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è un uomo alla deriva, sconvolto dalla perdita di una figlia. Un giorno trova
tra la posta un biglietto misterioso: qualcuno che si firma Pa, nomignolo con cui la
moglie di Mack si rivolge a Dio, lo invita a recarsi “al rifugio”, il luogo in cui la
piccola Missy ha trovato la morte, uccisa da un maniaco. Mack è chiamato a fare i
conti con un passato che non lo abbandona e con quella sofferenza che ha
silenziosamente scavato un solco tra lui e Dio. Con il ritmo di un thriller e la
magia di una favola, Il rifugio commuove e incanta, e insegna che il dolore è
spesso una strada per arrivare a se stessi.
Scritto dall’autore come regalo per i figli e pubblicato a sue spese, questo
romanzo ha ottenuto un immediato successo vendendo oltre sette milioni di copie
in pochi mesi: perché le domande intorno a cui ruota sono quelle cruciali per ogni
essere umano.
“Il rifugio è stato per mesi in vetta a tutte le classifiche. Chi l’ha letto ne ha
regalate almeno dieci copie: è un libro da condividere.”
The New York Times
W. Paul Young è nato in Canada ed è cresciuto in Nuova Guinea, dove i genitori
lavoravano come missionari. Studioso di teologia, vive sulla costa nord-
occidentale degli Stati Uniti con la moglie e i figli.
W. Paul Young
In collaborazione con Wayne Jacobsen
e Brad Cummings
Il rifugio
Traduzione di Michele Foschini
Rizzoli
Questa storia è stata scritta per i miei bambini:
e poi, a
ISBN 978-88-58-64008-1
www.bur.eu
Chi non sarebbe scettico, sentendo qualcuno sostenere di aver trascorso un intero
fine settimana insieme a Dio e, come se non bastasse, in un rifugio? E in quel
rifugio, per di più.
Conosco Mack da più di vent’anni, dal giorno in cui ci presentammo entrambi
alla porta di un vicino per aiutarlo a raccogliere il fieno del suo campo, per le sue
due vacche. Da allora ci siamo frequentati piuttosto spesso, per condividere una
tazza di caffè o, nel mio caso, di chai bollente con latte di soia. Le nostre
conversazioni mi danno una grande gioia; sono interrotte da continue risate e, a
volte, da qualche lacrima. Per dirla tutta, più diventiamo vecchi più ci piace stare
insieme, non so se sia mai successo anche a voi.
Il suo nome per intero è Mackenzie Allen Phillips, anche se quasi tutti lo
chiamano Allen. È una tradizione di famiglia: gli uomini portano tutti lo stesso
primo nome, ma vengono chiamati con il secondo, probabilmente per evitare
aggiunte snob come I, II e III, o Junior e Senior. È un metodo che funziona anche
per identificare subito quelli che telefonano per venderti qualcosa, soprattutto se
ti si rivolgono come se fossero i tuoi migliori amici. Così lui e suo nonno, suo
padre e ora il suo figlio maggiore sono tutti Mackenzie, ma vengono chiamati
quasi sempre con il secondo nome. Solo Nan, sua moglie, e gli amici più cari gli
si rivolgono con il nomignolo Mack (anche se ho sentito perfetti sconosciuti
gridargli: «Ehi, Mack, dove hai imparato a guidare?»).
Mack viene dal Midwest, è un ragazzo di campagna nato in una famiglia di
irlandesi d’America con i calli alle mani e regole rigorose. Benché pretendesse di
essere molto religioso, suo padre, un uomo severo e bacchettone, beveva in
segreto, soprattutto quando la pioggia non arrivava, o arrivava troppo presto, e
quasi sempre tra una pioggia e l’altra. Mack non parla spesso di lui, ma quando lo
fa il suo volto si prosciuga di ogni espressione, come se stesse calando la marea,
e gli occhi gli diventano scuri e senza vita. Dalle poche storie che mi ha
raccontato ho capito che suo padre non era un alcolizzato di quelli che si
addormentano felici la sera, ma uno di quelli che picchiano la moglie e poi
chiedono perdono a Dio.
Le cose erano precipitate quando, a tredici anni, Mackenzie si era sfogato con
un catechista della parrocchia, durante un ritiro. Sopraffatto dall’emozione, aveva
confessato tra le lacrime di non aver fatto nulla per aiutare sua madre nelle
numerose occasioni in cui il padre, ubriaco, l’aveva picchiata fino a farle perdere
i sensi. Quello che non aveva preso in considerazione era che la persona con cui
si era confidato era un collega di lavoro del padre e frequentava la stessa chiesa.
Così, quando era tornato a casa l’aveva trovato sulla porta d’ingresso ad
attenderlo, mentre mamma e le sue sorelle non c’erano. Aveva appreso in seguito
che erano state mandate in tutta fretta dalla zia May perché suo padre fosse libero
di impartire al figliolo ribelle una lezione sul rispetto. Per quasi due giorni, legato
alla grande quercia dietro casa, era stato preso a cinghiate alternate a versetti
della Bibbia, ogni volta che il padre si svegliava dal torpore abbastanza a lungo
da posare la bottiglia.
Due settimane dopo, quando era stato in grado di mettere di nuovo un piede
davanti all’altro, se n’era semplicemente andato di casa. Prima di farlo, però,
aveva versato veleno per topi in ogni bottiglia di liquore trovata nella fattoria.
Poi aveva disseppellito dal prato accanto al capanno la scatola di latta con tutti i
suoi tesori: una foto di famiglia in cui tutti strizzavano gli occhi guardando il sole
(suo padre era l’ultimo a destra), una figurina del baseball del 1950, il primo
anno di campionato di Luke Easter, una bottiglietta con circa due dita di Ma Griffe
(l’unico profumo che sua mamma avesse mai posseduto), una matassa di lana e un
paio di aghi, un piccolo caccia F-86 della U.S. Air Force in metallo, e i risparmi
di una vita, quindici dollari e tredici centesimi. Era rientrato in casa di soppiatto
e aveva lasciato un biglietto sotto il cuscino di mamma, mentre suo padre russava,
nuovamente sbronzo. Il biglietto diceva solo: SPERO CHE UN GIORNO MI
PERDONERAI. Giurò di non guardarsi mai indietro, e non lo fece, per moltissimo
tempo.
A tredici anni non si è affatto adulti, ma Mack non ha avuto altra scelta se non
adattarsi in fretta. Non parla molto degli anni che seguirono. Ha trascorso la
maggior parte del tempo all’estero, lavorando nei luoghi più disparati e mandando
soldi ai nonni, che li facevano avere a sua madre. Credo si sia procurato una
pistola durante un conflitto in uno di quei Paesi lontani; da che lo conosco, ho
sempre saputo del suo viscerale odio per la guerra. Alla fine del suo peregrinare,
è finito in un seminario in Australia. Quando si è stancato della teologia e della
filosofia, è tornato negli Stati Uniti, ha fatto pace con la madre e le sorelle e si è
trasferito in Oregon, dove ha conosciuto e sposato Nannette A. Samuelson.
In un mondo di chiacchieroni, Mack è uno che pensa e agisce. Non dice molto,
se non gli rivolgi qualche domanda diretta, e la maggior parte della gente ha
imparato a evitare di farlo. Quando parla, viene da domandarsi se non sia una
specie di alieno, che osserva il panorama delle idee e delle esperienze umane in
modo diverso da tutti gli altri.
Il fatto è che ciò che esprime ha perfettamente senso, e per questo risulta
scomodo alle orecchie di gente che preferirebbe sentirsi ripetere le solite cose,
ovvero sciocchezze. Chi lo conosce di solito lo apprezza, a patto che tenga i
propri pensieri per sé. E quando parla non è che piaccia meno, è che chi lo
ascolta si piace improvvisamente un po’ meno.
Una volta mi ha raccontato che quando era più giovane diceva spesso quel che
gli passava per la testa. Per sua stessa ammissione, era un meccanismo di difesa
per coprire le ferite; spesso finiva con il confessare i propri dolori a chiunque gli
capitasse a tiro. Ma era anche capace di mettere a nudo le debolezze degli altri,
umiliandoli, per non perdere il proprio senso di falso potere, di controllo. Non
era certo una caratteristica piacevole.
Mentre scrivo queste parole, rifletto sul Mack che ho sempre conosciuto: una
persona normale, speciale solo per chi lo capisce davvero bene. Sta per compiere
cinquantasei anni ed è privo di segni particolari: basso, di carnagione chiara,
lievemente sovrappeso, con una calvizie incipiente; somiglia a molti uomini di
queste parti. Tra la folla probabilmente non lo notereste, e non vi sentireste a
disagio sedendovi accanto a lui mentre sonnecchia sulla metropolitana durante la
sua spedizione settimanale in città per una vendita. Per lo più lavora in un piccolo
ufficio ricavato in casa sua, in Wildcat Road. Vende articoli ad alta tecnologia,
gadget che non fingerò di capire: oggetti elettronici che fanno andare la vita più
veloce, come se non scappasse già via abbastanza in fretta.
Non ti rendi conto di quanto sia intelligente, se non ti capita di ascoltare una
sua conversazione con un esperto. A me è successo: i termini che utilizza non
sembrano appartenere alla nostra lingua, e mi ritrovo a cercare di trattenere i
concetti, che sgorgano come un ruscello di pietre preziose. Parla con intelligenza
di quasi ogni argomento, e anche se si capisce subito che ha convinzioni radicate,
ha un modo gentile di esporle che ti permette di tenerti le tue.
Ama discutere di Dio, della Creazione e del perché la gente fa ciò che fa. Gli
occhi gli si accendono, gli angoli della bocca si tendono in un sorriso e di colpo,
come se fosse un bambino, la stanchezza gli scivola di dosso e lui diventa senza
età, incontenibile. Allo stesso tempo, però, non è particolarmente religioso.
Sembra avere un rapporto di amore-odio con la religione, e forse perfino con
Dio, che sospetta distante, imbronciato, distaccato. La corazza del suo riserbo a
volte si incrina: il sarcasmo di Mack è come la punta di una freccia avvelenata,
intinta in un rancore molto profondo. Anche se a volte frequentiamo insieme la
stessa chiesa biblica (la 55a Assemblea Indipendente di San Giovanni Battista,
come ci piace chiamarla), mi rendo conto che lui non si sente del tutto a suo agio,
lì.
È sposato con Nan da trentatré anni, per la maggior parte felici. Dice che lei gli
ha salvato la vita, e che le è costato un prezzo altissimo. Per qualche strana
ragione lei sembra amarlo ora più che mai, anche se ho la sensazione che nei
primi anni lui l’abbia davvero fatta star male. Immagino che come i nostri dolori
derivano quasi sempre dalle relazioni, lo stesso valga per le cose che ci
permettono di guarire, e so che per chi guarda da fuori la Grazia non è facile da
capire.
In ogni caso, Mack è sposato. Nan è la malta che tiene insieme l’edificio della
loro famiglia. Se Mack si è fatto strada in un mondo con molte sfumature di grigio,
quello di lei è per lo più in bianco e nero. Il buonsenso è così naturale, per Nan,
che non lo riconosce nemmeno come un dono. Per occuparsi della famiglia ha
rinunciato al sogno di diventare medico, ma come infermiera ha ottenuto le sue
soddisfazioni, soprattutto da quando ha scelto di lavorare accanto ai malati
terminali nel reparto di oncologia. Se il rapporto di Mack con Dio è ampio,
quello di Nan è profondo.
Questi due individui non molto bene assortiti hanno cinque figli
straordinariamente belli. Mack ama dire che hanno preso da lui, «… perché Nan
la sua bellezza ce l’ha ancora tutta». Due dei tre maschi ormai vivono fuori casa:
Jon, sposato da poco, lavora nell’ufficio vendite di una ditta del posto, e Tyler,
neolaureato, è all’università per conseguire una specializzazione. Josh e una delle
due ragazze, Katherine (Kate), sono ancora in casa e frequentano il college
pubblico della città. Poi c’è la ritardataria, Melissa, o Missy, come ci piaceva
chiamarla. Lei… be’, ne saprete di più nelle prossime pagine.
Gli ultimi anni sono stati – come dire? – decisamente strani. Mack è cambiato;
ora è diverso e più speciale di prima. Si è sempre dimostrato un’anima gentile e
buona, ma da quando è finito in ospedale, tre anni fa, è diventato ancora più
buono. È uno di quei rari individui completamente a loro agio nella propria pelle.
E con lui io mi sento a mio agio come non mi succede con nessun altro. Quando ci
salutiamo, ho la sensazione di aver appena avuto la miglior conversazione della
mia vita, anche se di solito parlo quasi sempre io. E per quanto riguarda
l’argomento Dio, Mack non si muove più solo in ampiezza, ma è andato anche
parecchio in profondità. Però quell’immersione gli è costata cara.
Questi giorni sono molto diversi da quelli di sei o sette anni fa, quando la
Grande Tristezza era entrata nella sua vita e lui aveva quasi smesso del tutto di
parlare. Nello stesso periodo abbiamo smesso di vederci, come per un tacito
accordo. Lo incontravo solo di rado, al negozio di alimentari o, ancora più
raramente, in chiesa, e anche se ci abbracciavamo con affetto, non ci dicevamo
quasi nulla di importante. Faceva perfino fatica a guardarmi negli occhi; forse non
voleva addentrarsi in discorsi che gli avrebbero riaperto le ferite del cuore.
Però tutto è cambiato dopo un brutto incidente con… Ma ci sto ricascando, sto
nuovamente correndo troppo. Ci arriveremo al momento opportuno. Voglio solo
dire che questi ultimi anni sembrano aver ridato a Mack la sua vita, togliendogli
dalle spalle il peso della Grande Tristezza. Ciò che gli è successo tre anni fa ha
cambiato completamente la melodia della sua esistenza, ed è una canzone che non
vedo l’ora di suonare anche per voi.
Anche se comunica bene con le parole, Mack non si sente a suo agio con la
scrittura, mentre sa che io l’adoro. Così mi ha chiesto di raccontare questa storia
– la sua storia – al posto suo, «per i ragazzi e per Nan». In questo modo non solo
voleva esprimere la profondità del suo amore, ma anche raccontare ciò che era
successo dentro di lui, perché lo comprendessero. Conoscete tutti quel posto: è
quello dove ci siete solo voi, e forse Dio, se ci credete. Naturalmente forse Dio è
lì anche se non ci credete. Lui è fatto così. Non lo chiamano il Grande Impiccione
per niente.
Ciò che state per leggere è qualcosa che Mack e io abbiamo cercato di tradurre
in parole per mesi. È un po’, be’… no, è decisamente fantastico. Se alcune parti
del racconto siano vere o meno, non sarò io a deciderlo. Mi basta dire che forse
certe cose non sono scientificamente dimostrabili, ma possono ugualmente essere
vere. Ammetto in tutta onestà che avere un ruolo in questa storia mi ha cambiato
nel profondo, in spazi interiori in cui non ero mai stato e dei quali ignoravo
persino l’esistenza. Vi confesso che desidero con tutto me stesso che ogni parola
che Mack mi ha raccontato sia vera. Di solito gli credo, ma a volte, quando il
mondo visibile, fatto di cemento e computer, sembra essere l’unica realtà, perdo
fiducia e dubito di lui.
Un paio di avvertenze finali: se leggete questa storia e non vi piace, Mack vi
manda a dire: «Mi dispiace, ma non è stata scritta pensando a voi». Forse però è
vero il contrario. Ciò che state per leggere è ciò che Mack ricorda di quanto è
accaduto. Questa è la sua storia, non la mia, per cui le poche volte in cui apparirò
parlerò di me in terza persona, dal punto di vista di Mack.
La memoria è una compagna ingannevole, specialmente dopo l’incidente, e non
sarei troppo sorpreso di scoprire che in questo testo, nonostante i nostri tentativi
di essere accurati, sono presenti alcuni errori e imprecisioni. Non sono voluti. Vi
assicuro che i dialoghi e gli eventi sono riportati come Mack li ricorda, per cui vi
prego di essere pazienti con lui. Come capirete, non sono cose di cui è facile
parlare.
Willie
1
Un incrocio di sentieri
Mackenzie,
è passato un po’ di tempo. Mi sei mancato.
Sarò al rifugio il prossimo fine settimana, se hai voglia di incontrarmi.
Pa
* Due strade divergevano nel mezzo della mia vita, / sentii dire a un uomo saggio. / Presi quella meno battuta /
ed è questo che ha reso speciale questo viaggio.
2
Il punto di rottura
Il parco nazionale del lago Wallowa in Oregon e la zona circostante sono stati
definiti, a ragione, la Piccola Svizzera d’America. Irregolari catene di monti si
innalzano fino a tremila metri d’altitudine, e tra questi si aprono infinite vallate
solcate da torrenti, sentieri percorribili, prati spruzzati di fiori selvatici. Dal lago
Wallowa si accede all’oasi naturalistica di Eagle Cap e all’Hells Canyon
National Recreation Park, che può vantare la gola più profonda del Nordamerica.
Scavata nei secoli dallo Snake River, in certi punti è profonda tre chilometri e
larga quindici da sponda a sponda.
Nel settantacinque per cento dell’Hells Canyon non ci sono strade, ma in
compenso la zona è percorsa da millecinquecento chilometri di sentieri. Un tempo
territorio della tribù dei Nez Percé, porta ancora i segni del loro dominio, insieme
a quelli dei coloni bianchi che viaggiavano verso l’Ovest. La vicina cittadina di
Joseph si chiama così in onore di un potente capotribù il cui nome indiano
significa «Tuono che scende dalla montagna». L’area naturalistica ospita molte
specie vegetali e animali, tra cui alci, orsi, cervi e capre di montagna. La
presenza di serpenti a sonagli, soprattutto in prossimità dello Snake River, impone
la prudenza agli esploratori che decidono di inoltrarsi oltre i sentieri battuti.
Il lago Wallowa è lungo otto chilometri e largo uno e mezzo e si è formato,
secondo alcuni, dallo scioglimento di alcuni ghiacciai, nove milioni di anni fa.
Ora si trova a un paio di chilometri dalla cittadina di Joseph, a un’altitudine di
1200 metri. L’acqua, che per quasi tutto l’anno è fredda da mozzare il fiato, alla
fine dell’estate permette piacevoli nuotate, a patto che si resti vicino alla riva. Il
Sacagawea, che sfiora i tremila metri, guarda quel gioiello azzurro dalle sue vette
coperte di neve e dagli alberi a grande fusto.
Mack e i ragazzi riempirono i tre giorni successivi di giochi e divertimenti.
Missy, apparentemente soddisfatta delle risposte del padre, non parlò più della
principessa, nemmeno quando una delle loro passeggiate quotidiane li portò nei
pressi di alcune colline scoscese. Trascorsero qualche ora a bordo di una canoa,
costeggiando la sponda del lago, si impegnarono al massimo per vincere un
premio al minigolf, e fecero perfino un’escursione a cavallo. Dopo una gita
mattutina al Wade Ranch, a metà strada tra Joseph ed Enterprise, passarono il
pomeriggio a scorrazzare tra i negozi della stessa Joseph.
Di ritorno al lago, Josh e Kate si sfidarono sulla pista di go-kart. Fu Josh a
vincere, ma Kate ebbe di che vantarsi comunque perché nel tardo pomeriggio
pescò tre trote di dimensioni più che rispettabili. Missy ne prese una con il verme
sull’amo, mentre Josh e Mack rimasero a mani vuote, a dispetto delle loro esche
sofisticate.
Durante quel fine settimana, due famiglie si unirono come per incanto al mondo
dei Phillips. Come spesso accade, i primi a fare amicizia erano stati i ragazzi,
imitati ben presto dagli adulti. Josh aveva fatto di tutto per conoscere i Ducette, la
cui figlia più grande, Amber, aveva la sua età e, oltretutto, era molto carina. Kate
tormentava il fratello prendendolo in giro a ogni occasione, al che lui si ritirava
in tenda con passo teso e mugugnando. Amber aveva una sorella, Emmy, solo di
un anno più piccola di Kate, e le due passavano molto tempo insieme. Vicki ed
Emil Ducette venivano dal Colorado: Emil era un agente della polizia faunistica e
Vicki una casalinga che si dedicava alle faccende domestiche, tra cui J.J., di quasi
un anno, arrivato in modo inaspettato.
I Ducette presentarono a Mack e ai suoi figli una coppia canadese conosciuta
pochi giorni prima, Jesse e Sarah Madison. Erano semplici e cordiali, e Mack li
prese subito in simpatia. Facevano i consulenti privati: Jesse si occupava di
risorse umane e Sarah di change management. Missy si legò subito a Sarah, che la
accompagnava spesso all’accampamento dei Ducette per aiutare Vicki con J. J.
Il lunedì seguente era una splendida giornata e il gruppo allargato non vedeva
l’ora di salire sulla funicolare del lago Wallowa , che li avrebbe portati sulla
cima di Mount Howard, a 2400 metri sul livello del mare. Ai tempi della sua
inaugurazione, nel 1970, la funicolare vantava il percorso più ripido del
Nordamerica e più di sei chilometri di cavo. Il tragitto fino alla vetta durava circa
quindici minuti, in una cabina che si alzava dal terreno da uno a quaranta metri.
Invece di preparare un pranzo al sacco, Jesse e Sarah insistettero per invitare
tutti al rifugio Summit Grill. Il programma era di mangiare appena arrivati e
trascorrere il resto della giornata esplorando i cinque punti panoramici. Armati di
macchine fotografiche, occhiali da sole, bottiglie d’acqua e crema solare, a metà
mattina si incamminarono. Come previsto, al Grill consumarono un autentico
banchetto a base di hamburger, patatine e frappè alla fragola. L’altitudine doveva
aver stimolato l’appetito, perché perfino Missy fu in grado di spazzolare il suo
hamburger per intero, senza lasciare nemmeno una foglia di insalata.
Dopo pranzo fecero il giro dei punti di osservazione, e il tragitto più lungo fu
quello tra il Valley Overlook e lo Snake River Country & Seven Devils Lookout,
poco meno di due chilometri. Dal Wallowa Valley Overlook si vedevano Joseph,
Enterprise, Lostine e perfino Wallowa. Dal Royal Purple e dal Summit Overlook
godettero una visuale nitidissima sugli Stati di Washington e dell’Idaho. Ebbero
perfino la sensazione di riuscire a guardare oltre il manico di padella dell’Idaho,
fino al Montana.
Nel tardo pomeriggio erano tutti stanchi e felici. Missy, portata sulle spalle da
Jesse per gli ultimi due punti panoramici, si stava addormentando tra le braccia
del padre mentre scendevano traballando con la funicolare. I quattro più giovani,
insieme a Sarah, avevano appiccicato le facce ai vetri della cabina, rapiti dalla
meraviglia della discesa. I Ducette parlavano a bassa voce tenendosi per mano,
mentre J. J. sonnecchiava in braccio al papà.
Questo è uno di quei momenti rari e preziosi, pensò Mack, che ti colgono di
sorpresa e ti lasciano quasi senza fiato. Se ci fosse anche Nan sarebbe davvero
perfetto. Spostò il peso di Missy per farla stare più comoda, dato che si era
addormentata pesantemente, e per guardarla le scostò i capelli dal viso. La
polvere e il sudore della giornata, stranamente, non avevano ottenuto altro effetto
che quello di sottolinearne l’innocenza e la bellezza. «Ma siamo sicuri che
debbano proprio crescere?» scherzò, e la baciò sulla fronte.
Quella sera le tre famiglie unirono le provviste per un’ultima cena collettiva.
Insalata di taco come antipasto, verdure fresche e salsa. Chissà come, Sarah riuscì
a mettere insieme un dessert al cioccolato, con strati di panna montata, mousse,
brownie e altre delizie che saziarono tutti oltre ogni aspettativa.
Dopo aver sistemato gli avanzi nei frigoriferi da campeggio e aver
sparecchiato e pulito ogni cosa, gli adulti presero un caffè attorno al falò, mentre
Emil raccontava di quando lui e i colleghi avevano sventato una rete di
contrabbandieri di animali in via d’estinzione, e spiegava come facevano a
catturare bracconieri e cacciatori di frodo. Era un buon narratore, e i suoi
aneddoti erano davvero divertenti. Ascoltandolo, Mack si rese conto, una volta di
più, che c’erano tantissime cose al mondo di cui non sapeva praticamente nulla.
A sera inoltrata, i primi ad andare a letto furono Emil e Vicki, con il piccolo
che sbadigliava. Jesse e Sarah si offrirono di restare ancora prima di riportare le
ragazze Ducette alla loro piazzola. I tre ragazzi Phillips e le due Ducette
scomparvero immediatamente nella tenda, per raccontarsi storie e segreti.
Come succede spesso quando un falò brucia a lungo, la conversazione scivolò
ben presto dal faceto al personale. Sarah domandò a Mack del resto della
famiglia, e in particolare di Nan.
«Allora, com’è, Mackenzie?»
Mack era lieto di poter cantare le lodi della sua Nan. «Be’, è bella dentro e
fuori, e non lo dico così per dire, lo è davvero» alzò gli occhi, timido, e vide che
entrambi sorridevano. Gli mancava molto, ed era lieto che le tenebre
nascondessero il suo imbarazzo. «Il suo vero nome è Nannette, ma quasi tutti la
chiamano solo Nan. È piuttosto conosciuta nella comunità medica, per lo meno nel
Nordovest. È un’infermiera, lavora in oncologia, con i malati di cancro, insomma,
soprattutto con quelli terminali. È un lavoro duro, ma lei lo trova appagante. Ha
firmato un paio di pubblicazioni ed è stata invitata a intervenire in parecchi
congressi.»
«Davvero?» esclamò Sarah. «L’argomento?»
«Aiuta la gente a riflettere sul proprio rapporto con Dio davanti all’imminenza
della morte» rispose Mack.
«Mi piacerebbe saperne di più» intervenne Jesse, riattizzando il fuoco con un
bastone per rinvigorire la fiamma.
Mack esitò. Per quanto si sentisse insolitamente a proprio agio con quei due,
non li conosceva poi tanto, e la conversazione si era fatta più intima di quanto lui
gradisse. Pensò a una rapida risposta per placare la curiosità di Jesse.
«Nan è molto più brava di me a parlare di queste cose. Credo che pensi a Dio
in modo diverso rispetto alla maggior parte della gente. L’ha soprannominato Pa,
perché lo sente molto vicino a sé, se capite cosa intendo.»
«Certo» disse Sarah, mentre Jesse annuiva. «È un’abitudine di famiglia, quella
di chiamare Dio Pa?»
«No» rispose Mack, ridendo. «I ragazzi a volte lo fanno, ma io non li
incoraggio. È un appellativo un po’ troppo bizzarro per i miei gusti. E comunque
Nan ha un padre meraviglioso, per cui a lei viene più facile.»
Gli era sfuggito. Dentro di sé rabbrividì, nella speranza che nessuno se ne fosse
accorto. Jesse però lo stava fissando. «E tuo padre non era meraviglioso?» chiese
gentilmente.
«No.» Mack fece una pausa. «Immagino di no. È morto che io ero piccolo, per
cause naturali.» Rise, ma il suono era vuoto. Guardò gli altri due. «Si è ucciso a
forza di bere.»
«Ci dispiace» disse Sarah a nome di entrambi, e Mack capì che era sincera.
«Be’» continuò, sforzandosi nuovamente di ridere, «la vita a volte è dura, ma
ho molto di cui essere grato.»
Seguì un silenzio imbarazzato, mentre Mack si domandava perché quei due
individui fossero in grado di penetrare tanto facilmente le sue difese. Pochi istanti
dopo fu salvato da un nugolo di ragazzini che uscirono di corsa dalla tenda,
intrufolandosi tra gli adulti intorno al fuoco. Con immensa gioia di Kate, lei ed
Emmy avevano colto in flagrante Josh e Amber mano nella mano al buio, e ora
volevano dirlo a tutti. Josh era ormai così cotto da riuscire ad accettare la presa
in giro senza battere ciglio. La sorella non sarebbe riuscita in nessun modo a
togliergli quel sorriso ebete dal viso.
I Madison abbracciarono Mack e i bambini per augurare loro la buonanotte, e
prima di accomiatarsi Sarah lo strinse nuovamente a sé. Poi, tenendo per mano
Amber ed Emmy, si avviò nelle tenebre, verso la piazzola dei Ducette. Mack
rimase a guardarli finché i sussurri e il fascio della torcia non furono inghiottiti
dalla notte. Sorrise tra sé e si apprestò a condurre ai sacchi a pelo la sua piccola
mandria.
Dissero le preghiere, seguite dai baci della buonanotte e dalle risatine di Kate
che chiacchierava a bassa voce con il fratello maggiore che, di tanto in tanto,
diceva a voce più alta, per farsi sentire dagli altri: «Piantala, Kate. Davvero, sei
una peste!». Poi il silenzio.
