ambito
dell’esperimento totalitario mussoliniano: non è un caso che uno dei primi
provvedimenti legislativi assunti dal governo fascista nel gennaio 1923 avesse
riguardato la costituzione del Commissariato per l’aeronautica, incaricato di
sovrintendere a tutte le questioni inerenti l’aviazione militare e civile. Un atto
propedeutico alla creazione della regia aeronautica sancita appena un paio di mesi
dopo (marzo 1923) e, nel 1925, all’istituzione del ministero dell’Aeronautica.

Quando, nel 1926, Italo Balbo (1896-1940) divenne sottosegretario del nuovo
ministero, e poi ministro dal 1929, fu chiaro il ruolo attribuito all’aviazione sia
militare sia civile: un compito di propaganda che, almeno nelle intenzioni, avrebbe
dovuto essere sorretto da un eccellente livello tecnico-organizzativo. Si spiega così la
scelta di collaboratori del ministero in grado di esaltare l’immagine e la sostanza
dell’aviazione italiana, da Filippo Masoero (1894-1969), esponente del
fotodinamismo futurista, nominato da Balbo direttore delle ricerche fotografiche e
cinematografiche, ad Alessandro Guidoni (1880-1928), ex pilota di idrovolanti e dal
1923 comandante del genio aeronautico: nel 1925 l’abitudine delle industrie a
disattendere i contratti fornendo aeroplani e materiali di qualità inferiore a quella
concordata portarono alle sue dimissioni, facendo emergere una serie di problemi fra
ministero e comparto industriale destinati a cronicizzare.

10 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

Guidoni, richiamato da Balbo al ministero nel 1927 per assumere la carica di direttore
generale delle costruzioni e degli approvvigionamenti, si distinse per delle
avveniristiche innovazioni tecniche, alcune delle quali perfezionate e adottate nei
motori dei velivoli statunitensi solo nella Seconda guerra mondiale. Morì il 27 aprile
1928 in un incidente durante le prove di un paracadute, mentre era in corso la
sfortunata spedizione al Polo Nord del dirigibile Italia comandato da Umberto Nobile
(1885-1978), con cui Guidoni aveva sviluppato il progetto di un elicottero.

Dopo la tragedia del dirigibile Italia, schiantato sul pack artico alla fine di maggio,
Nobile fu ritenuto responsabile dell’incidente: fra i principali accusatori proprio
Balbo, intenzionato a sbarazzarsi di un ingombrante personaggio dotato di grande
prestigio personale, le cui imprese avevano sempre attirato notevole interesse
mediatico. Nel nuovo modello concettuale alla base della regia aeronautica non
dovevano più trovare spazio eccessivi personalismi: il mondo dell’aviazione, e
soprattutto il diffuso immaginario collettivo popolato da eroi solitari, fu ridisegnato in
base al principio mussoliniano dell’«armonico collettivo», per il quale le azioni dei
singoli, anche le più eroiche, acquisivano significato esclusivamente all’interno dello
Stato e della collettività. In tale contesto, anche le trasvolate solitarie di Francesco De
Pinedo (1890-1933) dall’Italia all’Australia (1925) e quella compiuta con Carlo Del
Prete (1897-1928) verso le isole di Capo Verde, l’Argentina e l’Arizona (1927), pur
inizialmente esaltate dal regime, cominciarono ad apparire legate a una desueta
epopea aviatoria.

Nell’intento di dare centralità al concetto di squadra, nel 1928 Balbo fondò il Reparto
alta velocità di Desenzano del Garda per preparare gli aerei e gli equipaggi destinati
alle competizioni aeronautiche internazionali: una politica che in alcuni casi portò
l’industria alla realizzazione di macchine eccezionalmente performanti, ma costruite
in pochissimi esemplari, senza sostanziali benefici per la produzione di serie. La
formula preferita per cementare lo spirito di gruppo e il senso di appartenenza fu
quella del raid collettivo, collaudata tra il 1928 e il 1929 attraverso l’organizzazione
delle crociere del Mediterraneo occidentale e orientale, cui parteciparono decine di
idrovolanti della regia aeronautica. Tale indirizzo operativo trovò la massima
espressione nelle trasvolate oceaniche del 1930-31 da Orbetello a Rio de Janeiro e del
1933 da Orbetello agli Stati Uniti, portate a termine da due pattuglie di idrovolanti
Savoia-Marchetti S.55 comandate da Balbo.

