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Caro Michele,
1. la natura umana ricevuta dai nostri progenitori, a motivo della grazia originale nella quale essi
sono stati creati, godeva di alcuni doni preternaturali quali la scienza infusa, l’immunità dal dolore e
dalla morte.
2. Il Catechismo della Chiesa cattolica ricorda che in forza di questa santità originale “tutte le
dimensioni della vita dell’uomo erano potenziate dall’irradiamento di questa grazia.
Finché fosse rimasto nell’intimità divina, l’uomo non avrebbe dovuto né morire (cfr Gn 2,17 e 3,19)
né soffrire (cfr Gn 3,16)” (CCC 376).
Inoltre la loro natura – ancora integra – non era segnata dalla triplice inclinazione al male di cui
parla San Giovanni in 1 Gv 2,16.
Per questo il Catechismo della Chiesa cattolica soggiunge: “L’armonia interiore della persona
umana, l’armonia tra l’uomo e la donna (cfr Gn 2,25) infine l’armonia tra la prima coppia e tutta la
creazione costituiva la condizione detta «giustizia originale»” (Ib.).
3. La Madonna ha ricevuto fin dal primo istante della sua esistenza un grado di santità superiore a
quello di tutti gli Angeli e di tutti i Santi messi insieme.
Pertanto la sua santità ha superato all’eccesso quella ricevuta dai nostri progenitori.
Tuttavia – sebbene priva di qualsiasi peccato e di ogni inclinazione al male – ha ricevuto una natura
umana che portava le ferite del peccato originale.
Per questo era soggetta al dolore e alla morte.
4. Del resto anche Gesù, il Figlio d Dio fatto carne, portava nel suo corpo i segni del peccato
originale.
Poteva assumere una natura più integra ancora di quella di Adamo ed Eva, ma non volle. Scrive la
lettera agli Ebrei: “Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo
sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i
peccati del popolo.
Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di
venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2,17-18).
5. San Tommaso porta tre motivi sulla convenienza che la carne di Gesù fosse soggetta alle
debolezze umane.
Eccoli:
“Era conveniente che il corpo assunto dal Figlio di Dio soggiacesse alle debolezze e deficienze
umane, e questo principalmente per tre ragioni.
Primo, perché il Figlio di Dio, assunta la carne, è venuto nel mondo precisamente per espiare il
peccato del genere umano. Ma uno espia per il peccato di un altro quando assume su di sé la pena
dovuta al peccato altrui.
Ora, i difetti corporali, quali la morte, la fame, la sete e simili, sono pene del peccato che è stato
introdotto nel mondo da Adamo, come si esprime San Paolo: “A causa di un solo uomo il peccato è
entrato nel mondo, e con il peccato la morte” (Rm 5,12). Era perciò conveniente al fine
dell’incarnazione che Cristo nella nostra carne prendesse tali penalità in nostra vece, secondo le
parole del profeta: “Veramente si è addossato i nostri dolori” (Is 53,4).
Secondo, per facilitare la fede nell’incarnazione. Non essendo infatti la natura umana conosciuta
dagli uomini se non come soggetta a questi limiti corporali, qualora il Figlio di Dio avesse assunto
una natura umana priva di essi, si sarebbe dubitato che egli fosse vero uomo e avesse preso vera
carne e non fantastica, come hanno detto i Manichei. Per questo è scritto in San Paolo: “Spogliò se
stesso prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini e dimostratosi uomo nel suo modo
di vivere” (Fil 2,7). Cosicché lo stesso Tommaso fu ricondotto alla fede dalla constatazione delle
ferite, come racconta il Vangelo (cfr. Gv 20,26ss).
Terzo, per darci esempio di pazienza, sopportando con fortezza le sofferenze e i difetti umani. Per
cui dice l’Apostolo: “Ha sopportato contro di sé tanta ostilità da parte dei peccatori perché non vi
stanchiate né vi perdiate d’animo” (Somma teologica, III, 14,1).
6. Sono gli stessi motivi per cui Maria, chiamata a diventare la Madre del Redentore, fu sottoposta
alla morte e alle altre penalità della vita presente, pur essendo priva di ogni forma di peccato e
santificata in una maniera in qualche modo infinita.
Quesito
Carissimo Giovanni,
3. Alle precise domande che mi hai fatto: “Se io ho un peccato mortale, devo confessarmi il prima
possibile: SI o NO? Se io voglio crescere nell’intimità con Gesù, diventare santo, devo volere fare
la comunione tutti giorni: SI o NO? E quindi fare tutto per lasciare il peccato: SI o NO?”.
La risposta è sì, sempre sì.
Penso che su questo nessuno riuscirà a farti cambiare idea, e giustamente, perché si tratta di una
delle grazie che hai ricevuto dalla Madonna in quel momento di particolare illuminazione.
6. Sono giusti i collegamenti che hai fatto tra gli eccessi nella gola e alcuni peccati.
L’hai capito in quella illuminazione della Madonna.
E adesso lo comprendi anche dalla tua stessa esperienza.
7. Venendo adesso alla domanda finale: “Quando questo succede, cioè, cadiamo subito dopo una
confessione, cosa dobbiamo fare? Confesso che quando perdo la grazia divento un po’ afflitto,
penso: “adesso non posso aiutare le anime con indulgenze, soffrono tanto! Le mie preghiere non
hanno la stessa efficacia, ma quelle donne, chi prega per loro, quelle bambine…!? La Madonna
vuole che offriamo rosari per tante intenzioni, ma ecco, senza la grazia non posso servirle”.
Ebbene, qualora succedesse che si è persa la grazia senza che sia passato granché dall’ultima
confessione, se ne hai l’opportunità vai a confessarti subito.
Se non è possibile, ciò che devi fare subito è il pentimento.
È quello che viene chiamato atto di contrizione perfetta.
Con la contrizione perfetta (che include necessariamente il proposito do confessarsi al più presto) si
recupera la grazia, anche se al momento non si può ancora fare la Santa Comunione.
Ricuperando la grazia, tutto il bene che fai viene messo in circolazione dallo Spirito Santo e puoi
aiutare le anime del purgatorio e tutte le persone bisognose, soprattutto quelle che sono in maggiore
pericolo e che ti stanno maggiormente a cuore.
Certo, nonostante questo atto di contrizione perfetta non ti sentirai ancora come quando esci dalla
confessione. Sai che c’è ancora qualcosa di grande e di indispensabile da fare: la confessione.
Pertanto, in attesa della confessione non tralasciare nulla delle tue pratiche e compi subito un atto di
contrizione perfetta.
7. Che sant’Alfonso si confessasse tutti i giorni è un fatto. Ma non era pazzo né era scrupolosissimo.
Anche san Tommaso e anche santa Caterina da Siena si confessavano tutti i giorni. Ed era persone
equilibratissime.
Così hanno fatti anche molti altri Santi.
8. Qualora il confessore ti dicesse di non confessarti più di una volta alla settimana, stai alla sua
indicazione.
Sarà per te uno stimolo perseverare nello stato di grazia e a fare degli atti di contrizione veramente
perfetta.
9. Infine ti esorto a riprendere il tuo cammino, augurandoti non solo di andare dritto come un treno,
ma di correre sempre più in fretta nelle vie della santità, con un moto uniformemente accelerato
come quello del treno.
Ti auguro ogni bene, soprattutto che la Madonna continui a guidare il tuo cammino.
Ti benedico e ti ricordo al Signore.
Padre Angelo
Quesito
Caro Giuseppe,
1. mi compiaccio per tutte le esatte distinzioni che hai riportato e che sono indispensabili per poter
venire a capo del problema che mi hai sottoposto.
Desidero ricordare a beneficio dei nostri visitatori il significato dei termini e alcune precisazioni.
2. Innanzitutto per cooperazione al male s’intende il contributo che una persona dà all’azione
cattiva di un altro.
Quesito
Caro Umberto,
2. Secondo la sua natura divina è l’unico Dio insieme con il Padre e con lo Spirito Santo.
Come ha detto “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30) così può dire la stessa cosa anche
dello Spirito Santo.
3. Secondo la sua natura umana Gesù è stato riempito di grazia in maniera così grande che ogni
grazia ricevuta dagli uomini è una partecipazione della sua grazia.
Dice San Giovanni nel Prologo del suo Vangelo: “Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria
come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14).
E “Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia” (Gv 1,16).
4. Ebbene, se di Giovanni Battista si legge: “sarà colmato di Spirito Santo fin dal seno di sua
madre” (Lc 1,15), e questa grazia gli è derivata anticipatamente da Gesù nel medesimo modo in cui
la sua azione redentrice ha agito su tutti i giusti dell’Antico Testamento, quanto maggiormente
l’anima di Cristo doveva essere piena della grazia della Spirito Santo!
5. Questo l’aveva già intuito Sant’Agostino quando scrisse: “È del tutto assurdo affermare che
Cristo abbia ricevuto lo Spirito Santo all’età di trent’anni: ma egli come venne al battesimo senza
peccato, così si presentò non privo di Spirito Santo. Se infatti di Giovanni sta scritto che fu “ripieno
di Spirito Santo fin dal seno della madre”, che cosa non si dovrà dire dell’uomo Cristo, per il quale
lo stesso concepimento del corpo fu non carnale ma spirituale? Perciò in quel momento, ossia nel
battesimo, egli si degnò prefigurare il suo corpo (mistico), cioè la Chiesa, nella quale i battezzati
specialmente ricevono lo Spirito Santo” (De Trinitate, XV,26).
6. Perché allora Cristo volle che al momento del Battesimo scendesse sopra di lui lo Spirito Santo
sotto forma di colomba?
Risponde San Tommaso: “Come insegna il Crisostomo, ciò che avvenne nel battesimo di Cristo “sta
a indicare il mistero che si sarebbe compiuto in tutti quelli che poi sarebbero stati battezzati“.
Ora, tutti quelli che ricevono il battesimo di Cristo, a meno che non vi si accostino con finzione,
ricevono lo Spirito Santo, secondo le parole evangeliche: “Egli vi battezzerà nello Spirito Santo”.
Era dunque opportuno che sopra il Signore battezzato discendesse lo Spirito Santo” (Somma
teologica, III,39,6).
Aggiunge ancora San Tommaso: “E perché nessuno immaginasse che lo Spirito Santo era disceso
su Cristo nel battesimo, come se egli ne avesse avuto bisogno per la santificazione personale, il
Battista dichiara il motivo di questa discesa dello Spirito, affermando che discese su di lui non
perché Cristo ne avesse bisogno, ma per noi, affinché in tal modo fosse a noi manifestata la sua
grazia. Di qui le parole: «E io non lo conoscevo, ma per questo sono venuto a battezzare con
acqua, affinché egli fosse manifestato in Israele» (Gv 1,31)” (Commento al Vangelo di
Giovanni 1,32).
Ti ringrazio per quanto hai scritto all’inizio della tua mail.
Ti auguro un continuo progresso nella vita in Cristo, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
Padre, la prego, ho bisogno di una risposta da parte sua non riesco più a capire nulla sinceramente.
Sto tanto male e sono stanco per questa situazione. Volevo capire il perché di determinate cose. La
prego mi aiuti lei che ne sa più di me sicuramente.
Le allego delle accuse di eresie che fanno al papa. Sono reali padre?
Preghi per me.
Ultimamente più cerco di capire più sto male.
Io voglio solo fare la volontà di Dio qui in terra e non giudicare assolutamente nessuno:
I. Una persona ‘giustificata’ non ha la forza di osservare – con l’aiuto della grazia di Dio – i
comandamenti oggettivi della legge divina.
II. Un fedele cristiano può possedere la piena conoscenza di una legge divina e decidere di sua
spontanea volontà di trasgredirla in materie gravi, e ciononostante non trovarsi in stato di peccato
mortale come conseguenza di tale azione.
III. Una persona che osserva una divina proibizione può peccare contro Dio per via di quello stesso
atto di obbedienza.
IV. La coscienza può giudicare con verità e giustizia che i rapporti sessuali tra persone che hanno
contratto un matrimonio civile – nonostante una delle due sia sposata sacramentalmente con
un’altra persona o tutt’e due lo siano – possano talvolta essere moralmente giusti, o richiesti o
persino comandati da Dio.
V. È falso che gli unici rapporti sessuali buoni nel loro genere e moralmente leciti siano quelli tra
marito e moglie.
VI. I principi morali e le verità morali contenuti nella divina rivelazione e nella legge naturale non
includono proibizioni di carattere negativo che proibiscano in modo assoluto certi tipi di atti, in
quanto sempre gravemente illegittimi per via del loro oggetto.
VII. Dio non solo permette, ma vuole positivamente il pluralismo e la diversità delle religioni, tanto
cristiane quanto non cristiane.
Carissimo,
1. sappiamo a priori che il Papa non può sbagliare nel suo magistero in materia di fede e di morale.
2. Il Signore infatti ha detto: “Simone, Simone, ecco: Satana vi ha cercati per vagliarvi come il
grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito,
conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,31-32).
Ha detto anche: “E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze
degli inferi non prevarranno su di essa.
A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto
ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»” (Mt 16,18-19).
3. Le affermazioni che hai scritto non sono state pronunciate da Papa Francesco.
Ma derivano da interpretazione arbitraria e non corretta di alcuni suoi insegnamenti.
Infatti il Magistero del Papa va letto in continuità con ciò che la Chiesa ha sempre creduto.
Questo è stato ribadito da Giovanni Paolo II in Veritatis splendor: “Lo sviluppo della dottrina
morale della chiesa è simile a quello della dottrina della fede.
Anche alla dottrina morale si applicano le parole pronunciate da Giovanni XXIII in occasione
dell’apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962): “Occorre che questa dottrina (= la dottrina
cristiana nella sua integralità) certa e immutabile, che dev’essere fedelmente rispettata, sia
approfondita e presentata in modo che risponda alle esigenze del nostro tempo.
Altra cosa è infatti il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra
venerabile dottrina, e altra cosa è la forma con cui quelle vengono enunciate, conservando ad esse
tuttavia lo stesso senso e la stessa portata” (VS, nota 100).
4. Papa Francesco stesso ci tiene a dire che “mentre va espressa con chiarezza la dottrina, sono da
evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario
essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione” (Amoris
laetitia 79).
Questo è sempre stato insegnato dalla Chiesa, la quale afferma che per commettere soggettivamente
un peccato grave si richiede materia grave, piena avvertenza della mente e deliberato consenso della
volontà.
