CAPITOLO 1
Penso che chi voglia scrivere un libro pretendendo di dare consigli debba essere fornito di buon
coraggio e tanta presunzione.
Invece, “ignorante” è lapalissiano: siamo tutti dei grandi ignoranti. Beh! non offendetevi per così
poco, dopotutto lo scibile umano è immenso e di quale fetta di esso noi ci possiamo realmente
sentire padroni?
Uno sport è un mondo a sé. Una materia di studio è un canale infinito. Un’arte o mestiere è un
mondo dove non si finisce mai di imparare.
Avere una laurea o un master in qualcosa è importante: segno di intelligenza, impegno costante e di
sacrificio e tutto ciò deve valere molto per noi e per gli altri.
È solo un piccolo “petalo” della grande “margherita” che è il Sapere.
Perché lo immagino come una grande margherita con tantissimi petali, dove ogni petalo corrisponde
ad un corso di studi, uno sport, un mestiere, un’arte.
Mentre la “corolla” corrisponde alla Saggezza, all’Arte di vivere. Da essa si alimentano tutti i petali
e curare essa migliora la qualità della nostra vita. Non curarla, farla appassire, porta alla
depressione, all’ansia, all’insonnia: ad una vita sofferta e pericolosa. Perché lo stress è il terreno
fertile per l’attecchimento di molte malattie.
Cercare di essere ottimisti e sereni dovrebbe essere l’obbiettivo minimo di tutti ed esercitarci a
capire ed a saper accettare la vita è il viatico verso il benessere
Un proverbio cinese dice: “hai un problema? Lo puoi risolvere? Non è più un problema. Non lo
puoi risolvere? Non è un problema lo stesso: basta accettarlo.” La morte c’è, non possiamo evitarla.
Vogliamo rovinarci l’esistenza rimuginandoci sempre sopra? Sarebbe stolto!
Accettare certi bocconi amari dalla vita a volte non è facile per nulla, ma d’altronde pensare di
riuscire a schivarli tutti è utopistico.
Quindi come procedere?
Vi piace vincere facile? Vi piace ottenere tutto subito e senza impegno? Spero di no, non voglio
crederlo. Voglio credere che sappiate dare il massimo sempre quando occorre, come vincere una
partita a tennis o a scacchi, come per conseguire una laurea o conquistare una persona amata.
Avrete assaporato in quel momento una infinita soddisfazione: un senso di felicità.
È come lo scalatore che raggiunta la vetta con enorme sacrificio, gode del paesaggio immenso e
dell’aria più pulita e vorrebbe urlare: “ne valeva la pena!”.
Spingendoci, quasi fino al paradosso, potremmo dire: grazie vita che per aiutarci a crescere e dare
sapore all’esistenza, ci proponi ostacoli, piccoli e grandi. Che poi i piccoli ci servono per allenarci
nell’eventualità arrivino quelli grandi.
Sentirsi così resilienti e tosti, dà un senso di felicità.
Perché essa si raggiunge, non pensando e sperando di non incontrare mai problemi, ma sentendosi
abbastanza in grado di saperli affrontare e superare, qualora arrivino. Questo deve essere lo stato
d’animo della persona serena, tranquilla e mai ansiosa.
Ecco perché il genitore che vorrebbe togliere ogni intralcio dalla vita di suo figlio o figlia non è un
buon genitore, perché lo sta ingannando, “promettendogli” una vita facile, che al confronto con la
dura realtà, lo troverà sorpreso, smarrito e debole. Ecco a cui servono i padri severi: a mettere quei
guard-rail, che le mamme, troppo spesso per amore, non riescono a far rispettare, ma che poi nella
vita si incontrano continuamente.
Amo le donne in generale; loro sono tutto per noi uomini. Ci danno Amore ed i figli: il tesoro più
grande. Ma alle mamme raccomando questo: concedete il 50% dell’educazione dei vostri figli al
vostro uomo, loro padre, anche quando non foste del tutto d’accordo coi suoi metodi, magari un po’
rudi.
Come una piantina giovane e fragile, per ripararla dalle intemperie e dai forti venti, ha bisogno di
due sostegni egualmente forti, così il vostro figlioletto, avrà bisogno di entrambi voi.
Esso nasce da voi madri ed è in simbiosi solo con voi, ma ha tanto bisogno anche del padre, perfino
prima di nascere.
Una mamma amata e protetta da “informazioni” e nutrienti positivi al suo feto. Non altrettanto una
mamma non serena. Ugualmente, durante l’allattamento ed anche dopo.
Ma è quando la creatura viene al mondo che la “presenza” del padre deve essere costante e per
presenza intendo soprattutto il messaggio educativo, che non può e non deve essere diverso da
quello materno, quindi va concordato, previa la confusione mentale del figlio.
Perché qualora fossero differenti, il bimbo verrebbe sbalzato da un messaggio ad un altro e
puntualmente lui sceglierebbe quello più comodo e permissivo ed il genitore più severo passerebbe
per cattivo. Ed alla lunga odiato: rendendolo “orfano” di quel genitore. Riflettiamo.
È molto più “presente” un padre morto o emigrante, ma raccontato e reso presente da una moglie
innamorata, che la presenza fisica costante di un “rompiscatole severo che la mamma non stima”.
I messaggi subliminali sono i peggiori, perché il bimbo non se ne sa difendere e alle mie amate
amiche donne, dico con una punta di leggerezza che se vi capitasse di dover sopportare qualche
torto dal vostro compagno, fatelo per il bene dei vostri figli.
E poi, se noi maschietti, la pensassimo sempre uguale a voi femminucce, non ci lamenteremmo tutti
della monotonia della vita? Senz’altro sì!
Uguali dobbiamo esigere di esserlo sulla dignità e sui diritti civili. Sulla prima, tra persone educate
e civili ci è arrivati da decenni, per fortuna, mentre sui diritti civili, sulle opportunità lavorative e
nelle facilitazioni per le mamme siamo, almeno in Italia, molto indietro.
Spesso la donna che “pretende” di essere anche madre, viene boicottata, se non licenziata: questa è
una vergogna!
Cosa possiamo fare? Molto! Molto di più di ciò che tutti crediamo possibile: forse siamo diventati
un popolo di rassegnati, purtroppo.
Dico da almeno trent’anni, che in Italia, lo sport più diffuso non è il calcio, bensì il lamentarsi
continuo
Però esso è inutile e dannoso se non prevede almeno una speranza di soluzione: fatto solo perché si
usa, per sentirci nella massa, trascurando che così serve solo a portarci depressione ed ulteriore
rassegnazione.
Cosa bisognerebbe fare, allora? Sentirci Popolo. Sentirci cittadini decisivi, sentirci artefici del
nostro destino politico: riuscire a credere che tramite il voto possiamo orientare le scelte dei nostri
politici. Nonostante la loro sete di guadagno individuale ed i loro intrallazzi con le lobbies da cui si
lasciano condizionare.
Siete increduli, lo so. Eppure dicemmo No al nucleare, nonostante Confindustria premesse per il
contrario. Dicemmo Si al Divorzio ed all’Aborto, nonostante quasi tutto il mondo politico, ostaggio
del Vaticano, spingesse per il No. Qualcuno ci invitò ad andare al mare, anche a votare i referendum
ed invece, poco dopo, dovette andarci lui e di corsa a Tunisi. Un altro politico recente lo abbiamo
passato dal 41% al 2%, quindi è proprio vero che non contiamo nulla?
In questo ragionamento, mi associo al nostro grande Benigni, che disse: “Se loro rubano e noi
nell’urna non li puniamo, li incoraggiamo a rubare di più”. “Tanto non se ne sono accorti”, dice il
politico disonesto. Se, invece, fossimo dei cittadini votanti attenti e ne mandassimo a casa diversi di
quelli che rubano, i rimasti direbbero: “attenzione che i cittadini si sono svegliati, dovrò rubare di
meno”.
Ed alla seconda ondata sfavorevole per i ladri, dove non venissero rieletti, i rimanenti, prima di
rubare ci ripenserebbero un bel po’.
Ma finché penseremo da italiani, che i nostri problemi li risolveremo isolatamente tramite
raccomandazioni, non saremo mai un popolo unito ed isolati varremo poco.
Loro ci temono e ci rispetterebbero molto di più se noi riuscissimo a marciare vigili ed uniti, invece
loro sanno, per esperienza, che siamo distratti, disuniti ed in fondo in fondo anche molto
opportunisti.
Noi italiani siamo orgogliosi di essere creativi, geniali, individualisti, ma soprattutto FURBI. Oh!
Come ci piace sentirci furbi!
Non li amo affatto, perché fanno del male alla società, ma mi consolo sapendo che i furbi più bravi
sono capaci di fregarsi da soli senza nemmeno accorgersene. Che soddisfazione per me!
Esattamente il contrappasso dantesco? E non ditemi che sono troppo severo: il furbo che sale sul
carro del vincitore, sempre pronto ad aiutare il potente contro il debole è un vigliacco maschilista. Il
perché vigliacco è lapalissiano. Maschilista, perché è esattamente l’opposto del gentiluomo
difensore delle donne, che socialmente sono più deboli, specie nell’ambito lavorativo e civile.
Ma torniamo a bomba, cioè sul come orientarsi in tante scelte di vita, che erroneamente
consideriamo trascurabili, mentre poi, troppo tardi, ci accorgiamo essere state decisive.
Non vuole essere la panacea di tutti i nostri problemi esistenziali, ma solo dei piccoli spunti di
riflessione, qualora ci si presentasse il problema e dovessimo fare scelte importanti.
Qui alcuni potrebbero dirmi: ma sarà una nostra scelta, di cosa ti impicci? Certamente di nulla,
risponderei e di consigli se ne possono ascoltare molti, ma si è sempre padroni di non seguirne
nessuno. Liberissimi! D’altronde che nessuno abbia mai sbagliato qualche sua scelta, per fretta o
per non aver ascoltato nessuno, è quasi impossibile.
Avrete notato un filino di astio verso chi vuol fare tutto da solo, magari spinto da una esuberanza
giovanile un po’ ribelle, perché in cerca di autonomia. Solo noi anziani abbiamo imparato, anche a
nostre spese, che un consiglio, se non interessato, può aiutarci a scegliere meglio.
Passiamo al primo punto: la nuova dimora per una giovane coppia che sta mettendo su casa. Dove
sceglierla? Certamente, il più possibile vicino al posto di lavoro di entrambi, se fosse possibile,
magari previlegiando la futura madre: la tranquillità di una moglie e futura madre, vale sicuramente
qualche piccolo sacrificio da parte dell’uomo.
Ma spingiamoci al limite, qualora possibile: la casa dei genitori di lei. Ho detto casa, non
appartamento; sia ben chiaro! Se poi fosse una bi o tri-familiare di proprietà, con giardino, sarebbe
il Top.
Perché non nella villetta dei genitori dell’uomo? Perché il rapporto spontaneo con una madre, non si
può mai avere con una suocera. Per quanto forte e cordiale fosse il rapporto, un piccolo screzio, una
parola di troppo non verrebbero mai “digerite” e smaltite allo stesso modo, che dette alla propria
madre. Una mamma perdona tutto e dimentica anche uno scatto di rabbia. La suocera, molto meno.
E del rapporto suocero-genero? Ho avuto modo di constatare che è quasi impossibile trovare un
cattivo rapporto tra di essi. Semmai con altri cognati e quasi sempre per motivi di interessi e
spartizioni.
Ed in questo contesto abitativo, i maggiori beneficiari sarebbero i figli che potrebbero godere della
costante presenza dei nonni e di eventuali cuginetti.
Imparare, sin da piccoli, a saper vivere in gruppo, specie in questo mondo moderno di figli unici, è
un lusso che ti cambia la vita nettamente in meglio.
Al contrario, pensiamo ad una povera madre che deve alzarsi prestissimo perché, per raggiungere il
suo posto di lavoro le ci vuole molto tempo ed in più deve portare il suo figlioletto da sua madre:
uno stillicidio giornaliero che porta all’esaurimento fisico e mentale, con gravi ripercussioni sulla
relazione affettivo-sessuale della coppia.
E non solo.
Come pensate possa essere disponibile a giocare col figlioletto un genitore che torna esausto e
magari anche arrabbiato dal lavoro e poi essersi fatto 2 ore di coda in tangenziale o nel traffico
cittadino?
Magari gli risponde male, per questo motivo litiga con la moglie che giustamente lo riprende e si
vergogna di se stesso per essersi fatto sfuggire quella reazione inopportuna: quella sera niente sesso.
Se, dovesse ripetersi qualche altra volta (queste scene non si dimenticano facilmente da nessuno dei
tre protagonisti) si creerebbero delle crepe.
Le crepe tra coniugi portano al divorzio, con tutte le sue nefaste conseguenze psicologiche dei
partner, e sul bambino potrebbero diventare traumi che lo segneranno a vita.
Vi sembra esagerato collegare questo finale amaro con la scelta dell’appartamento? Può essere.
Però nel dubbio, io questo rischio lo eviterei a priori. Quando fosse possibile. E poi perché rifiutare
questa opportunità che risulta pure di risparmio economico?
Solo per soddisfare la parte fanciullesca e sognatrice che ci vorrebbe finalmente lontano dai
genitori? Cioè, finalmente liberi?
Liberi di cosa? Di girare come birilli impazziti al primo figlio che arriva, di solito dopo pochi mesi?
E se ne arrivasse anche un secondo e dovremo rinunciare al lavoro da parte della madre? Purtroppo
le nonne, non possono aiutarci: sono lontane.
Paghiamo un affitto e viviamo con un solo stipendio. “Che dici caro, cerco qualche soldino ai
miei?”.
Forse solo allora accetteremmo quell’appartamento che orgogliosamente avevamo rifiutato anni
prima. Sperando che i bimbi non risentano troppo del cambio di quartiere, di scuola e di amichetti.
Vorrei fare una precisazione: se capitasse che i genitori non avessero un appartamento per ciascun
figlio/a e non fossero ricchi, chiederei una cifra parziale all’ospitato, per compensare l’altro, per il
quale non ho avuto disponibilità abitativa.
Troppo tedesco? Il papa argentino ha detto che “Solo i giusti sono buoni”. Ed è stato sempre il mio
credo.
Questo debba essere l’esempio di un padre!
CAPITOLO 2
Il lavoro, i nuovi contratti, il part-time e lo smart-working.
Negli anni ‘80 fui rappresentante sindacale della C.G.I.L. e lavorando in ospedale dove il personale
era per più della metà donna, feci un sondaggio sul lavoro part-time. Quasi la totalità erano
favorevoli a tale opportunità. Poche lo avrebbero chiesto subito, ma non escludevano affatto di
poterne usufruire per il futuro.
Gli altri due sindacalisti della Triplice lo declassarono a richiesta secondaria, ma su mia insistenza
lo portammo in discussione al Comitato di Gestione.
Formato da uomini: quindi fu bocciato.
Purtroppo ancora oggi in tutta Italia le classi dirigenti sono formate da soli uomini o quantomeno in
netta maggioranza rispetto alle colleghe donne e spesso in questi uffici pubblici si respira uno
stantio lezzo di maschilismo imperante. Persone, anche laureate, ma con arcani preconcetti verso
l’altro sesso.
Nel Marzo del 2020, l’Italia entrò in lock-down. Vistisi costretti, gli industriali e tutti gli uffici
pubblici e privati aprirono allo smart-working da casa.
Di punto in bianco la cosa sempre osteggiata era possibile. Fino ad un mese prima sarebbe stata una
bestemmia e guai a chi avesse osato chiederlo al suo datore di lavoro: sarebbe stato visto molto
male ed avrebbe rischiato ripercussioni.
Ciò dimostra due cose: l’arretratezza di mentalità di gran parte della nostra classe dirigente e la
scarsa considerazione per il dipendente, anzi, in certi casi, anche quel velato senso di disprezzo
insito nella frase: “io ti pago e quindi devi fare quello che ti dico io”.
Oltretutto ignorando quel principio semplice da capire: l’operaio soddisfatto produce di più e
meglio. Quindi credo e spero che, dopo questa esperienza, si possa fare sia il part-time, che lo
smart-working da casa. Naturalmente va regolamentato bene, con controlli periodici.
Non tutti i lavori sono possibili da casa e rientri devono considerarsi possibili, anzi auspicabili, per
non perdere il contatto con l’ufficio ed i colleghi.
E per quei lavori, dove è quasi impossibile farlo, vedi medici ed infermieri, si dia almeno la
possibilità di un part-time verticale o orizzontale da concordare con l’azienda. Importante che a
queste agevolazioni possano accedere in via preferenziale mamme divorziate o vedove.
Se abbiamo capito che il male di questo secolo è lo stress, dobbiamo combatterlo in ogni modo:
queste due forme di lavoro possono ridurlo sostanzialmente.
Sappiamo che il lavoro non è solo compenso economico per poter vivere, ma molto di più. È
dignità, sicurezza e realizzazione esistenziale: è poter progettare il futuro. È, perfino, poter sognare!
Ma di quali lavori parli, mi chiederanno in molti, specie i giovani.
Premesso che i lavori sono tutti ugualmente importanti e dignitosi, perché abbiamo bisogno di un
dottore come di un netturbino o di un muratore, mi stavo riferendo alla durata dei contratti di lavoro
odierni e futuri che le attuali leggi permettono ed alla loro stabilità nel tempo.
I contratti super veloci di oggi sono la piaga sociale dei nostri tempi.
Perché? Perché sono ansiogeni al massimo livello, purtroppo. Sono insicuri e pericolosi (un operaio
inesperto, assunto da poco, che lavora su di un macchinario, può essere fonte di errori
pericolosissimi).
Soprattutto sono ANTI-ECONOMICI.
Riflettiamo un attimo: si è sempre detto che il futuro è dei giovani, perché sicuri di uno o due
stipendi mettono su famiglia e tutto gira. Sapreste elencarmi quanti lavorano e guadagnano su una
coppia di giovani che si sposano e mettono su casa nuova?
Proviamo? Muratore, piastrellista, idraulico, mobiliere, sarta, fotografo, ristorante e chi più ne ha,
più ne metta. Comunque tantissime persone di mestieri diversi.
Cosa succede, invece, se diamo a quei giovani solo contratti precari e brevi? Che il meccanismo si
inceppa: la ruota rallenta sempre più e quasi si ferma. Per ora spalleggiano i propri figli i genitori,
ma ancora non per molto.