Mack mise via ciò che poté al fioco bagliore delle lanterne e poi decise di
finire alla luce del giorno. Non intendevano partire prima del pomeriggio. Si
preparò un’ultima tazza di caffè e la sorseggiò davanti al fuoco, di cui ormai non
era rimasto che un cumulo di tizzoni ardenti. Com’era facile perdersi in un letto di
braci ondeggianti. «Era solo, eppure non si sentiva solo.» Non era un verso di
quella canzone di Bruce Cockburn, Rumors of glory? Non ne era certo, ma si
ripromise una volta a casa di controllare.
Seduto lì, incantato dal fuoco e avvolto nel suo calore, pregò, recitando per lo
più le preghiere del ringraziamento. Aveva ricevuto così tanto. Era stato
benedetto, sì, era quella la parola giusta. Era sereno, soddisfatto, colmo di pace.
Mack non lo sapeva, ma di lì a ventiquattro ore le sue preghiere sarebbero
cambiate, e drasticamente.
Il mattino seguente, benché caldo e soleggiato, non cominciò per il verso giusto.
Mack si era alzato presto per fare una sorpresa ai ragazzi con una bella colazione,
ma si bruciò due dita cercando di staccare due ciambelline rimaste appiccicate
alla padella. Reagendo d’istinto al dolore, aveva rovesciato fornello e padella, e
aveva lasciato cadere la ciotola del preparato sul terreno sabbioso. I ragazzi,
svegliati dal rumore, dai mugugni e dalle imprecazioni, avevano messo le teste
fuori dalla tenda per capire cosa stesse succedendo. Avevano iniziato a
ridacchiare non appena avevano capito la situazione, ma era bastato un «Ehi, non
è affatto divertente!» di Mack per farli tornare al riparo, anche se non erano
riusciti a smettere di ridere, e lo guardavano dalle finestrelle di rete.
Così la colazione, invece delle leccornie che lui aveva in mente, fu a base di
cereali con latte scremato freddo, dato che la maggior parte di ciò che restava era
stato usato per l’impasto delle ciambelle. Mack passò le due ore successive a
coordinare i lavori con due dita infilate in un bicchiere di acqua gelata, che Josh
rinfrescava di frequente con schegge di ghiaccio staccate dal blocco con un
cucchiaio. La voce doveva essersi sparsa, perché a un certo punto Sarah Madison
arrivò con un kit contro le ustioni e, dopo essersi fatto ungere le dita con un
liquido biancastro, Mack provò un discreto sollievo.
Quando Josh e Kate ebbero terminato i compiti assegnati, chiesero di andare
per l’ultima volta sul lago con la canoa dei Ducette, promettendo di mettersi i
giubbotti di salvataggio. Dopo il primo no di rito e le dovute suppliche, Mack
cedette, ripetendo per l’ennesima volta le regole di condotta e sicurezza in canoa.
Non era preoccupato. L’accampamento era a un tiro di schioppo dal lago, e
avevano promesso di non allontanarsi dalla riva. Li avrebbe tenuti d’occhio
mentre finiva di impacchettare le loro cose.
Missy era impegnata al tavolo: colorava il libro comprato alle Multnomah
Falls. Com’è carina, pensò, guardandola mentre riordinava il caos che aveva fatto
lui stesso ai fornelli. Indossava la sola cosa pulita che le fosse rimasta, un
prendisole rosso con fiori di campo ricamati, acquistato a Joseph il primo giorno
della vacanza.
Neanche un quarto d’ora dopo, Mack sentì una voce familiare chiamare
«Papà!» dal lago e alzò lo sguardo. Era Kate; lei e il fratello stavano pagaiando
come professionisti sullo specchio d’acqua. Come promesso avevano i giubbotti
di salvataggio; Mack li salutò con un cenno della mano.
È incredibile come un’azione apparentemente insignificante possa cambiare
intere esistenze. Sollevando la pagaia per ricambiare il saluto, Kate perse
l’equilibrio e fece inclinare la canoa. Un’espressione di terrore si dipinse sui loro
volti mentre lo scafo si rovesciava in silenzio, quasi al rallentatore. Josh cercò
disperatamente di mantenere l’equilibrio, ma era troppo tardi e scomparve alla
vista, in acqua. Mack stava già correndo verso la sponda, aspettando di vederli
riemergere. Kate ricomparve per prima, sputando e piangendo, ma di Josh
nessuna traccia. Poi, all’improvviso, ci fu un’esplosione d’acqua e gambe e a
Mack fu immediatamente chiaro che stava succedendo qualcosa di grave.
Si stupì nell’accorgersi che l’istinto di quando, da ragazzo, aveva fatto il
bagnino era ancora vigile. In pochi istanti si tolse scarpe e camicia e si tuffò. Non
fece nemmeno caso al gelo del lago e cominciò a coprire con ampie bracciate i
quindici metri che lo separavano dalla canoa, ignorando per il momento i
singhiozzi spaventati della figlia. Era concentrato su Josh.
Dopo aver preso fiato, si immerse. L’acqua era abbastanza limpida, con una
visibilità di circa un metro di profondità. Trovò Josh e capì qual era il problema.
Una delle cinghie del giubbotto si era impigliata nell’imbracatura della canoa. Per
quanto tirasse, neanche a lui riuscì di sganciarla, così fece cenno al figlio di
acquattarsi sotto lo scafo, dove c’era ancora aria respirabile. Ma il povero
ragazzo era in preda al panico e tirava alla cieca la cinghia che lo teneva
intrappolato sotto la canoa e sotto il pelo dell’acqua.
Mack riemerse, disse a Kate di nuotare fino a riva, inghiottì tutta l’aria che poté
e tornò sotto. Alla terza immersione, capì che il tempo era agli sgoccioli: poteva
continuare a cercare di liberare Josh, oppure poteva ribaltare la canoa. Poiché
Josh, terrorizzato, non gli permetteva di avvicinarsi, Mack scelse la seconda
opzione. Con l’aiuto di Dio e degli angeli, oppure di Dio e dell’adrenalina, non
l’avrebbe mai saputo, al secondo tentativo riuscì a rovesciare lo scafo, liberando
Josh.
Il giubbotto, finalmente in grado di fare ciò per cui era stato creato, teneva il
ragazzo a galla. Mack riemerse dietro Josh, che intanto aveva perso i sensi e
sanguinava per un taglio alla testa, provocato da un urto con la canoa quando
Mack l’aveva raddrizzata. Iniziò immediatamente a praticare al figlio la
respirazione artificiale, mentre altri, che avevano sentito le grida, accorsero a
tirare lui e la canoa verso la secca.
Incurante delle urla di chi berciava istruzioni e domande, Mack si concentrò sul
suo compito, mentre il panico gli montava in petto. Non appena i suoi piedi
ebbero toccato il fondale, Josh cominciò a tossire e a sputar fuori l’acqua e la
colazione. Tutti quanti proruppero in grida di gioia, ma a Mack non importava.
Sopraffatto dal sollievo per averla scampata per un pelo, iniziò a piangere e, un
attimo dopo, Kate gli si attaccò al collo, stringendolo e singhiozzando a sua volta.
Alla fine tutti ridevano, piangevano e si abbracciavano.
In qualche modo, tornarono a riva. Tra quanti erano stati attratti sul posto dal
rumore c’erano Jesse Madison ed Emil Ducette. Nel chiasso, Mack riuscì a
distinguere la voce di Emil che, come la cantilena di un rosario, sussurrava a
ripetizione: «Mi dispiace… mi dispiace… mi dispiace». Era la sua canoa.
Sarebbe potuto succedere ai suoi figli. Mack lo trovò, mise un braccio intorno al
collo dell’uomo più giovane e in tono risoluto gli disse all’orecchio: «Smettila!
Non è stata colpa tua, stiamo tutti bene». Emil iniziò a singhiozzare, le emozioni
improvvisamente libere di erompere dalla diga del senso di colpa e della paura.
Un pericolo era stato sventato. O per lo meno, questo era ciò che Mack
credeva.
4
La Grande Tristezza
Mack rimase sulla riva, in ginocchio, ancora ansante per lo sforzo. Passò qualche
minuto prima che gli venisse in mente Missy. Ricordò che stava colorando il suo
libro, così raggiunse un punto della sponda da cui poter vedere la piazzola, ma di
lei nemmeno l’ombra. Si precipitò alla tenda, ma lei non rispose. Non c’era. Il
cuore gli si fermò per un attimo, ma si disse che in tutta quella confusione
qualcuno doveva averla vista, magari Sarah Madison, o Vicki Ducette, o uno dei
ragazzi più grandi.
Andò incontro ai due nuovi amici e, sforzandosi di controllare il proprio tono
di voce per non sembrare ansioso e spaventato, raccontò che non riusciva a
trovare Missy e chiese loro di spargere la voce nell’accampamento. I due
raggiunsero subito le altre piazzole. Jesse tornò per primo, riferendo che Sarah
non aveva visto Missy, quel mattino. Lui e Mack si recarono dai Ducette ma,
prima ancora di arrivare, Emil si fece loro incontro, visibilmente preoccupato.
«Nessuno ha visto Missy, oggi, e non sappiamo nemmeno dove sia Amber. Che
siano insieme?» La domanda di Emil conteneva un accento di terrore.
«Sono sicuro di sì» disse Mack, cercando di rassicurare allo stesso tempo se
stesso e l’amico. «Dove pensi che possano essere andate?»
«Perché non cerchiamo ai bagni e alle docce?» suggerì Jesse.
«Buona idea» disse Mack. «Io comincio da quelli più vicini alla nostra
piazzola, dove di solito vanno i miei figli. Perché tu ed Emil non cercate qui
intorno?»
Si scambiarono un cenno, e Mack si diresse di buon passo alle docce,
accorgendosi per la prima volta di essere scalzo e senza camicia. Devo sembrare
un idiota, pensò, e probabilmente si sarebbe messo a ridere se non fosse stato
preoccupato per Missy.
Arrivato ai bagni, chiese a un’adolescente che usciva dalla zona femminile se
avesse visto una bambina piccola con un vestitino rosso, o due ragazze insieme.
Lei rispose di non averci fatto caso, e si offrì di tornare a controllare. Meno di un
minuto dopo uscì scuotendo la testa.
«Grazie lo stesso» disse Mack, avviandosi verso il retro della struttura, dove si
trovavano le docce. Prima ancora di girare l’angolo cominciò a chiamare Missy
ad alta voce. Sentiva l’acqua scorrere, ma non ricevette nessuna risposta. Riuscì
solo a spaventare a morte una signora anziana, aprendo accidentalmente la porta
della sua doccia dopo aver bussato forte. Lei strillò e Mack, profondendosi in
scuse, chiuse velocemente la porta e passò a quella successiva.
Sei docce, ma Missy non c’era. Controllò i servizi e le docce degli uomini,
anche se non riusciva a immaginare perché dovesse trovarsi lì. Infatti non c’era,
così tornò verso la zona di Emil, incapace di formulare altra preghiera che «Oh,
Dio, aiutami a trovarla… Ti prego, Dio, aiutami a trovarla».
Quando lo vide, Vicki gli corse incontro. Aveva cercato di non piangere, ma
quando si abbracciarono non seppe trattenersi. Improvvisamente, Mack desiderò
con tutto se stesso che Nan fosse lì. Lei avrebbe saputo come comportarsi, o
almeno la cosa giusta da fare. Si sentiva così smarrito.
«Sarah è con Josh e Kate al vostro accampamento, non preoccuparti» disse
Vicki tra i singhiozzi.
Oh, Dio, pensò Mack, che se n’era completamente dimenticato. Che razza di
padre sono? Anche se era lieto che Sarah fosse con loro, desiderava ancora di più
la presenza di Nan.
Proprio in quel momento giunsero Emil e Jesse, il primo più sereno, il secondo
teso come una corda di violino.
«L’abbiamo trovata!» esclamò Emil, raggiante, per poi tornare serio quando si
rese conto di cosa aveva detto. «Voglio dire, abbiamo trovato Amber. Era andata
a fare la doccia più in là, dove c’era ancora acqua calda. Ha detto di aver
avvertito sua madre, ma è probabile che Vicki non l’abbia sentita…» La sua voce
si spense.
«Nessuna traccia di Missy» aggiunse subito dopo Jesse, rispondendo alla
domanda più importante. «Neanche Amber l’ha vista, oggi.»
Emil, improvvisamente serissimo, prese l’iniziativa. «Mack, dobbiamo subito
contattare la sicurezza del campeggio, devono cercare Missy. Magari con tutta
quella confusione si è spaventata, si è allontanata e ha perso la strada, oppure è
venuta a cercarci e ha sbagliato direzione. Hai una sua foto? Forse nell’ufficio
della direzione c’è una fotocopiatrice, possiamo fare qualche copia e risparmiare
un po’ di tempo.»
«Sì, ce l’ho nel portafogli.» Portò una mano alla tasca posteriore e per un
secondo fu colto dal panico, perché non trovò niente. Immaginò terrorizzato che i
suoi documenti fossero finiti sul fondo del lago Wallowa, poi si ricordò di aver
lasciato il portafogli nel furgone dopo la gita in funicolare del giorno precedente.
I tre tornarono alla piazzola di Mack. Jesse corse avanti ad avvisare Sarah che
Amber stava bene, ma che ancora non avevano trovato Missy. Quando arrivarono,
Mack abbracciò Josh e Kate e fece loro coraggio come meglio poteva, cercando
di sembrare calmo. Si cambiò gli indumenti bagnati, indossò jeans e una
maglietta, calzini asciutti e un paio di scarpe da ginnastica. Sarah gli promise che
lei e Vicki non avrebbero perso di vista i due più grandi, e gli sussurrò che stava
pregando per lui e Missy. Mack le diede un rapido abbraccio e la ringraziò, poi,
dopo aver baciato i figli, si avviò insieme agli altri due uomini verso la direzione
del campeggio.
La notizia del salvataggio era già arrivata al piccolo quartier generale e tutti
avevano il morale alto. L’umore cambiò repentinamente quando i tre, a turno,
riferirono della scomparsa di Missy. Per fortuna in ufficio c’era una
fotocopiatrice, così Mack poté ingrandire e stampare una decina di foto della
piccola, passandole poi a tutti.
Il campeggio del lago Wallowa disponeva di duecentoquindici piazzole
ripartite in cinque aree e tre zone a uso collettivo. Il giovane vicedirettore, Jeremy
Bellamy, si offrì di aiutare nella perlustrazione, così divisero il campeggio in
quattro sezioni e si separarono, muniti ciascuno di mappa, foto di Missy e un
walkie-talkie dell’ufficio. Un assistente prese un altro walkie-talkie e si diresse
alla piazzola di Mack, per riferire nel caso Missy fosse tornata da sola.
Era un lavoro lento e metodico, troppo lento per Mack, anche se sapeva che era
il modo più logico per cercarla, se… se era ancora nel campeggio. Mentre
camminava tra tende e roulotte, pregava e prometteva. Sapeva in cuor suo che fare
promesse a Dio era sciocco e irrazionale, ma non poteva farne a meno. Era
disperato, rivoleva la sua Missy e Dio sicuramente sapeva dove si trovava.
Molti campeggiatori erano già partiti o si stavano apprestando a lasciare gli
accampamenti. Nessuno di quelli che incontrò aveva visto Missy o qualcuno che
le somigliasse. Di tanto in tanto i gruppi di ricerca chiamavano l’ufficio per
sapere se ci fossero novità. Niente, fino quasi alle due del pomeriggio.
Mack stava per terminare le ricerche nella sua zona quando arrivò il
comunicato via radio. Jeremy, che stava battendo il quadrato più vicino
all’entrata, credeva di aver sentito qualcosa. Emil disse a tutti di segnare sulla
mappa dove fossero arrivati in quel momento e poi comunicò loro il numero della
piazzola da cui Jeremy aveva chiamato. Mack arrivò per ultimo, interrompendo
un’animata discussione tra Emil, Jeremy e un terzo giovanotto che non riconobbe.
Emil lo aggiornò rapidamente, presentandogli Virgil Thomas, un ragazzo
californiano, che aveva campeggiato in quella zona con alcuni amici per tutta
l’estate. Virgil e i suoi compagni erano tornati a dormire molto tardi, dopo aver
festeggiato tutta la notte, e lui era il solo ad aver notato un vecchio furgone verde
militare oltrepassare il cancello, diretto verso Joseph.
«A che ora?» chiese Mack.
«Come ho detto a lui» rispose Virgil, indicando Jeremy con il pollice, «poco
prima di mezzogiorno. Però non ricordo bene. Avevo mal di testa, e da quando
siamo arrivati qui non abbiamo fatto molto caso agli orologi.»
Mack gli mise davanti alla faccia la foto di Missy e chiese, aspro: «Ti sembra
di averla vista?».
«Quando l’altro tizio mi ha mostrato la foto, non l’ho riconosciuta» rispose
Virgil, guardando nuovamente l’immagine. «Ma poi mi ha detto che indossava un
vestitino rosso, e mi sono ricordato che la ragazzina nel furgone era vestita di
rosso, e stava ridendo, o gridando, non saprei. E poi mi è sembrato che il tizio le
mollasse un ceffone e che la spingesse giù, ma forse stavano solo giocando.»
Mack si sentì irrigidire. Quelle informazioni lo stavano sopraffacendo, e
purtroppo erano le sole cose sensate emerse durante le ricerche. Spiegavano
perché Missy era scomparsa, ma lui non voleva crederci. Si voltò e fece per
andare verso l’ufficio, ma lo bloccò la voce di Emil.
«Mack, fermati! Abbiamo già contattato la direzione via radio, hanno chiamato
lo sceriffo di Joseph. Invieranno degli uomini al più presto, ed è stato già
diramato un mandato di cattura per il furgone.»
Come se fossero state evocate, dal cancello entrarono due autopattuglie. La
prima si diresse verso la direzione, mentre l’altra si avvicinò al punto dove tutti
attendevano. Mack fece un cenno all’agente e gli andò incontro mentre scendeva
dal veicolo. L’agente Dalton era un giovane di meno di trent’anni, che cominciò a
raccogliere le deposizioni.
Nelle ore che seguirono, alla scomparsa di Missy ci fu una costante escalation
di reazioni. Il mandato di cattura venne esteso verso ovest fino a Portland, verso
est fino a Boise, nell’Idaho, e verso nord fino a Spokane, nello Stato di
Washington. I poliziotti di Joseph istituirono un posto di blocco lungo la Imnaha
Highway, che da Joseph giungeva nel cuore dell’Hells Canyon National
Recreation Park. Se il rapitore aveva imboccato quella strada – una tra le tante
direzioni che avrebbe potuto prendere – la polizia pensava di poter ottenere
informazioni utili da chi proveniva da quelle parti. Le loro risorse erano limitate,
così coinvolsero anche le guardie forestali della zona, affinché tenessero gli occhi
aperti.
La piazzola dei Phillips fu dichiarata scena del crimine e fu interrogato
chiunque si fosse trovato nelle vicinanze. Virgil riportò come meglio poté le
caratteristiche del furgone e dei suoi occupanti, poi la descrizione fu diramata alle
agenzie pertinenti.
Furono allertati gli uffici dell’FBI di Portland, Seattle e Denver. Nan era stata
informata e stava arrivando, accompagnata in macchina dalla sua migliore amica,
Maryanne. Furono sguinzagliati perfino i cani, ma la pista di Missy terminava nel
parcheggio, avvalorando la plausibilità del racconto di Virgil.
Quando gli specialisti della Scientifica ebbero setacciato il suo accampamento,
l’agente Dalton chiese a Mack di tornare sul posto e controllare se qualcosa fosse
sparito o si trovasse in posizione diversa da come lo ricordava. Benché esausto,
Mack avrebbe fatto qualunque cosa per collaborare, e cercò di ricostruire la
scena di quel mattino. Ripercorse i propri passi con cautela, attento a non
spostare nulla. Avrebbe tanto voluto una seconda chance, la possibilità di
ricominciare dal principio quella giornata. Avrebbe rifatto tutto da capo, anche se
si fosse dovuto bruciare le dita di nuovo, rovinando le ciambelle.
Si guardò attentamente intorno, ma nulla gli sembrava diverso da come
ricordava. Niente era cambiato. Si avvicinò al tavolo dove aveva lasciato Missy.
Il libro era aperto alla pagina che stava colorando, un disegno mezzo finito della
principessa indiana Multnomah. C’erano anche i pastelli, ma il suo colore
preferito, il rosso, mancava. Cominciò a cercare per terra, per capire dove fosse
finito.
«Se sta cercando il pastello rosso, lo abbiamo trovato qui, accanto all’albero»
disse l’agente Dalton, indicando il parcheggio. «Probabilmente lo ha lasciato
cadere mentre si divincolava da…» La frase gli morì in gola.
«Quali elementi vi fanno pensare che stesse cercando di divincolarsi?» chiese
Mack.
L’agente esitò, quasi con riluttanza, ma poi spiegò: «Abbiamo trovato una delle
sue scarpine, qui, tra i cespugli, dove è probabile che le sia caduta. Lei non era
qui, al momento del ritrovamento, per cui abbiamo chiesto a suo figlio di
identificarla».
L’immagine di sua figlia che lottava contro un mostro pervertito fu un pugno
alla bocca dello stomaco. Sul punto di soccombere alle tenebre che minacciavano
di inghiottirlo, Mack si appoggiò al tavolo, cercando di non svenire o vomitare. In
quel momento notò una spilla a forma di coccinella infilata nel libro. Si ridestò
come se gli avessero aperto i sali sotto il naso.
«Quella di chi è?» chiese a Dalton, indicando la spilla.
«Di cosa sta parlando?»
«Questa spilla a forma di coccinella! Chi è che l’ha messa lì?»
«Credevamo che fosse di Missy. Mi sta dicendo che non c’era, stamattina?»
«Ne sono certo» disse Mack, risoluto. «Non possiede niente di simile. Sono
assolutamente certo che non era qui, stamattina!»
L’agente Dalton era già attaccato alla radio, e nel giro di pochi minuti la
Scientifica era tornata e aveva preso in custodia la spilla.
Dalton prese Mack da parte e gli spiegò: «Se quello che mi ha detto è corretto,
dobbiamo concludere che il rapitore di Missy l’abbia lasciata qui di proposito».
Fece una pausa, prima di aggiungere: «Signor Phillips, questa potrebbe essere sia
una buona sia una cattiva notizia».
«Non capisco» rispose Mack.
L’agente esitò ancora, riflettendo se dirgli ciò che stava pensando. Cercò le
parole giuste. «Be’, la buona notizia è che forse ne ricaveremo degli indizi. È la
sola cosa che abbiamo, per ora, che leghi quell’uomo alla scena.»
«E la cattiva?» Mack stava trattenendo il fiato.
«Be’, la cattiva notizia… e non sto dicendo che valga per questo caso, ma chi
lascia un oggetto del genere di solito lo fa con uno scopo, e di solito significa che
l’ha già fatto in precedenza.»
«Cosa vorrebbe dire?» scattò Mack. «Che quel tizio potrebbe essere un serial
killer? Cos’è, una specie di marchio che lascia per segnare il territorio?»
La rabbia di Mack esplose incontrollata, e Dalton sembrò pentirsi di quanto
aveva appena detto. Ma prima che Mack potesse perdere del tutto la calma, il
giovane agente ricevette una chiamata dall’ufficio operativo dell’FBI di Portland.
Mack si rifiutò di allontanarsi, e sentì la voce di una donna che si qualificava
come agente speciale e chiedeva a Dalton di descrivere minuziosamente l’oggetto.
Mack seguì l’agente fino al punto dove la Scientifica si era messa al lavoro. La
spilla era in una bustina ermetica e Mack, appena alle spalle del gruppo, origliò
la descrizione di Dalton.
«Si tratta di una spilla a forma di coccinella che è stata trovata infilata tra le
pagine di un libro da colorare. È una spilla femminile, di quelle che si indossano
sul risvolto delle giacche, direi.»
«Per favore, mi descriva i colori e il numero di macchie sulla coccinella»
chiese la voce via radio.
«Vediamo» disse Dalton, con gli occhi quasi incollati alla bustina. «La testa è
nera, dipinta come… come una testa di coccinella. E il corpo è rosso, con i
margini neri. Ci sono due puntini neri sul lato sinistro del corpo, guardandolo da
sopra… con la testa verso l’alto. Capisce cosa intendo?»
«Perfettamente. La prego, continui» disse la voce.
«E sul lato destro della coccinella ci sono tre puntini, quindi sono cinque in
tutto.»
Ci fu una pausa.
«È sicuro che i puntini siano cinque?»
«Sì, signora, cinque puntini.» Alzò lo sguardo e incontrò quello di Mack, che si
era spostato dall’altro lato per vedere meglio. Fece spallucce come a dire: Che
importa quanti puntini ci sono?
«D’accordo, agente Dabney…»
«Dalton, signora. Tommy Dalton.» Guardò nuovamente Mack e alzò gli occhi al
cielo.
«Mi scusi, agente Dalton. Può girare la spilla e dirmi cosa c’è sul lato
inferiore?»
Dalton voltò la bustina e guardò con attenzione. «Sotto c’è inciso qualcosa,
agente speciale… mmm, non ho capito bene il suo nome.»
«Wikowsky, scritto proprio come si legge. Sono lettere o numeri?»
«Mi faccia vedere. Sì, credo che abbia ragione lei. Sembra un numero di serie.
Mmm… C… K… 1,4,6, credo. Sì, Charlie, Kilo, 1, 4, 6. Non è facile leggere
attraverso la busta.»
Dall’altra parte della linea calò il silenzio. Mack sussurrò a Dalton: «Si faccia
spiegare che cosa significa». Dalton esitò, poi obbedì. Il silenzio durò ancora a
lungo.
«Wikowsky? È ancora lì?»
«Sì, ci sono.» Improvvisamente la voce sembrava vuota e stanca. «Senta,
Dalton, si trova in un luogo tranquillo, dove può parlare liberamente?»
Mack annuì con gesti esagerati, e Dalton colse il messaggio. «Aspetti un
secondo.» Appoggiò la bustina con la spilla e uscì dall’area, permettendo a Mack
di seguirlo. Il protocollo era comunque già stato infranto.
«Sì, ora posso parlare. Mi dica cosa significa la coccinella» si informò.
«Stiamo cercando di prendere questo tizio da quasi quattro anni, l’abbiamo
inseguito in nove Stati; si sposta sempre verso ovest. È soprannominato “Killer
delle Coccinelle”, ma non abbiamo mai divulgato la notizia delle spille alla
stampa, per cui tenga questo dettaglio per sé. Crediamo che sia responsabile del
rapimento e dell’uccisione di almeno quattro bambine, finora, tutte sotto i dieci
anni. Ogni volta aggiunge un puntino alla coccinella, quindi ci troviamo davanti
alla numero cinque. Lascia lo stesso tipo di spilla sul luogo di ogni rapimento,
con l’identico numero di serie, come se ne avesse comprata tutta una scatola, ma
non siamo riusciti a capire da dove provengano. Non è stato mai rinvenuto nessun
corpo, e anche se la Scientifica non ha trovato nulla, abbiamo motivo di credere
che nessuna di loro sia ancora viva. Tutti i crimini sono avvenuti in un campeggio
o nei pressi, sempre nei dintorni di un parco nazionale o di una riserva naturale.
L’uomo sembra essere a suo agio negli ambienti boschivi e di montagna. In ogni
caso non ha mai lasciato assolutamente niente… tranne la spilla.»
«E l’auto? Abbiamo una descrizione del furgone verde con cui si è
allontanato.»
«Oh, è probabile che lo troviate. Se è il nostro uomo, sarà stato rubato da un
giorno o due, ridipinto, riempito di attrezzature da campeggio e assolutamente
privo di indizi.»
Ascoltando quella conversazione, Mack sentì sfuggirgli l’ultimo brandello di
speranza. Si lasciò cadere a terra e affondò il viso tra le mani. Esisteva un uomo
più stanco di lui, in quel momento? Per la prima volta dalla scomparsa di Missy,
si concesse di considerare le varie, orribili possibilità, e quando ebbe iniziato
non riuscì più a smettere: immagini buone e perfide formavano un muto carosello
di paura. Cercò di scrollare via quei pensieri infausti, ma non ci riuscì. Alcuni
erano terribili istantanee di tortura e dolore; mostri e demoni dai recessi più
profondi, con dita di filo spinato e il tocco tagliente come un rasoio; Missy che
chiamava il suo papà, gridando, senza ricevere risposta. E in mezzo a tutto questo
c’erano lampi di altri ricordi: la piccolina con la sua tazza Missy-sippy, come la
chiamavano loro; quando a due anni aveva fatto indigestione di torta al
cioccolato, e quel ricordo recente di lei che si addormentava, al sicuro tra le
braccia di papà. Immagini indelebili. Cosa avrebbe detto al suo funerale? Cosa
avrebbe detto a Nan? Come poteva essere successo? Dio, com’era potuto
succedere?
