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Trenta anni di Sacerdozio

-Padre Emidio -
Vorrei approfittare di questa ricorrenza – e del
fatto che trent’anni sono tanti (trent’anni di
sacerdozio e trentasette di vita religiosa) – per
dare alle persone che sto seguendo e a cui vo-
glio bene alcune indicazioni “sui dettagli”. Mi
colpisce sempre che all’Università più o meno
le cose sono comuni (libri, materie, etc.) eppure
all’MIT, Cambridge in Massachusetts in Ame-
rica i Premi Nobel fioccano; o ancora sembra
che tutti i registi vedano i film di tutti, eppure
qualcuno si distingue dagli altri e realizza un
Oscar dopo l’altro. Dipende forse dai critici
che li valutano? No, perché si dice che “i critici
sono come gli eunuchi: sanno come si fanno i
figli, ma loro non ci riescono”; o infine quando
stava per scoppiare la guerra con Cuba, sull’or-
lo dell’abisso della terza guerra mondiale, tutti

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davano consigli su cosa fare, mentre Kennedy
diceva: “Durante la corrida ci sono il pubblico,
i giornalisti ecc, ma è il torero che affronta il
toro”. Tutto questo per spiegare che stasera io,
“il torero”, vorrei dirvi alcune cose veramente
importanti.
C’è intorno a noi una massa di informazioni,
luoghi comuni e a volte stupidaggini e mi pia-
cerebbe darvi alcune linee guida come un padre
che dice ai suoi: “Figli miei, state attenti”. Mi
guida l’affetto verso persone speciali, che san-
no ascoltare. Si tratta di alcune sintesi che sono
in grado di cambiare la vita e posso affermarlo
perché l’hanno cambiata anche a me. Alcune di
queste cose, che mi hanno detto nel corso della
mia vita, le ho fatte diventare come dei punti
fermi.
Ad esempio è fondamentale gerarchizzare i va-
lori, perché non è uguale fare una cosa o far-
ne un’altra. Conosco alcune persone sante, che

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sono come noi, ma diversamente da noi hanno
alcuni punti fermi, che non si spostano mai; a
costo di “passare per scemi” o “sembrare fuori
moda” e deludere gli altri, loro su questi punti
non si piegano.
La prima indicazione che vorrei darvi, e che
mi ha tanto aiutato, è quella di non riflettere sul
male. Abbiamo tante preoccupazioni e dolori,
ma posso dirvi per esperienza che “riflettere sul
male” e “diventare matti” sono la stessa cosa:
il male non ha spiegazioni. Somiglia ai numeri
primi, divisibili solo per se stessi e per l’unità
(ad esempio 17, numero primo, si divide solo
per 17 e per 1). È importante saperlo, perché al-
trimenti si perde tanto tempo.
Tanti atei fanno del male il loro cavallo di bat-
taglia; nei Fratelli Karamazov il tema su cui i
protagonisti si arrovellano e impazziscono è
proprio il male, la sofferenza dei bambini, degli
innocenti, etc. Tanta gente a causa di questo si

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paralizza. Invece – mi spiegò un frate – il male
non ha spiegazioni; lo puoi portare con Cristo,
ma non lo puoi spiegare; se ci provi, diventi
pazzo.
Un altro punto fermo della mia vita spirituale è
che non si può essere più buoni di Dio. Di fronte
a un figlio o alla richiesta di qualcuno prima c’è
“il profeta”, che dice come stanno le cose, e poi
c’è, l’ESILIO, “l’esperienza”. Tempo fa c’era
una donna a Foligno che aveva un figlio droga-
to, faceva di tutto per lui e io li seguivo; ad un
certo punto l’unica cosa da fare fu lasciarlo a di-
cembre di notte fuori casa al freddo, in macchi-
na, invece di seguirlo in tutte le sue richieste e il
giorno dopo questa esperienza entrò finalmente
in una comunità di recupero.
Prima ancora di questo è molto importante il
senso del sacro, del divino: tutti ne abbiamo
avuto un’esperienza – una bellissima mattinata,
un tramonto, un’alba, una festa in cui abbiamo