Le imprese aviatorie di massa, ritenute da Balbo un’ottima pratica di addestramento,


ebbero anche significative ricadute commerciali: nel 1929, dopo la seconda crociera
mediterranea, l’Italia riuscì a vendere una trentina di idrovolanti all’Unione Sovietica

11 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

e nel 1931 i trasvolatori atlantici ritornarono dal Brasile in Italia a bordo del piroscafo
Conte Rosso, in quanto gli idrovolanti protagonisti della trasvolata furono acquistati
dal Brasile.

Nel 1933, l’ammaraggio in formazione degli S.55 nel lago Michigan, in occasione
dell’Esposizione internazionale Century of progress di Chicago, rappresentò
un’esibizione spettacolare dell’eccellenza aeronautica raggiunta dall’Italia, ma
quell’impresa fu possibile anche grazie ad alcuni strumenti di navigazione di
produzione inglese (come la bussola aperiodica Husun della Smith’s aircraft
instruments) e ad altri congegni ideati dagli stessi aviatori, come l’indicatore di
velocità messo a punto dal capitano Luigi Questa e il regolo calcolatore del capitano
Alessandro Vercelloni, entrambi prodotti dalla Salmoiraghi di Milano: a ben vedere
l’ingegno dimostrato dagli aviatori smascherava una certa incapacità dell’industria di
progettare e produrre in serie equipaggiamenti di navigazione adeguati con cui dotare
tutti i velivoli della regia aeronautica.

Le affermazioni degli anni Venti e Trenta vanno quindi considerate ponendosi dietro
la ribalta mediatica, da dove è possibile rilevare i limiti di mezzi aerei efficienti, ma
dai ridotti impieghi operativi. Si trattava insomma di imprese essenzialmente
sportive, condotte con aeroplani di legno costruiti in modo semiartigianale e, nel
complesso, superati. Tale quadro rispecchiava fedelmente la miopia degli ambienti
politici e degli industriali, poco disposti a investire capitali per la realizzazione di
prodotti di serie innovativi con cui conquistare in modo duraturo significative fette di
mercato interno e internazionale.

Grazie alle commesse militari, nel corso degli anni Trenta il comparto aeronautico
italiano conobbe un grande sviluppo, ma, similmente a quanto accaduto durante la
Grande guerra, si trattò di una crescita sregolata, non sostenuta da un’adeguata
pianificazione tecnica. La necessità di una razionalizzazione della produzione fu
subito chiara a Balbo che, in molte pagine del libro dedicato ai suoi Sette anni di
politica aeronautica (1927-1933) a capo del ministero, pubblicato nel 1936, richiamò
tale questione più nei termini di un obiettivo da raggiungere che in quelli di un
risultato acquisito.

Nel 1934, quando Balbo lasciò il comando della regia aeronautica per assumere
l’incarico di governatore della colonia libica, le industrie italiane di cellule e motori
erano diciassette, altre dieci costruivano parti di ricambio ed effettuavano riparazioni.
Fiat e Caproni controllavano insieme ben il 64% del mercato. Nel 1938 le fabbriche di
velivoli e propulsori salirono a ventitré, quelle di manutenzione a diciotto,
impiegando complessivamente 47.000 addetti: per apprezzare le potenzialità di tale

12 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

settore, basti pensare che in quell’anno le costruzioni aeronautiche costituivano il 9%


dell’intero settore meccanico, percentuale superiore perfino a quella della
cantieristica navale.

La produzione si basava pressoché esclusivamente sulle commesse militari, mentre la


progettazione di velivoli dedicati specificamente al trasporto civile fu trascurata: nel
1939, con la guerra alle porte, alle fabbriche aeronautiche furono ordinati oltre il 50%
di tutti gli aerei commissionati a partire dal 1935. Alla fine degli anni Trenta
risultavano impiegati nel settore 53.000 persone, quasi raddoppiate nel 1943. In
totale, fra il 1935 e il 1943, l’industria ebbe ordinativi per 22.500 aerei e, tra il 1939 e
il 1944, vennero prodotti oltre 14.500 aeromobili e 37.000 motori: di questi, quasi
1000 aeroplani e 2300 propulsori furono venduti all’estero. Le esportazioni
avrebbero potuto rappresentare una grande possibilità, ma Alfa Romeo, Breda, CRDA
(Cantieri Riuniti Dell’Adriatico), Caproni, Fiat, Isotta Fraschini, Piaggio, Macchi e
Savoia-Marchetti, sebbene riunite in un apposito consorzio industriale istituito dal
ministero, continuarono a farsi concorrenza.