Tutto causato dall’ingordigia del mondo imprenditoriale che pensa solo ad arraffare, presto, il più
possibile!
Quindi il “Prenditore”, vedendo che i suoi prodotti gli rimangono in magazzino, invenduti, cosa fa?
Sfrutta e precarizza ancor di più i suoi operai malpagati. Capolavoro di responsabilità civica e di
intelligenza programmatica!
Essi alla fine delocalizzano, perché dei loro operai non gliene frega nulla: sono dei violentatori del
sistema paese. La spirale del non rispetto umano non sembra mai avere fine e ci porta sempre più in
basso.
E la Politica complice, quasi sempre, non fa nulla per normare il loro operato.
Quindi che si fa? Come se ne esce? Chi ci protegge?
Credo nessuno, se non noi stessi, magari uniti, magari non più sopiti. Magari riacquistando quella
dignità che dà all’uomo schiacciato la forza di ribellarsi! Dovremmo finalmente capire che se noi
abbiamo bisogno di lavorare per vivere, altresì l’industriale ha bisogno di noi per produrre beni e
servizi che lo rendono ben remunerato a sua volta e quindi esigere da lui pari dignità contrattuale.
Ma per ottenere ciò non avevamo i sindacati? Cosa li paghiamo a fare? direbbe qualcuno.
Qualche spicciolo al mese, lo chiami pagare? Prova ad andare da un avvocato e vedrai quanto ti
costa. Ma un sindacato trae la sua forza da una partecipazione convinta; gli operai odierni sono in
grado di darne?
Con questa vita frenetica, abbiamo il tempo e la volontà di partecipare a qualcosa che non sia di
svago e di spensieratezza. Credo di no. Ed il gioco degli industriali ha dato i suoi frutti. Se il lavoro
è diventato una tortura, un incubo, non si vedrà l’ora di pensare ad altro. Se il lavoro, la famiglia, il
traffico, ti fanno andare sempre di corsa, come una trottolina impazzita, ci vuoi mettere anche la
riunione sindacale? “Ma lasciatemi respirare, fossi matto”. E quindi non siamo più disposti a lottare,
a meno fino a quando non arrivano le lettere di licenziamento. Se non addirittura il messaggino su
Whatsapp. Li, ci rendiamo conto, finalmente, della grande considerazione
in cui eravamo tenuti dai nostri dirigenti falsi e vigliacchi che ci chiamavano “collaboratori”.
Ma pochi lavoratori fanno “mea culpa” rendendosi conto che lo scacco matto non dipende MAI
solo dall’ultima mossa singola.
La dignità dobbiamo esigerla ogni giorno. Sempre e dovunque. Ma prima di esigerla dagli altri,
dovremmo esigerla da noi stessi e darla spontaneamente agli altri. Così facendo, sarebbe un mondo
migliore. Finalmente saremmo Persone! La valanga nasce da un piccolo blocco e poi cresce a
dismisura.
Scusate lo sfogo, mi sono fatto prendere la mano dal mio spirito di sindacalista, di cui vado ancora
fiero. Perché ho sempre pensato che chi combatte a fianco degli emarginati, contro i potenti, è
sempre e comunque un Anti – maschilista!
Si, mi sono sempre battuto per la pari dignità delle donne anche se non approvo certi loro slogan più
esasperati come il più noto: “l’utero è mio e lo gestisco io.”
Parliamone. Se non arriva nessuno, ok. Altro discorso sarebbe se spuntasse una terza entità. In tal
caso non saresti moralmente più libera, affatto. D’altronde, avevi la pillola a disposizione. Libertà
significa responsabilità. Sempre, specie quando ci fosse di mezzo la vita di un essere umano.
Quel bimbo ha urgente bisogno di un padre, di una figura paterna e chi gliela nega, se ne dovrà
rispondere in coscienza a vita! Se poi il padre non volesse assumersi le proprie responsabilità
allora la decisione torna intera sulla madre .
CAPITOLO 3
La libertà di scelta.
Questo è il capitolo più difficile e spinoso e non mi meraviglierei se mi facessi molti critici ed anche
qualche nemico.
Ma siamo, in questa epoca, veramente liberi di scegliere? Direi, più no che sì.
Certo che, per fortuna, viviamo in una democrazia. Certo che la mentalità si è un po’ evoluta e
siamo mediamente più istruiti di un tempo.
Ma quanti di noi si è meravigliato e magari anche piccato nei confronti di una Chiesa (ché contro
divorzio, aborto ed eutanasia) e ci appella “peccatori” appena nati? Nessuna persona veramente
libera dovrebbe partire con un “handicap “morale” di tale quantità. E possiamo essere battezzati e
quindi diventare “cristiani” per tutta la vita. Sacramento basilare quindi, ma poi per ricevere la
Comunione e la Cresima dobbiamo andare a catechismo: ci dobbiamo istruire.
Come se a scuola ci dessero la Laurea. Ma poi per fare un umile lavoro, dovremmo frequentare
obbligatoriamente le Elementari. A me suona assurdo!
Non ce l’ho con la Chiesa; come tutti in questa terra siamo imperfetti, quindi anche Lei, formata da
uomini fallaci, fa cose meritorie e cose sbagliate. E mi sento libero di giudicarla. Giudico tutti e
tutto ciò che mi circonda, ma non condanno mai nessuno: nessuno si è fatto da solo!
E ricordiamoci sempre di ricordare che la perfezione non è di questo mondo e che genitori
imperfetti, cresceranno figli imperfetti, ma spero vivamente, con tanti ideali ed enormi qualità
morali.
Un fiore o un arbusto diventerà rigoglioso solo se mani esperte avevano preparato il terreno
rendendolo fertile. E continuano a curarlo fino alla sua completa maturità. La maturità ci dà più
diritti e più responsabilità, sia civili, come votare, prendere la patente, ecc., sia morali e penali.
Appena presa la patente non credo che potremmo considerarci dei bravi piloti e credo non sia molto
saggio partecipare ad una gara automobilistica.
Eppure i figli, il frutto più importante di un essere umano, specie decenni a dietro, si facevano da
giovani ed inesperti. Di sicuro il mondo era più semplice e poi c’era anche “l’ombrello” protettivo
della parentela, nonni e zii, per fortuna.
Oggi, invece, con discreta presunzione, questo ombrello viene mantenuto a distanza, perché i
giovani reclamano la loro libertà di scelta, illudendosi di sapere abbastanza. Ed i genitori accettano
tutto passivamente, non azzardando il minimo parere, per non subire il probabile rimbrotto
dell’educatissimo figlio/a. E tirano fuori i soldi “necessari” per i lussi dei loro rampolli. Sperando
in cuor loro che l’unione duri.
Che non se li vedano ritornare a casa dei genitori, dopo pochi anni, magari mogi, magari mortificati,
sicuramente affranti dalla recente separazione.
E quel figlioletto, nato in quei pochi anni, quanto è “libero di scegliere”, se avere due genitori uniti
ed innamorati, anziché averli divisi, rancorosi, sempre pronti a criticarsi e perfino arrivare davanti
alla legge, in Tribunale?
Quei nonni quanto hanno protetto quei nipotini col loro acconsentire ad oltranza? Con il loro
silenzio complice?
E d’altra parte, riferendomi ai due rampolli: ma chiedere un parere al padre o alla madre, prima di
decidere la cosa più importante della vita, no?
Forse l’occhio esperto del padre ti avrebbe messo qualche dubbio su quel giovane a cui ti sentivi
attratta e vedevi come perfetto. E magari la saggezza di tua madre ti avrebbe reso più attento sul
caratterino pungente della giovane.
Ma, no! Queste cose sono vecchie: segno di arretratezza. Retaggio di un mondo contadino di altri
tempi. “Sono giovane e vaccinato, non ho bisogno di nessuno!”, direbbe il giovane.
Ed il genitore “moderno” obbedisce e tace e spera, un po’ sfiduciato, che possa andare tutto bene,
specie il padre. Anche, perché sa che se provasse a fare qualche critica, si prenderebbe il pronto
rimbrotto di sua moglie (che per aver subito lei la totale mancanza di libertà da giovane), ora è per
la libertà ad oltranza.
Anzi, incalzerebbe: “E poi l’amore è cieco, di che t’impicci? E lui, sommessamente, tra sé e sé: “si,
vabbè, ma prima di innamorarsi, una sbirciatina poteva pur dargliela”.
Quindi si evidenzia che “saper giudicare” è utile sempre nella vita e perciò voglio tornare a questo
concetto, abitudine, necessità!
Perché concetto?
Perché dovremmo accettare ed essere contenti che possiamo giudicare ed essere giudicati, perché
viviamo in un gruppo, immersi nella società e che siamo tutti utili a tutti.
D’altronde lo studente ben preparato è ben contento se viene interrogato e giudicato dal suo
professore, o no? Quindi se non ho nulla di grande di cui vergognarmi, perché dovrei temere i
giudizi altrui? Se poi ci fosse un tipo strano che giudica male tutti e non si fida di nessuno è lui e
solo lui, che così facendo si isola, mettendosi fuori dal convivio.
Perché abitudine?
Quando guido la macchina giudico. Se compro un vestito, giudico. Per vestirmi al mattino, in base
al freddo che fa, o per mangiare e bere, ogni giorno, giudico.
E come tutte le cose, più le fai e più imparerai a farle.
Certo una persona è sempre qualcosa di estremamente complesso e quindi non dovremmo essere
mai né categorici, né troppo sicuri. Eppure una buona esperienza di vita ci fornisce l’intuito per
poterci fidare o meno di una persona appena conosciuta.
Come abbiamo detto l’esperienza** si affina esercitandola, specie se abbiamo metodo, cioè delle
direttive minime di base per poter orientarci meglio. Il mio è racchiuso in questo motto che scrissi a
14 anni: “non giudicare mai nessuno prima di avergli trovato, almeno un pregio ed un difetto”.
Se non altro, dovrebbe avere il merito di non sparare giudizi affrettati ed impulsivi, magari dettati
dalla collera. Ma anche perché, se nessuna persona è perfetta, neppure può essere tutta sbagliata!
Osservala meglio e sicuramente troverai qualcosa di buono.
Necessità, perché?
Tutti conosciamo la raccomandazione che dopo un incidente automobilistico, dovremmo affrettarci
a guidare di nuovo, pena la rinuncia alla guida per sempre.
Ma come non possiamo fare quasi a meno di guidare un auto, credo che per noi non saper o voler
giudicare cose e persone sia oltre che impossibile anche deleterio. Se dopo vari incidenti, piccoli e
grandi, guidando insicuri e tremanti, il prossimo incidente non tarderebbe ad arrivare. Questo è
quello che succede, a tante persone oggi.
Illudendosi di “saper guidare la vita da soli” hanno rimediato diverse fregature.
Per nulla modesti, benché fortemente impauriti e depressi, si arroccano a voler fare tutto da soli
senza mai chiedere consigli a nessuno.
Beh! Mi correggo, nessuno tra amici e parenti, perché, magari poi dallo psicologo ci va: in perfetto
“stile americano”. D’altronde non abbiamo voluto in tutto “il modello americano”?
Osserviamolo da vicino.
Si esce di casa giovani e si tagliano i rapporti coi “vecchi” genitori e poiché in America vige la
mentalità che “siamo tutti uguali” e tutti abbiamo la possibilità di diventare N° UNO. Il problema è
che non tutti lo possono diventare, quindi molti ne usciranno mortificati, delusi, depressi.
Ma anche chi ci fosse riuscito, siamo sicuri che sia felice o almeno sereno e tranquillo? La risposta
sta nelle statistiche.
Questi “VINCENTI”, fortunati agli occhi di tutti, poi vanno di media tre volte alla settimana dallo
psicologo o dallo psicanalista. Se non addirittura dallo psichiatra per una curetta a base di farmaci. I
tranquillanti sono i farmaci più venduti in America.
Qualcuno potrebbe chiedermi perché demonizzo il ricorso a questi professionisti. Tutt’altro. Se devi
costruire una casa è normale servirsi di un ingegnere per il progetto. E quando, purtroppo, si
dovrebbe aver bisogno di essere operati, si va da un chirurgo. Quindi cosa c’è di strano nel ricorso
al professionista della mente?
Il fatto che diventi normalità!
Può succedere a tutti nella vita di subire un accadimento “luttuoso” che possa portare ad una
depressione reattiva e quindi il ricorso allo specialista è assolutamente auspicabile.
Ma abbiamo parlato di casi eccezionali, non di uno stile di vita che costringa a queste cure. Quindi
dovremmo considerare lo stile di vita americano poco salubre mentalmente?
Ed il “grande obeso” lo possiamo considerare una persona con problemi psicologici?
L’America ne vanta, di gran lunga, la maggior percentuale nel mondo, un caso? Non sarà che è il
suo stile di vita che è ansiogeno?
Credo fortemente di sì!
E poiché è necessario capire per giudicare, provo a spiegarmi con un esempio.
Ho una ditta con 10 operai. Vengono da posti differenti e non si conoscono ed io organizzo ogni
tanto riunioni e festicciole e promuovo la loro conoscenza ed unione. “Uniti si vince ed io ho
bisogno di tutti voi e della bravura di ciascuno di voi!” Non sono affatto un benefattore, un “Don
Chisciotte”, ma so e spero che loro, sentendosi motivati, diano il meglio: ci guadagniamo tutti. In
serenità e soddisfazione. Questo è il modello “Olivetti fondatore”.
Lo definirei il modello “intelligente italico”, fatto di intelligenza e molta umanità!
Tutto il contrario succedesse se i miei 10 operai li mettessi uno contro l’altro, minacciando di
licenziare i peggiori. Il mio ricatto sottile, produrrebbe invidie, rancori, dispetti ed in ultimo,
malattie.
Ma il prenditore sciacallo: “chi se ne frega, se qualcuno si ammala; avanti un altro!”. Il mio
capannone non è a norma di sicurezza? “Beh, fossi matto: a mettere tutto in regola costa un botto! E
mica sto a fare beneficenza Io!”.
Direte che ho scelto due casi estremi? Un po’ sì, ma nemmeno troppo. La via di mezzo non esiste.
O ti considero utile collaboratore o ti considero “mio pagato”.
Non fatevi ingannare; anche se fosse donna, sarebbe ugualmente una temibile maschilista. Il voler
predominare ad ogni costo è tipico del maschio stupido. Ma anche una donna può imitarlo ed
interpretarlo alla grande.
CAPITOLO 4
Cosa voglio diventare da grande?
Sarò pure ignorante e presuntuoso, ma penso che la risposta migliore sia: essere una persona felice.
Questo è l’obiettivo da ricercare e da allenare tutti i giorni.
Nulla si ottiene a caso o solo per fortuna. Il campione di qualsiasi sport, per essere vincente, si
allena ogni giorno, non perdendo di vista mai il suo obiettivo.
Mi direte che la buona predisposizione è anche molto importante ed avete ragione, ma soprattutto le
sue scelte e la sua tenacia. Certo che se fossi un ragazzo forte, ma brachitipo, sarebbe per me
sconsigliabile il salto in alto, ma, magari in un altro sport dove la mia fisicità particolare fosse più
adatta, potrei diventare un campione.
Ma ne caso del ragionamento per arrivare ad una vita felice (o almeno avvicinarsi) la
predisposizione in cosa consisterebbe?
Senz’altro nascere in una famiglia serena. Con un padre ed una mamma amorevole e tranquilla e
con la possibilità di giocare con altri bimbi/e. Se poi non mancasse l’opportunità di dover fare
qualche piccolo sacrificio ancora meglio. Assolutamente niente lussi.
Il concetto dell’ultima frase dovrebbe essere lapalissiano. Tutti sappiamo che dà molta più
soddisfazione passare dalle stalle alle stelle che viceversa.
Quindi un po’ di sacrifici, un po’ di giochi con gli amichetti (ed anche qualche sana zuffa, ogni
tanto) un po’ di studio ed un motto che ci faccia da guida.
Allenati ogni giorno per diventare sempre più sensibile ed anche ugualmente più resiliente e tosto.
Ed il tosto è riferito non al fisici, ma al carattere, cioè mentale. Naturalmente vale anche per una
fanciulla.
D’altronde la vita è diventata sempre più dura e le donne hanno, purtroppo, più ostacoli di noi
maschi. Diventare tosti e coriacei alle intemperie della vita è il miglior modo per affrontarla senza
troppi timori. Un atleta ben allenato non teme la gara, anzi. Perché si sente vincente ed orgoglioso
di sé.
Poi se arrivasse solo secondo o terzo, bisogna solo accettare quella amara mancata vittoria e
trasformala in impegno ulteriore.
Sapersi accettare per come si è, nella vita, ci mette sempre nelle migliori condizioni, per poter
cambiare in meglio!
Al contrario, colui che non si accetta, il perdente seriale, si arroccherà sulle sue posizioni, inveirà
contro la malasorte che si accanisce su di lui, non riuscendo ad ammettere, di stare sbagliando
qualcosa e per orgoglio continuerà a fare sempre peggio. Si sta avvitando verso il disagio psichico e
mentale.
Ma perché allenarsi, giorno dopo giorno, in due caratteristiche caratteriali così diverse, anzi
opposte? Solo per avere un’ampia personalità? No! Non solo per quello. Certo che avere una
personalità ampia è ottima cosa, perché come abbiamo nell’armadio vestiti invernali, ne abbiamo
anche di estivi. Oppure potrei rispondere che un bravo pittore sa sapientemente usare i colori più
scuri e quelli più chiari e lucenti: serve per avere una personalità ampia, profonda e variegata,
pronta a saper rispondere al meglio alle tante difficoltà che la vita propone.
Questa completezza infonde sicurezza e non fa mai sentire inadeguati, ma anzi dei leaders! Cioè
quello che ognuno sogna di diventare! Quello che le donne vogliono vedere in un uomo, quello che
tutti gli uomini assennati cercano per madre dei propri figli.
Infatti, di solito, in questa società patriarcale associamo la parola “Leader” solo al maschile. Niente
di più sbagliato! La donna sa esserlo pari all’uomo se non di più. Magari con caratteristiche diverse,
femminili, appunto: la costanza, l’abnegazione e financo il saper gestire l’economia familiare
quotidiana. Il saper educare i figli: il nostro bene maggiore!
E non per ultimo, il saper gestire i rapporti affettivi/amorosi nella famiglia e verso il suo uomo.
Ma per poter fare questo, la donna, più di un uomo, deve sentirsi rassicurata ed amata, o almeno
deve amare qualcuno o qualcosa: avere un ideale grande!