Ed è per questo che sotto il pontificato di Paolo VI la Congregazione del Clero pubblicò una
dichiarazione in cui si ricordava che “le particolari circostanze che accompagnano un atto umano
oggettivamente cattivo, mentre non possono trasformarlo in un atto oggettivamente virtuoso,
possono renderlo incolpevole o meno colpevole o soggettivamente giustificabile” (26.4.1971).
Questa è la dottrina di sempre.
5. Pertanto non lasciarti circuire da chi vuole immettere nel tuo cuore sentimenti contrari alla carità,
soprattutto nei confronti del Papa.
Quesito
Le scrivo di nuovo, padre Angelo, per un quesito su questo passo di Matteo 10,28: “temete piuttosto
colui che può far perire l’anima e il corpo nella geenna”.
Il motivo è il seguente: ho ascoltato in passato omelie che palesavano opinioni contrastanti su chi
fosse colui che ha questo potere. Un sacerdote predicava che si tratti del diavolo, un altro diceva che
fosse Dio.
Prima di scriverle ho cercato omelie su internet, ma la tendenza attuale è quella di far finta che la
frase in questione non sia mai esistita, quindi lei è forse la mia ultima speranza di capirci qualcosa.
Grazie per la sua risposta.
Luigi
Caro Luigi,
1. dal momento che l’unico giudice è il Signore, ne viene da sé che la pena sia inflitta dal giudice e
pertanto dal Signore.
Questo emerge chiaramente da Mt 25,31-33 “Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e
tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i
popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le
pecore alla sua destra e le capre alla sinistra”.
Poi “(il Re) dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco
eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt 25,41).
E anche: “Ora mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi
consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua
manifestazione” (2 Tm 4,8).
2. Satana è l’accusatore, ma non è il giudice: “Allora udii una voce potente nel cielo che diceva:
«Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché
è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e
notte” (Ap 12,10).
Già nell’Antico Testamento il diavolo viene presentato come l’accusatore, cole colui che tenta gli
uomini e li vuole indurre al peccato, come nel caso di Giobbe accusato di essere giusto perché Dio
impediva a Satana di colpirlo (cfr. Gb 1,10-11).
3. Va ricordato ancora una volta detto che il linguaggio con cui si esprime il Signore che condanna i
reprobi e li manda all’inferno è un linguaggio antropomorfico, che presenta Dio come si comporta
un giudice umano.
Mentre in realtà Dio fa di tutto fino alla fine per salvare gli uomini dall’autocondanna.
L’inferno è sempre un’auto-esclusione, come si esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica.
4. Mi piace sottolineare l’osservazione di Sant’Agostino il quale nota che il testo sacro dice che Dio
può far perire l’anima e il corpo nella Geenna.
Dice dunque Sant’Agostino: “Tuttavia giustamente si parla ancora di morte dell’anima perché essa
allora non vive più di Dio” (La città di Dio, 13,2). Senza Dio l’anima è vuota, è come morta.
“E si parla anche di morte del corpo” sebbene anche il corpo alla fine risorga e sussista per sempre,
“poiché in quest’ultima dannazione, per quanto l’uomo non perda il sentire, tuttavia dato che questo
sentire non gli apporterà più alcuna dolcezza né alcuna pace, ma il solo dolore della pena, questo
stato merita di essere chiamato più morte che vita” (Ib.).
Augurandoti invece la pienezza della vita per sempre ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
Salve,
volevo sapere le quali sono le posizioni della Chiesa sul male, le spiego:
Io sono convinto che il male sia una disobbedienza a Dio, così come Adamo ed Eva hanno
disobbedito a Dio mangiando il frutto che Dio aveva ordinato di non mangiare.
Eppure se si va a vedere il NT si osserva come il male sia dovuto ad un’entità malvagia chiamata
satana, ora se satana fosse un’entità allora essa sarebbe una sorta di divinità del male e questo va
contro l’unicità di Dio poiché ci sarebbero due divinità, una maligna e una benigna.
Penso che per risolvere il problema del male bisogna spostare tutto nel libero arbitrio dell’uomo
dicendo che il male è la libera scelta di disobbedire all’unica divinità che è Dio. Dunque satana
sarebbe solo un’allegoria o un simbolo di questa disobbedienza a Dio e non esisterebbe come entità
perché se esistesse si avrebbe un’entità malvagia che distruggerebbe l’unità di Dio e soprattutto la
Bontà e l’Onnipotenza di Dio, perché Dio non potrebbe stare a guardare di fronte al “satana
divinità” mentre se il male è una scelta fi disobbedire allora ciò non intaccherebbe l’unicità di Dio e
la Sua Bontà poiché la Sua Bontà causa il libero arbitrio e quindi la possibilità di disobbedire o
meno.
Che ne pensa dei miei discorsi?
Io ho grande stima per voi domenicani, forse l’ordine che più stimo e da cui sono più affascinato vi
chiedo dunque gentilmente di darmi una risposta.
Grazie.
Federico
Caro Federico,
1. ti ringrazio anzitutto per la stima e la fiducia che hai nei confronti dei domenicani.
Mi auguro che quelli di oggi siano all’altezza di quelli che hanno costituito il loro glorioso passato.
2. Venendo adesso all’oggetto della tua mail, è giusto affermare che il male deriva dall’arbitrio
dell’uomo e dalla sua scelta di voler disobbedire a Dio.
Voler disobbedire a Dio è la stessa cosa che voler essere privi di Dio.
3. Partendo dal concetto che il diavolo è un’entità malvagia (questa affermazione è giusta) tu
concludi che – se fosse così – ne faremmo una divinità contrapposta a Dio
E dal momento che questo è falso, ne segue allora che il diavolo non esiste.
Quesito
Caro Domenico,
1. quanto hai letto in un sito cattolico è una visione troppo angusta della soddisfazione o penitenza
sacramentale vista per lo più come una pena da pagare di qua o di là per soddisfare la giustizia
divina.
Giovanni Paolo II in Reconciliatio et paenitentia invece la presenta scrive:
“(La penitenza imposta dal confessore) non è certo il prezzo che si paga per il peccato assolto e per
il perdono acquistato; nessun prezzo umano può equivalere a ciò che si è ottenuto, frutto del
preziosissimo sangue di Cristo. Le opere della soddisfazione – che, pur conservando un carattere di
semplicità e umiltà, dovrebbero essere rese più espressive di tutto ciò che significano – vogliono
dire alcune cose preziose:
1- esse sono il segno dell’impegno personale che il cristiano ha assunto con Dio, nel sacramento, di
cominciare un’esistenza nuova (e perciò non dovrebbero ridursi soltanto ad alcune formule da
recitare, ma consistere in opere di culto, di carità, di misericordia, di riparazione);
2- includono l’idea che il peccatore perdonato è capace di unire la sua propria mortificazione fisica
e spirituale, ricercata o almeno accettata, alla passione di Gesù che gli ha ottenuto il perdono;
3- ricordano anche che dopo l’assoluzione rimane nel cristiano una zona d’ombra, dovuta alle ferite
del peccato, all’imperfezione dell’amore nel pentimento, all’indebolimento delle facoltà spirituali,
in cui opera ancora un focolaio infettivo di peccato, che bisogna sempre combattere con la
mortificazione e la penitenza. Tale è il significato dell’umile, ma sincera soddisfazione” (RP 31,III).
1.è segno concreto che si vuole iniziare una vita nuova, degna del pentimento dei peccati che
ci ha portato al sacramento;
2.è volontà di unirsi con un sacrificio personale al sacrificio redentore di Gesù Cristo;
3.vuole sanare il focolaio infettivo di peccato che rimane, sebbene più attutito, anche dopo al
confessione.
3. Il Catechismo della Chiesa Cattolica scrive: “La vera contrizione non si limita alle parole, ma si
traduce in soddisfazione, ossia in opere concrete e soprattutto nella penitenza quotidiana per
l’emendamento della vita e per la riparazione dei danni arrecati dal peccato. La soddisfazione,
perciò rientra nella dinamica del sacramento della Penitenza come prolungamento e conseguenza
pratica della contrizione”.
“Risollevato dal peccato, il peccatore deve ancora recuperare la piena salute spirituale. Deve
dunque fare qualcosa di più per riparare le proprie colpe: deve «soddisfare» in maniera adeguata o
«espiare» i suoi peccati. Questa soddisfazione si chiama anche «penitenza»” (CCC 1460).
Quesito
Carissimo,
1. l’espressione: “vi castigherò sette volte di più per i vostri peccati. Mangerete perfino la carne dei
vostri figli e mangerete la carne delle vostre figlie” (Lev 26,28-29) non sta a significare che Dio
costringe a mangiare le carni dei propri figli, che ma che la ribellione a Dio avrebbe portato gli
ebrei a compiere le più orribili nefandezze, come quelle del cannibalismo.
2. Nel secondo libro dei Re si leggono le seguenti aberranti esternazioni di fronte alla fame che
colpiva il popolo: “Questa donna mi ha detto: «Dammi tuo figlio perché lo mangiamo oggi. Mio
figlio ce lo mangeremo domani». Abbiamo cotto mio figlio e lo abbiamo mangiato. Il giorno dopo
io le ho detto: «Dammi tuo figlio perché lo mangiamo», ma essa ha nascosto suo figlio»” (2 Re,
6,28-29).
Anche nel libro delle Lamentazioni di Geremia si legge che la gente si comportava così: “Guarda,
Signore, e considera; chi mai hai trattato così? Le donne divorano i loro frutti, i bimbi che si
portano in braccio!” (Lam 2,20).
4. “Fra gli abitanti della regione al di là del Giordano vi era una donna di nome Maria, figlia di
Eleazar, del villaggio di Bethezuba, un nome che significa «casa dell’issopo», ragguardevole per
nascita e ricchezza, che col resto della popolazione si era rifugiata in
Gerusalemme rimanendovi assediata. La massima parte delle sostanze che aveva portato con sé
trasferendosi dalla Perea nella città le erano state depredate dai capi, mentre i banditi con le loro
quotidiane incursioni le avevano sottratto quanto restava dei suoi valori e il poco cibo raggranellato.
La donna era in preda a un tremendo furore e con gli insulti e le maledizioni che continuamente
scagliava contro i saccheggiatori cercava di aizzarli contro di sé. Nessuno però si decideva ad
ucciderla, né per odio né per pietà, e lei era stanca di procurare ad altri il cibo che da nessuna parte
era ormai possibile trovare mentre la fame le serpeggiava nelle viscere e nelle midolla, e ancor più
della fame la consumava il furore.
Allora cedette insieme alla spinta dell’ira e della necessità e si abbandonò ad un atto contro la
natura. Afferrò il bambino lattante che aveva con sé e gli rivolse queste parole: «Povero figlioletto,
a quale sorte dovrei cercare di preservarti in mezzo alla guerra, alla fame, alla rivoluzione? Dai
romani non possiamo attenderci che la schiavitù, se pure riusciremo a vivere fino al loro arrivo, ma
la fame ci consumerà prima di finire schiavi, mentre infine i ribelli sono un flagello più tremendo
degli altri due. E allora, sii tu cibo per me, per i ribelli furia vendicatrice, e per l’umanità la tua
storia sia quell’unica che ancora mancava fra le tante sventure dei giudei».
Così disse e, ucciso il figlio, lo mise a cuocere; una metà ne mangiò, mentre l’altra la conservò in un
luogo nascosto. Ben presto arrivarono i banditi e, fiutando quell’odore esecrando, la minacciarono
di ucciderla all’istante se non avesse mostrato ciò che aveva preparato.
Ella rispose di averne conservata una bella porzione anche per loro e presentò i resti del bambino:
un improvviso brivido percorse quegli uomini paralizzandoli, ed essi restarono impietriti a una tal
vista. «Questo è il mio bambino» disse la donna «e opera mia è questa. Mangiatene, perché anch’io
ne ho mangiato. Non siate né più pavidi di una donna né più compassionevoli di una madre. Ma se
provate scrupoli e rifuggite dalla mia vittima sacrificale, allora sarà come se io avessi mangiato per
conto vostro e l’avanzo rimanga per me».
A tali parole quelli uscirono tutti tremanti – fu l’unica scelleratezza di cui non ebbero il coraggio di
macchiarsi, lasciando sia pure a malincuore che la madre si cibasse di un simile cibo – ma
istantaneamente la città fu piena della notizia di quella nefandezza e, raffigurandosi la scena
raccapriciante, tutti inorridirono come fossero stati loro a compierla. Morsi dalla fame essi non
vedevano l’ora di morire, stimando fortunato chi se n’era andato prima di sentire e di vedere simili
atrocità” (La guerra giudaica, VI, 4).
Quesito
Carissima,
1. il più bel criterio sul rapporto tra fidanzati e rispettivi genitori è quello che troviamo sulla bocca
di Dio all’alba della creazione: “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua
moglie, e i due saranno un’unica carne” (Gn 2,24).
Artefici della nuova famiglia sono gli sposi.
I genitori sono tra i consiglieri.
È giusto, anzi, è doveroso ascoltare i consigli.
Talvolta è doveroso non solo ascoltare ma anche obbedire ai consigli dei genitori.
Ma infine chi è chiamato a prendere le decisioni sono gli sposi stessi: “Per questo l’uomo lascerà
suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie,…”.
2. Non so se corrisponda a verità che solo nei circoli cattolici si derida la castità.
Certo è un dato di fatto che tanti ragazzi che vanno in Chiesa non vivono castamente.
Non voglio giustificarli, ma sono anch’essi segnati dal peccato originale e da quella concupiscenza
della carne (cf 1 Gv 2,16) che insidia anche la loro maniera di amare.
Ma tra quelli che non vanno in Chiesa credo che le cose non vadano meglio.
Molto dipende da che cosa si propone.
3. Certo, il fatto che tu abbia incontrato non credenti che stimano la castità, la dice lunga.
Come l’amicizia è un valore naturale apprezzato da tutti, così analogamente si può dire anche della
castità, a meno che uno sia così depravato da vantarsi di ciò di cui si dovrebbe vergognare.
Credo che qualsiasi giovane che abbia intenzioni serie sul proprio futuro e che voglia formarsi una
famiglia stimi la castità, anche se magari non la pratica.
La castità dà sempre l’idea di una persona che è padrona di se stessa, dei propri impulsi, che non
cede facilmente alla prima tentazione.