Qualche ora dopo, Mack e i suoi due figli raggiunsero in macchina l’albergo di
Joseph adibito a centro delle ricerche in corso. I proprietari avevano gentilmente
offerto l’uso gratuito di una stanza, e mentre Mack portava dentro alcune delle sue
cose, la stanchezza lo travolse. Accettò con gratitudine l’offerta dell’agente
Dalton, che portò i ragazzi a mangiare un boccone in una locanda in città, e si
ritrovò seduto sul letto in balia della disperazione che cresceva come la marea.
Dondolava avanti e indietro, i singhiozzi risalivano dal profondo dell’anima e lo
scuotevano violentemente, e fu in quelle condizioni che Nan lo trovò. Si
abbracciarono tra le lacrime, mentre Mack si liberava dal suo fardello di dolore e
Nan faceva del suo meglio per impedirgli di crollare.
Quella notte Mack dormì a tratti, mentre le immagini continuavano a mulinargli
nella mente come onde incessanti contro una sponda rocciosa. Alla fine, poco
prima che il sole desse le prime avvisaglie del suo arrivo, si arrese. Non se ne
accorse nemmeno. In un giorno aveva provato le emozioni di tutto un anno e si
sentiva insensibile, alla deriva in un mondo improvvisamente privo di significato.
Nonostante le insistenti proteste di Nan, convennero entrambi che sarebbe stato
meglio che lei tornasse a casa con Josh e Kate. Mack voleva restare nei paraggi
per dare una mano in qualunque modo e rispondere a ogni evenienza. Non poteva
andarsene, non quando lei poteva essere nelle vicinanze, bisognosa di lui. La
voce si era sparsa in fretta, e parecchi amici lo raggiunsero per aiutarlo a fare i
bagagli e riportare tutte le loro cose a Portland. Lo chiamò il suo capo,
offrendogli sostegno e invitandolo a trattenersi per tutto il tempo necessario. Tutti
quelli che conoscevano stavano pregando per loro.
Al mattino cominciarono a spuntare i giornalisti, con i fotografi al seguito.
Mack non voleva avere a che fare con loro o con le macchine fotografiche ma,
consigliato dai poliziotti, rispose alle loro domande, perché i media potevano
rivelarsi preziosi per ritrovare sua figlia.
Non disse a nessuno che l’agente Dalton gli aveva dato informazioni riservate,
e Dalton ricambiò la cortesia tenendolo costantemente aggiornato. Jesse e Sarah,
disponibili su tutti i fronti, accoglievano i parenti e gli amici che venivano a
offrire aiuto. Tolsero dalle spalle di Nan e Mack l’onere di mantenere i rapporti
con l’esterno, e sembravano ubiqui, nel loro costante sforzo di tessere fili di
serenità in quel turbine di emozioni.
I genitori di Emil Ducette arrivarono in automobile da Denver, per aiutare
Vicki e i ragazzi a tornare a casa sani e salvi. Emil, con la benedizione dei suoi
superiori, decise di restare per aiutare la guardia forestale e tenere aggiornato
Mack su quel versante delle operazioni. Nan, che aveva stretto subito amicizia
con Sarah e Vicki, si tenne occupata badando al piccolo J.J., e poi preparando i
figli per il viaggio di ritorno a Portland. E quando si lasciava andare al pianto,
come le succedeva spesso, Vicki o Sarah le stavano sempre accanto, per piangere
e pregare con lei.
Quando fu chiaro che la loro presenza era inutile, i Madison fecero i bagagli e
si accomiatarono tra le lacrime, prima di puntare verso nord. Jesse strinse Mack
in un lungo abbraccio, gli bisbigliò che si sarebbero rivisti e che l’avrebbero
ricordato nelle loro preghiere. Sarah, il viso sconvolto dal pianto, lo baciò
semplicemente sulla fronte e poi abbracciò Nan, che ricominciò a singhiozzare e
gemere. Sarah cantò qualcosa, parole che Mack non riuscì a distinguere, che
ebbero però l’effetto di calmare sua moglie finché non fu in grado di lasciar
andare l’amica. Mack non si voltò nemmeno a guardare, mentre i suoi amici se ne
andavano.
Quando i Ducette furono pronti a partire, Mack prese da parte per un momento
Amber ed Emmy per rassicurarle e ringraziarle di essere state vicine ai suoi figli,
soprattutto quando lui non poteva farlo. Josh salutò tra le lacrime: non era più il
giovanotto coraggioso di sempre, per lo meno non quel giorno. Kate, per contro,
era diventata una roccia e si era incaricata dello scambio degli indirizzi e delle e-
mail. Vicki era rimasta irrimediabilmente scossa dagli eventi di quei giorni, e
dovettero quasi staccarla fisicamente da Nan, sopraffatta dal suo stesso dolore.
Nan la abbracciò, le carezzò i capelli e le sussurrò preghiere all’orecchio, finché
non si tranquillizzò abbastanza da lasciarsi condurre all’auto.
A mezzogiorno tutte le famiglie erano per strada. Maryanne portò Nan e i
ragazzi a casa, dove già li aspettavano i parenti. Mack ed Emil raggiunsero
l’agente Dalton, che ormai chiamavano Tommy, e si diressero verso Joseph a
bordo dell’autopattuglia. Comprarono dei panini, che spiluccarono appena, poi si
recarono alla stazione di polizia. Tommy Dalton aveva due figlie, la più grande di
appena cinque anni, ed era facile capire perché avesse preso tanto a cuore il caso.
Si dimostrò gentilissimo con i nuovi amici, e con Mack in particolar modo.
Giunse la parte più difficile: l’attesa. Mack aveva la sensazione di muoversi al
rallentatore nel vortice di attività che si svolgevano frenetiche intorno a lui.
Arrivavano rapporti da ogni luogo. Perfino Emil era impegnato a tenersi in
contatto con professionisti del settore.
Il gruppo dell’FBI arrivò a metà pomeriggio, direttamente dagli uffici operativi
di tre città. Fu chiaro fin da subito che a capo della squadra c’era l’agente
speciale Wikowsky, una donna piccola e minuta, tutta fuoco, che Mack prese
subito in simpatia. Lei ricambiò e, da quel momento in poi, nessuno protestò per
la presenza di Mack alle riunioni più decisive o segrete.
Dopo aver stabilito il suo quartier generale all’albergo, I’FBI chiese a Mack di
presentarsi per una deposizione ufficiale, pratica che, gli fu assicurato, era di
routine in quelle circostanze. L’agente Wikowsky si alzò dalla scrivania dove
stava lavorando e gli porse la mano. Mentre lui si apprestava a stringergliela, lei
gliela prese tra le sue e gli rivolse un sorriso triste.
«Signor Phillips, mi dispiace di non aver potuto passare più tempo con lei
finora, eravamo impegnati a stabilire linee di comunicazione con tutti gli enti
coinvolti nelle ricerche. Mi rattrista incontrarla in questa tragica situazione.»
Mack le credette. «Mack» disse.
«Come, mi scusi?»
«Mack. La prego, mi chiami pure Mack.»
«Be’, Mack, allora io sono Sam. Sta per Samantha, ma da piccola ero un
maschiaccio e facevo a botte con i bambini che osavano chiamarmi Samantha in
pubblico.»
Mack non poté fare a meno di sorridere e si rilassò un poco sulla sedia, mentre
guardava l’agente Wikowsky cercare qualcosa in due faldoni pieni di carte.
«Mack, te la senti di rispondere a qualche domanda?» chiese lei senza alzare lo
sguardo.
«Farò del mio meglio» disse lui, grato per la possibilità di essere utile in
qualche modo.
«Bene! Non ho intenzione di farti ripetere tutti i dettagli, ho i rapporti di ciò
che hai riferito agli altri agenti, ma ci sono un paio di cose importanti che vorrei
discutere con te.» Alzò lo sguardo, cercando quello di lui.
«Farò tutto quel che posso per aiutarvi» ripeté Mack. «Anche se devo
confessare che in questo momento mi sento impotente.»
«Ti capisco, Mack, ma la tua presenza qui è fondamentale. E credimi, non c’è
nessuno tra noi che non voglia salvare la tua Missy. Faremo tutto il possibile per
recuperarla sana e salva.»
«Grazie» fu tutto ciò che Mack riuscì a dire prima di spostare gli occhi sul
pavimento. Le emozioni sembravano tanto vicine alla superficie che il benché
minimo accenno di gentilezza rischiava di aprire una nuova falla nella sua
corazza.
«Bene, ora… ho fatto una bella chiacchierata informale con il tuo amico,
l’agente Tommy, e mi ha riferito tutte le informazioni che vi siete scambiati, per
cui non preoccuparti di salvargli il culo. Per come la vedo io, è un tipo a posto.»
Mack la guardò e annuì, sorridendole nuovamente.
«Quindi» continuò lei, «non hai notato nessuno di strano, in questi ultimi
giorni?»
Mack, sorpreso, si appoggiò allo schienale della sedia. «Vuoi dire che
qualcuno ci ha seguiti?»
«No, a quanto pare sceglie le vittime a caso, anche se le altre bambine avevano
tutte più o meno la stessa età di tua figlia e un colore di capelli simile. Crediamo
che le sorvegli un paio di giorni prima, e che poi si apposti in attesa del momento
opportuno. Hai notato qualcuno di strano vicino al lago? Magari nei pressi dei
servizi?»
Mack rabbrividì al pensiero che i suoi figli fossero stati osservati, come le
prede di un cacciatore. Cercò di andare al di là di ciò che gli suggeriva
l’immaginazione, ma non venne a capo di nulla. «No, mi dispiace. Non che io
ricordi…»
«Vi siete fermati da qualche parte mentre venivate al campeggio, o avete notato
qualcuno che abbia in qualche modo attirato la vostra attenzione durante le
escursioni nella zona?»
«All’andata ci siamo fermati alle Multnomah Falls, e abbiamo girato un po’
tutta la zona, negli ultimi tre giorni, ma non ricordo nessuno in particolare. Chi
avrebbe potuto immaginare…?»
«Proprio così, Mack, per cui non tormentarti. Magari ti verrà in mente qualcosa
in seguito. Non importa quanto possa sembrarti sciocco o insignificante, ti prego
di comunicarcelo.» Fece una pausa per consultare un altro foglio sulla scrivania.
«E quel furgone verde militare? L’avevi già visto, durante la vacanza?»
Mack si sforzò di ricordare. «Credo davvero di non aver visto niente di
simile.»
L’agente speciale Wikowsky continuò a interrogarlo per i successivi quindici
minuti, ma non riuscì a cavargli nulla di utile. Alla fine chiuse il bloc notes e si
alzò, porgendogli la mano. «Mack, ancora una volta, mi dispiace davvero per
Missy. Non appena sapremo qualcosa, ti informerò immediatamente.»
Alle cinque del pomeriggio, dal posto di blocco di Imnaha arrivò la prima
segnalazione interessante. Come aveva promesso, la Wikowsky chiamò subito
Mack e lo mise al corrente dei dettagli. Due coppie avevano incrociato un veicolo
verde dall’aria militare, simile al furgone che tutti stavano cercando. Stavano
esplorando alcuni siti archeologici dei Nez Percé nei dintorni della National
Forest 4260, in una delle aree meno frequentate della riserva naturale, e sulla via
del ritorno si erano imbattuti nel veicolo, a sud dell’incrocio dove la NF 4260 e
la NF 250 si dividono. Poiché quel tratto di strada consiste in pratica in una sola
corsia, si erano dovuti fermare in uno slargo per consentire al furgone di passare.
Avevano notato che sul pianale c’erano diverse taniche di benzina e attrezzature
da campeggio. La cosa che li aveva colpiti era che il conducente era piegato
verso il lato del passeggero, come se cercasse qualcosa sul fondo, teneva il
cappello calato sul volto e, a dispetto della giornata torrida, indossava un
giaccone, quasi avesse paura di loro. Ci avevano riso su, pensando che fosse il
solito militarista invasato.
Non appena il gruppo seppe della segnalazione, la tensione aumentò. Tommy
disse a Mack che purtroppo quello che avevano appreso fino a quel momento
combaciava con il modus operandi del Killer delle Coccinelle, che era solito
nascondersi in zone sperdute. Evidentemente sapeva dove andare, dato che era
stato avvistato in un’area lontana dalle rotte turistiche. Non era solo, lì, ed era
stato notato.
La sera si avvicinava rapidamente, e si discuteva dell’eventualità di gettarsi
subito all’inseguimento piuttosto che attendere l’alba. A prescindere dalla loro
opinione, era chiaro che tutti erano profondamente coinvolti. Qualcosa nel cuore
degli esseri umani non può assolutamente tollerare che si faccia del male a un
innocente, soprattutto se è un bambino. Perfino criminali, che scontano condanne
nei più duri istituti di detenzione, a volte decidono di punire chi si è macchiato di
reati contro l’infanzia. Perfino in un mondo a tinte così fosche, fare del male a un
bambino è considerato inequivocabilmente sbagliato. Punto e basta.
In piedi in fondo alla stanza, Mack seguiva con impazienza quella che gli
sembrava un’inutile perdita di tempo. Sarebbe stato disposto a rapire Tommy e a
mettersi di persona sulle tracce di quell’uomo. Sentiva che ogni istante era
prezioso.
Anche se a lui sembrò un’eternità, i dipartimenti, nella persona dei loro
rappresentanti, si misero d’accordo in pochi minuti, e decisero di dare avvio alle
ricerche non appena ultimati i preparativi essenziali. Non c’erano molti modi per
raggiungere quella zona – e ogni rotta avrebbe avuto il suo posto di blocco – ma
un montanaro esperto poteva benissimo sgusciare senza essere visto nelle foreste
dell’Idaho a est, o nello Stato di Washington a nord. Mentre venivano contattati
alcuni agenti nelle località di Lewistown nell’Idaho e di Clarkston nello Stato di
Washington, Mack fece uno squillo a Nan per metterla al corrente, e poi se ne
andò con Tommy.
A quel punto, gli restava una sola preghiera: Dio, ti prego, ti supplico, abbi
cura della mia Missy. Io non posso farlo, ora.
Le lacrime gli solcarono il viso e gli piovvero sulla camicia.
Ben prima dell’alba di venerdì, Mack aveva già lasciato la città e percorreva
l’Interstate 84. Nan aveva chiamato la sera prima da casa della sorella per
informarlo che erano arrivati, quindi non si aspettava un’altra telefonata prima di
domenica. Per allora con ogni probabilità sarebbe stato sulla via del ritorno, se
non addirittura già a casa. Aveva impostato il trasferimento delle telefonate sul
cellulare, per sicurezza, anche se una volta nella riserva non avrebbe trovato
campo.
Ripercorse la strada di tre anni e mezzo prima, con qualche piccola modifica:
meno aree di sosta, e quando attraversò le Multnomah Falls non rivolse nemmeno
uno sguardo al panorama. Aveva allontanato il pensiero di quel luogo fin dalla
scomparsa di Missy, seppellendo le emozioni al sicuro nella cantina chiusa a
chiave del cuore.
Nel lungo tratto su per la Gorge, si sentì pervadere da un panico strisciante.
Aveva cercato di mettere semplicemente un piede davanti all’altro, di non pensare
a ciò che stava facendo, ma come l’erba che si insinua nel cemento, le emozioni
represse e la paura iniziarono a spuntare. Il suo sguardo si incupì e le sue mani si
strinsero sul volante mentre a ogni uscita doveva reprimere la tentazione di fare
marcia indietro e tornare a casa. Sapeva di aver intrapreso un viaggio verso il
centro del suo dolore, verso il vortice della Grande Tristezza che aveva attutito la
sua capacità di sentirsi vivo. Lampi di ricordi e feroci istanti di rabbia accecante
lo investivano a ondate, annunciati da un sapore di sangue e bile in bocca.
Raggiunse La Grande, dove fece il pieno alla jeep, e poi imboccò la Highway
82 verso Joseph. Fu tentato di fermarsi per salutare Tommy, ma poi decise di non
farlo. Meno persone pensavano che fosse impazzito, meglio era per tutti. Pagò la
benzina e ripartì.
C’era poco traffico, e la Imnaha e le strade minori erano decisamente pulite e
asciutte, per quella stagione dell’anno; il clima era molto più temperato di quanto
ci si aspettasse. Eppure ebbe l’impressione che più si avvicinava, più il viaggio
procedeva a rilento, come se il rifugio stesse in qualche modo respingendo il suo
arrivo. La jeep toccò la prima neve proprio quando iniziò a inerpicarsi lungo gli
ultimi tre chilometri prima del sentiero che scendeva alla casupola. Sopra il
lamento del motore, Mack sentiva gli pneumatici mordere il manto stradale
coperto di neve e ghiaccio sempre più spessi. Nonostante un paio di svolte nella
direzione sbagliata, che lo costrinsero a ripercorrere i propri passi, era solo
primo pomeriggio quando parcheggiò all’inizio del sentiero appena visibile che
lo avrebbe portato a destinazione.
Rimase seduto immobile per quasi cinque minuti, rimproverandosi per la
propria stupidità. A ogni chilometro dopo Joseph, i ricordi erano riaffiorati con
chiarezza acuita dall’adrenalina, al punto che in quel momento sentì di non voler
procedere oltre. Ma la spinta interiore a proseguire era irresistibile. Ancora
combattuto, si abbottonò il giaccone e prese i guanti di pelle.
Rimase fermo, in piedi, a guardare il sentiero, e decise di lasciare tutto
nell’auto e procedere a piedi per il paio di chilometri che lo separavano dal lago;
per lo meno in quel modo non avrebbe dovuto trasportare pesi risalendo la
collina per tornare alla macchina, cosa che a quel punto si aspettava di fare al più
presto.
Faceva abbastanza freddo da condensare il fiato, che indugiava davanti al suo
viso; sembrava che volesse nevicare presto. Il dolore che gli si era andato
lentamente accumulando nel ventre eruppe sotto forma di panico. Dopo appena
cinque passi, si fermò a vomitare con tanta violenza da cadere in ginocchio.
«Ti prego, aiutami!» mormorò. Si alzò sulle gambe malferme e si allontanò di
un altro passo dall’auto. Poi si fermò e tornò indietro. Aprì lo sportello del
passeggero e armeggiò sul sedile finché non trovò la scatoletta di latta. Sollevò il
coperchio e trovò ciò che stava cercando, la sua foto preferita di Missy, che prese
insieme al biglietto. Richiuse la scatola e la lasciò sul sedile. Rimase un istante in
contemplazione del cassettino. Alla fine lo aprì ed estrasse la pistola di Willie,
accertandosi che fosse carica e che la sicura fosse inserita. Rialzandosi, chiuse la
portiera, si portò una mano sotto il giaccone e infilò la pistola nella cintura, sulla
schiena. Si voltò a guardare ancora una volta il sentiero, gettò un’ultima occhiata
alla foto di Missy e poi la mise nella tasca della camicia insieme al biglietto. Se
l’avessero ritrovato morto, almeno avrebbero capito cosa gli era passato per la
testa.
Il sentiero era insidioso, le rocce ghiacciate e sdrucciolevoli. Ogni passo
richiedeva grande concentrazione, mentre si addentrava nel folto della foresta. Il
silenzio era irreale. I soli suoni che udiva erano lo scricchiolio dei suoi passi e la
pesantezza del suo respiro. Cominciò ad avere la sensazione di essere osservato,
e a un certo punto si voltò di scatto per controllare se qualcuno lo stesse
seguendo. Per quanto intenso fosse il desiderio di tornare di corsa alla jeep, i suoi
piedi sembravano procedere per inerzia, determinati ad avanzare lungo il
sentiero, nella boscaglia sempre più fitta e meno illuminata.
Improvvisamente sentì un movimento molto vicino. Spaventato, rimase
immobile, in silenzio e all’erta. Con il sangue che gli martellava nelle orecchie e
la bocca tutt’a un tratto asciutta, portò lentamente una mano dietro la schiena,
liberando la rivoltella dalla cintura. Disinserì la sicura e scrutò con attenzione il
sottobosco, cercando di vedere o percepire qualcosa che gli spiegasse quel
rumore e consentendo al flusso di adrenalina di placarsi. Qualunque fosse la
causa, era cessata. Stava aspettando lui? Rimase fermo per diversi minuti e poi
riprese cautamente il cammino, cercando di fare meno rumore possibile.
La foresta sembrava volersi richiudere intorno a lui, al punto che si domandò
seriamente se non avesse sbagliato strada. Con la coda dell’occhio notò un altro
movimento e si accucciò di scatto, sbirciando attraverso i rami di un albero lì
accanto. Qualcosa di ectoplasmico, come un’ombra, era scivolato tra le fronde, o
se l’era soltanto immaginato? Rimase ancora una volta in attesa, senza muovere un
muscolo. Era quello, Dio? Ne dubitava. Forse un animale, allora? Non ricordava
se ci fossero lupi, in quei luoghi, e un cervo o un alce avrebbero prodotto più
rumore. E poi, il pensiero che aveva cercato di evitare: «E se fosse molto peggio?
Se veramente mi avesse preparato una trappola? Ma perché?».
Con estrema cautela, rialzandosi dal nascondiglio, la pistola ancora in pugno,
fece un passo in avanti e di colpo la boscaglia dietro di lui sembrò esplodere. Si
voltò di scatto, spaventato e pronto a lottare per la vita, ma prima di far scattare il
grilletto riconobbe un procione che risaliva il sentiero. Lentamente lasciò andare
il fiato che non si era reso conto di aver trattenuto, abbassò l’arma e scosse la
testa. Mack l’impavido sembrava un ragazzino spaventato. Rimettendo la sicura,
ripose la pistola. Qualcuno potrebbe farsi male, pensò, con un sospiro di sollievo.
Inspirò ancora a fondo ed espirò piano, per calmarsi. Decise che era stanco di
avere paura e riprese il cammino, cercando di apparire più sicuro di quanto si
sentiva. Sperò di non aver fatto tutta quella strada per niente. Se Dio aveva
davvero intenzione di incontrarlo lì, si sarebbe tolto qualche sassolino dalla
scarpa, con rispetto, naturalmente.
Dopo qualche curva uscì dalla boscaglia e si ritrovò in una radura. Dal lato
opposto, oltre il declivio, rivide finalmente il rifugio. Rimase fermo a
contemplarlo, lo stomaco contratto in uno spasmo. Da fuori sembrava che nulla
fosse cambiato, a parte il fatto che l’inverno aveva spogliato gli alberi caduchi,
ammantando il terreno di candida neve. La casupola stessa sembrava morta e
vuota, ma mentre la fissava ebbe per un istante la sensazione che si trasformasse
in un volto malvagio dal ghigno demoniaco, che lo guardava, sfidandolo ad
avvicinarsi. Ignorando il panico montante che lo pervadeva, percorse con passo
deciso l’ultimo centinaio di metri fino all’ingresso.
I ricordi e l’orrore lo assalirono ed esitò prima di aprire la porta. «Salve…»
disse, senza troppa convinzione. Si schiarì la voce e chiamò ancora, più forte.
«Salve! C’è nessuno in casa?» Le sue parole echeggiarono nello spazio vuoto
all’interno. Sentendosi più audace, oltrepassò la soglia e si fermò.
Mentre i suoi occhi si adattavano alla penombra, grazie alla luce del
pomeriggio che filtrava dalle finestre rotte iniziò a distinguere i dettagli. Nella
stanza principale, riconobbe il vecchio tavolo e le sedie. Non poté impedirsi di
posare lo sguardo sull’unico particolare che non voleva rivedere. Anche dopo
tutti quegli anni, la macchia di sangue sbiadita era perfettamente riconoscibile sul
legno vicino al camino, dove avevano ritrovato il vestito di Missy. «Mi dispiace,
tesoro.» Sentì gli occhi riempirglisi di lacrime.
E a quel punto il suo cuore esplose come un lampo improvviso, liberando la
rabbia repressa che si riversò lungo i precipizi scabri delle sue emozioni.
Alzando gli occhi al cielo, iniziò a gridare le sue angosciose domande. «Perché?
Perché hai lasciato che succedesse? Perché mi hai portato qui? Di tutti i posti
dove potevamo incontrarci… perché qui? Non ti è bastato uccidere la mia
piccola? Devi anche giocare con me?» In preda a una furia cieca, afferrò la sedia
più vicina e la scagliò contro la finestra. La sedia si ruppe in più pezzi. Raccolse
una delle gambe e cominciò a distruggere tutto ciò che incontrava. Grugniti e
mugugni di inarticolata disperazione gli uscivano dalle labbra mentre castigava
quel luogo terribile. «Ti odio!» Fuori controllo, si sfogò fino a restare senza fiato.
Disperato e sconfitto, si lasciò cadere sul pavimento, accanto alla macchia di
sangue. La sfiorò piano. Era tutto ciò che restava della sua Missy. Mentre giaceva
lì accanto, ne tracciò il contorno sbiadito con le dita e bisbigliò piano: «Missy, mi
dispiace di non averti saputa proteggere, di non essere riuscito a trovarti».
La stanchezza placò la rabbia, così se la prese nuovamente con il Dio
indifferente che immaginava da qualche parte oltre il tetto del rifugio. «Dio, non
ci hai nemmeno permesso di seppellirla dignitosamente. Era chiedere troppo?»
Nell’altalenare di quell’intreccio di emozioni, la rabbia diventò dolore e una
nuova ondata di rammarico iniziò a offuscare la sua confusione. «Insomma, dove
sei? Credevo che volessi incontrarmi qui. Be’, io ci sono, Dio. E tu, dove sei?
Non ti vedo! Non c’eri mai, quando avevo bisogno di te… Non c’eri quando ero
bambino, né quando ho perso Missy. E non ci sei adesso! Altro che “Pa”!» Sputò
fuori quelle parole, concitato.
Poi rimase seduto in silenzio, il vuoto di quel luogo che gli invadeva l’anima.
Il groviglio di domande senza risposta e accuse ingiuste era accanto sul
pavimento, e dopo poco si tramutò in un pozzo di desolazione. La Grande
Tristezza gli si strinse intorno, e trovò quasi rassicurante quella sensazione di
soffocamento. Quel dolore, lo conosceva. Ci si era abituato, era quasi un amico.
Sentiva la pistola sulla schiena, un freddo invito contro la pelle. La estrasse,
incerto sul da farsi. Oh, smettere di pensarci, smettere di provare dolore, smettere
di sentire. E basta. Suicidio? In quel momento era la possibilità più attraente.
Sarebbe tanto facile, pensò. Niente più lacrime né dolore… Gli sembrava quasi
di vedere un abisso nero aprirsi nel pavimento, oltre la pistola, un’oscurità che gli
risucchiava dal cuore le ultime vestigia di speranza. Uccidersi sarebbe stato il
solo modo di ribellarsi a Dio, ammesso che esistesse davvero.
Fuori, le nubi si aprirono e un raggio di sole entrò nella stanza, trafiggendo il
centro della sua disperazione. Ma… che ne sarebbe stato di Nan? E di Josh, Kate,
Tyler e Jon? Per quanto volesse fermare il dolore che gli lacerava l’anima, non
sarebbe stato capace di aggravare il loro.
Rimase immobile, inebetito dal flusso delle emozioni, soppesando le
alternative che quell’arma gli offriva. Una brezza fredda gli sfiorò il viso e parte
di lui desiderò semplicemente stendersi e morire di freddo, tanto era stanco.
Appoggiò la schiena alla parete e si strofinò gli occhi arrossati. Lasciò che si
chiudessero e mormorò: «Ti voglio bene, Missy. Mi manchi da morire». In un
attimo cadde in un sonno profondo come la morte.
Si svegliò dopo pochi minuti, con uno scatto nervoso. Sorpreso di essersi
addormentato, si alzò in fretta. Rimise la pistola nella cintura e la rabbia nella
parte più remota dell’anima, poi si avviò verso la porta. «Tutto questo è ridicolo!
Sono un idiota! E pensare che ho sperato che a Dio potesse importare tanto di me
da spedirmi una lettera!»
Guardò in alto, verso le travi del soffitto. «Basta così, Dio» sussurrò. «Non ce
la faccio più. Sono stanco di cercarti.» E con queste parole, uscì. Decise che
quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe provato a incontrare Dio. Se Dio
lo voleva, sarebbe dovuto venire a cercarlo di persona.
Infilò una mano in tasca e tirò fuori il biglietto trovato nella cassetta delle
lettere. Lo strappò in minuscoli pezzetti, lasciando che gli scivolassero tra le dita
e fossero portati via dal vento freddo che si stava alzando in quel momento.
Sentendosi solo un vecchio stanco, con passi pesanti e il cuore ancora più provato
iniziò la risalita verso la macchina.