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avuto l’impressione che il divino fosse a porta-
ta di mano – ma purtroppo non dura ed è inac-
cessibile. Avviene, sei felice e immediatamente
piove o c’è uno tsunami o viene compiuto un at-
tentato. Eppure questa presenza di Divinità c’è,
benchè limitata e, attraverso il bene e l’amore si
può restare in sintonia.
Negli anni in cui sono stato lontano dalla chiesa
(dai quattordici ai ventidue - ventitré), ogni volta
che andavo a trovare i ciechi, gli handicappati,
i malati, gli anziani, oltre alla felicità immensa
sperimentavo delle coincidenze molto frequenti
che favorivano l’incontro con loro. Agli adole-
scenti non parlate né di chiesa, né di preti; por-
tateli dai nonni o da qualche zia anziana e sono
salvi, perché la gioia che provano è immensa.
È importante, allora, che questa esperienza del
Divino indifferenziato sia coltivata tramite l’in-
contro con gli altri, con il bene, con l’amore.
Il padre di un mio amico, che era direttore di una

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rivista di carattere medico, ha seguito il figlio
in Centro America e a forza di costruire piccoli
ospedali e pozzi si è convertito, altrimenti a cau-
sa del suo egoismo non c’era modo di riuscirci,
si è convertito a forza di opere buone. Questo è
un altro punto fermo.
Lo scopo della vita (alla vostra età, a trent’anni)
qual è? Assomigliare a questo. Gesù dice: “Sia-
te perfetti come è perfetto il Padre vostro, che
manda sole e pioggia sui buoni e sui cattivi, sui
giusti e sugli ingiusti” (cfr. Mt 5,45.48); e in un
passo parallelo dice: “Siate misericordiosi, sia-
te perfetti” (Lc 6,36). Il nostro scopo è quello di
assomigliare meglio che possiamo a Colui che
ci ha creato. Non c’è religione né ragione, né
scienza né fede. S.Agostino nel capitolo XI del-
le Confessioni parla di questa bellezza: “Tardi
Ti ho amato. Tu eri dentro di me e io Ti cerca-
vo nelle creature, che non esisterebbero se Tu
non esistessi. Tardi Ti ho amato …”.

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Io ricordo che questa Presenza riemergeva con-
tinuamente nella mia vita e, quando si è mani-
festata in modo più forte, ho iniziato ad interes-
sarmene profondamente. Il passaggio per me è
stato durante un viaggio in India, nel quale ho
sperimentato che questa Presenza, oltre ad esse-
re benevola, mi difendeva da me stesso e in più
occasioni mi ha salvato la vita. Ho iniziato così
a comprendere che questa Presenza benevola,
oltre ad agire per risonanza, aveva anche degli
interventi suoi autonomi nei miei confronti.
Un giorno ho sentito parlare di Abramo, Isacco,
Giacobbe e Giuseppe. Questo è il secondo pas-
saggio che vi propongo: questa Presenza nella
Bibbia è cristallizzata, sintetizzata, stilizzata,
riproposta e rilanciata all’infinito. Ecco la fa-
mosa frase: “Perché non leggi altri libri oltre
alla Bibbia? Perché gli altri libri li leggo io, la
Bibbia legge me”.
All’inizio una persona dice tutto quello che sa,