Gli industriali del settore aeronautico, interessati a ottimizzare i guadagni senza


investire adeguatamente in nuovi progetti, preferirono lavorare su licenza o nel cono
d’ombra tecnologico di prodotti già noti e affidabili, ma destinati a diventare
velocemente desueti. Si trattava di una situazione di cui gli organi politici e militari
erano perfettamente al corrente: la relazione che il gerarca Carlo Ravasio presentò a
Benito Mussolini nel 1941 evidenziò in alcuni casi la mancanza di uffici tecnici
funzionali all’interno delle fabbriche aeronautiche, mettendo a nudo le lacune di un
processo produttivo arretrato, ben lontano dagli standard più moderni. Alla base del
lassismo industriale vi erano evidenti responsabilità del ministero dell’Aeronautica
che, pressato dalla necessità di ricevere nuovi materiali, fra il 1933 e il 1942 creò le
condizioni affinché ben una quarantina di prototipi, ventitré dei quali presentati fra il
1934 e il 1938, fossero adottati dalla regia aeronautica e prodotti in serie limitate
(venti modelli superarono la produzione di 200 esemplari, dodici quella di 500
esemplari e solo cinque arrivarono a 1000 esemplari).

Gran parte dei problemi riscontrati sui velivoli acquisiti dalla regia aeronautica era
legata al difficile accoppiamento fra cellula e propulsore, oltre che a scelte progettuali
conservatrici: una nefasta alchimia che causò fra i piloti-collaudatori perplessità
destinate a trasferirsi inevitabilmente nelle stanze ministeriali e a tradursi in continue
richieste di modifiche che rallentarono lo sviluppo e influirono negativamente sui
tempi di produzione e consegna.

L’eccessivo ingombro dei motori radiali prodotti da Alfa Romeo (AR 126), Fiat (A 74)

13 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

e Piaggio (P. XI), oltre alla loro scarsa potenza – ben al di sotto dei 1500 cavalli
disponibili, per es., sulle coeve unità tedesche Daimler-Benz – obbligò i progettisti a
realizzare aerei trimotori, con inevitabili controindicazioni aerodinamiche e limiti
prestazionali delle cellule, fino al 1939 costruite totalmente o parzialmente in legno.

Trattandosi dell’unico acquirente, il ministero dell’Aeronautica avrebbe potuto agire


con maggiore efficacia, ma in realtà si limitò a contrastare l’oligopolio dell’industria
aeronautica concedendo commesse a pioggia, anche a realtà produttive di piccole
dimensioni. Ciò perpetuò il circolo vizioso attraverso il quale le imprese, paventando
il rischio di licenziamenti, riuscirono a garantirsi la sopravvivenza attraverso i
puntuali pagamenti ministeriali.

La regia aeronautica cercò di razionalizzare l’entrata in linea di nuovi mezzi con un


piano di sviluppo coerente che, tuttavia, si scontrò con la cronica mancanza di
finanziamenti, nonostante fosse la forza armata maggiormente utilizzata dal regime
come strumento di propaganda. Il risultato fu il frazionamento degli ordini, politica
che ebbe come conseguenza la necessità di dover perseguire obiettivi di breve
termine, compromettendo la reale efficienza operativa dell’arma aerea. La situazione
si tradusse operativamente in una linea di volo affollata da un eccessivo numero di
modelli, con conseguenti problemi di gestione e manutenzione derivanti anche dal
fatto che alcuni velivoli furono prodotti in vari lotti con motorizzazioni differenti.

Nel giugno del 1937 erano in produzione diciotto tipi di aeroplani, saliti a ventidue nel
1938; nel 1939 si cercò di limitare l’ipertrofica differenziazione di modelli e
motorizzazioni, ma la guerra complicò tali tentativi. Un cospicuo nucleo di
documentazione, anche fotografica, riguardante le specifiche tecniche dei mezzi aerei
entrati in servizio o testati dalla regia aeronautica, nonché i rapporti con le industrie,
è conservato in vari fondi dell’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’aeronautica di
Roma, in gran parte non ancora oggetto di studi sistematici.