4. Giustamente un documento del Magistero della Chiesa dice che la castità “è energia spirituale
che libera l’amore dall’egoismo e dall’aggressività” (PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA
FAMIGLIA, Sessualità umana: verità e significato, 19).
Quest’affermazione non parte da presupposti di fede né è valida solo per i credenti. Chiunque sa che
la castità, intesa come atteggiamento virtuoso voluto e libero, è questo.
Gandhi che non era cristiano ed era sposato, ha detto che “la castità è il più alto ideale, non deve
quindi far meraviglia che richieda il più alto sforzo per raggiungerla.
Una vita senza castità mi sembrerebbe insipida e animalesca: il bruto, per natura sua, non ha
autocontrollo, l’uomo è uomo perché è capace di averlo” (GANDHI, La mia vita per la libertà, pp.
193-194).
Non so se si possa dire che la castità sia il più alto ideale. Ma certo chi ha scritto quelle parole ne
era affascinato.
5. Sono invece perfettamente d’accordo con l’affermazione centrale della tua mail: l’unico modo
per amare a fondo qualcuno è quello della castità.
Dove per castità, in qualunque stato di vita, s’intende l’amore puro e disinteressato per la persona
che si ama, al punto che si è disposti a perdersi per lei.
Questo è amare qualcuno.
Molto spesso invece dietro la parola amore si nasconde solo la passionalità e non di rado anche la
volgarità.
6. Quanto ti ha detto il sacerdote confessore, e cioè che devi sempre fare la Comunione anche se ti
trovi in peccato mortale, è palesemente sbagliato.
Va contro la Sacra Scrittura e va contro la disciplina della Chiesa: “Perciò chiunque mangia il pane
o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore.
Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e
beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.
È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor
11,27-30).
Dispiace per quel sacerdote perché ognuno parla dall’abbondanza del proprio cuore, come ha detto
il Signore (cfr Mt 12,34), e cioè dal proprio vissuto.
Se amasse la purezza parlerebbe diversamente.
Ti assicuro la mia preghiera e ti ringrazio anticipatamente per quello che hai promesso.
Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo
Quesito
Buongiorno,
Cortesemente avrei questi due quesiti. Ringrazio per la disponibilità.
Il primo è se Gesù continua tuttora a portare la croce del mondo oppure se nell’eucaristia avviene il
suo aiuto a portare la nostra croce.
La seconda è questa, non ho trovato nulla in internet e cortesemente chiedo quale fosse l’idea di
Padre Pio nell’utilizzo dei contraccettivi maschili o meglio nell’utilizzo dei preservativi.
Carissimo,
1. circa la prima domanda: sì, Gesù continua a portare la croce nel suo corpo mistico (la Chiesa),
col quale è una cosa sola.
Nell’Eucaristia si rende presente in maniera incruenta, senza spargimento di sangue (sofferenza). E
mentre unisce le nostre sofferenze alle Sue per la vita e la redenzione del mondo nello stesso tempo
accresce in noi l’amore per portarle con maggiore generosità come faceva San Paolo.
2. Circa la seconda domanda è interessante sapere che Padre Pio morì poco dopo la pubblicazione
dell’enciclica Humanae vitae nella quale Paolo VI diceva che ogni forma di contraccezione altera il
disegno di santità di Dio sull’amore umano e sulle relazioni coniugali.
Nei giorni che seguirono la pubblicazione ci fu nel mondo una grande contestazione.
Molti teologi si misero dalla parte dei contestatori e chiedevano il via libera per quella pillola che
tra l’altro per suoi effetti negativi è sconsigliata anche dai medici che hanno a cuore la salute delle
donne e delle loro spose.
Questo causò una grande sofferenza nel Papa.
In questo clima avvelenato, 11 giorni prima di morire, padre Pio da Pietrelcina scrisse una lettera al
Papa nella quale allude alle sue sofferenze «per le sorti della Chiesa, per la pace nel mondo».
In particolare lo ringrazia «per la parola chiara e decisa» detta nell’ultima enciclica Humanae
vitae».
4. Il punto dove il Papa condanna ogni forma di contraccezione è il seguente, e si trova nel n. 14
dell’Humanae vitae: “è altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo
compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come
mezzo, di impedire la procreazione dei figli”.
Negli strumenti che si propongono di impedire la vita nel compimento dell’atto vi sono anche i
preservativi maschili.
5 .Giova ricordare che questo sentenza, espressa in termini di divieto, rientra tra quei precetti morali
negativi che obbligano “semper et pro semper”: sempre e in ogni caso, senza eccezione, come dice
Giovanni Paolo II.
6. Una settimana successiva alla pubblicazione dell’enciclica, nel corso di un’udienza del
mercoledì, Paolo VI disse:
“Riteniamo che vi sia noto il testo di questo documento pontificio, o almeno il suo contenuto
essenziale, che non è soltanto la dichiarazione d’una legge morale negativa, cioè l’esclusione d’ogni
azione, che si proponga di rendere impossibile la procreazione (n. 14), ma è soprattutto la
presentazione positiva della moralità coniugale in ordine alla sua missione d’amore e di fecondità
«nella visione integrale dell’uomo e della sua vocazione, non solo naturale e terrena, ma anche
soprannaturale ed eterna» (n. 7). (…).
Non abbiamo mai sentito come in questa congiuntura il peso del nostro ufficio. Abbiamo letto,
discusso quanto potevamo; e abbiamo anche molto pregato. Dovevamo rispondere alla Chiesa,
all’umanità intera; dovevamo valutare con l’impegno e insieme con la libertà del nostro compito
apostolico, una tradizione dottrinale non solo secolare, ma recente; quella dei nostri tre immediati
predecessori; eravamo obbligati a fare nostro l’insegnamento del Concilio da noi stessi promulgato;
ci sentivamo propensi ad accogliere, fin dove ci sembrava di doverlo fare, le conclusioni, per quanto
di carattere consultivo, della commissione istituita da Papa Giovanni e da noi stessi ampliata. Ma
insieme sapevamo di dover essere doverosamente prudenti; sapevamo delle discussioni accese, con
tanta passione ed anche con tanta autorità su questo importantissimo tema; sentivamo le voci
fragorose dell’opinione pubblica e della stampa; ascoltavamo quelle più tenui, ma assai penetranti
nel nostro cuore di padre e di pastore, di tante persone, di donne rispettabilissime specialmente,
angustiate dal difficile problema e dall’ancor più difficile loro esperienza; leggevamo le relazioni
scientifiche circa allarmanti questioni demografiche del mondo, suffragate spesso da studi di esperti
e da programmi governativi; venivano a noi da varie parti pubblicazioni, ispirate alcune dall’esame
di particolari aspetti scientifici del problema, ovvero da altre considerazioni realistiche di molte e
gravi questioni sociologiche, oppure da quelle, oggi tanto imperiose, delle mutazioni irrompenti in
ogni settore della vita moderna” (31 luglio 1968).
7. La parola chiara e decisa del papa era la parola che Padre Pio aveva sempre insegnato.
Ti ringrazio di avermi dato la possibilità di presentare il pensiero di un gigante nella santità su un
punto tanto delicato e importante per la vita cristiana.
Ti ricordo al Signore ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
Caro…,
1. solo oggi sono giunto alla tua mail che contiene tante giuste osservazioni.
Comprendo il tuo disagio, che non è soltanto tuo, ma di molti.
2. In tutto questo insieme di cose tuttavia nessuno ci può impedire di tenere lo sguardo fisso su
Gesù.
È Cristo l’oggetto della nostra vita. È Lui la vita della nostra vita.
Sono particolarmente puntuali le parole di san Paolo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la
tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto:
Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello” (Rm
8,35-36).
3. In una parola, niente e nessuno ci può separare dalla santità che è quell’obiettivo che tutti siamo
chiamati a raggiungere e che il Signore si attende da noi.
Nessuno di noi potrà dire davanti tribunale di Cristo: “Se vi fosse stato un papa diverso, un vescovo
diverso, un sacerdote diverso sarei diventato più santo…”.
È nella presente situazione che il Signore ci chiama alla santità e non manca di offrirci tutti gli aiuti
perché possiamo diventargli sempre più conformi nella carità.
4. Tieni sempre presente ciò che dice l’orazione della nona domenica del tempo ordinario: “Deus,
cuius providéntia in sui dispositióne non fállitur, …”.
La traduzione italiana corretta dovrebbe essere questa: “O Dio, la cui provvidenza non si sbaglia
nelle sue disposizioni…”.
La traduzione della Conferenza episcopale italiana è invece la seguente: “O Dio, che nella tua
provvidenza tutto disponi secondo il tuo disegno di salvezza…”.
Sì, va bene anche la traduzione della Conferenza episcopale italiana, ma manca l’enfasi sul fatto che
Dio non si sbaglia neanche nelle sue permissioni.
7. In questa situazione il Signore ti vuole sempre più che vincitore grazie a colui che ci ha amati.
Ricorda: sempre più che vincitore, e non sempre più deluso o sempre più disorientato e sconfitto.
Ma tale potrai essere solo se continuerai a guardare gli eventi ecclesiali con lo sguardo purissimo
della fede e non già con quello della logica mondana che tu stesso giustamente rifiuti.
p.s.: sulla verginità di Maria non soltanto dopo il parto ma anche nel parto cfr. la risposta pubblicata
a suo tempo: Secondo un nostro visitatore Gesù nascendo avrebbe rotto la verginità di Maria perché
ha voluto nascere come tutti gli altri bambini di questo mondo.
Quesito
Caro Calogero,
1. sulla domanda che mi hai fatto e che suona così “chi si trova in stato di grazia rimane peccatore o
meno” è necessario fare una distinzione.
Intanto va tenuto presente che cosa s’intenda per stato di grazia.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che “la grazia di Cristo è il dono gratuito che Dio ci fa
della sua vita, infusa nella nostra anima dallo Spirito Santo per guarirla dal peccato e santificarla. È
la grazia santificante o deificante, ricevuta nel Battesimo. Essa è in noi la sorgente dell’opera di
santificazione: «Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco
ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo»
(2 Cor 5,17-18)” (CCC 1999).
2. La grazia è dunque quel germe di vita divina di cui parla San Giovanni: “perché un germe divino
rimane in lui!” (1 Gv 3,9).
È un germe divino che ci trasforma e ci fa diventare creatura nuova, come dice San Paolo (2 Cor
5,17).
Con la grazia santificante il peccato precedente non è stato solo coperto, ma eliminato.
La lettera agli ebrei parla in maniera chiara di questa purificazione quando dice: “quanto più il
sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio
– purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?” (Eb 9,14).
4. Tuttavia l’aver ricevuto il germe di santità o di vita divina non elimina le cattive inclinazioni che
abbiamo ereditato col peccato originale.
San Paolo l’attesta quando dice: “Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in
me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio,
ma il male che non voglio.
Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me.
Dunque io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me.
Infatti nel mio intimo acconsento alla legge di Dio, ma nelle mie membra vedo un’altra legge, che
combatte contro la legge della mia ragione e mi rende schiavo della legge del peccato, che è nelle
mie membra” (Rm 7,18-23).
Il peccato di cui qui parla San Paolo non è il peccato mortale ma la concupiscenza che spinge al
male e alla ribellione. Così come la legge di cui parla non è un precetto morale, ma un disordine che
è conseguenza del peccato.
5. Questa inclinazione al male è attiva perché cadiamo ogni giorno in tante venialità e alcuni cadono
anche in peccati più gravi per cui giustamente il Signore nel Padre nostro chiedi di domandare
perdono dei peccati: “Rimetti a noi i nostri debiti” (Mt 6,12).
Ugualmente San Giovanni scrive ai cristiani: “Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto
tanto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità”(1 Gv 1,9).
Anche chi vive in grazia può dirsi peccatore: o perché ha commesso dei peccati gravi oppure perché
quotidianamente commette diversi peccati veniali o anche perché non è escluso che possa perdere la
grazia peccando di nuovo gravemente.
6. Questi concetti sono presenti anche nella Dichiarazione congiunta sulla dottrina della
giustificazione redatto congiuntamente da teologi cattolici e luterani, pubblicato ad Augusta
(Germania) il 31 ottobre 1999.
In particolare al n. 28 di tale Dichiarazione si legge: “Insieme confessiamo che nel battesimo lo
Spirito Santo unisce l’uomo a Cristo, lo giustifica e effettivamente lo rinnova. E tuttavia il
giustificato, durante tutta la sua vita, non può mai fare a meno della grazia incondizionatamente
giustificante di Dio. Inoltre l’uomo non è svincolato dal dominio che esercita su di lui il peccato e
che lo stringe nelle sue spire (cfr. Rm 6, 12-14), né egli può esimersi dal combattimento di tutta una
vita contro l’opposizione a Dio che proviene dalla concupiscenza egoistica del vecchio Adamo (cfr.
Gal 5, 16 ; Rm 7, 7.10). Anche il giustificato deve chiedere ogni giorno perdono a Dio, così come si
fa nel Padre nostro (Mt 6, 12 ; 1 Gv 1, 9) ; egli è continuamente chiamato alla conversione e alla
penitenza e continuamente gli viene concesso il perdono”.
7. E al n. 30: “I cattolici considerano che la grazia di Gesù Cristo conferita nel battesimo, toglie
tutto ciò che è «in senso proprio» peccato, tutto ciò che «merita la condanna» (Rm 8, 1),[16] ma che
resta nell’uomo un’inclinazione (concupiscenza) che viene dal peccato e spinge al peccato.
Poiché i cattolici sono convinti che il peccato umano comporti sempre un elemento personale, essi
considerano che l’assenza di tale elemento non permette più di chiamare peccato nel senso proprio
del termine l’inclinazione ad opporsi a Dio.
Con ciò essi non negano che tale inclinazione non corrisponda al disegno originario di Dio
sull’uomo, né che essa, ponendosi oggettivamente in opposizione a Dio e in contrasto con lui,
costituisca l’oggetto di una lotta che dura tutta la vita; riconoscenti per la salvezza ricevuta per
mezzo di Cristo, vogliono piuttosto affermare che l’inclinazione ad opporsi a Dio non merita la
pena di morte eterna e non separa il giustificato da Dio.
Tuttavia, quando il giustificato si separa volontariamente da Dio, non gli è sufficiente ritornare
all’osservanza dei comandamenti, ma occorre che egli riceva nel sacramento della riconciliazione il
perdono e la pace mediante la parola di perdono che gli è data in virtù dell’opera di riconciliazione
di Dio in Cristo”.