Una suora ama il prossimo, il malato, il derelitto, perché ama Dio.
La scienziata si nutre dell’amore per la scoperta! La donna è “dare” e “sentimento” e perfino
“sogno”; ecco perché ha bisogno spesso di sentirsi ancorata al “masso di roccia” che è il suo uomo,
che la costringe a rimanere a terra, ma le infonde anche stabilità e sicurezza.
Con discreta fantasia paragonerei la donna all’acqua (fonte di vita) che però se agitata può dare la
morte; e paragonerei l’uomo saggio all’olio, che la controlla e ne evita gli eccessi pericolosi senza
sforzo.
Fin da Freud si accetta il principio che in una coppia “sana “lui rappresenti la sicurezza e lei
l’amore.
O almeno fino ad oggi è stato cosi. Per il futuro non so.
Nel secolo scorso ci sono stati dei cambiamenti epocali, anche in seno alla famiglia ed alle coppie:
divorzio, pillola anticoncezionale, aborto ed indipendenza economica. La donna di oggi che lavora
non ha più bisogno di un uomo per vivere.
Ma per vivere bene e felice sì!
A meno che lavoro, sogno ed amore siano tutt’uno, come dissi nel caso di religiose o scienziate.
E la Single, mi direte? Non vive bene la Single, che le manca?
Risponderei, il meglio: calore umano, progetto di vita ed i figli!
Dopo i 40 anni, quando ormai si è organizzata una vita autonoma, si rende conto che ha pagato il
suo benessere economico e la sua “libertà” con una cosa che tutte le donne, o quasi, vorrebbero:
**Almeno un figlio. Se ne valesse la pena o meno, ognuna lo giudicherà secondo il suo metro
personale. Ma sa anche che il suo sogno realizzativo finirà con la pensione ed allora potrebbero
arrivare anni di mesta solitudine. Potrebbe arrivare sempre un uomo accanto a sé nel corso degli
anni, verso la tarda età?
Non lo credo facile: non è abituata a convivere, né a venire messa in discussione nelle sue scelte
(cosa imprescindibile, perfino in una relazione a distanza). Potrà avere delle avventure e perfino
delle storielle, ma termineranno presto e la renderanno sempre più delusa, amareggiata, sola.
La donna sposata, con figli e nipoti, benché divorziata o vedova si sente sempre la “chioccia” di
tutti e si nutre dell’amore dei suoi nipotini e può, a volte, specie la vedova, rifarsi una vita con un
uomo.
Perché “specie la vedova”, che differenza ci può essere con la divorziata?
Premesso che sto ragionando su donne italiane nate nella metà del secolo scorso o giù di lì e
considerando che ogni caso è a sé stante, eppure ci sono delle caratteristiche assai ricorrenti.
La vedova ha perso il suo uomo, ma non era in conflitto con lui e se anche ci fossero stati alcuni
screzi (inevitabili in una coppia), la malattia e la sofferenza li avrebbe fatti dimenticare o quasi ed il
“sogno amoroso” verso il maschio non è rimasto guastato.
Per la divorziata, invece, spessissimo sì.
Se fosse stata lasciata dal marito per un’altra donna, magari più giovane, capiamo tutti che la fiducia
“nell’uomo” scemi drasticamente. Ma anche nel caso che fosse stata una sua sofferta scelta,
comunque avrebbe lasciato un forte segno.
Teniamo ben presente che spesso tutte queste signore ultracinquantenni hanno amato quel solo
uomo, quindi lui rappresenta la totalità della loro esperienza vissuta: la delusione è totale.
L’unica eccezione, che si spiega da sola, è quando è la donna a lasciare, perché invaghita di un
altro.
Un conto è avere una sola casa e vedersela crollare per un terremoto e ben altra cosa è averne
franata una su tante. Alle ragazze di oggi, che hanno diverse esperienze prematrimoniali, non
dovrebbe accadere più. Il divorzio resterà comunque un grande trauma, ma sarà meno devastante.
Divorzi “di comune accordo” esistono solo per la legge e per i conoscenti: c’è sempre un
“lasciante” ed un “lasciato”, che “ab torto collo”, accetta.
Qualcuno si meraviglierà di questo abbondante exursus sulla vita di coppia, quando il tema del
capitolo era “cosa vuoi fare da grande” ed io risponderei che anche queste persone devono
“ricominciare” e riprogrammare il loro futuro.
Spesso si pensa poco al fatto che loro hanno tutto il diritto a rifarsi un futuro possibilmente il più
bello possibile, compatibilmente con l’età e con i conseguenti acciacchi fisici che molto spesso sono
influenzati dall’aspetto psicologico e dallo stile di vita.
Per noi umani tutti, vivere senza amore per un partner è appassire e sopravvivere. I figli e nipoti non
bastano. Pranzare ed ancor più cenare da soli è deprimente. Perfino l’O. M. S. consiglia di mangiare
in compagnia ed allegria e di fare attività fisica.
Meglio, anch’essa se fatta in compagnia, aggiungerei io.
Qualche ostinato mi potrebbe obiettare che si può cenare spessissimo fuori casa con gli amici,
anziché sempre con la stessa persona, ma penso che se si ama una persona, la sua compagnia non
annoi mai, anzi!
Ed ogni tanto poi, con gli amici, ci si potrebbe andare comunque, ma con l’animo felice di chi sa
che al suo rientro non sarà solo, ma troverà ad aspettarlo il suo amore.
Troppo cattivo con le persone che non se la sentono di tornare in coppia? Forse, ma ricorderei loro
che esiste una via di mezzo: una storia a distanza. Ci si vede e ci si frequenta pur rimanendo ognuno
a casa propria. Magari non eccessivamente distanti geograficamente.
Poi col tempo e con l’abitudine le cose potrebbero evolversi.
D’altronde la qualità di una “vicinanza” non si misura in ore passate insieme, ma nella qualità di
esse! Avremmo, così, la consapevolezza di non essere soli e non abbiamo rinunciato alla nostra cara
libertà.
La società si è evoluta, quindi dovremmo evolverci anche sul piano sociale-amoroso.
Che poi questa “Libertà” così bramata, così idolatrata, sappiamo davvero cos’è?
Chi è più libera la donna che una sera, benché stanca, per non dire di no al compagno accetta di
andare a ballare con lui e poi si diverte tantissimo e la stanchezza è svanita, o la donna sola che,
magari è pure molto meno stanca della precedente, ma si sente sola e triste e rimane a casa?
Anche perché l’amica, con cui va spesso a ballare, quella sera non può. Poi rischi di rimanere tutta
la serata sola, perché nessuno ti invita a ballare , come succede spesso.
E sempre la stessa Single di prima. “E se volessi farmi una passeggiata dopo cena?” Quasi quasi
telefono a quell’altra mia amica, sperando che stasera non esca col suo uomo”. “Sennò prendo la
mia amata cagnolina e faccio una passeggiata con lei, dopotutto domani devo pure alzarmi presto”.
“Si, si, devo uscire qualche volta, mica posso stare ogni sera a guardare la Tv. Giuro che sabato sera
vado a ballare in quella bella balera affollata”.
Peccato che è un po’ troppo lontana e la mia macchina è vecchia e mi fa, da giorni, un rumorino
strano e si accende anche una spia. Giorgio mi ha detto che se fosse rossa dovrei fermarmi subito:
devo farci caso domani.
Anni fa, parlando di libertà, una mia amica mi chiese: “Se tu camminassi di notte, da solo, in un
vicolo poco illuminato e sentissi dei passi di un uomo dietro di te, avresti paura? Risposi con una
risata eloquente: certo che no. E lei: “Io invece si, e tanta pure!”.
Quindi immedesimiamoci bene negli altri prima di dare giudizi superficiali.
Sono sempre più convinto che, essendo l’essere umano un “animale sociale”, da solo sta male; si
rattrista, infatti in questi anni dove ci sono sempre più persone sole, la depressione ed i disturbi del
sonno sono frequentissimi. Questo stress è fonte di malanni reali ed immaginari. Esso abbassa le
difese del nostro corpo e lo predispone a malattie anche gravi.
Ci lamentiamo sempre: ci fa bene alla salute?
Lamentarsi del governo ci fa sentire furbi, alla moda, trendy (a me non la fanno, non sono mica
fesso come credono, ah ah ). Ed invece ti stai fregando da solo e non te ne accorgi!
Pensi che questa sfiducia verso tutto e verso tutti ti faccia bene alla salute? O, al contrario, ti faccia
sentire un povero inerte rassegnato cittadino?
Perché non pensi a cosa puoi fare per cambiare? Perché non vai a votare da anni? Di cosa ti lamenti,
allora? Fa, almeno, il tuo dovere civico, prima di chiedere solamente.
Protesta, magari civilmente, ma risolutamente davanti ad un torto a tuoi danni o ai danni del tuo
vicino. La libertà e la giustizia non nascono spontanee, come le erbe infestanti, ma anzi vanno
piantate e curate ogni giorno da tutti. Lo facciamo? NO. Curiamo la diffidenza, invece, ed essa ci
divide ed alimenta il sospetto reciproco e questo clima porta all’insonnia: se non posso fidarmi di
chi mi circonda dovrò rimanere costantemente vigile, sempre.
Questo scoramento, scende a cascata sulla Sanità pubblica, sulla Scuola e su tutte le istituzioni in
genere. La precarietà del lavoro completa il quadro.
Lo scetticismo porta alla mancanza di valori, che a sua volta inaridisce il “Sogno”. La mancanza di
“sogni” ci inaridisce e ci deprime.
Non a caso gli ansiolitici sono i farmaci più usati.
Esiste un rimedio?
Ne vedo solo uno: re-imparare a gestire la fiducia. I nostri nonni e chi prima di loro lo sapevano fare
più di noi. Scolasticamente erano, a volte, analfabeti, ma sapevano giudicare l’interlocutore, meglio
di noi, oggi.
Abbiamo assolutamente bisogno di migliorare in tal senso. Certo che il mondo è diventato più
difficile e le persone più furbe, ma questo deve spingerci ad imparare meglio e di più. Non certo a
regredire astenendoci dal giudicare. L’Arte di vivere non si impara tra i banchi di scuola, ma
vivendo e rischiando, magari accettando a volte, qualche buon consiglio da chi ha più esperienza di
vita.
Sbagliando s’impara: non c’è nulla di più vero. Ed il compito di un genitore è di darti il buon
esempio, ma anche di lasciarti libero di commettere tanti piccolissimi sbagli e di impedirti di fare
quelli più grandi ed irreversibili. Lì deve intervenire con decisione e tempestività.
Ma quando dare fiducia e quanta?
Sono domande giuste le cui risposte ci possono cambiare la vita, quindi bisogna prestare molta
attenzione.
Incominciamo per gradi. Spesso faccio questa domanda, solo apparentemente semplice ed ingenua:
Quanto ti fidi di te stesso in una percentuale da zero a cento?
Il facilone risponderà senz’altro 100. Ed io: sicuro? Mi vorresti dire che non hai mai sbagliato e non
prevedi di sbagliare per il futuro? E mi auguro per lui che le sue pretese si ridimensionino.
L’interlocutore più riflessivo, a primo acchito, risponderà sopra i 90, ma poi, ragionandoci meglio,
si attesterà fra il 70 e l’80%.
Il depresso sicuramente sotto il 50.
Capite ora, anche voi, quanto abbiamo potuto capire di una persona appena conosciuta, con una
semplice domanda?
La seconda viene di conseguenza. Ad una persona appena conosciuta, di solito quanta ne dai?
Aspettandomi una risposta del tipo: all’inizio poca e poi man mano, anche a seconda del suo
comportamento.
Ma “precisino” qual sono (il preciso insiste sulle cose importanti, il pignolo, sulle banalità), incalzo:
“Al primo incontro a che livello lo accrediti nel migliore dei casi?”. E qui incespicano in parecchi.
“Nulla, come potergli dare di più?”.
Non è vero. Senza accorgercene, già ci siamo fatti un quadro di massima (spesso giusto), fatto dalla
parte inconscia del nostro magazzino di ricordi che abbiamo “scattato” negli anni e che sono il
nostro INTUITO, che è il “Sapere” del nostro subconscio.
Quello che ci avvicina ad una persona, mentre ce ne fa percepire un’altra come fastidiosa ed
antipatica. Ma funziona anche da specchio, perché dice molto anche della tranquillità di noi
giudicanti e di quanto ci sentiamo sicuri.
Un esempio per spiegarmi meglio. Siamo in gita e c’è un tipo che scherza un po’ con tutti e non
perde occasione di sparare una battutina simpatica.
Se siamo contenti, spensierati ed allegri lo giudicheremmo un “simpaticone”. Se invece fossimo
tristi, lo riterremmo “un fastidioso maleducato” che non sa stare al suo posto.
Il classico bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, da cui innescano le relative considerazioni
positive per i primi e negative per i secondi, mentre il bicchiere sempre quello è per tutti e due. Il
nostro umore del momento è come il filtro colorato del fotografo che allo stesso panorama può dare
una sfumatura completamente diversa.
Ma torniamo al primo incontro con una persona: dopo un po’ di interazione, come lo
“Accogliamo”? Se siamo ottimisti e sicuri, gli daremo una speranzosa promozione. Se, viceversa
fossimo scettici, impauriti, sfiduciati, per “non rischiare nulla”, lo bocceremmo.
Pensiamo che l’altro sia così grossolano da non accorgersene? Non ci sperate nemmeno e la
conoscenza e, forse la futura amicizia, non decollerà.
Questo succede troppo spesso, ormai!
Quindi abbiamo acquisito un altro metro di giudizio: dimmi quanti amici hai e ti dirò chi sei.
Ma parlo di amici veri. Se invece confondi l’amicizia col semplice frequentarsi, allora non conosci
gli ideali.
Se non ne hai nessuno, non riuscendo a credere che tutti quelli che hai avuto modo di conoscere
fossero tutti sbagliati, ne deduco che ad avere dei problemi possa essere tu.
Ma dopo aver fatto conoscenza come posso regolarmi?
Uso offrire una “caramella” ed osservo la sua reazione. Se educatamente l’accetta, ringrazia ed alla
prima occasione ricambia tienitelo stretto, potresti aver trovato un amico vero.
Se ti ringrazia un po’ distrattamente, forse ne occorre un’altra per capire meglio, prima di scartarlo
del tutto. Anche due caramelline non ti porteranno alla rovina e potrebbero risparmiarti cocenti
delusioni.
Se per ultimo la persona, anziché ringraziare, vorrebbe prendersi pure la mano o addirittura il
braccio, lasciamolo andare: è un povero maleducato.
Ma una vera e profonda conoscenza si ha solo dopo una lite. Li nessuno riesce più a fingere e viene
fuori la personalità “nuda”. Osservare come si è comportato durante e dopo ci fa capire moltissimo,
quasi tutto e, se si fosse comportato malissimo, non crediate alle sue scuse, pentimenti o
giustificazioni: farà sempre così, se non peggio.
Una persona educata, invece, non trascenderà oltre i limiti, né a parole, né a gesti e se è una persona
forte e saggia non porterà rancore e ti lancerà presto un “ramoscello di pace”. Se sei altrettanto
bravo lo accetterai volentieri e potrà nascere una grande amicizia! e se fosse dell’altro sesso
potrebbe nascere Amore.
In quel caso è opportuno che la fiducia sia massima: un infinito non si deve limitare!
Se rimanesse solo amicizia, ricorda sempre, che non siete la stessa famiglia e quindi sono da evitare
grandi pretese: sarà disposto a dare a te, all’incirca, quanto tu daresti a lui o a lei: un buon consiglio;
un sostegno morale, un’assidua vicinanza. Di più non si può e non si deva pretendere.
Se chiedessi ancora di più, rimarresti deluso. Deluso oggi, deluso domani, diventi scettico e non dai
più fiducia a nessuno: rimani solo e soffri.
Ma tu, a loro, saresti stato in grado di fare molto di più di quanto loro dettero a te?
Queste sono considerazioni interpersonali a “campo aperto”, come si suol dire, ma in contesto
lavorativo, dove chi frequentare non puoi sceglierlo e, magari, l’interscambio è d’obbligo?
Forse non rimane che il vecchio adagio: patti chiari ed amicizia lunga. Stabilire che l’educazione è
necessaria, mentre la simpatia è facoltativa. Vi assicuro che così facendo, tolto casi eccezionali, si
ottengono buoni, insperati risultati.
Cosa succede generalmente?
Il soggetto abituato a prevaricare intuisce subito che per lui è il caso di darsi una regolata, mentre il
soggetto, anche solo apparentemente fragile, sospettoso ed impaurito, apprezza la persona che gioca
a carte scoperte e si rasserena e dà il meglio di sé, perché incomincia a fidarsi!
E perfino nel caso che cercasse informazioni, ne avrebbe ulteriori rassicurazioni e si rilasserebbe e
tutto il gruppo ne trarrebbe giovamento.
Tutto il contrario di quanto anche solo due componenti litigano fra loro: si genera tensione,
maldicenza, sospetti incrociati e l’atmosfera diventa pesante ed insalubre. Quello è il momento che
arrivi un leader saggio ed autorevole, rispettato da tutti, che metta pace.
Il leader saggio è colui che riesce sempre a mettere l’interesse del gruppo davanti a tutto, persino a
quello personale; con eleganza, educazione, ma anche con decisione.
Poter vedere il posto lavorativo, dove si passano molte ore, come luogo positivo è basilare per la
salute, ma non sempre è facile, anzi alle volte occorre cacciare le nostre doti migliori e magari fuori
moda al giorno d’oggi, dove “fatti i fatti tuoi” (e sopporta tutto) è imperante.
Arrivò nel nostro reparto una collega che, a suo dire, era stata soggetta a bullismo nel reparto da cui
proveniva. Nel corso di pochi giorni, mi fu riferito (ero rappresentante di reparto) che la suddetta
rifiutava a prescindere qualsiasi favore chiestole da qualcuno di noi colleghi.
Alla prima occasione di avere un colloquio le chiesi come si trovasse tra noi. “Bene, bene” rispose
netta per troncare il discorso, ma io: “non mi risulta perché ho sentito dire che non fai mai favori di
cambio turno, per esempio. Noi, nei limiti del possibile, ce li facciamo: saresti tu a scegliere di
rimanere isolata. Però decidi in piena libertà”.
Non la prese affatto bene, ma tacque.
Giorni dopo, quando finalmente si sentì del gruppo, mi ringraziò davanti a tutti. C’è rimasta per
anni: era la più allegra!