Al di là dei dati statistici e dei risultati operativi descritti in alcune relazioni tecniche
già note e riprese in vari saggi, le conseguenze di questa fallimentare politica
industriale possono essere colte attraverso gli indizi che trapelano dagli epistolari
privati di alcuni protagonisti delle vicende aeronautiche dell’epoca. È il caso delle
lettere conservate presso l’Archivio centrale dello Stato di Roma, spedite al capo di
gabinetto del ministro dell’Aeronautica Aldo Urbani dal generale Stefano Cagna, noto
trasvolatore atlantico e stretto collaboratore di Balbo: sono missive che esprimono
con illuminante immediatezza lo stato tecnico dell’aviazione militare alla prova della
guerra, scritte da un aviatore preparato che nella sua carriera aveva volato come
pilota collaudatore e mantenuto rapporti con i più importanti progettisti aeronautici

14 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

italiani. Nella missiva del 17 giugno 1940 si legge:

Come certamente saprai, all’azione [su Biserta] hanno partecipato piloti appartenenti
a stormi differenti, per l’impossibilità di trovare, nello stesso stormo, tutti i piloti
necessari ad armare i dieci apparecchi che erano stati richiesti dall’ordine di
operazione. Se a questo aggiungi le difficoltà derivanti dalla bestiale disposizione
degli strumenti di navigazione sui cruscotti, sui quali non è stato nemmeno previsto
un impianto d’illuminazione, ti sarà facile farti un quadro della desolante situazione
in cui si trovano oggi gli stormi da bombardamento, per quanto riguarda il loro
impiego notturno. Al primo inconveniente rimedieranno i comandanti di stormo,
migliorando l’addestramento dei loro piloti; al secondo non c’è che l’autorità del Capo
di Stato Maggiore che vi possa rimediare ordinando cioè di montare sui cruscotti gli
strumenti di navigazione secondo la disposizione che fino ad oggi si è dimostrata la
più razionale e migliore di tutte. Ti prego, caro Urbani, di volerti interessare di questo
importante problema, la cui soluzione dovrebbe essere possibilmente rapida. Tu ne
capisci tutta l’importanza e sono certo che non perderai tempo.

Cagna propose inoltre di dotare i bombardieri della strumentazione di bordo montata


sui Savoia-Marchetti SM.83 in servizio sulla linea atlantica e ormai in uso su tutti gli
apparecchi dell’aviazione civile americana. Nel diario conservato presso l’Ufficio
storico dello Stato maggiore dell’aeronautica, il 18 maggio 1940 lo stesso Cagna aveva
peraltro già sottolineato come sull’aeroplano americano Douglas DC.3, destinato a un
longevo successo operativo e commerciale nel trasporto passeggeri,

la disposizione degli strumenti di navigazione sul cruscotto è la più razionale che ci


possa essere. La stessa disposizione ho tentato di farla applicare sugli apparecchi
della R.A. ma inutilmente perché non ho trovato nessuno che desse al problema
l’importanza che merita.

Il generale Cagna venne abbattuto mortalmente il 1° agosto 1940 e fino a quella data
la situazione tecnica non pare fosse mutata, riflettendo la debolezza dell’intero
sistema industriale e militare.

A livello organizzativo, solo nel 1943 il ministero definì i gruppi aeronautici di


riferimento per gli appalti, lasciando intravedere il tentativo di una razionalizzazione
del comparto. I referenti per le commesse di cellule furono Breda, Caproni, Fiat,
Macchi, Piaggio, SAI, Savoia-Marchetti e IRI, il colosso industriale pubblico dal 1934
principale azionista dell’intero comparto industriale bellico. Per i motori furono
identificate come imprese capofila l’Alfa Romeo, la Caproni, la Fiat e la Piaggio.
Queste industrie avrebbero dovuto gestire gli appalti con le aziende controllate, ma

15 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

nel 1943 le sorti del conflitto erano già segnate per l’Italia e applicare il piano di
razionalizzazione fu assai complicato.