Ti auguro un felice cammino nelle vie di Dio, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
Risposta
Carissimo,
1. il servo che deve al suo padrone diecimila talenti rappresenta ognuno di noi nei confronti di Dio.
Diecimila talenti erano a quei tempi una cifra ingentissima, un debito di fatto insolvibile.
Ognuno di noi è stato perdonato da Dio da molti inferni, una pena di fatto insolvibile perché eterna.
Anche chi non avesse mai compiuto un peccato mortale deve dire insieme con Santa Teresa di Gesù
Bambino che è stato perdonato in anticipo, perché Dio gli ha tolto le occasioni di peccare. Che se si
fossero presentate davanti a noi come si sono presentate ad altri probabilmente vi saremo cascati e
forse anche in maniera peggiore.
2. Ecco il testo molto bello di Santa Teresa di Lisieux: “Lo so, "colui al quale si rimette meno, ama
meno" ma so anche che Gesù mi ha rimesso più che a santa Maddalena perché mi ha rimesso in
anticipo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter chiarire ciò che sento! Ecco un esempio
che spiegherà il mio pensiero. Suppongo che il figlio d’un medico abile incontri sul suo cammino
una pietra che lo faccia cadere; cadendo, egli si rompe un arto, e subito il padre corre a lui, lo rialza
con amore, cura le ferite impegnando tutte le risorse della sua arte, e ben presto il figlio
completamente guarito gli dimostra la propria riconoscenza. Certamente questo figlio ha ben
ragione d’amare suo padre! Ma farò ancora un’altra ipotesi. Il padre, avendo saputo che sulla strada
di suo figlio si trova una pietra, si affretta, va innanzi a lui, la rimuove senza che nessuno lo veda.
Certamente questo figlio oggetto della sua tenerezza previdente, non sapendo la sventura dalla quale
è liberato per mezzo di suo padre, non testimonierà a lui la propria riconoscenza e l’amerà meno che
se fosse stato guarito da lui. Ma se viene a conoscere il pericolo al quale è stato sottratto, non amerà
di più suo padre? Ebbene, io sono quel figlio, oggetto dell’amore previdente di un Padre il quale
non ha mandato il Verbo a riscattare i giusti, bensì i peccatori. Vuole che io lo ami perché mi ha
rimesso non già molto, bensì tutto. Non ha atteso che io lo amassi molto, come santa Maddalena,
ma ha voluto che io sappia come egli mi ha amata d’un amore d’ineffabile previdenza, affinché ora
io ami lui alla follia!” (Storia di un’Anima 120).
3. Graziati da tanti inferni, con l’animo tutto pieno della misericordia ricevuta, dovremmo essere
disposti ad usare misericordia verso quelli che ci devono qualcosa.
La crudeltà del servo al quale era stato condonato tutto ha suscitato lo sdegno del padrone che lo
chiama a rendere conto dell’ingratitudine usata.
4. San Tommaso, a proposito di quelle paorle “Allora il padrone lo fece chiamare…” commenta: “Il
Signore chiama con la morte: «Mi chiamerai e ti risponderò» (Gb 19,16).
È una chiamata, quella della morte, alla quale nessuno può far finta di non sentire. Deve obbedire
volente o nolente.
Quel servo pertanto ha dovuto comparire davanti al padrone e ricevere la sua pena insolvibile,
perché eterna.
Commenta ancora San Tommaso: “Se la pena non deve cessare finché non è compiuta la
soddisfazione del debito, e nessuno senza la grazia può soddisfare, chi muore senza la carità non
può soddisfare”(Commento al Vangelo di Matteo, 18,32).
Il tuo parroco pertanto ha interpretato in maniera corretta.
Quesito
Risposta
Cara Maria,
1. a proposito di quanto mi chiedi ti propongo lo schema di San Tommaso d’Aquino, secondo il
quale le facoltà dell’anima non sono tre, come diceva Sant’Agostino, ma due e cioè intelletto e
volontà.
3. Desidero ricordare a beneficio dei visitatori la differenza tra virtù teologali e doni dello Spirito
Santo.
Le virtù teologali sono tre capacità interiori (fede, speranza e carità) infuse da Dio nell’anima che
danno la capacità di conoscere e amare Dio soprannaturalmente, e non semplicemente con le
potenze naturali dell’anima.
La fede va a perfezionare l’intelletto, perché dona una conoscenza soprannaturale su Dio e sulle
creature.
La speranza e la carità vanno a perfezionare la volontà nel senso che conferiscono una capacità di
amare soprannaturalmente Dio come nostro bene perfetto e nostro Paradiso (speranza) e di vivere
un’amicizia, un’intimità soprannaturale con Dio (carità).
I doni dello Spirito Santo si distinguono dalle virtù perché aggiungono anche un modo divino di
agire, superiore a quello delle virtù teologali.
4. Le virtù cardinali sono perfezioni che vengono date alle nostre potenze operative perché siano in
grado di attingere il loro oggetto prontamente, facilmente e con una certa naturalezza.
In un cristiano si trovano non solo in maniera acquisita come si possono trovare nei comuni uomini
di buona volontà, ma anche come dono. Sono infuse da Dio nell’anima.
5. Allo schema che tu chiedi io aggiungo le beatitudini che vengono associate ai doni dello Spirito
Santo.
Secondo i teologi le beatitudini sono quegli atti che prorompono dalle virtù quando sono agiscono
sotto l’influsso dei doni dello Spirito Santo.
6. Tralascio invece il discorso sui vizi opposti perché la cosa diventerebbe lungo. Si tratta di tutti i
vizi e di tutti i peccati che si oppongono alle singole virtù.
7. Ecco dunque lo schema, dove alla singola virtù segue il dono che la perfeziona e la beatitudine in
cui si esprime:
– Ecco lo schema di San Tommaso sulla relazione tra virtù, doni e beatitudini:
virtù dono dello Spirito Santo beatitudine
mentre ti auguro di vivere in pienezza tutte queste realtà divine tanto nella vita presente quanti in
quella futura, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
Risposta
Caro Daniele,
1. la motivazione centrale è quella che hai portato tu.
Il bene si presenta come qualcosa di saziativo a degli esseri che proprio di quel bene hanno bisogno.
Il male non solo non sazia, ma fa anche male, almeno sotto il profilo morale.
2. San Tommaso porta la seguente motivazione: “Ogni ente, in quanto ente, è buono. Infatti ogni
ente, in quanto ente, è in atto, e in qualche modo perfetto; perché ogni atto è una perfezione.
Ora, il perfetto ha ragione di appetibile e di bene. Conseguentemente ogni ente, in quanto tale, è
buono” (Somma teologica, I, 5, 3).
3. Puoi ampliare la riflessione ricordando che il bene non solo è bene ma è anche bello (il bene e il
bello si convertono fra di loro).
È bello ciò che è armonico nelle sue parti.
Quando il bello si riferisce alle persone, l’armonia prende il nome di comunione.
Ciò che è bello realizza una comunione.
Ora gli uomini hanno bisogno di comunione.
Ciò che disturba la comunione invece viene sentito come un male, come una privazione di bene.
4. Ulteriormente puoi anche dire che il vero e il bene si convertono fra di loro.
Pertanto affinché un bene sia bene è necessario che sia vero bene e non soltanto in apparenza.
Allora solo ciò che è vero infine è anche buono e utile.
Quando per un concetto errato di misericordia si chiude un occhio o anche tutti e due sul male non
si fa un servizio, ma un danno.
Con l’augurio che tu possa desiderare sempre il vero bene, quello che fa crescere ogni comunione, ti
assicuro un ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
buon giorno,
per caso sono capitata nel vostro sito. Ero alla ricerca di alcune risposte che ora vi pongo,
ringraziandovi già da ora per quello che fate, soprattutto oggi che ormai la fede si sta perdendo.
Al catechismo di mio nipote si è stravolto le Sacre Scritture. Hanno fatto alcune domande ai
genitori dei bambini che quest’anno faranno la prima comunione.
Una di queste era, quanti erano i magi arrivati a Betlemme? E chi erano? Magi o Re? E tutti hanno
risposto che erano dei studiosi delle stelle e che erano dei maghi, la maestra gli ha detto che è tutto
sbagliato, i magi erano re ed erano tantissimi, infatti suggeriva che nel presepe sarebbe più
opportuno mettere tante statuine di magi magari tagliandone la corona.
La domanda mia è questa: chi erano i magi?
Poi parlando della via Crucis, ha spiegato che Gesù non ha portato la Croce, che non è mai caduto,
che tutto era una farsa per far capire alla gente che lui portava i peccati del mondo su di sé.
In attesa di una spiegazione, anche se si parla poi di ipotesi perché non sappiamo se tutto quello che
è scritto, sia vero, ma non sappiamo neanche il contrario, qui è una questione di fede, e non capisco
perchè oggi ai bambini si deve insegnare ad avere così tanti dubbi, mio nipote ora è confuso perchè
io nei suoi 10 anni gli ho insegnato e spiegato ciò che la chiesa un tempo aveva insegnato a me.
Un saluto e grazie per tutte le spiegazioni che date arrivando anche a chi non ha molta cultura su
questo tema.
Risposta
Carissima,
1. ti riporto sui Magi quanto ha scritto il padre M-J. Lagrange, fondatore della Scuola Biblica di
Gerusalemme.
Ecco le sue testuali parole: “Chi erano questi magi? Gli antichi e specialmente gli occidentali li
hanno considerati come sacerdoti della religione persiana. È il senso ufficiale della parola, ma tale
espressione si usava anche per designare gli astronomi, un po’ anche astrologi, perché in oriente, se
si astrae dalla grande scuola di astronomia di Alessandria, non si badava alle stelle e ai pianeti sopra
tutto se non per penetrare il destino dei bambini nati sotto questa o quella influenza. La cattiva fama
di cui godevano gli astrologhi ha potuto indurre i padri della chiesa a vedere nei magi dell’evangelo
sacerdoti persiani. Ma la Persia non è precisamente a oriente della Palestina e i padri che trassero la
loro origine dalla terra santa, san Giustino (2° secolo), e sant’Epifanio (4° secolo) fanno venire i
magi dall’Oriente, cioè dal paese posto al di là del Giordano, dall’Arabia, il che è bene indicato
dalla natura dei loro regali. Questi stessi regali hanno fatto credere a Tertulliano che fossero re
perchè il salmo LXXI rappresentava i re degli Arabi e di Saba in atto di portare doni al Messia. La
tradizione popolare aggiunge uno splendido equipaggio e li nomina Melchiorre, Gasparre e
Baldassare rappresentanti rispettivamente dei Semiti, degli altri di razza bianca e dei negri.
Basta che noi ci rappresentiamo alcuni uomini gravi, occupati dello studio del cielo, bramosi di
leggervi l’avvenire e specialmente preoccupati della venuta di un gran re aspettato in quel tempo
dagli Ebrei. Gli Ebrei erano, fin da quel tempo molto numerosi in Arabia, dove facevano conoscere
le loro speranze e dove era viva forse quella profezia di Balaam del profeta del paese di Moab che
aveva annunziato che una stella sarebbe uscita da Giacobbe e uno scettro si sarebbe innalzato da
Israele (Nm 24,17). Dai giorni del veggente contemporaneo di Mosè, le vaghe speranze di un gran
regno si erano mantenute vivaci. Esse erano anche diffuse in tutto il mondo antico. Il levare di un
astro e la venuta di un re erano congiunti nell’opinione pubblica e il primo si riteneva pronostico
della seconda. Ora i magi avevano visto levarsi in oriente un astro nuovo, verosimilmente una
cometa. Tutti credevano per certo esser quello il presagio di un regno glorioso. I magi pensarono al
futuro re degli Ebrei, di cui da loro si narravano cose tanto gloriose. Pensando dunque che egli fosse
nato, se ne vennero a Gerusalemme nella città santa del giudaismo, e, poco al corrente delle
circostanze e in particolare della feroce gelosia di Erode manifestatasi persino contro i propri
figliuoli, senza ambagi espressero la loro intenzione d’andare a rendere omaggio al neonato quando
fosse loro indicato il luogo della nascita. Nessuno degli abitanti di quella terra privilegiata avrebbe
dovuto ignorarlo” (L’Evangelo di Gesù Cristo, pp. 38-39).
2. Un altro grande biblista, Giuseppe Ricciotti, scrive: “Matteo non dice quanti fossero i Magi
venuti; la tradizione popolare tardiva li credette più o meno numerosi, da un minimo di due a un
massimo di una dozzina, ma con preferenza del numero tre suggerito certamente dai tre doni ch’essi
offrirono: di questi tre, già da prima del secolo IX, si seppero anche i nomi, Gaspare, Melchiore e
Baldassare” (Vita di Gesù Cristo, §. 253).
3. Sulle cadute di Gesù lungo la Via crucis i Vangeli non dicono nulla.
È stata la pietà popolare a parlare di tre cadute, le quali sono verosimili, vista la condizione di
assoluta prostrazione di Gesù, ormai privo di forze dopo la flagellazione.
Ecco che cosa scrive al riguardo Giuseppe Ricciotti: “§. 604. Partito dall’Antonia, il corteo
avanzava con lentezza lungo le vie affollate della città festante. Molti di coloro che avevano
formato la turba vociante davanti al pretorio, dovevano essere tornati alle loro case per fare i
preparativi della cena pasquale: i Sinedriti, non avendo più bisogno delle loro grida, li avevano
rimandati liberi. Tuttavia parecchi maggiorenti seguirono il corteo, per esser sicuri che tutto
procedesse bene e si venisse una buona volta alla conclusione finale. I lazzi e i sarcasmi che la
plebaglia riserbava ai condannati non mancarono certamente lungo la strada, ma i ludibri più
squisitamente feroci furono indirizzati a colui che il gesto sprezzante dei maggiorenti additava a
preferenza alla ferocia del volgo: il Rabbi galileo, molto più che i due ladroni, era degno di quegli
oscenidileggi.