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poi quello che ricorda, poi infine, quando è an-
ziana, tutto quello che serve. Io continuo a ripe-
tere le stesse cose: come intellettuale mi vergo-
gno, ma come padre non mi interessa e voglio
dire ciò solo che è davvero importante. Nella
Bibbia ci sono degli schemi, che ci dicono come
vanno le cose. Ad esempio, per quanto riguarda
l’essere perseguitati, sicuramente ognuno di noi
qui si è accorto che fin quando è cattivo, c’è un
gruppetto di cattivi che stanno con te e spesso
vincono; ma se per caso diventa buono, tutti ce
l’hanno con lui.
Ci sono varie teorie in proposito. Anche la gente
più atea arriva a dire: “Va così perché mi hanno
fatto qualcosa; sono ateo, razionale, ma mi han-
no fatto qualcosa, perché dove vado ce l’hanno
con me”. All’inizio pensi sia un’esagerazione di
chi sta parlando, poi ti accorgi che veramente
gli va tutto male. Mi ricordo di una ragazza di
Caserta, che studiava Lettere e mi raccontava

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che una professoressa non poteva sopportarla;
ad un certo punto sono venuto a sapere da amici
comuni che lei aveva cambiato piano di studi e
la professoressa aveva preso una di quelle mate-
rie e l’aveva bocciata un’altra volta … Cosa c’è
dietro? La figura biblica di Giuseppe, che in tale
dolore vede che “Dio ha fatto questo”.
Rispetto alle fatture o a una psicoanalisi lega-
ta ai racconti e a tante teorie, la Bibbia ci dice
in questo caso che spesso c’è una elezione. Dio
permette in modo attivo queste cose. Nel libro
di Tobia si racconta che Tobi (Dio è buono), che
faceva tante opere di carità ed elemosine, alla
fine della vita diventa cieco, poi attraverso varie
vicende guarisce e il figlio si sposa. L’arcangelo
Gabriele gli domanda: “Ti ricordi quando fa-
cevi le tue opere buone? Io le portavo al cielo;
ma quella volta che hai seppellito quell’uomo,
rischiando la vita, sono stato mandato per met-
terti alla prova”. A volte si tratta di una “pro-

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mozione in atto”.
Spesso, se voi in coscienza siete certi di fare il
bene e vi capita una cosa proprio “storta”, dopo
l’iniziale disagio chiedetevi se non sia Dio che
vi fa fare un passaggio di livello. Vedrai che ti
dice: “Figlio mio, vieni a lavorare con me. Ti
metto alla prova perché devi sapere tutto: fino-
ra sapevi guidare, ora devi sapere anche come
aggiustare le automobili”. Sapere questo per le
persone di fede è un dono immenso, altrimenti
davanti a certi episodi della vita si rimane de-
solati: “Ma come, per il bene che ho fatto mi
hanno cacciato dal lavoro, mi hanno calunniato
…”. Se qualcuno non annuncia queste cose, la
maggior parte delle persone davanti a tali eventi
si disperde e regredisce.
Il punto è che per arrivare a questa Forza be-
nevola è compresa la croce. Non c’è il nesso
“opere buone - gioie” ma “opere buone - a vol-
te fregature”. Questo la Bibbia lo ribadisce in

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mille occasioni. Quella di Giuseppe è una figura
meravigliosa: è un ragazzo speciale e i suoi lo
vogliono uccidere; è a servizio presso Potifar e
la moglie di questo prima prova a sedurlo e di
fronte alla sua onestà lo denuncia; alla fine di-
venta vice-re e salva i suoi. “Dio ha fatto que-
sto”. Se non conoscete la storia della salvezza,
non lo comprenderete mai ed è facile cadere
nella disperazione. Mi ricordo un tizio, che era
una santo e gli erano successi episodi terribili,
tra i quali il fatto di aver trovato i genitori che
si erano suicidati (il padre aveva sparato alla
madre e poi si era buttato sotto un treno). Si è
sposato e la moglie gli ha confessato di tradirlo,
di stare con lui solo per i soldi e di essere pronta
a lasciarlo non appena il figlio avesse compiuto
diciotto anni. Ecco, sapere che a volte il Signo-
re pota chi fa il bene, perché porti più frutto va
messo come un punto fermo nella nostra esi-
stenza.