Il dopoguerra: una difficile ripresa di quota

La situazione dell’industria aeronautica alla fine del conflitto rispecchiava fedelmente


l’immagine dell’Italia in macerie, sia materiali sia morali: gran parte delle fabbriche di
aeroplani, ubicate nel Nord Italia, subì pesanti bombardamenti dalle forze alleate che
causarono un drastico ridimensionamento della capacità produttiva. L’intero settore,
che dalla fine degli anni Trenta al 1942 aveva occupato circa 115.000 persone in una
cinquantina di aziende (74.000 impiegati nella produzione di cellule, 41.000 nel
comparto motoristico), nel 1945 contava a malapena 5000 addetti. La crisi
dell’industria assunse anche un valore simbolico: testimoniava, infatti, lo
sgretolamento dell’epopea aeronautica di regime in grado di affascinare gli italiani
per un ventennio, di una favola alata fascista fondata sull’immagine di propaganda e
non su solide basi industriali e tecnologiche.

La fine del conflitto non significò per il comparto aeronautico nazionale la possibilità
di iniziare un percorso – per quanto accidentato – di ripresa: trattandosi di una
produzione strategica subì infatti le limitazioni imposte dai Paesi vincitori. Occorre
rilevare che al momento della Liberazione le industrie aeronautiche cercarono di far
fronte alla situazione attraverso una profonda riorganizzazione interna: in alcuni casi
le fabbriche rette dai Comitati di gestione a partecipazione operaia insediati dal
Comitato di liberazione nazionale (CLN) ottennero risultati positivi, come attestano le
esperienze della Siai-Marchetti (ex Savoia-Marchetti, dopo l’abbandono del richiamo
monarchico nella denominazione), della Macchi e della Fiat. In particolare, la
fabbrica torinese, tramite il commissario Antonio Cavinato, nominò amministratore
delegato l’ingegnere Giuseppe Gabrielli (1903-1987), in azienda dal 1931 dopo un
passato da progettista alla Piaggio: una scelta destinata a rivelarsi vincente per il
rilancio della Fiat.

Le industrie aeronautiche sopravvissute al conflitto costituirono, nel settembre 1945,


l’Unione fabbriche aeronautiche (UFA), poco dopo denominata Associazione
industrie aeronautiche (AIA): tra le priorità fissate dai rappresentanti delle imprese
aderenti, la riapertura degli impianti per consentire una temporanea riconversione
produttiva e risollevare le sorti aziendali, potendo anche contare sulle adeguate
misure di sostegno economico varate dal governo in favore del comparto meccanico.

Questa fase di trasformazione rappresenta uno tra gli snodi più interessanti della
storia industriale nazionale, non solo del settore aeronautico: le scorte di legname

16 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

immagazzinate per produrre le carlinghe degli aerei furono destinate alla costruzione
di arredi e di componentistica per automobili, la Macchi realizzò lampade a petrolio –
indispensabili nell’Italia postbellica ancora priva di funzionanti linee elettriche –,
mentre la Caproni si dedicò alle riparazioni dei tram.

Alcuni prodotti come i motofurgoni Macchitre, usciti dalle linee di montaggio che in
passato avevano sfornato pezzi del sogno alato andato in frantumi durante la Seconda
guerra mondiale, diventarono protagonisti della ripresa italiana: fra tutte le
realizzazioni della riconversione industriale lo scooter Vespa della Piaggio fu, a
partire dal debutto nel 1946, quello maggiormente in grado di creare un inedito
immaginario sociale e di depositarsi indelebilmente nella memoria collettiva
nazionale, funzionando da mezzo per la ripartenza, metaforica e reale, di un intero
popolo.

Rivoluzionario nella formula concettuale e nella concezione tecnica, il nuovo


motociclo, dotato di una carrozzeria capace di riparare dalle intemperie le gambe del
conducente e pensato per muoversi agilmente lungo le strade dissestate lasciate in
eredità dalla guerra, manteneva un’inconfondibile impronta aeronautica
nell’architettura della forcella anteriore monobraccio, tipica dei carrelli degli
aeroplani. Il successo della Vespa rappresentò per il suo progettista Corradino
D’Ascanio una sorta di riscatto dopo la realizzazione di un’innovativa macchina ad ala
rotante portata per la prima volta in volo nel 1930 e sviluppata negli anni successivi
durante il periodo trascorso alla Piaggio, ma abbandonata quando l’azienda ligure
decise – nei primissimi anni Cinquanta – di interrompere definitivamente ogni
attività relativa agli elicotteri.

