Il brano evangelico dell’incontro scorso ci ha collocati in un certo senso in medias res, “a cose fatte”,
nel mezzo del conflitto nell’uomo tra la vita e la morte: abbiamo iniziato ad affrontare temi come la
lotta, la liberazione, la necessità di purificazione, ecc. Oggi dobbiamo fare un passo avanti facendo
un passo indietro, risalendo cioè alle origini di questo conflitto: perché c’è il male nel mondo?
Gen 3, 1-10: 1Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla
donna: "È vero che Dio ha detto: "Non dovete mangiare di alcun albero del giardino"?". 2Rispose la
donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto
dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non dovete mangiarne e non lo dovete
toccare, altrimenti morirete"". 4Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa
che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il
bene e il male". 6Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e
desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al
marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e
conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
8Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del
giorno, e l'uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del
giardino. 9Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: "Dove sei?". 10Rispose: "Ho udito la tua voce
nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto".
v.1a: Il serpente era il più astuto… Nella versione greca è phronimòtatos, cioè
quello che ha la visione più chiara delle cose, e la capacità di attuare i suoi
progetti a riguardo. Il serpente era per le culture circostanti a quella ebraica,
cioè gli Egiziani e i Babilonesi, dio e simbolo di sapienza, e qui è impiegato
come espressione di una intelligenza sovrumana (addirittura ritenuta divina
dai nemici d’Israele!), rivale del Dio vero.
v.1b: …di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto… Ecco una buona
L’ureo, il diadema a forma
notizia: anche se è un essere mooolto intelligente e astuto, il serpente non è di serpente sulla maschera
un dio, non è onnipotente, non è un principio negativo contrapposto funeraria di Tutankhamon.
antiteticamente al Dio buono; non è prima dell'origine - è anch’egli, come te e
me e una montagna e un pianeta e un batterio e un cane, una creatura.
CCC 395: La potenza di Satana non è infinita. Egli non è che una creatura, potente per il fatto di
essere puro spirito, ma pur sempre una creatura: non può impedire l'edificazione del regno di Dio.
Sebbene Satana agisca nel mondo per odio contro Dio e il suo regno in Cristo Gesù, e sebbene la
sua azione causi gravi danni – di natura spirituale e indirettamente anche di natura fisica – per
ogni uomo e per la società, questa azione è permessa dalla divina provvidenza, la quale guida la
storia dell'uomo e del mondo con forza e dolcezza.
Dunque sin dall'inizio la Bibbia dice che il male non è strutturale e necessario all'esistenza, ma si è
introdotto in seconda battuta in una realtà che in origine era totalmente buona:
Sap 1, 13; 2, 24: Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. [...] Ma per
l'invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo, e ne fanno esperienza coloro che gli
appartengono.
La Caduta è un modo di concepire la vita. È non soltanto l’unico modo illuminante, ma inoltre
l’unico capace di infondere coraggio e sostegno […], [asserendo] che noi abbiamo fatto cattivo uso
di un mondo buono, e non che siamo semplicemente incappati in un mondo cattivo. Essa riporta
quindi il male al cattivo uso fatto della volontà, affermando in tal modo che il retto uso della
volontà stessa potrà eventualmente rimediarvi. Ogni altro credo all’infuori di questo non è che una
forma di sottomissione al destino. (G.K. Chesterton, La Chiesa viva)
Ok, ma effettivamente come è entrata la morte, come è entrato il male, come sono entrate la paura e
la solitudine nella vita dell’uomo, nella vita tua e mia?
v.1c: … e disse alla donna. Ah, ma allora è soprattutto colpa di Eva! E così, la Bibbia
discriminerebbe la donna, darebbe l’avvio al maschilismo, ecc. ecc. ALT! Stoppa i pregiudizi. Non
si deve dimenticare che, prima del peccato (cioè di lì a pochi minuti), l’uomo e la donna formavano
un unico essere1. In quest’unico essere che è l’uomo con la donna, Eva rappresenta la carne
dell’uomo, cioè la vita palpitante, la concretezza, ma anche la percezione del proprio limite,
dell'immensità del proprio desiderio rispetto alle possibilità del reale. Nel bambino questo
desiderio è funzionale all'apertura al mondo, all'azione; nell'adulto che non vuole crescere diventa
pretesa narcisistica di inglobare la realtà, possedendola. L’erosione della fiducia dell’uomo
nell’amore che lo ha fatto esistere inizia quindi dalla sua carne (Eva), dalla sua fragilità di vivente
che desidera tutto, e questa erosione inizia con una domanda.