Non aveva percorso nemmeno quindici metri di sentiero, quando sentì un refolo di
aria tiepida raggiungerlo da dietro. Il cinguettio di un uccellino spezzò il silenzio
glaciale. Lo strato di ghiaccio e neve si dissolse in un attimo. Mack si fermò e
vide tutto ciò che lo circondava perdere il candore dell’inverno e ammantarsi dei
colori della fioritura. In trenta secondi davanti a lui si spiegarono tre settimane di
primavera. Si stropicciò gli occhi e fletté le gambe, per non perdere l’equilibrio
in mezzo a quel turbine in movimento. Anche la neve leggera che aveva
cominciato a cadere si trasformò in petali che planavano pigri verso terra.
Ciò che stava vedendo, ovviamente, non era possibile. I cumuli di neve erano
scomparsi, i fiori selvatici estivi stavano iniziando a colorare i bordi del sentiero
e le macchie della foresta, a perdita d’occhio. Pettirossi e cardellini si
inseguivano tra gli alberi. Gli scoiattoli attraversavano il sentiero, di tanto in
tanto, a volte si fermavano e si sollevavano su due zampe per guardarlo, prima di
tornare nel sottobosco. Ebbe perfino la sensazione di scorgere un giovane cervo,
nel folto degli alberi, ma un istante dopo era sparito. Come se non bastasse, un
profumo di fiori riempì l’aria e non si percepiva solo quello dei fiori di
montagna, ma anche la ricchezza delle rose, delle orchidee e di altre piante
esotiche tipiche dei climi tropicali.
Mack non pensava più alla sua famiglia. Il terrore lo pervadeva: era come se
avesse aperto il vaso di Pandora e qualcosa lo stesse risucchiando nella follia,
dove si sarebbe perduto per sempre. Vacillando si voltò, cercando di aggrapparsi
alla propria razionalità.
Era sbalordito. Quasi nulla era più come prima. Il rifugio decrepito era
diventato una solida baita, meravigliosamente costruita, che si frapponeva tra lui
e il lago, ben visibile oltre il tetto. Era fatta di tronchi lunghi e scortecciati a
mano, ciascuno levigato per combaciare perfettamente con gli altri.
Invece delle macchie disordinate di arbusti, rovi ed erbacce, tutto ciò che Mack
vedeva sembrava uscito da una cartolina. Dal camino saliva una pigra spira di
fumo che si stagliava nel nitido cielo pomeridiano, segno che all’interno c’era
qualcuno. Un vialetto arrivava all’ingresso principale e girava intorno alla
casupola, delimitato da una bassa staccionata bianca. Nei paraggi echeggiò il
suono di una risata. Forse proveniva da dentro, ma non ne era sicuro.
Era così che si manifestava il tracollo psichico? Sto ammattendo, disse Mack
tra sé. Non è possibile. Non è reale.
Era un luogo che avrebbe saputo immaginare solo nei suoi sogni migliori, e
questo lo rendeva ancora più sospetto. Le vedute erano meravigliose, gli aromi
squisiti, e i suoi piedi, come se non volessero aspettare che lui si decidesse,
iniziarono a portarlo verso la porta. Ovunque sbocciavano fiori, e il miscuglio del
profumo delle corolle e quello dell’erba risvegliò in lui ricordi da tempo sopiti.
Aveva sempre sentito dire che l’olfatto è il legame più profondo con il passato,
che grazie a quel senso ci si ricorda meglio la storia dimenticata, e in quel
momento tornarono a galla con prepotenza flashback della sua infanzia, da tempo
archiviati.
Davanti alla porta si fermò di nuovo. Dall’interno provenivano chiaramente
alcune voci. Mack si scrollò di dosso l’improvviso desiderio di scappare via,
sentendosi come un ragazzino che per sbaglio ha lanciato una palla nelle aiuole
dei vicini. Se dentro c’è Dio, che senso ha scappare? Chiuse gli occhi e scosse la
testa, per cercare di scacciare l’allucinazione e ripristinare la realtà. Quando li
riaprì, tuttavia, si rese conto che non era servito a niente. Esitante, allungò un
braccio e sfiorò lo stipite di legno. Sembrava proprio reale.
Aveva davanti, un altro dilemma. Come ci si deve comportare, quando ci si
trova sull’uscio di una casa, in questo caso di una capanna, in cui potrebbe
esserci Dio? Bussare? Con ogni probabilità Dio sapeva già che lui era lì. Forse
doveva semplicemente entrare e presentarsi, ma anche quella possibilità gli
sembrava assurda. E poi come doveva rivolgerglisi? Doveva forse chiamarlo
Padre, o Altissimo, oppure Signore Dio, e magari gettarsi a terra in adorazione,
anche se non era proprio dell’umore adatto?
Mentre cercava di ripristinare un certo equilibrio interiore, la rabbia che
pensava di aver soffocato prese a riemergere. Non più preoccupato del modo
corretto di indirizzarsi a Dio, e galvanizzato dalla propria ira, alzò un braccio per
bussare forte e vedere cosa succedeva, ma proprio in quell’istante la porta si
spalancò e si trovò davanti al volto raggiante di una grossa donna afroamericana.
Istintivamente fece un balzo indietro, ma fu troppo lento. Con una rapidità
inusitata per la sua stazza, lei coprì la distanza che li separava e lo prese tra le
braccia, sollevandolo da terra e facendolo volteggiare come un bambino. E
intanto ripeteva «Mackenzie Allen Phillips», con l’ardore di chi ritrova un
parente molto amato e a lungo perduto. Alla fine lo depositò nuovamente a terra e,
mettendogli le mani sulle spalle, lo spinse indietro, come per poterlo rimirare ben
bene.
«Mack, ma guardati!» disse, in un’esplosione di entusiasmo. «Eccoti qui, e
come sei cresciuto! Non vedevo l’ora di incontrarti di persona. È bellissimo che
tu sia qui con noi. Oh, quanto ti voglio bene!» Al che lo strinse nuovamente tra le
braccia.
Mack era senza parole. In un attimo quella donna aveva infranto tutte le
convenzioni sociali dietro le quali si era così attentamente trincerato. Qualcosa
nel modo in cui lo aveva guardato e aveva pronunciato il suo nome lo rendeva
contento di vederla, anche se non aveva idea di chi fosse.
Improvvisamente si sentì sopraffatto dal profumo che lei emanava: era un
aroma di fiori, misto a note di gardenia e gelsomino, senza dubbio il profumo di
sua madre, quello che teneva nascosto nella scatoletta di latta. Si era già sentito in
bilico sull’orlo di un precipizio di emozioni, e quell’odore e i ricordi che ne
scaturirono gli riverberarono nel profondo. Sentì il calore delle lacrime premere
dietro le palpebre, come se stessero bussando alle porte del suo cuore. E anche
lei se ne accorse.
«Va tutto bene, tesoro, lasciale uscire… So che sei stato ferito, e so che sei
arrabbiato e confuso. Non trattenerti. Fa bene all’anima lasciare scorrere l’acqua,
ogni tanto… è acqua che guarisce.»
Ma se da una parte Mack non poteva impedire alle lacrime di riempirgli gli
occhi, non era pronto a cedere… non ancora, non in presenza di quella donna.
Con tutta la forza che aveva, impedì a se stesso di ripiombare nel pozzo scuro
dell’emotività. Nel frattempo, la donna se ne stava lì, con le braccia aperte, come
quelle della sua stessa madre. Mack percepì la presenza dell’amore. Era caldo,
invitante, lo scioglieva.
«Non sei pronto?» gli chiese. «Va bene. Faremo le cose a modo tuo, con i tuoi
tempi. Dài, entra. Posso prenderti la giacca? E quella pistola? Non ti serve, vero?
Non vogliamo che qualcuno si faccia male, giusto?»
Mack non sapeva cosa fare o dire. Chi era quella donna? E come faceva a
sapere? Restò fermo nel punto in cui si trovava, ma questo non gli impedì di
togliersi il giaccone con gesti meccanici.
La donna prese il giaccone e lui le porse la pistola, che lei afferrò con due dita,
come se fosse contaminata. Mentre gli voltava le spalle per addentrarsi nella
capanna, dietro di lei apparve una donna minuta dai tratti marcatamente asiatici.
«Lascia, li prendo io» cinguettò. Era chiaro che non si riferiva al giaccone e
all’arma, ma a qualcos’altro e, in un battito di ciglia, se la ritrovò davanti. Mack
si irrigidì, sentendo qualcosa che gli accarezzava la guancia. Senza muoversi,
abbassò lo sguardo e vide che la donna teneva in una mano una delicata bottiglia
di cristallo, e nell’altra un pennellino, come quelli che aveva visto usare a Nan e
Kate per il trucco; gli stava togliendo qualcosa dal viso.
Prima che potesse chiedere, lei sorrise e sussurrò: «Mackenzie, tutti noi
amiamo collezionare qualcosa, non è vero?». Lui pensò alla scatoletta di latta. «Io
raccolgo lacrime.»
La donna fece un passo indietro e lui la guardò socchiudendo involontariamente
gli occhi, come per metterla meglio a fuoco, ma non ci riuscì; sembrava quasi
riverberare nella luce, e i suoi capelli ondeggiavano in tutte le direzioni,
nonostante non ci fosse la benché minima brezza. Era quasi più facile vederla con
la coda dell’occhio che guardarla direttamente.
Poi lanciò un’occhiata alle spalle della donna e si accorse che dall’altra stanza
stava giungendo una terza figura, un uomo. Sembrava mediorientale ed era vestito
da operaio, con tanto di cintura degli attrezzi e guanti. Era appoggiato allo stipite
della porta, le gambe incrociate, e indossava jeans coperti di segatura di legno e
una camicia a scacchi con le maniche arrotolate appena sopra i gomiti, che
rivelavano avambracci muscolosi. Aveva lineamenti regolari, ma non era
particolarmente bello; non era il tipo di uomo che si sarebbe fatto notare in mezzo
alla folla. Eppure i suoi occhi e il suo sorriso gli illuminavano il volto in un modo
che rendeva a Mack molto difficile distogliere lo sguardo.
Fece un passo indietro, sopraffatto dalla situazione. «C’è qualcun altro, qui?»
chiese, confuso.
I tre si guardarono e risero. Mack non poté impedirsi di sorridere. «No,
Mackenzie» ridacchiò la donna nera. «Siamo tutto ciò che avrai e, credimi, siamo
più che sufficienti.»
Mack cercò nuovamente di guardare la donna asiatica. Dal poco che riusciva a
comprendere, quella creatura ossuta doveva venire dal Nord della Cina, o dal
Nepal, oppure dalla Mongolia. Era difficile capirlo, perché doveva sforzare gli
occhi anche solo per intravederla. Dall’abbigliamento, ne dedusse che curava il
giardino. Portava dei guanti infilati nella cintura, non di pelle spessa come quelli
dell’uomo, ma di tela leggera, come quelli che lo stesso Mack usava per i lavori
in cortile. Indossava dei semplici jeans con motivi ornamentali agli orli – le
ginocchia erano impolverate, segno che si era accovacciata sul terreno – e una
blusa colorata con macchie gialle, rosse e blu. Ma era chiaro che la sua mente
stava descrivendo un’impressione, perché lei sembrava scomparire e riapparire,
a intermittenza.
L’uomo si fece avanti, toccò la spalla di Mack, lo baciò su entrambe le guance
e lo abbracciò energicamente. Mack provò subito simpatia nei suoi confronti.
L’uomo arretrò, e fu la donna asiatica ad avvicinarsi ancora, prendendogli la
faccia tra le mani. Piano piano, deliberatamente, avvicinò il suo viso a quello di
lui e, proprio quando sembrava che stesse per baciarlo, si fermò e lo guardò
intensamente negli occhi. Mack ebbe la sensazione di poterla attraversare con lo
sguardo. Poi lei sorrise, e i suoi profumi sembrarono avvolgerlo e togliergli un
peso immenso dalle spalle.
Di colpo, si sentì più leggero dell’aria, come se i suoi piedi non poggiassero
più per terra. Lei lo abbracciava senza abbracciarlo, anzi, nemmeno lo sfiorava.
Solo quando arretrò, il che avvenne probabilmente qualche secondo dopo, lui si
rese conto di avere ancora i piedi ben piantati sul pavimento.
«Oh, non fare caso a lei» disse il donnone. «Fa lo stesso effetto a tutti.»
«Mi piace» mormorò Mack, e tutti e tre scoppiarono a ridere. Questa volta lui
si unì all’ilarità generale, anche se non sapeva bene di cosa stessero ridendo, ma
non gli importava.
Quando finalmente smisero di ridere, il donnone mise un braccio intorno al
collo di Mack, lo attirò a sé e disse: «Va bene. Sappiamo chi sei tu, ma forse noi
dovremmo presentarci. Io» e fece un ampio cenno con la mano, «sono la
governante e la cuoca. Puoi chiamarmi Elousia».
«Elousia?» chiese Mack, che non capiva.
«Be’, non devi per forza chiamarmi così, è solo un nome che mi piace e che ha
un significato speciale. Però» incrociò le braccia e si mise una mano sotto il
mento, come per concentrarsi, «puoi chiamarmi come fa Nan.»
«Come? Non vorrai dire…» Mack era sorpreso e sempre più confuso. Non
poteva essere lei il Pa che aveva mandato il biglietto. «Cioè, vuoi dire… Pa?»
«Sì» rispose lei, e sorrise, aspettando che lui parlasse, come se fosse lì lì per
dire qualcosa, anche se non era affatto vero.
«E io» li interruppe l’uomo, che sembrava avere una trentina d’anni ed era
poco più basso di Mack, «mi occupo della manutenzione. Mi piace lavorare con
le mani anche se, e le altre te lo confermeranno, amo la cucina e il giardinaggio
almeno quanto loro.»
«Sembri mediorientale, forse… arabo?» tirò a indovinare Mack.
«A dire il vero sono fratellastro di quella grande famiglia. Sono ebreo, per la
precisione, della famiglia di Giuda.»
«Allora…» Mack fu improvvisamente colpito da una netta consapevolezza.
«Allora, tu sei… »
«Gesù? Sì. E puoi chiamarmi così, se vuoi. Dopotutto, è così che si rivolge a
me la gente comune. Mia madre mi chiamava Yeshua, ma mi sono abituato a
rispondere anche a Joshua e perfino a Jesse.»
Mack rimase ammutolito. Niente aveva più senso. Era tutto impossibile… ma
lui era lì, oppure non era vero neanche quello? Improvvisamente, si sentì debole.
Cercando di organizzare tutte quelle nuove informazioni, la sua mente perse il
controllo. Proprio quando stava per cadere in ginocchio, la donna asiatica gli si
avvicinò, distraendolo.
«E io sono Sarayu» disse, piegando lievemente la testa, e sorridendo. «Custode
dei giardini, tra le altre cose.»
I pensieri si accavallavano nella mente di Mack, che cercava di decidere cosa
fare. Forse una di quelle persone era Dio. E se erano allucinazioni, o angeli, e
Dio doveva ancora arrivare? Sarebbe stato imbarazzante. Erano in tre, forse
erano una manifestazione della Trinità. Ma due donne e un uomo? E nessuno di
loro era bianco! Ma in fondo, perché dare per scontato che Dio fosse bianco?
Sapeva che erano pensieri fuori controllo, così si concentrò sulla domanda che
più aveva bisogno di risposta.
«Insomma» chiese, non senza difficoltà, «chi di voi è Dio?»
«Io» risposero i tre all’unisono. Mack li guardò, uno dopo l’altro, e anche se
non riusciva a capire cosa stava vedendo e udendo, credette alle loro parole.
6
Un poco di π
«Be’, Mackenzie, non startene lì a bocca spalancata» disse il donnone mentre gli
voltava le spalle e attraversava la stanza. «Vieni, parliamo mentre preparo la
cena. O se non ti va, puoi fare quello che ti pare. Dietro la capanna» indicò verso
il soffitto, senza guardare o rallentare, «troverai una canna da pesca, vicino alla
rimessa delle barche; puoi usarla per prendere qualche trota di lago.»
Si fermò vicino alla porta per dare un bacio a Gesù. «Però ricorda» e si voltò
verso Mack, «che devi pulire da solo ciò che peschi.» Poi con un rapido sorriso
sparì nei meandri della baita, tenendo ancora tra le braccia il giaccone invernale
di Mack e tra due dita la pistola, lontana dal corpo.
Mack restò impalato con la bocca aperta e un’espressione inebetita dipinta sul
volto. Quando Gesù gli venne vicino e gli mise un braccio sulle spalle, a stento se
ne accorse. Sarayu sembrava semplicemente evaporata.
«Non è fantastica?» disse Gesù, sorridendogli.
Mack si voltò a guardarlo, scuotendo la testa. «Sto diventando matto? Dovrei
credere che Dio è in realtà una donna nera corpulenta con un discutibile senso
dell’umorismo?»
Gesù sorrise. «Mi fa impazzire! Ti lancia certe frecciatine… Adora le
sorprese, e anche se non si direbbe, ha un tempismo perfetto.»
«Davvero?» chiese Mack, senza smettere di scuotere la testa, non
completamente convinto. «Insomma, io cosa devo fare?»
«Non devi fare niente. Sei libero di fare ciò che vuoi.» Gesù si interruppe, poi
continuò, cercando di aiutare Mack con qualche suggerimento. «Io sto lavorando a
un progetto in legno, nella rimessa; Sarayu è in giardino; tu puoi andare a pescare,
in canoa, o in cucina a parlare con Pa.»
«Be’, mi sento in qualche modo obbligato ad andare a parlare con lui, anzi,
lei.»
«Oh.» Gesù si fece serio. «Non ci andare perché ti senti in dovere di farlo. Non
è così che guadagni punti, qui da noi. Vacci se è ciò che vuoi fare.»
Mack ci pensò e decise che in effetti era ciò che desiderava sopra ogni cosa.
Ringraziò Gesù, che sorrise, si voltò, e se ne andò nella rimessa. Poi si trovò
ancora una volta a guardare la porta. Era di nuovo solo, ma, dopo una rapida
occhiata in giro, allungò la testa oltre la soglia, esitò, quindi si decise a entrare.
«Dio?» chiamò timidamente e sentendosi non poco stupido.
«Sono in cucina, Mackenzie. Segui la mia voce.»
Scrutò la stanza. Non sembrava lo stesso posto a lui tristemente familiare.
Rabbrividì sentendo strisciare dentro di sé pensieri oscuri, ma li ricacciò.
Dall’altra parte della stanza, il corridoio girava l’angolo. In soggiorno, i suoi
occhi cercarono quel fatidico punto vicino al caminetto, ma sul pavimento di
legno non c’erano macchie. Notò che la stanza era arredata con gusto, disseminata
di opere d’arte che sembravano disegnate o costruite a mano da bambini. Si
domandò se quella donna custodisse quelle cose con lo spirito di un genitore che
ama i propri figli. Forse dava importanza a tutto ciò che le veniva regalato con il
cuore, come sanno fare solo i bambini, che donano con estrema facilità.
Mack seguì il suo canto lungo un breve corridoio fino a una cucina che faceva
anche da sala da pranzo, con tanto di tavolo per quattro e sedie con lo schienale
di vimini. L’interno della casupola era più spazioso di quanto si fosse
immaginato. Pa era affaccendata e gli dava le spalle, facendo volare nuvole di
farina mentre ondeggiava al ritmo della musica che stava ascoltando. La canzone
finì, accompagnata da un paio di sussulti di spalle e fianchi. Pa si voltò verso di
lui e si tolse le cuffiette.
Improvvisamente Mack provò il desiderio di rivolgerle migliaia di domande, o
dirle migliaia di cose, alcune delle quali impensabili e orribili. Era sicuro che il
suo volto tradisse le emozioni che stava cercando disperatamente di controllare,
ma in una frazione di secondo riuscì a infilare tutto nell’armadio del suo cuore
malconcio e a chiudere la porta a chiave. Se lei aveva percepito il suo conflitto
interiore, non lo diede a intendere: rimase allegra, piena di vita e serena.
«Posso domandarti cosa stai ascoltando?»
«Vuoi saperlo davvero?»
«Certo.» A quel punto Mack era curioso sul serio.
«West Coast Juice. È una band che si chiama Diatribe, e l’album non è ancora
uscito, si intitolerà Heart Trips. A dire il vero» e gli strizzò l’occhio, «questi
ragazzi non sono ancora nati.»
«Ma certo» rispose Mack, decisamente incredulo. «West Coast Juice, eh? Non
si direbbe particolarmente religioso.»
«Oh, credimi, non lo è. È più funk e blues eurasiatico con un messaggio e un
ritmo grandioso.» Fece un passo di lato come se stesse ballando, e batté le mani.
Mack arretrò.
«Quindi Dio ascolta il funk?» Mack non era sicuro che quel genere musicale si
avvicinasse in modo rispettoso ai temi sacri. «Pensavo che ascoltassi George
Beverly Shea, o il Mormon Tabernacle Choir… sai, qualcosa di più religioso.»
«Senti un po’, Mackenzie. Non devi preoccuparti per me. Io ascolto tutto… e
non solo la musica, ma anche i cuori che ci sono dietro. Non ti ricordi le lezioni
al seminario? Questi ragazzi non dicono niente che io non abbia già sentito: sono
solo pieni di una rabbia sprezzante ed esplosiva. Ne hanno tutti i motivi. Sono
solo alcuni dei miei ragazzi, che si mettono in mostra e fanno rumore. Mi
piacciono parecchio, se ti interessa saperlo. Già. Mi sa che questi li terrò
d’occhio.»
Mack si sforzava di stare al passo, di dare un senso a ciò che stava
succedendo. Nulla di ciò che aveva appreso in seminario gli tornava utile. Si
trovava improvvisamente senza parole, e le migliaia di domande se n’erano
andate di colpo. Così rimarcò l’ovvio.
«Devi sapere» esordì, «che chiamarti Pa è difficile, per me.»
«Davvero?» Lei lo guardò, fingendosi sorpresa. «Certo che lo so. So sempre
tutto.» Ridacchiò. «Ma dimmi, perché credi che sia difficile, per te? Forse è un
nomignolo troppo familiare, oppure perché mi mostro sotto forma di donna, di
madre, o…»
«Non è un ostacolo da poco, quello, in effetti» la interruppe Mack, con una
risatina imbarazzata.
«O forse è per i fallimenti del tuo papà?»
Mack smise di respirare per un attimo. Non era abituato a sentire i suoi segreti
rivelati così apertamente e repentinamente. In un attimo, la colpa e la rabbia gli
fecero venire voglia di reagire con un commento sarcastico e pungente. Aveva la
sensazione di essere in bilico sull’orlo di un abisso senza fondo, e che se non
avesse dominato le sue emozioni avrebbe perso il controllo. Voleva ritrovare
l’equilibrio, ma ci riuscì solo in parte, rispondendo a denti stretti: «Forse è
perché non ho mai conosciuto nessuno che potessi davvero chiamare Pa.»
Al che lei posò la ciotola che teneva nell’incavo del braccio, ci infilò il
cucchiaio di legno e si avvicinò a Mack con occhi pieni di tenerezza. Non aveva
bisogno di dirlo; lui sapeva che capiva cosa gli stava succedendo dentro, e in
qualche modo sapeva che teneva a lui più che a chiunque altro. «Se me lo
permetterai, Mack, vorrei essere la persona che merita di sentirsi chiamare Pa da
te.»
L’offerta era allo stesso tempo invitante e rivoltante. Mack aveva sempre
voluto un papà di cui fidarsi, ma non era certo che l’avrebbe trovato in quel
luogo, soprattutto se quel qualcuno non aveva saputo proteggere Missy. Un lungo
silenzio si frappose tra loro. Mack non sapeva cosa dire, e lei non aveva fretta di
riprendere la conversazione.
«Se non hai saputo avere cura di Missy, come posso credere che avrai cura di
me?» Ecco, l’aveva detto… La domanda che l’aveva tormentato ogni giorno
durante la Grande Tristezza. Mack si sentì avvampare mentre fissava quella che
ormai riconosceva come una strana personificazione di Dio, e si rese conto che
aveva serrato i pugni.
«Mack, mi dispiace tanto.» Le guance della donna si rigarono di lacrime. «So
che ciò che è accaduto ha aperto un abisso tra noi due. So che non capisci ancora
le mie ragioni, ma amo Missy, e te, in modo speciale.»
Gli piaceva il modo in cui pronunciava il nome di Missy, e allo stesso tempo
detestava che fosse lei a dirlo in quel modo. Le usciva di bocca dolce come
nettare, e nonostante la furia che impazzava nel suo cervello capiva che era
sincera. Voleva crederle, e piano piano la rabbia si placò.
«Sei qui per questo, Mack» continuò lei. «Volevo guarire la ferita che ti è
cresciuta dentro, quella che ci ha separati.»
Per riprendere il controllo di sé, lui volse lo sguardo al pavimento. Ci mise un
minuto buono a ricominciare a parlare. «Credo che mi piacerebbe» ammise, «ma
non so come…»
«Tesoro, non esistono risposte semplici per cancellare il tuo dolore. Credimi,
se ne avessi una, non mi tratterrei dal metterla in pratica. Non possiedo una
bacchetta magica da agitare e farti stare bene per incanto. La vita richiede un po’
di tempo e molta capacità di mettersi in relazione.»
Mack era contento che stessero arretrando dall’orlo della sua accusa. Sentirsi
quasi completamente sopraffatto dall’indignazione l’aveva davvero spaventato.
«Credo che sarebbe più facile parlare con te se non indossassi un vestito»
suggerì, tentando debolmente di sorridere.
«Se fosse più facile, non mi presenterei così» disse lei, ridacchiando appena.
«Non voglio rendere la cosa più difficile per nessuno di noi. Ma questo è un buon
punto di partenza. Spesso trovo che liberarsi prima dei problemi della mente
renda più semplice passare alle questioni del cuore… quando si è pronti.»
Riprese in mano il mestolo di legno, che gocciolava impasto. «Mackenzie, non
sono né maschio né femmina, benché entrambi i sessi derivino dalla mia natura.
Se decido di apparirti sotto forma di uomo oppure di donna, è perché ti amo. Per
me avere sembianze femminili e suggerirti di chiamarmi Pa è solo un modo per
mescolare le metafore, per impedirti di ricadere con troppa facilità nel tuo
condizionamento religioso.»
Si piegò in avanti, come per condividere un segreto. «Se mi fossi rivelata a te
come un grasso uomo anziano con la barba alla Gandalf, avrei semplicemente
confermato i tuoi stereotipi religiosi, e questo fine settimana non ha questo scopo,
anzi.»
Mack quasi eruppe in una risata. Avrebbe voluto dire: È questo che credi? Io
sono qui e faccio fatica a credere di non essere impazzito del tutto! Invece si
concentrò su quanto lei aveva appena detto e si ricompose. Credeva, per lo meno
nel suo cuore, che Dio fosse uno Spirito, né maschile né femminile, ma a dispetto
di ciò si rendeva conto con imbarazzo che aveva sempre immaginato Dio bianco e
maschio.
Lei smise di parlare, ma solo il tempo necessario per riporre un vasetto su un
portaspezie appoggiato al telaio della finestra, poi si voltò a guardarlo
nuovamente. Lo fissò a lungo. «Tu hai sempre avuto difficoltà ad accettarmi come
tuo padre, vero? E dopo tutto ciò che ti è successo, non sapresti come comportarti
davanti a un padre, o mi sbaglio?»
Lui sapeva che aveva ragione, e avvertì tutta la gentilezza e la compassione di
ciò che stava facendo. Quell’approccio era riuscito a disinnescare la sua
resistenza a lasciarsi amare. Era strano e doloroso e forse, in un certo senso,
meraviglioso.
«Ma allora» e si fermò, nel tentativo di mantenere la lucidità, «perché si mette
tanta enfasi sul fatto che sei il Padre? Voglio dire, mi sembra che sia così che ti
riveli, principalmente.»
«Be’» rispose Pa, dandogli le spalle e ricominciando ad armeggiare in cucina,
«ci sono molti motivi, e alcuni vanno molto in profondità. Per ora ti dico solo che
sapevamo che dopo la Creazione le figure paterne sarebbero venute a mancare
molto più di quelle materne. Non mi fraintendere, servono entrambe… ma è
necessario dare così tanto valore alla paternità, a causa dell’enormità della sua
assenza.»
Mack distolse lo sguardo, confuso, con la sensazione di aver già incamerato
troppe informazioni. Riflettendo, guardò fuori dalla finestra, verso un giardino
dall’aria incolta.
«Sapevi che sarei venuto, non è vero?» domandò infine, calmo.
«Certo che lo sapevo.»
«Allora… ero libero di non venire? Non avevo voce in capitolo?»