Al momento della firma del trattato di pace, il 10 febbraio 1947, in Italia circolavano
già più di 2500 Vespa: un’affermazione commerciale in piena espansione che almeno
per la Piaggio rappresentò una valida alternativa alle limitazioni imposte alla
produzione aeronautica. In base ad alcune clausole fissate dagli accordi
internazionali, l’aviazione militare italiana avrebbe infatti potuto disporre al massimo
di 350 velivoli, di cui 150 caccia, mentre era vietato l’impiego di aerei da
bombardamento e di missili.

Nel 1949 l’adesione dell’Italia alla NATO (North Atlantic Treaty Organization) segnò
una svolta, il superamento di un punitivo blocco della produzione che consentì di
risollevare il comparto industriale aeronautico nazionale. Ciò avvenne nell’ambito di
un’alleanza politica e militare che rese possibile la pianificazione di un vasto
programma di ripotenziamento della linea di volo dell’aeronautica militare: se, da
una parte, l’industria venne alimentata grazie a commesse su licenza, soprattutto

17 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

americane e britanniche, dall’altra, le aziende nazionali, all’inizio degli anni


Cinquanta, furono in grado di ritagliarsi un significativo spazio nella progettazione e
nella costruzione di aeroplani da addestramento che conobbero in alcuni casi un
notevole successo di esportazione. Particolarmente attiva in questa fase fu la Piaggio,
capace di commercializzare negli Stati Uniti il bimotore anfibio a cinque posti P.136
(1948) e di esportare in Germania numerosi monomotori P.148 (1951) e P.149 (1953)
destinati alle scuole di volo tedesche.

Dal 1953 in Italia iniziò la costruzione su licenza statunitense del caccia a reazione
North American F.86 Sabre e nell’industria aeronautica gli addetti risalirono a circa
7000 unità: una rinascita sancita nel 1958 dal successo del Fiat G.91, ispirato alla
formula costruttiva dell’F.86, dotato del propulsore a getto inglese Orpheus prodotto
dalla Bristol Siddeley engines su licenza dalla Fiat. Quell’anno, il G.91 venne
selezionato per ricoprire il ruolo di caccia leggero della NATO: il jet italiano portava la
firma dell’ingegnere Gabrielli, che aveva già progettato i primi aviogetti Fiat G.80/82
realizzati solo in piccolissima serie per l’aeronautica militare italiana. Il G.91, nelle
varie versioni, venne invece prodotto in circa 800 esemplari e destinato a una lunga
carriera operativa nelle forze aeree italiane e nella Luftwaffe tedesca. Alla metà degli
anni Cinquanta in Italia l’assetto industriale aeronautico si sviluppò quindi lungo tre
proficui filoni legati ai programmi NATO, alla realizzazione di aerei da addestramento
e allo sviluppo di un avanzato polo elicotteristico che consentirono nel decennio
successivo l’acquisizione di una certa autonomia progettuale e significative
affermazioni commerciali in ambito internazionale.

Opere

F. De Pinedo, Un volo di 55.000 chilometri, Milano 1926.

I. Balbo, L’aviazione civile in Italia. Memoria presentata al Congresso


internazionale di aeronautica civile di Washington dalla Delegazione governativa
italiana, Roma 1928.

I. Balbo, Stormi in volo sull’Oceano, Milano 1931.

I. Balbo, La centuria alata, Milano 1933, Montepulciano 20053.

Aviazione, idroaviazione: origine, storia, sviluppi, dagli albori alle traversate aeree
dell’Atlantico. Note, documenti, disegni, progetti, studi, esperienze ideate ed
effettuate dall’eroico generale Alessandro Guidoni, note e documenti ordinati da G.
Mattioli, Roma 1935.

I. Balbo, Sette anni di politica aeronautica (1927-1933), Milano 1936.

18 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

G. Caproni, Gli aeroplani Caproni. Studi, progetti, realizzazioni dal 1908 al 1935,
Milano 1937.

M. Cobianchi, Pionieri dell’aviazione in Italia, Roma 1943, poi a cura di F. Longhi,


Vignola 2009.