Gesù, caricato del palo trasversale, camminava a stento. Si era sul mezzogiorno, e da prima della
mezzanotte egli era passato attraverso un’incessante serie di prove fisiche e orali d’incomparabile
violenza: prima l’amoroso e doloroso congedo dagli Apostoli nel cenacolo, poi il Gethsemani,
quindi l’arresto, il processo davanti al Sinedrio, i ludibri in casa di Caifa, il processo davanti a
Pilato, infine la spaventosa flagellazione, gli avevano tolto ogni residuo di forze. Sotto il peso della
trave egli vacillava, incespicava ad ogni passo, poteva stramazzare da un momento all’altro per non
rialzarsi più. Il centurione che comandava la scorta s’impensierì di questo fatto, il quale poteva far
sì che il compito a lui affidato o non fosse condotto a termine oppure subisse un ritardo enorme che
gli sarebbe stato rimproverato. E allora ricorse al ripiego della «requisizione», che già conosciamo
Si trovò a passare a caso di là un certo Simone di Cirene che Marco ama segnalare ama segnalare ai
suoi lettori di Roma come padre di Alessandro e di Rufo; veniva egli dalla campagna, ove
certamente era stato a lavorare, ed era indirizzato a casa sua; ma il centurione, data la necessità, lo
«requisì» e gli comandò di portare il palo che Gesù non poteva più portare. Nulla c’induce a credere
che questo Simone conoscesse Gesù o gli fosse discepolo, e quindi l’ordine ricevuto dovette essere
tutt’altro che gradito al «requisito» : se però suo figlio Rufo diventò più tardi persona insigne nella
cristianità di Roma e se la stessa moglie di Simone fu chiamata da Paolo per venerazione col nome
di madre, si può concludere che il servizio prestato a malincuore a Gesù produsse, in maniera a noi
sconosciuta, ottimi effetti” (Vita di Gesù Cristo, §. 604).
4. Infine un’annotazione su quanto hai scritto: “anche se si parla poi di ipotesi perché non sappiamo
se tutto quello che è scritto, sia vero”.
Carissima, noi sappiamo per fede che l’Autore principale delle Sacre Scritture, come dei Vangeli, è
lo Spirito Santo.
Su quanto ci è riferito dobbiamo essere assolutamente certi perché mai e poi mai Colui che Gesù
definisce lo Spirito della Verità (Gv 15,26) può dirci qualche cosa di falso.
Padre Angelo
Quesito
sono una cristiana molto credente ma ho una domanda che mi viene posta spesso: perché Dio viene
paragonato a un uomo, come padre nostro.
Risposta
Carissima,
Chiamandolo Padre, noi usiamo il linguaggio usato da Dio stesso. Il quale per altro ha espresso i
suoi sentimenti nei confronti dell’uomo paragonandoli anche a quelli di una madre.
3. In ogni caso non si tratta di una paternità biologica, come quella che si esprimeva nella mitologia
greca e pagana, ma soprannaturale.
Dio è Padre perché mediante la grazia santificante comunica agli uomini un germe della sua vita
divina e si relaziona con loro non solo come il Creatore con le creature alle quali dà tutto ciò che è
loro necessario per essere tali, ma li innalza alla sua vita divina facendoli diventare suoi famigliari e
amici.
4. “A quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12).
E lo si diventa quando si accoglie quel germe di vita santa e divina che Egli infonde in noi mediante
la grazia santificante.
5. San Paolo quando dice che siamo stati predestinati ad essere suoi figli adottivi (Ef 1,5) vuol
sottolineare che non siamo figli di Dio per natura, ma lo diventiamo per grazia, per benevolenza
divina.
Siamo “figli adottivi” nella linea in cui alcuni bambini, rimasti privi di genitori, vengono accolti da
altri e trattati come i figli di sangue, con tutti i diritti, compresa l’eredità.
E tuttavia diventare figli di Dio per adozione è una realtà molto superiore all’adozione umana, nella
quale i figli adottivi ricevono, sì, l’affetto, l’educazione e molti altri beni da parte delle persone che
li hanno adottati, ma non possono ricevere il loro DNA e tanto meno essere da loro interiormente
abitati e mossi.
5. Per questo San Giovanni, quando parla di questa filiazione nuova, tralascia l’aggettivo
“adottivo”. Sembra quasi temere che si possa pensare che non siamo veri figli di Dio, ma solo come
i figli adottivi di questo mondo.
È per questo egli insiste tanto nel dire che “siamo chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!” (1
Gv 3,1).
San Tommaso dice anche che “il bene della grazia di una sola persona è più grande del bene
naturale di tutto l’universo” (Somma teologica, I-II, 113, 9, ad 2).
E questo perché si tratta di ricevere una realtà di ordine soprannaturale che innalza al di sopra di
tutte le altezze della natura umana.
Eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze, per partecipare
anche alla sua gloria” (Rm 8,17).
8. Ebbene, il concetto di paternità col quale Dio ha voluto rivelarsi e comunicarsi agli uomini indica
bene tutte queste realtà nuove che sono tipiche della religione cristiana.
Padre Angelo
Quesito
Padre Angelo
La mia domanda, dopo aver letto alcune sue risposte ai quesiti su ebraismo e cattolicesimo è: non
ho ben capito padre Lei chi crede sia stato Gesù e perché?
Cordialmente Luigi
Risposta
Caro Luigi,
1. la domanda che mi fai suppone che Gesù sia un uomo del passato.
Se così fosse, Gesù sarebbe un uomo come tutti. Magari il più grande della storia, ma pur sempre un
uomo.
Si basa su quello che Gesù ha detto di se stesso e ne ha dato testimonianza con la propria vita.
Ecco dunque chi è Gesù per me: è la Sapienza divina che si è manifestata agli uomini assumendo
una natura umana: “E il Verbo si fece carnee venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14).
Convinto di questo, mi piacciono molto le due attestazioni di san Paolo sulla divinità di
Cristo: Gesù è “il nostro grande Dio e salvatore” (Tit 2,13) ed è “Colui che è sopra ogni cosa,
Dio benedetto nei secoli” (Rm 9,5).
3. La testimonianza che ne ha dato è costituita dalle sue opere, dalla sua predicazione e dalla sua
stessa vita.
Partiamo dalla sua stessa vita. Gesù chiede a me come ha chiesto agli interlocutori di cui parla il
Vangelo: “Chi di voi mi può accusare di peccato” (Gv 8,46).
Dove posso trovare un errore nelle sue parole, nelle sue opere, nel suo comportamento?
In tutto mi accorgo di non trovarmi semplicemente di fronte ad un uomo, ma a “Colui che è sopra
ogni cosa, Dio benedetto nei secoli” (Rm 9,5).
La sua autocoscienza di venire dal Padre, di essere disceso dal Cielo, di essere una cosa sola col
Padre suo mi schiaccia.
Vi sono anzitutto i miracoli che ha compiuto con la propria forza, senza dover prima pregare Dio
come fanno i santi.
Si mostra Signore della vita e della morte quando prende per mano la figlia di Giairo, morta, e le
dice: “Io ti dico, alzati” (Mc 6,41). La stessa cosa fa con il figlio della vedova di Nain (cfr. Lc 7,14)
e con Lazzaro quando con una parola lo fa uscire vivo Lazzaro dal sepolcro (cfr.Gv 11,43).
Si mostra Signore della natura quando comanda al mare in tempesta e questi subito si mette in pace.
Si mostra Signore dalla materia quando converte l’acqua in vino alle nozze di Cana e moltiplica i
pani e i pesci per sfamare migliaia di persone.
Non deve compiere alcun rito particolare per fare tutto questo: basta un atto della sua volontà, una
sua parola, che manifesta di avere il medesimo potere delle parole creatrici di Dio: “Dio disse: «Sia
la luce!». E la luce fu” (Gn 1,3).
5. Qualcuno ha pensato che Gesù agisse con la forza che gli veniva dal peggiore dei demoni,
Beelzebul (Mc 3,22).
Ma Egli ha replicato: “Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non potrà restare in piedi” (Mc
3,24).
E: “se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio” (Lc 11,20).
6. C’è poi l’autorevolezza e la luminosità della sua dottrina per la quale anche noi, come i soldati
mandati dai capi per arrestare Gesù, siamo costretti a dire: “Mai un uomo ha parlato così!” (Gv
7,46).
E anche come uomo non è come gli altri del passato, che sono defunti.
Cristo non è un defunto perché è risorto dai morti: “Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho le
chiavi della morte e degli inferi” (Ap 1,18).
Per questo attraverso la sua presenza, la sua parola, i suoi sacramenti e la sua azione invisibile è per
me istante per istante “risurrezione e vita” (Gv 11,25).
8. E confido che lo sarà per sempre anche nel momento supremo della mia esistenza quando gli
consegnerò la mia vita vissuta nonostante tante tiepidezze e fragilità solo per Lui.
Ti ringrazio di avermi stimolato a rispondere a una delle domande più belle che mi possano essere
fatte.
Padre Angelo
Quesito
vorrei farle una domanda sul passo dell’annunciazione narrato sul vangelo di Luca.
È noto come alle parole dell’angelo: “Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai
Gesù.” Maria abbia risposto: “”Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”.
In molti hanno visto in questa risposta un voto di verginità, tra di essi , se non erro, Sant’Ambrogio
e Sant’Agostino.
Eppure oggi alcuni, anche in ambienti cattolici, affermano che di quel voto non vi é traccia perché
Maria in sostanza avrebbe detto “come posso concepire se sono vergine?”
Ora io ritengo invece che il voto di verginità sia ravvisabile, perché l’angelo non ha detto
“concepirai in questo momento” ma ha usato un futuro generico: “concepirai, darai alla luce” quindi
sarebbe stato naturale per Maria pensare che il figlio che doveva nascere al futuro sarebbe stato
frutto di una futura unione con Giuseppe. Unione che se non c’era ancora stata ci sarebbe stata più
avanti. Allora perché quella risposta? Se ha escluso che Giuseppe poteva essere il padre biologico
anche in un generico futuro é perché il voto di verginità c’era.
Poiché Elisabetta chiamo Maria “madre del mio Signore” noi tendiamo a pensare che il
concepimento avvenne lo stesso giorno dell’annunciazione, ma l’angelo non aveva detto niente su
quando le sue parole si sarebbero realizzate.
Ho ragione?
La ringrazio tanto, e ci tengo ad esprimere la mia simpatia per il suo ordine caro alla Madonna e che
da molta importanza allo studio e alla predicazione.
Stefano
Risposta
Caro Stefano,
2. Intanto vediamo che cosa dice il padre M.J. Lagrange, che qualcuno ha definito come il San
Girolamo del nostro tempo.
E allora, si potrebbe domandare, perchè si era fidanzata a Giuseppe? Perché, può rispondersi,
doveva inevitabilmente sposarsi per osservare la volontà dei suoi parenti, ma sopratutto per la
tirannia delle usanze locali che non ammetteva il celibato volontario in una figlia d’Israele. Per
riuscire a questo essa avrebbe dovuto resistere incessantemente e impegnarsi in una lotta perpetua,
sola contro tutti e, come può pensarsi, contro ogni ragione
plausibile. Essa si era dunque fidanzata, ma a Giuseppe. Una semplice congettura, fondata sopra la
serie degli avvenimenti basta a spiegare in qual modo il suo voto di verginità si conciliasse col suo
proposito di matrimonio. Si ritiene che Giuseppe partecipasse agli stessi sentimenti di lei che d’altra
parte erano in quel tempo comuni anche a quei personaggi che si chiamavano gli Esseni. Unita in
matrimonio ad un uomo giusto e casto come lei, essa si assicurava una pace tranquilla in quella
convivenza tutta consacrata a Dio da due anime degne di comprendersi e di amarsi in Lui”
(L’Evangelo di Gesù Cristo, pp. 17-18)
2. La Bibbia di Gerusalemme (edizione 2008) nella nota a Lc 1,34 scrive: “Nulla nel testo impone
l’idea di un voto di verginità”.
Nell’edizione del 1974 si leggono le medesime parole, ma il traduttore italiano aveva aggiunto:
“Altri pensano invece a un voto di verginità, come meglio rispondente al senso globale del
racconto” (N.d.R.)
3. Tuttavia il testo originale della Bibbia di Gerusalemme che è in francese scrive: “L’espressione
afferma l’assenza di relazioni coniugali come un fatto e forse come un risoluzione già presa”.
Queste parole di Maria sono l’indizio di ciò che essa pensava nella sua mente. Infatti se avesse
voluto sposare Giuseppe in vista dell’unione sessuale, perché viene colta da stupore quando le viene
annunciato il concepimento?
Poiché in tal caso essa stessa avrebbe chiesto di diventare madre secondo la Legge naturale.
Ma poiché era opportuno conservare come una cosa inviolabile il suo corpo consacrato a Dio,
perciò dice: poiché non conosco uomo; come se dicesse: benché tu sia un Angelo, tuttavia poiché si
vede che per me è impossibile conoscere uomo, in che modo sarò madre essendo priva di un
coniuge? Poiché conosco Giuseppe solo come promesso sposo”.
5. Nella Somma teologica San Tommaso si domanda espressamente se la Madre di Dio abbia fatto
voto d verginità.
“Scrive Sant’Agostino: “All’angelo dell’annunciazione Maria rispose: “In che modo avverrà
questo, poiché non conosco uomo?”. Certamente non avrebbe detto così, se prima non si fosse
votata a Dio nella verginità”(De Sancta Virginitate, 4).
E poi: “Come si è detto nella Seconda Parte, le opere della perfezione sono più lodevoli, se vengono
compiute per voto.
Ma nella Madre di Dio la verginità doveva avere uno splendore straordinario, come risulta dalle
ragioni riportate antecedentemente.
Era perciò conveniente che la sua verginità fosse consacrata a Dio con un voto.
Però, siccome sotto la legge tanto le donne quanto gli uomini dovevano attendere alla procreazione,
perché con essa si propagava il culto di Dio prima che da quel popolo nascesse Cristo, non è
pensabile che la Madre di Dio, prima di fidanzarsi con Giuseppe, abbia fatto il voto di verginità in
modo assoluto, sebbene desiderasse la verginità; ma su questo punto rimise la sua volontà
all’arbitrio divino.
In seguito poi, dopo aver preso un fidanzato come esigevano gli usi del tempo, insieme con lui
emise il voto di verginità” (Somma teologica, III, 28,4).
6. Che dire del pensiero dei Santi Padri e di San Tommaso che sembra diverso da quello che oggi
propongono molti studiosi?
Ci sono anzitutto motivazioni legate al testo stesso che i Santi Padri e San Tommaso leggevano con
molta attenzione.