Pa si voltò verso di lui, stavolta con le mani piene di pasta e farina. «Ottima
domanda. Quanto a fondo vuoi andare?» Non attese la risposta, perché sapeva che
Mack non ne aveva una. Invece chiese: «Credi di essere libero di andartene?».
«Credo di sì. Lo sono?»
«Certo che lo sei! Non mi interessa fare prigionieri. Sei libero di uscire da
quella porta anche subito, e di tornare nella tua casa vuota. O potresti andare al
Grind e stare con Willie. Il fatto che sei troppo curioso per andartene non nega il
tuo essere dotato di libero arbitrio.»
Rimase in silenzio solo per un attimo, dedicandosi di nuovo alla ricetta, ma poi
riprese a parlare, sempre di spalle. «Se invece vuoi approfondire un poco la
cosa, potremmo parlare della natura della libertà. Secondo te essere liberi
significa poter fare quello che si vuole? O se vuoi parliamo delle influenze
limitanti che operano per ridurre la libertà nella tua vita. Il tuo patrimonio
genetico familiare, il tuo DNA specifico, la tua unicità metabolica, le particelle
quantiche a livello subatomico, delle quali io sono l’osservatrice costante.
Oppure la malattia della tua anima, che si intrufola, ti inibisce e ti vincola, o le
influenze sociali che ti circondano, le abitudini che hanno creato legami e
percorsi sinaptici nel tuo cervello. E poi ci sono la pubblicità, la propaganda, e i
paradigmi. In questa confluenza di inibitori sfaccettati» sospirò lei, «cos’è
davvero la libertà?»
Mack rimase imbambolato, incapace di decidere cosa ribattere.
«Solo io posso renderti libero, Mackenzie, ma la libertà non può mai essere
imposta.»
«Non capisco» replicò Mack. «Non capisco nemmeno ciò che mi hai appena
detto.»
Lei si voltò e sorrise. «Lo so. Non te l’ho detto per fartelo capire subito. Te
l’ho detto per dopo. A questo punto non capisci nemmeno che la libertà è un
processo incrementale.» Muovendosi lentamente, gli prese le mani nelle sue,
imbrattate di farina, e guardandolo dritto negli occhi continuò: «Mackenzie, la
Verità ti renderà libero, e la Verità ha un nome; si trova nella rimessa, ora,
coperto di segatura. Tutto ciò che esiste parla di lui. E la libertà è un processo
che avviene all’interno della relazione che si instaura con lui. A quel punto tutto
ciò che senti ribollire dentro di te, comincerà a uscire».
«Come fai a sapere come mi sento?» chiese Mack, guardandola negli occhi.
Pa non rispose, limitandosi ad abbassare lo sguardo sulle loro mani. Mack
seguì con gli occhi quelli di lei e, per la prima volta, notò le cicatrici sui suoi
polsi, come quelli che immaginava che avesse anche Gesù. Lei gli permise di
sfiorare delicatamente le cicatrici, segni di una perforazione profonda, poi lui
rialzò lo sguardo, a incontrare quello di lei. I suoi occhi stillavano lacrime, che
tracciavano solchi nella farina che le sporcava le gote.
«Non credere che non abbiamo sofferto per la scelta di mio figlio. L’amore
lascia sempre un segno profondo» disse dolcemente, con calma. «Eravamo lì
insieme.»
Mack ne fu sorpreso. «Alla croce? Aspetta, credevo che tu l’avessi lasciato –
sai – “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”» Era un versetto sul quale
Mack aveva riflettuto molto, durante la Grande Tristezza.
«Tu fraintendi il mio mistero. A prescindere da come si sentiva lui in quel
momento, io non l’ho mai lasciato.»
«Come puoi dire questo? L’hai abbandonato come hai fatto con me!»
«Mackenzie, non ho mai lasciato lui, come non ho mai lasciato te.»
«Ma questo non ha senso, per me» scattò Mack.
«Lo so, almeno non adesso. Per lo meno prendi in considerazione questo:
quando riesci a vedere solo il tuo dolore, perdi di vista me. Lo ammetti?»
Mack non rispose, e lei tornò a dedicarsi alla cucina per lasciargli il tempo
necessario. Sembrava intenta a preparare diverse pietanze, aggiungendo spezie e
ingredienti vari. Mormorando una melodia ripetitiva, apportò gli ultimi tocchi
all’impasto di una torta, e la infilò nel forno.
«Non dimenticare che la storia non è finita con il suo senso di abbandono. Ha
trovato il modo di liberarsene, per affidarsi completamente a me. Oh, che
momento è stato quello!»
Mack si appoggiò al piano della cucina, disorientato. Le sue emozioni si
accavallavano. Parte di lui voleva credere a tutto ciò che Pa stava dicendo.
Sarebbe stato bellissimo! Un’altra parte, però, obiettava con veemenza: Ma non è
possibile!
Pa allungò una mano verso il contaminuti, ruotò la manopola, e lo mise sul
tavolo. «Io non sono chi tu credi, Mackenzie.» Non lo stava accusando, né si stava
difendendo.
Mack guardò lei, poi il contaminuti, e sospirò. «Mi sento completamente
perso.»
«Allora vediamo di ritrovarti in questa confusione.»
Con tempismo perfetto, una ghiandaia atterrò sul davanzale della cucina e
cominciò a saltellare avanti e indietro. Pa infilò la mano in una latta su una
mensola, aprì la finestra e offrì all’uccello una mistura di semi che doveva aver
tenuto da parte proprio per un’occasione simile. Senza alcuna esitazione, e con un
contegno di umiltà e gratitudine, la ghiandaia si avvicinò e iniziò a nutrirsi.
«Pensa a questo nostro piccolo amico» iniziò lei. «La maggior parte degli
uccelli sono stati creati per volare. Rimanere a terra, per loro, è una limitazione
della capacità di volare, non l’opposto.» Fece una pausa, per consentire a Mack
di riflettere su quella affermazione. «Tu, al contrario, sei stato creato per lasciarti
amare. Così per te vivere come se non fossi amato è una limitazione, non una
liberazione.»
Mack annuì, non tanto per assentire a quel ragionamento, quanto per far
intendere che almeno aveva capito e stava seguendo il discorso. Sembrava una
cosa abbastanza semplice.
«Vivere senza amore è come tarpare le ali a un uccello e togliergli la capacità
di volare. Non è ciò che io voglio per te.»
Quello era il problema. In quel momento non si sentiva particolarmente amato.
«Mack, il dolore ha la capacità di tarparci le ali e di impedirci di volare.»
Attese un attimo, perché le sue parole decantassero. «E se la cosa resta irrisolta a
lungo, puoi arrivare a dimenticare che sei stato creato per volare.»
Mack restò in silenzio. Stranamente, la cosa non lo imbarazzava. Guardò
l’uccellino, che ricambiò il suo sguardo. Si domandò se gli uccelli potessero
sorridere. Perché la ghiandaia sembrava sorridergli, forse semplicemente in
segno di compassione.
«Io non sono come te, Mack.»
Non era un paragone umiliante. Era la semplice constatazione di un dato di
fatto, ma per Mack fu come una secchiata di acqua ghiacciata.
«Io sono Dio. Sono ciò che sono. E contrariamente a te, le mie ali non possono
essere tarpate.»
«Be’, mi fa piacere per te, ma questo dove mi porta?» esclamò d’impeto Mack,
in tono più irritato di quanto avrebbe voluto.
Pa cominciò ad accarezzare l’uccellino, lo avvicinò al volto e, il naso contro il
becco del volatile, disse: «Proprio al centro del mio amore!».
«Penso che quell’uccello lo capisca meglio di me» fu tutto ciò che Mack riuscì
a ribattere.
«Lo so, tesoro. È per questo che siamo qui. Perché credi che abbia detto “Io
non sono come te”?»
«Be’, non ne ho idea. Cioè, tu sei Dio, e io no.» Non riusciva a non essere
sarcastico, ma lei faceva finta di niente.
«Sì, ma non esattamente. Almeno non nel modo che credi tu. Mackenzie, io
sono ciò che molti definiscono “Perfetto, e perfettamente agli antipodi rispetto a
te”. Il problema è che la maggior parte della gente cerca di raffigurarmi
prendendo la miglior versione di se stessi, moltiplicandola all’ennesima potenza,
includendo tutta la bontà che conoscono, che spesso non è molta, e definendo il
risultato Dio. E per quanto possa sembrare un valido sforzo, la verità è che questo
ritratto è tanto incompleto, rispetto a ciò che sono in realtà. Non sono solo la
miglior versione di te che tu riesca a concepire. Io sono molto più di questo, ben
oltre ciò che puoi chiedere o immaginare.»
«Mi dispiace, ma per me queste sono solo parole che non hanno molto senso.»
Mack scrollò le spalle.
«Anche se non puoi comprendermi a fondo, sai che c’è? Voglio comunque
essere conosciuta.»
«Stai parlando di Gesù, giusto? Vuoi farmi una lezioncina del tipo ora-ti-
spiego-la-Trinità?»
Lei ridacchiò. «Più o meno, ma qui non siamo a catechismo. Questa è una
lezione di volo. Mackenzie, come puoi immaginare, ci sono alcuni vantaggi
nell’essere Dio. Per mia natura sono assolutamente illimitata, senza vincoli.
Conosco da sempre la pienezza. Vivo in uno stato di perenne soddisfazione, che è
la mia condizione abituale di esistenza» disse, piuttosto compiaciuta. «Uno dei
tanti vantaggi del fatto di essere me.»
Mack non poté non sorridere. Quella signora era a proprio agio, era serena nel
proprio ruolo e nella propria pelle, e non c’era un grammo di arroganza nel suo
contegno.
«Vi abbiamo creati per condividere tutto questo, ma poi Adamo ha deciso di
andare per la sua strada, come sapevamo che avrebbe fatto, e le cose si sono un
po’ incasinate. Solo che invece di buttare via tutta la Creazione ci siamo
rimboccati le maniche e ci siamo gettati nel mezzo del caos… il risultato è stato
Gesù.»
Mack pendeva dalle sue labbra, facendo del proprio meglio per seguire la
catena delle informazioni che lei gli trasmetteva.
«Quando noi tre ci siamo incarnati nell’esistenza umana come Figlio di Dio,
siamo diventati pienamente umani. Abbiamo anche deciso di accettare tutte le
limitazioni che ciò comportava. Anche se siamo sempre stati presenti in questo
universo creato, eravamo diventati carne e sangue. Sarebbe come se questo
uccellino, la cui natura è volare, decidesse di limitarsi a camminare, rimanendo a
terra. Non smetterebbe di essere un uccello, ma la sua esperienza di vita ne
verrebbe significativamente alterata.»
Fece una pausa, per assicurarsi che Mack la stesse ancora seguendo. Anche se
aveva la sensazione che gli stesse venendo un crampo al cervello, lui disse: «Va
bene…», invitandola a proseguire.
«Anche se per natura è pienamente Dio, Gesù è anche assolutamente umano, e
vive come tale. Non perde mai l’abilità innata di volare, ma decide giorno per
giorno di camminare sulla terra. Ecco perché il suo nome è Emmanuele, con noi è
Dio, o con te è Dio, per essere più precisi.»
«Ma allora tutti i miracoli? Le guarigioni? La gente che risorgeva dalla morte?
Non provano che Gesù era Dio… sì, insomma, più che umano?»
«No, provano che Gesù è veramente umano.»
«Come?»
«Mackenzie, io posso volare, ma gli umani no. Gesù è umano. Benché sia anche
pienamente Dio, non ha mai attinto alla sua natura divina per compiere le sue
azioni. È sempre vissuto del suo rapporto con me, nello stesso modo in cui io
desidero essere in relazione con ogni essere umano. Lui è solo il primo a metterlo
in pratica totalmente, il primo a credere completamente nella mia vita dentro di
lui, il primo a credere al mio amore e alla mia bontà senza badare alle apparenze
o alle conseguenze.»
«Quindi, quando ha guarito il cieco…?»
«L’ha fatto come essere umano, dipendente e limitato, che credeva fermamente
che la mia vita e il mio potere si esprimessero attraverso di lui. Gesù, in quanto
umano, non aveva il potere intrinseco di guarire nessuno.»
Fu un trauma per le convinzioni religiose di Mack.
«Solo abbandonandosi al suo rapporto con me, alla nostra comunione – la
nostra co-unione – poteva esprimere il mio cuore e la mia volontà in qualsiasi
circostanza. Quindi quando guardi Gesù e ti sembra che stia volando, sta
veramente volando. Ma ciò che vedi realmente sono io; la mia vita in lui. È così
che lui vive e agisce da vero umano, nel modo in cui ogni umano è creato per
vivere: di vita mia.
«Un uccello non viene definito dalla sua permanenza al suolo, ma dalla sua
capacità di volare. Ricorda questo: gli umani non sono definiti dalle loro
limitazioni, ma dai piani che io ho per loro; non da ciò che sembrano essere, ma
da tutto ciò che significa essere creati a mia immagine.»
Mack avvertì il peso di quel sovraccarico di informazioni. Prese una sedia e vi
si abbandonò. Ci sarebbe voluto tempo, per comprendere. «Quindi vuoi dire che
quando Gesù era sulla Terra tu eri limitata? Cioè, ti sei limitata a essere
solamente Gesù?»
«Niente affatto! Anche se attraverso Gesù avevo dei limiti, non ne ho mai avuti
in quanto me.»
«Ecco, questa è la faccenda della Trinità. Mi ci perdo sempre.»
Pa scoppiò in una lunga e sincera risata che mise voglia a Mack di seguirla in
quella serena esternazione. Appoggiò l’uccellino sul tavolo accanto a Mack, si
voltò per aprire il forno e controllò la cottura della torta. Rassicurata che tutto
procedesse a dovere, prese una sedia e si accomodò con loro. Mack guardò
l’uccellino che, cosa insolita, sembrava contento di restare lì. L’assurdità di
quella scena lo fece ridere.
«Tanto per cominciare, il fatto che tu non possa comprendere la meraviglia
della mia natura è un segno positivo. Chi vuole adorare un dio che si può capire
perfettamente? Non rimarrebbe molto mistero, giusto?»
«Ma cosa significa che voi siete tre, ma siete anche un solo dio? L’ho detto
bene?»
«Abbastanza bene.» Sorrise. «Mackenzie, è una distinzione fondamentale!»
Sembrava divertirsi. «Non siamo tre dei, e non siamo neppure un dio con tre
disposizioni d’animo, come per esempio un uomo che sia marito, padre e
lavoratore. Io sono un solo Dio e sono tre personalità, e ciascuna è pienamente e
interamente il solo Dio.»
L’«Ehh?» che Mack stava trattenendo gli scappò in tutta la sua gloria.
«Lascia perdere» proseguì lei. «Ciò che importa è questo: se io fossi solamente
un dio e una persona, allora ti ritroveresti in questa Creazione senza niente di
meraviglioso ed essenziale. E io sarei diversissima da ciò che sono.»
«E noi saremmo senza…?» Mack non sapeva nemmeno come finire la
domanda.
«Amore e relazione. Tutto l’amore e le relazioni sono possibili per voi solo
perché esistono già dentro di me, entro Dio stesso. L’amore non è limitazione;
l’amore è l’atto di volare. Io sono amore.»
Quasi rispondendo alla sua dichiarazione, il contaminuti suonò e l’uccellino
prese il volo, uscendo dalla finestra. Per Mack osservare lo sbattere di ali della
ghiandaia assunse una nuova valenza di stupore. Fissò Pa, meravigliato. Era così
bella e stupefacente, e anche se si sentiva un po’ smarrito, e la Grande Tristezza
non l’aveva ancora lasciato, avvertiva una nuova serenità e la sicurezza che
derivava dal trovarsi così vicino a lei.
«Tu capisci» proseguì, «che se non avessi qualcosa – o meglio, qualcuno – da
amare, se non avessi questo tipo di relazione entro me stessa, allora sarei
assolutamente incapace di amare? Avresti un dio incapace di provare amore. O
peggio ancora, un dio che, quando vuole, può amare solo in quanto si tratta di una
limitazione della sua natura. Quel tipo di dio potrebbe anche agire senza amore, e
sarebbe un vero disastro. E di certo io non sono così.»
A quelle parole, Pa si alzò, andò al forno, tirò fuori la torta, la mise sul tavolo,
si voltò come per presentarsi e disse: «Il Dio che è – l’Io che Io sono – non può
prescindere dall’amore!».
Mack sapeva che ciò che stava ascoltando, per quanto difficile da capire, era
ineffabile e incredibile. Era come se le parole di lei gli si stessero stringendo
intorno, abbracciandolo e comunicando in modi che andavano oltre ciò che lui
poteva udire. Non che vi credesse davvero. Se solo fosse stato tutto vero… La
sua esperienza gli diceva il contrario.
«Questo fine settimana è dedicato alla relazione e all’amore. So che ci sono
molte questioni, a te oscure, che vorresti affrontare, ma ora faresti meglio ad
andare a lavarti. Gli altri due stanno per tornare, è ora di cena.» Fece per
allontanarsi, ma poi esitò e lo guardò di nuovo.
«Mackenzie, lo so che il tuo cuore è pieno di dolore, rabbia e molta
confusione. Insieme, tu e io, ne risolveremo una parte, durante la tua permanenza
qui. Ma voglio anche che ti sia chiaro che stanno succedendo più cose di quante
ne potresti capire anche se io te le spiegassi. Per quanto ti è possibile, fidati di
me, anche poco, okay?»
Mack chinò il capo, guardando il pavimento. Lo sa, pensò. Poco? Il suo «poco»
era appena più di niente. Annuendo, alzò lo sguardo e notò nuovamente le
cicatrici sui polsi di lei.
«Pa?» chiese infine Mack, in un tono decisamente imbarazzato, il tono di una
persona che si sta impegnando davvero.
«Sì, tesoro?»
Mack lottò per trovare le parole adatte a descrivere ciò che sentiva nel cuore.
«Mi dispiace che tu, che Gesù sia dovuto morire.»
Lei fece il giro del tavolo e lo strinse in un altro forte abbraccio. «Lo so, e ti
ringrazio. Ma devi sapere che a me non rattrista affatto. Ne valeva la pena. Non è
vero, figliolo?»
Si voltò per rivolgere la domanda a Gesù, che era appena entrato nella
casupola. «Ma certo!» Fece una pausa, poi guardò Mack. «E l’avrei fatto anche se
fosse stato solo per te, ma non è andata così!» disse, con un sorriso sincero.
Mack si accomiatò e trovò il bagno, dove si lavò le mani e il viso, e cercò di
ricomporsi.
7
In bagno, Mack si guardò allo specchio mentre si asciugava il viso. Cercava una
traccia di follia negli occhi che lo fissavano. Stava succedendo davvero? Certo
che no, era impossibile. Eppure… allungò una mano e sfiorò lo specchio. Forse
stava vivendo un’allucinazione causata dal dolore e dalla disperazione. Forse era
un sogno, e lui era addormentato da qualche parte, magari nel rifugio, prossimo a
morire assiderato. Forse… improvvisamente, il rumore di uno schianto interruppe
il flusso dei suoi pensieri. Proveniva dalla cucina, e lo lasciò impietrito. Per un
istante ci fu un silenzio tombale, poi, di colpo, risate fragorose. Curioso, uscì dal
bagno e sbirciò dalla porta della cucina.
La scena che gli si parava davanti lo lasciò senza parole. Gesù aveva lasciato
cadere una grossa ciotola di pastella o salsa, che si era rovesciata per terra
sporcando dappertutto. Doveva essere finita vicino a Pa, perché il lembo
inferiore della sua gonna e i suoi piedi scalzi erano coperti di una miscela chiara.
I tre ridevano tanto che Mack temette che soffocassero. Sarayu disse qualcosa su
quanto maldestri fossero gli umani, e le risate ripresero forza. Alla fine Gesù
passò accanto a Mack e ritornò un minuto dopo, armato di un catino pieno d’acqua
e alcuni stracci. Sarayu aveva già cominciato a pulire il pavimento e le credenze,
ma Gesù andò dritto verso Pa e, inginocchiatosi, iniziò a strofinarle i vestiti.
Arrivato ai piedi, li sollevò uno alla volta e li immerse nel catino, dove glieli
lavò, massaggiandoli.
«Oooh, com’è piacevole!» esclamò Pa, continuando a occuparsi delle sue
faccende sul piano cottura della cucina.
Appoggiato allo stipite della porta, Mack li guardò con la mente affollata di
pensieri. Quindi quello era Dio in relazione? Era bellissimo, e molto rassicurante.
Sapeva che non aveva importanza di chi fosse la colpa di avere rotto la ciotola
che aveva sporcato per terra, per la pietanza che non sarebbe stato possibile
preparare e condividere. Era evidente che la sola cosa che contava era l’amore
che provavano gli uni per gli altri, e il senso di pienezza che ne ricavavano.
Scosse la testa. Com’era diverso dal modo in cui lui si rapportava alle persone
che amava!
La cena fu semplice, ma ricca. Un uccello arrosto, in una salsa che sapeva più o
meno di arancia e mango. Verdure di stagione, insaporite con dio solo sa quali
spezie, fruttate, piccanti, gustose. Riso, di una qualità che Mack non aveva mai
assaggiato, e che avrebbe potuto costituire un pasto completo anche da solo.
L’imbarazzo iniziale, quando lui, per abitudine, chinò la testa, prima di ricordare
dove si trovava, si dissipò nel momento in cui alzò lo sguardo e vide che tutti e
tre sorridevano. Così, con tutta la naturalezza che gli riuscì, disse: «Ehm, grazie a
tutti voi… potrei avere un po’ di quel riso?».
«Certo. Volevamo condirlo con una fantastica salsa giapponese, ma il signor
dita sudate, laggiù» Pa fece cenno verso Gesù, «ha deciso di provare a vedere se
la ciotola rimbalzava.»
«Eddài» rispose Gesù, fingendo di difendersi. «Mi è scivolata di mano. Cosa
posso farci?»
Pa ammiccò a Mack passandogli il riso. «Non ci sono più i domestici di una
volta.» Tutti risero.
La conversazione sembrava quasi normale. Mack si sentì chiedere di tutti i suoi
figli, eccetto Missy, e raccontò delle loro difficoltà e dei loro successi. Quando
parlò dei suoi timori per Kate, i tre annuirono con espressione preoccupata, ma
non gli offrirono alcun consiglio. Rispose anche a domande sui suoi amici, e
Sarayu sembrò particolarmente interessata a Nan. Alla fine, trovò il coraggio di
chiedere qualcosa che gli ronzava in testa dall’inizio della cena.
«Insomma, io sono qui che vi racconto dei miei figli, dei miei amici e di Nan,
ma voi sapete già tutto, vero? Vi comportate come se non fosse così.»
Sarayu allungò una mano e prese quella di Mack. «Mackenzie, ricordi la nostra
chiacchierata di prima sulle limitazioni?»
«La nostra chiacchierata?» Guardò Pa che annuiva serena.
«Non puoi aprirti con uno e non farlo con tutti noi» spiegò Sarayu, e sorrise.
«La scelta di restare sulla Terra ha lo scopo di facilitare una relazione; di
onorarla. Mackenzie, lo fai anche tu. Non giochi con un bambino, non colori un
disegno insieme a lui per mostrargli la tua superiorità. Invece scegli di trattenerti,
per facilitare e onorare quella relazione. Sei disposto a perdere una competizione,
per mostrare il tuo amore. Non si tratta di vincere o perdere, ma di amare e
rispettare.»
«Quindi, quando io vi ho parlato dei miei figli…»
«Ci siamo limitati, per rispetto nei tuoi confronti. Non stiamo richiamando alla
mente ciò che sappiamo sui tuoi bambini. Quando ti ascoltiamo, è come se
apprendessimo di loro per la prima volta, e ci delizia poterli vedere attraverso i
tuoi occhi.»
«Mi piace» concluse Mack, appoggiandosi allo schienale della sedia.
Sarayu gli strinse la mano e sembrò che anche lei si fosse seduta. «Anche a me!
I rapporti non si basano mai sul potere, e un modo per evitare la volontà di
superiorità gerarchica è quello di scegliere di trattenersi, di mettersi a servizio
degli altri. Gli esseri umani lo fanno spesso… occupandosi degli infermi e degli
ammalati, aiutando chi ha la mente smarrita, avvicinandosi ai poveri, amando i
molto vecchi e i molto giovani, o perfino prendendosi cura di colui che esercita
potere su di loro.»
«Ben detto, Sarayu» intervenne Pa, il volto illuminato dall’orgoglio. «Dei piatti
mi occuperò io, dopo. Ora, vorrei che ci concentrassimo su una preghiera.»
Mack dovette trattenere una risatina, al pensiero di Dio che pregava. Gli
vennero in mente scene della sua infanzia, e non erano precisamente ricordi
positivi. Spesso si trattava di un lento e noioso esercizio che consisteva nel
fornire le risposte giuste, o meglio, le stesse risposte di sempre, alle stesse
domande sulla storia della Bibbia, per poi cercare di restare sveglio durante le
lunghissime litanie di suo padre. E quando lui beveva, il momento della preghiera
diventava un pericoloso campo minato, nel quale ogni risposta errata, ogni
sguardo di distrazione potevano scatenare un’esplosione. Si aspettava quasi che
Gesù tirasse fuori una grossa Bibbia di Re Giacomo.
Invece Gesù prese le mani di Pa tra le sue, le cicatrici dei polsi ben visibili.
Mack rimase fermo, trasfigurato, mentre lo osservava baciare le mani di suo
padre, per poi fissarlo negli occhi e dire: «Pa, è stato bello guardarti, oggi,
mentre accoglievi il dolore di Mack dentro di te, lasciandogli lo spazio di agire
secondo i suoi tempi. Hai onorato lui, e hai onorato me. Ascoltarti sussurrare
pace e amore nel suo cuore è stato incredibile. Era una gioia guardarti! Amo
essere tuo figlio».
Anche se Mack si sentiva di troppo, nessuno sembrava seccato dalla sua
presenza, e poi non avrebbe comunque saputo dove andare. Essere testimone di
una tale espressione d’amore gli diede la sensazione che dentro di lui si
districasse un groviglio di sentimenti contrastanti, e anche se non era certo di
poter tradurre in parole ciò che provava, quell’emozione era positiva. A cosa
stava assistendo? A qualcosa di semplice, caldo, intimo, genuino; qualcosa di
sacro. La santità era sempre stata un concetto freddo e sterile, per lui, ma quella
visione non era né fredda né sterile. Preoccupato che qualunque suo gesto potesse
interrompere quel momento, chiuse gli occhi e unì le mani. Ascoltando
attentamente, sentì Gesù spostare la sedia. Seguì una pausa, poi Gesù parlò
ancora. «Sarayu» esordì dolcemente, «tu lava, io asciugo.»
Gli occhi di Mack si aprirono di colpo, giusto in tempo per vedere i due che si
scambiavano un sorriso, prendevano i piatti e sparivano in cucina. Rimase seduto
per qualche istante, incerto sul da farsi. Pa si era allontanata, e visto che gli altri
due erano occupati a sistemare le stoviglie… be’, fu una decisione facile. Prese le
posate e i bicchieri e si diresse in cucina. Non appena li ebbe appoggiati accanto
a Sarayu perché li lavasse, Gesù gli passò uno strofinaccio, e asciugarono
insieme.
Sarayu iniziò a canticchiare lo stesso motivetto che aveva sentito uscire in
precedenza dalle labbra di Pa, e mentre lavoravano Gesù e Mack la ascoltarono.
Più di una volta Mack si sentì commosso, prossimo alle lacrime. La melodia gli
sembrava di radice gaelica, immaginava le cornamuse di accompagnamento. Per
quanto fosse difficile per lui rimanere e consentire alle sue emozioni di erompere
con tanta prepotenza, quella melodia lo aveva completamente catturato. Se avesse
potuto ascoltarla per sempre, sarebbe stato felice di asciugare piatti per il resto
della vita.
Dopo neanche dieci minuti avevano finito. Gesù baciò Sarayu sulla guancia e
lei scomparve oltre la porta. Lui sorrise a Mack. «Andiamo all’ormeggio a
guardare le stelle.»
«E gli altri?» chiese Mack.
«Sono qui» rispose Gesù. «Io sono sempre qui.»
Mack annuì. Quella faccenda della presenza di Dio, benché difficile da
comprendere, sembrava oltrepassare la logicità della mente e puntare diritta al
cuore. Lui lasciò libero l’accesso.
«Dài» disse Gesù, interrompendo i suoi pensieri. «So che ti piace guardare le
stelle! Ti va?» Il tono sembrava quello di un bambino pieno di aspettative e
impazienza.
«Sì, credo di sì» rispose Mack, rendendosi conto che l’ultima volta che l’aveva
fatto era stata durante quel maledetto campeggio con i ragazzi. Forse era ora di
correre qualche rischio.