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Questa Presenza è vicina, ma sembra che non
ci sia “la strada” per incontrarLa, per parlar-
Ci. Sant’Agostino dice a questo proposito: “Io
capii che, se Ti volevo incontrare, dovevo pas-
sare per l’uomo Cristo Gesù”, In Gesù l’uomo
Dio; perché Sant’Agostino dice “l’uomo Cristo
Gesù”? Perché è l’imitazione di Gesù che per-
mette il contatto con Dio.
Tutti quanti siamo “un po’ razzisti”: qualcuno
ce l’ha con gli zingari, qualcuno con quelli del
terzo mondo e altri con altre persone. È fon-
damentale cominciare a capire che Dio non ha
nemici ma solo figli unici; che “il serpente più
serpente”, fin quando è vivo, è potenzialmente
figlio di Dio; che non è compito nostro separa-
re la zizzania dal grano, perché ci pensa Dio; si
tratta cioè di avere uno sguardo benevolo sugli
altri.
Qua dobbiamo davvero convertirci, perché ten-
diamo a proiettare il male sugli altri. Fedro,

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probabilmente riprendendo Esopo, disse che
Dio-Juppiter ci dette due peras (bisacce), che
portiamo una davanti – contenente i difetti de-
gli altri – e una dietro – con i nostri. Per questa
ragione non riusciamo a vedere i nostri difet-
ti. Questa esperienza è costante: proiettiamo il
male sugli altri e non va bene. Ogni volta che
diciamo “Padre nostro” dovrebbe essere una
bomba nei rapporti con gli altri. Gesù dice:
“Fin quando qualcuno ce l’ha con te (e non
“ce l’hai tu con lui” …), posa l’offerta e vai a
fare la pace”.
È come se ci fosse una specie di “tubo”, in cui
passa l’amore di Dio e degli altri, ma basta un
piccolo intoppo, una “zeppa”, e non passa più
nulla; è il rancore, con il quale – anche se è mo-
tivato e anche facendo un cammino – non si va
da nessuna parte. Fin quando ce l’hai con qual-
cuno, non cammini: è un assoluto. Il consiglio
che vi do è quello di pregare la mattina, un’ave

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Maria per la gente che vi vuole del male o vi
ha fatto del male, finché non si scioglie questo
nodo che vi portate dentro, altrimenti non riu-
scite ad andare avanti neanche voi.
È un’altra certezza; vi dico le cose come le ho
provate, sperimentate, ed è così. La presenza
degli altri non deve essere soltanto melliflua
… Gesù non dice: “Ho portato il miele sulla
terra” ma “ho portato il fuoco sulla terra”. E
ancora dice: “Voi siete il sale”. C’è qualcosa di
forte qui, di dinamico, che non ha a che fare con
il “buonismo spicciolo” che a volte immaginia-
mo. È un fatto oggettivo: gli altri non possono
essere nemici. Il cristiano non ha nemici e Dio
ha tutti figli unici.
Questo è duro da accettare, perché anche quan-
do partecipiamo a una discussione tendiamo a
schierarci. In un attimo formiamo un partito su
qualsiasi cosa, ma Gesù Cristo non è così e non
fa così; e non sono così i cristiani. Il Papa, che

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ha compreso benissimo questa realtà, spesso
è frainteso proprio perché è cristiano. Non ho
mai visto un chiarimento così evidente di que-
sto enorme fraintendimento come nelle parole
della gente che ce l’ha con il Papa per questo
motivo. Essendo vicario di Cristo e comportan-
dosi come Cristo, è circondato dalle stesse per-
sone che circondavano Lui: i farisei, i sadducei,
quelli che cercano i miracoli, etc. … Tenetene
conto, è un segno immenso. Se volete indivi-
duare chi non è cristiano, guardate chi ce l’ha
con il Papa. Dovete essere accoglienti verso chi
ha idee infantili, ma voi non dovete seguirle. Se
sei cristiano, non hai nemici. Altrimenti non sei
cristiano; sarebbe uno scandalo.
Quando Gesù va a Nazareth e legge e commen-
ta la Parola – Lo Spirito del Signore è sopra di
me; per questo mi ha consacrato con l’unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lie-
to messaggio, per proclamare ai prigionieri la