L’industria aeronautica italiana a dieci anni dalla sua rinascita 1947-1957, Roma
1957.

G. Gabrielli, Una vita per l’aviazione, Milano 1982.

Bibliografia

G. Costanzi, L’apporto italiano allo sviluppo della tecnica aeronautica, s.n.t., estratto
monografico dalla «Rivista aeronautica», 1959, 3.

F. Minniti, La politica industriale del Ministero dell’Aeronautica. Mercato,


pianificazione, sviluppo (1935-1943), «Storia contemporanea», 1981, parte prima, 1,
pp. 5-55, parte seconda, 2, pp. 271-312.

N. Arena, La Regia aeronautica, 1939-1943, 4 voll., Roma 1981-1986.

A. Mantegazza, La formazione del settore aeronautico italiano, «Annali di storia


dell’impresa», 1986, 2, pp. 361-413.

F. Spairani, A. Venier, Una politica aeronautica per l’Italia. L’industria italiana fra
autonomia e collaborazione, Milano 1988.

G.L. Balestra, L’industria aeronautica italiana tra smobilitazione e occasioni


mancate 1919-23, «Rivista di storia contemporanea», 1990, 4, pp. 487-521.

L. Ceva, A. Curami, Air army and aircarft industry in Italy, 1936-1943, in The
conduct of the air war in the Second world war. An international comparison, ed. H.
Boog, New York-Oxford 1992, pp. 85-107.

A. Mantegazza, Caproni e l’industria aeronautica italiana (1910-1952), «Archivi e


imprese», 1994, 9, pp. 3-45.

La grande guerra aerea 1915-1918. Battaglie, industrie, bombardamenti, assi,


aeroporti, a cura di P. Ferrari, Valdagno 1994 (in partic. A. Curami, I primi passi
dell’industria aeronautica italiana, pp. 97-140; F. Degli Esposti, L’industria
aeronautica degli Imperi centrali, pp. 141-82; in appendice, relazione della Direzione
tecnica aviazione militare - Ufficio produzione, compilata il 28 febbraio 1918 da L.
Moda, A. Fiore, Sviluppo della produzione aviatoria militare nel quadriennio
1915-1918, pp. 323-36).

19 di 20 19/04/2020, 14:39
Le imprese aeronautiche del primo Novecento in "Il Contributo italiano al... about:reader?url=http://www.treccani.it/enciclopedia/le-imprese-aeronau...

A. Mantegazza, Il nuovo settore dell’aeronautica, in Storia dell’Ansaldo, a cura di V.


Castronovo, 4° vol., L’Ansaldo e la Grande guerra 1915-1918, Roma-Bari 1997, pp.
111-28.

Bibliografia aeronautica italiana (1937-2000), a cura di G. Lazzeri, Firenze 2004 (in


partic. la sezione Industria aeronautica, pp. 292-99).

L’aeronautica italiana. Una storia del Novecento, a cura di P. Ferrari, Milano 2004
(in partic. A. Curami, La nascita dell’industria aeronautica, pp. 13-42; F. Minniti, La
realtà di un mito: l’industria aeronautica durante il fascismo, pp. 43-67; G. Garello,
L’aviazione civile fra le due guerre mondiali, pp. 69-80; M. Ferrari, Trasformazioni
e ridimensionamento dell’industria aeronautica nel secondo dopoguerra, pp.
115-42).

Le ali del ventennio. L’aviazione italiana dal 1923 al 1945. Bilanci storiografici e
prospettive di giudizio, a cura di M. Ferrari, Milano 2005 (in partic. R. Gentilli,
L’aeronautica italiana nel primo dopoguerra, pp. 13-30).

L. Segreto, L’Aeronautica tra pionierismo e grande industria, in L’Aeronautica


Italiana nella I Guerra Mondiale, Atti del Convegno, Roma (21-22 novembre 2007),
a cura di G. Montinaro, M. Salvetti, Roma 2010, pp. 111-28.

L’industria bellica nella storia d’Italia. Economia e tecnologia negli studi di Andrea
Curami, a cura di P. Ferrari, «Italia contemporanea», 2010, 261, pp. 575-719 (con
un’antologia di interventi di Andrea Curami).

20 di 20 19/04/2020, 14:39

Potrebbero piacerti anche