Se poi vogliamo proprio scavare, possiamo anche chiederci: come mai il serpente si rivolge alla
donna, e non ad Adamo? Perché la sa più ricettiva, più sensibile ai moti spirituali (buoni o cattivi
che siano), rispetto al marito che, tutto sommato, sembra abbastanza distratto…
v.1d: "È vero che...?" Ecco come entra la morte nel mondo: con una domanda che mette in dubbio
l’amore. Ogni tentazione è anzitutto un attentato alla fiducia riposta in Dio, nella vita, in quello che
si è costruito, negli altri, e inizia sempre con: “Guarda che non è mica vero che… ti vogliono bene/
che le cose stanno come ti hanno insegnato/che vali/ecc.”
La tentazione insinua nell’uomo la paura peggiore per ogni bambino, per ogni figlio: che tuo padre
ti stia mentendo, che le cose non stiano come ti ha detto… che non ti voglia davvero bene. Mentre
Dio aveva detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete” (v.3), il
serpente insinua che Dio sia bugiardo e invidioso, e lo insinua mostrando quanto sarebbe meglio
non fidarsi di Lui: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si
aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male.” (vv.4-5).
Mettendo in crisi la fiducia, la tentazione destabilizza l’uomo, e lo induce a cercare puntelli, ovvero
compensazioni nell’immediato per la sua insicurezza.
v.4b: “Non morirete affatto!” Rispetto al cammino lento e spesso impercettibile della vita reale, la
tentazione offre (ingannando) il tutto e subito e facilmente, nascondendo temporaneamente gli
aspetti più conflittuali e ardui dell'esistenza, e le conseguenze di un certo agire (“Che vuoi che
succeda?” “Ma che je fa’?” “Non casca mica il mondo!” Ecc.). In questo caso, il caso dei casi, l'uomo
è indotto a fare da sé, a diventare lui stesso, che pure aveva ben coscienza di chi Dio fosse, il
criterio della verità; l'uomo, che aveva ricevuto da Dio il suo stesso potere (dare il nome alle cose,
cfr. Gen 2, 19), è indotto non solo a essere come Dio, ma addirittura a rimpiazzarlo… tanto che
vuoi che succeda!
v.6a: Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e
desiderabile per acquistare saggezza. Il versetto inizia con “Allora”: non prima, né in modo
automatico, ma solo perché Eva si è intrattenuta nel dialogo con la tentazione, si è girata e rigirata
nella testa il cattivo pensiero di sospetto che le veniva propinato, la tentazione ha acquisito su di lei
il potere di muoverla con le tre concupiscenze, cioè con tre inclinazioni molto pericolose: la
concupiscenza della carne (“buono da mangiare”), la concupiscenza degli occhi (“gradevole agli
occhi”), la superbia della vita (“desiderabile per acquistare saggezza”). Queste concupiscenze
(possedere, apparire, dominare) sono la radice di ogni forma di peccato. Tale dimensione sarà
ampiamente oggetto delle nostre riflessioni, più avanti.
1
Gen 1, 27: “E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò.” In realtà,
letteralmente, anche il secondo pronome andrebbe tradotto al singolare: “maschio e femmina LO creò”. Questo
esplica meglio l’idea che per il pensiero biblico l’uomo è, in quanto unione dell’uomo e della donna.
v.6b: Prese del suo frutto e ne mangiò. Incredibile, ma l'uomo si fida più del serpente che di Dio! È
il dramma costante e misterioso di noi uomini, che mettiamo tanto facilmente da parte la
possibilità di un Amore immenso, la credibilità dell’amore e della fiducia, quando la nostra carne,
che è l’intreccio delle nostre fragilità, paure, e brame, prende le redini della nostra vita.
v.7a: Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi. L'uomo, creato come
immagine, interlocutore, referente, figlio di Dio e suo vicario, staccatosi da Lui con la sfiducia si
ritrova nel suo nulla, nel fango da cui è tratto: come dicevamo la volta scorsa, quando all’uomo
togli la sua dignità umana, la sua umanità, resta un maiale. Un maiale pronto per il macello.
Se l’uomo non si definisce più a partire dalla relazione divina, non può che definirsi un semplice
animale evoluto, bios, corpo, esposizione - con in più il dramma di essere conscio di ciò! È
l’esperienza che fa chiunque cerchi di diventare principio di se stesso: nessun essere si dà
l’esistenza o la mantiene, perché la vita è anzitutto relazione, ricezione del dono, risposta; quando
viene meno questo, rimane solo la nudità, la carenza, l’esigenza di una pienezza per la quale si
cercheranno surrogati.
v.7b: Intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture. Il fico è l'albero della sapienza; tutta la
cultura umana sarà il pietoso tentativo di coprire la miseria umana, con sforzi mai davvero
adeguati a superare la realtà caduca dell'uomo. Tutte le nostre istituzioni, ricerche, erudizioni…
quando hanno di mira solo il qui e ora, presto o tardi si scontrano con la nostra animalità, con la
nostra brama disordinata di sopravvivere, e si pervertono.
v.8: L'uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio. Non è Dio ad allontanarsi
dall'uomo; è l'uomo che, lacerato e ormai ostile perché vergognoso, farà della sua esistenza la
perenne fuga da Dio - e Dio farà della Sua esistenza il perenne inseguimento dell'uomo!
vv. 9-10: “Dove sei?” “Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto.” La domanda
decisiva per l'esistenza: “Dove sei?”.
Con essa, l'uomo smarrito è chiamato a ricollocarsi, a trovarsi. Ecco perché abbiamo iniziato il
nostro percorso raccontandoci dove siamo arrivati nella storia della nostra vita: per cercare di
scoprire dove siamo.
Questa domanda non serve a Dio, ma a me, che sono costretto finalmente a ridestarmi per cercare
di risponderle. E la risposta di Adamo è perfettamente emblematica, in quanto descrive con
precisione le tre fasi della caduta: esperienza di nudità – paura – nascondimento.
Cioè: esperienza della propria fragilità sganciata da un Amore più grande che avrebbe voluto
colmarla, dunque paura, dunque nascondimento da se stessi e da Dio, mediante l’evasione, le
maschere, lo stordimento, la rimozione, la negazione, ecc.
Ogni volta che Dio pone una domanda di questo genere non è perché l'uomo gli faccia conoscere
qualcosa che lui ancora ignora: vuole invece provocare nell'uomo una reazione suscitabile per
l'appunto solo attraverso una simile domanda, a condizione che questa colpisca al cuore l'uomo e
che l'uomo da essa si lasci colpire al cuore. Adamo si nasconde per non dover rendere conto, per
sfuggire alla responsabilità della propria vita. Così si nasconde ogni uomo, perché ogni uomo è
Adamo e nella situazione di Adamo. Per sfuggire alla responsabilità della vita che si è vissuta,
l'esistenza viene trasformata in un congegno di nascondimento. [...] Si crea in tal modo una nuova
situazione che, di giorno in giorno e di nascondimento in nascondimento, diventa sempre più
problematica. È una situazione caratterizzabile con estrema precisione: l'uomo non può sfuggire
all'occhio di Dio ma, cercando di nascondersi a lui, si nasconde a se stesso. Anche dentro di sé
conserva certo qualcosa che lo cerca, ma a questo qualcosa rende sempre più difficile il trovarlo.
Ed è proprio in questa situazione che lo coglie la domanda di Dio: vuole turbare l'uomo,
distruggere il suo congegno di nascondimento, fargli vedere dove lo ha condotto una strada
sbagliata, far nascere in lui un ardente desiderio di venirne fuori. A questo punto tutto dipende dal
fatto che l'uomo si ponga o no la domanda. [...] Finché [nega la domanda], la vita dell'uomo non
può diventare cammino. Per quanto ampio sia il successo e il godimento di un uomo, per quanto
vasto sia il suo potere e colossale la sua opera, la sua vita resta priva di un cammino finché egli non
affronta la voce. Adamo affronta la voce, riconosce di essere in trappola e confessa: "Mi sono
nascosto". Qui inizia il cammino dell'uomo. (M. Buber, Il cammino dell'uomo)
TU, DOVE SEI?