Ne racconto un’altra.
Una collega, messa suo malgrado nel nostro reparto, veniva sempre in ritardo al cambio turno.
Un giorno, mentre ce ne stavamo lamentando in 5 di noi, verso le 14 e 30 arrivò e di colpo tutti
tacquero, cosicché lei intuì e chiese: stavate parlando male di me?
Si levarono quattro No! Ed un Sì; era il mio.
Lei si girò verso di me e disse stizzita che poteva capitare a tutti, qualche volta, ed io: “Sì, ma non
sempre. Noi siamo un gruppo unito, benvenuta tra noi!”.
Cambiò atteggiamento e diventò un’ottima collega.
E dove c’è concordia si lavora di più e meglio e si fatica di meno, perché lavorare con entusiasmo
ne allevia il peso, specie se è quello che ci siamo scelti volontariamente.
Dovremmo sentirci fortunati, perché non esistono lavori brutti o indegni (se non fare la guerra da
mercenario), ma solo lavori che piacciono o meno e lavorare con gioia ti migliora la vita ed i
rapporti familiari. Il contrario se torni a casa stressato ed arrabbiato dal lavoro e dal traffico. Lo
stress è la pandemia dei paesi industrializzati.
Quindi la soluzione è la decrescita felice? Si, perché no, nei limiti possibili.
Ma soprattutto RIDISTRIBUZIONE onesta: un dirigente non deve guadagnare, avere come
stipendio, mille volte quello di un operaio. È assurdo; è offensivo! E se si è arrivati a questo punto
di prevaricazione è perché lo abbiamo permesso tutti, tacendo.
Decrescita sì, ma non perché costretti da eventi esterni, ma come scelta di vita e per salvare il
Pianeta.
Soprattutto, perché saper rinunciare a qualche lusso superfluo ci può solo far sentire più forti, più
resilienti, aumentando l’autostima: come, per esempio si sono sentite tutte quelle persone che hanno
avuta la forza di rinunciare al fumo!
In fondo in fondo, noi popoli “civili” altamente scolarizzati ci stiamo distruggendo il futuro per
troppa sfrenata avidità ed incredibile stupidità.
L’uomo antico faceva opere che resistevano millenni per essere ricordati, per diventare “immortali”.
Ora, per guadagnare tanto e subito è disposto a togliere un avvenire sano ai suoi figli e nipoti. Di chi
parlo? Delle Mafie che interrano rifiuti radioattivi, presso le falde acquifere, ma anche a quei
politici che si muovono, non per il bene comune di tutti, ma per inseguire i sondaggi elettorali e per
compiacere le lobbies affaristiche che li comprano a suon di denaro e grossi regali.
Ma anche noi persone frettolose, stanche e rassegnate che non sappiamo più scegliere, né
indignarci!
Noi Italiani non siamo mai diventato un popolo unito e quindi mai orgoglioso di sé (se non per il
tifo sportivo) e vediamo l’altro solo come concorrente, a volte anche scorretto e quindi ci sentiamo
giustificati qualora lo fossimo anche noi.
E di scorrettezza in scorrettezza il senso comune dello Stato va a farsi benedire. Le tasse? Fesso chi
le paga! Infatti quel politico che garantiva che non avrebbe messo le mani in tasca agli italiani è
stato eletto più volte.
Che i suoi potenti mezzi di comunicazione lo abbiano aiutato è indiscutibile, ma anche quel sub-
strato di disonestà insita in troppi di noi. Spesso si vota per convenienza immediata (voti pagati o di
scambio), ben consci che si stanno votando i peggiori e non i meno peggio, come dovremmo e che
sempre ci sono.
Se imparassimo a votare saremmo un paese più ricco e meno corrotto.
Oltre ai votanti pagati, ce ne sono troppi che non si interessano di politica, o quelli che votano per
abitudine o appartenenza, senza scegliere volta per volta, quindi premiando o punendo.
Non ritengo opportuno essere “Un votante fisso e sicuro” spesso turandomi il naso. Non sarei da
pungolo, da stimolo, come invece il voto dovrebbe essere.
Secondo voi lo studente che sa che non verrà mai bocciato, sarà mai stimolato a studiare?
La concorrenza è l’anima del commercio che stimola ad offrire il meglio, quindi osserviamo e
giudichiamo questi politici che ci governano e sempre votiamo i “meno peggio “. Così facendo,
loro, sentendosi osservati, saranno “costretti” a dare il meglio. Facciamolo anche per i nostri figli e
nipoti.
Perché in ultima analisi gli unici responsabili siamo solo noi votanti.
Lo stesso dicasi, per ciò che acquistiamo per mangiare.
Ormai si giudica ciò che si compra soprattutto con gli occhi.
Quanto è bello: lo compro; è bruttino e grezzo: non lo compro. Quindi i commercianti “volponi”
coprono la frutta di cere, per rendercela più luccicante.
Preferendola a quella un po’ rustica del contadino, che ce la venderebbe, perfino a metà prezzo
(essendo ridotta a zero la catena commerciale).
Però è bruttina ed a volte ci si potrebbe trovare anche qualche vermicello. “Ma che siamo matti?”
“No, ni, la voglio garantita: lucida e senza verme assolutamente!”.
Eppure, forse, siamo laureati in chimica, in biologia, in medicina e comunque sappiamo benissimo
che certe sostanze in essa sono nocive.
Quando andavo a scuola, più di mezzo secolo fa, si era davanti ai grandi progressi della chimica e
quindi ai primi “veleni” che erano stati inventati per “salvare” la frutta dai vermi e fu chiesto, a tal
proposito, un parere al professore di chimica.
Lui uomo vecchio e saggio disse: “se ci trovate il verme vivo, mangiatela tranquilli: è rimasto vivo
lui, non può farvi male. Se invece fosse morto, comincerei a preoccuparmi. Se in nessuna delle
tante, ce ne fosse uno, allora ridatela a chi ve la propone.”
Esagerato? Altri tempi! Parecchie persone avevano il brutto vizio di dire la verità e di ragionare con
la testa propria. Nemmeno la migliore pubblicità a volte li convinceva.
Cultura e/o Saggezza.
Se ricordate, già ne parlai nelle prime pagine di questo libro, ma vorrei ritornarci sopra facendo
alcune riflessioni. Che cosa sono? Come nascono? A cosa servono e soprattutto come si
accrescono?
Per rispondere alla prima domanda basta consultare il vocabolario o Internet e leggere ciò che c’è
scritto.
Ma lo abbiamo fatto? E ci abbiamo ragionato sopra un po’?
È più probabile la prima cosa che la seconda. “Si va sempre troppo di corsa”, mi direbbe qualcuno.
Vero, la vita moderna ci costringe ad andare sempre di corsa e magare a sovrapporre la nostra
attenzione su più cose contemporaneamente.
Sto andando a casa con l’autobus e leggo una notizia sul cellulare e magari rispondo anche alla
signora accanto che gentilmente mi aveva fatto una domanda. Devo tenere in mente che tra tre
fermate devo scendere. Poi questo bimbetto a fianco che non riesce a stare zitto e fermo.
Quanto mi rimane di quella lettura? E, soprattutto, quanta parte di ciò che ho letto l’ho fatta
veramente mia?
Un leggere fatto così, “con l’imbuto”, somiglia molto al mangiare fatto con lo stesso stile (perché,
spesso diventa, oltre ad una necessità, anche uno stile di vita) di cui alcuni arrivano a vantarsi. Quel
mangiare, non ben masticato ci si mette sullo stomaco e ci fa star quasi male e ci costringe spesso a
prendere qualcosa per digerire.
Capolavoro al contrario: siamo riusciti a mangiare per stare peggio!
Beh! Vi avverto, capita la stessa cosa col leggere di fretta; senza “masticarlo” e quindi senza
probabilmente digerirlo bene.
E esattamente come per il cibo, rischiamo addirittura “diarrea e vomito”. Cioè più confusione e
meno certezze.
Se ripetuto spesso, porta ad insicurezza, ansia, insonnia. Ed ancora ansia! Un cane che si morde la
coda.
Ho esagerato? Cos’è l’analfabetismo di ritorno?
Com’è che in questo mondo pieno di notizie, non ci sentiamo mai sicuri di nulla e non ci sentiamo
mai in grado di dare un consiglio a nessuno?
Perché a volte spegniamo la televisione, dicendo: “…e basta, non ne posso più”. Perché? Perché
siamo stracolmi di notizie, che non riusciamo nemmeno più a mettere in ordine nella nostra testa.
Quindi leggere di meno, ma prestando la massima attenzione. Se poi ci dessimo una occasione di
confronto con qualcuno, su quel tema (come si discuteva il film visto al cineforum), sarebbe il Top.
Ma, in fondo, perché l’uomo ha sempre sentito il bisogno di accrescere, sia cultura che saggezza?
Forse l’ho già spiegato. La cultura è il nostro “mangiare” e lo saggezza è il nostro “digerito”.
Per salire in alto come Sapienza personale, dobbiamo immaginare una lunga scalinata che sale.
Ogni gradino è formato da una rampa e da un piano pedata: semplice, no?
La cultura risponde all’istinto di sapere, conoscere, esplorare, insito dell’Homo Erectus che lo ha
portato a migliorarsi continuamente. Quella aggressività (aveva una accezione molto positiva, fino
al secolo scorso) che lo rendeva curioso e mai appagato del tutto e che, proprio per questo istinto, lo
ha portato a grandi imprese.
Ma se non è condita da saggezza, può essere molto pericolosa.
Con lo stesso coltello affilato, puoi sbucciarci una mela, ma ci puoi uccidere qualcuno. Il massimo
esempio è rappresentato dall’energia dell’atomo!
Oggi ci sta succedendo qualcosa che amo spiegare con un esempio.
Un muratore frettoloso, vuol fare la scala di cui sopra. Impasta la malta e fa il primo gradino. Ma ha
fretta e non lo lascia consolidare. Prova a fare il secondo e, magari anche il terzo. Risultato?
I suoi stivali affondano e lui torna a livello zero!
Anzi si ritrova immerso nella mota ed non riesce ad uscirne!
Questo è quello che sta succedendo a noi “civilizzati”.
Quindi, se aveste la compiacenza di soffermarvi per capire questo, forse vi sareste ripagati del costo
del libro.
La Saggezza è Salute e gioia di vivere! È saper scegliere ed è, quindi, anche saper rinunciare al
superfluo!
Un grande saggio antico diceva che raggiungere la felicità è semplice: basta sapersi accontentare del
necessario. Quindi se spesso siamo così stressati è perché siamo ingordi e non sappiamo più
riconoscere il necessario, da ciò che non lo è . Potremmo dire che il superfluo è anche dannoso alla
salute.
I nostri nonni erano scolasticamente meno colti, ma molto più saggi.
Amavano la compagnia e l’allegria e vivevano senza angosce. La maggior parte di loro avevano
poco, ma erano ricchi dentro: pieni di umanità, di umiltà, ma cantavano spesso ed erano contenti. Il
canto, come un buon bicchiere di vino, non mancava mai: entrambi fanno “buon sangue”!
A questo punto, mi verrebbe, scherzando, da ricordare quel famoso detto popolare: “si stava meglio,
quando si stava peggio”.
Che tradotto, da me in volgare, così recita: Per farci stare meglio, come ci promettevano, ci stanno
fottendo completamente!
Possiamo, anzi dobbiamo tutti, andare a scuola, per saperci difendere dai birboni? Basta rendere la
scuola pubblica quasi inutile! Dove i professori vengono umiliati dal misero stipendio e dalla
prepotenza dei genitori dei ragazzi. Chi vorrà un figlio veramente istruito, lo manderà ad una severa
scuola privata.
Dopo tante promesse, ora i ricchi sono sempre più ricchi e noi popolino lavoriamo, come
formichine impazzite, con pochi diritti e poco stipendio.
Ma non ti devi ribellare: è la globalizzazione, caro! È la modernità!
Sarà il mio istinto di maschio etero, ma mi puzza di situazione “prona”. Di vasellina!
Globalizzazione di cosa? Delle perdite?
Perché non mi risulta che dividano i loro maggiori introiti coi loro operai che lo hanno reso
possibile con tanti sacrifici.
Anzi, siamo ritornati al licenziamento “feroce”. Fatto, col solo scopo di poter guadagnare di più
all’estero. Magari comunicato tramite WhatsApp.
Che civiltà, che modernità, che progresso!
Questo non mi pare che ce lo avessero detto 30 anni fa. O siamo stati noi gli ingenui che non
avevamo capito?
Ed ora cosa dovremmo fare? Stare zitti, subire sempre di più e diventare ancora più stressati? Tanto
a loro cosa frega di noi?
Se ti ammali, ti cambiano: avanti un altro verso la “centrifuga”.
Ci stanno riportando al Medio evo sindacale e noi ed i nostri figli (soprattutto), cosa siamo in grado
di fare?
Che avessimo cresciuto una generazione di fessi senza nerbo? Senza saggezza?
Cosa c’entra la saggezza ora?
“L’unione fa la forza” è una frase che avete sentito mai? D’altronde un bravo dottore non fa un
consulto di fronte ad un caso difficile? E lo stesso industriale, non convoca il consiglio di
amministrazione davanti ai problemi più grossi?
Ed i magistrati non si uniscono in Pool, quando il caso è particolarmente pericoloso?
E perfino l’uomo primitivo si univa in gruppo, per la caccia.
Solo il “sapiente ipertecnologico” pensa di poter fare tutto da solo: gli basta un cellulare ed una
connessione e solleverà il mondo. Unirsi in gruppo per contare di più? “Roba vecchia, roba di altri
tempi”. Si dice che la mafia, prima ti isola e poi ti uccide.
Perché da solo conti poco, mentre se hai un gruppo unito e forte, nemmeno il potente di turno osa
attaccarti facilmente.
Un gruppo unito fa paura al Potere. In genero Loro sono forti coi deboli e deboli coi forti!
Nel 1968 ci furono grandi cambiamenti culturali e di mentalità. Riuscimmo a buttare giù tradizioni
centenarie sul costume.
Frantumammo antichi ruderi, perché i giovani uniti si sentirono forti ed i vecchi “Matusa” furono
costretti a concessioni impensabili in tutti i campi, compreso quello sindacale. Quindi si può rifare!
Però, poi noi ci rilassammo, conviti che indietro fosse impossibile tornare, non sapendo che i
Potenti tramassero in silenzio. E negli anni, con la nostra tacita, stupida ed inerte complicità,
abbiamo permesso loro di riportarci a 70 anni indietro, sindacalmente.
Come salario, dignità e sicurezza sul lavoro. Glielo abbiamo permesso Noi isolandoci.
Siamo ancora in tempo per recuperare?
Dobbiamo sperarlo! Dobbiamo crederci, perché non abbiamo altra scelta, ben sapendo che ora i
problemi sono diventati due: la dignità del lavoro e l’inquinamento e conseguente riscaldamento del
Pianeta Terra.
Si, infatti, nemmeno esso, ultimamente se la passa molto bene in salute, ma esso si ribella ed urla a
squarciagola! Uragani, siccità, bombe d’acqua che spazzano tutto. Cosa deve fare di più per
avvisarci che lo stiamo distruggendo?
Sordi o non curanti o semplicemente frettolosi e frastornati da tutto e tutti?
Spero che quest’uomo supertecnologico non sia diventato tanto superbo e stolto da pensare solo ai
soldi ed alla produzione.
Produrre, produrre, produrre questo è il mantra continuo ed incessante. Ma se abbiamo i magazzini
pieni di certi prodotti invenduti, perché produrne ancora? Qualcuno mi risponderà: per dare lavoro
ed occupazione.
No. Grazie! C’è un altro metodo per lavorare tutti e vivere decentemente, sia come salario che come
ore lavorate.
Distribuite un po’ di più dei vostri guadagni e fate la settimana corta! Invece attualmente si verifica
l’assurdo che chi lavora scoppia e tantissimi vanno a spasso perché disoccupati. Qualcosa non
funziona! Quindi cerchiamo serenamente di tornare a ragionare insieme ad altri, per confrontarci.
Leggiamo, meno e meglio, ma confrontiamoci di più: nessuno può pensare di avere la soluzione in
tasca, sempre. Solo lui! Un confronto per quanto duro ed aspro è sempre meglio di nulla. E se siamo
genitori o, comunque siamo arrivati agli “anta”, dobbiamo dire la nostra. Non è un diritto, ma
soprattutto un dovere.
Leggiamo, “discutendo” con l’autore, specie se fosse un trattato si saggistica (come anche questo
libro aspira ad essere), perché sicuramente lui non sarà onnisciente e nemmeno voi sarete tabula
rasa in materia.
Fermiamo la lettura. Pausa. Chiediamoci se siamo d’accordo in toto o in parte. Alleniamoci a dire la
nostra, magari dopo aver riflettuto un po’.
È da questo allenamento che cresciamo!
Ricorderemo molto di più e ci saremo fatta un’idea veramente nostra, possibilmente indipendente
dalla moda del momento. Chi ragiona si rende indipendente dalla moda e se qualcuno lo additerà
come “particolare”, che male ci sarebbe?
Non facciamo le acrobazie più assurde per distinguerci dalla massa? Ecco il segreto per essere
UNICI. Essere se stessi, cioè ragionare con la propria testa! Tanto le mode sono sempre stupide e
passeggere.
L’esatto contrario a cui tende una persona Saggia.
La Saggezza, la immagino come l’olio, che domina e controlla l’acqua senza sforzo, anche quando
questa volesse diventare pericolosa ed omicida.
Ma perché le mode sono sempre stupide e deleterie? Direi stupide, perché spesso sono esagerazioni
senza un fine, se non quello di far guadagnare qualcuno e lasciare dopo poco lo spazio per la moda
opposta.
Deleterie, perché chi non può far a meno di seguirle, rimane nel gregge: danno conforto, ma non ci
rendono liberi e indipendenti.
Direi che i cambiamenti dovremmo cercare di farli su noi stessi, non certo solo sul guardaroba.
Donne, quante paia di scarpe avete comprato negli ultimi 10 anni? Eppure il vostro piede non è
cambiato, giusto? Quindi diciamo che mediamente siete un po’ più ossequiose delle mode che noi
maschietti.
Chiedetevi un po’ il perché? Non sarà che vi sentite più insicure?
Non ditemi che “amate sentirvi bene con voi stesse”, perché alcune paia non le avete mai indossate!