Seguì Gesù fuori dalla porta sul retro. Negli ultimi istanti del crepuscolo, riuscì
a scorgere la sponda rocciosa del lago, non coperta di erbacce come la ricordava,
ma perfettamente curata, da cartolina. Il torrente che vi si riversava sembrava
emettere una musica tutta sua. Un molo, poco più che un ormeggio, si spingeva per
una quindicina di metri nello specchio d’acqua, dove Mack intravide tre canoe,
legate a pali equidistanti. Il giorno stava velocemente lasciando il posto alla notte
e il buio che calava era già saturo dei richiami di grilli e rospi. Gesù lo prese per
un braccio e lo condusse lungo il sentiero mentre i suoi occhi si abituavano, ma
Mack già guardava in alto, verso la notte senza luna, scorgendo il bagliore delle
stelle che emergevano dalla coltre di tenebra.
Arrivarono a tre quarti del molo e si distesero sulla schiena. L’elevazione del
luogo sembrava ingigantire la volta del cielo, e Mack era deliziato di fronte a
tante stelle, così nitide. Gesù suggerì di chiudere gli occhi per qualche minuto, per
consentire agli ultimi bagliori del crepuscolo di sgombrare il cielo. Mack obbedì,
e quando finalmente li aprì, lo spettacolo era così maestoso che per qualche
istante lo colsero le vertigini. Aveva la sensazione di cadere verso l’alto, nello
spazio, con le stelle che gli correvano incontro, come per abbracciarlo. Alzò le
mani immaginando di cogliere diamanti, uno alla volta, dal velluto nero del cielo.
«Caspita!» sussurrò.
«Incredibile!» bisbigliò Gesù, la testa vicina a quella di Mack nel buio. «Non
mi stanco mai di guardarlo.»
«Anche se l’hai creato tu?» chiese Mack.
«Io l’ho creato in quanto Verbo, prima che il Verbo diventasse materia. Quindi
anche se è opera mia, ora lo vedo con occhio umano. Ed è spettacolare!»
«Puoi dirlo forte.» Mack non sapeva descrivere ciò che provava, ma mentre se
ne stavano lì in silenzio a fissare lo spettacolo celeste, guardando e ascoltando,
capì nel profondo del cuore che stava vivendo un momento sacro. Di tanto in
tanto, qualche stella cadente tracciava una scia nel cielo, e uno di loro esclamava:
«Hai visto? Stupenda!».
Dopo un silenzio che si stava protraendo troppo, Mack disse: «Con te mi sento
più a mio agio. Sembri così diverso dalle altre due».
«In che senso, diverso?» domandò quella voce dolce, nel buio.
«Be’…» Mack fece una pausa, per riflettere. «Più reale, tangibile, non saprei.»
Faticava a trovare le parole, e Gesù se ne stava in silenzio, in attesa. «È come se
ti conoscessi da sempre. Ma Pa non è come immaginavo Dio, e Sarayu è così
strana.»
Gesù ridacchiò. «Visto che sono un essere umano, abbiamo molto in comune.»
«Ma non capisco comunque…»
«Io sono il modo migliore in cui un uomo può relazionarsi con Pa o con Sarayu.
Vedere me è vedere loro. L’amore che senti provenire da me non è diverso dal
loro. E credimi, Pa e Sarayu sono reali quanto me, anche se hai colto la diversità
che li contraddistingue.»
«A proposito di Sarayu. Lei è lo Spirito Santo?»
«Sì. Lei è la Creatività; l’Azione; il Soffio Vitale; e molto altro. Lei è il mio
Spirito.»
«E il suo nome, Sarayu…?
«È un semplice nome attinto da uno dei tanti idiomi umani. Significa “vento”,
per la precisione “vento comune”. Lei adora quel nome.»
«Mmm» bofonchiò Mack. «Non c’è niente di comune, in lei!»
«Questo è vero» rispose Gesù.
«E il nome di Pa, Elo… El…»
«Elousia» disse Gesù con rispetto reverenziale. «Che nome meraviglioso. “El”
è il mio nome in quanto Dio Creatore, ma “ousia” vuol dire “essere”, o “ciò che è
veramente reale”, quindi Dio Creatore che è veramente reale e fonte di tutto ciò
che è. In fondo, anche questo sarebbe un nome carico di significati.»
Seguì un momento in cui nessuno parlò, mentre Mack rimuginava su ciò che
Gesù aveva detto. «Be’, quindi in tutto questo noi dove siamo?» Aveva la
sensazione di porre la domanda a nome di tutta l’umanità.
«Dove siete sempre stati. Al centro esatto del nostro amore e del nostro
disegno.»
Ancora una pausa, poi: «Credo che mi stia bene».
Gesù scoppiò in una risatina. «Mi fa piacere sentirtelo dire» e risero entrambi.
Poi il silenzio. L’immobilità era scesa come una coltre, e Mack percepiva solo il
suono dell’acqua che lambiva il molo. Fu lui a spezzare, infine, quel mutismo.
«Gesù?»
«Dimmi, Mackenzie.»
«C’è una cosa di te che mi sorprende.»
«Davvero? Quale?»
«Mi sa che mi aspettavo che fossi più» attento, Mack, «mmm… be’,
umanamente appariscente.»
Gesù rise ancora. «Umanamente appariscente? Intendi dire di bell’aspetto.»
Rise più forte.
«Be’, stavo cercando di evitare quest’espressione, però sì. In qualche modo
credevo che tu incarnassi l’essere umano perfetto, sai, atletico e incredibilmente
bello.»
«È per il naso, vero?»
Mack non sapeva come rispondere.
Gesù rise. «Sono ebreo, sai. Mio nonno, da parte di madre, aveva un grosso
naso; a dire il vero, quasi tutti gli uomini del lato materno della mia famiglia
presentavano questa caratteristica.»
«Ti immaginavo solo più attraente.»
«Secondo quali parametri? Comunque, quando mi conoscerai veramente, non ti
importerà più.»
Le parole, benché espresse con gentilezza, punsero nel vivo. Nel vivo di cosa,
però? Mack rimase fermo qualche istante e si rese conto che per quanto si
illudesse di conoscere Gesù, forse si ingannava… non lo conosceva affatto. Forse
ciò che conosceva era soltanto un’icona, un ideale, un’immagine utile a trovare un
senso di spiritualità, ma non una persona vera. «Perché?» chiese infine. «Hai
detto che se ti conoscessi veramente non mi importerebbe del tuo aspetto…»
«Non è così complicato da comprendere. L’essenza trascende sempre
l’apparenza, ciò che sembra solo essere. Quando cominci a conoscere l’individuo
che sta dietro a quel volto molto carino o molto brutto, a seconda del tuo
pregiudizio, le apparenze superficiali sfumano, fino a che non ti importa più di
loro. Ecco perché Elousia è un nome così meraviglioso. Dio, che è all’origine di
tutte le creature, dimora dentro, intorno e attraverso tutte le cose, emergendo
infine nella sua forma reale, e tutte le apparenze che mascherano quella realtà
svaniscono.»
Mack considerò in silenzio le parole di Gesù. Dopo un paio di minuti si arrese
e decise di fargli la domanda più rischiosa.
«Hai detto che non ti conosco veramente. Sai, sarebbe molto più semplice se
avessimo l’opportunità di parlare sempre così.»
«Ammetto che questo è un momento speciale, Mack. Eri in una brutta situazione
e volevamo aiutarti a uscire dal tuo dolore. Ma non credere che il nostro rapporto
sarà meno reale, quando non avrai più la possibilità di vedermi. Sarà diverso, ma
forse anche più vero.»
«E com’è possibile?»
«Il mio scopo, fin dal principio, è stato di vivere in te, e farti vivere in me.»
«Aspetta, aspetta. Aspetta un momento. Come può succedere? Se sei ancora
pienamente umano, come puoi essere dentro di me?»
«Stupefacente, vero? È il miracolo di Pa. È il potere di Sarayu, il mio Spirito,
lo Spirito di Dio che rinsalda l’unione che si è persa tanto tempo fa. Quanto a me,
scelgo di vivere momento per momento nella mia assoluta umanità. Io sono
totalmente Dio, ma sono umano, nel profondo. Come ti ho già spiegato, è il
miracolo di Pa.»
Mack se ne stava sdraiato nell’oscurità, e ascoltava con attenzione. «Ma tu
parli di dimorare materialmente in me, non solo di una posizione teologica,
dunque?»
«Ma certo» rispose Gesù, con voce forte e sicura. «È di questo che si tratta.
L’essere umano, plasmato dalla Creazione fisica, può essere nuovamente infuso di
vita spirituale, la mia vita. Per questo è necessario che esista un’unione dinamica
e attiva reale.»
«Ma è quasi incredibile!» esclamò Mack, piano. «Non ne avevo idea. Devo
rifletterci per un po’. Anche se poi mi sorgeranno molte altre domande.»
«E abbiamo tutta la tua vita per rispondere» ridacchiò Gesù. «Ma per ora basta
così. Perdiamoci ancora nella notte stellata.» Nel silenzio che seguì, Mack rimase
semplicemente immobile, lasciando che l’immensità del cosmo e delle luci che lo
costellavano lo facessero sentire piccolo e che le sue percezioni venissero
magnetizzate dal bagliore delle stelle, che tutto parlasse di lui, della razza umana,
che tutto ciò che vedeva fosse per noi tutti. Dopo quella che gli parve un’eternità,
fu Gesù a spezzare la quiete.
«Non mi stancherò mai di fare da spettatore a questa opera d’arte. La
meraviglia di ogni cosa… l’essenzialità del Creato, come l’ha definita uno dei
nostri fratelli. Così elegante, così piena di melancolico struggimento e bellezza,
anche ora.»
«Sai» rispose Mack, ripensando a un tratto all’assurdità della sua situazione:
dove si trovava, chi c’era accanto a lui. «A volte sembri così, cioè, io me ne sto
qui, sdraiato accanto a Dio Onnipotente, e tu sembri così…»
«Umano?» suggerì Gesù. «Ma brutto.» E poi cominciò a ridere
sommessamente, ma dopo qualche istante non riuscì più a controllare le risate.
Erano contagiose, e Mack si sentì coinvolto da qualcosa che veniva dal profondo.
Non rideva tanto di gusto da tempo immemorabile. Gesù si avvicinò e lo strinse a
sé, scosso dai suoi stessi spasmi di risa, e Mack si sentì pulito e vivo come…
be’, non ricordava più da quanto.
Alla fine si calmarono e la quiete della notte prese di nuovo il sopravvento.
Sembrava che anche i rospi si fossero arresi. Mack provò un improvviso senso di
colpa per la propria serenità, per le risate e, perfino nell’oscurità, sentì la Grande
Tristezza avvolgerlo, soffocarlo.
«Gesù?» sussurrò, quasi senza voce. «Mi sono smarrito.»
Una mano si avvicinò, strinse la sua e non lo lasciò più andare. «Lo so, Mack,
ma non è così. Io sono con te, e io non sono smarrito. Mi dispiace che tu ti senta
così, ma ascoltami bene: tu non ti sei smarrito.»
«Spero che tu abbia ragione» disse Mack, sentendo la tensione allentarsi dopo
le parole del suo nuovo amico.
«Dài, vieni.» Gesù si alzò e gli tese una mano per aiutarlo a fare altrettanto.
«Domani sarà una giornata impegnativa, per te.» Gli mise un braccio intorno alle
spalle e insieme tornarono al rifugio. Mack si sentì improvvisamente esausto. La
giornata era stata lunga. Forse si sarebbe svegliato a casa, nel suo letto, dopo un
sogno realistico in modo impressionante, ma una parte profonda e nascosta di lui
sperava che non fosse così.
8
Quando entrò nella sua stanza, Mack scoprì che i vestiti che aveva lasciato nella
jeep erano stati ripiegati sopra il cassettone o appesi nell’armadio spalancato.
Sorrise, scoprendo una copia della bibbia dei Gedeoni nel cassetto del comodino.
Aprì la finestra per consentire alla notte di entrare liberamente, cosa che Nan non
aveva mai tollerato, a casa, per via della sua paura dei ragni e di tutto ciò che
striscia. Accoccolato come un bambino sotto la spessa trapunta di piume, lesse
poco più di un paio di versetti della Bibbia, quando il libro gli cadde di mano, la
luce in qualche modo si spense, qualcuno lo baciò sulla guancia e lui si sollevò
da terra, sognando di volare.
Chi non ha mai fatto quest’esperienza, di solito considera sciocco chi crede di
aver volato, ma in segreto, probabilmente, lo invidia. Mack non aveva sognato di
volare per anni, da quando la Grande Tristezza era calata, ma quella notte si librò
nel cielo stellato, nell’aria limpida e fresca. Solcò laghi e fiumi, attraversando la
costa di un oceano e le barriere coralline di una moltitudine di isolotti.
Per quanto possa suonare bizzarro, aveva imparato a volare dentro i sogni, a
sollevarsi da terra, sorretto da nulla, senza ali, o alcun tipo di velivolo,
completamente solo con se stesso. I primi voli erano stati di pochi centimetri, per
paura, o più precisamente per il terrore di precipitare. Spingersi a un metro o più,
e alla fine ad altezze di tutto rispetto, gli aveva infuso fiducia, così come la
scoperta che le cadute non erano dolorose, ma semplicemente rimbalzi al
rallentatore. Con il tempo era riuscito ad attraversare le nuvole, a coprire vaste
distanze e ad atterrare dolcemente.
Mentre sorvolava una frastagliata catena montuosa e le candide spiagge
adiacenti, godendo della meraviglia a lungo negata del sogno del volo,
all’improvviso qualcosa lo afferrò per una caviglia e lo strappò al cielo. Nel giro
di pochi secondi fu scaraventato a faccia in giù su una strada fangosa e sconnessa.
Un tuono scosse la terra e la pioggia lo bagnò fino al midollo. Poi ancora il
fulmine, che illuminò il volto di sua figlia che gridava: «Papà», e poi si voltava
per fuggire nelle tenebre, con il vestitino rosso che si distingueva a malapena,
prima di sparire. Lottò con tutta la propria forza per liberarsi del fango e
dell’acqua, riuscendo solo a impantanarsi ancora di più. Proprio quando si sentì
soffocare, si svegliò annaspando.
Con il cuore a mille e la mente intrappolata nelle immagini dell’incubo, ci mise
diversi secondi per capire che si era trattato solo di un incubo. Eppure anche
dopo la presa di coscienza, le emozioni continuarono a indugiare. Il sogno aveva
risvegliato la Grande Tristezza e, prima ancora di riuscire ad alzarsi dal letto, si
era ritrovato a lottare con la disperazione che aveva divorato già troppi dei suoi
giorni.
Con una smorfia si guardò intorno nella stanza rischiarata dalle prime luci
dell’alba, che filtravano tra gli scuri accostati. Quella non era la sua camera da
letto; non c’era nulla che gli fosse familiare. Dove si trovava? Pensa, Mack,
pensa! Poi ricordò. Era ancora al rifugio, con quei personaggi interessanti,
convinti tutti e tre di essere Dio.
«Non sta succedendo davvero» bofonchiò, appoggiando i piedi sul pavimento e
sedendosi sull’orlo del materasso, con la testa tra le mani. Ricordò gli eventi del
giorno precedente e di nuovo temette di essere impazzito. Non era mai stato un
amante del contatto fisico, quindi Pa – chiunque fosse – lo innervosiva, e non
sapeva proprio cosa pensare di Sarayu. Ammise con se stesso che Gesù gli
piaceva molto, ma che sembrava il meno divino dei tre.
Emise un lungo, profondo sospiro. E se Dio era veramente lì, perché non aveva
scacciato quegli incubi?
Restare seduto a pensare, decise, non gli stava semplificando le cose, così
cercò il bagno dove, con suo grande stupore, scoprì che tutto ciò di cui aveva
bisogno per fare una doccia era stato disposto in bell’ordine per lui. Restò a
lungo nel calore dell’acqua, si fece la barba con cura e, in camera, si vestì senza
fretta.
Il penetrante aroma del caffè attirò il suo sguardo verso una tazza fumante che
lo attendeva in fondo al tavolo accanto alla porta. Dopo il primo sorso aprì gli
scuri e guardò dalla finestra il lago, del quale, la notte prima, aveva a malapena
intravisto la superficie.
Era perfetto, liscio come il vetro, eccetto che per le sporadiche trote che
affioravano, creando cerchi concentrici che si aprivano sulla lastra azzurra prima
di essere riassorbiti dall’immobilità del bacino. A occhio e croce la sponda
opposta doveva trovarsi a ottocento metri. La rugiada scintillava su ogni cosa,
lacrime simili a diamanti che riflettevano l’amore del sole sul panorama del
mattino.
Le tre canoe ormeggiate al molo lo tentavano, ma Mack scrollò via il pensiero.
Le canoe, per lui, non rappresentavano più una gioia. Troppi brutti ricordi.
La vista del molo lo fece tornare con la mente alla sera precedente. Era
davvero rimasto sdraiato accanto al Creatore dell’universo? Scosse la testa,
confuso. Cosa stava succedendo in quel luogo? Chi erano veramente, e cosa
volevano da lui? Di qualunque cosa si trattasse, era certo di non averla e di non
potergliela dare.
L’odore di uova e pancetta, insieme a qualcos’altro, si intrufolò nella sua
stanza, interrompendo il flusso di pensieri. Mack decise che era ora di andare a
reclamare la sua porzione. Entrando nella zona giorno, sentì provenire dalla
cucina una canzone di Bruce Cockburn a lui familiare, e la voce squillante di una
donna nera che cantava, piuttosto bene, «Oh amore che alimenta il sole, non
smettere di ardere per me». Pa apparve con un piatto in ciascuna mano:
ciambelle, patate fritte e verdura. Indossava un lungo e ampio abito di foggia
africana, con tanto di fascia multicolore tra i capelli. Era radiosa. Sembrava
risplendere.
«Sai» esclamò, «adoro le canzoni di quel ragazzo! Voglio molto bene a Bruce.»
Guardò Mack, che si stava accomodando al tavolo.
Mack annuì, mentre il suo appetito aumentava a ogni istante.
«Già» continuò, «e so che piace anche a te.»
Mack sorrise. Era vero. Cockburn era uno dei preferiti della sua famiglia da
anni, ascoltato prima da lui e Nan, poi da ciascuno dei suoi figli, chi più chi
meno.
«Allora, tesoro» chiese Pa, continuando a disporre la colazione, «come sono
andati i tuoi sogni, stanotte? I sogni sono importanti, sai. Possono essere un modo
per aprire la finestra e lasciare uscire l’aria viziata.»
Mack sapeva che era un invito ad aprire quella finestra e liberarsi dei suoi
terrori, ma in quel momento non si sentiva pronto a consentirle di visitare quel
luogo oscuro. «Ho dormito bene, grazie» reagì, cambiando repentinamente
argomento. «È il tuo preferito? Bruce, voglio dire.»
Lei si fermò e lo guardò. «Mackenzie, io non preferisco nessuno; solo, a lui
voglio particolarmente bene.»
«Sembri voler particolarmente bene a molte persone» osservò Mack, con uno
sguardo indagatore. «C’è qualcuno a cui non vuoi particolarmente bene?»
Lei alzò la testa e fissò il vuoto, come se stesse scorrendo il catalogo mentale
di tutti gli esseri esistenti sulla Terra. «No, non me ne viene in mente nessuno. C’è
poco da aggiungere.»
Mack era interessato. «Non ti arrabbi mai con nessuna delle tue creature?»
«Ma certo! Quale genitore non si arrabbia mai? Ce ne sono di motivi, vista la
situazione in cui i miei piccoli si sono impelagati. Non approvo molte delle loro
decisioni, ma quella rabbia – soprattutto per me – è un’altra espressione d’amore.
Amo quelli con cui mi arrabbio quanto gli altri.»
«Ma» Mack esitò, «e la tua ira? A me sembra che se vuoi farti passare per Dio
Onnipotente, dovresti essere molto più iraconda.»
«Dici davvero?»
«Be’, io ti immaginavo così. Nella Bibbia non uccidevi gente di continuo? Non
mi sembri all’altezza del ruolo.»
«Capisco che tutto questo ti disorienti, Mack. Ma il solo che finge, qui, sei tu.
Io sono ciò che sono. Non cerco di adattarmi a nessun ruolo.»
«Ma mi stai chiedendo di credere che tu sei Dio, e non vedo…» Mack non
sapeva proprio come finire quella frase, così la lasciò cadere.
«Non ti sto chiedendo di credere a niente, ma ti dirò che questa giornata sarà
molto più semplice, per te, se la accetterai per quello che è, invece di cercare di
plasmarla in base alle tue nozioni preconcette.»
«Ma se tu sei Dio, non sei la stessa che sfoga la sua ira e getta la gente in un
lago di fuoco?» Mack sentiva la sua rabbia recondita emergere nuovamente,
suscitare quelle domande, e si vergognava della sua mancanza di autocontrollo.
Ciò non gli impedì però di chiedere: «Seriamente, non ti piace punire quanti ti
deludono?».
Al che Pa si fermò e si voltò verso Mack. Lui lesse una profonda tristezza nei
suoi occhi. «Io non sono chi credi tu, Mackenzie. Non ho bisogno di punire le
persone per i loro peccati. Il peccato è già la punizione, ti divora dall’interno.
Non è mia ambizione punirlo; è mia gioia curarlo.»
«Io non capisco…»
«Hai ragione. Non capisci» disse, con un sorriso ancora lievemente triste. «Ma
in fondo non abbiamo ancora finito.»
In quel preciso istante Gesù e Sarayu entrarono, ridendo, dalla porta sul retro,
presi dalla loro conversazione. Gesù era vestito più o meno come il giorno prima,
jeans e camicia azzurra che faceva risaltare i suoi capelli castani. Sarayu, invece,
indossava un abito tanto fine e lavorato che le bastava un movimento
impercettibile o una parola per farne increspare il tessuto. Mack si domandò se si
fermasse mai del tutto, ma ne dubitava.
Pa si chinò in avanti, per incontrare lo sguardo di Mack. «Hai fatto delle
domande importanti, e ti prometto che troverai risposta. Ma ora godiamoci questa
colazione insieme.»
Mack annuì, nuovamente imbarazzato, e si concentrò sul cibo. Aveva appetito,
e c’era di che saziarsi, in tavola.
«Grazie per la colazione» mormorò a Pa, mentre Gesù e Sarayu prendevano
posto.
«Come?» disse lei, fingendosi sgomenta. «Non intendi chinare la testa e
chiudere gli occhi?» Si avviò verso la cucina e mugugnò: «Ma guarda un po’. Non
c’è più rispetto». E aggiunse: «Di niente, tesoro», facendo un cenno, di spalle.
Tornò un attimo dopo, con un’ennesima ciotola piena di qualcosa di caldissimo,
profumato e invitante.
Si passarono la pietanza e Mack rimase incantato a guardare Pa che si univa
alla conversazione tra Gesù e Sarayu. Era come la riconciliazione di una famiglia
divisa, ma non fu ciò di cui parlavano a catturare l’attenzione di Mack, quanto il
modo in cui si rapportavano. Non aveva mai visto tre persone condividere tanta
semplicità e bellezza. Ciascuno sembrava più consapevole degli altri che di se
stesso.
«Insomma, che ne pensi?» chiese Gesù, con un cenno verso di lui.
«Non so di cosa stiate parlando» rispose Mack con la bocca piena di
saporitissime verdure. «Ma mi piace come lo fate.»
«Ehi» disse Pa, che era tornata dalla cucina con un altro piatto. «Vacci piano
con quelle verdure, giovanotto. Ti verrà la dissenteria, se non ci stai attento.»
«D’accordo» disse Mack. «Cercherò di ricordarmene» aggiunse, allungando
una mano verso il piatto che Pa aveva appena posato in tavola. Poi, guardando
Gesù disse: «Mi piace come vi comportate tra di voi. Non è l’atteggiamento che
mi aspettavo da Dio».
«Cosa vuoi dire?»
«Be’, so che siete una sola cosa, e che siete tre. Ma reagite con tanta armonia
reciproca. Nessuno di voi cerca di prevalere sugli altri due?»
I tre si guardarono, esterrefatti.
«Voglio dire» incalzò Mack, «che ho sempre immaginato Dio come il Padre,
una specie di capo, e Gesù come colui che ne segue gli ordini, che obbedisce,
insomma. Non sono sicuro di aver pensato al ruolo dello Spirito Santo in tutto
questo. Lui… cioè, lei… oh…» Mack evitava di guardare Sarayu mentre cercava
le parole. «Be’, quel che è… Lo Spirito mi è sempre parso una specie di…»
«Di spirito libero?» suggerì Pa.
«Esattamente. Uno spirito libero, ma sempre sotto il controllo del Padre.
Capite cosa intendo?»
Gesù guardò Pa, con l’aria di voler mantenere un contegno serio, non senza
qualche difficoltà. «Per te ha un senso, Abba? Francamente, non ho idea di cosa
stia parlando quest’uomo.»
Pa corrugò la fronte come se si stesse concentrando. «No, ho cercato di
seguirlo, ma mi sa che mi sono persa.»
«Ma sì che sapete di cosa sto parlando.» Mack si sentiva un poco frustrato.
«Chi è il capo? Non avete una catena di comando?»
«Catena di comando? Che brutta espressione!» esclamò Gesù.
«Per tenerci incatenati l’uno all’altro?» chiese Pa mentre cominciavano
entrambi a ridere, poi si voltò verso Mack e cantò: «Per quanto siano d’oro, le
catene son sempre catene».
«Non far caso a quei due» intervenne Sarayu, sfiorandolo con una mano per
calmarlo. «Stanno giocando. In realtà è un tema che ci interessa.»
Mack annuì, sollevato e allo stesso tempo lievemente seccato per aver perso
ancora una volta il contegno.
«Mackenzie, non c’è alcuna gerarchia tra noi, solo armonia. Tra noi c’è un
“circolo” di relazioni, non una catena di comando o una “grande catena di
esistenza”, come la definirono i tuoi antenati. Ciò che stai vedendo è un rapporto
privo di implicazione di potere. Non abbiamo bisogno di imporci gli uni sugli
altri perché siamo sempre spinti dalle migliori intenzioni. Non avrebbe senso
istituire una gerarchia. È un problema vostro, non nostro.»
«Davvero? In che senso?»
«Gli esseri umani sono così smarriti e corrotti che per voi è quasi
inconcepibile che la gente possa lavorare in armonia senza che qualcuno assuma
il comando della comunità.»
«Ma tutte le istituzioni che mi vengono in mente, da quelle politiche a quelle
finanziarie, e perfino i matrimoni, si basano su un pensiero di questo genere; è la
trama del nostro tessuto sociale» asserì Mack.
«Che spreco!» disse Pa, prendendo il piatto vuoto e avviandosi verso la
cucina.
«È anche in questo che risiede la vostra difficoltà a mettervi veramente in
relazione» aggiunse Gesù. «Una volta stabilita la gerarchia, vi servono regole per
proteggerla e amministrarla, e poi vi serve una legge che faccia rispettare quelle
regole, e alla fine vi ritrovate con una catena di comando, o un sistema d’ordine
che distrugge le relazioni, invece di promuoverle. Per voi è difficile stabilire
rapporti non basati sul potere. La gerarchia impone le leggi e le regole, così vi
perdete la meraviglia delle relazioni come noi le avremmo concepite per voi.»
«Be’» disse Mack, sarcastico, appoggiandosi allo schienale della sedia, «mi
sembra che ci siamo adattati piuttosto bene.»
Sarayu fu lesta a rispondere: «Non confondere l’adattamento con
l’intenzionalità, o la seduzione con la realtà».
«Quindi… ah, mi passereste ancora un po’ di quella verdura?… quindi siamo
stati sedotti dal bisogno di autorità?»
«In un certo senso, sì» rispose Pa, passandogli il piatto, ma senza lasciare la
presa finché lui non ebbe tirato due volte. «Mi sto solo preoccupando per te,
figliolo.»
Sarayu proseguì: «Quando avete scelto l’indipendenza al posto della relazione,
avete cominciato a rappresentare un pericolo gli uni per gli altri. Gli altri sono
diventati oggetti da manipolare o gestire per raggiungere la felicità. L’autorità,
così come la intendete di solito, è solo la scusa che i forti usano per costringere
gli altri a conformarsi al loro volere».
«Ma non è utile per impedire che le persone si scontrino di continuo, o si
facciano del male?»
«A volte. Ma in un mondo egoistico è spesso usata per infliggere grande
dolore.»
«E voi non ve ne servite per limitare la malvagità?»
«Noi stiamo attenti a rispettare le vostre scelte, quindi operiamo all’interno dei
vostri sistemi, anche se cerchiamo di liberarvi dal loro giogo» continuò Pa. «La
Creazione ha preso un cammino molto diverso da quello che avevamo pianificato.
