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AMICI DOMENICANI – DAL 06/01/2021 AL 06/02/2021

1) Che cosa vuol dire Gesù quando allo scriba che lo vuole seguire dice che le volpi hanno le
loro tane e gli uccelli del cielo
Quesito
carissimo padre
volevo intimamente ringraziarla per questo servizio che ci offre, leggendo molte domande e risposte
più di una volta il mio cuore si è allietato ed avvicinato ancora di più a nostro signore.
Dopo anni molto bui di totale confusione e perdizione un piccolissimo evento mi ha portato ad
accogliere la parola di Dio nella mia vita, in passato sono certo di aver ricevuto una sua chiamata e
di averla ignorata vivendo poi anni ed anni di sbagli. Oggi, non riesco nemmeno a descrivere la
leggerezza ed il cambiamento, fisico morale spirituale che la vicinanza alla parola sta portando in
me. è come se ci fosse un punto di svolta un preciso prima e dopo e non ho davvero parole per
descrivere quanto pieno e bello sia tutto ció.
Volevo farle una domanda sul versetto del Vangelo secondo Matteo, quando Gesù rispondendo allo
scriba dice "le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non
ha dove posare il capo". mi colpisce moltissimo ma non riesco a capirlo, sento che mi sfugge il suo
significato.
In fede la ringrazio ancora, la ricordo al Signore nelle mie preghiere.
Giovanni

Risposta del sacerdote


Caro Giovanni,
1. mi compiaccio anzitutto con te e con il Signore per la fede ritrovata.
Dopo il buio della lontananza da Dio – in cui forse ti ritenevi superiore a quelli che hanno fede e in
cuor tuo li commiseravi come fanno tanti – adesso avverti un senso di leggerezza a motivo del
cambiamento fisico, morale e spirituale.
Tutto è mutato in te.
Sottolineo il cambiamento fisico perché quando ci si avvicina a Dio e ci si nutre della sua parola si
avverte anche un sollievo corporale, un senso di benessere che non è facile descrivere.

2. Ma adesso vengo alla domanda che mi hai fatto alla quale a tutta prima si darebbe una risposta
benevola e scontata: Gesù direbbe a quello scriba che deve tenere presente che – se gli va dietro –
dovrà sperimentare la povertà.
I Santi Padri hanno visto invece nella domanda di quello scriba delle motivazioni non rette.

3. Intanto il testo dice: “Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu
vada».
Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio
dell’uomo non ha dove posare il capo»” (Mt 8,19-20).
Da notare quell’Allora.
Che cosa era successo prima?
Il testo sacro dice che “venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con
la parola e guarì tutti i malati” (Mt 8,6).
Dunque voleva andargli dietro perché aveva visto tutti quei prodigi.

4. San Tommaso dice che rispondendogli con quelle parole «Le volpi hanno le loro tane…» il
Signore lo respinse.
Ma perché lo respinse se – come sembra – si è accostato con grande devozione?
«Poiché non aveva una fede buona», dice San Girolamo.
E ciò è chiaro perché “lo chiama soltanto maestro, mentre i veri discepoli lo chiamavano Signore,
come si legge in Gv 13,13: «Voi mi chiamate maestro e Signore».

5. “Inoltre voleva seguirlo per una cattiva intenzione: poiché udiva che era stato fatto un segno,
voleva seguirlo per fare anche lui dei segni, come si dice di Simon Mago. (…).
Voleva seguirlo, ma intendeva il guadagno. E il Signore contro ciò allega la povertà; per questo
dice: Le volpi hanno le tane, e gli uccelli del cielo i nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare
il capo; come si legge in 2 Cor 8,9: «Da ricco che era si è fatto povero» ecc.” (Commento a Mt
8,20).

6. Altri commentano: come vuoi seguirmi per avere ricchezze mentre sono così privo anche di quel
necessario di cui non mancano neanche gli animali perché le volpi hanno le tane e gli uccelli del
cielo i nidi? (Ib.).

7. Da notare infine che Gesù per la prima vota definisce se stesso Figlio dell’uomo.
Nessuno gli dà questo titolo, ma se lo dà da se stesso, applicando a Sé la visione in cui il profeta
Daniele vede il Messia come il Figlio dell’uomo al quale viene dato “potere, gloria e regno; tutti i
popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo
regno non sarà mai distrutto” (Dan 7,13-14).
Lo scriba pensava di andare dietro ad un uomo, per quanto si voglia grande.
In realtà Gesù non è semplicemente un uomo, ma è il Messia che deve patire per aprire quel regno
nel quale tu sei entrato e che ti fa sentire benessere fisico, morale e spirituale, come anticipo e
caparra di quello che vivrai quando in quel regno sarai entrato definitivamente, come ti auguro con
tutto il cuore.

Per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.


Padre Angelo

2) Se i nostri progenitori sapessero che cosa era la morte e se il male sia sempre causato dal
peccato originale

Quesito
Buongiorno Padre Angelo,
Le scrivo nuovamente, approfittando della sua disponibilità e della sua chiarezza, perché ho un
quesito, su una delle materie probabilmente più complesse. L’origine del male. E sul quale ho
azzardato una speculazione.
Non voglio parlare del male per l’uomo, ovvero il male che ci colpisce frutto del peccato originale,
“malattia ereditaria” che comporta concupiscenza e morte. Il mio interrogativo riguarda il male
precedente l’uomo. Mi spiego meglio: personalmente non ho dubbi sul peccato originale della
prima coppia umana e dei suoi effetti, ma sono anche convinto della teoria dell’evoluzione. Allora
la domanda è: come spiegare (approssimativamente per le nostre menti umani) il male e la
sofferenza presenti in natura precedenti alla prima coppia umana?
Qui parte la mia speculazione. Un’azzardata sintesi tra peccato originale ed evoluzionismo. 
Immaginiamo che “la polvere del suolo” da cui Dio ci ha tratti siano forme pre-umane di esistenza,
in cui Dio ha effuso l’anima immortale creando quindi la prima coppia Umana. A questa coppia ha
concesso Immortalità, assenza di sofferenza e amicizia. Ma li ha anche avvertiti di non allontanarsi
da Lui, conseguenza sarebbe stata la Morte. Ora questo scenario mi fa pensare che a) prima di
arrivare alle forme pre-umane ci sia stata una lunga serie evolutiva basata sulle leggi natura, morte,
selezione evolutiva ecc. e B) per essere avvertito del rischio della morte, l’uomo doveva conoscere
questo concetto, guardando le altre forme di vita.
Quindi, in soldoni, la domanda è: quale potrebbe essere la causa del Male, della sofferenza in
natura? La morte di animali preistorici, le malattie nel regno animale, la violenza della selezione
evolutiva non può essere causata dal peccato originale, avvenuto solo successivamente. Dunque, da
dove viene?
Azzardo, potrebbe essere legato alla disubbidienza di Satana “principe di questo mondo”?
Immaginando anche che con la prima venuta Cristo ha redento l’Uomo, mentre con la seconda
venuta redimerà la Natura?
Sono domande a cui probabilmente non avremo risposte certe in questa vita, ma mi domando se
teologicamente parlando la mia speculazione abbia un senso e sia cattolicamente accettabile.
Mi scuso per essermi dilungato e la ringrazio anticipatamente per la risposta e la disponibilità.
La ricordo nelle mie preghiere e le auguro buona giornata!

Risposta del sacerdote


Carissimo,
1. tralascio la tua fantasiosa ricostruzione sull’origine dell’uomo.
Dico fantasiosa perché il racconto della Genesi non ha intendimenti di carattere scientifico e perché
la teoria dell’evoluzione non era neanche lontanamente concepibile per lo scrittore sacro di quel
tempo.
Con questo non nego la teoria dell’evoluzione.
Molte volte ho detto che ad alcune condizioni si può comporre benissimo con la narrazione della
Sacra Scrittura.

2. Vengo invece alla domanda precisa che hai fatto che parte dal presupposto che l’uomo per
conoscere il pericolo della morte doveva averne non solo la nozione, ma anche la constatazione
sotto i propri occhi.
Penso che si possa essere concordi con questa tua affermazione perché Dio aveva promesso
l’immortalità solo all’uomo.
L’immortalità d’altronde è intimamene legata alla natura della sua anima, che di suo è semplice
(senza composizioni), spirituale e immortale.

3. Sebbene nel periodo d’oro del paradiso terrestre nessun animale mangiasse la carne di un altro
(“Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che
produce seme: saranno il vostro cibo.
A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e
nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde»”; Gn 1,29-30), tuttavia tanto le piante quanto
gli animali non erano eterni.
Erano soggetti a invecchiamento e morte.
E questa doveva essere sotto gli occhi dei nostri progenitori.

4. Accanto alla tua domanda se ne può porre un’altra: esistevano a quei tempi animali carnivori?
Se stiamo alla narrazione del Paradiso terrestre dobbiamo dire di no.
Questi animali in quel periodo si sarebbero nutriti di vegetali oppure sarebbero vissuti fuori
dell’Eden, che significa giardino e che comunemente viene chiamato Paradiso terrestre.

5. Indipendentemente dal nostro problema San Tommaso scrive: “Altro è il caso di chi ha la
gestione di un bene particolare e altro quello del provveditore universale.
Il primo elimina, per quanto può, ogni difetto da ciò che è affidato alle sue cure, mentre il
provveditore universale, per assicurare il bene del tutto, permette qualche difetto in casi particolari.
Perciò la distruzione e le deficienze delle cose create si possono dire contro la natura particolare di
esse; ma rientrano nell’intenzione della natura universale, in quanto il difetto di una ridonda al bene
di un’altra, o anche al bene di tutto l’universo; infatti, la distruzione di una cosa segna la
generazione di un’altra, e così si conserva la specie.
Essendo, dunque, Dio il provveditore universale di tutto l’essere, appartiene alla sua provvidenza il
permettere alcuni difetti in qualche cosa particolare perché non sia impedito il bene perfetto
dell’universo. Se infatti  si impedissero tutti i mali, molti beni verrebbero a mancare all’universo:
come non vi sarebbe la vita del leone se non vi fosse la morte di altri animali; né vi sarebbe la
pazienza dei martiri se non vi fosse la persecuzione dei tiranni. Perciò S. Agostino può dire:
"L’onnipotente Iddio non lascerebbe trascorrere alcun male nelle sue opere se non fosse tanto
potente e buono da trarre del bene anche dal male" (Enchiridion 11)” (Somma teologica, I, 22, 2, ad
2).
In questo caso la causa del male non sarebbe stato il peccato originale.

5. Va ricordato che per San Tommaso come per tutti gli antichi “il Paradiso, come dice Sant’Isidoro,
era "un luogo posto nelle regioni dell’Oriente, e il suo nome greco significa giardino"” (Somma
teologica, I, 102,1).
Il testo sacro dice che “il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che
aveva plasmato” (Gn 2,8).
Fuori dell’Eden ci poteva essere qualcosa di diverso?
Non è escluso. Anche perché il testo di Gn 1,29-30 è orientato a descrivere l’abitazione dell’uomo
in Eden.

6. Non ci viene detto nelle Scritture che Cristo con la seconda venuta redimerla natura. Ma che
“allora i cieli spariranno in un grande boato, gli elementi, consumati dal calore, si dissolveranno e la
terra, con tutte le sue opere, sarà distrutta” (2 Pt 3,10).
Questo mondo dunque scomparirà e poi vi saranno “nuovi cieli e una terra nuova, nei quali abita la
giustizia” (2 Pt 3,13).
Non è detto che siano la terra e i cieli di prima.

Ti ringrazio del quesito, ti ricordo al Signore e ti benedico.


Padre Angelo

3) Non solo non riesco a convertirmi, ma giorno dopo giorno mi sento sempre più lontano da
Dio
Quesito
Caro Padre Angelo,
Non è la prima volta che le scrivo.
Ora il mio problema è diventato più serio.
Non solo non riesco a convertirmi, ma giorno dopo giorno mi sento sempre più lontano da Dio.
Spessissimo prego anche forzosamente e con molta difficoltà.
Che fare? Come agire? Mi sento abbandonato da Dio, non vedo i frutti del cammino spirituale fatto
fino ad adesso.
Grazie, Dio la Benedica grandemente.

Risposta del sacerdote


Carissimo,
ti domando scusa per il forte ritardo con cui ti rispondo, ma solo oggi sono giunto alla tua mail.
1. Ci si può sentire lontani da Dio per diversi motivi: ad esempio perché si è in peccato grave. E
questo evidentemente è male.
Sant’Agostino diceva che Dio non abbandona a meno che prima non venga abbandonato.
Si abbandona Dio col peccato grave.
Il rimedio qui sta nella conversione del cuore e soprattutto nella confessione sacramentale.
Ma forse questo non è il tuo caso perché tu cerchi Dio. E ne è prova la tua preghiera costante e
anche il desiderio di sentire la vicinanza con Dio.

2. Oppure il sentimento di abbandono da parte di Dio si sperimenta perché, pur non essendo in
peccato grave, non si sente più il fervore e si prega in maniera forzata.
Questo può dipendere da vari motivi.

3. Il primo potrebbe essere l’eccessiva stanchezza o fatica, la malattia, le condizioni ambientali di


vario genere non favorevoli.
In questo caso bisogna andare avanti con perseveranza e portare pazienza.

5. Il secondo potrebbe essere causato dal peccato veniale il quale non fa perdere la grazia di Dio, ma
fa diminuire il fervore.
In questo caso bisognerebbe eliminare il peccato veniale, a partire da quello di lingua, che è un
peccato abbastanza comune e contrario alla carità.
Di particolare utilità per il ricupero del fervore è il compimento di atti espliciti di amore di Dio.

6. A volte si tratta invece di purificazioni che il Signore manda perché non ci si attacchi alla
consolazione spirituale del fervore, ma si preghi e si adori Dio perché è degno di essere lodato e
adorato.
Anche in questo caso è necessario andare avanti senza mai deflettere.
Alcuni Santi sono stati privati del fervore per moltissimi anni e proprio perché non sono mai venuti
meno ai loro doveri, la loro santità appare ancora più vera.

7. Santa Teresa che ha sofferto lungamente questa privazione di fervore nel capitolo undicesimo
della Vita scrive: “Che deve fare colui che da molti giorni non prova altro che aridità, disgusto,
insipidezza, e un’estrema ripugnanza… né riesce a formulare un buon pensiero?”.
Ed ecco la risposta: “Sua Maestà vuole condurre per questa strada perché comprendiamo meglio il
poco che siamo”.
Questa stessa povertà aiuta a servire Dio “con giustizia, fortezza d’animo e umiltà”.

8. E ne presenta il rimedio: quando queste assenze di fervore non dipendono dal peccato e sono
involontarie è meglio rassegnarsi alla volontà di Dio per tutto il tempo che vorrà lasciarci in questo
stato e convincerci che la devozione sensibile non è essenziale al vero amore di Dio e che basta
voler amare Dio compiendo la sua volontà e osservando i comandamenti per amarlo già realmente.

Se tu ti trovassi già in questo stato, come mi auguro, saresti ben avanti nella via della santità.
Non mi rimarrebbe allora che pregare perché il Signore ti conservi così.
Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo

4) Perché non cambiare riti nel Battesimo per impedire che i genitori del bambino mentano
alla richiesta di rinunziare a Satana e alle sue seduzioni?

Quesito
Reverendo padre Angelo,
ho letto l’email del ragazzo che si lamentava di non trovare ragazze veramente cattoliche e
condivido con lui quello che pensa perché anche per me vale la stessa cosa dal punto di vista
femminile… E vorrei testimoniargli che ragazze/donne che la pensano come lui ci sono… 
Mi ha fatto piacere leggere che ci siano ragazzi che abbiano principi cristiani sul tema matrimonio
perché è veramente una rarità, perlomeno io non ne ho mai incontrati!
Penso che la Chiesa dovrebbe prendere atto di queste problematiche dei giovani di buona volontà,
mettere i puntini sulle i su come sia un vero matrimonio cristiano, capisco che è come se una
formica cercasse di abbattere un elefante, ma la formica ha la forza della Verità mentre l’elefante la
fragilità della menzogna…
Una volta mi è capitato di assistere ad un battesimo di un bambino i cui genitori erano conviventi e
il Sacerdote durante il rito chiede loro: Rinunciate a Satana e alle sue seduzioni? E loro come da rito
han risposto: sì.
Sono rimasta allocchita perché in realtà hanno mentito dal momento che vivevano in uno stato di
peccato grave permanente e lo hanno fatto con il beneplacito del Sacerdote… Non sono contro il
Battesimo del bambino, ma il rito non dovrebbe essere diverso viste le condizioni dei genitori? Che
senso ha che mentano? Risulta più una pagliacciata che un rito sacro… Non lo trovo rispettoso nei
confronti del Signore.
Comunque mi piacerebbe contattare il ragazzo che le ha scritto perché ha le idee ben chiare!
Grazie,
buona serata!