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liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in
libertà gli oppressi e predicare un anno di gra-
zia del Signore (Lc 4,18-19) – omette il passo
originario sulla vendetta contro i nemici – e un
giorno di vendetta per il nostro Dio (Is 61,2) – la
gente vuole ucciderlo.
Non si era dimenticato, perché “c’erano molti
lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo;
ma nessuno di loro fu purificato, se non Naa-
man, il Siro” (Lc 4,27) e “c’erano molte vedo-
ve in Israele al tempo del profeta Elia, quando
il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu
una grande carestia in tutto il paese; ma nes-
suna di esse fu mandato Elia, se non a una ve-
dova a Sarepta di Sidone” (Lc 4,25-26); e non
ha nemici, ma al contrario ama veramente i lon-
tani e per questa ragione volevano ammazzarlo
(Marco dice genericamente che non lo vollero
accogliere; Luca esplicitamente che lo voleva-
no uccidere). I nemici non sono quelli dell’altro

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partito ma delle persone che si appropriano del-
la fede (i “vicini-lontani”, amici del frate, del
sacerdote o del Papa, ma non veramente inte-
ressati), che non solo “non entrano” nella realtà
della fede, ma “non fanno entrare” neanche gli
altri, perché li vedono come nemici.
È un altro punto fermo: non vi potete schiera-
re contro qualcuno, non è possibile; non si può
evangelizzare “contro” qualcuno. Quando a La
Repubblica c’era Del Rio, che criticava Giovan-
ni Paolo II per le spese dei suoi viaggi – ed era
un ex frate, ateo, anticlericale, sposato con la ex
generale di certe suore – il Papa, prima l’ha rim-
proverato per “svegliarlo”, poi lo ha portato con
sé nei suoi viaggi; un giorno Del Rio ha visto
Giovanni Paolo II in un tukul, con il caldo, la
sporcizia, la miseria, le malattie e ha capito che
era un santo: Il Papa l’ha convertito. Se le per-
sone non vogliono fare alcun passo, va bene, ma
da parte tua non deve esserci alcuna discrimina-

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zione, alcuno schieramento. Questo vi mette “in
minoranza” sia con la gente che è lontana che
con quella che è vicina, perché spesso regna il
buon senso, che però non è il Cristianesimo.
Gesù Cristo ha molto a che vedere con il do-
lore innocente. Una volta sognai il Crocefisso
della Sindone che era vivo; chiesi cosa fosse
tutto quel dolore. “È il dolore di un bambino
innocente. Lo vuoi portare tu?” “Va bene” e
ho sentito una spada che mi trafiggeva l’anima,
200 battiti cardiaci per un’ora, ero certo che sa-
rei morto. Ho capito allora cosa fosse l’anima: è
qualcosa che c’è, che esiste per sempre e ha do-
lori e gioie intensi, spaventosi. Dovete mettere
in conto il dolore, fisico e spirituale; non si può
essere cristiani senza il dolore. Un Cristianesi-
mo di sola gnosi (che è la pretesa di conoscere
la Bibbia, la storia dei Padri, la lingua e i filo-
sofi ebraici, il Talmud) non va bene, perché non
cambi mai. Cambi quando questo diventa la tua