Occorrono soprattutto i doni dello Spirito Santo che non si arrestano alla materialità delle parole,
ma vi penetrano dentro per cogliere il più profondo significato che lo stesso Spirito Santo, che è
l’autore principale dei testi sacri, ha racchiuso in quelle parole.
6. Ti ringrazio infine per quanto hai scritto sull’Ordine domenicano: “Ci tengo ad esprimere la mia
simpatia per il suo ordine caro alla Madonna e che dà molta importanza allo studio e alla
predicazione”.
Sì, è così. E credo che questo sia il motivo per cui in un momento in cui c’è una crisi generalizzata e
drammatica di vocazioni un po’ ovunque il nostro Ordine, tutto sommato, tiene e in un alcune
proviene del mondo occidentale addirittura sembra avere un certo incremento.
Padre Angelo
Quesito
M.
Risposta
Caro M.,
1. non è inutile il tuo lungo preambolo perché mi dà modo di consigliarti in maniera più adeguata.
Infatti il primo consiglio che ti do è quello di consolidare la tua vita cristiana attraverso una regolare
pratica sacramentale (confessione ed Eucaristia) e attraverso la preghiera.
La vita di preghiera, grazie a Dio, è già presente con il Santo Rosario. Continua così. Non staccarti
mai da questo appuntamento con Cristo e con la Madonna che secondo me assomiglia all’incontro
di Dio in parvenze umane con i nostri genitori nel giardino dell’Eden.
Si avverte sempre un senso di pace dopo quello spazio di tempo dedicato alla preghiera e si ha
l’impressione che se anche nel resto della giornata avessimo concluso poco tuttavia quella della
preghiera del Santo Rosario è stato il momento più alto e più proficuo per noi stessi e per tutta la
Chiesa.
2. Sarei contento se insieme con il Rosario fosse già presente la vita sacramentale.
Perché allora il discorso sulla vocazione sarebbe semplicemente come uno di quei sogni che molto
spesso accompagnano i neo convertiti.
Per vita sacramentale intendo la Messa domenicale e la confessione fatta in maniera regolare e
frequente (almeno due volte al mese) sempre col medesimo confessore.
4. Prima di dare la risposta alle due domande concrete che mi hai fatto desidero dire una parola
sulla tua vocazione all’Ordine domenicano.
La tua volontà di aiutare le persone che si sono smarrite nel nichilismo e nel vuoto dell’ateismo
come Dio ha aiutato te mi pare una valida motivazione.
Il nostro Santo Padre Domenico era ansioso di portare la pienezza di vita di cui può godere un
cristiano alle persone che in quel periodo vivevano un’altra forma di vuoto e di nichilismo, anche se
motivato da connotazione religiosa.
Il nostro Ordine religioso ha carattere apostolico.
La forma di vita che si vive all’interno (vita comunitaria con i consigli evangelici, la partecipazione
comunitaria alla Liturgia delle ore e in particolare dell’Eucaristia, lo studio ed alcune osservanze
come il silenzio, il portare l’abito religioso e vivere in luogo riservato) ha come scopo di portare
Dio agli uomini, soprattutto ai più lontani, e gli uomini a Dio.
5. Dopo questo lungo preambolo (un po’ come il tuo!), vengo alle domande precise che mi hai fatto.
Dal momento che nella tua città sono presenti tanto la facoltà di filosofia presso l’università civile
quanto lo studio di filosofia proprio dell’Ordine, senza alcun dubbio ti consiglio di frequentare il
nostro studio per diversi motivi.
Primo, perché la laurea breve conseguita presso il nostro studio è riconosciuta dallo stato italiano.
Per il tuo futuro in ogni evenienza la laurea presa da noi ha il medesimo valore della laurea
conseguita presso l’università statale. Per cui non sarebbe mai tempo perso.
In secondo luogo perché i nostri corsi di filosofa seguono un curriculum di studi necessari per
affrontare la teologia. Nel caso invece che tu frequentassi l’università statale vi sarebbe poi la
necessità di integrare gli studi con qualche corso. Penso ad esempio ai corsi di antropologia
filosofica e di metafisica.
In terzo luogo perché a contatto con docenti e studenti domenicani avresti la possibilità di
confrontarti su una tua precisa chiamata alla vita domenicana e su una sua eventuale tenuta.
È vero che l’università civile offre un ventaglio più ampio di corsi. Ma nulla proibisce che tu possa
fare questo già adesso perché è consentito di frequentare corsi presso l’una e l’altra facoltà. Ed è
consentito soprattutto in futuro qualora il tuo ministero necessitasse di alcune integrazioni.
6. Chiedi poi se sia meglio entrare subito nell’Ordine e fare poi gli studi di filosofia oppure
viceversa.
Ebbene dal momento che non potresti entrare subito nell’Ordine senza aver fatto un anno da
aspirante (in quest’anno si continua a vivere a casa propria e si partecipa agli incontri previsti),
dovresti per forza iscriverti da qualche parte per no rimanere con le mani in mano.
Pertanto anche per questa domanda la risposta è facile: iscriviti subito al corso di Filosofia dello
Studio domenicano.
Iniziato questo corso, sei sempre in tempo per concluderlo da laico o da frate.
Se lo concluderai da frate domenicano, dovrai interromperlo per il prenoviziato e per il noviziato),
ma in ogni caso non perderesti del tempo.
Con l’augurio che lo studio della filosofia che tra breve inizierai ti aiuti ad approfondire la tua
vocazione e che tu possa diventare mio confratello, ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
Carissimo,
1. ti ringrazio per la disponibilità a collaborare con il nostro sito.
In questo modo cooperi concretamente per l’instaurazione del Regno di Dio nel cuore degli uomini.
Sono certo che il Signore se ne compiacerà.
Sono contento che il Signore ti faccia sentire sempre la sua vicinanza: prima con la conversione dal
nulla dell’ateismo, poi con il desiderio di camminare secondo le vie di Dio con colei che non è
ancora tua moglie a tutti gli effetti e infine con la collaborazione alla versione del sito in altra
lingua.
2. Sottolineo l’espressione che hai usato a proposito delle nozze civili: “perché ero ancora nel nulla
dell’ateismo”.
Come è perfettamente corrispondente al vero quest’espressione!
È proprio così perché l’ateismo non dà nulla ad una persona, ma piuttosto la priva di tutto.
4. Dice Santa Teresa d’Avila: “Non perdete una così bella occasione per trattare dei vostri interessi
come quella che si offre dopo la comunione” (Cammino di perfezione, 34,10).
Santa Faustina Kowalska confida che un giorno il Signore le disse: “Il Signore le dice:
“Desidero unirMi con le anime umane; la Mia delizia è unirMi con le anime. Sappi, figlia Mia, che
quando nella santa Comunione vengo in un cuore umano, ho le mani piene di grazie di ogni
genere e desidero donarle all’anima, ma le anime non Mi prestano nemmeno attenzione. Mi
lasciano solo e si occupano d’altro. Oh, quanto è triste per Me che le anime non conoscano
l’Amore! Si comportano con Me come con qualche cosa inerte” (19.11.1937).
Sottolineo due espressioni di questa bella affermazione: “ho le mani piene di grazie” e “di ogni
genere”. Sono grazie di ordine temporale e di ordine soprannaturale.
Siamo tutti invitati a fare la prova se questo sia vero, purché si riceva il Signore in maniera degna,
in grazia di Dio, senza peccati gravi che macchiano l’anima e impediscono al Signore di rendersi
presente e di operare.
5. Adesso tu ti trovi nella condizione di poter essere confessato e di fare la santa Comunione,
sebbene non dove sei conosciuto come sposato solo civilmente.
Pur vivendo in una situazione irregolare, ma ormai con la risolutezza di vivere secondo le vie di Dio
e nella castità, puoi sperimentare quanto sia vero ciò che dissero Santa Teresa d’Avila e Santa
Faustina Kowalska.
Nelle tue Comunioni il primo pensiero sia per colei che vive a fianco a te e che ha bisogno di
ricuperare la vista della fede, e cioè di vedere la propria vita e il proprio futuro con gli occhi stessi
di Dio.
La grazia della Santa Comunione è un bene così grande che vale bene la rinuncia a qualsiasi
peccato.
Infatti “quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?”
(Lc 9,25).
6. Non dimenticare la grande promessa di Gesù: “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel
mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,10-11).
Gesù promette pienezza di vita nella vita presente e in quella futura.
L’ateismo invece assicura il niente di qua e prepara l’autoprivazione di Dio di là e la conseguente
sofferenza per la privazione di ogni bene.
Ti ringrazio per questa testimonianza che nasce direttamente dal tuo vissuto di ateismo e di
credente.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
Sono un padre di 66 anni che ha perso il suo amabilissimo figlio in un banale incidente aereo
(voleva fare del volo la sua professione). Ora mi sembra di impazzire ma cerco risposte spirituali di
dove ora sarà, cosa farà se mi vedrà ecc. L mia era una famiglia felice con due ragazzi di 22 e 23
anni e lui era l’elemento perfetto di unione tra tutti: sportivo (nazionale italiana nuoto ed insegnante
di nuoto), studente in procinto di laurearsi in scienze motorie e quasi tutte le domeniche insieme alla
famiglia in chiesa. Era un figlio meraviglioso, mai una parola fuori posto, mai un tatuaggio, mai un
alcolico.
Ora che il suo corpo non c’è più passo le giornate in internet per cercare di capire se la sua anima
fosse in Purgatorio o Paradiso (scongiurando l’Inferno poiché ai miei occhi era un ragazzo buono,
altruista, con frasi sempre piene di amore verso tutti) cosa fa? Tra anime forse si capiscono senza
parlare, ma si vedono? Dio ha ridato a lui il "corpo glorioso"? Perchè altrimenti attendere la fine del
mondo per riavere un corpo? Da quando lui non esiste più in questa terra, pur desiderandolo
ardentemente, non l’ho mai sognato o sentito in qualche modo come tanto vorrei.
Forse sono cose sciocche ma lui chiedeva "mi vuoi bene"?, "noi staremo sempre insieme". Ora mi
sembra averlo tradito dopo che è stato messo all’obitorio per circa due mesi e riusciti a fare il
funerale solo il 1 agosto. Anche il suo cane lo cerca ed io non so cosa fare.
Grazie delle risposte che mi darà e spero nelle Sue preghiere e conforto.
Franco, padre di Gioele ora in cielo.
Caro Franco,
1. mi spiace tantissimo per Gioele che ti è stato sottratto nella sua presenza corporea.
San Luigi Gonzaga, morto all’età di 23 anni mentre assisteva gli appestati, poco prima di morire ha
scritto a sua madre le seguenti parole:
“Guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e
che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga.
Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza godremo gioie immortali,
lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie.
Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro e inviolabile e
per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremmo”.
2. Mi pare che Gioele ti ripeta dal Cielo una per una tutte queste parole.
Ti dice: “Il Signore ha posto la mia vita in un posto più sicuro e inviolabile”.
E proprio per questo ti dice: “La separazione non sarà lunga.
Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza godremo gioie immortali”.
Infine: “Non piangere come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può
venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita”.
3. Pertanto ti esorto a stare unito a Gioele, soprattutto nella preghiera del Santo Rosario e nella
celebrazione della Santa Messa.
Forse hai già sperimentato molte volte quanto siano vere le parole della Liturgia della Chiesa: “Ai
tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo
esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo”.
4. Adesso la tua comunione con Gioele è diventata più continua, più intima.
Non c’è solo il pensiero, il ricordo. C’è la sua presenza, simile a quella di Cristo che invade e
riempie il cuore di chi vive in grazia.
È una presenza che non dà mai fastidio. È sempre piacevole.
5. Quando ti assale la mestizia, perché la presenza materiale di Gioele non c’è più, ricordati delle
parole di San Luigi Gonzaga: “Non piangere come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la
sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita”.
E affidati subito alla sua intercessione.
Anche nel caso fosse ancora in Purgatorio, la sua preghiera e i meriti della sua vita sono sempre vivi
davanti a Dio e intercedono per te e per tutti.
6. Da parte tua cerca di non far mancare mai il suffragio per Gioele, soprattutto con la celebrazione
della Santa Messa che serve non solo per la purificazione, ma anche per la sua maggior gloria in
Paradiso.
Quando si parla di maggior gloria non s’intende un possesso più pieno di Dio, perché questo è già
stato raggiunto definitivamente secondo il grado di grazia con cui si è presentato davanti al Signore.
Ma si vuole significare una maggiore comunione tra chi è in Cielo e chi è ancora sulla terra. Questa
comunione si manifesta anche attraverso molti segni di affetto e le varie grazie che ci ottengono da
Dio e con cui accompagnano la nostra vita.
7. Per ora il Signore non ha ancora ridato a Gioele il suo corpo. Glielo darà glorioso quando tornerà
nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e cioè alla fine del mondo per il giudizio universale.
È proprio perché non glielo ha ancora ridato è possibile per Gioele una certa crescita spirituale: può
ricevere da noi molti beni, come quelli del suffragio, e può contraccambiarli donandone a noi molti
di più.
Tra breve scenderò per la celebrazione della Santa Messa. Pregherò per Gioele per essere anch’io
tra i primi beneficiari della sua intercessione davanti a Dio.
Ti benedico, ti ricordo al Signore e fraternamente ti abbraccio in Cristo.
Padre Angelo
Quesito
La ringrazio per la tanta pazienza e l’amore che dedica ai lettori di questa rubrica.
Con riconoscenza,
Alessandro
Caro Alessandro,
1. non conosco i tutti i suoi dettagli la parte di storia della Chiesa di cui mi hai parlato.
Ma quanto ho appreso è sufficiente per essere ancor più convinti che il Signore è sempre presente
sulla sua barca, anche se si riempie di onde e talvolta sembra sul punto di affondare.
Nessuno dei Papi di cui mi hai parlato ha dovuto intervenire sancendo verità (dogmi) di fede.
Nessuno di essi ha insegnato verità contrarie alla fede.
E questo è quanto basta per ripetere sempre con fiducia: “Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e
apostolica”.
2. A proposito del giorno in cui avvenne la cena pasquale avevo già riportato sul nostro sito la
risposta puntuale del padre M.J. Lagrange, fondatore dell’Ècole biblique.