Risposta del sacerdote


Carissima,
1. sono contento della tua mail che contraddice il luogo comune che oggi è difficile se non
addirittura impossibile trovare un ragazzo o una ragazza che voglia vivere il fidanzamento e il
matrimonio in maniera cristiana.
Al termine della tua mail chiedi se sia possibile contattare quel giovane. Se dopo aver letto la
pubblicazione della presente risposta questi si farà vivo e acconsentirà mi farò premura di mettervi
in contatto.

2. Adesso invece vengo alla richiesta se sia possibile adottare un rituale diverso a seconda delle
condizioni dei genitori.
Non credo che una cosa del genere sia fattibile perché è proprio di questo sacramento sottrarre
dall’influsso o dal potere di Satana e mettersi sotto l’influsso salvifico di Gesù Cristo.

3. Convengo con te che domandare a due conviventi se rinunziano alle seduzioni di Satana e hanno
la ferma volontà di vivere invece in una situazione oggettiva di peccato grave sia contraddittorio.
Tuttavia noi non conosciamo le reali intenzioni dei due conviventi.
Può darsi che abbiano detto al sacerdote che desiderano regolarizzare la loro situazione o comunque
che non ripudiano la vita cristiana.

4. In ogni caso tante volte si deve accettare di conferire i Sacramenti anche a persone che non danno
garanzie di autentica vita cristiana per il grande motivo pastorale che è quello di non chiudere la
porta alle persone.
Sappiamo che il Signore non è venuto a spezzare la canna infranta, né a spegnere il lucignolo
fumigante (cfr. Mt 12,20).

5. Talvolta allo scarso impegno da parte dei genitori dovrebbe supplire quello dei padrini perché
questi vanno scelti tra coloro che hanno già ricevuto la confermazione e il sacramento
dell’Eucaristia e conducono una vita conforme alla fede e all’incarico che assumono (cfr. Codice di
diritto canonico 874,2).

6. Pertanto più che cambiare il rito e farne uno di serie a e un altro di serie b è già sufficiente
mettere in pratica la normativa attuale della Chiesa e star dietro a genitori irregolari conviventi
anche in vista dell’educazione cristiana dei figli.

Ti ringrazio per la mail, ti ricordo al Signore e ti benedico.


Padre Angelo

5) Perché applicare più volte l’indulgenza plenaria ad una persona se l’indulgenza è plenaria?
Lo stesso discorso vale anche per la Messa

Quesito
Buongiorno padre Angelo,
ecco la mia domanda: se applico un’indulgenza plenaria per un defunto, è corretto dire che questo
defunto ha completato la sua purificazione in Purgatorio, ed è quindi ammesso in paradiso? Se è
così, ha senso continuare a celebrare per quel defunto una messa di suffragio?
La ringrazio per la sua attenzione.
Buona giornata.
Mariacristina

Risposta del sacerdote


Cara Mariacristina,
1. devo dire anzitutto che sebbene l’indulgenza plenaria sia un tesoro immenso non è facile
procurarla.
Perché – a parte le condizioni più materiali che riguardano le pratiche da compiere che sono
abbastanza agevoli – è necessaria la parte più importante che è quella del ripudio totale del peccato,
anche da quello veniale.

2. Questa volontà di ripudiare il peccato in ogni sua forma costituisce come un balzo in avanti nella
via della santità.
Per questo la Chiesa lo favorisce e lo premia accordando l’indulgenza plenaria.

3. L’indulgenza non è un’invenzione arbitraria della Chiesa perché poggia sul fatto che tutti
costituiamo un solo corpo in Cristo mediante la grazia santificante.
Gesù per primo ha espiato al posto nostro e applica a noi i meriti della sua Redenzione.
Ugualmente tutti quelli che vivono in Cristo (e cioè in grazia) fanno la stessa cosa.
Era per questo che nei primi secoli della Chiesa si chiedeva ad alcune persone che si erano
macchiate di peccati particolarmente gravi di fare una visita ai cristiani che erano perseguitati come
per essere resi partecipi delle loro sofferenze e delle loro espiazioni.

4. Con l’indulgenza plenaria la Chiesa applica questo merito reciproco in Cristo.


Ha la potestà di farlo perché Cristo glielo ha conferito quando ha detto: “In verità io vi dico: tutto
quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà
sciolto in cielo” (Mt 18,18).

5. Per ricevere il beneficio dell’indulgenza è necessario essere in grazia di Dio. San Tommaso
afferma che “un membro morto non riceve nessun influsso da quelli vivi. Ora, chi è in peccato
mortale è come un membro morto. Quindi non può ricevere influsso alcuno dalle membra vive della
Chiesa mediante le indulgenze” (Supplemento alla Somma teologica, 27,1, sed contra)
“Ecco perché in tutte le indulgenze si fa menzione di persone "veramente contrite e confessate" (Ib.,
27,1).

6. San Tommaso dice inoltre che “le indulgenze hanno il valore che ad esse è dato: purché in chi le
concede vi sia l’autorità, in chi le riceve la carità, e nella motivazione di esse non manchi la pietà,
la quale include l’onore di Dio e l’utilità del prossimo. In questa maniera "non si fa troppo mercato
della misericordia di Dio", come alcuni dicono; e neppure si deroga alla divina giustizia: poiché
nessuna pena viene condonata, ma solo compensata con i meriti di altri” (Ib., 27,2).

7. Sicché l’indulgenza plenaria viene ottenuta se la contrizione dei peccati è totale, se è totale anche
il proposito di non più commetterli e se la carità è piena (senza rancori, risentimenti, desideri di
vendetta…).
È questo il punto più difficile, quello per il quale non si è mai sicuri di ottenere l’indulgenza
plenaria.
Tuttavia se l’indulgenza non è plenaria, sia spera che sia almeno parziale.

8. Lo stesso discorso vale anche per le Messe di suffragio. Sebbene il sacrificio della croce abbia di
per se stesso un valore infinito, noi ne attingiamo sempre un frutto “finito”, “limitato”.
Tutto dipende dalla nostra capacità di aprirci a questo tesoro immenso.
Prova lampante è il fatto che, pur compiuto il sacrificio di Cristo, ognuno di noi rimane quello che
è.
Abbiamo un deposito di valore immenso e infinito accanto alla nostra vita, ma la santità dipende
dalla nostra personale partecipazione a questo sacrificio.
Una sola Messa sarebbe sufficiente per santificarci interamente. Ma questo non avviene. Non certo
perché il sacrificio della Messa abbia scarsa potenza, ma perché noi non lo tesaurizziamo in
pienezza.
È un discorso simile a quello dell’energia solare. È immensa di per se stessa. Ma noi ne prendiamo
tanta quanta siamo disposti a riceverne.
Questo vale tanto per noi quanto per le anime del Purgatorio per le quali destiamo il suffragio della
Messa.
Di qui la necessità della moltiplicazione della celebrazione delle Messe.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.


Padre Angelo

6) Mi può dire in che cosa consistano le vie straordinarie della salvezza e quali ne siano i
riferimenti biblici

Quesito
Salve caro padre Angelo sono Massimo e ci siamo già sentiti tempo addietro; innanzitutto volevo
ringraziarla per l’opera che svolge attraverso il sito degli amici domenicani. Grazie alle sue risposte
sempre chiare ed esaurienti, e, sempre correlate a riferimenti alle sacre scritture, mi sono stati
chiariti molti dubbi; colgo l’occasione per porle una domanda: Lei spesso fa riferimento alle "vie
straordinarie della salvezza"; quali sono? E se può darmi riferimenti scritturali.
Cordiali saluti e grazie.

Risposta del sacerdote


Caro Massimo,
1. nella Sacra Scrittura non si parla esplicitamente delle vie straordinarie di salvezza.
È opportuno ricordare anzitutto che le vie ordinarie sono costituite dai Sacramenti, e in primis dal
Battesimo.
Gesù infatti ha detto: “In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può
entrare nel regno di Dio” (Gv 3,5).
L’acqua e lo Spirito indicano rispettivamente l’elemento esterno e visibile dell’incorporazione  a
Cristo e quello interno e invisibile.
Si aderisce a Cristo attraverso la Chiesa con la quale Cristo ha detto di identificarsi (cfr. le parole
rivolte a San Paolo al momento della conversione: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”. Non  ha
detto perché perseguiti la Chiesa, ma perché mi perseguiti).
È all’interno della comunione ecclesiale che Gesù illumina con tutta la sua verità, vivifica con la
grazia dei sacramenti e guida in maniera sicura verso il Cielo.

2. Non basta tuttavia l’adesione materiale alla Chiesa per salvarsi.


Di questo purtroppo sono convinti i testimoni di Geova, gli evangelici e molti protestanti, in un
modo analogo a quello degli islamici per i quali è sufficiente essere islamici per essere sicuri del
Paradiso, indipendentemente dal tipo di condotta, magari del tutto contraria alla legge naturale e
divina.
È necessaria infatti anche la vivificazione dello Spirito che agisce per mezzo della grazia
santificante che purifica e santifica.
La grazia viene comunicata in maniera certa nei Sacramenti se coloro che li ricevono non
frappongono ostacolo.

3. Molti però non conoscono ancora Gesù Cristo perché non ne hanno avuto annuncio adeguato.
Come possono salvarsi?
Ecco allora aprirsi il discorso delle vie straordinarie della salvezza.
La Sacra Scrittura presenta diverse indicazioni.

4. Una prima la troviamo in 1 Tm 2,3-4: “Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini
siano salvati e giungano alla conoscenza della verità”.
Ora se Dio vuole tutti salvi, a tutti deve offrire la grazia senza la quale non è possibile diventare
figli di Dio per adozione.
In quale maniera la comunica?
Attraverso vie che noi non conosciamo, ma che sono certe perché Dio salvatore nostro vuole tutti
salvi.

5. Una seconda affermazione la troviamo in 2 Pt 3,9: “(il Signore) invece è magnanimo con voi,
perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi”.
Siccome ci si perde solo perché si è sprovvisti della grazia, che è l’abito nuziale cui fa riferimento
Mt 22,12, è chiaro che il Signore offre a tutti questo vestito altrimenti la sua volontà di salvare
sarebbe contraddittoria.

6. Una terza affermazione: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo” (Gv
1,9).
Illumina anzitutto con la luce naturale della ragione per la quale l’uomo giunge alla conoscenza
dell’esistenza di Dio e della legge naturale (i dieci comandamenti) e illumina con la luce di una fede
embrionale – ma comunque di ordine soprannaturale – come quella richiesta da Dio stesso nella
lettera gli Ebrei: “Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve
credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano” (Eb 11,6).
È così che illumina: facendosi conoscere come creatore e legislatore e presentandosi come giudice e
premio.
7. Si può portare anche un’altra affermazione ed è quella che si trova negli Atti degli Apostoli nel
famoso discorso di san Paolo all’areopago di Atene. San Paolo ad un certo momento dice che Dio
“benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come
hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: «Perché di lui anche noi siamo stirpe” (At 17,27-28).
“Egli infatti si fa trovare da quelli che non lo mettono alla prova, e si manifesta a quelli che non
diffidano di lui” (Sap 1,2).
Lo mettono alla prova coloro che frappongono ostacoli alla sua conoscenza mediante il peccato.

Si potrebbe andare avanti, ma credo che queste affermazioni siano già sufficienti.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

7) Qual è dunque la spiegazione che il Cristianesimo offre dell’esistenza della schiavitù, del
sopruso e, in generale, dell’ingiustizia sociale?

Quesito
Caro Padre Angelo,
Mi chiamo Carlo e sono uno studente. Prima di farle la mia domanda vorrei esprimerle la mia
gratitudine per il servizio che svolge con tanta devozione e costanza.
Il quesito che le pongo riguarda la dignità e la condizione degli uomini e nasce dalla semplice
costatazione che purtroppo (ma evidentemente è necessario che sia così) non tutti nasciamo in una
posizione di privilegio ma molti di noi, nel corso della storia come ancora oggi, si ritrovano a
nascere in condizioni economiche, sociali, culturali e, in generale, umane, degradate e fonte di
sofferenza fisica e di ingiustizie. Basti pensare, ad esempio, agli schiavi dell’antica Roma
(comprati, venduti, considerati al pari di un oggetto, in balìa dei propri padroni, puniti o torturati
anche per puro sadismo), ai servi della gleba per cui valevano più o meno le stesse condizioni, fino
ai migranti di oggi. A questo punto mi chiedo, dov’è Dio nelle loro vite? Dove sono ora tutti quegli
schiavi che non hanno conosciuto in vita altro se non sofferenza? Perché a qualcuno è concesso
ogni privilegio (anche quello di sottomettere gli altri) e ad altri invece è dato solo di servire? Oggi
forse chi nasce servo può uscire più facilmente dalla propria condizione, ma lo stesso non poteva
dirsi per i servi della gleba della Russia di Caterina I. E quantunque questi riuscissero a riscattare la
propria libertà con il lavoro, questo ancora non spiega perché siano stati tenuti a farlo, cioè a vivere
da servi fino alla liberazione (ciascuno avrebbe potuto pensare, “Perché proprio io sono dovuto
nascere servo e lavorare per essere libero mentre ad altri la libertà è data fin dalla nascita?”).
Bisogna forse pensare che le singole vite non contino? E che il progetto di Dio riguardi invece tutta
l’umanità? Resta però il fatto che le singole vite hanno coscienza della loro condizione ingiusta.
Qual è dunque la spiegazione che il Cristianesimo offre dell’esistenza della schiavitù, del sopruso e,
in generale, dell’ingiustizia sociale? Chi ha creato le condizioni affinché tutto questo vi fosse, Dio o
gli uomini con la loro cattiva gestione?
Mi scuso se il quesito risulta poco lineare e la ringrazio se vorrà rispondermi.
Carlo

Risposta del sacerdote


Caro Carlo,
1. a proposito della domanda che mi hai fatto è necessario fare una distinzione fra la dignità delle
persone e la diversità dei ruoli.

2. La risposta che il cristianesimo dà alla disparità tra la dignità delle persone rimanda al peccato
originale e in particolare a quanto Dio ha detto ad Eva: “Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli
ti dominerà” (Gn 1,16).
Il che significa: tu sentirai il desiderio di amare e di dedicarti a tuo marito, ma adesso come
conseguenza del peccato lui sentirà il disordinato desiderio di dominarti, di possederti.

3. Prima del peccato Adamo sentiva che la propria sposa aveva come lui pari dignità, tanto che
disse: “Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (Gn 2,23).
Dio infatti l’aveva tratta dalla sua costola, dal suo fianco, simbolo di pari dignità, come osserva
Sant’Agostino.

4. Il peccato ha comportato un offuscamento della pari dignità degli uomini creati tutti ad immagine
e somiglianza di Dio.
Con questo ha generato una rottura non solo nel rapporto con Dio, ma anche fra gli uomini.
Il testo sacro fa capire che da allora il maschio ha sentito qualcosa che lo portava ad attuare una
discriminazione nei confronti della donna, tentato ormai di dominarla e pertanto di non rispettarla.

5. Questa prima discriminazione ne ha attuate altre, come quelle da te menzionate per cui alcuni si
sono sentiti in toto padroni di altre persone, non più considerate come persone, ma cose, come
avveniva nel regime di schiavitù.
Questa subordinazione degli uni agli altri è purtroppo ancor oggi legittimata e reclamata in alcune
religioni e in diverse culture.

6. È con la venuta di Gesù Cristo, Redentore dell’uomo, che viene ristabilita la pari dignità, in
quanto tutti sono chiamati all’altissima vocazione di diventare partecipi della natura divina, anzi, di
diventare figli adottivi di Dio: “ha dato potere di diventare figli di Dio” (GV 1,12).
San Paolo ne trae le conseguenze dicendo: “Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in
Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo.
Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi
siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,26-28).

7. In ragione di questo San Luigi IX, re di Francia, a chi gli diceva di non  firmarsi “Luigi di
Poissy”, paese di cui nessuno sapeva dove fosse, ma Luigi di Reims, dove era stato incoronato re,
rispondeva: “Ma a Poissy ho ricevuto una dignità più grande”, quella di diventare figlio di Dio, una
dignità di ordine soprannaturale.

8. I cristiani hanno questa consapevolezza: che se gli uomini fanno discriminazioni e alcuni si
considerano superiori agli altri, anzi, padroni di altri, tutti invece sono chiamati a diventare figli di
Dio e ad acquisire una dignità più grande.
Una dignità non più caduca come quelle umane, che prima o poi bisogna lasciare, ma
soprannaturale ed eterna.

9. Grazie a  Dio, a motivo del cristianesimo gli uomini hanno riguadagnato  il concetto di pari
dignità tra le persone, anche se di fatto questa pari dignità viene profanata quando l’altro viene
ridotto a cosa oppure viene privato dei diritti fondamentali di una persona.

10. Detto questo sulla pari di dignità fra le persone, per cui nessuno è più persona di un altro, va
detto che i ruoli fra le persone non sono identici.
La società e anche la Chiesa sono come un organismo e un organismo è costituito di tante membra e
ognuna svolge la propria parte a favore delle altre e del tutto.
San Paolo dice: “Se tutto il corpo fosse occhio, dove sarebbe l’udito? Se tutto fosse udito, dove
sarebbe l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra del corpo in modo distinto, come egli ha
voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma
uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te; oppure la testa ai
piedi: «Non ho bisogno di voi” (1 Cor 12,17-21).
Vi sono dunque ruoli diversi, ma ogni ruolo è fondamentale per il bene del tutto.
Per cui ogni lavoro, anche il più umile secondo le categorie umane, ha la più grande nobiltà perché
è compiuto da una persona ed è a favore delle persone.