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vita e contagi gli altri. Il Cristianesimo è quando
siete talmente meravigliosi che la gente vi cerca
e vuole stare con voi senza sapere neanche il
perché.
Mi ricordo in una missione un uomo con una
faccia veramente simpatica, cui avevamo dato
l’incarico dell’organizzazione; siamo andati a
casa sua e i figli di 8, 12, 15 e 18 anni stavano
tutti appresso ai genitori, cosa non comune so-
prattutto per ragazzi di quell’età: lui decideva
con la moglie cosa cucinare, a casa non c’erano
lussi ma una grande sobrietà e tutto il tempo era
speso per gli altri. Dicevano: “I figli ci inseguo-
no”. Perché? Perché erano eccezionali; io me
n’ero accorto durante la riunione iniziale della
missione: lui aveva una bontà, una gratuità, una
bellezza. Questo è il Cristianesimo, una volta
che si mette in pratica.
Ora, ascoltate bene quello che sto per dirvi. Nel
Vangelo di Giovanni, nella parte finale del mi-

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racolo di Tommaso, Gesù dice: “Tu, Tommaso,
hai creduto perché hai veduto; beati quelli che
senza aver visto crederanno” (cfr. Gv 20,29).
Poi l’Evangelista continua: “Ho scritto queste
cose perché voi crediate e, credendo, abbiate
la vita eterna” (cfr. Gv 20,31). Qual è il punto?
Che mentre uno che vede un morto che cammina
si stupisce, poi mette in dubbio il fatto che fos-
se davvero morto, queste cose sono state scritte
“perché voi crediate”. Se uno sostituisce al pro-
prio modo di pensare quelle frasi, la vita diventa
un’altra. Questo è il punto: sostituire alle nostre
povere idee, spesso confuse e contraddittorie, il
pensiero, l’agire, il soffrire di Gesù Cristo.
Studiando alcune persone sante, al di là della
cultura, dell’età, dello stato sociale, la costante
è che hanno graniticamente dentro alcune fra-
si del Vangelo e non vi rinunciano per nessun
motivo. Se voi riusciste, nel Vangelo, a cogliere
una frase e seguirla fino alla fine, la vita cambie-

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rebbe radicalmente.
Ad esempio, “porgi l’altra guancia” (Lc 6,29)
vuol dire “combattere il broncio”. Quante vol-
te a casa senti: “Vogliamo uscire?” “Vabbé …”
“No, allora non usciamo più”. Oppure: “Ti pia-
ce come ho cucinato?” “Insomma …” “Allora
non cucino più!” È il pane quotidiano, il broncio
quotidiano. Se uno invece di quello ci mettesse
la necessità di “perdonare settanta volte set-
te” (Mt 18,22), ovvero sempre, e “porgi l’altra
guancia”, come cambierebbero le cose.
O ancora “se uno ti chiede di fare un miglio
con lui, tu fanne due” (cfr. Mt 5,41): “Mi ac-
compagni a vedere le scarpe?” “Ma andiamo
pure a vedere le piante da Leroy Merlin!!!”
Questo va fatto continuamente: donare, gio-
carsi, consumarsi. È la base della vita eterna.
Quando questa modalità, questo Vangelo non è
più un optional ma diventa “guida ai miei pas-
si”, diventate come dovevate essere. Non siamo

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chiamati ad essere San Francesco o Sant’Anto-
nio; siamo chiamati ad essere Maria, Costanza,
Guido, Federica, Isabella; e qual è il nemico?
L’istinto. A noi “sembra che è così”, ma non è
affatto così.
Tenete il Vangelo in tasca, come dice il Papa, e
quando avete un attimo di tempo leggetene un
brano. Quello vale più di tutto il resto, perché è
la vita eterna. I primi cristiani si sono fatti am-
mazzare perché davano importanza al Vangelo,
perché avevano visto che funzionava.
Davanti a questo normalmente la gente dice:
“Magari, ma quanto è faticoso! Mi piacerebbe,
ma quanto è difficile con la mia vicina di casa o
con il collega di lavoro …” I Santi non si stan-
cano. Quella mia figlia spirituale che si alza alle
3:40 tutte le notti per andare a lavare gli autobus
non s’è mai lamentata; Giovanni Paolo II, che
andava ovunque con i suoi viaggi, non si è mai
lamentato. Che cos’è? È lo Spirito Santo. Vole-