Adesso la ripropongo in maniera più estesa:
“La Pasqua era una festa solennissima e il riposo vi era strettamente obbligatorio. Tutto l’agitarsi
che si danno i capi dei sacerdoti e farisei, la comparsa di Gesù davanti al Sinedrio, le pratiche
compiute dinnanzi a Pilato, tutto ciò che raccontano di comune accordo i quattro evangelisti come
avvenuto durante il venerdì, non avrebbe potuto compiersi nel giorno più solenne dell’anno.
Specialmente i sinottici affermano che gli Ebrei volevano venirne a capo prima della festa. Bisogna
dunque ritenere come certo che in quell’anno la festa di Pasqua non sia caduta in venerdì ma in
sabato, e resta pertanto a spiegare perché Gesù abbia celebrato la cena pasquale un giorno prima dei
capi della nazione.
Si potrebbe appellarsi al suo diritto sovrano; ma i discepoli non lasciano trasparire le minima
sorpresa per il giorno scelto e i primi evangelisti insinuano esser stato quello il giorno legale.
Rendendosi necessario uno schiarimento, diremo quello che, secondo le usanze degli Ebrei di quel
tempo, ci pare più verosimile.
Secondo la legge, il banchetto pasquale doveva celebrarsi la sera del 14 Nisan. Gli Ebrei non
cominciavano la loro giornata come noi a mezzanotte, ma al tramonto del sole del giorno
precedente: il che non li impediva di contare i giorni come li contiamo noi. La sera del 14 Nisan
faceva già parte del giorno 15, eppure la si designava come la sera del 14 Nisan. Volendosi
esprimere in questo modo, il banchetto pasquale aveva luogo il 14 Nisan. Fin dal mattino si
facevano le pulizie alla casa, si eliminava ogni traccia di pane fermentato, giacché i pani azzimi
erano rigorosamente prescritti durante il banchetto di Pasqua e negli otto giorni successivi alla festa.
Il 15 Nisan era più specialmente il giorno degli azzimi e si diceva indifferentemente la festa di
Pasqua e la festa degli azzimi. L’agnello pasquale era una vittima sacra, ed era prevalsa l’usanza di
immolarlo nel tempio e di aspergerne col sangue l’altare. Dopo di ciò l’offerente l’andava a far
arrostire in casa. Il pasto cominciava a notte fatta, e non doveva prolungarsi oltre le due ore del
mattino.
Quando doveva farsi la immolazione? La questione è controversa; secondo la legge doveva aver
luogo tra le due sere, volendosi con ciò indicare il crepuscolo; e perciò i Sadducei, ben convinti di
ciò, asserivano che essa dovesse aver luogo tra le sei e le sette e mezza di sera. Fin dai tempi di
Giuseppe, però, i Farisei permettevano di cominciare la immolazione alle tre e mezza, anzi, qualora
la Pasqua cadesse in giorno di sabato, un’ora prima.
Infatti accadeva di tanto in tanto che il 15 di Nisan cadesse in sabato. Essendo in tal giorno
interdetto qualsiasi lavoro, e cominciando il giorno la sera del giorno antecedente, come era
possibile immolare un agnello verso il tramonto del sole? Tale fu la opinione di Hillel, verso l’anno
25 av. Gesù Cristo, opinione che prevalse tra i Farisei e che troviamo autenticata dalla Mishna. Di
più, se fosse stato permesso di immolare l’agnello giacché si trattava di culto pubblico, non sarebbe
poi stato permesso di cuocerlo. Fu quindi per ciò che venne considerato come legittimo anticipare
l’ora della immolazione. Per tal modo si veniva ad avere tutto il tempo necessario anche per
arrostire l’agnello prima del tramonto del sole; ma poi il principio di Hillel poteva ben essere esteso
anche più in là che nella Mishna, avendo dopo tutto la Pasqua il sopravvento sopra il sabato.
Non è però evidente che un tale principio sia stato dapprima riconosciuto da tutti i sadducei e
neppure dalla unanimità dei farisei. Dopo la distruzione del Tempio i farisei della scuola di Hillel
ebbero il sopravvento, mentre quarant’anni primi erano ancora i sadducei quelli che regolavano
tutto ciò che si faceva nel Tempio. “Se non volevano rinunciare ad alcuno dei lo due principi di far
l’immolazione al crepuscolo e di non violare il sabato, non rimaneva che il partito di immolare gli
agnelli un giorno prima.
Con ciò non si anticipava di un giorno la festa ma solamente si veniva a mettersi in regola col
sabato, salvo a mangiare l’agnello al momento voluto, la sera dell’indomani.
Tuttavia alcuni continuavano a credersi in obbligo di mangiare nello stesso giorno l’agnello
immolato; e i Galilei, quali provinciali e però più ligi alle antiche usanze, avevano conservato forse
questa pratica, di maniera che Gesù non li avrebbe in alcun modo meravigliati col proporre di fare
la Pasqua al tredici, dal momento che il sabato cadeva in quell’anno ai 15 di Nisan.
Ma se si mangiava l’agnello pasquale la sera del 13 ci sembra evidente che ciò dovesse farsi con
pani azzimi, non fosse altro per non snaturare il rito pasquale (Es 12,8).
Si era dunque avanzata di un giorno la festa ma da alcuni gruppi solamente, né la tale diversità
aveva l’importanza che noi ci immaginiamo. (…).
D’altra parte i sacerdoti, che non potevano bastare a tanti sacrifici non si sarebbero rifiutati di
immolare gli agnelli dei Galilei, sopratutto quando questi avessero visto la luna nuova un giorno
prima e quando anticipassero, a giudizio di quei di Gerusalemme, solo per non lavorare in giorno di
sabato.
Quanto agli abitanti di Gerusalemme che si attenevano alle norme dettate dai loro capi religiosi, per
quell’anno la festa non cominciò se non il venerdì sera, mentre Gesù con i suoi discepoli si assise
alla cena pasquale la sera del giovedì.
D’altronde i discepoli erano così persuasi di quel loro diritto che fin dal mattino di quel giorno,
detto da s. Marco il primo giorno degli azzimi in cui si immolava la Pasqua, cioè l’agnello pasquale,
prendono da se stessi l’iniziativa: “Dove vuoi, gli dicono, che andiamo a fare i preparativi per
mangiare la Pasqua?”. Non si poteva andare a Betania giacché il rito lo si doveva compiere a
Gerusalemme. Occorreva quindi procurarsi una sala abbastanza capace, volendo Gesù avere con sé
i dodici durante quella sera” (L’Evangelo di Gesù Cristo, pp. 486-489).
Quesito
Caro Alessandro,
1. conosciamo casi di persone che hanno avuto conoscenze sorprendenti senza averle imparate da
nessuno.
C’è stato il caso – forse il più clamoroso – di Gregorio Lopez (1562-1596), eremita spagnolo
trasferitosi poi in Messico dove lavorò – sempre da anacoreta – come amanuense.
Ebbene, Gregorio Lopez pur non avendo fatto alcuno studio possedeva una vastissima conoscenza
della Sacra Scrittura, della storia della Chiesa, dei principi della vita spirituale e della direzione
delle anime.
Non solo, ma aveva conoscenze straordinarie di astrologia, cosmografia, geografia, anatomia,
medicina, farmacia e agricoltura.
Fu un mistico elevato, visse continuamente alla presenza di Dio e di se stesso dice che “per 36 anni
era stato in un atto puro e nudo di amore di Dio, senza interromperlo nemmeno un momento”.
Sotto il profilo teologico si potrebbe collegare la sua conoscenza ai doni dello Spirito Santo
dell’intelletto e della scienza.
Il dono dell’intelletto ha dato di conoscere l’intima essenza delle realtà divine e anche delle realtà
create.
Il dono della scienza mostra il legame delle realtà create con il loro Creatore di cui sono un riflesso
e un richiamo.
2. Il personaggio che tu presenti è di uno stampo del tutto diverso e sembra doversi dire che la sua
conoscenza l’abbia tratta da colui che il Signore chiama “menzognero e padre della menzogna” (Gv
8,44).
San Tommaso afferma che nei demoni si trovano alcune verità, altre le congetturano.
Ma poiché il demonio non può penetrare direttamente nell’intelletto dell’uomo nel congetturare
sbaglia, perché le azioni umane non procedono in maniera deterministica ma sono soggette alla
libertà.
E questa, essendo una caratteristica dell’anima umana nella quale il demonio non può penetrare,
sfugge alla conoscenza del demonio.
Per questo Gesù dice di lui: “Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre
della menzogna” (Gv 8,44).
Pertanto le sue affermazioni non sono credibili e si perde solo del tempo nell’andargli dietro e nel
riempirsi di inutili paure.
3. La profezia che il mondo finirebbe nel 2031 è il segno che quanto ha detto non è conforme a
verità
Gesù infatti ha detto: “Quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli del cielo né il
Figlio, ma solo il Padre” (Mt 24,36).
Ti ringrazio del ricordo al Signore e di avermi affidato alla protezione della Santa Madre di Dio.
Contraccambio di cuore la preghiera, ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo
Quesito
Caro Giovanni,
1. sono contento per la tua vita spirituale e per come la curi.
Continua così.
È una grazia inestimabile il tuo riavvicinamento a Dio.
Dici però che dopo questo riavvicinamento ti senti più solo.
Probabilmente sotto il profilo esterno sarà così.
Ma nel tuo interno non sei più solo, perché mediante la grazia il Signore ti è vicino.
Sono certo che lo senti.
Così come senti vicino, anzi, presente in te tutto il Paradiso.
Penso che anche tu possa dire in qualche modo ciò che ha detto San Paolo: “Nella mia prima difesa
in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Nei loro confronti, non se ne tenga
conto” (2 Tm 4,16).
Ma subito dopo ha soggiunto: “Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza” (2 Tm 4,17).
2. La vicenda di Giobbe, con la presenza di Satana che riceve il permesso di provarlo in tutte le
maniera, è molto istruttiva.
Dio l’ha permessa per far capire che certi mali hanno un’origine preternaturale.
In genere questi mali non colpiscono i giusti e cioè coloro che vivono in grazia perché la Sacra
Scrittura dice: “Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà lontano da voi”
(Gc 4,7).
3. Ma talvolta Dio permette che Satana colpisca anche i giusti.
Il “giusto” per antonomasia che è stato colpito è Gesù Crosto, Nostro Signore.
Dio ha permesso che Satana si scagliasse contro di Lui proprio perché potesse entrare nel regno dei
morti e aprirne un varco per Se stesso e per noi attraverso la sua risurrezione.
4. Parimenti Dio ha permesso che Satana colpisse Giobbe perché comprendessimo i significati più
alti della sofferenza degli innocenti che cooperano in maniera molto efficace alla conversione di
molti.
6. Questo è ancora solo un segno pallido di ciò che Dio prepara per i giusti che vengono tormentati
dai mali e dai demoni.
Dice infatti per bocca di San Paolo: “Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano
paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi” (Rm 8,18).
E ancora: “Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata
ed eterna di gloria” (2 Cor 4,7).
E “quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha
preparate per coloro che lo amano” (1 Cor 2,9).
7. Se quando Dio ha dato la risposta a Giobbe e questi ha detto: “Ecco, non conto niente: che cosa ti
posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte
ho parlato, ma non continuerò” (Gb 40,4-5) che cosa non avrà mai detto quanto si è visto
ricompensato oltre ogni misura?
8. Abbi dunque fiducia. Il Signore sta preparando per te qualcosa di infinitamente più grande di
quello che è stato dato a Giobbe.
Potrai mostrare in eterno a tutti i Santi del Cielo ciò che il Signore ha fatto in te.
Lo mostrerai proprio ripetendo le parole di Giobbe: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia
benedetto il nome del Signore” (Gb 1,21).
Quesito
Caro Padre Angelo
Non trovando quesiti simili sul sito, Le scrivo umilmente, per avere un Suo parere:
mi chiedo se preparare su un foglio degli "appunti", poi da studiare a memoria da dire al confessore.
Si può fare e senza commettere un peccato in più, o è meglio dire il tutto direttamente e "di pancia".
Grazie
Carissimo,
1. per la celebrazione del sacramento della Penitenza o Confessione è necessaria l’accusa dei
peccati mortali.
Per facilitarla è opportuno fare il cosiddetto esame di coscienza.
2. Qualcuno per timore di tralasciare qualche peccato pensa che sia giusto scriverlo.
Ebbene su questo punto la Chiesa in passato era molto chiara: scrivere i peccati era considerato un
mezzo straordinario.
La Chiesa non l’ha mai imposto e non lo ha mai favorito.
Anzi di fatto ha sempre dissuaso da questo tipo di diligenza, considerata appunto straordinaria.
Per gli scrupolosi la prassi pastorale addirittura dice che sono esonerati dal fare l’esame di
coscienza.
3. Qualcuno obietta che in passato lo scrivere i peccati era considerato diligenza straordinaria
perché non c’era facilità di procurarsi la carta.
Inoltre la gran parte della gente era incapace di scrivere i peccati.
Infine ci sarebbe stato il pericolo di perdere lo scritto con la conseguente diffamazione del penitente
stesso.
4. Tuttavia anche se nello scrivere i peccati non vi fosse oggi alcuna diligenza straordinaria va
evitato comunque di scriverli.
Infatti se dopo aver fatto l’esame di coscienza si fosse dimenticato di accusare un peccato grave,
l’assoluzione rimane valida perché c’era tutta la volontà di non nascondere nulla.
6. Il medesimo Catechismo Romano afferma poi che “le lacune della confessione, non volute di
proposito ma provenienti da involontaria dimenticanza o da manchevole esplorazione della propria
coscienza, pur sussistendo l’intenzione di confessare tutte le proprie colpe, non impongono che tutta
la confessione sia ripetuta.
Basterà in un’altra occasione confessare al sacerdote le colpe dimenticate, dopo che esse siano
tornate alla memoria” (Ib.).
7. Si noti che cosa ha detto il Concilio: “Le lacune non volute di proposito ma provenienti da
involontaria dimenticanza o da manchevole esplorazione della propria coscienza”.
Proprio per questo i fedeli vanno dissuasi dallo scrivere i peccati per timore di dimenticarli.
Sebbene l’accusa di peccati sia di diritto divino per cui chi involontariamente ne dimentica
qualcuno è tenuto ad accusarlo nella seguente confessione, tuttavia va ricordato che l’atto principale
del penitente nel Sacramento della confessione non è l’accusa dei peccati, ma il pentimento.
Senza pentimento non c’è mai remissione dei peccati.