Confessate amiche mie! Non giochiamo a fare gli infallibili e perfettini. Poi noi maschietti, in
quanto a difettucci, non amiamo di certo arrivare secondi. Ah ah. Quindi ritornando a bomba,
possiamo dire che esercitarsi a ragionare con gli altri e perché no, anche da soli, davanti ad un buon
libro ci rafforza e ci dà sicurezza e serenità.
E il ragionare fa miracoli.
Solo dotati di pochissimi dati scientifici, gli egiziani costruirono le Piramidi. Lo stesso dicasi per gli
antichi romani, che seppero fare acquedotti che sono tutt’oggi invidiati capolavori di ingegneria
idraulica. E perfino tutti i ponti, le cupole dei loro templi ed il Colosseo e tanto altro ancora.
Erano dei maghi? Erano dei geni? No, però sapevano ragionare bene, perché in mancanza di
informazioni, loro adoperavano il loro forte intuito ben allenato.
D’altronde tutti conosciamo il famoso detto popolare: il bisogno aguzza l’ingegno.
LE DINAMICHE INTERPERSONALI
Cosa possa scrivere di nuovo su di loro, un ignorante, capite voi stessi lettori ch’è poco.
Ma spero, non inutile e magari abbastanza chiaro.
Quindi, premesso che quanto dirò, non voglia avere la minima valenza scientifica, mi accingo a
descrivere varie situazioni assai ricorrenti.
Ma qui l’attento lettore mi pone il giusto quesito: ma valgono in generale e quindi per tutti?
Dopotutto ogni individuo è ben differente da tutti gli altri, o no?
La biologia corrente dice che tutti noi umani abbiamo un DNA al 99,8% uguale a quello delle
scimmie. Cioè noi umani siamo differenti dalle nostre cugine scimmie per soli per due parti su mille
Infatti tutti i farmaci venduti, non sono ad personam.
Una aspirina dovrebbe togliere il dolore a tutte le teste dolenti di ciascun umano, come anche
l’antidolorifico per la schiena e così via.
Ad personam, prescritta dal medico, sarà la dose e le modalità di assunzione e lo studio di eventuali
interazioni con la contemporanea assunzione di altri farmaci.
Ma il lettore, più attento ancora non ci sta. D’accordo che l’aspirina aiuti tutte le teste stanche e
dolenti, ma ognuna di queste ha pensieri e capacità molto differenti l’una dall’altra, o no?
Bravo! Giusto, ma quasi. Un sorriso è internazionale ed è uguale nei secoli.
Voglio dire che esprimeva lo stesso sentimento sia per l’uomo delle caverne, sia per l’uomo
moderno. In qualsiasi latitudine del mondo. E la gioia di un nonno o nonna nel riabbracciare il
proprio nipotino non è universale? E l’amore protettivo di un padre e di una madre, rispetto al loro
bambino? Esattamente come nel mondo animale.
E l’istinto sessuale di un uomo verso una donna e viceversa?
Quindi quando parliamo di pensieri, cognizioni e reazioni, siamo tutti molto diversi, anzi ognuno è
Unico. Se, invece esaminiamo bisogni primari ed emozioni istintive basali, siamo molto più simili,
gli uni agli altri del comunemente pensato.
Quindi le nostre risposte, spesso fortemente influenzate dall’istinto, si possono assomigliare
sorprendentemente!
Dopotutto il nostro comportamento è formato dalla mescola di istinto basale con educazione
familiare più educazione sociale (la mentalità comune).
L’istinto, che reagisce per primo dei tre, poi viene accompagnato e modulato dagli altri due. Però
ritengo che quello familiare, in condizioni corrette prevalga sull’altro.
Tanto più è stata positiva, incisiva e piena di valori quella familiare, tanto più quella sociale, non
potrà mai sostituirla del tutto. Quindi quando sentite il solito piagnisteo: “sono stati i cattivi amici a
portarlo sulla cattiva strada”. Non credeteci troppo.
Ed i genitori dormivano? E poi solo una fogliolina leggera se la porta il vento, quindi forse lui lo
era.
Se il ragazzo non ha riconosciuta quella compagnia come balorda e pericolosa per lui e non l’ha
ripudiata, forse non aveva avuta una educazione familiare, sana e sufficiente. Sto parlando di un
ragazzo di 13-15 anni, cioè quando dovrebbe lasciare la compagnia assidua dei genitori per
avventurarsi nel mondo e nei primi amori.
Se l’educazione di un figlio la paragonassimo alla cura di una pianta che deve crescere ed essere
irrorata ogni giorno, e dovrebbe arrivare all’età evolutiva abbastanza forte da non temere le
tempeste più lievi.
Per quelle più forti, deve esserci l’aiuto vigoroso dei genitori.
Un ottimo padre dei miei tempi di fronte alle critiche di un suo amico circa il vestiario del figlio
sessantottino un po’ Hippi, così rispose. Quando vedo che sta facendo dei piccoli errori, sono
contento e lo lascio fare. Se stesse per commetterne di gravi e irreparabili interverrei!
Questo è per me il compito di una buona figura paterna con un figlio di quella età.
Le mamme sono spesso troppo indulgenti, specie con il primo figlio maschio. Il loro tacito
pensiero/sentimento suona per lo più così. “Poverino, è così piccolo e delicato!”.
Così facendo gli permetto tutto, spesso viziandolo e rendendolo un bullo maschilista. Cosa che poi
il mondo esterno, molto meno indulgente,non gli perdonerà.
Il perché di bullo, si capisce facilmente. Sul fatto che possa diventare maschista ed addirittura, in
casi estremi, un femminicida, ragionando lo capiremo.
Non essendo stato abituato a ricevere dei no, fin dall’infanzia, potrebbe reagire anche molto male
davanti ad una donna che lo respinge o addirittura lo lascia.
E la ragazzina adolescente? Ai miei tempi, qui nel centro Italia, ma forse anche altrove, erano delle
“monachine” guardate a vista dai genitori, per timore di possibili gravidanze indesiderate e di
maldicenze sul loro conto.
Cosicché, la poverina, appena incontrava un giovane apparentemente decente, si sposava, passando
spesso, dalla padella alla brace.
Sto esagerando un po’, lo ammetto, ma, in fondo in fondo, nemmeno tanto. Per la donna era quasi
un passaggio di proprietà dal padre al marito. Spesso accompagnato da amore, protezione e guida,
ma sempre in cambio di sottomissione.
Non altrettanto indulgente era spesso la suocera che, avendo lei stessa subito angherie da giovane, si
rifaceva sulla nuora ospite, pretendendo illibatezza e sottomissione.
Allora non c’era la pillola e ciò non è affatto trascurabile.
Pensi, infatti, che le grandi conquiste delle donne, non siano tanto dovute al femminismo, quando
alla piccola anti-concezionale che finalmente le ha rese libere di decidere.
Certo con i dovuti “ma” e “se”, ma comunque libere e responsabili.
Ma torniamo all’educazione della ragazzina. Penso che anche lei abbia diritto di fare le sue
esperienze, per acquisire maggiore consapevolezza nello scegliersi un futuro partner.
Se fino ad una certa età, i genitori le hanno inculcato i valori giusti, poi devono lasciarla abbastanza
libera, esattamente come avviene per il fratello.
Qualcuno mi potrebbe chiedere, se da nonno e da ex padre, che mia figlia passasse con troppa
facilità da una storia all’altra.
Serenamente, risponderei che, come sempre, il giusto equilibrio sta nel mezzo e nelle motivazioni.
Finché vedessi che le storie hanno una essenza affettiva vera, non ci vedrei nulla di male, a meno
chè non costatassi un susseguirsi un po’ esagerato, spesso spia di forte instabilità emotiva
esistenziale.
E qui la femminista accanita non perderebbe occasione per darmi del maschilista: “perché al
ragazzo concederesti tante più storie, anche leggere ed alla signorina meno?”
Perché la donna parte avvantaggiata sia nell’amore, sia nel sesso. Deve solo imparare a distinguere
l’uomo giusto (per lei) da quello sbagliato.
La donna è la sede dell’amore, per ereditarietà genetica e storica (nasce per essere madre) e
sessualmente, ha molti punti più erogeni del maschio. Il ragazzo deve anch’esso imparare a
scegliere la partner migliore, ma deve anche imparare a dimostrare amore, sicurezza e maestria
sessuale.
Cioè deve diventare uomo amorevole e maschio esperto ed efficiente: non è poca cosa e per i più
emotivi il possibile fallimento è sempre dietro l’angolo. Insomma, per il maschio deve avvenire “il
miracolo”, per la femmina no.
E forse è proprio da questo timore atavico dell’uomo che, per reazione, è nato il maschilismo e di
conseguenza il “controllo” ed il “possesso” della donna.
D’altronde quando nasce un bimbo, della madre si è certi, del padre no.
Questa è la dinamica di partenza tra uomo e donna, prima dell’innamoramento.
In quella fase, il maschio cerca di imparare dalla sua fiamma il linguaggio dell’amore, “costretto”
dall’esigenza di doverla conquistare.
Ma è una lingua nuova per lui a cui cerca di adattarsi, più o meno con maestria!
D’altronde anche la donna si gioca le sue carte, con altrettanta bravura, per attirarlo a sé! E sa, che
in amor vince chi fugge e centellina le sue grazie, anche per essere sicura di essere importante per
lui.
Entrambi stanno cercando il loro più grande bene futuro ed il bene dei figli che verranno.
Specie la ragazza già si vede madre e vuole dare ai suoi figli il padre migliore. L’uomo è forse
meno lungimirante, ma comunque sa che lei potrebbe essere la compagna di una intera vita, almeno
così spera, anche se al giorno d’oggi…
Il Divorzio fu una conquista di civiltà, ma l’uso che se ne fa a tutt’oggi, mi sembra un po’ esagerato.
Abbiamo creato generazione di figli “soli”, sbalzati da una casa ad un’altra. Da un genitore ad un
altro, spesso addirittura in conflitto. Genitori che a volte mettono l’Io davanti al Noi, dando così un
pessimo esempio di famiglia. Come diventeranno questi figli? E, prima di separarci, ci siamo messi
nei loro panni abbastanza?
Loro hanno potuto scegliere se avere due genitori uniti o divisi?
Sì, a volte vedo un velo di leggerezza in alcune separazioni. Certo, lo stress di ciascun partner non
aiuta di sicuro. E quando si è stressati tutto si ingigantisce e l’unione sembra una “gabbia” da cui
vogliamo uscire a tutti i costi .Mi direte, meglio due genitori separati e sereni, anziché gli stessi
uniti, ma perennemente litigiosi. Concordo! Ma è pure teoria, troppo spesso!
Addirittura, la vedrei quasi come anormale: una separazione è una grande sconfitta. Rimanere
sereni in quel “terremoto” è sovrumano. Ma intanto i figli soffrono e tutti “regrediscono” a persone
fragili ed insicure!
Tutto questo perché si è persa di molto la capacità di essere tolleranti! Che è poi la capacità dei
Forti!
E perché si è persa l’allegria e la capacità di colloquio tra i partner.
Parliamone, non ci teniamo dentro i risentimenti, per qualche difetto dell’altro.
Si, parliamone a letto, dopo aver fatto all’amore e siamo abbracciati e ci sentiamo entrambi nelle
migliori condizioni d’animo per ascoltare con empatia.
Quella vicinanza non è solamente fisica, ma spirituale.
Sempre tenendo bene in mente la differenza tra la chiacchierata/discussione dal litigio.
Le prime si fanno con la speranza e lo stato d’animo costruttivo e positivo di trovare una soluzione
condivisa.
Nel litigio, invece prevale la volontà di sopraffazione, l’insulto, la volontà di ferire e non risolvere.
Sembrano uguali, invece sono opposte.
La prima rinsalda la coppia, il secondo la distrugge.
Qualcuno dice che l’innamoramento non può durare tutta la vita. Vero. Si trasforma in amore più
consapevole.
Mi piace immaginare l’innamoramento come l’ascesa ad un monte, col sole che abbaglia un po’, ma
con la sensazione piacevolissima che più sali e più vedi un panorama “incantato” che riempie il
cuore e senti l’aria più fresca e profumata!
Mano nella mano, tu ed il tuo amore, puntate alla vetta agognata ed intanto sperate e sognate.
Arrivati, vi si prospetta un lungo altipiano. L’ebrezza dello scoprirsi giorno dopo giorno si riduce un
po’.
Le speranze ed i sogni lasciano il posto a gioie vere (arrivo dei figli) e piccoli screzi, insomma un
sentimento maturo. Un amore impastato di quotidiano!
E meno bello? Forse sì. Ma è più forte, più solido, più vitale!
La domanda che si fanno in tanti: può durare tutta la vita, intenso ed immutabile?
Intenso forse sì; immutabile certo no.
L’Amore, in fondo, è stima, fiducia, passione e tenerezza.
La stima serve per iniziare il rapporto. La fiducia si consolida col passare degli anni. La passione
inevitabilmente diminuisce, sia per l’inevitabile routine e sia per l’età.
Ma in compenso cresce la tenerezza, l’empatia, il senso di gratitudine verso quella persona che ha
saputo sopportare anche i nostri sbagli e con cui speriamo di percorrere ancora tanta strada.
Abbiamo 90 anni, siamo nello stesso Ospizio, facciamo sempre colazione insieme e poi, ancora
mano nella mano, ce ne andiamo a parcheggiare nel parco.
Ogni tanto ti ricordo i nostri momenti piccanti e tu mi chiami “Screanzato” e poi mi sorridi e vuoi
che io ti abbracci!
Mi direte ch’è un sogno, un sogno sempre più improbabile, dato che molte storie finiscono dopo
pochi lustri.
È vero. Lo sappiamo tutti, ormai, che i matrimoni longevi diventano sempre più rari, ma se succede
una separazione cosa dovremmo pensare di fare?
Sentirci sconfitti a vita ci porterebbe alla depressione sicura.
Darsi un’altra possibilità? Dopotutto i figli rimangono tali per sempre, ma un nuovo partner si può
ancora incontrare.
Un mio amico, che ha vissuto alcune storie con donne diverse, quando gli feci notare questo
particolare, mi rispose. “C’è chi fa la maratona e chi la corsa a tappe; le due medaglie d’oro,
valgono ugualmente.”
Bizzarro il mio amico, ha sempre una risposta pronta, come quando mi ripete che in fondo “ogni
disavventura è un’avventura”.
Oppure quando mi strabiliò dicendomi che “per fare il genitore ci vorrebbe la patente”,
aggiungendo “il problema sarebbe trovare qualcuno che si sentisse all’altezza di darla o negarla”.
Lui dice ancora che “due debolezze, se ben appoggiate l’una all’altra, creano una forza”.
Oppure, quando parla del tavolo, che per essere stabile deve poggiare su quattro gambe (come due
persone vicine). In effetti mi fa quasi convinto.
Lui dice di sentirsi fortunato, di poter avere il piacere di sentire, alla sua età, battere forte il cuore,
per una nuova storia nascente.
Lo definisce: “un previlegio per pochi, per chi ha coraggio e tanta voglia di vivere”.
Questo è il motivo per cui lo sopporto da una vita, ma non lo cambierei con nessun altro! Le spara
sempre grosse, ma spesso ci indovina.
A proposito di rimettersi in gioco ad una certa età, una mia amica sessantenne, divorziata, mi
raccontò che quando conosceva qualche attempato signore che la corteggiava, al solo
immaginarselo vicino a letto, era colta dall’ansia e quindi per questo troncava.
Aggiunse: “Ci vorrebbe un colpo di fulmine. Come quando ero giovane! E io le risposi: così ti
ricapiterebbe, magari, uno “stupido prepotente”, come dicevi del tuo ex marito.
Ma non riesci a passare ad una conoscenza tranquilla e spensierata, basata sull’amicizia, per
incominciare?
Magari lo scopri simpatico, galante, intelligente e scopri di starci molto bene insieme.
“Stare bene insieme”. Questa è la mia formula. Le tre parole magiche della nostra età.
Altro che colpo di fulmine che ti acceca e ti stordisce e poi ti fa ritrovare nei guai.
Stare bene insieme, ridere, scherzare, fino a quando scopri, con sorpresa, che ultimamente a
quest’uomo lo vedi quasi ogni giorno e che se un giorno non lo puoi vedere, senti un vuoto, una
mancanza e non vedi l’ora che venga il giorno dopo per rivederlo. Allora immagini di invitarlo a
cena una sera e che lui provi ad accarezzarti, a baciarti. E pensi. Beh, in fondo, cosa ci sarebbe di
male, ci vogliamo bene, lui è onesto e so che mi desidera. E anch’io!
L’ho rincontrata, giorni fa, felice con un signore a fianco e mi ha ringraziato.
Sono stato molto contento di aver insistito un po’ su di lei a seguire il mio “metodo”.
Che chiamo: “Il miglior metodo per ricominciare”. Perché? Semplice; siamo esperti di vita, ormai,
quindi meno inclini a sognare le belle favole, anzi spesso siamo critici oltre al dovuto. Allora,
pensare di poter rivivere le medesime emozioni e sensazioni di quando, poco più che adolescenti, la
voglia di sognare era tanta e la critica era scarsa, mi sembra del tutto velleitario.
Se abbiamo passato da un po’ il mezzo secolo di vita, sarebbe saggio ammettere a noi stessi che
siamo cambiati e molto rispetto ai nostri venti anni.
Lì, erano gli ormoni ardenti ad avere, spesso, ragione di noi; ora, al contrario, è la mente a
controllare loro.
La mente, l’esperienza di vita, quindi la saggezza acquisita negli anni. Ecco, perché “pretendere di
raggiungere la vetta” dell’amore, passando per la parete rocciosa e ripida non ce lo possiamo più
permettere, pena una rassegnata e deprimente sconfitta.
“No, non ce la faccio; non sono più forte, coraggiosa e soprattutto incosciente come una volta!”
Appena ti inerpichi su per “la parete rocciosa”, inevitabilmente incominci a guardare in basso ed
avere paura e rinunci e ti dici, per giustificare l’insuccesso, che poi, forse, non era così grande la
motivazione.
“Forse non mi interessava così tanto” ed, aggiungi, poco dopo, quasi a darti la completa
assoluzione: “ma poi, in fin dei conti, io sto bene, anche come sto, cosa mi manca?”
“Per un po’ di sesso, magari anche non dei migliori; incomincio ad essere, anche un po’ vecchia,
poi lui, pancetta, mezzo calvo, un po’ saccente a volte, e forse già con qualche acciacco che non mi
ha detto. No, no, ho fatto bene: meglio libera”.