11. In conclusione solo in Cristo gli uomini ricuperano la loro pari dignità di persone e di figli di
Dio.
Fuori di Cristo, offuscata la concezione che ogni uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di
Dio, viene offuscata anche la dignità di ogni persona.

Ti auguro di essere sempre promotore della dignità di ogni persona, ti ricordo al Signore e ti
benedico.
Padre Angelo

8) Ho notato molte modalità nel dire il Rosario e per questo le chiedo che cosa è necessario e
che cosa è aggiunto

Quesito
Gentile Padre,
avrei delle curiosità in proposito alla preghiera del Rosario. Mi è capitato di seguirlo in chiesa, ma
anche in TV ed online in questi giorni.
Ho notato diverse modalità: chi inizia la recita direttamente dai misteri, chi con la formula "O Dio,
vieni a salvarmi..", oppure con il Credo o altre giaculatorie introduttive. C’è chi inserisce delle
preghiere tra un mistero e l’altro e chi no, chi legge brani di Vangelo dopo l’enunciazione del
mistero e chi recita subito il Padre Nostro. Chi termina con le litanie, chi con la Salve Regina, ma
anche chi la omette al termine e così via… Cosa insegna il magistero della Chiesa sul Rosario?
So anche che al Rosario è annessa l’indulgenza plenaria. Queste diverse modalità di recita la
concedono sempre?
Grazie per l’attenzione!
Luca

Risposta del sacerdote


Caro Luca,
1. la struttura essenziale del Rosario è la seguente:
si enuncia il mistero,
quindi si dice il Padre nostro,
si prosegue con le 10 Avemaria
e si conclude col Gloria al Padre.
Poi si va avanti con gli altri misteri.

2. Quando io ero novizio nell’Ordine domenicano si recitava il Rosario comunitariamente.


Ricordo l’impressione che mi ha fatto la prima volta.
Lo si diceva la sera, dopo i Vespri, prima di andare a cena.
Finiti i vespri, si spegnevano le luci lasciandone accesa solo una di postazione per non rimanere
totalmente al buio.
Tutti i frati si mettevano in ginocchio al loro posto col cappuccio in testa (c’era un senso di grande
raccoglimento) e si sentiva un padre che senza nessun preambolo diceva: “Annunciatio
incarnationis Verbi” (l’annuncio dell’incarnazione del Verbo).
Poi si proseguiva in latino dicendo il Pater, cui seguivano le Ave Maria e si concludeva col Gloria
Patris.
Quindi il padre che intonava il Rosario proseguiva con la seconda decina dicendo: Visitatio Beatae
Mariae Virginis ad Sanctam Elisabeth (la visita della Beata Vergine Maria a Santa Elisabetta).
Giunto al termine dell’ultima decina diceva: “Nos cum prole pia” (Noi con il divin Figlio) e tutti
rispondevamo: “Benedicat Virgo Maria” (benedica la Vergine Maria).
Tutti si alzavano e fatta le debita riverenza all’altare uscivano sempre in silenzio per andare a cena.

3. Non c’era dunque nessuna aggiunta, neanche una formula di introduzione.


Veniva recitato in maniera abbastanza sollecita perché secondo la tradizione domenicana la
preghiera in coro si fa “breviter et succinte” (con pause brevi e con recita sollecita), ma non in
maniera precipitosa.
Si recitava a voce bassa per favorire la contemplazione che doveva accompagnare la recita
materiale del Rosario.

4. Lo stupore è stato grande la prima volta perché precedentemente quand’ero a casa sentivo che in
parrocchia si iniziava dicendo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
Al termine di ogni decina si diceva: “Gesù mio, perdona le nostre colpe…”.
In altri posti dicevano: “Lodato sempre sia, il santissimo nome di Gesù, di Giuseppe e di Maria”.
Nell’Ordine domenicano niente di tutto questo.

5. Ricordo anche che quand’ero a casa il Parroco insisteva nel fermarsi un istante dopo aver
menzionato il mistero prima di proseguire con il Padre nostro. Quel silenzio doveva servire per
meditare. E lui faceva così.
Nell’Ordine invece nessuna pausa di silenzio perché tutto il Rosario è meditazione e
contemplazione.

6. Giunti al termine della corona quand’ero a casa sentivo che dicevano le litanie e si concludeva
con la Salve Regina.
Nell’Ordine domenicano, che è stato l’iniziatore e grande propagatore del Rosario, niente di tutto
questo.
Non che non si recitassero le litanie. Anzi venivano cantate processionalmente in latino dopo
Compieta recandosi davanti all’altare della Madonna nel primo sabato del mese.
La Salve Regina invece veniva cantata solennemente secondo la melodia propria dell’Ordine tutte
sere al termine della Compieta.

7. Ho voluto ricordare tutto questo per mettere in evidenza la struttura essenziale del Rosario
distinguendola da tutte le altre aggiunte.
Non che le varie aggiunte siano un male, anzi.
Alcune sono ordinate a favorire la meditazione, altre la lode della santa Famiglia (“Lodato sempre
sia il SS. Nome di Gesù, di Giuseppe e di Maria”), altre il suffragio per i defunti, altre intendono
specificare un’intenzione particolare, come ad esempio l’invocazione della pace. Questo è il motivo
di tante varianti.
Ma di per sé non fanno parte del Rosario.
Quando io dico il Rosario per conto mio lo dico come l’ho imparato in noviziato senza preamboli o
conclusione e senza alcuna aggiunta tra una decina e l’altra.
In questo modo non si fa difficoltà a recitare più di una corona al giorno e anzi il Rosario intero (i
quindici misteri).

8. Per l’acquisto dell’indulgenza plenaria vi sono alcuni requisiti: deve essere recitato in un oratorio
(chiesa) o in famiglia o gruppo.
Questo per favorire la preghiera fatta in Chiesa perché evidentemente il luogo sacro agevola il
raccoglimento e per favorire la preghiera comunitaria soprattutto in casa.
Inoltre per le indulgenze è necessario aggiungere una preghiera secondo le intenzioni del Papa.
Alcuni dicono un Pater, Ave e Gloria.
Altri dicono le litanie o la Salve Regina intendendo con questo acquisire le indulgenze.
Si può fare come si vuole.
L’importante è che vi sia la struttura essenziale del Rosario con l’aggiunta di una preghiera.
Ma anche questo non fa parte del Rosario.

Ti auguro di trarre molto profitto da questa preghiera particolarmente raccomandata dal Cielo nelle
rivelazioni private approvate dalle Chiesa.
Ti benedico e ti ricordo al Signore.
Padre Angelo

9) Vorrei chiederle in che modo il carattere dell’Ordine Sacro, che è indelebile, venga
esercitato in cielo

Quesito
Gentile Padre Angelo,
nell’augurarLe un ottimo anno nuovo (2020), vorrei chiederle per coloro che in vita lo hanno
ricevuto che valore o significato avrà in Paradiso il carattere indelebile che viene conferito nei tre
gradi del Sacramento dell’Ordine.
Le chiedo infine una cortesia: preghi per me e mi ricordi nel Sacrificio Eucaristico, affinché il
Signore Nostro Dio, Uno e Trino, possa assistermi in questo 2020, che sarà un anno molto
importante per me.
Grazie sempre di tutto!

Risposta del sacerdote


Carissimo,
1. San Giovanni scrive nell’Apocalisse: “Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore.
Sì – dice lo Spirito -, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap
14,13).
In Paradiso, oltre a godere della visione beatifica che i teologi chiamano gloria essenziale, si gode di
altri beni, chiamati gloria accidentale, che consistono tra l’altro anche nel potere beneficare quelli
che sono quaggiù quasi prolungando quanti facevano di qua.

2. I vescovi nella vita presente hanno principalmente il triplice compito di dedicarsi alla preghiera e
al ministero della parola, di santificare i credenti per mezzo dei sacramenti e di governare i fedeli
loro affidati verso il Cielo.
In Paradiso non cessa la loro carità pastorale. Con i loro meriti (ecco le loro opere che li
accompagnano!) e le loro preghiere continuano ad essere intercessori in modo particolare per coloro
che Dio aveva loro affidato sulla terra.

3. I sacerdoti attraverso il carattere impresso nella loro anima sono diventati immagini vive di Gesù
buon pastore che illumina, santifica e guida i fedeli verso il Cielo.
Quando sono in Paradiso, Dio sazia il loro desiderio di vedere i fedeli santificati.
Chissà quante grazie di illuminazione, di santificazione e di correzione per la loro vita ottengono
per quelli che erano stati loro affidati.
Non dobbiamo dimenticare che Cristo ha promesso ai suoi servi che quelli troverà pronti li farà
sedere a tavola e passerà a servirli (Lc 12,37).
4. Inoltre adesso che si trovano in Paradiso comprendono meglio la grandezza e la preziosità del
loro ministero. Per cui con i loro meriti e le loro preghiere supplicano per i loro confratelli nel
sacerdozio che sono rimasti quaggiù affinché abbiano una coscienza sempre più profonda della loro
vocazione: “So di chi siamo ministri, a quale altezza ci troviamo e chi è Colui verso il quale ci
dirigiamo.
Conosco la grandezza di Dio e la debolezza dell’uomo, ma anche la sua forza.
Chi è dunque il sacerdote? È il difensore della verità, si eleva con gli angeli, glorifica con gli
arcangeli, fa salire sull’altare del cielo le vittime dei sacrifici, condivide il sacerdozio di Cristo,
riplasma la creatura, restaura in essa l’immagine di Dio, la ricrea per il mondo di lassù, e, per dire
ciò che vi è di più sublime, è divinizzato e divinizza” (San Giovanni Crisostomo, Orationes 2,73).

5. Ai diaconi vengono imposte le mani “non per il sacerdozio, ma per il servizio”.


Il loro servizio è triplice: servono all’altare, si dedicano al ministero della parola e all’esercizio della
carità.
Come di qua il diacono in forza della sua ordinazione è tenuto a conformarsi sempre di più a Cristo
servitore così dal Paradiso continua a servire in  particolare la sua Chiesa suscitando in tutti i
medesimi sentimenti di servizio.

6. Questa preziosità del ministero che i nostri Vescovi, i nostri sacerdoti e i nostri diaconi esercitano
dal Paradiso andrebbe maggiormente messa a disposizione di tutti.
Il Concilio Vaticano II ricorda il legame fruttuoso fra il Cielo e la terra: “A causa infatti della loro
più intima unione con Cristo, gli abitanti del cielo rinsaldano tutta la Chiesa nella santità, nobilitano
il culto che essa rende a Dio qui in terra e in molteplici maniere contribuiscono ad una più ampia
edificazione (cfr. 1 Cor 12,12-27).
Ammessi nella patria e presenti al Signore (cfr. 2 Cor 5,8), per mezzo di lui, con lui e in lui non
cessano di intercedere per noi presso il Padre offrendo i meriti acquistati in terra mediante Gesù
Cristo, unico mediatore tra Dio e gli uomini (cfr. 1 Tm 2,5), servendo al Signore in ogni cosa e
dando compimento nella loro carne a ciò che manca alle tribolazioni di Cristo a vantaggio del suo
corpo che è la Chiesa (cfr. Col 1,24).
La nostra debolezza quindi è molto aiutata dalla loro fraterna sollecitudine” (Lumen gentium 49).

7. E ancora: “La Chiesa di coloro che camminano sulla terra, riconoscendo benissimo questa
comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana
coltivò con grande pietà la memoria dei defunti e, «poiché santo e salutare è il pensiero di pregare
per i defunti perché siano assolti dai peccati», ha offerto per loro anche suffragi.
Che gli apostoli e i martiri di Cristo, i quali con l’effusione del loro sangue diedero la suprema
testimonianza della fede e della carità, siano con noi strettamente uniti in Cristo, la Chiesa lo ha
sempre creduto; li ha venerati con particolare affetto insieme con la beata vergine Maria e i santi
angeli e ha piamente implorato il soccorso della loro intercessione.
A questi in breve se ne aggiunsero anche altri, che avevano più da vicino imitata la verginità e la
povertà di Cristo e infine altri, il cui singolare esercizio delle virtù cristiane e le grazie insigni di
Dio raccomandavano alla pia devozione e imitazione dei fedeli” (Lumen gentium 50).

Ti ringrazio di aver attirato l’attenzione sul contributo prezioso che i ministri ordinati svolgono dal
Cielo.
A questo loro ministero dovremmo ricorrere di più.
A te assicuro la mia preghiera, soprattutto nella celebrazione del Santo Sacrificio.
Ti auguro ogni bene e ti benedico.
Padre Angelo
10) Vorrei chiederLe il significato di due proposizioni, relative al precetto dell’amore per il
prossimo, che sono state condannate in un decreto del Sant’Uffizio

Quesito
Caro Padre Angelo,
vorrei chiederLe il significato di due proposizioni, relative al precetto dell’amore per il prossimo,
che sono state condannate in un decreto del S. Uffizio sotto Innocenzo XI nel 1679, e che penso
appartengano quindi al Magistero della Chiesa. Esse dicono:
Non tenemur proximum diligere actu interno et formali (non siamo obbligati ad amare il prossimo
con atto interno e formale);
Praecepto proximum diligendi satisfacere possumus per solos actus externos (possiamo soddisfare il
precetto di amare il prossimo attraverso i soli atti esterni).
Ora, è evidente che non basta compiere l’opera esterna di amore per il prossimo, come sarebbe il
caso di una persona che fa un elemosina, ma in cuor suo odia la persona a cui dà l’elemosina.
Tuttavia vorrei sapere se queste due proposizioni condannate (e specialmente la prima, dove si parla
di “atto interno e formale”) implicano che, per adempiere il comandamento dell’amore del
prossimo, siamo tenuti periodicamente anche a formulare dentro di noi un atto esplicito di amore
per il prossimo (ad esempio l’atto di carità, dove diciamo espressamente: “… e, per amor tuo, amo
il mio prossimo come me stesso”).
Oppure è sufficiente che la volontà di amare il prossimo sia compresa implicitamente nell’atto di
dolore che uno fa quando si confessa?
La ringrazio fin d’ora per la risposta che vorrà darmi e Le auguro un santo tempo di Natale (2019).
Cordialmente,
Davide

Risposta del sacerdote


Caro Davide,
1. mi spiace per il ritardo con cui ti rispondo e te ne domando scusa.

2. Con le condanne che mi hai indicato il magistero ricordava che il nostro amore per il prossimo
deve prendere tutta la nostra vita, anima e corpo, vita interiore e vita esteriore.

3. Per amore interno s’intende dire che deve partire dalla volontà. Diversamente quest’amore non ci
renderebbe buoni.
Per amore formale s’intende che dev’essere un vero atto di amore: perché sia vero non è necessario
dirlo con le parole.
È vero anche se è implicito nei fatti.
Pertanto la dichiarazione del Magistero non vuole indurre a nessun forma di scrupolo.
Sicché se di fatto soccorriamo il prossimo nelle sue necessità e siamo contenti di farlo dobbiamo
riconoscere che ci troviamo di fronte ad un atto interno ed esterno di amore per il prossimo, anche
se non si è detto interiormente: intendo amare il prossimo.

4. Una cosa analoga è richiesta per chi celebra i sacramenti: si richiede che abbia
un’intenzione formale (secondo il significati teologico di questa parola), e cioè specifica.
I teologi moralisti precisano che è sufficiente un’intenzione formale (specifica) che è implicita
nell’atto stesso di vestire i paramenti e di andare in presbiterio per celebrare la Messa.
In altre parole si richiede di essere consapevoli di ciò che si fa, e cioè di intendere e di volere .

5. In passato i sacerdoti erano esortati a recitare la formula “Voglio celebrare la Messa e consacrare
il Corpo e il Sangue del Signore secondo il rito della Santa Romana Chiesa, a lode e gloria di Dio e
di tutta la Chiesa celeste, per l’utilità mia e di tutta la Chiesa militante, per tutti quelli che si sono
raccomandati alle mie preghiere in generale e in particolare e per il felice stato della Santa Romana
Chiesa”.
Ma la Messa era valida anche se non pronunciavano tali parole.
Piuttosto era invalida se anche con atto interiore avessero detto: “Non intendo celebrare la Messa e
non intendo consacrare” pur vestendosi per la celebrazione e andando all’altare. In tal caso
avrebbero finto di celebrare.

6. Mi chiedi se le parole dell’atto di dolore contengano implicitamente la volontà di amare il


prossimo.
Sì, certamente. Ma per evitare ogni forma di scrupolo è più importante e più evidente mostrarlo con
i fatti che dirlo anche solo interiormente.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.


Padre Angelo

11) Oggi l’urologo mi ha prescritto delle cure antibiotiche, però con delle precisazioni che mi
hanno turbato

Quesito
Mi chiamo C.,
ho intrapreso un percorso di fede circa un anno fa.
Cerco Dio nel quotidiano. Ho una famiglia bellissima, con 3 figli, e una moglie che mi ama.
Due anni fa mi hanno riscontrato una prostatite acuta, e con diverse cure antibiotiche non è guarita.
In questo anno ho lottato molto per far comprendere a mia moglie quanto sia importante l’amore
come atto sessuale secondo Dio. Di fare l’amore nei giorni non fecondi, qualora non si volesse altri
figli, ma di essere pronti però in tal caso alla vita.
Ma oggi l’urologo mi ha prescritto delle cure antibiotiche, però con delle precisazioni. Cioè di fare
l’amore protetto minimo 2 volte a settimana oppure masturbarmi spesso per eiaculare e far sì che il
liquido seminale si ricambi spesso.
Perché la malattia è detta da rimbalzo. Cioè lei contagia me, io contagio lei.
E così facendo si crea un circuito inguaribile.
Mi chiedo se potesse aiutarmi a dare una risposta.
Grazie.

Risposta del sacerdote


Carissimo,
1. andando a vedere in google e anche consultando medici su come curare la prostatite acuta non
trovo nessuna indicazione di quelle del genere indicato dal tuo urologo.
Il tuo medico, con le precisazioni che ti ha dato, mostra di avere un senso molto basso della persona
perché non si può usare della propria moglie come un mezzo per eiaculare.
L’intimità coniugale deve essere un vero atto di amore, di donazione di sé.

2. Inoltre dobbiamo essere convinti che il Signore non chiede mai di profanare il nostro corpo o
quello altrui per curare la salute.
“L’amore protetto” non è un vero atto di donazione di sé.
Dinanzi ad indicazioni come quelle del tuo urologo bisogna cercare vere alternative nel rispetto di
se stessi e degli altri.
3. Infine desidero ricordare che solo ciò che è buono è anche utile sotto il profilo morale.
E vale anche il contrario: che ciò che non è buono sotto il profilo morale non è infine neanche utile,
ma può essere dannoso.

4. Un esempio per tutti: la pillola contraccettiva è certamente un male sotto il profilo morale perché
altera il significato della sessualità e deforma il progetto santificante di Dio sull’amore umano e sul
matrimonio.
A meno che non sia assunta per motivi di forza maggiore come nel caso di una finalità terapeutica
sfido chiunque a dire che sia utile all’organismo come bere un bicchiere d’acqua.

5. Io non sono medico. Ma quando studiavo filosofia nelle scuole domenicane ci veniva insegnato
che i trascendentali, che sono proprietà inseparabili dall’essere e sono cinque (unum, aliquid,
verum, bonum et pulcrum: uno, altro, vero, buono e bello), fra di loro si convertono.
Sicché ciò che è buono anche è anche bello, vero…
Lo stesso discorso vale anche per ciò che è bene o buono, che a sua volta può essere un bene utile,
un bene morale, un bene dilettevole.
Solo ciò che è bene sotto il profilo morale è anche bene sotto il profilo dell’utilità e del ben vivere.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.


Padre Angelo

12) È corretto chiamare Gesù col nome di Padre dal momento che le tre Persone sono l’unico
Dio?

Quesito
Salve P. Angelo,
mi complimento con lei per il lavoro che sta facendo.
Ecco, passo alla domanda. Non mi è ben chiaro il concetto di Trinità; cioè so che cosa significa (la
Trinità sono le tre Persone di Dio, ma al tempo stesso sono la stessa Persona). Quindi mi viene da
pensare che Padre, Figlio e Spirito Santo siano la stessa identica cosa.
Dunque se chiamo Gesú Padre non dovrebbe essere sbagliato, tuttavia l’espressione “Padre Gesù”
non l’ho mai sentita, al massimo “Signore Gesù”. Infatti esposi questo mio dubbio al mio prof di
religione e lui mi disse che è scorretto chiamare Gesù Padre, perché lui in realtà è Figlio. Però il
Figlio è anche Padre…
Vabbè, ovviamente la Trinità non può essere compresa dalla mente umana. Quello che mi premeva
era sapere se anche secondo lei fosse scorretto chiamare Gesù “Padre”.
La ringrazio e che Dio la benedica.

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. scrivi: “la Trinità sono le tre Persone di Dio, ma al tempo stesso sono la stessa Persona”.
Ebbene, che la Trinità siano le tre Perone divine va bene.
Ma è sbagliato dire che sono la stessa Persona.
Forse volevi dire che sono l’unico Dio.
2. Essere tre Persone ed essere una persona sola è contraddittorio.
Mentre non è contraddittorio affermare che l’unico Dio (i teologi direbbero “l’unica sostanza
divina”) sussiste in tre Persone.

3. Questo è anche quanto professa la Chiesa nel Prefazio della Messa della SS. Trinità: “Con il tuo
unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio, un solo Signore, non nell’unità di una sola
persona, ma nella Trinità di una sola sostanza”.

4. Invece è vero quanto dici subito dopo: “Quindi mi viene da pensare che Padre, Figlio e Spirito
Santo siano la stessa identica cosa”, se per “stessa identica cosa” intendi la sostanza divina, l’unico
Dio.

5. Chiedi infine se sia corretto chiamare Gesù con nome di Padre.


Sebbene tutto ciò che vi è in una Persona divina ci sia anche nelle altre (il Figlio infatti è la
conoscenza di Dio ed è grande quanto è grande Dio stesso e lo Spirito Santo è l’amore di Dio che si
dona e tale dono, tale amore, è grande quanto è grande Dio) tuttavia le tre Persone sono fra loro
distinte (non separate) perché Padre è Colui da cui tutto procede, il Figlio è la conoscenza che
procede dal Padre e lo Spirito Santo è l’Amore che procede da Padre e dal Figlio.

6. Pertanto non è corretto chiamare Gesù con il nome di Padre, sebbene tutto quello che c’è nel
Padre ci sia anche nel Figlio e sebbene la Persona divina del Figlio sia sempre congiunta con il
Padre e con lo Spirito Santo e con Essi sia l’unico Dio.
Gesù infatti è il Figlio che si è fatto uomo. Assieme alla natura divina, in Gesù c’è anche la natura
umana.
Mentre nel Padre c’è solo la natura divina.

7. Si potrebbe obiettare: “Ma Gesù nel Vangelo chiama i suoi anche con il
termine Figlioli (“Figlioli, ancora per poco sono con voi” Gv 13,33) dunque è anche Padre…”.
Qui Gesù chiama i suoi “Figlioli” per esprimere l’intensità dell’affetto che ha per noi e nello stesso
tempo per ricordare che è Lui che ci ha meritato il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12) per
adozione.

8. Non intende dire invece che sia la stessa cosa che il Padre celeste, sebbene con questi sia sempre
perfettamente unito e tutto ciò che è nell’uno sia anche nell’altro.
Quando Gesù si rivolge al Padre come ad esempio quando dice “Ti rendo lode, Padre, Signore del
cielo e della terra, perché hai nascosto….” (Mt 11,25) e anche “Abbà! Padre! Tutto è possibile a te:
allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu»” (Mc
14,36) distingue il suo Io divino dal Tu divino del Padre.

9. In conclusione non ci si può rivolgere a Cristo chiamandolo Padre celeste perché le due Persone
divine, sebbene siano l’unico Dio con lo Spirito Santo, sono fra loro distinte.

Ti ringrazio per il quesito che aiuta tutti ad essere più precisi nel nostro vocabolario e nella
conoscenza del Mistero di Dio.
Ti auguro ogni bene, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo
13) Ecco come un giovane nostro visitatore interpreta un’affermazione un pò difficile del
Vangelo (Mt 16,28)

Quesito

Gentile padre Angelo,


Mi chiamo Pietro e sono un giovane cattolico che si è imbattuto in questo meraviglioso sito mentre
"vagava" in cerca di approfondimenti su argomenti teologici, (ritengo di dovere ai miei studi
classici il mio bisogno di approfondire).
Colgo innanzitutto l’occasione di dirLe quanto apprezzi le risposte che dà a quanti Le scrivono e
quanto esse mi siano state utili nel comprendere aspetti della nostra Fede che mi erano ancora
oscuri. Per questi motivi La ricordo in Preghiera con grande affetto e gratitudine, e prego Nostro
Signore che dia sempre la forza a Lei e a uomini come Lei di essere vicini, con la vostra
autorevolezza, ad un popolo cristiano sempre più confuso dagli attacchi di un mondo sempre più
lontano dalla Verità.
Vengo ora alla mia domanda: come altri che Le hanno scritto, anch’io mi sono trovato un pò in
difficoltà davanti ai passi del Vangelo in cui Nostro Signore sembra dichiarare la sua venuta ultima
come imminente alla generazione degli Apostoli.
Passi come: "In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non moriranno, prima di aver visto
venire il Figlio dell’uomo con il suo regno" (Matteo 16,28).
Oppure nel discorso escatologico quando afferma che "non passerà questa generazione prima che
ciò sia avvenuto".
Ho letto nelle sue risposte e nelle note pastorali che gli esegeti collegano queste espressioni alla
rovina di Gerusalemme, altri alla Trasfigurazione e altri ancora alla Resurrezione.
Io non nego la ragionevolezza di queste interpretazioni, tuttavia non riesco a non vedere in esse una
certa forzatura.
Personalmente ho elaborato un’altra interpretazione e sono qui a chiederLe cosa ne pensa, visto che
io non sono né un sacerdote né un teologo.
Io sono partito dalla considerazione che il Vangelo è parola viva, non è un libro datato, e dunque
quando andiamo in chiesa e ascoltiamo le Letture non ascoltiamo la lettura di qualcosa che è stato
detto 2000 anni fa, ma ascoltiamo qualcosa che viene detto adesso. In altre parole noi ci facciamo
presenti agli insegnamenti di Gesù!
Quindi, quando Egli affermava che alcuni dei presenti non sarebbero morti prima di aver veduto la
sua venuta, non si stava rivolgendo solamente a coloro che sono stati storicamente presenti a quelle
parole, ma anche a tutti coloro che sarebbero stati presenti a quelle parole, di conseguenza anche
Lei ed io siamo inclusi fra quei "qui presenti", così come saranno inclusi gli uomini che verranno
dopo di noi, e in fine saranno inclusi anche gli uomini che vivranno negli ultimi tempi e
assisteranno alla sua venuta, fosse anche tra un milione di anni.
In fondo Egli stesso, in Marco 13, comanda ai suoi discepoli di vegliare e precisa: "Quello che dico
a voi lo dico a tutti".
Il punto, per me, è che la Sua parola non passa, il suo presente non diviene mai passato! Egli è il
Signore del tempo e lo trascende, Egli è prima che Abramo fosse!
In fondo è lo stesso Miracolo, dinnanzi al quale la nostra ragione non può che inchinarsi, che noi
crediamo avvenga ogni volta che partecipiamo alla S. Messa e in essa incontriamo il Signore
presente e vivo nell’Eucarestia, poiché nella Messa tutta la Sua vita si fa presente in termini che
potremmo definire ex-temporali.
Mi sento anche di aggiungere che, interpretate in questo modo, queste parole hanno una potenza
enorme perchè in esse Egli sta dicendo anche a me e a Lei che potremmo non morire prima della
sua venuta, come del resto ricorda anche San Paolo nelle sue lettere. Invece sembrano, con tutto il
rispetto, parole alquanto inutili se si vede in esse una "mera" profezia per gli uomini di quella
generazione. Certo ci sono dei passi che riguardano il passato, come la previsione della caduta di
Gerusalemme, ma io credo che occorra essere cauti prima di vincolare le parole di Nostro Signore
al solo contesto storico (che pur va tenuto presente per comprendere determinate modalità
espressive): non ci riguarderebbero più, o comunque non così da vicino, perderebbero la loro
universalità e la loro ex-temporalità riducendosi a testo storico e datato.
Concludo dicendo che a questa possibile interpretazione sembra aprirsi anche la nota presente nella
mia Bibbia CEI che, al "non passerà questa generazione…", annota così: Si tratta della distruzione
di Gerusalemme, della speranza della venuta finale come imminente (secondo quanto desiderava la
Chiesa delle origini) o della continua attesa di tutte le generazioni?
Lei cosa ne pensa di questa interpretazione?
In attesa di una sua gentile risposta La saluto cordialmente e Le prometto un ricordo nelle mie
Preghiere.
Pietro

Risposta del sacerdote

Caro Pietro,
1. mi compiaccio per le varie affermazioni di notevole importanza che hai fatto.
Innanzitutto questa: “il Vangelo è parola viva, non è un libro datato”.
È il Signore che ci parla: “ascoltiamo qualcosa che viene detto adesso”.

2. Tu sottolinei: “non ascoltiamo la lettura di qualcosa che è stato detto 2000 anni fa”.
Io preciserei: “non ascoltiamo semplicemente la lettura di qualcosa che è stato detto 2000 anni fa”.
Perché in realtà furono dette come attuali 2000 anni fa e sono state dette come le più attuali in ogni
istante di questi 2000 anni e lo saranno fino alla consumazione dei secoli.

3. Scrivi: “Il punto, per me, è che la Sua parola non passa, il suo presente non diviene mai passato!
Egli è il Signore del tempo e lo trascende, Egli è prima che Abramo fosse!”.
È verissimo anche questo: il suo presente non diviene mai passato!
Non già perché non si sia già realizzato in coloro che ci hanno preceduto ma perché continua a
realizzarsi e non finisce mai di realizzarsi in ogni momento e in ogni luogo.

4. “In fondo è lo stesso Miracolo”.


Sì, Gesù è lo stesso Miracolo perché è l’Eterno che è entrato nel tempo.
E continua ad essere l’Eterno entrato nel tempo.

5. “Nella Messa tutta la Sua vita si fa presente in termini che potremmo definire ex-temporali”.
Sì, in termini ex-temporali perché trascendono il tempo.
Proprio per questo viene consegnata tutta a tutti.

6. Venendo adesso all’interpretazione del versetto citato mi pare di poter dire che è accettabile. Tra
quelli che sono presenti a Cristo ci sono anche gli uomini che vivranno l’ultima ora della storia.
Tra questi te, io e i nostri visitatori.

7. È un’interpretazione che può aggiungersi alle altre presentate nella mia risposta.
E così anche tu sei quello scriba di cui parla il Signore quando dice: “Per questo ogni scriba,
divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose
nuove e cose antiche” (Mt 13,52).

Ti auguro di progredire sempre così.


Accompagno volentieri quest’augurio con il ricordo nella preghiera.
Ti benedico.
Padre Angelo
14) Secondo un nostro visitatore se una persona nasce in una famiglia di criminali e diventa
lui stesso criminale, la colpa sarebbe di Dio che gli ha donato l’anima

Quesito

Buongiorno,
Avrei da farle una domanda.
Lei scrive che Dio crea personalmente l’anima, pertanto è responsabilità di Dio della scelta dove
questa va a finire. Mi spiego meglio. Se una persona nasce in una famiglia di violenti, depravati,
ignoranti, stupratori, madri surrogate, ecc, Dio ne è responsabile perché sa in che condizioni fa
nascere una persona.
Inoltre se questa persona a causa delle violenze, traumi e ambiente in cui è cresciuto diventa esso
stesso uno di loro, è giustificato sino ad una certa età agli occhi di Dio, perché lui ne è stato la
concausa.
Quindi la domanda è, perché Dio permette queste nascite?
Attendo sua risposta.
La ringrazio.

Risposta del sacerdote

Carissimo,
1. Non si può negare che vi siano influssi culturali e storici che possono influenzare negativamente
la vita morale di una persona, come ad esempio le ideologie e le propagande che incitano alla
violenza e il rifiuto di chi la pensa diversamente, il relativismo morale chiuso alla trascendenza per
cui sarebbe il singolo a decidere ciò che è bene ciò che è male, le strutture di peccato che
costringono a vivere in un clima di immoralità generalizzata.

2. Giovanni Paolo II in Veritatis splendor non nega che vi siano condizionamenti di ordine


psicologico e sociale che possono pesare sull’esercizio della libertà umana (cfr VS 33).
In Reconciliatio et Paenitentia ricorda “gli innegabili condizionamenti e gli influssi ambientali e
storici che agiscono sull’uomo” (RP 18).
Ma dopo aver affermato che “l’uomo può essere condizionato da non pochi né lievi fattori esterni
ed interni” ricorda che “è una verità di fede, confermata anche dalla nostra esperienza e ragione,
che la persona umana è libera.
Non si può ignorare questa verità, per scaricare su realtà esterne – le strutture, i sistemi, gli altri – il
peccato dei singoli. Oltre tutto, sarebbe questo un cancellare la dignità e la libertà della persona, che
si rivelano – sia pure negativamente e disastrosamente – anche in tale responsabilità per il peccato
commesso. Perciò in ogni uomo non c’è nulla di tanto personale e intrasferibile quanto il merito
della virtù o la responsabilità della colpa” (RP 16).

3. La Sacra Scrittura rifiuta le scuse fatalistiche che gli uomini portano per scusare la loro cattiva
condotta: “Non dire: È il Signore che mi fa peccare, perché egli non fa ciò che ha in orrore… Se tu
vuoi, osserverai i comandamenti: il restare fedele è in tuo potere”(Sir 15,11).
Così pure: “Nessuno, quando è tentato, dica: “Sono tentato da Dio”, perché Dio non può essere
tentato dal male e non tenta nessuno al male.
Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce” (Gc 1,13-14).

4. Pertanto si può diventare santi anche se si proviene da genitori criminali.


Dio dà ad ogni persona un’arma onnipotente: la libertà.
A motivo della libertà si può diventare criminali pur provenendo da genitori santi.
E inversamente si può diventare santi pur provenendo da genitori criminali.
Inoltre, in aiuto alla libertà Dio dona anche gli aiuti soprannaturali della grazia.
5. Se in alcuni casi la responsabilità del singolo può addirittura essere molto diminuita o addirittura
azzerata, la colpa evidentemente non è di Dio, ma degli uomini che li hanno generati (qui Dio è
stato quasi costretto a creare l’anima a motivo del concepimento attuato dai genitori) o male
educati. Oppure di coloro che hanno creato o mantenuto strutture inique.

Ti auguro ogni bene, ti benedico e ti ricordo nella preghiera.


Padre Angelo

15) Se nel libro dei Proverbi è scritto che la Sapienza è stata creata come può essere Dio?

Quesito
Buongiorno don Angelo,
le scrivo perchè vorrei chiarire una difficile questione.
I cristiani hanno fin dai tempi antichi identificato Cristo con la Sapienza.
Però questa identificazione di Cristo con la Sapienza porta a credere Cristo una creatura e non Dio.
Infatti nel libro dei Proverbi è scritto che la Sapienza è stata creata (Proverbi 8,22: il Signore mi ha
creato prima del suo operare) ed anche nel libro del Siracide si dice che la Sapienza è stata creata
(Siracide 24,9 : Egli mi ha creato…).
Se interpretiamo Cristo come la Sapienza allora Cristo è stato creato ed è sottomesso a Dio e non è
Dio.
Può chiarire questa identificazione di Cristo con la Sapienza? Come possiamo vedere Cristo
increato e definirlo Sapienza?
La ringrazio
Marco

Risposta del sacerdote


Caro Marco,
1. il v. 22 del capitolo 8° dei Proverbi dice: “Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all’origine”.
E nel v. 23 precisa: “Dall’eternità sono stata formata, fin dal principio, dagli inizi della terra”
Poi va avanti con un incedere grandioso che presenta la Sapienza come una persona con la quale
Dio fa ogni cosa: “Egli fissava i cieli, io ero là; quando tracciava un cerchio sull’abisso, quando
condensava le nubi in alto, quando fissava le sorgenti dell’abisso, quando stabiliva al mare i suoi
limiti, così che le acque non ne oltrepassassero i confini, quando disponeva le fondamenta della
terra, io ero con lui come artefice” (Prv 8,27-30).

2. Il prologo del Vangelo di Giovanni dice bene chi sia questa persona che collaborava con Dio
nell’essere artefice di tutte le cose:
“In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto
di ciò che esiste” (Gv 1,1-3).
Verbo di Dio o sapienza di Dio sono la stessa cosa.

3. Come vedi, nulla porta a pensare che la Sapienza di cui si parla nella Sacra Scrittura sia una
creatura.

4. In riferimento a Prv 8,23 ecco che cosa scrive il noto biblista padre Vaccari: “L’elogio della
sapienza qui giunge all’apice e tocca il sublime.
Dio medesimo si servì della Sapienza per architettare questo meraviglioso universo, incantevole per
la moltitudine, varietà e bellezza delle creature che lo adornano e per l’armonioso ordine che vi
regna.
Il saggio in questa sublime ode amplifica ed approfondisce il pensiero brevemente schizzato Prv in
3,19-20 (“Con la sapienza il Signore ha fondato la terra, ha consolidato i cieli con intelligenza; con
la sua scienza si aprirono gli abissi e le nubi stillano rugiada”), ma ci presenta la Sapienza in una
concezione del tutto nuova ed ardita.
Essa non è per lui un’astrazione, è un essere concreto, vivente e operante accanto a Dio. Ma non è
una creatura, è un essere divino, poiché esisteva prima che Dio nulla creasse (22-26), e concorse
alla creazione di ogni cosa (27-30).
Si direbbe un attributo essenziale di Dio; ma viene personificata con sì forte rilievo che da questa
descrizione a distinguere più persone in Dio non c’era che un passo.
Il passo fu varcato quando la Sapienza Divina s’incarnò in Gesù Cristo” (cfr. G. Girotti, Commento
a Prv 8,23).

5. Circa Sir 24,9: “Egli mi ha creato…” vale il medesimo discorso di Prv 8,23 ove si dice
“Dall’eternità sono stata costituita”.
Pertanto gli Ariani, i quali affermano che il Figlio (la Sapienza) è la prima creatura di Dio, non
possono appoggiarsi a questi testi perché questa Sapienza è prima di tutte le cose create: “Quando
non esistevano gli abissi, io fui generata, quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti, prima delle colline, io fui generata, quando ancora non
aveva fatto la terra e i campi né le prime zolle del mondo” (Prv 8,24-26).

Ti benedico e ti ricordo al Signore.


Padre Angelo

16) Tre domande di un visitatore in lingua inglese sul metodo yoga, su un abuso liturgico e
sulla confessione frequente

Quesito
Buona sera, spero che stiate bene.
Ecco di seguito una serie di domande cui spero che il padre (Angelo n.d.r.) possa dare una risposta.

1. Può un cattolico praticare lo yoga come esercizio fisico, o per ragioni di salute mentale, sempre
ché rispetti dei limiti, come quelli spirituali? Ho letto che da qualche parte è scritto, ma non ricordo
dove, che praticare le “posizioni” dello yoga non significa entrare nell’essenza dello yoga, ma mi
piacerebbe conoscere l’opinione del padre al riguardo.

2. Una volta, durante la Santa Comunione, il nostro parroco aveva finito le ostie consacrate, perché
quel giorno c’erano molti partecipanti alla Messa. Allora prese delle ostie non ancora consacrate e le
bagnò nel Sangue consacrato di Cristo all’interno del calice, per la Comunione. Vorrei sapere se
questa è la procedura alternativa formale e/o se il prete ha fatto la cosa giusta?

3. Si dice che la confessione una volta al mese sia una buona abitudine di confessarsi. Sono curioso:
che faccio se mi sento di non avere nulla da confessare, ogni mese? Mi sembra che la confessione
mensile non sia adatta per me, ma vorrei essere più sicuro. Ho paura di usare la confessione mensile
come scusa in realtà per calmare l’ansia, anziché promuovere la fiducia nella Misericordia di Dio.

Spero ardentemente in una sua pronta risposta. La ringrazio fin d’ora.


Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. lo yoga è una disciplina orientale che ha come obiettivo la liberazione dal samsãra, cioè dalla
necessità di rinascere a una nuova esistenza, segnata dal dolore e dalla transitorietà.
È una disciplina costituita da otto tappe, la terza delle quali è quella alla quale tu accenni e che
consiste nell’assumere modi di sedere che favoriscono la «meditazione»: devono essere «stabili»,
cioè immobili, «gradevoli» e quindi facili a prolungarsi, e «adatti» alla concentrazione.
La posizione migliore è quella del «fior di loto», che consiste nel mettere il piede destro sulla coscia
sinistra e il piede sinistro sulla coscia destra con le piante dei piedi rivolte verso l’alto, nel tenere le
mani sulle ginocchia con le palme rivolte verso l’alto o verso il basso, il capo, il collo e il torso ben
diritti e in rettilineo, gli occhi chiusi oppure concentrati su un punto, per esempio, sulla punta del
naso. Si deve evitare ogni sforzo violento: perciò, si dovrà scegliere la posizione in cui si potrà
restare a lungo senza eccessiva fatica.

2. Tale disciplina va fatta non da soli ma sotto la guida di un guru e cioè di un maestro sperimentato
perché non si può apprendere dai libri, ma dall’esperienza e solo una guida sperimentata può dire
quali pratiche di yoga siano adatte.
Molti occidentali pensano che lo yoga consista semplicemente in una serie di esercizi fisici e di
posizioni del corpo che danno un senso di benessere, di calma interiore e di armonia e giovano a
mantenere il corpo giovane e in perfetta salute.
Ma non è così. Le varie tappe sono ordinate ad un obiettivo ben preciso che quello di creare il vuoto
mentale assoluto.
Sotto quest’aspetto è tutto l’opposto del cristianesimo il quale comunica la pace non svuotando la
mente, ma riempiendola con la presenza di Dio e del paradiso.
Inoltre se lo yoga pretende di portare l’uomo alla perfezione mediante l’uso di tecniche,
nell’esperienza cristiana – pur nella doverosa cooperazione con la grazia di Dio per la necessaria
purificazione – ci si sente invece passivi nei confronti del Cielo che riversa nei nostri cuori la sua
presenza e la sua pienezza.

3. Alcuni distinguono tra il metodo yoga e l’obiettivo.


Tralasciano l’obiettivo perché è l’opposto del Vangelo ma ne prendono solo il metodo.
Ma anche qui i pericoli cui si va incontro sono molti perché è facile mettere tutta la propria
attenzione nel praticare correttamente le varie indicazioni e trascurare il colloquio con Dio.
Così facendo, le tecniche diventano come un fine da perseguire e cessano di essere un semplice
mezzo per una preghiera più profonda.
C’è poi il pericolo di ripiegarsi su se stessi, sulla propria persona, sul proprio corpo e si ritiene che
la buona esecuzione degli esercizi equivalga ad essere cresciuti nello spirito di preghiera.
Facilmente si confondono i risultati di maggiore tranquillità interiore e di più profonda
concentrazione e raccoglimento con gli effetti soprannaturali di santificazione che la preghiera
produce nel cristiano, che normalmente non sono sperimentabili.
Si crede di pregare meglio perché si controllano i propri pensieri e i propri sensi e perciò si è meno
distratti.

4. La qualità della preghiera cristiana invece non dipende dalla concentrazione e neanche dalla
mancanza di distrazioni, ma dalla fede e dall’amore.
Essa non perde valore merito perché è soggetta a distrazioni.
È interessante a questo proposito ciò che insegna San Tommaso: “Per conseguire questo effetto (il
valore, il merito) non si richiede che l’attenzione accompagni assolutamente la preghiera in tutta la
sua durata.
Come avviene in tutte le altre azioni meritorie, è sufficiente la virtualità della prima intenzione con
la quale uno inizia la preghiera” (San Tommaso, Somma Teologica, II-II, 83, 13).
5. Pertanto anche nell’accogliere la sola tecnica, sganciandola dall’obiettivo del samsara,  è
necessaria molta cautela.
In particolare non si deve dimenticare che la grazia di Dio conferita ordinariamente nei sacramenti
comunica una serenità e una pace di ordine soprannaturale, perché sono infuse da Dio nell’anima.
Si pensi a quanto avviene nell’Eucaristia a proposito della quale San Tommaso scrive: “Per la
potenza di questo sacramento, l’anima si ristora per il fatto che è spiritualmente gaia e, in un certo
modo, inebriata dalla dolcezza della bontà divina, secondo quanto è detto nel Cantico
(5,1): Mangiate, amici, bevete; inebriatevi d’amore” (Somma teologica, III, 79, 1, ad 2).
E si pensi anche a ciò che viene comunicato nella Confessione sacramentale. Il Catechismo della
Chiesa Cattolica dice che “in coloro che ricevono il sacramento della Penitenza con cuore contrito e
in una disposizione religiosa, ne conseguono la pace e la serenità della coscienza insieme a una
vivissima consolazione dello spirito” (CCC 1468).

6. A proposito della seconda domanda va detto chiaramente che tale procedura non solo non è
prevista, ma è proibita.
L’Istruzione Redemptionis sacramentum dice: “Non si permetta al comunicando di intingere da sé
l’ostia nel calice, né di ricevere in mano l’ostia intinta. Quanto all’ostia da intingere, essa sia fatta di
materia valida e sia consacrata, escludendo del tutto l’uso di pane non consacrato o di altra
materia” (n. 104).
Il metodo usato, oltre all’irriverenza nei confronti del Sangue del Signore, espone i fedeli ad
idolatria, dal momento che non è distinguibile la materia consacrata da quella non consacrata.
Sarebbe stato più corretto che il sacerdote avesse proposto di fare la comunione spirituale.

7. Circa la frequenza della confessione va fatta una distinzione tra il peccato grave e il peccato
veniale.
Nel primo caso la confessione mensile è il minimo che si possa fare perché diversamente si rimane
privi della comunione con Dio e della sua grazia e anche perché le opere buone compiute non sono
meritorie per la vita eterna.
I peccati veniali invece possono essere rimessi anche fuori del sacramento della riconciliazione o
penitenza, come ad esempio con la preghiera, con gli atti di carità, con l’elemosina.
Tuttavia anche nella confessione dei soli peccati veniali viene comunicata la grazia sacramentale
che dona una forza e una freschezza tutta particolare.

8. Di materia da portare in confessione anche solo con i peccati veniali ce n’è sempre molta. È
sufficiente pensare a quello che la Chiesa ci invita a compiere all’inizio della celebrazione
eucaristica quando chiede a tutti di pentirsi per i peccati commessi in pensieri, parole, opere
e omissioni.
Se Sant’Ambrogio, che è stato indubbiamente un grande santo, si pentiva perché non riusciva a
tenere ben custodita né la mente né la lingua, che cosa non dovremmo dire noi?
Non si tratta pertanto di calmare l’ansia perché a questa neanche ci si pensa, a meno che uno non sia
scrupoloso.
Si tratta piuttosto di andare ad attingere ad una sorgente di grazia e anche ad una sorgente di
benedizione, perché il Padre in ogni confessione ci colma di beni nel medesimo modo in cui il padre
del figlio al prodigo accolto suo figlio.
C’ sempre un grande guadagno fa fare.

Ti auguro ogni bene, ti ricordo nella preghiera e ti benedico.


Padre Angelo
17) Volevo chiedere se il crocifisso sia un sacramentale; se lo siano anche lo scapolare, la
corona del Rosario, la medaglia miracolosa…

Quesito
Salve padre,
le volevo chiedere una cosa…
(omissis, n.d.r.)
Poi volevo chiedere un’altra cosa: il crocifisso è un sacramentale? O sacramentali sono scapolare,
medaglia di san Benedetto, medaglia miracolosa?

Risposta del sacerdote


Carissima,
1. in un primo momento nella storia della Chiesa erano considerati sacramentali tutti quei riti che
accompagnano la celebrazione del sacramento, ma non ne costituiscono l’essenza.
Per il Battesimo – ad esempio – la sua essenza consiste nel versare l’acqua sul capo del battezzando
proferendo le parole: “Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Sono sacramentali invece le varie unzioni che vengono compiute sul battezzando, l’esorcismo, il
toccare le orecchie e la bocca, indossare le veste bianca, il cero acceso, le varie benedizioni…

2. Ma poi vennero considerati sacramentali anche altre realtà benedette che i fedeli portano con sé,
come ad esempio l’acqua benedetta, il Rosario, il crocifisso, le varie medaglie e immagini, le varie
benedizioni e gli stessi oggetti benedetti.

3. Ecco che cosa dice San Tommaso: “L’acqua benedetta e le altre consacrazioni non si chiamano
sacramenti perché il loro uso non produce l’effetto dei sacramenti che è il conferimento della grazia.
Sono piuttosto delle disposizioni ai sacramenti in quanto rimuovono gli ostacoli come l’acqua
benedetta usata contro le insidie del demonio e contro i peccati veniali oppure in quanto preparano
l’amministrazione dei sacramenti: così si consacrano gli altari e i vasi per il rispetto dovuto
all’Eucaristia” (Somma teologica, III; 65,1, ad 6).

4. Dice ancora: “Poiché tali cose non riguardano la grazia necessaria alla salvezza, il Signore ha
lasciato la loro istituzione ai fedeli, secondo le loro necessità” (Ib., I-II, 108, 2, ad 2).

5. Sono sacramentali dunque tutte quelle realtà (cose, gesti, parole, riti) che aiutano ad entrare nella
corrente santificatrice della Chiesa.
Tra le parole troviamo anzitutto le benedizioni e anche gli esorcismi.
Tra i riti vi sono le varie unzioni sia nella celebrazione dei sacramenti sia fuori della celebrazioni
dei sacramenti, le processioni, le rogazioni…
Tra i gesti il principale è il segno della croce.
Tra le cose ci sono gli oggetti benedetti come gli scapolari, i crocifissi, le corone del Rosario, le
medaglie…

6. A proposito degli effetti dei sacramentali scrive il Padre Sertillanges: “Gli effetti che i cristiani da
essi si attendono sono quelli che richiede la vita cristiana. La purificazione dell’anima; la
soddisfazione della giustizia per le nostre colpe, l’espulsione degli spiriti maligni; il sollievo delle
nostre pene, se il nostro Padre dei cieli lo trova opportuno; l’allontanamento dei flagelli sotto le
stesse condizioni e la libertà interiore dei figli di Dio: tali sono quelli che registra la teologia.
Gesti minuscoli e familiari, cose da nulla; un’aspersione, una croce tracciata sulla fronte o sul petto,
una formula: queste cose, entrando nella grande corrente religiosa, diventano efficaci. E lo
diventano a cagione della nostra costituzione psicologica nella quale il sensibile ha tanta parte.
Lo diventano anche a cagione dell’istituzione della Chiesa che ha il potere di captare forze
superiori: forza di associazione che è creatrice riguardo all’individuo; forza del Redentore, nel quale
la società cristiana trova il suo centro; forza di Dio che è congiunto al Redentore e che, per mezzo di
lui e della Chiesa, è congiunto con noi” (La Chiesa).

Con l’augurio che tu ne possa fare sempre un uso santo ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

18) Ho sperimentato con i fatti che Santa Rita è la Santa dei casi impossibili o dei casi più
disperati

Quesito
Gentile Padre Angelo,
le vorrei sottoporre un’esperienza della mia vita che più volte ho provato a spiegare, senza però
avere la sicurezza di essere sulla strada giusta e di aver capito bene. Premetto, che ho 18 anni, sono
un ragazzo e mi sento abbastanza religioso, appassionato anche della scrittura e della storia della
Chiesa.
Tutto inizia 4 anni fa, quando mia nonna, che è davvero il mio più grande affetto, ebbe un arresto
cardiaco. Le sue condizioni erano pessime, ci si aspettava che non ce la facesse. Erano le 11 di sera,
non posso dimenticare quel momento. Avevo detto con la mia nonna paterna poco prima un Rosario
per l’altra nonna ed ero andato a dormire con il mio fratellino stringendo tra le mani un Rosario con
l’immagine di San Filippo Smaldone ( oggetto che tutt’oggi porto con me nei viaggi e che tengo al
polso ogni notte ). Non so dirle come mai, ma mi rivolsi a Santa Rita, chiedendole la grazia di far
stare bene mia nonna;  le mie parole furono :-Santa Rita fai che mia nonna stia bene da domani-.
Devo ammettere che sapevo che Santa Rita è nota come la Santa dei casi impossibili, ma mai mi ero
rivolto a lei prima di allora. È brutto da dire, ma rappresentava per me una Santa anonima di cui non
sapevo nulla, se non qualcosa visto di sfuggita qualche mese prima in un documentario proprio a
casa della nonna che stava male. Al mattino, intorno alle 3 mia mamma mi sveglió e mi disse che
mia nonna stava meglio. Il giorno dopo mia nonna era convalescente ma quasi fuori pericolo. Era
mattina, non lo scorderò mai, è qualcosa che non potrò mai dimenticare: seppi che era il giorno di S.
Rita.  Avevo chiesto proprio a Santa Rita di far guarire mia nonna nel giorno di Santa Rita, senza
sapere che era la sua ricorrenza. Mia nonna è stata bene e tutt’ora è in salute.
Da allora quella Santa anonima, di cui non conoscevo nulla, è per me la Santa di riferimento, la Mia
Santa protettrice a cui sempre mi rivolgo.
Ho raccontato a qualcuno questa mia esperienza, ma la maggior parte dice che mi sono
suggestionato e che io sapevo/ avevo sentito che il giorno seguente ricorreva S. Rita. Io, però, padre
Angelo, sono assolutamente sicuro di non averlo mai saputo. Non mi sono mai spiegato come mai
mi rivolsi proprio a S. Rita, visto che i miei genitori sono molto devoti a Padre Pio e a San Filippo
Smaldone. Io non riesco a spiegarmi perché: stimo e prego per figure come i suddetti santi e il mio
santo protettore S. Antonio da Padova, ma quel giorno mi rivolsi proprio a S. Rita, festeggiata il
giorno seguente.
Io ho sempre interpretato ciò non di certo come un miracolo, ma come una sorta di “ispirazione”,
come se Santa Rita quel giorno volesse comunicarmi che lei era accanto a me e mi proteggeva.
Secondo lei ho sbagliato? È una suggestione nella mia mente? È possibile la mia interpretazione?
Può un santo comunicare con noi? Non è sbagliato affidarsi ad un Santo diverso dal Santo a cui
siamo stati affidati nel momento del battesimo?
La ricorderò nelle preghiere di stasera.
La saluto tanto.

p.s.:  Ho fatto delle ricerche, grazie alla mia nonna paterna e ho scoperto che la mia bisnonna era
molto devota a S. Rita, ma che poi questa devozione nella mia famiglia si è molto “alleviata”.
Aspettando sua risposta, padre Angelo, le chiedo una preghiera per la mia famiglia e per la mia
nonna, affetto più grande e per me dono del Signore più prezioso. Le chiedo una preghiera anche
per il mio futuro. Vorrei intraprendere gli studi medici e mi propongo, qualora dovessi riuscire, di
fare tanto bene agli umili e agli emarginati, per riconoscere il loro il volto del Signore attraverso la
bellezza del donarsi agli altri.

Risposta del sacerdote


Carissimo,
1. non mi meraviglio affatto che il Signore ti abbia ispirato di pregare Santa Rita per darti un segno,
valevole per tutta la tua vita, che l’intercessione di questa Santa, invocata per i casi disperati o
impossibili, sia particolarmente potente.

2. La Chiesa nella quale io esercito il mio ministero è dedicata a Santa Rita.


So quanto grande sia la devozione verso questa Santa e quale afflusso di gente (decine di migliaia di
persone) viene nella nostra Chiesa per la sua festa.
Anche quelli che non vanno mai in Chiesa si fanno un punto d’onore di venire per Santa Rita e
prendere la rosa benedetta.

3. Chissà che quell’ispirazione venuta da Dio non sia stata ottenuta per le preghiere della tua
bisnonna, così devota a Santa Rita?
Anche questo è un bel segno.
E poi nel giorno della loro festa Dio glorifica ulteriormente i suoi Santi concedendo loro di
dispensare molte grazie.
È per questo che ci si deve preparare spiritualmente alle loro feste per essere capaci di accogliere le
grazie che Dio ci vuole donare.

4. La devozione a Santa Rita dopo un fatto così prodigioso come quello capitato a tua nonna deve
riprendere nella tua famiglia.
Non lo potete dimenticare. Dovete esserle eternamente grati.

5. Santa Teresa d’Avila, che è dottore della Chiesa, parlando di San Giuseppe quasi per inciso fa
una grande affermazione e dice: “Ad altri Santi sembra che Dio abbia concesso di soccorrerci in
questa o in quell’altra necessità, mentre ho sperimentato che il glorioso San Giuseppe estende il suo
patrocinio su tutte” (Vita 6,6).
È vero che Dio dà un particolare patronato ai vari Santi.
A Sant’Antonio in modo particolare ha dato il patronato per ritrovare gli oggetti smarriti.
A San Vincenzo Ferreri di essere liberati dai mali causati dalla cattiveria degli uomini, e cioè dai
malefici.
A Santa Rita ha dato il patronato sui casi impossibili o sui casi più disperati.
Risponde sempre Santa Rita quando viene invocata. Ma risponde in  particolare nei casi più
disperati perché questo è l’ambito della sua intercessione e della sua protezione.

Ti ringrazio di avermi ricordato nelle tue preghiere la sera in cui mi hai scritto.
Ti assicuro volentieri la mia per il tuo futuro, per la tua famiglia e per tua nonna.
Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo
19) Io ammiro infinitamente Giovanni Paolo II e vorrei sapere se c’è una spiegazione
cristianamente plausibile al fatto che egli baciò il corano

Quesito
Carissimo Padre Angelo,
ho pensato molto se scrivervi o no alla fine ho deciso di farlo, io appartengo alla fede cattolica e più
vado avanti e più me ne convinco.
Ma un quesito mi pongo turbandomi ogni volta.
Ecco, io ammiro infinitamente Giovanni Paolo II e vorrei sapere se c’è una spiegazione
cristianamente plausibile al fatto che egli baciò il corano.
Ecco Padre Angelo sinceramente ci tengo molto che lei mi risponda e sarei a dire il vero molto triste
se non ricevessi alcuna risposta da lei.
Con affetto e ammirazione il suo devoto figlio spirituale Giuseppe.

Risposta del sacerdote


Caro Giuseppe,
1. il bacio del Corano è stato una captatio benevolentiae, e cioè un gesto che ha voluto attirare la
simpatia degli islamici.
È stato un gesto per cui Giovanni Paolo II, vero uomo di Dio, ha voluto essere vicino alla loro fede,
rispettarla, sebbene inesatta e lacunosa.
Noi dobbiamo rispettare la buona fede di tutti.

2. Con questo gesto il Papa invitava implicitamente a contraccambiare con la Chiesa e creare nel
mondo un clima di rispetto e di pace fra le religioni.

3. Nello stesso tempo manifestava la grandezza del cristianesimo, forte della sua fede in Cristo, Dio
fatto uomo.
È proprio Cristo che insegna a fare così: ad avvicinare anche quelli che sono nell’errore, ad
abbracciare, a perdonare, a riconciliare.

4. Certo tutto questo va accompagnato con la predicazione del Vangelo fatta nei debiti modi e
tempi, col dire tutta la verità, anche quella contenuta nel Vangelo che la Chiesa ci ha fatto sentire
nella Messa di ieri (lunedì, 16° settimana del tempo ordinario, anno pari): “Nel giorno del giudizio,
la regina del Sud si alzerà contro questa generazione e la condannerà, perché ella venne dagli
estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande
di Salomone!” (Mt 12,42).
È più grande perché è Dio.

5. Con tutte le sue forze la Chiesa deve attuare questo annuncio.


Se non lo facesse verrebbe meno al suo compito primario.
È Gesù Cristo che glielo chiede.
È la carità che Cristo ha messo nei nostri cuori che spinge a rendere tutti partecipi del tesoro
nascosto nel campo che è Cristo.
Quante persone sono morte martiri nel desiderio di comunicare (non di imporre) questo tesoro.
Guai a noi, come dice San Paolo se non lo facessimo: “Annunciare il Vangelo non è per me un
vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo!” (1 Cor
9,16).

Auguro anche a te di essere un testimone di Cristo, uno che affascina nel farlo conoscere, amare e
possedere.
Per questo ti assicuro la mia preghiera e ti benedico.
Padre Angelo

20) Di recente ho avuto modo di incontrare una persona molto preparata in ambito filosofico;
le chiedo dei consigli perché vedo chiaramente che cerca di spegnere la mia fede

Quesito
Rev. Padre, buon giorno,
tempo fa ebbi modo di contattarla chiedendoLe di esse iscritto alla Confraternita del SS. Rosario;
presumo che non si ricorderà di me. Le scrivo per avere alcuni consigli: di recente ho avuto modo di
incontrare e frequentare una persona estremamente preparata in ambito filosofico, con la quale ho
grande difficoltà nell’affrontare tematiche teologico-dottrinali, non avendo una elevatissima
formazione teologica. Insomma, vengo sempre aggirato e non riesco a spiegare la credibilità dei
contenuti della nostra Fede Cattolica (spesso faccio addirittura la figura dello sprovveduto).
Potrei avere qualche consiglio al riguardo? Come dovrei atteggiarmi? Magari non entrando in
argomento e cercando di evitare?
La ringrazio infinitamente.
Fulvio

Risposta del sacerdote


Caro Fulvio,
1. il primo consiglio che ti do è il seguente: se il tuo interlocutore ti presenta quesiti ai quali non sai
rispondere in maniera immediata digli che prendi tempo per studiare meglio la questione.
Una volta studiata, gliela esporrai.
Per principio devi essere convinto che Dio non ci chiede di credere a nulla di irrazionale.
Dio si contraddirebbe, e pertanto non sarebbe più Dio, se dopo averci dato  la capacità razionale ci
chiedesse di aderire a qualche cosa di irrazionale.

2. Dio, proponendoci una sorgente di verità di ordine soprannaturale, non chiede di abdicare alle
esigenze della ragione.
Con la Rivelazione viene offerta all’uomo la verità ultima sulla propria vita e sul destino della
storia, quella verità alla quale l’uomo non può giungere con le sue sole risorse razionali perché è di
un altro ordine, di ordine soprannaturale.

3. Vi sono delle verità di ordine naturale che possono essere raggiunte dalla mente stessa dell’uomo,
come ad esempio la dimostrazione dell’esistenza di Dio e di alcune sue perfezioni e la spiritualità e
l’immortalità dell’anima.
La Chiesa nel suo insegnamento chiede di avere fiducia nella ragione e proprio per questo nel
secolo razionalista per eccellenza qual è stato il secolo XIX ha condannato il fideismo, e cioè
l’accettazione acritica e per fede di verità acquisibili dalle sole risorse della ragione.

4. Fatte queste premesse – ed ecco il secondo consiglio – il tuo punto di riferimento per la
comprensione della fede dovrebbe essere il Catechismo della Chiesa Cattolica nel quale si trova
esposta tutta la dottrina della Chiesa.
Sebbene esposta in termini molto stringati, è sempre possibile cogliere la ragionevolezza
dell’affermazione.
Questo sussidio non dovrebbe mancare tra le cose più necessarie che vengono custodite nella tua
abitazione.
5. In alcuni casi – è il terzo consiglio – potresti chiedere al tuo interlocutore che si mostra così dotto
se ha preso in considerazione ciò che in proposito dice il Catechismo della Chiesa Cattolica.
In questo modo lo stimoli ad andare a verificare le sue asserzioni, ad accostarsi anche solo in
maniera neutra e non preconcetta ai rivi della dottrina cristiana, senza partire esclusivamente dalla
sue presunte premesse…
È facile che in tal modo gli caschino molti pregiudizi, che rimanga illuminato e si renda conto
dell’insufficienza delle sue argomentazioni.

6. Infine (il quarto consiglio) in altre circostanze particolari potresti dirgli: io non sono teologo di
professione, mentre tu sei filosofo di professione. Ti consiglio di andare a parlare di questi problemi
con prete Tizio o Caio, o anche con il dott. Tizio o Caio.
Anzi: “se vuoi andiamo insieme”.
Se accetta la proposta vuol dire che è di buona volontà e non intende approfittare
dell’impreparazione o della semplicità altrui.

Intanto non dimenticare di pregare per lui e anche di offrire sacrifici perché cadano dai suoi occhi le
squame che gli impediscono di vedere ciò che si può vedere solo con uno sguardo purificato.
Ti accompagno volentieri in questo cammino ricordando ambedue al Signore.
Intanto vi benedico.
Padre Angelo

21) Da quando recito il rosario da più di tre mesi, ogni giorno sento in me tante cose cambiate

Quesito
Salve Padre Angelo,
in anticipo la ringrazio se mi ha ricordato nella sua preghiera e me ne scuso se le scrivo ancora.
Da quando recito il rosario da più di tre mesi, ogni giorno sento in me tante cose cambiate. Per
prima cosa le bestemmie sono svanite però ho sempre dei pensieri negativi in testa relativi alle
impurità di due anni fa della carne, associate con forte ansia e angoscia, e spero che un giorno
svaniscano come i pensieri delle bestemmie e ripeto spero che non sia il mio avversario che mi fa
fare questo perché è una continuazione a essere tormentato in quanto prima non succedeva ovvero
quando non pregavo.
Da qualche giorno mi sono posto una domanda, perché sono arrivato a recitare il Rosario?
Nonostante reciti il rosario mi accorgo del dolore dei miei peccati infatti (me ne scuso in anticipo
perché ancora la confessione non l’ho fatta ma in questa settimana dovrei farla, è solo una questione
di cercare una parrocchia e un padre spirituale che mi segua nel cammino di fede)… Ma la
domanda è: perché recito il rosario? È per caso Gesù che mi ha portato a questo?
In ogni caso mettendo a mente dei miei peccati durante l’anno ho ricavato delle date che mi hanno
segnato. A quell’epoca ovviamente non sapevo nemmeno chi era Dio e che i peccati di impurità
fossero peccati mortali. Ad esempio: (…).
Dopo la Pasqua di quest’anno ho sentito la necessità di pregare il santo Rosario e ho sentito un
dolore forte dei miei peccati. Lo ho rivisti tutti giorno per giorno fino a quando non ho stilato tutte
queste date che mi hanno fatto capire che oltre ai peccati conducevo una vita schifosa, oserei dire.
Ma nella mia mente ho detto: forse il Signor Gesù mi sta chiamando in qualche modo? O comunque
vuole capovolgermi la vita?
Forse qualcuno lassù ha visto lo schifo di vita che conducevo tra impurità e bestemmie. Ci sono
stati questi piccoli castighi (relativi a quelle date) dato che nell’atto di dolore si recita «Perché
peccando ho meritato i tuoi castighi». Mi rispecchio un po’ in Giobbe, in tutta la sfortuna per poi
ritrovare la sua gioia cioè il Signore.
Glielo chiedo perché mi interessa sapere come mai tutto questo a me.
Ho scoperto che recitare il Rosario mi piace tanto.
In più leggo il Vangelo e tutte le scritture, atti degli apostoli ecc. Mi interessa la vita dei santi, in
particolare Santa Caterina da Siena della quale grazie al vostro sito ho letto queste parole: «Chi era
che ti faceva provare il dispiacere se non io, che stavo nascosto nel centro del tuo cuore? Se io non
fossi stato lì presente, quei pensieri sarebbero penetrati nel tuo cuore e ne avresti sentito piacere ma
la presenza mia nel tuo cuore era causa di dispiacere e mentre così tentavi inutilmente di cacciarli
via, perchè ti affiggevano, ti rattristavi e soffrivi. Ma io che difendevo il tuo cuore dai nemici
standovi nascosto, e permettevo che di fuori tu fossi travagliata, non lasciavo di fare quanto era
necessario alla tua salute. Trascorso poi il tempo stabilito da me per il combattimento, mandai fuori
la mia luce, e sul momento fuggirono e si dissiparono le tenebre infernali, perché esse non possono
stare con quella. (…).
E per finire ieri sentendo il coro religioso che intonava Eccomi, sono scoppiato a piangere
rivedendo ovviamente tutti i miei peccati.
Caro Padre Angelo me ne scuso ancora. Avevo bisogno di scriverle solo per aver una risposta più
accurata di quello che sto passando. So benissimo che mi devo confessare e devo farlo al più presto
possibile per ricevere il Signore dentro me e operare ancora di più nel bene.
In attesa di una sua cortese risposta, la ringrazio e me ne scuso di nuovo se le ho riscritto. La ricordo
nel Rosario che faccio ogni giorno.
Che Dio la benedica, padre Angelo.

Risposta del sacerdote


Carissimo,
1. dopo una vita (si fa per dire perché hai 23 anni) passata nelle impurità e nelle bestemmie a
Pasqua di quest’anno inspiegabilmente hai iniziato a recitare il Santo Rosario.
Questa preghiera ti ha incantato. Adesso lo reciti tutti i giorni e avverti in te tante cose, a cominciare
dal dolore dei tuoi peccati e della vita trascorsa nella “schifezza”.

2. Non mi meraviglio che proprio il giorno di Pasqua sia iniziato il tuo cambiamento.
A Pasqua non si ricorda semplicemente la risurrezione del Signore, ma la si sperimenta di nuovo.
Quel giorno il Signore ha voluto risorgere anche in te e tu hai cominciato a risorgere con Lui. Sono
scomparse le schifezze.
È il tuo linguaggio ed è un linguaggio vero perché esprime i tuoi attuali sentimenti. Nei confronti di
quelle cose adesso non provi nessuna attrazione, ma solo repulsione.

3. Il Signore si è servito del Rosario per risorgere in te.


Si è servito di Maria e della sua presenza.
Facendo entrare la Madonna nella tua vita è successo quanto non pensavi e inaspettatamente ti sei
trovato nella condizione di dire anche tu, come lo sposo del Cantico: “Tu mi hai rapito il cuore,
sorella mia, sposa, tu mi hai rapito il cuore con un solo tuo sguardo, con una perla sola della tua
collana!” (Ct 4,9).
Ecco perché reciti il Santo Rosario e non puoi farne a meno: il Signore ti ha dato la grazia di
sentirne l’incanto.

4. E così come un giorno la Madonna fu invitata dagli sposi di Cana e fu artefice non solo del
miracolo dell’acqua cambiata in vino ma anche della fede in Gesù riconosciuto nella sua gloria
divina, nello stesso modo tu hai ricevuto la grazia di invitare ogni giorno la Madonna nella tua vita.
Attraverso il Rosario è come se Le aprissi la porta e cominciassi con il salutarla dicendo “Ave
Maria, piena di grazia, il Signore è con te…
Lei entra e diventa ogni giorno artefice di molte grazie.
Ti rispondo oggi, 15 luglio, memoria di San Bonaventura. Ebbene, questo grande santo francescano,
amico di San Tommaso, diceva che “Maria risponde sempre con qualche grazia a chi la saluta
con l’Ave Maria” (Speculum  B. Virginis Mariae, lect. IV).
5. La prima di queste grazie è il dolore dei tuoi peccati. Ed è una grazia altissima.
Mi piace ricordare che quando il Beato Raimondo da Capua fu assegnato a santa Caterina da Siena
perché la seguisse spiritualmente domandò al Signore un segno: se quanto avveniva in Caterina era
tutto opera di Dio gli fosse concesso un singolare del pentimento dei suoi peccati.
E tale pentimento fu così vero e cocente che fu preso da “un pianto dirotto e così forte che ebbe
quasi paura che gli scoppiassero il cuore ed il petto” (Beato Raimondo da Capua, Santa Caterina,
89).
Pertanto il pentimento dei peccati al punto da sentirne repulsione non può che venire dall’alto.

6. Mi domandi se il Signore Gesù ti stia chiamando in qualche modo (qui sembri alludere alla
vocazione) o comunque voglia capovolgerti la vita?
Senza dubbio ti vuole capovolgere la vita per essere Lui solo il centro e l’obiettivo della tua vita.
E dal momento che ti senti afferrato dal Signore nell’intimo di te stesso non escludo che tu sia
anche chiamato a stare con lui e poi sia mandato a predicare e a cacciare i demoni (Mc 3,14).
Forse questo già ti arride perché senti solo un bisogno: quello di stare con il Signore.
Chissà che la Madonna non ti ottenga anche questa grazia singolarissima.

7. Continua pertanto a pregare con il Rosario.


Sii certo di questo: i sentimenti che provi vengono dal Signore. Anzi, sono soltanto l’inizio delle
grandi opere che il Signore vuole fare in te per mezzo di Maria.

Ti ringrazio di aver pregato per me.


Ti ringrazio di cuore perché lo fai in ogni Rosario.
Mentre assicuro di aver pregato per te, sono contento di continuare a farlo.
Ti benedico e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo

22) Perché Dio è rappresentato come una nube e come vento

Quesito
Buongiorno Padre,
In questi giorni mi sono imbattuta in diversi testi tratti dalla Bibbia e non i quali non sono riuscita a
capire. Potrebbe spiegarmeli?
1. Perché Dio è rappresentato come una nube di vento?
2.3.4.5.(omissis dalla redazione).
Scusi per il disturbo.
Buona giornata.
Arrivederci.

Risposta del sacerdote


Carissima,
1. è stato notato che la nube può significare una duplice esperienza religiosa: la vicinanza benefica
di Dio o il castigo di colui che nasconde la sua faccia.
Ma oltre a questo la nube è il simbolo privilegiato per indicare la presenza divina: manifesta Dio
pur velandolo.
 
2. Nell’Antico Testamento la nube è simbolo della presenza di Dio, della sua vicinanza o anche del
suo ammonimento.
Nel libro dell’Esodo si legge che Dio guidava il suo popolo inoltrato nel deserto attraverso una
nube: “Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via
da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco, per far loro luce, così che potessero viaggiare
giorno e notte.
Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del popolo, né la colonna di fuoco
durante la notte” (Es 13,21-22).
Si tratta di un’unica colonna che di giorno appariva oscura e fiammeggiane di notte.

3. Per mezzo di questa nube Dio si mostrava presente in mezzo al suo popolo in modo sensibile.
Inoltre gli indicava la strada da percorrere.
Era un segno tangibile della sua sollecitudine verso il suo popolo che ogni giorno nutriva con
manna e con quaglie e dissetava con un’acqua che prodigiosamente usciva da una roccia che
accompagnatala moltitudine.

4. Il carattere soprannaturale di questa nube è dimostrato non solo dal fatto che si spostava secondo
come era necessario, ma anche perché accompagnò il popolo per quarant’anni senza interruzione.
In tal modo il popolo non fu tentato di tornare indietro.
Era simbolo della presenza di Dio che provvede agli uomini sebbene non si veda.

5. Nello stesso tempo era una presenza che assicurava protezione contro i nemici.
Si legge infatti: “L’angelo di Dio, che precedeva l’accampamento d’Israele, cambiò posto e passò
indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro.
Andò a porsi tra l’accampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli
uni, mentre per gli altri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante
tutta la notte” (Es 14,19-20).
Gli ebrei dunque potevano andare avanti serenamente, mentre gli egiziani erano paralizzati dalla più
cupa oscurità.

6. Simbolo della presenza di Dio è pure la nube che si forma nel Tempio in occasione della sua
consacrazione da parte di Salomone (1 Re 8,10).
Ezechiele vedrà questa stessa nube lasciare il tempio quando questo starà per essere distrutto e il
popolo sarà privato dell’assistenza divina e deportato in Babilonia.

7. Ti mi chiedi della nube di vento. A dire il vero quest’espressione non c’è nella Sacra Scrittura.
Forse vuoi alludere alla presenza di Dio attraverso il vento.
Il vento è detto spirito, in ebarico ruah.
Leggo in un Dizionario di Teologia biblica, curato da J. Bauer: “Per l’antico orientale il vento è
sinonimo di una forza potente e misteriosa, che i popoli pagani veneravano come divinità della
natura e gli Israeliti, grazie alla superiorità del loro
monoteismo, stimavano strumento esecutivo di Dio nell’attuazione del suo piano salvifico: la
ruah rappresenta una potente forza della natura, di cui il Signore si serve per l’esecuzione dei suoi
disegni in tutte le svolte decisive della tempestosa storia della salvezza.
Il vento impetuoso, capace di sradicare le montagne e di spezzare le rocce, per ordine di Dio pose
fine al diluvio; al tempo delle piaghe d’Egitto, il vento dell’Est portò nella terra dei Faraoni sciami
di cavallette devastatrici che il vento dell’Ovest gettò poi nel mare. Nella fuga dalla schiavitù, un
forte vento di Levante aprì al popolo di Dio che era inseguito una strada di salvezza attraverso il
Mar Rosso.
Con volo davvero poetico, Davide descrive come il Signore «abbassò i cieli e discese …. si lanciò e
volò librandosi sulle ali dei venti. Si scoprirono le profondità del mare».
Durante la marcia nel deserto un forte vento spinse stormi di quaglie al di qua del mare e fece
cadere una pioggia di manna sul popolo affamato; al momento della stipulazione del patto del Sinai
un vento tempestoso, unito a un rimbombante suono di tromba, annunciò tuoni e lampi, precursori
del legislatore divino” (pp. 1387-1388).
Il vento è messaggero di Dio e come il suo padrone non è visibile, ma ne senti gli effetti.

8. Talvolta Dio passa non più attraverso un vento impetuoso, ma nella brezza leggera, come capitò
ad Elia: “Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e
spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto,
ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco.
Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera” (1 Re 19,11-12).
La Bibbia di Gerusalemme annota: Vento impetuoso e gagliardo, terremoto, fuoco, che
manifestavano in Es 19 la presenza di Jahwè, sono qui solo i segni precursori del suo passaggio che
è circondato da silenzio. La traduzione precisa della formula è difficile (Elia sente la voce del
silenzio), ma si tratta chiaramente di rilevare l’opposizione tra questo passaggio discreto di Dio e i
fenomeni cosmici terrificanti che lo precedono” (nota a 1 Re 19,12).
Qui la presenza di Dio si compie nel silenzio e attraverso di esso rende di nuovo attuali e presenti i
suoi prodigi.
È quanto si attua in modo particolare nella vita contemplativa.

Auguro anche a te di essere ovunque protetta dalla nube di Dio e di gustare la sua presenza
soprattutto nel mormorio di una brezza leggera.
Ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

23) Vorrei chiederle quale sia il vantaggio che i demoni ricavano dalle loro azioni sugli uomini

Quesito

Caro Padre,
vorrei chiederle quale sia il vantaggio che i demoni ricavano dalle loro azioni sugli uomini.
Grazie per l’attenzione e felice Natale (2019).
Paolo

Risposta del sacerdote


Caro Paolo,
1. i demoni non traggono alcun vantaggio dalle tentazioni e dalle varie azioni che possono compiere
sulle persone umane, ma solo ulteriore pena.
Come dice l’Eterno Padre parlando con Santa Caterina da Siena, anche i demoni sono suoi ministri,
benché nolenti.
Pertanto tutto quello che fanno concorre alla maggior gloria di Dio e a loro ulteriore desolazione.

2. Ecco come: “I demoni stanno nell’inferno per far giustizia ai dannati, ma in questa vita fanno
crescere le virtù delle mie creature viandanti e pellegrine. Essi le molestano con molte tentazioni o
fanno sì che l’uno ingiuri l’altro o tolga le cose dell’altro, non tanto per le cose o per l’ingiuria in sé
stesse, ma per privarli della carità. Senonché, mentre credono di privarne i miei servi, li fortificano,
provando in essi le virtù della pazienza, della fortezza e della perseveranza.
In questo modo anche i demoni rendono gloria e lode al mio nome e così s’adempie la mia verità in
loro, avendoli creati per la gloria e la lode di me, Padre eterno, e perché partecipassero della mia
bellezza: ma essendosi a me ribellati per superbia, caddero e furono privati della mia visione;
onde non mi rendono gloria per dilezione d’amore.
Ma io, Verità eterna, li ho messi come strumento per esercitare i miei servi nella virtù e come
giustizieri di coloro che per i loro difetti vanno all’eterna dannazione. (…).
Sicché vedi che la mia verità s’adempie ugualmente perché mi rendono gloria, non come cittadini
della vita eterna, ma come miei ministri di giustizia, perché per loro mezzo io la manifesto sopra i
dannati” (Santa Caterina da Siena, Dialogo 81).

3. Santa Caterina dice che se non ci fossero le tentazioni più facilmente gli uomini cadrebbero nel
“sonno della negligenza” (Lettera 335) e gli uomini non sarebbero incitati ad essere più virtuosi né
risulterebbero vincitori nel combattimento.
La vittoria e la corona eterna dei giusti saranno motivo di perenne invidia per i demoni che li
avevano tentati proprio per far loro perdere il premio eterno che Dio dà coloro che vincono.

4. E anche nei confronti di coloro che avessero aiutato a peccare e ad andare all’inferno sarà motivo
ulteriore di pena per essere odiati dai loro compagni di sventura eterna ed essere ulteriormente
puniti dalla giustizia divina nel giudizio universale.
Come gli angeli santi in Paradiso possono accrescere la loro gloria (accidentale) fino alla fine del
mondo, così analogamente i demoni fino al giudizio universale possono crescere nella loro pena.
Pertanto dai tormenti che infliggono agli uomini non ne ricavano alcun guadagno, ma solo crescita
di tormenti.

Ti auguro ogni bene per il Natale del 2020, ti ricordo al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

24) Da che cosa possiamo arguire che Maria abbia emesso un voto di verginità perpetua già
prima dell’Annunciazione?

Quesito
Carissimo padre Angelo B.,
sono Vincenzo G., un giovane che ha conseguito il Baccalaureato in Sacra Teologia e ora è iscritto
al primo anno di licenza in Teologia Biblica. In un approfondimento personale mi è capitato di
soffermarmi sulla pericope dell’Annunciazione e in modo particolare sulla domanda di Maria:
"Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?" (Lc 1,34). Personalmente sono convinto del
fatto che Maria abbia emesso un voto di verginità perpetua già prima dell’Annunciazione, tuttavia
ho visto che diversi teologi ed esegeti autorevoli non sostengono questa posizione perché contraria
alle consuetudine giudaiche del tempo. Io invece vedo proprio in questo sia un segno dell’umiltà
della Vergine e del suo amore totale a Dio, sia un’anticipazione del celibato che avrebbe vissuto
Gesù e che, come è affermato nella Scrittura, non è dato a tutti di comprendere (Mt 19,11-12).
Anche lo stesso Benedetto XVI nel suo libro "L’infanzia di Gesù" scrive: "A partire da Agostino la
questione è stata spiegata nel senso che Maria avrebbe fatto un voto di verginità e avrebbe attuato il
fidanzamento solo per avere un protettore della sua verginità. Ma questa ricostruzione fuoriesce
totalmente dal mondo del giudaismo dei tempi di Gesù e sembra impensabile in tale contesto. Ma
che cosa significa allora questa parola? […] Permane quindi l’enigma – o diciamo forse meglio: il
mistero – di tale frase. Maria, per motivi a noi non accessibili, non vede alcun modo di diventare
madre del Messia per via del rapporto coniugale". Insomma mi pare di capire che su
quest’argomento non vi sia un parere unanime nella Chiesa. Le pongo una domanda: ci sono
fondamenti nella Scrittura e nella Tradizione per sostenere che Maria si sia donata totalmente a Dio
nel voto di verginità perpetua già prima dell’annuncio dell’angelo?
La ringrazio e le auguro una buona continuazione di Avvento sotto la protezione di Maria
Immacolata.
Risposta del sacerdote
Carissimo,
1. abbiamo come fonte immediata del proposito verginale di Maria la festa liturgica della
presentazione di Maria al tempio fissata per il 21 novembre.
Sebbene tale evento sia narrato solo dai vangeli apocrifici, tuttavia la Chiesa ha conservato questa
festa nel calendario liturgico perché ricorda l’offerta al Signore da parte di Maria di tutta se stessa.
È secondario sapere se abbia espresso un voto come l’intendiamo noi oggi o abbia emesso un
proposito. Giovanni Paolo II nelle sue catechesi mariane parla di proposito. Ed è l’equivalente.

2. È vero che nell’Antico Testamento era inconcepibile il proposito verginale da parte delle donne.
Sarebbe stato come un non concorrere ad incrementare il popolo di Dio e un non voler ricever la
benedizione che il Signore ha dato all’uomo e alla donna all’alba della creazione quando ha detto:
“Crescete e moltiplicatevi” (Gn 1,28).

3. Tuttavia il caso della Madonna è diverso.


Se crediamo che Maria sia stata colmata di grazia fin dal primo istante della sua esistenza e che
abbia ricevuto un grado di grazia e di amore per Dio e per il prossimo superiore a quello di tutti i
Santi messi insieme, e se tante persone nel loro eccesso di amore per il Signore hanno emesso il
proposito di verginità per stare unite al Signore senza distrazione ed essere sante nel corpo e nello
spirito, come non pensare che Maria non le abbia precedute tutte?
Il proposito di verginità di Maria scaturisce come acqua dalla sorgente dalla pienezza di grazia
ricevuta fin dall’inizio. In altre parole, dalla sua immacolata concezione.
Certo la Sacra Scrittura non dice nulla di esplicito su questo punto, ma per parlare in maniera
adeguata della Madonna è necessario far ricorso anche alla teologia.

4. Santa Caterina da Siena aveva capito bene che la Madonna si era staccata dalla trazione ebraica e
differentemente da tutte le altre donne in Israele aveva consacrato a Dio la propria verginità.
Per questo quando decide di fare il voto verginità si appella a Maria e le dice: “O beatissima e
santissima Vergine, la quale prima intra le donne consecrasti in perpetuo la verginità a Dio,
facendone voto, e perciò tanto graziosamente sei fatta Madre dell’Unigenito suo Figliolo, io prego
la tua ineffabile pietade che non riguardando tu ai miei peccati e ai miei difetti ti degni farmi tanta
grazia e che tu mi dia per isposo Colui il quale con tutta la mia anima io desidero, cioè il
sacratissimo unico Figliuolo di Dio e tuo, il signor Gesù Cristo”.

5. Un’altra argomentazione teologica ci viene da San Tommaso il quale sostiene che “quelli che Dio
sceglie a un compito speciale, li prepara e li dispone in modo che siano idonei ai loro doveri,
secondo l’affermazione di San Paolo: "Ci ha resi idonei ad essere ministri del nuovo Testamento".
Ma la Beata Vergine fu eletta ad essere la madre di Dio. Nessun dubbio, quindi, che Dio con la sua
grazia l’abbia fatta idonea a ciò, secondo le parole dell’angelo: "Tu hai trovato grazia presso Dio"”
(Somma teologica, III, 27,4).
Applicando questo principio al nostro caso possiamo dire che Dio ha preparato la Madonna a
diventare Madre di Dio ispirandole il proposito di verginità.

6. Inoltre San Tommaso dice che “le opere della perfezione sono più lodevoli se vengono compiute
per voto. Ma nella Madre di Dio la verginità doveva avere uno splendore straordinario, come risulta
dalle ragioni riportate antecedentemente.
Era perciò conveniente che la sua verginità fosse consacrata a Dio con un voto” (Somma teologica,
III, 28,4).

7. È giusto pertanto pensare – come afferma Giovanni Paolo II – che lo Spirito Santo le abbia
ispirato “la sua dedizione verginale in vista di Cristo” (8.8.1996).
Le parole di Maria all’Angelo: “Come è possibile questo poiché non conosco uomo” (Lc 1,34)
“mettono in evidenza sia l’attuale verginità di Maria sia il suo proposito di rimanere vergine.
L’espressione da lei usata, con la forma verbale al presente, lascia trasparire la permanenza e la
continuità del suo stato” (Giovanni Paolo II, 27.7.1996).

8. Sempre secondo San Tommaso inizialmente il suo voto sarebbe stato condizionato e graduale
poiché la mentalità comune non lo prevedeva e non lo comprendeva: “Però, siccome sotto la legge
tanto le donne quanto gli uomini dovevano attendere alla procreazione, perché con essa si
propagava il culto di Dio prima che da quel popolo nascesse Cristo, non è pensabile che la Madre di
Dio, prima di fidanzarsi con Giuseppe, abbia fatto il voto di verginità in modo assoluto, sebbene
desiderasse la verginità; ma su questo punto rimise la sua volontà all’arbitrio divino. In seguito poi,
dopo aver preso marito come esigevano gli usi del tempo, insieme con lui emise il voto di verginità”
(Somma teologica, III, 28,4).

9. Sono proprio questi motivi – oltre a quanto avvenne nella sua vita – che portano a lodare Maria
come la Regina dei vergini.
È stato il Signore a volere così: “Come la perfetta pienezza di grazia fu propria di Cristo e tuttavia
se ne ebbe una certa anticipazione nella sua madre, così anche l’osservanza dei consigli, che deriva
dalla grazia di Dio, fu inaugurata da Cristo in modo perfetto, ma in qualche modo cominciò nella
Vergine sua madre” (Somma teologica, III, 28,4).

Ti ringrazio per quesito, ti auguro ogni bene per il prosieguo dei tuoi studi teologici, ti ricordo al
Signore e ti benedico.
Padre Angelo

25) Quali sono i rapporti che un cristiano deve avere con il mondo in generale; ho sempre
sentito che il cristiano deve guardarsi dal mondo

Quesito
Buonasera caro Padre Angelo,
Voglio innanzitutto ringraziarti dal profondo per questo splendido “servizio” che fai alle persone
afflitte da domande e dubbi riguardanti la fede.
Andando al punto: quali sono i rapporti che un cristiano deve avere con il Mondo in generale, ma
soprattutto con gli Stati e le varie Confederazioni che lo caratterizzano?
A tal riguardo io ho sempre sentito e pensato che il Mondo fosse un posto negativo, posseduto dal
Diavolo (Luca 4,5-6), di cui i figli di Dio non fanno parte; anche se sono stati mandati all’interno di
esso per essere una luce, una speranza per l’Umanità (tutto il discorso di Gesù sul sale della terra
ecc.)
Tuttavia mi sfuggono, in concreto, quali siano i rapporti che un cristiano deve tenere col Mondo: è
giusto per esempio votare e quindi non subire passivamente le leggi e le azioni degli Stati del
Mondo, ma di fatto rendersene partecipi? Non è questo un fare parte del Mondo,anziché un
semplice trovarsi nel Mondo?
O ancora, è giusto svolgere lavori alle dirette dipendenze di uno Stato (dipendente statale, soldato
ecc.), o agli occhi di Dio diventa un fare parte del Mondo?
Spesso ho sentito dire che fare cose tipo quelle sopra è giusto,in quanto un buon cristiano dovrebbe
sempre prendersi cura della comunità in cui vive,ma al tempo stesso mi chiedo se sia veramente
giusto essere partecipi attivi di Stati che, di fatto, non si spendono totalmente a servizio del
prossimo, chiunque esso sia, come dovrebbe fare un Cristiano (gli Stati infatti, a quanto ho studiato,
sono contratti stipulati fra individui che promettono vicendevolmente di aiutarsi fra di loro,
rendendo di fatto i cittadini degli altri stati persone di serie B agli occhi dello Stato stesso).
Chiedo scusa per il papiro che ho scritto, ma avevo veramente bisogno di rendere l’idea della
confusione che regna nella mia testa,spero che tu possa aiutarmi e sentiti pure libero di contraddirmi
se sto sbagliando da qualche parte.
Ti auguro ogni forma di bene
Giovanni

Risposta del sacerdote


Caro Giovanni,
1. c’è un equivoco sulla parola mondo che ti inganna.
Noi per mondo intendiamo l’insieme degli uomini che vivono sulla faccia della terra.
Ora vivere con gli altri cercando di lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato è un atto
molto grande di amore.

2. Tutta la dottrina sociale della Chiesa ha come obiettivo quello di rendere più umano il mondo e di
rendere più pacifica e ordinata la convivenza tra gli uomini.
Gesù ha detto: “Voi siete la luce del mondo e il sale della terra” (Mt 5,14).
Non ci ha detto di lasciare il mondo alla deriva ma di illuminarlo con la luce del Vangelo che rivela
agli uomini il fine ultimo della loro esistenza quaggiù e nello stesso tempo l’altissima dignità di
ogni persona umana che deve essere considerata il centro e il fine di tutto: della scuola,
dell’economia, del lavoro, delle istituzioni sociali…

3. Il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes che è uno dei suoi più importanti documenti
afferma: “La Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la
medesima sorte terrena, ed è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a
rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio” (GS 40).
E ancora: “Certo la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è di ordine politico,
economico e sociale: il fine infatti che le ha prefissato è di ordine religioso. Eppure proprio da
questa missione religiosa scaturiscono un compito, una luce e delle energie, che possono contribuire
a costruire e consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina” (GS 42).
Precedentemente nella Mater et Magistra Giovanni XXIII aveva detto: “Benché dunque la Chiesa
abbia innanzitutto il compito di santificare le anime e di renderle partecipi dei beni di ordine
soprannaturale, Essa è tuttavia sollecita delle esigenze del vivere quotidiano degli uomini, non solo
quanto al sostentamento e alle condizioni di vita, ma anche quanto alla prosperità e alla civiltà nei
suoi molteplici aspetti e secondo le varie epoche” (MM 4).

4. Tutto questo la Chiesa lo fa prolungando fine alla fine del mondo la missione di Gesù “che si
riferisce soprattutto alla salvezza eterna dell’uomo quando dice: “Io sono la via, la verità e la vita” è
“Io sono la luce del mondo”, ma altrove guardando la folla affamata gemebondo prorompe nelle
parole: “Ho compassione di questa folla”, dando prova di preoccuparsi anche delle esigenze terrene
dei popoli.
Né il Divino Redentore dimostra questa cura soltanto con le parole, ma anche con gli esempi della
sua vita, quando, a sedare la fame della folla, più volte moltiplicò miracolosamente il pane” (MM
5).

5. È dunque un dovere per i cristiani impegnarsi nel mondo a favore di tutti e in modo particolare
dei più bisognosi.
Il disimpegno è una mancanza ad un dovere civico e per un cristiano diventa una mancanza di carità
di cui dovrà rendere conto a Dio.

6. Nella Sacra Scrittura e più propriamente nel Nuovo Testamento la parola mondo designa ora
l’universo o la terra, ora il genere umano, ora l’insieme degli uomini che rifiutano Dio e
perseguitano con odio il Cristo e i suoi discepoli.
Mentre le prime tre accezioni sono positive, la quarta invece è negativa e indica ciò che è ostile a
Dio ed è sottomesso a Satana. In una parola, si potrebbe dire che si tratta del mondo del peccato.

7. È questo il significato, ad esempio, delle seguenti parole del Signore: “il mondo non può odiare
voi, ma odia me, perché di esso io attesto che le sue opere sono cattive” (Gv 7,7).
E “se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo
amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per
questo il mondo vi odia” (Gv 15,18-19).
E ancora: “Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo,
come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno.
Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Gv 17,14-16).

8. È soprattutto in San Giovanni, nel suo Vangelo e nelle sue lettere, che compare questa accezione
negativa.
Nella sua prima lettera San Giovanni dice: “Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama
il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo – la concupiscenza
della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita – non viene dal Padre, ma viene dal
mondo” (1 Gv 2,15-16).
È da questo mondo, e cioè dal mondo del peccato, che dobbiamo stare lontano. Non già dal cosmo e
dalla comunità degli uomini.

Con l’augurio che tu possa stare sempre nel mondo di Dio e dei richiami celesti ti ricordo volentieri
al Signore e ti benedico.
Padre Angelo

26) Sono stata invitata da un’amica nella sua casa al mare in occasione del suo compleanno
per 4 giorni, di cui uno di questi include la domenica

Quesito
Salve,
sono una ragazza credente che frequenta molto spesso il suo sito e trovo le sue risposte sempre
molto interessanti e spesso veramente illuminanti. Volevo chiederle una cosa riguardo le vacanze
per i cristiani. Una mia amica ha invitato me e qualche altra ragazza nella sua casa al mare in
occasione del suo compleanno per 4 giorni, di cui uno di questi include la domenica. Il posto si
trova in una località che non conosco bene, più precisamente la sua casa fa parte di una sorta di
villaggio lungo il mare e non ci sono chiese nelle vicinanze (la più vicina dista parecchi chilometri a
quanto dice internet) e visto che non potrei spostarmi se non a piedi (considerato che nessuna di noi
ha la macchina e che arriveremo lì accompagnate da qualcuno che poi se ne andrà), molto
probabilmente salterei la messa. Cosa posso fare? Ormai ho già comprato il biglietto del treno. Non
devo andare oppure posso santificare la festa in un altro modo?
La ringrazio in anticipo, un saluto, 
Claudia

Risposta del sacerdote


Cara Claudia,
1. alcuni teologi moralisti in passato dicevano che nel tuo caso, dal momento che l’omissione della
Messa in giorno festivo non è un atto volontario ma conseguente ad un’azione che di suo è buona,
non si commetterebbe peccato grave.
Questi teologi moralisti ricordavano anche che le leggi della Chiesa non obbligano cum nimio
incomodo (con grande scomodità). Nel tuo caso, poiché parli di diversi chilometri, potresti sentirti
dispensata.
Sempre questi teologi moralisti dicevano che si è dispensati se il tratto di strada è di un’ora circa di
cammino.

2. Tuttavia se puoi essere dispensata dal precetto della Chiesa non sei però dispensata dal terzo
comandamento che suona così: “Ricordati di santificare le feste”.
San Tommaso dice che “il precetto della santificazione del sabato letteralmente inteso è insieme
morale (diritto naturale) e cerimoniale (diritto positivo). È un precetto morale nel senso che l’uomo
deve destinare un dato tempo della sua vita alle cose divine. Infatti l’inclinazione naturale porta
l’uomo a destinare a ogni cosa necessaria un dato tempo: così egli fa per il vitto, per il sonno e per
altre cose simili. Perciò l’uomo secondo il dettame della ragione naturale deve destinare del tempo
anche al ristoro spirituale, saziando di Dio la propria anima. Ecco quindi che la destinazione di un
dato tempo per attendere alle cose divine costituisce un precetto morale.
Ma la determinazione di un giorno particolare, quale ricordo della creazione del mondo, fa di questo
comandamento un precetto cerimoniale (diritto positivo)” (Somma Teologica, II-II, 122, 4, ad 1).

3. Pertanto nell’impossibilità di soddisfare il precetto della Chiesa, che è un precetto di diritto


positivo, sei tenuta a saziare la tua anima di Dio e a dare culto a Dio in spirito e verità.
Questo lo puoi fare leggendo le letture della Messa, facendo meditazione su di esse, cercando di
fare la Comunione spirituale e pregando per te stessa, per la Chiesa e per l’umanità.
In pratica: stando in preghiera e in raccoglimento almeno tanto tempo quanto ne dedicheresti per la
partecipazione alla Santa Messa.

4. Il codice di Diritto canonico prevede che si possa essere dispensati dalla partecipazione alla
Messa dal proprio parroco (can. 1245).
La dispensa del parroco tranquillizza maggiormente in coscienza

5. Pier Giorgio Frassati, oggi il beato Pier Giorgio Frassati, era consapevole della dispensa di cui
parlavano i teologi. Su di essa non diceva nulla, però non se ne avvaleva.
Ecco che cosa scrive di lui Marino Codi: “Ascoltiamo, in proposito, alcune sue dichiarazioni circa
l’ascolto della messa. La prima porta la data del 22 novembre 1924 e compare in una lettera
all’amico Beltramo: «Carissimo Marco, sono alla vigilia di una bella gita in montagna e tu puoi
immaginare qual gioia invada il mio animo in questi momenti. Severi aveva proposto di partire per
la Bessanese insieme a Denina e compagni, ma bisognava perdere la Messa e io dapprima avevo
aderito, ma poi il pensiero di venir meno a un dovere e la coerenza di ciò che io tante volte avevo
sostenuto contro la tesi di Laura mi costrinsero a rinunciare».
Qual era questa tesi? Laura gli aveva fatto presente la dispensa della Chiesa dall’osservanza del
Precetto festivo di ascoltare la Messa, in certe circostanze eccezionali, sperando di convincerlo a
cedere. Ecco la sua risposta: «Lo so, so che è possibile averla, ma io preferisco non partecipare alla
gita». Chiuso.
Un’altra autorevole dichiarazione viene da monsignor Pinardi, allora parroco di San Secondo, poi
vescovo, e ora sulla via della beatificazione, che attesta: «Quante volte al sabato si presentò da me
per assicurarsi dell’ora della prima messa; quante volte mi richiese di provvedere una messa prima
della normale, ma quante volte ancora, e lo assicuro, mancando la messa all’ora richiesta, rattristato,
ma fermo e deciso, lasciò la gita»” (Marino Codi, Pier Giorgio Frassati, Portalupi editore, p. 265).

6. Ecco, ti ho detto tutto.


Vale per te e vale per molti altri.
Ti benedico, ti ricordo al Signore e ti auguro ogni bene.
Padre Angelo

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