Nel tuo mondo il valore dell’individuo è costantemente misurato contro la
sopravvivenza del sistema, sia esso politico, economico, sociale o religioso…
qualunque sistema. Prima una persona, poi alcune, e alla fine molte vengono
sacrificate con facilità per il bene e la perpetuazione di quel sistema. In una forma
o in un’altra, questa è la meccanica intrinseca di ogni esercizio di potere, di ogni
pregiudizio, di ogni guerra e di ogni abuso di relazione. La volontà di potenza e
indipendenza è così onnipresente che ormai è considerata normale.»
«Ma non lo è?»
«È in effetti il paradigma umano» aggiunse Pa, che era tornata con altro cibo.
«Come l’acqua per i pesci, tanto predominante da passare inosservata, mai messa
in dubbio. È la matrice: uno schema diabolico nel quale siete irrimediabilmente
intrappolati, benché ignari della sua esistenza.»
Gesù riprese le redini della conversazione. «In quanto coronamento supremo
della Creazione, eravate fatti a nostra immagine, liberi dalla struttura, con la
capacità di “essere” semplicemente in relazione con me e gli uni con gli altri. Se
aveste realmente imparato a considerare i problemi altrui importanti come i
vostri, la gerarchia non sarebbe stata necessaria.»
Mack si drizzò sulla sedia, sconvolto dalle implicazioni di ciò che stava
udendo. «Quindi mi state dicendo che ogni volta che noi umani ci proteggiamo
avvalendoci del potere…»
«Vi state inchinando alla matrice, non a noi» terminò per lui Gesù.
«E ora» si intromise Sarayu, «il cerchio si è chiuso, e siamo tornati a una delle
mie affermazioni iniziali: voi umani siete così smarriti e corrotti che per voi è
quasi inconcepibile che esista una relazione diversa da quella gerarchica. Ecco
perché tu credi che Dio si metta in relazione seguendo una catena di comando,
solo che non è così.»
«Ma come potremmo mai cambiare tutto questo? La gente ci userebbe.»
«Sì, è probabile. Ma non ti stiamo chiedendo di farlo con gli altri, Mack. Ti
stiamo chiedendo di farlo con noi. Solo da qui può iniziare. Noi non ti useremo.»
«Mack» disse Pa con un’intensità che lo costrinse ad ascoltare con estrema
attenzione, «vogliamo condividere con te l’amore, la gioia, la libertà e la luce che
già conosciamo dentro di noi. Abbiamo creato voi, gli esseri umani, perché vi
trovaste faccia a faccia con noi, perché vi uniste al nostro circolo di amore. Per
quanto sia difficile per te comprendere, tutto ciò che è successo ha avuto
precisamente questo scopo, senza violare né la scelta né la volontà.»
«Come puoi dire questo, alla luce di tutto il dolore del mondo, delle guerre e
dei disastri che uccidono migliaia di persone?» La voce di Mack divenne un
sussurro. «E quale scopo ha la morte di una ragazzina ammazzata da un mostro?»
Tornava, prepotente, la domanda che gli stava bruciando l’anima. «Forse non
causate voi queste cose, ma non fate niente per impedirle.»
«Mackenzie» rispose Pa, in tono conciliante, per nulla offesa dalle sue accuse,
«ci sono milioni di ragioni per consentire l’esistenza del dolore e della sofferenza
invece di cancellarli, ma la maggior parte di quelle ragioni possono essere
comprese solo nel quadro della storia di ciascuno. Io non sono malvagia. Siete
voi che abbracciate la paura e il dolore e il potere e i diritti con tanto entusiasmo,
nelle vostre relazioni. Ma neanche le vostre scelte sono più forti dei miei scopi, e
io farò uso di ogni scelta che operate per il bene, per ottenere il risultato più
carico d’amore.»
«Vedi» intervenne Sarayu, «gli umani corrotti incentrano le loro vite su cose
che a loro sembrano buone, ma che non li appagano e non li rendono liberi. Sono
drogati di potere, o dell’illusione di sicurezza offerta dal potere. Quando avviene
un disastro, quelle stesse persone si rivoltano contro i falsi poteri di cui si erano
fidate. Per delusione, si ammorbidiscono nei miei confronti, o si induriscono nella
loro indipendenza. Se tu solo potessi vedere come finirà tutto questo, e cosa
raggiungeremo, senza violare nemmeno una sola volontà umana, allora capiresti.
E un giorno capirai.»
«Ma il costo!» Mack era senza fiato. «Pensate al costo! Tutto il dolore, la
sofferenza, tutto ciò che è terribile e malvagio.» Fece una pausa e fissò il tavolo.
«E guardate cosa è costato a voi. Ne vale la pena?»
«Sì!» fu la gioiosa, unanime risposta di tutti e tre.
«Ma come fate a esserne così certi?» ribatté subito Mack. «Mi sembra che
intendiate che il fine giustifica i mezzi, che per ottenere il vostro scopo
permetterete qualunque cosa, incluso sacrificare le vite di miliardi di persone.»
«Mackenzie.» Era nuovamente la voce di Pa, particolarmente gentile e dolce.
«Tu davvero ancora non capisci. Cerchi di trovare un senso al mondo nel quale
vivi, basandoti su un’immagine molto ristretta e ridotta della realtà. È come
osservare una processione attraverso un buco della serratura intasato da ferite,
dolore, egocentrismo e potere, illudendosi di essere soli e insignificanti. Tutto ciò
è menzognero. Tu interpreti il dolore e la morte come mali assoluti e Dio come il
traditore, o per lo meno qualcuno di cui non fidarsi. Sei tu a dettare i termini,
giudichi le mie azioni di conseguenza e mi reputi colpevole.
«Il vero problema della tua vita, Mackenzie, è che non credi che io sia buona.
Se tu sapessi che lo sono, e che tutto – i fini, i mezzi, i processi delle singole vite
– è investito dalla mia bontà, forse non capiresti le mie scelte, ma almeno avresti
fiducia in me. Solo che non lo sai.»
«Non lo so?» chiese Mack, ma non era veramente una domanda. Era una presa
di coscienza, e lui lo sapeva. Anche gli altri sembravano aver capito, e rimasero
tutti in silenzio.
Poi fu il turno di Sarayu. «Mackenzie, non puoi produrre fiducia, così come non
puoi tirare fuori umiltà dal nulla. O ce l’hai o non ce l’hai. La fiducia è il frutto di
una relazione nella quale sai di essere amato. Poiché non sai per certo che io ti
amo, tu non puoi fidarti di me.»
Ancora una pausa di silenzio, poi Mack alzò lo sguardo verso Pa e parlò. «Non
so come cambiare.»
«Non puoi, non da solo. Ma insieme osserveremo avvenire quel cambiamento.
Per ora voglio solo che tu stia con me e che scopra che la nostra relazione non si
basa sui tuoi meriti o sulla tua capacità di compiacermi. Non sono un bulletto, una
piccola divinità egocentrica che vuole imporre la propria volontà. Sono buona, e
desidero solo ciò che è meglio per te. Non puoi ottenerlo tramite la colpa, la
condanna o la coercizione, ma solo attraverso un rapporto d’amore. E io ti amo.»
Sarayu si alzò da tavola e fissò Mack dritto negli occhi. «Mackenzie» gli disse,
«se ti va, vorrei che tu venissi ad aiutarmi nel giardino. Devo preparare delle
cose per la festa di domani. Mentre siamo lì possiamo affrontare alcuni aspetti
importanti di questo discorso. Ti va?»
«Certo» rispose Mack, e si accomiatò dagli altri.
«Un’ultima cosa» disse, prima di andare. «Non riesco davvero a immaginare
un fine ultimo che possa giustificare tutto questo.»
«Mackenzie» Pa si alzò dalla sedia e aggirò il tavolo, per andare ad
abbracciarlo, «noi non vogliamo giustificarlo. Vogliamo redimerlo.»
* Signore dei cieli stellati, Origine dei giorni / Creatore dell’Universo, questa canzone è in lode di te / Voce della
Nova, Sorriso di rugiada. / Tutto ciò che desideriamo è raggiungerti! / Oh amore che alimenta il sole, non
smettere di ardere per me.
9
Mack seguì Sarayu come meglio riuscì, oltre la porta sul retro e lungo il vialetto
che oltrepassava il filare di abeti. Camminare alle spalle di una creatura di quel
genere era come cercare di inseguire un raggio di sole. La luce sembrava filtrare
attraverso il suo corpo per poi riflettere la sua ombra in più punti. La sua natura
era eterea, ricca di sfumature dinamiche di colore e movimento. Non c’è da
meravigliarsi che molti fatichino a relazionarsi con lei, pensò Mack. Non si può
certo definire un’entità prevedibile.
Così si concentrò sul cammino. Aggirati gli alberi, vide per la prima volta un
magnifico giardino e un frutteto, che in qualche modo coesistevano in un
appezzamento di terreno non più grande di un acro. Non sapeva perché, ma si
aspettava di trovare un ordinatissimo giardino all’inglese. Tutt’altro, invece!
Era un caos di colori. I suoi occhi cercarono invano un ordine in quel palese
insulto alla certezza. Stupefacenti spruzzi di fiori facevano capolino tra macchie
di piante ed erbe piantati in ordine casuale, vegetazione che Mack non aveva mai
visto in natura. Era ipnotica e straordinariamente bella.
«Dall’alto è un frattale» disse Sarayu, voltandosi verso di lui con aria
compiaciuta.
«Un che?» chiese Mack, distratto, la mente che ancora tentava di districare il
pandemonio di colori e forme che si stendeva davanti ai suoi occhi. A ogni passo
ciò che vedeva cambiava forma e prospettiva, nascondendogli alla vista ciò che
aveva appena osservato.
«Un frattale… qualcosa all’apparenza semplice e ordinato, ma in realtà
composto di elementi che si ripetono nella stessa disposizione, a qualunque
ingrandimento li si guardi. Un frattale è quasi infinitamente complesso. Amo i
frattali, così li metto dappertutto.»
«A me sembra una gran confusione» mormorò tra sé Mack.
Sarayu si fermò e lo guardò negli occhi, il volto radioso. «Mack! Grazie! Che
bellissimo complimento!» Contemplò il giardino. «In effetti è proprio ciò che è…
una gran confusione. Ma» e lo guardò nuovamente, «è anche un frattale.»
Sarayu si avvicinò a un particolare ciuffo d’erba, ne raccolse qualche fiore, e
si rivolse a Mack.
«Ecco» disse, e la sua voce sembrava sempre più una musica. «Pa non
scherzava, a colazione. Faresti meglio a masticare questi per qualche minuto.
Calmeranno l’effetto delle verdure di cui ti sei ingozzato, se capisci a cosa mi
riferisco.»
Mack ridacchiò accettando i fiori, e iniziò a masticarli. «Sì, ma erano così
buone!» Aveva iniziato a sentire lo stomaco in subbuglio, e la confusione
provocata dalla follia visiva nella quale si trovava immerso non aiutava per nulla.
Il sapore dei fiori non era sgradevole: un accenno di menta e altre spezie che
probabilmente aveva già odorato in vita sua, ma che in quel momento non avrebbe
saputo identificare. Mentre camminavano, il brontolio del suo stomaco si era man
mano placato, e lui si era rilassato, accorgendosi di aver avuto i muscoli del
ventre contratti fin dalla colazione.
Senza dire una parola, cercò di seguire Sarayu nella sua ispezione del giardino,
anche se – si accorse – il susseguirsi dei colori lo distraeva; rossi ribes e
vermigli, mandarino e giallo-verdi divisi da platino e fucsia, e da innumerevoli
sfumature di verde e marrone. Era tutto meravigliosamente frastornante, una
gioiosa ebbrezza.
Sarayu sembrava tutta presa da una missione molto specifica ma, fedele al
proprio nome, sfrecciava a destra e a sinistra come un venticello giocoso, e lui
non capiva mai da che parte intendesse procedere. Era difficile stare al suo passo.
Gli ricordava tanto Nan in un centro commerciale.
Di tanto in tanto recideva fiori ed erbe e li passava a Mack, perché li
raccogliesse. L’improvvisato bouquet divenne voluminoso, una pungente massa di
profumo. Il misto delle spezie aromatiche era diverso da qualunque cosa il suo
olfatto avesse mai conosciuto, ed erano odori tanto forti che aveva la sensazione
di percepirne anche il sapore.
Depositarono il risultato di quel raccolto in una piccola rimessa che Mack non
aveva ancora notato, sepolta com’era in una chiazza di folta vegetazione, con
tanto di piante rampicanti, che a lui parvero semplici erbacce.
«Una missione è compiuta» annunciò Sarayu, «ne manca un’altra.» Allungò a
Mack una pala, un rastrello, un falcetto e un paio di guanti, poi veleggiò lungo un
sentiero particolarmente lussureggiante che sembrava condurre verso il fondo del
giardino. Lungo il cammino, di tanto in tanto, si fermava ad accarezzare una pianta
o un fiore, senza smettere di mormorare il motivetto che a Mack era tanto piaciuto
la sera prima. Lui la seguì, obbediente, portando gli attrezzi che gli aveva affidato
e cercando di non perderla di vista mentre guardava, meravigliato, tutto ciò che lo
circondava.
Quando lei si fermò, Mack quasi le sbatté contro, distratto com’era dal
paesaggio. Era cambiata e indossava abiti da lavoro: jeans con intricati ricami,
una camicia di flanella e guanti. Di primo acchito quel posto si sarebbe potuto
scambiare per un frutteto, ma non lo era: si trattava di uno spazio aperto
circondato su tre lati da alberi di pesche e ciliegie, mentre nel mezzo c’era una
cascata di cespugli dai fiori viola e gialli che quasi gli mozzò il fiato.
«Mackenzie» disse lei, indicando quel groviglio giallo e viola. «Vorrei che tu
mi aiutassi a sgombrare questa parte del terreno. C’è qualcosa di molto speciale
che vorrei piantare qui domani, e dobbiamo liberare il suolo.» Si girò verso di lui
e allungò una mano verso il falcetto.
«Non dirai sul serio? È una cosa tanto bella, e in un luogo così nascosto.» Ma
Sarayu sembrò non fargli caso. Senza proferir parola, iniziò a distruggere quello
spettacolare ammasso di cespugli in fiore. I suoi colpi di falce erano netti,
apparentemente senza sforzo. Mack scrollò la testa, indossò i guanti e iniziò a
raccogliere con il rastrello ciò che lei estirpava. Faticava a tenere il ritmo. Per lei
sembrava tutto facile, ma per lui era un lavoro faticoso ed estenuante. Venti minuti
più tardi, tutte le piante erano state recise alla radice e la radura sembrava una
ferita in mezzo al giardino. Gli avambracci di Mack erano segnati da tagli
procurati dai rami che aveva impilato in un punto. Era sudato e senza fiato, lieto
di aver finito. Sarayu, in piedi in mezzo alla zona sgombrata, contemplava
l’opera.
«Non è eccitante?» chiese.
«Sono stato eccitato da altre cose» replicò Mack, sarcastico.
«Oh, Mackenzie, se tu solo sapessi. Non è il lavoro, ma lo scopo che lo rende
speciale. E poi» gli sorrise, «è l’unico lavoro di cui mi occupo.»
Mack si appoggiò al rastrello e guardò prima il giardino e poi i segni rossi
sulle sue braccia. «Sarayu, so che sei la Creatrice, ma sei artefice anche delle
piante velenose, dei rovi e delle zanzare?»
«Mackenzie» rispose Sarayu, che sembrava muoversi all’unisono con la
brezza, «un essere può assumere le caratteristiche solo di ciò che già esiste, e da
quella base ricavare qualcosa di differente.»
«Quindi stai dicendo che tu…»
«… ho creato tutto ciò che esiste veramente, comprese le cose che tu ritieni
cattive» disse Sarayu, completando la frase. «Ma quando le ho create, esse erano
il Bene, perché io sono buona.» Sembrò quasi accennare a un inchino, prima di
rimettersi all’opera.
«Ma allora» continuò Mack, non soddisfatto, «perché tante delle cose “buone”
sono diventate “cattive”?»
Sarayu fece una pausa, prima di rispondere. «Voi umani, così piccoli ai vostri
stessi occhi. Siete davvero ciechi rispetto a quello che è il vostro posto nella
Creazione. Avete scelto il cammino impervio dell’indipendenza, e non capite che
state trascinando tutto il Creato con voi.» Scosse la testa e il vento sospirò tra gli
alberi. «Com’è triste; meno male che non sarà così per sempre.»
Si godettero il silenzio per qualche istante, mentre Mack contemplava tutte le
piante che riusciva a vedere da dove si trovava. «Ci sono piante velenose, in
questo giardino?» chiese.
«Oh, certo!» esclamò Sarayu. «Sono tra le mie preferite. Alcune sono
pericolose perfino al tatto, come questa.» Allungò una mano verso un cespuglio lì
vicino e ne staccò quello che sembrava un bastoncino secco, dal quale spuntavano
solo poche minuscole foglie. Lo porse a Mack, che alzò entrambe le mani per
evitare di toccarlo.
Sarayu rise. «Sono qui con te. Ci sono momenti in cui toccarla non comporta
pericoli, e momenti in cui è meglio usare precauzioni. Questa è la meraviglia e
l’avventura dell’esplorazione, un pezzetto di ciò che tu chiami scienza:
distinguere e scoprire ciò che noi abbiamo nascosto perché voi lo trovaste.»
«Ma allora perché lo avete nascosto?» domandò Mack.
«Perché ai bambini piace giocare a nascondino? Rivolgi questa domanda a
chiunque ami l’esplorazione, le scoperte, la creatività. La scelta di nascondervi
molte meraviglie è un atto d’amore, un dono nel processo della vita.»
Mack allungò timidamente la mano e afferrò il ramoscello velenoso. «Se non
mi avessi detto che potevo toccarlo, mi avrebbe avvelenato?»
«Ma certo! Ma se ti dico io di toccarlo, è diverso. Per qualunque essere,
l’autonomia è follia. La libertà comprende la fiducia e l’obbedienza all’interno di
una relazione d’amore. Quindi a meno che tu non senta la mia voce, è meglio che
ti prenda il tempo necessario per studiare la natura della pianta.»
«Ma allora che senso ha creare piante velenose?» chiese perplesso Mack,
restituendo il ramoscello.
«La tua domanda implica che il veleno sia cattivo; che queste creazioni non
abbiano scopo. Molte tra le cosiddette piante cattive, inclusa questa, contengono
proprietà curative importanti o sono necessarie all’esistenza di cose
meravigliose, quando vengono combinate con qualcos’altro. Gli umani sono molto
bravi a decretare se qualcosa è buono o cattivo, senza in realtà saperne
abbastanza.»
Era evidente che la breve pausa, tutta a beneficio di Mack, era finita; Sarayu gli
porse la pala e prese il rastrello. «Per preparare questo terreno, dobbiamo
dissotterrare le radici della stupenda vegetazione che abbiamo rimosso. È un
lavoro duro, ma degno. Se le radici non saranno qui, non potranno fare ciò che
viene loro naturale, cioè insidiare i semi che pianteremo.»
«Va bene» bofonchiò Mack, mentre insieme si inginocchiavano sul terreno
appena liberato. Sarayu riusciva a scavare in profondità e a trovare le
terminazioni delle radici, portandole in superficie con facilità. Lasciava quelle
più corte per Mack, che usava la pala per scavarci sotto e sollevarle. Poi tolsero
la terra dalle radici e le gettarono su uno dei mucchi rastrellati in precedenza da
Mack.
«Le brucerò dopo» disse lei.
«Prima parlavi di come gli uomini decidano cosa è buono e cosa è cattivo
senza sapere» iniziò Mack, pulendo un’altra radice.
«Sì. Per la precisione mi riferivo all’albero della conoscenza del Bene e del
Male.»
«Quell’ albero della conoscenza?» chiese l’uomo, incredulo.
«Proprio quello!» rispose Sarayu, che parve espandersi e poi contrarsi, per
enfatizzare la risposta, mentre continuava a darsi da fare con le radici. «E ora,
Mackenzie, stai cominciando a capire perché mangiare il mortale frutto di
quell’albero si sia rivelato tanto devastante per il genere umano.»
«Non ci avevo mai riflettuto in questi termini, a dire il vero» disse Mack,
intrigato dalla direzione che il discorso stava prendendo. «Quindi, c’era davvero
un giardino? Voglio dire, l’Eden, e tutta quella storia lì?»
«Ma certamente. Te l’ho già detto che mi piacciono i giardini.»
«Questo potrebbe dare fastidio a parecchie persone. La maggior parte della
gente crede che si tratti solo di un mito.»
«Be’, non è un errore fatale. Brandelli di gloria si celano in ciò che molti
considerano miti e favole.»
«Oh, alcuni dei miei amici non saranno affatto contenti» osservò Mack,
lottando con una radice particolarmente tenace.
«Non importa. A me piacciono moltissimo.»
«Sono davvero sorpreso» disse Mack, sarcastico, e sorrise. «Be’, allora…»
infilò la pala nel terreno, afferrando la radice, «parlami dell’albero della
conoscenza del Bene e del Male.»
«Lo stavamo già facendo a colazione» reagì lei. «Lascia che sia io a fare una
domanda a te. Quando ti succede qualcosa, come decidi se è buona o cattiva?»
Mack ci pensò un momento. «Be’, non ho un criterio preciso. Direi che una
cosa è buona quando mi piace, quando mi fa stare bene o mi dà un senso di
sicurezza. Viceversa, definisco cattiva una cosa che mi provoca dolore o che mi
priva di qualcosa che desidero.»
«Quindi è un criterio piuttosto soggettivo, giusto?»
«Immagino di sì.»
«E quanto ti fidi della tua capacità di distinguere ciò che è veramente bene per
te da ciò che è male?»
«In tutta onestà» disse Mack, «divento abbastanza rabbioso quando qualcuno
minaccia il mio “bene”, sai, ciò che penso di meritare. Però non sono sicuro di
avere una base logica per determinare ciò che è veramente buono o cattivo, a
parte il modo in cui quel qualcosa influisce sulla mia vita.» Fece una pausa, per
riposare e riprendere fiato. «Immagino che detto così sembri un ragionamento
egoistico e utilitaristico, e non è che il mio curriculum sia immacolato. Alcune
cose che all’inizio mi sembravano buone si sono rivelate distruttive, e altre che
ritenevo cattive, be’, si sono dimostrate…»
Esitò prima di completare il pensiero, ma Sarayu lo interruppe. «Allora sei tu
che decidi cosa è bene e cosa è male. Sei tu che diventi il giudice. E per rendere
il tutto ancora più confuso, ciò che secondo te è bene cambia con il tempo e le
circostanze. E, come se non bastasse, ci sono miliardi di persone che come te
decidono cosa è bene e cosa è male. Quindi quando il tuo bene si scontra con
quello del vicino, ne seguono discussioni e liti, ed è così che nascono le guerre.»
I colori che si muovevano all’interno della sagoma di Sarayu si scurirono,
mentre lei parlava, neri e grigi si fusero e ombreggiarono quell’arcobaleno di
sfumature. «E se non c’è un Bene assoluto, allora vi mancano le basi per
giudicare. È solo linguaggio, ed è questione di tempo prima che qualcuno scambi
la parola bene con la parola male.»
«Capisco che potrebbe essere un problema» concordò Mack.
«Un problema?» Sarayu quasi scattò, alzandosi e parandoglisi davanti. Era
seccata, ma Mack capì che non ce l’aveva con lui. «Puoi ben dirlo! La scelta di
mangiare il frutto di quell’albero lacerò in due l’universo, sancendo il divorzio
tra la forma spirituale e quella fisica. Sono morte entrambe, esalando nel respiro
della loro scelta l’afflato divino. Certo che è stato un problema!»
Nell’intensità del suo eloquio, Sarayu si era sollevata lentamente da terra, per
poi posarvisi nuovamente, mentre la sua voce diventava più pacata e nitida. «Fu
un giorno di grande dolore, quello.»
Tacquero per quasi dieci minuti, procedendo nel lavoro. Mentre Sarayu
continuava a dissotterrare radici e a gettarle nel mucchio, Mack cercò di
ragionare sulle implicazioni di ciò che aveva detto. Alla fine si decise a spezzare
il silenzio.
«Ora mi rendo conto» confessò, «che uso la maggior parte del mio tempo e
delle mie energie per tentare di assicurarmi le cose che secondo me sono buone,
siano esse la stabilità economica, o la salute, o la pensione, o quant’altro. E passo
fin troppo tempo a preoccuparmi di ciò che secondo me è cattivo.» Sospirò
profondamente.
«Quanta verità c’è in queste parole» disse Sarayu, dolce. «Ricordatene. Ti
permette di essere Dio nella tua indipendenza. Ecco perché una parte di te
preferisce non vedermi. E non hai bisogno di me per creare la tua lista di buoni e
cattivi. Ma hai bisogno di me se desideri smettere di smaniare in modo folle per
raggiungere l’indipendenza.»
«Quindi esiste un modo per correggere tutto questo?» chiese Mack.
«Devi rinunciare al tuo diritto di decidere cosa è bene e cosa è male alle tue
condizioni. È un boccone difficile da mandar giù, scegliere di vivere solo in me.
Per farlo devi conoscermi abbastanza da fidarti e imparare a contare sulla mia
implicita bontà.»
Sarayu si voltò a guardarlo, o almeno così lui credette. «Mackenzie, “Male” è
una parola che usiamo per descrivere l’assenza del Bene, così come la parola
“oscurità” per descrivere l’assenza di Luce, o “morte” per l’assenza di Vita. Sia
il Male sia le Tenebre possono essere compresi solo nel paragone con Luce e
Bene; essi non esistono, altrimenti. Io sono la Luce e sono il Bene. Io sono
l’amore, e in me non c’è tenebra. La Luce e il Bene esistono veramente. Quindi se
ti allontani da me piomberai nell’oscurità. Dichiarare l’indipendenza conduce
inevitabilmente al Male, perché lontano da me tu puoi attingere solo a te stesso. E
quella è la morte, perché saresti separato da me: la Vita.»
«Caspita!» esclamò Mack, sedendosi. «Questo mi aiuta davvero. Ma mi rendo
conto che rinunciare alla mia indipendenza non sarà affatto facile. Potrebbe
significare…»
Sarayu lo interruppe ancora. «… che in alcune circostanze, il Bene potrebbe
essere la presenza di un cancro, o la perdita di un introito, o perfino di una vita
umana.»
«Sì, ma prova a dirlo alla persona con il cancro, o al padre la cui figlia è
morta» replicò Mack, un poco più sarcasticamente di quanto avrebbe voluto.
«Oh, Mackenzie» lo rassicurò Sarayu. «Non credi che a noi importi anche di
loro? Ciascuno era al centro di un’altra storia mai narrata.»
«Ma» Mack sentiva che il controllo gli sfuggiva, mentre infilava con forza la
pala nel terreno, «non credi che Missy avesse il diritto di essere protetta?»
«No, Mack. Un bambino è protetto perché è amato, non perché ha il diritto di
essere protetto.»
Quella affermazione lo immobilizzò. Ciò che Sarayu aveva appena detto
sembrò rovesciare il mondo sottosopra, e lui aveva bisogno di ritrovare
l’equilibrio. Di certo c’era qualche diritto al quale poteva appellarsi.
«Ma allora…»
«I diritti sono ciò a cui ricorrono i sopravvissuti, per non dover risolvere le
relazioni» tagliò corto lei.
«Ma se io rinunciassi…?»
«Allora cominceresti ad assaporare la meraviglia e l’avventura di vivere
attraverso me» lo interruppe nuovamente.
Mack si sentì frustrato. Alzò la voce: «Ma non ho il diritto di…?».
«Di finire una frase senza essere interrotto? No, non ce l’hai. Per niente. Ma
finché credi di averlo, ti arrabbierai tutte le volte che sarai interrotto, anche se a
farlo sarà Dio.»
Mack, sconcertato, si alzò e la fissò negli occhi, incapace di decidere se
arrabbiarsi o ridere. Sarayu gli sorrise. «Mackenzie, Gesù non accampava alcun
diritto; è diventato un servitore per libera scelta, e vive della sua relazione con
Pa. Ha rinunciato a tutto, così da poter aprire una porta, nella sua vita dipendente,
che permettesse anche a te di vivere nella libertà sufficiente a consentirti di
rinunciare ai tuoi diritti.»
In quel momento, dal sentiero arrivò Pa, portando due sacchetti. Sorrideva.
«State facendo una bella chiacchierata, voi due?» disse rivolgendo un cenno a
Mack.
«Meravigliosa!» esclamò Sarayu. «E sai che c’è? Ha chiamato il nostro
giardino una gran confusione… non è una definizione perfetta?»