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te sapere come vedo la vita? La maggior parte
dei cristiani è gente che o non gliene importa
niente o sembra quasi “spingere l’automobile
in salita d’estate”. La vita cristiana senza lo
Spirito Santo è insopportabile. Il punto è che
mentre essere spontanei ci porta ad “andare in
discesa”, essere cristiani ci porta ad “andare in
salita”.
Il grande equivoco è pensare che lo Spirito San-
to sia legato alla trance collettiva: in Brasile, ad
esempio, molti afro-brasiliani (che seguono la
l’Umbanda, la Santeria, il Voudoo, etc.) usano
alcune bevande inebrianti e si lasciano andare
e pensano che quello sia lo Spirito Santo; altri
entrano in uno stato di trance, cascano per terra:
non c’entra niente. Lo Spirito Santo è una pre-
senza oggettiva, fisica, che entra dentro a chi lo
chiede insistentemente.
Un bellissimo brano dei Detti dei Padri del de-
serto afferma: “Offrite ogni giorno il vostro

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desiderio, la preghiera, i sacrifici; ad un certo
punto vi sarà dato il Grande Spirito di fuoco
che è stato dato a me; quello vi insegnerà ogni
cosa. Vi toglierà il timore per ogni creatura
vivente”. Quando San Filippo Neri lo ricevet-
te, gli si incrinò una costola e fece tutto quello
che ha fatto. Lo stesso accadde a San Francesco
quando ebbe la conversione; questi santi a quel
punto non si stancavano più: né il caldo né il
freddo né le malattie potevano più abbatterli.
San Francesco ha dettato la maggior parte del
Cantico delle Creature dopo una notte di soffe-
renze, con i topi che andavano e venivano sul
suo corpo, con una grave infermità agli occhi,
perché dentro aveva questa forza: lo Spirito
Santo.
Allora, che cosa dovete fare? Dovete chiede-
re lo Spirito Santo e non dovete cacciarLo via.
Qualche giorno ero con un gruppo di coppie che
avevo seguito; si sono riunite e abbiamo fatto

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una cena. Avevo spiegato queste cose sullo Spi-
rito Santo, dicendo che lo cacciamo ogni volta
che diciamo una malignità, una cattiveria o ci
arrabbiamo. Siccome la parola è veicolo dello
Spirito Santo (mentre vi annuncio questo Van-
gelo, lo Spirito Santo entra; dopo che vi parlo di
Gesù, vi confessate, fate un’opera buona), è im-
portantissimo non usarla male e non sprecarLo,
non perderLo. La prova è che, se voi non Lo
sprecate, tante cose che vi ho detto vi vengono
naturali, sorridete, non faticate per niente e la
gente vi insegue per chiedervi come si fa ad es-
sere come voi e questo è lo scopo. È veramente
la “teoria dell’inseguimento dei cristiani”.
Quindi, vi sintetizzo ciò che è davvero impor-
tante:
per quanto riguarda il Padre essere come Lui;
per quanto riguarda Gesù Cristo leggere, incor-
porare brani del Vangelo, a livello fisico;
per quanto riguarda la Chiesa, non avere del

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razzismo nei confronti di nessuno e per quanto
riguarda lo Spirito Santo, chiederLo e soprattut-
to non rattristarLo.
Quest’ultima cosa ve la raccomando come un
regalo personale; fate la prova. San Paolo dice
che di volgarità e di trivialità non dovete nean-
che parlarne. Ci sono migliaia di cose belle e
vere; perché prendersela con quella persona o
con quella cosa.

… È faticoso ma non impossibile.

Così finisco questo piccolo testamento.


Adesso diciamo insieme il Padre nostro.

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