“Se proprio volessi avere un po’ di sesso che ci vuole? Siamo nel ventunesimo secolo, non si
scandalizzerebbe nessuno e potrei cambiarne quanti ne voglio”.
“Poi ho mia figlia, coi nipotini: non mi manca nulla, sto bene così!”
“Meglio sola che male accompagnata; i proverbi non sbagliano mai. L’ho scampata bella, stavolta!
E poi, ogni tanto una discussione, un litigio, una ripicca; forse era anche permaloso. Non lo aveva
fatto capire, forse era stato molto abile a nasconderlo, ma poi, si sa, queste cose, col tempo,
vengono fuori. Sì, sì, meglio da sola.”
“Meglio libera!”
“Pensa tu che a volte, i primi giorni, mi ero anche soffermata a sognare: che cretina.”
“Come fossi una ragazzina, me lo vedevo innamorato, galante e premuroso, sia di giorno, viaggi,
ballo, cenette romantiche, e sia di notte, dove apprezzavo le sue carezze audaci e la sua passione.
Stupida che non sono altro! Ho la mia famiglia, i miei nipoti, posso stare benissimo da sola.”
“Poi ho la televisione sempre accesa che mi fa compagnia giorno e notte; la cagnolina che devo
portare ogni giorno fuori a passeggiare; quell’amica che mi chiama sempre, con la scusa che ‘tanto
siamo sole, facciamoci compagnia almeno per telefono.”
“Quelle altre, che si ostinano ad invitarmi ad uscire di casa e ad andare a ballare con loro, per poi
dover, poi, quasi elemosinare qualche balletto, che cortesemente mi concedono i loro mariti: non
voglio fare la “reggi-candela” di nessuno. Posso andare benissimo da sola!”
“Beh! Potrei andare da sola, perché poi di fatto, non me la sento. Stare lì, da sola, seduta tutta la
serata, senza un cane con cui scambiare una parola, una battuta e poi per cosa? Per fare tre balli in
tutto, per di più con quel tipo balordo, tutto sudato, che ci prova con tutte?”
“Sì, il ballo mi manca!”
“E poi fa pure tanto bene alla salute e perfino alla linea! Sì, perché, per stare leggeri, per ballare
meglio, due ore prima mangiavamo pochissimo e poi a saltellare e volteggiare fino a notte fonda,
era una manna per la mia siluette.”
“Mi ricordo, le rare volte, che non stavamo litigati o col broncio ed il mio ex marito si degnava di
portarmici, era bellissimo. Il mio Ex, nel ballo se la cavava bene (anche a letto non era male) ed a
volte, nel ballo lo vedevo ispirato e sognante come ai nostri primi anni di matrimonio, quando
eravamo quasi felici.”
“Però, a quei tempi, era tutto merito mio, che ero ingenua ed innamorata, perché lui sempre
‘caprone’ è stato! Non c’era scollatura abbondante che non ci buttasse gli occhi; solo a me, più
passavano gli anni, più mi dava per acquisita! Quel somaro!”
“Bello era bello e forse non mi aveva tradita con nessuna; d’altronde io, gelosa lo ero eccome: mi
ha rovinato la vita quella ‘bestia’”.
“Lui, dopo qualche anno si è riaccompagnato e mi sembra felice con la compagna. D’altronde lui è
stato sempre intraprendente e temerario: ci vuole fegato a ripartire!”
“Che colpa ne ho io, se mi si propongono solo brutti e vecchi: sono sfortunata io, uno decente mai.”
“Ora non voglio nemmeno sperarci più. Sto bene da sola io. Sono tutti stronzi!”
Dite, voi lettori e lettrici, che mi sia accanito sulla povera divorziata? E perché su di lei in
particolare? Perché la vedova è meglio?
E della Single, cosa ci dici? Sfoggia tutta la tua critica malvagia e misogena.
Forse, così, mi apostroferebbe, la “femminista incarognita”, ma in fondo anche molto sola e
depressa.
Dimenticando che tra “i maschi” ci sono anche suo padre ed i suoi due figli.
Queste “esagerate”, mi ricordano un mio conoscete, che non stimavo affatto, che ripeteva spesso
che “le donne sono tutte p….!”.
Ma proviamo a riflettere, per capire.
Dicevamo della Single.
Lei fece quella scelta, allora e non sa più tornare indietro: non sa più vivere in tandem.
Ha speso anni per perfezionare il suo vivere da sola e non ce la fa ad invertire tutto, solo per amare
un uomo. SE, illudendosi ci provasse, se ne accorgerebbe lei stessa poco dopo.
Si sentirebbe soffocata, non più autonoma ed indipendente e incomincerebbe a sentirsi male.
Lo stesso vale per la divorziata o la vedova, se fossero passati troppi anni da sola.
Perché nel frattempo ha re-imparato a vivere da sola, mentre l’abitudine di vivere in coppia è
sempre più scemata. E, nel mentre, ha riapprezzato qualche piccolo vantaggio del vivere da single.
Per il resto, altrimenti, per la vedova è molto più facile ricredere nel vivere in coppia.
Lei, a differenza dalla divorziata, non è delusa dall’uomo: è stata solo la cattiva sorte che glielo ha
portato via. Anzi il vederlo sofferente in un letto d’ospedale ha accresciuto il suo amore per lui e
dopo la morte lo ricorda, quasi con l’aureola di santità.
L’unica cosa, che potrebbe frenare alcune di loro è erroneamente il pensiero di tradirlo. O “che non
c’è più spazio nel mio cuore per nessun altro”.
Per il loro primo dubbio, le invito a farsi questa domanda: se lui era una bella persona che vi amava
tanto, sarebbe ora contento nel vedervi sola, spenta ed infelice?
E quella promessa solenne, fatta davanti a Dio, non era: “Finché morte non vi separi?”
Sull’altra affermazione, anch’essa frequente, direi che il tempo è galantuomo ed il detto “mai dire
mai” andrebbe non dimenticato: la vita è lunga, la solitudine è depressiva ed il tempo sana le ferite
più grandi!
Un genitore solo e depresso è una preoccupazione ed anche un peso per i figli, specie in questo
mondo di oggi, dove si corre sempre.
Saperlo felice ed in compagnia li rende sereni.
Il vivere da soli, rattrappisce ed a lungo andare, ci fa ammalare.
Per compensare la vita grama attuale, si mangia un po’ di più (stare in casa col frigorifero pieno…).
E “visto che mi annoio, quasi, quasi mi preparo un dolce”.
“Oh, senti un po’, ma in fondo cos’altro mi è rimasta di soddisfazione?”
“La pressione alta? Il diabete? Il colesterolo alto? Per fortuna ci sono le pilloline.”
“E poi, per favore, ma lasciatemi vivere in pace questi pochi anni che mi sono rimasti, se Dio mi
aiuta!”
Certo, che Dio ti aiuterebbe, ma se tu giochi al massacro e stravizi** di continuo, poi non ti
lamentare se ti ritrovi con l’arteriosclerosi o la demenza senile e vedi solo nero, perché hai perso la
voglia di vivere.
La stessa pietanza non produce gli stessi effetti se consumata in allegra o dolce compagnia o in
mesta solitudine.
Che poi il sesso faccia bene, ormai è risaputo da tutti.
Ma, invece, pochi ricordano, quanto sia miracoloso l’Amore. “Ma guarda come si è ringiovanito!
Sembra abbia venti anni di meno.” Ed è vero. Non è solo apparenza.
Oramai i potenti effetti della psiche sull’organismo umano, sono universalmente accettati.
Ed allora cosa ci frena?
Risposta. Mancanza di coraggio e sfiducia in noi stessi e negli altri.
In Italia lo sport più praticato, negli decenni, non è il calcio, bensì il “lamentio continuo”.
Lamentarsi fa fico, fa furbo, fa, quello che la sa lunga e conosce il mondo.
Invece fa: SOLO MALE!
Fa vedere il bicchiere sempre “mezzo vuoto” e mai “mezzo pieno”!
Per quanto concerne la sfiducia, specie verso se stessi, la donna si può vedere, brutta e vecchia e si
potrebbe, lei stessa, considerarsi troppo “allegra”, se ammette di cercare un partner. L’uomo, perché
o impaurito dalla “donna” in generale o perché teme di non essere più brillante o addirittura
efficiente nel sesso: “e se poi … ... Che figura faccio?”
La figura dell’ignorante fai. Il sesso non è mai solo penetrazione. Casomai consultare un
sessuologo: esistono proprio per aiutarci.
Non ho mai capito, perché in un ambito così bramato ed importante, nessuno, o quasi, si sia preso la
briga di leggersi qualche libro serio a riguardo.
Ne lessi uno, molto serio e voluminoso che mi cambiò la mia visione su tale argomento: non più
tabù o peccato, ma fonte di vita e di piacere essenziale.
Donare piacere, anziché pensare solo a prenderlo. Non esame, ma dono!
Ecco dove sbagliano tanti maschi, giovani e vecchi: vederlo come un “esame”.
Succede a tutti di andare in ansia, per un esame e quindi non sapersi esprimere al meglio.
O, al contrario, nel matrimonio, considerarlo, come un diritto. Ma se il maschio lo percepisce come
un diritto, la donna, sensibile ed attenta, come lo vivrà a lungo andare?
Come un dovere, purtroppo.
Leggere un libro sul Tao e l’amore, no?
Penso che se l’amore è il Fiore della vita, il sesso è l’acqua che lo tiene vivo!
Se, dopo una certa età, non fosse più, molto performante, la donna deve sapere che non è mancanza
di amore o attrazione, ma solo ormoni pigri e vecchi e l’uomo, sapere, che la donna amerebbe anche
solo essere accarezzata.
La vecchiaia, più viene accettata e più è vissuta con gioia.
Un tramonto è tanto bello come l’aurora!
Specie se guardato, mano nella mano, da quattro vecchi occhi innamorati.
Bene, allora adesso che abbiamo capito che con l’amore in vecchiaia, si vive meglio, cosa
facciamo? Saltiamo sul primo treno che ci viene a tiro? Dopotutto, potrebbero non essere tanti,
quelli ancora a disposizione.
Non lo credo. Se una persona fa vita sociale, conoscerà tante persone e tra queste arriveranno
diverse occasioni. Quindi niente ansia, ma solo spontaneità e naturalezza, per entrambi.
E, per le donne, niente campane, né campanellini o farfalline nello stomaco, ma solo un dolce “Star
bene vicini”. Il resto lo farà la natura.
Così eviteremo di prendere fischi per fiaschi, perché, come diceva quel mio amico un po’ bizzarro:
“È vero che l’amore è cieco, ma prima di innamorarti completamente, una guardatina potevi pur
dargliela”.
E qui, se fossimo diventati, con l’età, un po’ saggi eviteremmo gli eccessi. L’esagerata differenza
d’età, di cultura ed anche di soldi. Ed anche se straniero e con un’altra religione.
Ho sempre pensato che la politica ti entra nelle tasche e nel piatto, la religione, perfino nel letto!
A questa età non riusciamo più ad essere molto flessibili, né di corpo, né di abitudini e quindi
sperare che l’altro cambi molto per amore è pia illusione. Tenendo ben presente che lo straniero ha,
esattamente come noi, tutto il sacrosanto diritto di viversi la sua vecchiaia nella sua terra natale,
vicino ai suoi parenti ed amici.
Se ci illudessimo di colmare, col nostro amore, questa voragine, ci ritroveremmo con una persona
infelice al nostro fianco, che beve o deve prendere ansiolitici. E noi col giusto rimorso.
Non crediate alla globalizzazione degli affetti e dei bisogni!
Una persona è molto più complessa da un’auto o da un tronco d’albero: vive di sentimenti e di
ricordi.
Ma se tali differenze e problemi li vedreste nella scelta di un vostro figlio, cosa fareste?
Sconsiglieresti, a tua figlia di unirsi ad un uomo di 25 anni maggiore di lei, magari anche di un’altra
religione, perché straniero? E come? O non interverreste in nessun modo che equivale ad un avallo,
sperando nella provvidenza?
Questo problema sarà capitato a tanti genitori, quindi che fare? C’è uno spiraglio, un lumicino a cui
aggrapparsi, consci di aver almeno tentato di fare qualcosa di utile?
Questa domanda, non credo trovi risposta in nessun trattato di psicologia, avendola io posta a
diversi luminari in materia, senza risposta.
Quindi mio malgrado, devo ancora citare quel mio amico un po’ originale, che anni fa, mi raccontò
vantandosi come se l’era sbrigata lui, che essendo già divorziato, alla notizia, non potette
concordare con la sua ex una risposta comune.
Dal figlio maschio, aveva saputo che la di lui sorella si era presentata col suo uomo dalla madre.
Tuoni e lampi da quest’ultima verso la coppia.
Il mio amico, pensò che ripetere il grande errore della ex, sarebbe stato demenziale: si sa che più
soffi sul fuoco e più esso si alimenta e cresce, quindi escogitò un piano.
Li invitò, si complimentò ed espresse le sue felicitazioni ad entrambi. La figlia, arrivata molto
timorosa e preoccupata, si rilassò e felice e tranquilla che almeno il padre la appoggiava
completamente, in un momento di privacy, gli chiese un parere.
Lui abbracciandola le disse: “Eh, furbetta, ci hai visto. Ricco, colto e pure un bell’uomo! Che vuoi
che siano pochi anni di differenza o un’altra religione, l’importante è che vi amiate! Certo, che
quando tu avrai quaranta e lui sessantacinque, potresti percepirlo come vecchio……, ma no, che sto
dicendo: che stupido che sono, cancella le ultime considerazioni”. E l’abbracciò di nuovo. Lei era
raggiante!
Dopo poco lo lasciò e disse al padre sorridendo: “Maledetto furbacchione, mi hai fregata in pieno!”.
Quelle tue ultime parole di quel nostro colloquio sono state come una pulce continua. Quella
“visione” mi guastava ogni momento con lui. Grazie babbo.
Al mio amico, per non dargli troppa soddisfazione, gli ho detto che si era comportato da stronzo
(scusate il francesismo), ma lui mi ha risposto, che per una figlia, lo rifarebbe. Ed è pure convinto di
essere un buon padre.
Ma in fondo chi è un buon padre? Con quale aggettivo o aggettivi descriverlo?
Credo che ne bastino tre: giusto, autorevole e rassicurante.
E perché non amichevole, giocherellone, collaborativo, moderno, buono? Ottimo, tutte qualità
accessorie e complementari, ma il nocciolo è quello citato prima.
Ed una madre, come dovrebbe essere? Amorevole, serena e saggia. Affinché sia amorevole, nei
primi anni del figlio contribuisce anche la natura, con i suoi ormoni. Per la sua serenità (e quella del
figlioletto) deve contribuire fortemente il marito/padre, il cui ruolo andrebbe di molto rivalutato. La
donna che si sente amata e protetta dal suo uomo, manda segnali ormonali positivi al feto. Il
contrario se non lo fosse. Quindi, proprio in questo mondo frenetico e poco tranquillo, la figura
stabilizzatrice di un uomo/padre è salutare ed indispensabile, contrariamente a quello che si crede e
che va per la maggiore.
Il ruolo dell’uomo fino a cento anni fa era ritenuto indispensabile da tutti. Sin dai tempi primitivi
esso ricopriva due ruoli indispensabili: procurava il cibo con la caccia e proteggeva la famiglia e la
tribù dalle aggressioni esterne.
Ora questi ruoli si sono affievoliti, se non addirittura estinti. Le guerre, per fortuna, almeno da noi,
sono quasi del tutto sparite ed una donna che lavora compra tutto ciò che le serve, almeno così
sembra.
Un “semino” per dare ad una donna un figlio, si trova, persino senza contatto fisico (dalla banca del
seme) con l’aiuto di un bravo ginecologo.
Quindi, perché una donna dovrebbe convivere col suo partner?
Alle mie amiche donne, direi senza esitazione “per la salute mentale dei tuoi figli”. Se non anche
per la tua. Di chi si innamorerà, tua figlia se non ha potuto avere da piccola, il suo
“innamoramento” per suo padre?
Da chi imparerà ad essere uomo tuo figlio, se non ha mai avuto qualcuno, come esempio da
imitare?
Queste precisazioni, sono per tutte le femministe esagerate e le tante divorziate, che pensano che
possono fare a meno della figura maschile. Solo perché magari guadagnando abbastanza, pensano
di poter comprare tutto e si sentono, ormai il vero sesso forte.
A proposito, ma qual è il vero sesso forte oggigiorno?
Direi, senza esitazione, quello che può fare a meno dell’altro, cioè: nessuno!
Semplicemente nessuno alla pari. Vogliamo vedere il perché?
Togliamo dal ragionamento il discorso che feci sull’educazione dei figli.
Togliamo pure il discorso sesso, che, tanto, storielle fugaci o mere esercitazioni fisiche si
racimolerebbero comunque (magari deprimenti) ed andiamo sul vissuto di ogni giorno.
La donna dice: so cucinare, lavare, stirare, pulire la casa ed ho uno stipendio, che altro mi serve? Da
uomo risponderei: trovo da mangiare ogni leccornia al supermercato e per le pulizie di casa pago
una donna tre ore a settimana.
Ma se vedo accendersi una lucetta rossa della macchina, non devo fermarmi in autostrada e
chiamare il carro attrezzi che mi porta da un meccanico. Io, maschietto, ho sicuramente un litro di
olio motore in auto e potrò continuare il viaggio.
Caso estremo, mi si dirà. OK, allora ne facciamo qualcuno più comune, successo ad una mia amica.
Va dal meccanico per una banale perdita di acqua dalla vaschetta di recupero del motore. Duecento
euro e tre giorni di fermo in officina: una truffa, secondo me, mentre lei era del tutto soddisfatta:
non ci capiva nulla ed il furbacchione lo aveva capito. Altro caso. Salta un fusibile (costo 0,50 Euro
max). L’elettricista viene il giorno dopo: svita, avvita, smaneggia, fa vedere alla proprietaria un
pezzo che non centra nulla e le fa un prezzo scontato di ottanta euro! C’era anche la chiamata.
Un’altra amica. Ha il galleggiante del water, bloccato ed ha dovuto chiudere l’acqua
dell’appartamento, per non fare allagare tutto. Non può lavarsi, né cucinare. L’idraulico chiamato
d’urgenza la fa rimanere a casa tutto il pomeriggio, ma poi arriva la mattina seguente, sul tardi.
Mentre lei lo aspetta, telefonicamente le spiego che se mettesse un po’ di lubrificante sul
galleggiante il problema sarebbe risolto; ma lei non osa. Spesa 70 euro.
Che faccio continuo? Fidatevi: ne avrei ancora tanti da elencare.
Quindi care amiche donne, vi accontentate della parità o volete pure la cavalleria, quando vi
conviene? Perché, spesso, questo doppio binario, ve lo giocate a vostro comodo. E, quindi, dico
alle sposate che si lamentano spesso del loro uomo, che se anche accadesse che quello zoticone,
tornando stanco e sudato dal suo lavoro non notasse che vi siete fatta i capelli di un altro colore, non
sentitevi offese e trascurate. Dopotutto, si era premurato di passare all’orto per portarti le primizie
coltivate da lui, biologiche e genuine!
Poi, è anche un buon padre.
La donna è più attenta, delicata, sensibile, fragile e si fa trovare sempre ben truccata e profumata,
ma a qualcuno toccherà fare i lavori più pesanti e pericolosi. O no?
Quindi complementari è meglio!
Ogni tanto, anche una franca discussione, ci può stare: non dobbiamo pretenderci perfetti!
L’importante è poi riappacificarsi, possibilmente a letto.
Ho bacchettato un po’ troppo le signore, devo bilanciare: strigliamo anche un po’ i maschietti, che
si vantano sempre di essere i più forti fisicamente.
Sicuri? Certo come intensità, ma come resistenza?
Un maschio solleva un peso doppio che la femmina, generalmente, ma lei resiste il doppio del suo
tempo sotto sforzo.
Guardiamo l’esempio della natura: sua maestà il Leone, il più forte degli animali. Il maschio ha un
apparato muscolare notevolmente superiore a quello della femmina e se c’è da combattere, mette in
luce tutta la sua potenza, ma poi, dopo lo sforzo e dopo aver mangiato, fa il pisolino mentre la
femmina spesso accudisce i piccoli.
Ed in una coppia di ballerini? Chi è che esce più sudato e stanco? Certamente lui.
Mi si dirà, giustamente, che lui ha il compito di far volare, volteggiare e dirigere la donna, ma è
anche una questione di massa muscolare, che si attiva e di adrenalina.
Il maschio lo possiamo paragonare ad una macchina sportiva scattante; lei ad una diesel, che non si
stanca mai. Questo perché le fibre del muscolo maschile sono per lo più striate, ottime per lo scatto,
mentre quelle di lei, spesso sono lisce, ottime per la resistenza, perché consumano di meno, ma
danno minore intensità.
E quindi, consci che la medaglia d’oro olimpica presa sui 100 metri, vale esattamente quanto quella
meritata dal campione di maratona, perché entrambi hanno superato tutti, ne dovremmo dedurre una
assoluta e salomonica parità!
Ed a qualche maschietto un po’ misogino (ce ne sono ancora molti) che si vantano della loro
superiorità sulle donne di farsi questa semplice domanda: perché ti sei scelto come tua “socia di
vita” un essere che tu ritieni inferiore?
E magari hai scelto la più “pecorella” fra tutte? Non sarà che ne temi il confronto?
Forse è proprio questo concetto di confronto e competizione che dovremmo rifiutare. Non è
importante ciò che siano la donna e l’uomo, come singole persone, ma ciò che loro due riescono a
costruire insieme!
Sia come prole, sia come esempio d’amore, di felicità e di saper vivere. Per fare una moneta
perfettamente rotonda non occorrono affatto due metà perfette, ma due metà imperfette e
frastagliate, ma che combacino alla perfezione.
E va mantenuta brillante con tanto amore!
ZIBALDONE
Sfatiamo alcuni “loghi comuni”
1)
“Ho due figli che per educazione non si somigliano affatto: il primo calmo, educato, riflessivo e
pure un po’ troppo chiuso, mentre il secondo è un diavoletto, eppure noi genitori siamo gli stessi”.
Rispondo. Sicuri? Il primo figlio ha subìto due genitori insicuri e quindi molto attenti a non
educarlo male ed il bimbetto, aveva troppo spesso, per giocare, solo due persone mature, cioè i
genitori. Il secondogenito ha avuto due genitori rassicuratisi ormai (e magari, quindi, più permissivi
o sbadati) e per giocare, il fratellino maggiore.
Mettici, quasi sempre, che la mamma o il padre responsabilizza sempre solo il maggiore e spesso lo
investe del compito di badare al minore e la frittata è servita.
2)
Non meno raro è il caso della vedova o moglie di un ubriacone, che non potendo appoggiarsi al suo
uomo “eleva” il suo figlio maschio, viziandolo oltremodo. Chiaramente a scapito delle sorelle
femmine.
3)
Perché spesso il figlio, venuto a distanza di molti anni dai primi, viene viziato, specie se la famiglia
è diventata benestante?
Per tre motivi assai ricorrenti: la coppia non è più unita, come nei primi anni di matrimonio. Perché
ormai si sente strasicura di saperlo educare e, terzo, perché avendo fatto tanti soldi “finalmente, a
questo figlio, voglio dare tutto quello che non ho potuto dare a gli altri due”. Un mix esplosivo.
4)
Credete voi che psicologicamente ci sia tanta differenza fra un fratello “servitore della legge” e
l’altro, a volte, delinquente? Succede più spesso del creduto. Uno usa la sua forza con una divisa e a
favore della legge; l’altro invece contro. Forse l’indole è simile. Anche nel Far West, spesso si dava
la stella di sceriffo al miglior “sparatore”.
5)
Secondo voi, cosa farà probabilmente il figlio dell’alcolista? Purtroppo berrà, come il padre o si
drogherà (dopotutto il vino per secoli è stata la droga dei poveri), oppure non toccherà alcool.
Entrambi atteggiamenti deboli verso una sostanza salutare se bevuta in modiche quantità, a pasto.
Io bevo regolarmente a pasto, ma da ex fumatore, aborro la sola idea di fumare una sola boccata di
sigaretta. Quindi, dovremmo ammettere, senza per questo corrucciarci di ciò, che siamo tutti deboli.
Però, non tutti alla stessa misura. Come quando davanti ad una coppia di amici che divorziano, ci
capita di ascoltare le fatidica frase: “Le colpe sono sempre di entrambi”. Senza MAI aggiungere :
magari in quantità diverse . Perché, come dicevo a proposito del vino o delle paure e perfino
dell’ansia: l’importante è la percentuale!
Persino l’ansia, in minime dosi è salutare e stimolatrice di emozioni, interessi e sensazioni forti! Chi
non si ricorda, la notte prima degli esami o di un incontro amoroso?
6)
Il figlio unico è un “orfano di fratelli e sorelle”. Tanto più oggi che non si vive più insieme a
cuginetti, ma troppo spesso, soli coi genitori, peraltro spesso affaccendati.
Si sentirà sempre un po’ “solo”. Molti si creeranno molte amicizie e saranno spronati ad essere leali
e fedeli sia in campo amicale, che amoroso. Come si dice “non tutti i mali vengono per nuocere”.
7)
La vita è fatta di compensi. Ed aggiungerei, per fortuna. Altrimenti si dovrebbe stare sempre col
bilancino a “misurare” tutto e quindi pretendere di non sbagliare mai. Impossibile: una tortura!
Farò due esempi. Sono a cena con amici e mangio un po’ di più del dovuto: “vorrà dire che domani,
faremo una corsetta o giocheremo a tennis due ore, anziché una sola”. Facciamo una crociera
costosa: “vorrà dire che per un po’ faremo delle piccole rinunce nel quotidiano”. E ci
tranquillizziamo.
Quindi fare questo esercizio mentale, tenendo sempre presente questo principio/verità è un antidoto
allo stress.
8)
La vita è fatta di percentuali. Ma non solo perché siamo fatti da circa il 70% di acqua e se ne
perdessimo un po’ troppa avremmo dei grossi danni cerebrali, ma proprio per tutto ciò che facciamo
e prendiamo in considerazione “cum granu salis”. Cioè “con la giusta dose” (percentuale). Per tutto
c’è una dose raccomandata da cui è sconsigliato allontanarsi.
Prendiamo ad esempio una grandissima virtù: la Bontà. Averne poca ci rende cattivi, miseri, egoisti,
quindi non andrebbe bene né per noi, né per quelli a noi vicini. E se eccedessimo?
Accontenteremmo tutti ed anche noi stessi? Essendo “fessi” non accontenteremmo nessuno:
saremmo solo inaffidabili e trattati, quindi, poco più che bambini inesperti. Certamente non si
sentirebbe sicura la nostra famiglia e tutte le persone che dovremmo proteggere.
Quindi, come un po’ di sale dà sapore alla minestra, ma troppo la rende immangiabile, così
qualsiasi pregio o virtù portata all’eccesso, ne mostra i limiti ed i difetti.
E siete sempre in grado di dare il giusto peso ad una novità, bella o brutta, nella vostra vita o vi fate
prendere dall’ansia e vedete un serpente al posto di una lucertola? Riusciamo a contestualizzarla? E
siamo sicuri che sia vera o che lo sia in maniera integrale? E se non lo fosse affatto? Non sarebbe la
prima volta che la scienza si sbaglia. La scienza è fatta da uomini fallaci, dopotutto. La Terra era
piatta (così dicevano, fino a qualche secolo fa). Oltretutto allenare il pensiero critico, ci fa bene e ci
aiuta a valutare le persone con cui veniamo in contatto.
Proprio riferendoci alle persone che da avvicinare o meno, cosa ce li rende accettabili o almeno
tollerabili? Appunto, la percentuale dei loro difetti.
Ragioniamoci sopra; non possiamo pretenderli perfetti, quindi facendo una media tra i loro pregi ed
i loro difetti stabiliremo, se accettarli o meno e se eleggerli a nostri amici e confidenti.
9)
Abituarsi a vedere le cose da angolazioni diverse.
Negli scacchi si dice che la scacchiera va guardata da “molto vicino” e poi da lontano e la vita è, in
fondo, una grande partita a scacchi. Se quattro persone guardassero la stessa casa dai quattro punti
cardinali diversi, darebbero, giustamente, quattro descrizioni diverse, tutte vere.
I vantaggi di questo metodo? Riflettere con più dati a disposizione; non affrettare una risposta,
magari inappropriata; insomma non agire d’istinto.
Giorni fa, presi una multa: non ero stato attento ad un divieto di sosta. Istintivamente stavo per
arrabbiarmi con me stesso, poi l’ho guardata da un’altra angolazione: quanto pago per le multe, di
solito, in un anno? E, con piacevole sorpresa, notai che erano circa quindici centesimi di euro al
giorno: non valevano un’arrabbiatura! Anzi mi scappò una mezza risata.
Questi ultimi punti usateli spesso: ne va della vostra tranquillità e quindi della vostra salute.
10)
Lode al dubbio o ai dubbi?
Grandi discussioni feci con una cara mia amica su ciò. Lei diceva che più se ne hanno e più si
dimostra intelligenza, perspicacia, senso critico. Certo, le rispondevo, ma amo affrontarli uno alla
volta, per non fare confusione. E prima di passare al prossimo, risolvere quello in esame, per non
andare in confusione.
In fondo esso è la “X” del problema che vorremmo risolvere, giusto? E, sappiamo tutti che per
risolvere un problema di matematica, ci servono dei dati certi, sicuri (non altri dubbi). Perché sono
ben contento di avere dei dubbi, delle curiosità, ma sono ancor più contento e soddisfatto, quando
quella incognita si è trasformata, per me, in “dato certo”.
Faccio due esempi. Un Imprenditore deve assumere trenta operai e li esamina uno alla volta
attentamente. Ogni operaio è un’incognita, un dubbio: assumere o meno, e su ognuno va fatta
attenta riflessione e conseguente decisione.
Ho molta fame e mi presentano un piatto di succulente polpettine. Ne degusto una alla volta,
masticandola bene o me ne ingurgito tre/quattro alla volta, col rischio che poi non riesca a digerirle
e mi senta male?
Quindi se avremo metodo e non ci faremo prendere dall’ansia, risolveremo i casi, man mano che ci
si presentano e saremo sempre tranquilli.
Qualcuno potrebbe chiedermi se, assorbendo tutti questi metodi da me consigliati, non rischiamo di
diventare freddi, cinici e calcolatori. Direi l’esatto contrario: solo chi è sereno è disposto a scherzare
di più. E sarà sempre padrone di stabilire quando è il momento di scherzare e quanto non lo sia;
mentre una persona emotiva è succube delle sue sensazioni.
Se doveste avere un intervento chirurgico, preferireste un dottore freddo e professionale o uno
frivolo ed emotivo? Credo che tutti, indistintamente, sceglieremmo il primo.
11)
Confidarsi o meno.
Confidarsi? Chiedere consiglio? Ma non erano cose del secolo scorso? Col mondo tecnologico di
oggi, con la globalizzazione e con in più internet (dove possiamo trovare ogni cosa) a cosa servono
queste mie domande?
Poi, mi si dirà, a che scopo? A far sapere al mio amico, i miei problemi? Che poi, magari, ci ride
sopra, se non addirittura, ne tragga vantaggio contro di me? No, no, i problemi miei, sono solo miei
e me li risolvo da solo.
Davanti a tanta tracotanza rimango basito, però due domandine mi sorgono spontanee. “Ma non hai
sbagliato mai, finora?” E la seconda: “Ma che razza di amici ti sei scelto?” No, perché a differenza
dei parenti, gli amici si scelgono, caro mio. E non saperseli scegliere è già esso stesso un
problemino non di poco conto: quindi non sei infallibile.
In più, non vedo in questo, un grande senso dell’Amicizia.
Ma se pure, nella peggiore delle ipotesi, loro si comportassero così come temi, a te quanto ne tange?
Solo i ramoscelli fragili temono un po’ di brezza.
Magari, potresti parlare solo del peccato in sé, senza menzionare il peccatore, casomai, e chiedere
consiglio su quel problema che ti angoscia e, se anche il tuo amico non fosse in grado di darti una
soluzione convincente, però almeno hai “scoperchiato la pentola che bolliva” e che rischiava di
scoppiare, per troppa pressione.
Hai guadagnato in salute, comunque!
12)
Perché fare programmi.
“Tanto non escono mai, tanto vale non farli mai”.
Questa è la frase che va più di moda e su cui non sono d’accordo. Ma soprattutto chiediamoci se è
vera e poi magari, anche se è giusta.
Che non sia vera è lapalissiano. Ci siamo procurati una abitazione per essere sicuri e ripararci dal
freddo. Abbiamo comprato un’auto per andare a lavoro. Abbiamo insistentemente cercato un lavoro
che ci fornisse uno stipendio per poter comprare il necessario. Ci siamo sapientemente ricavato
un’ora di palestra due volte a settimana e mi dici che non programmi nulla? Vogliamo ridare il
giusto senso le alle parole? Perché parole senza “peso” sono molto nocive: alimentano confusione e
ansia.
Stabilito che lo facciamo, perché sarebbe non giusto farlo? Per paura che non riesca tutto, che ci
sfugga qualcosa? Che ci siano degli imprevisti; delle novità a modificare i piani?
Ma vorreste, tutto liscio, monotono, prevedibile, programmabile? Ma quanto siete “vecchi”?
Se la vita di oggi è complessa ed aggrovigliata, avere in mente un programma di massima, non può
che darci la giusta direzione nei momenti di indecisione. Quindi ben venga programmare. Ma
sempre pronti ad apportare varianti al programma originale. Come un ottimo scacchista sa reagire
all’ottima mossa dell’avversario e ne cerca la giusta contromossa, col piacere di essere stato così
altamente sollecitato, così dovremmo godere delle varianti che spesso la vita ci mette di fronte.
Le partite facili, di solito annoiano!
E se qualche volta si perde, non scoraggiarsi: solo giocando si migliora. La vera sconfitta è la
rinuncia.
Quindi programmare sempre, ma sempre disponibili ad adottare varianti adeguate alle “mosse” che
la vita ci pone davanti.
Chi reputate più forte il ginnasta flessibile che volteggia nell’aria, in figure acrobatiche estasianti e
poi ricade perfettamente in equilibrio sempre, oppure un uomo completamente ingessato (a mo’ di
mummia) che non riuscirebbe nemmeno a rialzarsi, se cadesse?
Ma programmare sempre tutto non può essere estenuante?
Lo facciamo tutti, più di quanto crediamo. L’importante è farlo con ottimismo e leggerezza!
Se invece i programmi non sapessimo prenderli per il verso giusto, allora si arrovellerebbero nella
testa e non riusciremmo a fermarli. Ciò scatena ansia. Quindi in questi casi, poiché è impossibile
“non pensare a niente”, risulta conveniente adottare la tecnica di chiodo scaccia chiodo. O accettare
la nuova situazione. Ma andiamo per ordine ed esaminiamoli uno alla volta.
Nel primo caso dovremmo avere un pensiero gradevole che ci produce gioia (pensare ai nipotini,
per una nonna) e con esso sostituirci il pensiero molesto, che ci procura angoscia. È un vecchio
rimedio, ma funziona sempre. E sapere che col tempo le “ferite” rimargineranno! Se poi
riuscissimo a sfogarci con qualcuno che ci fa sentire meno soli, sarebbe il massimo.
Nei casi più difficili, quando la vita ha colpito molto duro e da soli non si riesce a programmare un
futuro decente, perché ci sembra ormai tutto perso e tutto insanabile, occorre andare da uno
Psicologo che ci sappia aiutare e insieme a lui rifare un progetto di vita. “Quando piove si prende
l’ombrello”, questo è il mio motto. È bene servirsene nei momenti più bui, perché non tutte le cose
che ci capitano sono facili da accettare da soli. Ritrovarsi da soli, dopo un lutto, dopo un divorzio,
non è affatto cosa da poco: devasta la nostra esistenza fin lì “programmata”. La rivoluziona come
un terremoto. È assolutamente destabilizzante sulla psiche del malcapitato. Spesso solo in una casa
vuota!
13)
La solitudine.
È più dovuta alla globalizzazione che ci fa sentire tutti concorrenti anche sul posto di lavoro (come i
polli di Renzo di manzoniana memoria) ed allo stile di vita o alle nostre scelte e paure?
Certamente la vita frenetica e sempre più frenetica non aiuta affatto. Ma il grosso del problema lo
vedo in noi e nelle nostre scelte. Scegliemmo noi un nucleo famigliare mononucleare, formato da
due sole persone (non giudico la decisione), ma nell’eventualità di una separazione si cena e si
pranza da soli. E lo stesso volersi rivedere in coppia o meno, dipende da noi e dalle nostre paure. Ed
abbiamo degli amici veri o solo compagnie superficiali, magari di basso livello? Ci fidiamo di
qualcuno o avendo preso diverse fregature, perché ci fidammo delle persone sbagliate, ora la
neghiamo per principio?
Ma se non vogliamo accettare il minimo di rischio, ci condanniamo alla solitudine perenne.
La vita è anche un po’ di rischio e chi non sa accettarne un minimo è una persona “morta”.
Tre qualità essenziali stiamo perdendo: la saggezza, il coraggio e il senso di appartenenza ad una
famiglia, ad uno stato, al mondo intero.
L’Homo Sapiens è stato sempre “un animale di gruppo” e per quello è migliorato: ora che riesce ad
esserlo sempre meno, si sta annientando da solo. Riscaldamento climatico, avvelenamento
radioattivo, inquinamento generalizzato, tutto è dovuto a quell’uomo stolto e cieco del ventunesimo
secolo che si crede furbo e si sta fregando da solo irrimediabilmente.
Ma quello che gli perdono ancor meno è che sta togliendo un avvenire decente ai suoi figli e nipoti.
Che razza di mostro è diventato?
Ci siamo sentiti colti e saggi e ci siamo illusi di poter cancellare gli insegnamenti di vita che i nostri
vecchi, fino a qualche decennio fa, non si stancavano di tramandare.
Poi li abbiamo zittiti, mortificati, derisi e loro, sbagliando, si sono arresi. Noi sessantottini abbiamo
saputo demolire, ma non abbiamo saputo ricostruire.
Penso che una persona debba, nei suoi primi anni di vita, soprattutto imparare (dai libri e dalla vita),
ma poi da genitore deve anche assumersi la responsabilità di diffondere ciò che ha imparato: è un
suo preciso dovere. Non di solo cibo si nutre un figlio: passiamogli saggezza, anziché denari ed
averi. Non siamo più degli ottimi genitori: siamo solo capaci di viziarli: troppo comodo!
Poi pretendiamo che la scuola ci aiuti ad educarli, ma siamo sempre pronti ad inveire ed a
minacciare quel professore che si fosse azzardato a richiamarlo. Senza parole!
E lo Stato è complice: il mestiere più difficile, importante e delicato, pagato di gran lunga di meno
di tutti i laureati. Un Primario supera i 5000 E. Un dottore di famiglia arriva anche a 10000 E al
mese. Un professore con esperienza supera appena i 2000 E al mese.
In un mondo dove si viene spesso giudicati in base allo stipendio, l’educatore dei nostri figli viene
umiliato con uno stipendio da fame, per essere un laureato. Che ci vogliano analfabeti?
Il sapere aumenta la critica e la critica non piace, né ai governanti, né agli industriali: meglio una
massa assoggettata , a gruppi di persone pensanti.
Ci vogliono separati, anzi antagonisti, l’un contro l’altro ed ignoranti. Guarda caso c’è uno
strisciante “analfabetismo di ritorno” che si diffonde sempre più tra le classi più povere, che non
possono permettersi scuole private.
Quindi se vuoi una buona Scuola devi pagare! Se non vuoi fare attese di mesi in Sanità, devi pagare.
Se hai soldi per la freccia rossa, hai un treno di serie “A” altrimenti vai negli altri, spesso di serie
“C”. E poi non dovrei rispolverare la “lotta di classe”?
Siamo ritornati ad essere sfruttati, come lavoratori, quasi come 70 anni fa. Ormai si lavora per
vivere; anzi per sopravvivere, che è peggio, e se ti viene la depressione, non preoccuparti: c’è la
pillolina miracolosa, che la potente lobby del farmaco è ben contenta di distribuire alla massa
lavoratrice, affinché possa continuare a lavorare per l’industriale “Prenditore”. Intanto i ricchi
diventano vertiginosamente sempre più ricchi sfondati e milioni di poveri crescono ogni anno sulla
Terra.
Però intanto si fanno armi, che servono alle tante guerre in corso (non sarà che si fanno guerre per
consumare le armi ormai “vecchie” e poterne comprare di nuove e più sofisticate?). Le guerre,
creano povertà ed ansia. L’ansia e l’insonnia la controlliamo coi farmaci.
In effetti, per fortuna, le grandi Lobby**LOBBIES internazionali (che comandano il mondo), non ci
vogliono morti; gli serviamo per produrre, ma solo leggermente malati. Ciliegina sulla torta:
l’inquinamento radioattivo e da petrolio.
Mi direte: “E i governanti?”. Spesso si “vendono”, per soldi, per voti, per potere. Perché “gli
idealisti sono dei fessi”.
Non mi piaccio così cattivo ed arrabbiato, ma non è colpa mia se l’avidità di pochi han frantumato i
sogni di molti. Un giovane di oggi ha poco da sognare, purtroppo. Stiamo distruggendo il pianeta e
l’umanità con esso. Lo stress sarà imperante e con esso a pioggia tante malattie, da esso favorite!
Ecco, perché è urgente fermarlo o almeno limitarlo, magari recuperando la saggezza semplice e
spontanea dei nostri nonni e recuperando soprattutto le loro capacità educative.
Io, sessantottino, ho vissuto, in Italia, il periodo più bello ed esaltante possibile. Usciti dalla guerra,
si era in piena crescita e l’entusiasmo non mancava mai. Mancavano i giocattoli, ma ce li facevamo
da soli con tanta fantasia e poi c’erano sempre tanti amici. Si giocava, si rideva, si litigava e ci si
prendeva financo a botte, qualche volta, e se tornavamo con qualche sbucciatura sanguinante, a casa
le nostre mamme ci davano il resto con il battipanni. Ma eravamo felici. Sempre pronti a rifare tutto
d’accapo ed a riprenderle di nuovo, faceva parte del “pacchetto” vita: rischio calcolato!
Crescevamo temprati, tosti, di cuore generoso: sempre pronti a difendere un amico, perché
l’amicizia era sacra!
Nostro padre ed il maestro (unico) erano le nostre autorità rispettate e temute; con loro non si
scherzava, né si aveva confidenza: solo rispetto.
Amo paragonare i genitori ad un ombrello, che riparino il figlioletto dalle intemperie: quindi deve
essere sempre sopra la sua testa. Se il genitore “affianca” il figlio non gli dà più quel senso di
protezione per cui è chiamato dal ruolo che si è scelto.
Questo è quello che predico, non ascoltato, da più di 30 anni, ma ora incomincio a sentire
qualcosina del genere in televisione, da psichiatri e sociologi: meglio tardi che mai!
Sperando che non sia troppo tardi, perché è facile scivolare, in basso, verso il comodo; molto meno
facile è la risalita.
14)
L’Empatia.
Essa è la parola più usata degli ultimi anni; fino a qualche decennio fa non andava molto di moda.
La scoprii mio malgrado quando, anni fa, facendo un piccolo appunto a mia figlia lei mi disse che
non ero stato affatto empatico. Pensando di aver detto solo la verità e pure col dovuto garbo, le
risposi che, se secondo lei, l’empatia dovesse anche far rima con bugia, preferivo non esserlo.
Ed è proprio quello che succede speso tra amici ed ancor di più tra donne. Tra gli uomini, la critica
costruttiva, credo venga accettata e proposta, molto di più.
Forse è proprio insito nel maschio il pensiero di “risolvere”, mentre nella femmina, quello di
“partecipare” accanto.
Anni fa, fui invitato ad un Convegno di Psichiatria che si svolgeva sull’intera giornata. Mattino:
presentazione e discussione, poi pranzo di lavoro. Pomeriggio: tavoli di lavoro e conclusione finale.
Il livello era decisamente elevato e tutti erano degli anziani professionisti di fama, eppure notai, con
sorpresa che c’era molta differenza tra l’empatia delle professioniste e quella dei relativi colleghi
maschi.
Le signore esprimevano la necessità che la terapeuta “si calasse al livello di sofferenza del paziente”
per affiancarlo e comprenderlo al massimo: quasi entrare in simbiosi con lui e provare a risalire
insieme.
I discorsi dei colleghi maschi, era un po’ più basato sul famoso detto “aiutati che dio ti aiuta”. Cioè,
scendo anch’io un po’ verso di te, nel pozzo della sofferenza e poi però “ti lancio una corda con la
tua ciambella di salvataggio” e tu devi essere collaborativo.
In altre parole, voglio rimanere abbastanza al sicuro per poterti offrire un ancoraggio sicuro e
mettici del tuo, almeno un po’.
Era stato uno strano caso del destino che l’aiuto terapeutico delle dottoresse fosse differente da tutti
i colleghi maschi? O non era altro che la visione differente di empatia e conseguente aiuto?
La donna, di natura più caritatevole, ti porta il pesce oggi e ti rassicura che te lo porterà ogni giorno.
L’uomo ti dice: vieni con me che ti insegno a pescare, così non avrai più bisogno di me. Sono per
questa seconda soluzione!
Se avessi un grosso problema ed angosciato lo palesassi ad un amico, certo che vorrei che lo
percepisse a pieno, ma sarei molto più contento, se lui provasse a suggerirmi una soluzione o,
almeno a tentare un ragionamento, per trovarla; una persona, fuori dal problema è sempre più
lucida. Voi preferireste farvi operare da un freddo professionista esperto e distaccato o da un suo
collega, molto partecipe, emotivo, che si commuove e “sente” tutto il vostro dolore?
Non sono per l’“Ascolto” fine a se stesso. Se sto male e vado da un dottore, mi aspetto una
diagnosi. Ma anche una cura.
E quanto raccontiamo un nostro problema ad una persona cara, non è mai per sfogo soltanto, ma
anche, sempre, per una ricerca di aiuto, quindi il nostro consiglio, non deve essere ulteriormente
richiesto. È insito. Ed è pure gratuito e seguirlo o meno è facoltativo: un motivo in più per provare a
darlo sempre. Non ci sono controindicazioni, se non la superbia e la permalosità di chi lo riceve.
15)
La Salute.
“Beato chi ce l’ha” direbbero in molti. “Beato a chi se la sa mantenere”, rispondo io. Siamo così
sicuri che facciamo del tutto per preservarcela? Siamo così sicuri che, spesso, non la barattiamo per
i soldi? La diamo tutti per acquisita, finché ce l’abbiamo, salvo poi accorgerci del suo valore
essenziale, appena vacilla o l’abbiamo persa del tutto.
Facciamo sacrifici immani per lasciare capitali ai nostri figli, arrivando spesso malati, bisognosi di
cure e perfino di badanti da vecchi, dando loro, così, grattacapi e dispiaceri.
Non sarebbero bastati la metà dei beni, ma genitori sani, autonomi e felici? Con la vita frenetica di
oggi, penso sia molto meglio anche per i figli la seconda opzione. Per non parlare addirittura di quei
vecchi che, ancora arzilli e gioiosi, possono essere di ausilio (coi nipoti), anziché fardello.
Viaggi, ballo, sport, accudimento dei nipoti, questo è ciò che rendono felici i nonni. E la felicità è
l’elisir di lunga vita.
Se fossi al governo, proporrei premi a chi, da anziano, va a ballare, perché esso è il miglior antidoto
contro la malattia. È movimento, allegria, vita sociale e perfino dieta; sì, perché, prima di andare è
consigliabile mangiare poco e poi si saltella per ore e quindi si perde peso; altro che le diete fatte di
soli sacrifici che intristiscono! E se anche, qualche giorno prima, avessimo ecceduto un po’ col
mangiare, ecco che avremmo recuperato divertendoci.
Penso che fare costose diete rigide, sia sbagliato e pericoloso, perché mette stress ed intristisce la
vita. Meglio mangiare con misura e poi compensare con un hobby di movimento a nostra scelta, che
oltretutto ci scarica le tensioni accumulate sul lavoro.
Con ciò non dico affatto di non essere attenti, specie da anziani, a ciò che si mangia ed a come si
mangia (masticare bene e farlo in ambiente piacevole), ma solo di non sentirsene schiavi. In più uno
sport di movimento o il ballo rinforzano e migliorano l’apparato muscolo-scheletrico ed aumenta la
peristalsi.
Parliamo anche di quest’ultima, perché anch’essa va curata giornalmente, perché svolge
l’importantissima funzione di svelenarci dalle tossine, quindi è consigliabile dedicarle ogni mattino,
possibilmente alla stessa ora, pochi, ma preziosi minuti, così da farla diventare una “regola
abitudinaria”, affinché il nostro orologio biologico la ricordi e si sintonizzi puntuale.
A tal proposito sarebbe meglio mangiare la frutta con le bucce il più possibile . Ora molti mi
obietteranno che cosi facendo introduco quelle sostanze nocive che vengono date alla frutta per
non farla marcire .
Non è più cosi . Le sostanze medicamentose di una volta agivano solo sulla parte esterna ; quelle
di ultima generazione entrano dentro al frutto rendendo inutile la sbucciatura . Mentre si
perdono vitamine esali minerali , abbondanti in essa e scarsi sulla polpa del frutto stesso . Quegli
stessi Sali minerali e vitamine che poi andremo ad acquistare in farmacia ( con dubbio
assorbimento )
In più la frutta molto matura aiuta di molto la peristalsi anche nell’anziano (che muovendosi poco
ha più difficoltà ) Nei casi più ostinati aiutarlo con un abbondante bicchiere di acqua appena
tiepida con spremuta di mezzo limone per almeno una settimana . Il limone non restringe :
REGOLARIZZA.
Altro consiglio che voglio dare ai miei lettori :mangiare aglio quando possibile 3-4 gr al
giorno ,possibilmente crudo ,magari sbucciato ed ingoiato(i più piccoli ) . Certo che occorre
attentamente scegliere il momento propizio per assumerlo per il suo persistente odore
sgradevole , ma è ottimo per le vie respiratorie , colesterolo , glicemia ,ipertensione ed
arteriosclerosi , perché pulisce i vasi sanguigni : quindi indirettamente anche giova anche contro
l’impotenza erettile maschile . E’ una medicina naturale !
Gli antichi Romani se ne portavano sempre una buona scorta quando partivano per la guerra ,
considerandola la loro migliore ed unica medicina .
Da una mia ricerca personale ho notato la straordinaria coincidenza tra il non mangiare mai aglio
in famiglia e ricorrenti broncopolmoniti anche di non fumatori .
A proposito di saper mantenere la salute, non trascuriamo mai il dormiveglia mattutino ed ancor di
più il pisolino appena pranzato.
Quello della sera è invece sbagliatissimo, perché ci rovina il sonno notturno, che per essere efficace
deve essere profondo. Come smangiucchiare qualcosa prima del pasto ci toglie gran parte
dell’appetito che avevamo, così il riposino serale compromette l’intensità del sonno notturno.
Sul dormiveglia cosa dire? È un lusso sempre più raro visto la vita frenetica di oggi, ma proprio per
questo sarebbe ancora più prezioso e quando potessimo mai rinunciarci: “Il letto si chiama rosa, se
non si dorme, si riposa”, così diceva un detto popolare e ciò ci può essere anche utile, quando, presi
da ansia, non dovessimo prendere sonno subito, come vorremmo. Se ci si crede, in questa massima,
rilassa. Dormire bene è importantissimo. Dopo il bere è la funzione vitale più importante. Si
possono stare giorni e giorni senza mangiare, ma se rimanessimo lo stesso tempo senza dormire,
produrremmo dei danni irreversibili al nostro cervello. E sarebbe proprio il caso di consultare uno
specialista.
Dicevamo del dormiveglia che dovremmo usare per “pigrare”, progettando a sommi capi la giornata
e “vederla” possibilmente nei migliori dei modi: Intanto sono vivo, intanto sono sano (o quasi).
Accontentiamoci!
Ora parliamo del pisolino pomeridiano. Sacrosanto direi se vogliamo gustarci un pomeriggio
intenso ed una serata lunga, cioè fino a tardi. Perché, al contrario di quello che pensano i detrattori,
si guadagna tempo, perché quei 40 minuti di sonno, ci ricaricano e tutto ciò che faremo poi, lo
faremo meglio.
Mi si dirà che spesso si è fuori casa e non si può fare: vero purtroppo.
In questa società non più a misura d’uomo, abbiamo rovesciato i valori essenziali. Non lavoriamo
più per vivere, ma troppo spesso viviamo per lavorare, trascurando salute ed affetti, finché non
arrivano divorzi e malattie. Nel caso delle malattie, poi di tempo per doverci curare ne
prenderemo** anche tanto, spendendo in parte quello che abbiamo accumulato. A quel punto
pentirsi non serve a nulla. Occorre prevenire con saggezza!
E quando facciamo il pisolino a casa, facciamolo comodo, non abbarbicati in poltrona, ma a letto:
perché no. Il tempo speso è lo stesso, ma il risultato no.
Ed alle signore ancora schiave di antiche abitudini: “se non faccio i piatti non posso riposare,
magari viene qualcuno”. Ed intanto fanno baccano proprio mentre starei per prendere sonno,
mannaggia! Poi quando finalmente, ci sono riuscito, arriva lei tutta soddisfatta e mi sveglia: Grazie
cara, sei un tesoro!
Però vagli a spiegare alla consorte, che a quell’ora non può venire nessuno mai e che è solo un suo
retaggio retrogrado e maschilista, perché sarebbe la casa al servizio delle persone che ci abitano e
non viceversa.
Ma lascia stare i piatti, vieni con me, sentiamoci sincronizzati, risentiamoci coppia, che poi,
magari…! “Vedi cosa potresti perderti, facendo a modo tuo? I primi mesi, non li facevi mica”.
Oppure lei sonnecchia qualche minuto e poi si rimette in moto: “mica sono una poltrona come te”,
però poi la sera, appena dopo cena esausta, crolla e ti saluta con il bacino della buonanotte che ti fa
rimanere interdetto: “di già? ma, io pensavo, ma io speravo………. Vabbè, è troppo stanca, non mi
sembra il caso di proporle qualcosa di intimo; sarà per un’altra volta. Ma ti rimane l’amaro in
bocca: “però succede sempre così, mannaggia”.
Pensate che questa dissonanza, a lungo andare, faccia bene alla coppia? Meditate, donne, meditate!
Si dice che le guerre nascono “dalle spinte”; forse anche qualche separazione è “aiutata” da queste
piccolissime crepe: un buon sesso unisce, il contrario può dividere.