Con la dimenticanza involontaria dell’accusa di qualche peccato grave c’è invece remissione dei
peccati.
8. Sebbene non rientri nella domanda del nostro visitatore, mi piace ricordare come i parroci
dovevano insegnare ai fedeli anche la postura del penitente nella celebrazione di questo sacramento:
“Come occorre mostrare ai fedeli l’istituzione divina della confessione, occorre anche insegnare che
per autorità della Chiesa furono aggiunti riti e cerimonie solenni, non inerenti alla essenza del
sacramento, ma tali da farne maggiormente risaltare il valore, e da predisporre le anime dei
penitenti, riscaldate dalla pietà, a ricevere più copiosamente la grazia del Signore.
Prostrati a capo scoperto ai piedi del sacerdote, gli occhi abbassati, le mani in atto di supplica,
dando prova anche in altri modi, non necessari all’essenza del sacramento, di cristiana umiltà,
confessiamo i nostri peccati. Mostriamo così di comprendere che nel sacramento è racchiusa una
forza celeste, e che doverosamente con tutto l’ardore imploriamo e cerchiamo la misericordia
divina” (Catechismo Romano, 253).
Forse nessun prete oggi fa queste raccomandazioni. Né sono imposte.
Ma ci sono dei fedeli che senza essere stati istruiti ad hoc, sentono da se stessi che l’atteggiamento
più vero è quello di mettersi in ginocchio davanti al sacerdote, tenere le mani giunte e gli occhi
abbassati.
Sono consapevoli che nel sacramento è racchiusa una forza celeste e anche con il comportamento
esteriore cercano e implorano la misericordia divina.
Quesito
Nicola
Caro Nicola,
1. se la confessione viene fatta in maniera regolare e frequente e sempre col medesimo sacerdote è
già una forma di direzione spirituale.
Di per sé non sarebbe necessario fare degli incontri personali, fuori della celebrazione del
sacramento.
Ma, soprattutto in questo campo, molto dipende dalle persone e anche dal sacerdote.
2. Alcune persone hanno tante cose da chiedere e preferiscono avere un colloquio fuori dalla
confessione.
In questi casi può essere utile anche un incontro a parte, soprattutto con i neo convertiti.
In questo campo non vi è una regola identica per tutti: c’è che segue una strada e chi un’altra, a
seconda delle proprie inclinazioni e delle proprie necessità.
3. Non è neanche necessario dire al confessore che lo si prende per direttore o padre spirituale.
Di fatto lo diventa andando a confessarsi sempre da lui.
La confessione regolare e frequente nella quale si accusano i propri peccati diventa l’occasione più
opportuna per parlargli della propria vita di preghiera, di certe particolare esperienze spirituali, di
alcuni problemi che nascono nelle relazioni col prossimo, di problematiche ecclesiali, ecc…
Allora il sacerdote diventa la guida, il consigliere, il “padre spirituale”.
4. Questa è stata l’esperienza di san Giovanni Bosco quand’era ragazzo. Ne ha fatto tesoro per tutta
la sua vita diventando di fatto per moltissimi giovani il padre della loro anima. Non era necessario
ce i ragazzi gli dicessero: “La prendo come mio direttore spirituale”.
Ecco come la racconta: “Da quando cominciai a recarmi da don Calosso, ebbi piena confidenza in
lui. Gli raccontai ciò che facevo, ciò che dicevo, gli confidai persino i miei pensieri. Così egli poté
darmi i consigli giusti.
Provai per la prima volta la sicurezza di avere una guida, un amico dell’anima. Per prima cosa mi
proibì una penitenza che facevo, non adatta alla mia età. Mi incoraggiò invece ad andare con
frequenza alla confessione e alla Comunione. Mi insegnò pure a fare ogni giorno una piccola
meditazione, o meglio una lettura spirituale.
Tutto il mio tempo libero, nei giorni di festa, lo passavo con lui. Nei giorni feriali andavo a servirgli
la santa Messa ogni volta che potevo. In quel tempo ho cominciato a provare la gioia di avere una
vita spirituale. Fino allora avevo vissuto molto materialmente, quasi come una macchina che fa una
cosa ma non sa perché” (Memorie, LDC Leumann Torino 1987, pp. 25-26).
5. Per coloro che non sono più ragazzi non sarà più possibile stare col sacerdote come quando si
andava all’oratorio.
Ma quando il confessore diventa il padre della loro anima se c’è un problema che angustia, se c’è
qualche decisione da prendere, se si vuole conoscere la volontà di Dio in determinate situazioni il
primo punto di riferimento è lui.
E, come toccando per mano, si comprende come il Signore si serve proprio di loro per illuminare i
propri passi, proprio come faceva con Santa Faustina Kowalska, la quale un giorno annotò nel suo
diario: “Oggi, durante la benedizione, ho visto Gesù che mi ha detto queste parole: «Sii obbediente
in tutto al tuo direttore spirituale. La sua parola è la Mia volontà. Confermati nel profondo
dell’anima nella convinzione che sono Io che parlo attraverso la sua bocca e desidero che tu gli
riveli lo stato della tua anima con la Stessa semplicità e sincerità, come fai davanti a Me.
Ti ripeto ancora una volta, figlia Mia: sappi che la sua parola è la Mia volontà per te»”
(Diario,24.2.1937).
6. Il mio consiglio è quello di andare dal confessore che avete più vicino e che vi ispira fiducia.
Poi andrete di norma sempre da lui.
E così la confessione regolare e frequente diventerà senza che ve ne accorgiate autentica direzione
spirituale.
Ti ringrazio del particolare ricordo nella preghiera proprio nel giorno della festa della Madonna del
Carmine.
Io te lo assicuro oggi, vigilia della solennità del Santo Padre Domenico, della cui famiglia fai parte
sia attraverso la confraternita del SS. Rosario sia attraverso la Milizia Angelica di San Tommaso.
Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo
Quesito
Buongiorno Padre
ho letto la sua risposta al quesito pubblicato in oggetto con grandissimo interesse al credente che le
aveva posto il quesito, grazie a mia moglie che mi ha portato alla conoscenza della vostra pagina
online dove è possibile trovare risposte a moltissime domande e quindi così ho fatto cercando di
trovare la risposta alla mia preoccupazione per quanto mi sta accadendo in questo periodo.
Nonostante l’emergenza COVID-19, grazie al mio lavoro ho potuto continuare da casa la mia
attività e senza nessun tipo di difficoltà, anzi, la condizione mi ha favorito nell’introspezione di me
medesimo, cosa così che nella mia vita non mi è mai capitata.
Grazie ancora a mia moglie Cristiana devota, ho cominciato ad ascoltare catechesi e iniziato a
leggere il Vangelo ma mantenendo un certo scetticismo e superficialità anche se con continuità e
perseveranza nell’ascolto sino a quando un giorno sono caduto in una grande crisi che mi ha spinto
a confessarmi. Da allora sto vivendo ogni giorno nella pena e nella tribolazione, assalito da pensieri
laidi, immagini indecenti e offensive, bestemmie nei confronti del Signore, Gesù Cristo e Maria
Santissima. Sto pregando assiduamente ma le tregue sono poche e riesco solo a trovare conforto nel
sonno anche se a volte mi sveglio nel cuore della notte e sento in lontananza come latrati di cani che
sembrano bestemmiare pure loro, sono piuttosto suggestionato e molto preoccupato, ma davvero mi
sto aggrappando a tutto quello che può aiutarmi chiedendo pietà e misericordia al Signore. Mi
capita di piangere chiedendo al Signore umiliazione per tutto il male e peccati della mia vita. Ma la
giornata è lunga e le insidie sono sempre numerose e difficili. Una sera ho confidato a mia moglie
questo mio cadere nei pensieri di bestemmia esplicita che ovviamente non ho mai avuto nella mia
vita prima d’ora, mia moglie mi ha risposto: Benvenuto! E da qui mi ha spiegato che è tutto
normale quando un’anima viene toccata dal Signore e si ravvede (da qui la lettura della risposta
pubblicata). Da qualche giorno le bestemmie sono meno frequenti ma sono arrivati pensieri
peggiori, ancora di più quando prego risultano indecenti, offesa a sfondo sessuale al Signore Gesù e
Madre Santissima. Credevo che il nemico si manifestasse in diversi modi ma non che arrivasse in
questo modo contro chi come me evidentemente per tutta la vita ignorando Dio oggi prende
coscienza supplicando il dono della fede.
Grazie Padre per la sua risposta
Martino
Risposta del sacerdote
Caro Martino,
1. non mi stupisce questo bombardamento di pensieri laidi e blasfemi proprio dal periodo in cui hai
deciso di ricuperare una vita di fede.
È un fenomeno abbastanza diffuso in molti neo convertiti.
A volte per una particolare permissione di Dio e per una ulteriore purificazione anche taluni Santi
(come Santa Caterina da Siena) sono passati attraverso questo crogiuolo.
Prova a leggere qui: Vari modi con cui il demonio può infestare la nostra preghiera e la …
2. Non scoraggiarti di fronte ad una battaglia che si presenta così continua e impetuosa.
Mediante la libertà sei sempre capace di opporti a tali tentazioni e, opponendoti, vinci e meriti.
Senza che tu te ne accorga questa battaglia ti rinforza.
E se i tuoi avversari hanno l’intendimento di ricondurti a loro e farti perdere la pace, di fatto ne
conseguono l’effetto contrario perché ogni tentazione per te è motivo di nuova vittoria e di
rinnovata adesione a Cristo e alla Beata Vergine Maria.
3. Come vedi, sembra strano, ma è per un disegno della benevolenza di Dio che è permesso tutto
questo.
D’altra parte i demoni non possono agire di loro iniziativa se non è concesso loro dal Signore.
Non possono fare assolutamente nulla al di fuori dei confini delle permissioni divine. Sono creature
di Dio – sebbene non nella loro acquisita volontà malvagia – e sono bisognose dell’aiuto di Dio in
tutto.
Per questo Dio dice a Santa Caterina da Siena: “I demoni dunque sono miei ministri nel tormentare
i dannati nell’inferno e nell’esercitare e provare la virtù dell’uomo in questa vita.
L’intenzione del demonio non è di provare e temprare la vostra virtù, perché in lui non vi è la carità,
ma è di privarvi della virtù: ma ciò non può fare se voi non volete.
Grande è perciò la stoltezza dell’uomo che si fa debole laddove io l’ho fatto forte e da sé medesimo
si mette nelle mani del demonio” (Dialogo, 43).
4. Le dice ancora: “In questa vita io permetto ai demoni di tentare e molestare le mie creature non
perché siano vinte, ma perché vincano e ricevano da me la gloria della vittoria, provando la loro
virtù.
D’altra parte nessuno deve temere, qualunque siano le battaglie e le tentazioni che gli vengono dal
demonio, perché io ho fatto forti gli uomini e ho dato loro la fortezza della volontà fortificandola
nel sangue del mio Figliuolo. Questa volontà né demonio né creatura alcuna ve la può mutare
perché è vostra, data a voi da me insieme al libero arbitrio.
Voi dunque col libero arbitrio la potete tenere saldamente in vostro possesso, o lasciare come vi
piace. Se la ponete nelle mani del demonio essa è l’arma e il coltello con cui egli vi percuote ed
uccide; ma se l’uomo non dà questo coltello della volontà nelle mani del demonio, cioè se non
acconsente alle sue tentazioni e molestie, giammai sarà ferito dalla colpa del peccato qualunque
tentazione subisca. Ne rimarrà anzi fortificato se aprirà l’occhio dell’intelletto a contemplare la mia
carità la quale permette che siate tentati solo per farvi giungere alla virtù e provarla in voi stessi”
(Ib.).
5. In questo senso capisco le parole che ti ha detto tua moglie quando le hai palesato questo tuo
stato d’animo: Benvenuto!
Santa Caterina insegna a ricevere le tentazioni dicendo: «Voi siate le molto benvenute», e ricevetele
come carissimo amico, perché sono cagione e strumento di levarci del sonno della negligenza e
farci divenire a virtuosi” (Lettera 335 A don Cristofano monaco di Certosa del monasterio di santo
Martino di Napoli).
5. E poco più avanti Santa Caterina dice: “Dunque io non voglio più in voi confusione, né tristezza,
né attaccamento alla propria volontà: ma una letizia grande e fuoco dolce d’amore, e lume di Spirito
Santo, con cuore virile e non timoroso, vestiti della dolce ed eterna volontà di Dio, la quale ha
permesso e permette ogni pena che avete, sia corporale che mentale per singolare amore verso di
voi e non per odio.
Orsù dunque con le armi della santa orazione e dei santi pensieri, fondati nella dolce ed eterna
volontà di Dio.
Con queste armi sconfiggiamo il demonio, e col pensiero scacciamo il pensiero, cioè coi pensieri di
Dio cacciamo quelli del diavolo” (Ib.).
6. “Perciò non sono da temere i colpi delle tentazioni, ma è da dilettarsi nello stare sempre in
battaglia, mentre viviamo. Se vedessimo quanto è grande il frutto della battaglia non ci sarebbe
nessuno che non l’aspettasse con desiderio. Chi non ha battaglia non ha vittoria; e chi non ha
vittoria rimane confuso.
Sapete quanto bene deriva dallo stare in battaglia?
Nella battaglia l’uomo ha materia di levarsi dalla negligenza e d’esser più sollecito ad impiegar
bene il tempo e non stare ozioso; e particolarmente di darsi all’esercizio della santa orazione, con la
quale ricorre umilmente a Dio vedendo in lui la sua sola fortezza e domandandogli aiuto.
Ed ha anche materia di conoscere la debolezza e la fragilità e la inclinazione al male della propria
passione sensitiva, e per questo concepisce odio verso l’amor proprio e con vera umiltà disprezza se
medesimo reputandosi degno delle pene e indegno del frutto che tien dietro alle pene.
E inoltre conosce la bontà di Dio vedendo che la volontà buona di non consentire al male l’ha da
Dio, e perciò concepisce amore e gratitudine verso questa bontà, perché si riconosce e si sente da lui
conservato nella buona volontà” (Lettera 169 A don Nicoloso di Francia monaco di Certosa nel
monasterio di Belriguardo).
Pertanto anch’io con Santa Camerina ti dico di andare avanti con cuore virile e non timoroso perché
in questo combattimento stai facendo grandi guadagni.
Ti assicuro per questo la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo