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Per uno statuto dell’eremita


di Jean Beyer, S.I.

Gli eremiti nella Chiesa latina sono sempre più numerosi e co-
stituiscono una forza per il rinnovamento ecclesiale. Essi riprendono
un’antica forma di vita consacrata – forse la prima – quella che fece
nascere in seguito il monachesimo cenobitico. Questa forma di vita
consacrata, sia dal punto di vista storico, sia dal punto di vista spiri-
tuale, è fondamentale; e risponde al desiderio di un dono totale di sé
al Signore – «Soli Deo» – desiderio che si trova all’origine di tutta la
vita consacrata, sia apostolica, sia secolare.
Gli Istituti Secolari vivono una forma di vita consacrata persona-
le, nel mondo, spesso condotta nella più grande discrezione e, in cer-
ti ambienti, anche in segreto. Essi trovano nell’ideale della vita solita-
ria il senso e il significato primario della loro vita, il suo valore e la
sua forza. Non conoscono alcuna forma di vita comune, e molto
spesso nessuna coabitazione dei loro membri. Questa esigenza di si-
lenzio, di solitudine, di discrezione e di nascondimento rende la loro
vita molto vicina a quella degli eremiti, i quali, per contro, hanno
spesso una testimonianza esterna da portare attraverso la loro pre-
senza, il loro abito, la loro dimora nei posti più lontani.

Uno statuto personale


Rispondendo ad un appello divino particolare, l’eremita deve
specificare il suo modo di vita solitaria. Ad ogni eremita conviene, fin
dall’inizio, avere uno statuto personale. Questo statuto determina i
suoi obblighi, i suoi tempi di preghiera, di riflessione, di studio, di la-
voro; il suo modo di vita, le sue risorse, quelle che spesso gli deriva-
no da un lavoro manuale; la maniera di essere retribuito per ciò che
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fa; stabilisce ciò che può vendere e ciò che deve ottenere per far
fronte ai suoi bisogni e non essere di peso ad altri.
Questo statuto personale sarà sottoposto a un consigliere spiri-
tuale che conosce questo genere di vita consacrata, le sue esigenze e
i suoi pericoli. È vero che si trova difficilmente un’esposizione con-
creta su questa materia, ma tuttavia è importante e può facilitare la
messa in pratica, equilibrata e saggia di un cammino di vita persona-
le, adattato alle persone e alle circostanze.

Il luogo di eremitaggio
È anzitutto importante il luogo scelto dall’eremita per condurvi
una vita in vera solitudine. Certe diocesi hanno la possibilità di offri-
re agli eremiti dei luoghi di silenzio e di solitudine di notevole valo-
re. Così hanno potuto ricevere molti eremiti, e certi vescovi diocesa-
ni hanno acquisito a poco a poco un’esperienza preziosa per la ricer-
ca nuova sulla vita eremitica.
In tal modo si trovano degli eremiti in montagna, lungo il mare
o lungo un lago; su un’isola; ma anche in mezzo alla città, in un edifi-
cio a più piani, dove quello più alto permette di vivere in pieno silen-
zio e di avere una vista libera, estesa, necessaria per il riposo e la di-
stensione dello spirito.
In ogni caso bisogna determinare: l’estensione dell’eremo, il nu-
mero delle camere auspicabile di cui può e deve disporre colui che si
ritira in solitudine: la camera per lo studio, la cucina, la stanza da ba-
gno, la camera da letto. Spesso un certo spazio è necessario per orga-
nizzare un laboratorio, prevedere una biblioteca, avere un luogo dove
riporre gli strumenti che si usano per un lavoro specializzato ma sem-
plice: un lavoro di cultura o di artigianato; di scultura o di pittura.

Lavoro manuale e mezzi di sussistenza


Un lavoro manuale è consigliabile e se ne deve prevedere uno
perché permette, se possibile, un esercizio fisico sufficiente, una di-
stensione quotidiana. Più questo lavoro è semplice e meglio si presta
a continuare una preghiera meditativa, litanica o tematica; una pre-
ghiera continua, ripetuta, a poco a poco semplificata, senza troppe
parole, fino a divenire una aspirazione regolare che fissa lo spirito in
un’attenzione più contemplativa.
Delicata è la scelta dei mezzi di sussistenza. Bisogna prevedere
di che cosa vivere, per evitare la mendicità, l’andare a porta a porta,
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la questua; a meno che ciò non sia fatto da altri, in maniera discreta,
anonima, per gli eremiti della regione. Potrebbe essere questo il pro-
getto di un parroco che ha più eremiti sul territorio della sua parroc-
chia, in montagna.
Se l’eremita non vuole essere di peso ad alcuno e vive del suo
lavoro, deve pensare a come renderlo fruttuoso; deve provvedere a
vendere certi oggetti, soprattutto se hanno un valore pratico o perfi-
no artistico. Questa vendita può essere fatta per interposta persona
che si assume generosamente l’incarico.
Più difficile, ma non impossibile, è un lavoro regolare di tradu-
zione. Bisogna tener conto dei testi da tradurre, dei loro contenuti.
Questi testi saranno preferibilmente di carattere spirituale, e consoni
ad una vita di orazione. In ogni caso devono essere adatti ad una vita
di orazione in solitudine e non possono far perdere l’attenzione ri-
chiesta per essere «eremiti di cuore e di spirito».

Scelta dell’abito e discrezione di vita


Più personale è la scelta dell’abito. Questo può riprendere certi
usi monastici; il suo colore sarà discreto; la sua qualità sarà espres-
sione di distacco, di povertà, di rinuncia, segno di questo ritiro dal-
l’ambiente sociale, a meno che in piena città l’eremita abbia bisogno,
almeno per uscire, di avere un vestito semplice e che non attiri l’at-
tenzione, anche se non sottolinea esteriormente il senso di questa vi-
ta nascosta e solitaria.
La discrezione impone all’eremita molte esigenze da rispettare
e scelte da fare. In certi casi egli preferirà non farsi conoscere al cle-
ro e al vescovo del luogo. Secondo il diritto, per dare un valore «pub-
blico» ai suoi impegni, dovrà compierli con l’approvazione del vesco-
vo e nelle sue mani (c. 603). È tuttavia falso credere che un tale im-
pegno sia per sé più valido, più esigente. Può essere preso e,
soprattutto all’inizio, va rinnovato, nel silenzio, durante l’Eucaristia; e
si fa con l’accordo del consigliere spirituale che aiuta l’eremita nella
sua vita di preghiera e di silenzio solitario.

Vita eucaristica in solitudine


Secondo un’antica tradizione, l’eremita può unirsi all’Eucaristia
celebrata senza esservi presente. Oggi si consiglia di fare la comu-
nione in maniera regolare; questo può essere facilitato avendo nel
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luogo di eremitaggio le Sacre Specie. Questo permette anche l’ado-


razione eucaristica regolare, anche se non continua.
Il luogo in cui deporre le Specie Eucaristiche deve essere de-
gno; deve facilitare la preghiera e l’adorazione, a meno che la discre-
zione non esiga una maniera più nascosta per conservarle.
Da questo punto di vista un prete eremita ha più possibilità,
sebbene egli debba prevedere come fare la celebrazione eucaristica,
come procurare ostie e vino da Messa e come – se lo vuole – avere
intenzioni per le Messe, utili a far fronte ai bisogni, peraltro minimi,
di una vita volontariamente semplice e povera.
Se l’eremita ha il suo oratorio, vigilerà per tutto ciò che gli per-
mette una liturgia conforme alle esigenze di un culto regolare e de-
gno. Ciò comporta ugualmente la cura della biancheria d’altare ne-
cessaria alla celebrazione eucaristica. Il luogo di eremitaggio deve
perciò essere situato in un ambiente favorevole per rispondere al
meglio a queste esigenze senza perdere la solitudine necessaria.
Gli eremiti si sono dapprima ritirati nel deserto. Questa solitu-
dine totale non aveva che dei vantaggi; ma comportava dei reali peri-
coli. Oggi si possono trovare altre forme di vita che permettono un
migliore adattamento alla preghiera personale, a un’esistenza più
esigente, soprattutto dal punto di vista sacramentale.
La solitudine della donna eremita è più dipendente dal ministe-
ro ordinato. Essa suppone una relazione col parroco o col vicario
parrocchiale del posto di culto più vicino.
L’eremita si vede oggi confrontare con delle cose che si impon-
gono. La corrispondenza, le riviste, l’invio di libri può compromette-
re la discrezione della sua solitudine e del suo silenzio. Spesso si do-
vrà rinunciare ad ogni spedizione postale diretta per meglio rispon-
dere alle esigenze di una vera vita eremitica.
Quanto alla direzione personale, quella che ha portato alla scel-
ta di vita non dovrà necessariamente mantenersi se non è per corri-
spondenza. Ma può essere più diradata e divenire persino inutile, so-
prattutto se l’eremita trova negli autori spirituali il modo di compiere
un discernimento valido.

L’orario quotidiano
Preparando il suo statuto l’eremita metterà una cura particolare
nel determinare l’orario quotidiano, per assicurarsi un ritmo di vita
sano ed equilibrato, necessario per vivere un’esistenza di solitudine
e di silenzio che vuole essere davvero contemplativa.
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L’orario dev’essere anzitutto adatto alla persona. Non deve esse-


re scelto come penitenza e presentare, per questo fatto, difficoltà
particolari. La sua regolarità pone già delle esigenze poco comuni di
attenzione e di fedeltà, di cui all’inizio non si è coscienti fino in fon-
do. Quindi non bisogna imporsi un orario difficoltoso pensando che
questa sia l’espressione di un dono totale più esigente.
La preghiera notturna è spesso per la vita eremitica un elemen-
to fondamentale. Questa preghiera può essere determinata più esat-
tamente rispetto ai tempi passati ma non può certamente impedire il
riposo necessario, senza del quale la preghiera perde la sua qualità.
Il ritmo dei tempi di veglia e di sonno deve adattarsi alle esigenze di
salute dell’eremita. Un eremita può non avere una salute robusta; e
quindi se dovesse rinunciare al ritmo della vita certosina, nulla gli
impedisce di trovare un orario adattato alla sua salute, al suo equili-
brio, soprattutto nervoso.
L’orario che l’eremita si sceglie comporta anzitutto una scelta di
preghiera. La solitudine non esige la recita dell’ufficio divino. Si può
benissimo essere donati interamente a Dio senza imporsi questa esi-
genza. Ma è vero che questa recita dell’ufficio assicura, durante la
giornata e la notte, un orario proprio e variato che, nella maggior
parte dei casi, è alquanto apprezzato.
Il Mattutino può essere recitato a metà della notte. Il breviario
attuale ha fortemente ridotto il numero dei salmi di quest’ora canoni-
ca. Il libro delle ore certosino permette una preghiera più prolungata
e più ricca di letture adattate, di salmi più numerosi, da dodici a di-
ciotto secondo i tempi liturgici. Se l’Ufficio della notte che si è scelto
è breve, come è attualmente quello delle letture, si può prolungare
questa veglia con una preghiera meditativa: «Lectio divina», preghie-
ra vocale, litanie o invocazioni semplici e ripetute.
Le Lodi mattutine dovranno essere recitate all’inizio della gior-
nata. La recita a quest’ora può fare difficoltà se si prevede un riposo
sufficiente dopo l’ufficio della notte. I certosini cantano quest’ora su-
bito dopo l’ufficio della notte; e questo permette loro un secondo
momento di riposo dalle due alle sei e trenta. I trappisti cominciano
l’ufficio della notte alle tre del mattino; è seguito da un’ora di «Lec-
tio» che precede le Lodi mattutine recitate in un’ora che normalmen-
te a loro conviene.
Le ore minori scandiscono il resto della giornata: Prima, Terza,
Sesta e Nona. Qui ancora gli orari sono da stabilirsi secondo la possi-
bilità di partecipare o meno all’Eucaristia, talora quotidiana.
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La disposizione delle ore canoniche deve tener conto del ripo-


so. Anche in questo caso i certosini e i trappisti sono i più capaci
nell’inquadrare una vita solitaria anche se hanno usi differenti. In
Certosa un primo riposo è previsto dopo l’ora Sesta; un secondo va
fatto dopo i Vespri. Nella Trappa dopo l’ora Prima si fa la colazione
mattutina e dopo si recita l’ora Terza. In certi giorni in Certosa non
si prende che pane ed acqua, particolarmente il venerdì.
Prima di coricarsi si recita Compieta. Questo momento è fissato
in maniera differente a seconda dell’ora dell’ufficio della notte. In
Certosa si riposa per quattro ore prima dell’ufficio notturno e all’in-
circa per altre quattro ore dopo questo ufficio; nella Trappa ci si ri-
posa fino alle tre del mattino.
Tutti questi punti devono tener conto della salute dell’eremita,
della sua età, del lavoro che deve fare per vivere, del tempo che vuo-
le prevedere per la preghiera prolungata durante la giornata, dei
tempi destinati a una «Lectio divina» prolungata perché sia fruttuo-
sa. Una stabilità d’orario è in ogni modo auspicabile; può essere sta-
bilita dopo un periodo di esperienza, all’inizio della vita eremitica;
non può essere cambiata né troppo spesso, né troppo in fretta. Con
l’età subisce degli adattamenti necessari, ma ciò non vuol dire che si
accorciano i tempi della preghiera e della orazione.

La recita dei salmi


Che fare se non si recita l’ufficio del giorno, la Liturgia delle
Ore? Questa scelta è possibile; risponde spesso ad una forma di pre-
ghiera che fu quella antica degli eremiti. Sovente, in questi casi, si
mantengono le Lodi, i Vespri e la Compieta. Si può seguire un’altra
via? Sì, se l’eremita, pregando i salmi, li dispone secondo un’attitudi-
ne di penitenza, di lode e di adorazione. E d’altronde è facile in que-
sti casi segnalare qualche salmo da recitare 1.

1
Ci si può ispirare a questo esempio di recitazione salmodica, adattata a una vita di silenzio e di solitu-
dine:
A. Salmo di introduzione: 95 (94), o 117 (116);
B. Due serie di dodici salmi; possono essere recitati di notte, il mattino o la sera:
1) 24 (23), 63 (62), 66 (65), 92 (91), 93 (92), 96 (95), 97 (96), 100 (99), 111 (110), 113 (112), 117 (116),
122 (121);
2) 2, 110, 8, 11 (10), 16 (15), 19 (18), 21 (20), 28 (27), 33 (32), 46 (45), 47 (46).
C. Si può concludere ogni serie con i sei salmi di lode, che si recitano alla fine delle Lodi ogni mattina;
sono i seguenti: 145 (144), 147 (146-147), 148, 149, 150.
D. Questi stessi salmi possono essere ripresi alla fine di un Ufficio breve, situato verso mezzogiorno. I
salmi di questo Ufficio sono i seguenti: 135 (134), 136 (135), 138 (137).
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Questa recita dei salmi secondo tre o quattro temi importanti,


permette di apprezzare meglio il loro valore, di fare una preghiera
sempre più personale, di recitarli a memoria, di fissare l’attenzione a
partire dal testo sul mistero dell’amore trinitario al quale si indirizza
e nel quale ci si lascia lentamente introdurre e avvolgere.

La «Lectio divina»
Se la giornata non è interrotta dalla recita delle ore dell’ufficio
divino, un tempo più lungo può essere dato ad una «Lectio divina»
più intensa, più trasformante. La «Lectio divina» è visibilmente una
lettura che si fa sotto la forza e l’ispirazione dello Spirito Santo, che
vivifica e illumina queste parole ispirate. Essa è così sempre meglio
adattata alla persona, alle grazie dell’orazione; e anima una vita pie-
namente donata al Signore per il bene della sua santa Chiesa.
La «Lectio divina», vista la sua forza ispiratrice, ha sempre di
più un posto particolare – per non dire principale – in una vita di si-
lenzio e di solitudine. Il suo oggetto primario è la Parola ispirata.
Nessun libro di spiritualità può sostituire questo testo unico. Letta
con attenzione, la Scrittura permette a colui che la legge di mettersi
sempre più coscientemente sotto l’influenza dello Spirito. Ecco per-
ché essa è «divina» per eccellenza, vista la sua origine, il suo conte-
nuto, il suo influsso. Altri libri, commentari e studi particolari, posso-
no completarla; mai possono sostituirsi ai Libri sacri. Scegliendoli si
manterrà una linea spirituale fondamentale. Una spiritualità carmeli-
tana, francescana, salesiana, dev’essere rispettata come via più mar-
cata. Queste spiritualità sono state peraltro vissute sotto forma di vi-
ta claustrale: il Carmelo, i monasteri delle Clarisse e della Visitazio-
ne. Altre famiglie monastiche più recenti si ispirano volentieri alla
tradizione certosina che resta la più fortemente marcata come vita
eremitica, anche se vissuta in monastero.
Le tappe della «Lectio» saranno sempre più affermate, adattan-
dosi alla persona, alla sua vocazione, alla sua chiamata, alla sua gra-
zia particolare e alla sua missione.
Esse si concatenano secondo uno sviluppo personale della pre-
ghiera. La «Lectio» conduce alla «Meditatio», chiamata «Ruminatio»,
soprattutto se essa fissa certe parole che vengono ripetute e riprese
lungo il corso della giornata. Essa diviene «Oratio», cioè preghiera
semplice, preghiera del cuore, preghiera di unione a Dio e di abban-
dono al suo Amore. La tradizione certosina esprime in più un’ultima
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tappa, la «Contemplatio». Questa permette un riposo in Dio più


profondo del semplice abbandono e più fissato in Dio stesso, nella
ricchezza dei suoi doni, quelli delle persone divine che vivono un so-
lo Amore in mutua dipendenza nell’unità della loro vita e della loro
visione.
Quest’ultima tappa permette di superare i testi letti, i loro ele-
menti storici o dottrinali, per trovare in Dio-Amore la partecipazione
gratuita alla sua vita e alla sua estensione al mondo creato e salvato
attraverso uno stesso amore trinitario. Essa semplifica la visione del-
l’uomo che prega nella unità della vita divina, dono d’amore trinitario.

La vita eremitica conduce a un ritmo personale di vita contem-


plativa, che ammette regolarità e flessibilità. Questo equilibrio ne-
cessario deve essere il frutto di un tirocinio; all’inizio va sottoposto
alla verifica di un consigliere avveduto, capace di discernere e di in-
segnare le vie di Dio 2. E questo tanto nella orazione quanto in tutta
la vita eremitica con il suo lavoro appropriato; i suoi necessari spo-
stamenti, ma da ridursi il più possibile; i contatti spesso inevitabili,
ma che possono determinare le esigenze della solitudine e le profon-
dità di un silenzio che si vuole tutto orientato a Dio, per la salvezza
del mondo.

JEAN BEYER, S.I.


Piazza della Pilotta, 4
00187 Roma

2
Per la vita di orazione si consiglia il libro di Pierre Ioseph Picot de Clorivière, Prière et Oraison, Paris,
DDB, 1961, 232 p.; versione italiana: Preghiera e orazione, Ed Paoline, 1964, 209 p.

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