Sorrisero entrambe a Mack, che non era ancora del tutto certo che non lo
stessero prendendo in giro. La sua rabbia si stava placando, ma la sentiva ancora
avvampargli le gote. Le due donne sembravano non farci caso.
Sarayu si alzò e baciò Pa sulla guancia. «Come sempre, il tuo tempismo è
perfetto. Tutto ciò che volevo che Mackenzie facesse qui è stato fatto.» Si rivolse
a lui. «Mackenzie, sei una delizia! Grazie per il tuo aiuto!»
«Non ho fatto poi molto» si scusò lui. «Voglio dire, guarda che caos.» E
contemplò il giardino che li circondava. «Però è davvero bellissimo, e pieno di
te, Sarayu. Anche se immagino che ci vorrà ancora parecchio lavoro, mi sento
stranamente a casa, a mio agio, qui.»
Le due si scambiarono uno sguardo e sorrisero.
Sarayu gli si avvicinò finché non fu a un palmo da lui. «Ed è giusto che sia
così, Mackenzie, perché questo giardino è la tua anima. Questa confusione sei tu!
Insieme, tu e io, abbiamo lavorato nel tuo cuore con uno scopo preciso. Ed è
selvaggia, stupenda e perfettamente in divenire. A te sembra caotica, ma io vedo
uno schema perfetto che emerge, cresce e vive: un frattale vivente!»
L’impatto delle sue parole rischiò di sbriciolare le riserve di Mack. Guardò
nuovamente il loro giardino – il suo giardino – ed era davvero una gran
confusione, ma anche qualcosa di incredibilmente bello. E poi c’era anche Pa, e a
Sarayu quel caos piaceva davvero. Era quasi troppo per poterlo capire, e ancora
una volta le sue emozioni, attentamente celate, rischiarono di debordare.
«Mackenzie, Gesù vorrebbe portarti a fare una passeggiata, se ti va. Vi ho
preparato un pranzo al sacco, nel caso vi venisse fame. Starete via fino all’ora del
tè.»
Mentre Mack si voltava per prendere i sacchetti con il pranzo, percepì che
Sarayu si avvicinava e, passando, gli baciava la guancia, ma non la vide
muoversi. Come con il vento, ebbe la sensazione di intuire la sua rotta e scorse le
piante che si piegavano, adoranti. Quando si voltò di nuovo, anche Pa era svanita
nel nulla, così si avviò verso la rimessa, per scoprire se vi avrebbe trovato Gesù.
A quanto pareva avevano un appuntamento.
10
Camminare sull’acqua
Gesù terminò di smerigliare l’ultimo angolo di quella che aveva tutta l’aria di
essere una bara, appoggiata sul bancone della rimessa. Passò le dita sul margine
perfettamente liscio, annuì soddisfatto e appoggiò la carta vetrata. Uscì dalla
porta scrollandosi la segatura dai jeans e dalla camicia proprio nel momento in
cui Mack arrivava.
«Ehi, ciao, Mack! Stavo dando gli ultimi ritocchi al mio progetto per domani.
Ti va di fare due passi?»
Mack ripensò alla sera trascorsa a guardare le stelle. «Se va a te, io ci sto»
rispose. «Perché parlate tutti di domani?»
«Per te sarà un gran giorno. È una delle ragioni per cui sei qui. Andiamo.
Voglio mostrarti un posto speciale sull’altra sponda del lago. Il panorama è
indescrivibile. Da lì puoi perfino vedere alcune delle vette più alte.»
«Si direbbe fantastico!» disse Mack, entusiasta.
«Noto con piacere che hai il nostro pranzo, quindi possiamo incamminarci.»
Invece di procedere verso una delle due sponde del lago, dove Mack
immaginava che avrebbero trovato un sentiero, Gesù puntò dritto verso il molo.
La giornata era tersa e luminosa. Il sole era tiepido, sulla pelle, ma non troppo, e
una dolce brezza profumata accarezzava dolcemente i loro visi.
Mack pensò che avrebbero preso una delle canoe ormeggiate ai sostegni del
pontile, e fu sorpreso nel vedere che Gesù superava la terza e ultima
imbarcazione senza fermarsi e si dirigeva all’estremità del molo, dove si voltò e
gli sorrise.
«Dopo di te» disse, accennando divertito a un inchino.
«Stai scherzando, vero?» ribatté Mack. «Credevo che dovessimo passeggiare,
non nuotare.»
«Infatti è così. Però ho pensato che tagliare per il lago ci permetterà di arrivare
prima.»
«Non sono un nuotatore tanto abile, e poi l’acqua mi sembra dannatamente
fredda» si lamentò Mack. Rendendosi conto di ciò che aveva detto, avvampò.
«Mmm, volevo dire… decisamente fredda.» Guardò Gesù con un sorriso di
circostanza, ma l’altro sembrava godersi immensamente il suo imbarazzo.
«Guarda» disse Gesù incrociando le braccia, «sappiamo benissimo che sei un
ottimo nuotatore. Sei stato anche bagnino, se ben ricordo. E l’acqua è fredda, è
vero, e profonda, ma non sto parlando di nuotare. Voglio camminarci sopra, con
te.»
Mack intuì finalmente ciò che Gesù stava suggerendo. Voleva camminare con
lui sull’acqua. Anticipando la sua resistenza, Gesù lo rassicurò: «Eddài. Se ce
l’ha fatta Pietro…».
Mack rise, più per il nervosismo che per altro. Tanto per esserne sicuro, chiese
ancora una volta: «Tu vuoi che io cammini sull’acqua con te fino alla sponda
opposta… è di questo che stiamo parlando?».
«Sei uno sveglio, Mack. Con un intuito simile, nessuno ti può fregare. Dài, è
divertente!» Rise.
Mack si avvicinò all’orlo del pontile e guardò giù. L’acqua era appena trenta
centimetri più sotto, ma ebbe l’impressione che fossero trenta metri. La distanza
gli parve enorme. Tuffarsi sarebbe stato facile, l’aveva fatto migliaia di volte, ma
come poteva appoggiare un piede sull’acqua? Doveva saltare come fosse stata di
cemento, oppure sporgersi dal pontile come se stesse scendendo da una barca?
Guardò Gesù, che stava ancora ridacchiando.
«Pietro aveva lo stesso problema: come si scende dalla barca? È come uno
scalino di trenta centimetri. È facilissimo.»
«Ma mi bagnerò i piedi?»
«Be’, certo. L’acqua non smette di essere bagnata.»
Mack guardò ancora l’acqua, poi Gesù. «Allora perché è così difficile, per
me?»
«Dimmi di cosa hai paura.»
«Be’, vediamo. Di cosa ho paura?» iniziò Mack. «Per prima cosa, ho paura di
fare la figura dell’idiota. Ho paura che tu mi stia prendendo in giro e che andrò
giù come un sasso. Immagino che…»
«Esattamente» lo interruppe Gesù. «Tu immagini. Che facoltà incredibile,
l’immaginazione! Basta il suo potere a renderti davvero simile a noi. Ma senza
saggezza, l’immaginazione è un tiranno crudele. Se mi permetti di perorare la mia
causa, tu credi che gli umani siano stati studiati per vivere nel presente, nel
passato o nel futuro?»
«Be’» disse Mack, esitando, «credo che la risposta più ovvia sia che siamo
stati fatti per vivere nel presente. Mi sbaglio?»
Gesù rise. «Rilassati; non è un esame, è una chiacchierata. E comunque hai
perfettamente ragione. Ma ora dimmi, dove passi la maggior parte del tempo,
quando pensi, nella tua immaginazione: nel presente, nel passato o nel futuro?»
Mack ci rifletté un momento. «Temo di dover ammettere che passo ben poco
tempo nel presente. Per quanto mi riguarda, penso molto al passato, ma per quasi
tutto il resto del mio tempo cerco di capire cosa succederà in futuro.»
«Come moltissime altre persone. Quando io sto con te, lo faccio nel presente…
Io vivo nel presente, non nel passato. Anche se si può ricordare e imparare molto,
guardandosi indietro, ma solo a brevi intervalli, non indugiando a lungo. E di
certo non vivo nel futuro che visualizzi o immagini. Ti rendi conto che la tua idea
del futuro, quasi sempre influenzata da qualche paura, non include quasi mai la
mia presenza?»
Mack si fermò ancora una volta a considerare quell’affermazione. Era vero.
Passava molto tempo a cercare di prevedere il futuro, a preoccuparsi, e ciò che
immaginava era quasi sempre piuttosto triste e deprimente, quando non addirittura
orribile. E Gesù aveva colpito nel segno: Mack immaginava il futuro senza Dio.
«Perché penso questo?» chiese.
«Perché cerchi disperatamente di controllare qualcosa che è fuori dalla tua
portata. Non puoi dominare il futuro, perché non è neppure reale, né mai lo
diventerà. Cerchi di fare Dio, immaginando che il male che temi diventi vero, e
poi cerchi di elaborare dei piani per evitare che ciò di cui hai paura si avveri.»
«Sì, è più o meno quello che mi ha detto Sarayu» reagì Mack. «Ma insomma,
perché c’è tanta paura, nella mia vita?»
«Perché non credi. Non sai che ti amiamo. La persona che vive nella paura non
troverà la libertà nel mio amore. Non mi riferisco a paure razionali generate da
pericoli reali, ma a paure immaginate, e soprattutto alle loro proiezioni nel futuro.
Quelle paure hanno un posto nella tua vita, e per questo tu non credi né che io sia
buono, né che io ti ami. Canti del mio amore, ne parli, ma non lo conosci.»
Mack guardò l’acqua e si lasciò scappare un sospiro che veniva dall’anima.
«Ho così tanta strada da percorrere.»
«A me sembrano circa trenta centimetri» rise Gesù, mettendogli una mano sulla
spalla. Era tutto ciò di cui aveva bisogno: scese dal molo. Per riuscire a
considerare solida l’acqua, e per non farsi spaventare dal suo movimento, guardò
la sponda opposta, tenendo in alto i sacchetti con il pranzo, per ogni evenienza.
L’atterraggio fu più morbido del previsto. Le scarpe si bagnarono subito, ma
l’acqua non gli arrivava neanche alle caviglie. Il lago ondeggiava intorno a lui e
gli fece quasi perdere l’equilibrio. Era strano. Se guardava giù, aveva la
sensazione che i suoi piedi poggiassero su qualcosa di solido, ma invisibile. Vide
Gesù che gli si avvicinava sorridente, con scarpe e calze in una mano.
«Di solito ci togliamo scarpe e calzini, prima di fare queste cose» disse
ridendo.
Mack scosse la testa, unendosi alla risata, e si sedette sul bordo del pontile.
«Credo che ti imiterò.» Tolse le scarpe, strizzò le calze e poi si arrotolò i
pantaloni fino al ginocchio, per sicurezza.
Si avviarono, calzature e pranzo in mano, dirigendosi verso la sponda opposta;
distava meno di un chilometro. L’acqua era fresca, mandava brividi lungo la
schiena. Camminare sull’acqua insieme a Gesù sembrò a Mack il modo più
naturale per attraversare un lago, e sorrise da un orecchio all’altro, al pensiero di
ciò che stava facendo. Di tanto in tanto abbassava lo sguardo per cercare di
avvistare qualche trota di lago.
«Questa cosa è assolutamente ridicola e impossibile, sai?» disse alla fine.
«Ma certo» assentì Gesù, ricambiando il sorriso.
In breve raggiunsero la sponda opposta, e Mack sentì il rombo dell’acqua farsi
più forte, ma non riusciva a capire da dove provenisse. A venti metri dalla riva, si
fermò. Alla loro sinistra, dietro un alto costone di roccia, una magnifica cascata
zampillava dall’orlo di un precipizio alto almeno trenta metri, per infrangersi in
una conca sul fondo della valle stretta e profonda. Lì si apriva in un ampio
torrentello che probabilmente defluiva nel lago, oltre il punto fino a cui lo
sguardo di Mack poteva arrivare. Tra loro e la cascata c’era una radura
disseminata di coloratissimi fiori selvatici, sparsi a caso dalla carezza del vento.
Era uno spettacolo mozzafiato, e Mack rimase immobile qualche istante per
assimilarlo. Nella sua mente balenò un’immagine di Missy, ma svanì
immediatamente.
Una spiaggetta di ciottoli attendeva il loro arrivo, e più in là una fitta foresta si
ergeva ai piedi di una montagna, la cui cima era incorniciata da neve fresca. Poco
più a sinistra, alla fine di una piccola radura, un sentiero spariva rapidamente
nell’oscurità del bosco. Mack uscì dall’acqua, percorse con cautela la piccola
spiaggia e si diresse verso un tronco caduto. Lì sedette e strizzò ancora i calzini,
appoggiandoli vicino alle scarpe, ad asciugare al sole pomeridiano.
Solo allora guardò oltre il lago. Era di una bellezza stupefacente. Vide il
rifugio, dal cui camino di mattoni rossi saliva un filo di fumo, stagliarsi contro il
verde del frutteto e delle foreste. Ma era minuscolo, in confronto alle grandi
catene montuose che incombevano come sentinelle in vigile attesa all’orizzonte.
Mack rimase a guardare, con Gesù seduto accanto, quella sinfonia per gli occhi.
«Fai cose bellissime…» disse a voce bassa.
«Grazie, Mack. E dire che hai visto così poco. Per ora la maggior parte di ciò
che esiste nell’universo lo posso vedere solo io, un po’ come le tele speciali che
l’artista tiene in serbo nel retro del suo studio; ma un giorno… E riesci a
immaginare questa scena se la terra non fosse in guerra, se non dovesse
impegnarsi tanto solo per sopravvivere?»
«Cosa vuoi dire, esattamente?»
«La nostra terra è come una bambina cresciuta senza genitori, senza nessuno a
guidarla e dirigerla.» La voce di Gesù si fece più triste man mano che continuava
a parlare. «Alcuni hanno cercato di aiutarla, ma i più si sono limitati a usarla. Gli
umani, cui è stato assegnato il compito di guidare il mondo con amore, lo
saccheggiano senza ritegno, badando esclusivamente ai propri bisogni. E pensano
di rado ai loro figli, che erediteranno la loro mancanza d’amore. Così abusano
della terra, senza preoccuparsi, e quando lei trema o sospira, si offendono, e
alzano il pugno contro Dio.»
«Sei un ecologista?» chiese Mack, in tono quasi accusatorio.
«Questa sfera verde-azzurra nello spazio più nero, piena di bellezza anche
adesso, ammaccata, maltrattata e meravigliosa.»
«Conosco questa canzone. Deve importarti moltissimo del Creato» sorrise
Mack.
«Be’, questa sfera verde-azzurra nello spazio più nero appartiene a me» disse
Gesù, solennemente.
Dopo un po’, aprirono i sacchetti del pranzo. Pa li aveva riempiti di panini e
dolci, ed entrambi mangiarono di gusto. Mack masticò qualcosa che gli piaceva
parecchio, ma non avrebbe saputo dire se fosse animale o vegetale. Ritenne fosse
meglio non approfondire.
«Allora perché non la aggiusti?» chiese, tra un boccone e l’altro. «La terra,
voglio dire.»
«Perché l’abbiamo data a voi.»
«Non potete riprendervela?»
«Certo che potremmo, ma così la storia finirebbe prima di essere stata
consumata.»
Mack guardò Gesù con occhi vacui.
«Hai fatto caso che anche se mi chiamate Signore e Re, io non mi sono mai
rapportato in quel modo, con voi? Non ho mai preso il controllo delle vostre
scelte, non vi ho forzati a fare nulla, neanche quando stavate per prendere
decisioni distruttive, lesive per voi e per gli altri.»
Mack riguardò il lago, prima di rispondere. «Avrei preferito che a volte tu
avessi preso il controllo. Avresti risparmiato molto dolore a me e alle persone
che amo e che mi sono vicine.»
«Importi la mia volontà» disse Gesù, «è esattamente ciò che l’amore non fa. Le
vere relazioni sono contraddistinte dall’accondiscendenza anche quando le scelte
non sono utili o sagge.
«La bellezza che ravvisi nel mio rapporto con Abba o Sarayu è questa. Siamo
sottomessi gli uni agli altri, lo siamo sempre stati e sarà sempre così. Pa è tanto
sottomessa a me quanto io a lei, o Sarayu a me, o Pa a lei. La sottomissione non
ha nulla a che vedere con l’autorità, e non è obbedienza; ha piuttosto a che fare
con i rapporti d’amore e di rispetto. Anzi, noi siamo sottomessi a te nello stesso
identico modo.»
Mack ne fu sorpreso. «Ma come può essere? Perché il Dio dell’universo
dovrebbe volersi sottomettere a me?»
«Perché vogliamo che tu faccia parte del cerchio della nostra relazione. Non
voglio schiavi, ma fratelli e sorelle che condividano la mia vita.»
«E immagino che sia quello che desiderate nei rapporti tra gli esseri umani.
Cioè, tra mariti e mogli, genitori e figli… in ogni relazione, giusto?»
«Proprio così! Quando io sono la tua vita, la sottomissione è l’espressione più
spontanea del mio carattere e della mia natura, e diventa anche la più naturale per
il tuo nuovo modo di intendere le relazioni.»
«E dire che io volevo solo un Dio che aggiustasse tutto perché nessuno si
facesse male.» Mack scosse la testa, alla luce della sua nuova consapevolezza.
«Ma io non sono molto bravo nelle relazioni, non come Nan.»
Gesù masticò l’ultimo boccone del panino e, chiudendo il sacchetto, lo
appoggiò sul ceppo, accanto a sé. Si tolse dalla barba corta un paio di briciole
rimaste appiccicate e poi, prendendo un bastone, iniziò a parlare e a
scarabocchiare nella sabbia. «Succede perché tu, come la maggior parte degli
uomini, trovi gratificanti i tuoi successi, mentre Nan, come la maggior parte delle
donne, trova gratificanti le sue relazioni. È un linguaggio che per lei è più
naturale.» Gesù si interruppe per guardare un falco pescatore tuffarsi nel lago a
neanche quindici metri da lì, e poi riprendere lentamente il volo con gli artigli
stretti intorno a una grossa trota che ancora si divincolava.
«Significa che non c’è speranza, per me? Voglio davvero raggiungere ciò che
voi tre condividete, ma non so proprio come arrivarci.»
«Hai un fardello pesante che ti impedisce di muoverti, al momento, Mack, ma
non sei costretto a portarlo per sempre.»
«Ora che Missy se n’è andata, è ancora più pesante, ma non è che le cose per
me siano mai state facili.»
«Ma non è solo per l’omicidio di Missy. C’è qualcosa di ancora più grande che
rende difficile condividere la vita con noi. Il mondo è ferito perché nell’Eden
avete abbandonato la relazione con noi per asserire la vostra indipendenza. La
maggior parte degli uomini l’hanno espressa concentrandosi sul lavoro delle mani
e sul sudore della fronte per trovare un’identità, dei valori, la sicurezza.
Scegliendo di determinare cosa è buono e cosa è cattivo, cercate di determinare il
vostro destino. È questa svolta che ha causato la gran parte della sofferenza.»
Gesù si appoggiò al bastone per alzarsi e rimase in silenzio, in attesa che Mack
finisse il pranzo e si unisse a lui. Si avviarono verso la sponda del lago. «Ma non
è tutto. Bisogna considerare il desiderio della donna, come lo ha soddisfatto. Non
si è avvalsa del lavoro delle sue mani, ma di quello dell’uomo, la cui reazione è
stata di prendere il sopravvento su di lei, di volerla comandare, di esserne il
capo. Prima di quella scelta, lei trovava identità, sicurezza e comprensione del
Bene e del Male solo in me, così come l’uomo.»
«Non c’è da meravigliarsi che io mi senta un fallito, con Nan. Non credo di
poterle dare tutto questo.»
«Non sei stato creato per questo. Se ci provassi, sarebbe come se volessi
sostituirti a Dio.»
Mack si abbassò, prese in mano un sasso piatto e lo lanciò sul pelo dell’acqua.
«E non c’è modo di uscire da questa condizione?»
«È semplicissimo, ma non è mai facile, per voi. Dovete tornare a rivolgervi a
me. Dovete rinunciare al potere e alla manipolazione, e tornare semplicemente a
me.» Quella di Gesù sembrava quasi una proposta. «In generale, le donne trovano
difficile smettere di contare su un uomo che provveda ai loro bisogni, fornisca
loro sicurezza e protegga la loro identità, per tornare a contare su di me. Gli
uomini, per contro, trovano difficile smettere di contare su ciò che sanno costruire
con le mani, e non riescono a smettere di desiderare il potere, la sicurezza e
l’importanza, per tornare a me.»
«Mi sono sempre chiesto perché fossero gli uomini a comandare» ponderò
Mack. «I maschi mi sembrano responsabili di una larga parte dei mali del
mondo… La maggior parte dei criminali sono uomini, e molti dei crimini sono
perpetrati a danno delle donne e…» esitò, «… dei bambini.»
«Le donne» proseguì Gesù, scegliendo e lanciando un sasso a sua volta, «hanno
abbandonato noi in favore di un’altra relazione, mentre gli uomini si sono dedicati
a loro stessi e alla terra. Il mondo sarebbe un luogo più calmo e gentile se fossero
le donne a comandare. Meno bambini sarebbero stati sacrificati agli dei
dell’avidità e del potere.»
«Allora forse sarebbero state più degne di svolgere quel ruolo.»
«Forse sì, ma ancora non sarebbe bastato. Il potere nelle mani di esseri umani
indipendenti, siano essi uomini o donne, corrompe. Mack, non capisci che
l’adesione ai ruoli è l’opposto di una relazione? Vogliamo che maschi e femmine
siano controparti, uguali quando si confrontano, ciascuno unico e diverso, distinti
dal sesso ma complementari, e ciascuno forte del potere che solo Sarayu
conferisce loro, lei che è l’origine del solo vero potere, della sola vera autorità.
Ricorda, per me non sono importanti i risultati, o quanto si ha successo nelle
strutture create dagli uomini; a me importa chi siete. Se lascerai evolvere la tua
relazione con me, ciò che farai diverrà un semplice riflesso di ciò che sei.»
«Ma tu ti presenti come un uomo. Questo non significa forse qualcosa?»
«Sì, ma non ciò che molti credono. Sono venuto come uomo per completare la
meravigliosa immagine di come vi abbiamo creati. Dal primo giorno abbiamo
creato la donna entro l’uomo, per poterla estrarre da lui al momento opportuno.
Non abbiamo creato l’uomo perché vivesse solo; lei era prevista fin dal
principio. Facendola uscire da lui, in un certo senso le abbiamo dato i natali.
Abbiamo dato forma a un circolo di relazione, simile al nostro, ma fatto per gli
umani. Lei, derivata da lui, e in seguito tutti i maschi, compreso me, nati da lei, e
tutti originati, o nati, da Dio.»
«Oh, adesso capisco» intervenne Mack. «Se la femmina fosse stata creata per
prima, non ci sarebbe stato il circolo di relazione, escludendo così la possibilità
di un rapporto paritario tra maschio e femmina. Giusto?»
«Esattamente.» Gesù lo guardò e sorrise. «Desideravamo creare un essere che
avesse una controparte paritaria, maschio e femmina. Ma la vostra indipendenza,
con la relativa brama di potere e soddisfazione, mina e distrugge la relazione a
cui il vostro cuore tanto anela.»
«Ci risiamo» disse Mack, mentre sceglieva il sasso più piatto. «Si torna
sempre al potere, che è l’opposto della relazione che hai con Pa e Sarayu. Vorrei
davvero provare qualcosa di simile, sai? Con te e soprattutto con Nan.»
«Per questo siamo qui.»
«Vorrei che ci fosse anche lei.»
«Oh, cosa sarebbe potuto essere» lo canzonava Gesù. Mack non aveva idea di
cosa intendesse.
Rimasero per diversi minuti in un silenzio rotto solo dal suono dei sassi
lanciati sul lago, paralleli al pelo dell’acqua.
Gesù si fermò un attimo prima di lanciarne uno. «C’è un’ultima cosa che vorrei
che tu ricordassi di questa conversazione, Mack, prima che tu vada.»
Lanciò il sasso. Mack lo guardò, sorpreso. «Prima che io vada?»
Gesù ignorò la domanda. «Come l’amore, la sottomissione non è qualcosa che
puoi decidere a priori, soprattutto da solo. Lontano dalla mia vita dentro di te, non
puoi sottometterti a Nan, o ai tuoi figli, o a nessun altro nella tua vita, inclusa Pa.»
«Vuoi dire» chiese Mack, con un certo sarcasmo, «che non posso
semplicemente chiedermi: “Cosa farebbe Gesù?”.»
Gesù rise. «Buone intenzioni, ma cattiva idea. Fammi sapere se funziona, se
decidi di tentare questa strada.» Fece una pausa e tornò serio. «Davvero, la mia
vita non va intesa come un esempio da copiare. Essere un mio seguace non
significa cercare di “essere come Gesù”, ma uccidere la tua indipendenza. Io sono
venuto per darti la vita, la vera vita, la mia vita. Verremo a vivere dentro di te,
così che tu possa cominciare a vedere con i nostri occhi, a sentire con le nostre
orecchie, a toccare con le nostre mani, e a pensare come noi. Ma noi non ti
imporremo mai questa unione. Se vuoi fare a modo tuo, accomodati. Abbiamo
tutto il tempo.»
«Questo dev’essere il morire ogni giorno di cui parlava Sarayu» disse Mack, e
annuì.
«A proposito di tempo» disse Gesù, voltandosi e indicando il sentiero che
portava nel bosco, oltre la radura, «hai un appuntamento. Segui quella strada ed
entra nel luogo in cui finisce. Io ti aspetterò lì.»
Per quanto ne avesse voglia, Mack sapeva che sarebbe stato inutile cercare di
continuare la conversazione. Immerso nei suoi pensieri, infilò silenziosamente
calze e scarpe. Non erano ancora del tutto asciutte, ma neanche troppo scomode.
Si alzò senza dire una parola, e scalpicciò verso la fine della spiaggia, esitò un
istante per guardare ancora la cascata, saltò oltre il rigagnolo e si addentrò nel
bosco, seguendo un sentiero nitido e ben marcato.
* Nuovo mondo… vasti orizzonti / apri gli occhi e scopri che è vero / Nuovo mondo… oltre le spaventose
ondate di blu.
11
Arriva il giudice
Un incontro di cuori
Dio è un verbo.
Richard Buckminster Fuller
Mack uscì nel sole di metà pomeriggio. Aveva la strana sensazione di essere stato
strizzato come un cencio, ma allo stesso tempo si sentiva vivo, come mai prima
d’allora. Che giornata incredibile era stata, e ne rimaneva ancora quasi la metà.
Per un istante esitò, indeciso, ma poi si diresse verso il lago. Quando vide le
canoe legate agli ormeggi si rese conto che probabilmente sarebbe stata per
sempre un’esperienza dolce con un retrogusto amaro, ma il pensiero di portarne
una al largo lo elettrizzava.
Slegò l’ultima delle tre, ci entrò, non senza esitazione, e iniziò a pagaiare verso
l’altra sponda. Per un paio d’ore circumnavigò il lago, esplorandone le anse e le
insenature. Scoprì due fiumi e un paio di torrentelli alimentati dall’alto che si
svuotavano nei bacini inferiori, e trovò un punto perfetto per restare fermo a
guardare la cascata. Ovunque c’erano fiori alpini, che aggiungevano macchie di
colore al paesaggio. Era il più completo e consapevole senso di pace che Mack
avesse provato da tanto tempo, se mai gli era successo.
Intonò perfino qualche canzone; un paio di vecchi inni e qualche brano folk, per
il semplice motivo che ne aveva voglia. Cantare era un’altra cosa cui non era più
abituato. Tornando con la mente al passato, cominciò a canticchiare la canzone
che dedicava a Kate: «K-K-K-Katie… splendida Katie, sei tu sola colei che
adoro…». Scosse la testa pensando a sua figlia, così forte e così fragile; si
domandò come avrebbe fatto a toccarle il cuore. La facilità con cui le lacrime gli
sgorgavano dagli occhi non lo sorprendeva più.
A un certo punto si girò per osservare l’estremità della pagaia che tagliava
l’acqua, e quando si voltò nuovamente, Sarayu era seduta a prua, e lo guardava.
La sua presenza inattesa lo fece sobbalzare.
«Diamine!» esclamò. «Mi hai spaventato.»
«Mi dispiace, Mackenzie» si scusò lei, «ma la cena è quasi pronta ed è ora di
invitarti a fare ritorno al rifugio.»
«Sei stata con me per tutto il tempo?» chiese, leggermente innervosito
dall’improvvisa scarica di adrenalina.
«Ma certo. Io sono sempre con te.»
«Allora perché non lo sapevo?» chiese Mack. «Negli ultimi tempi riuscivo a
percepire quando mi eri accanto.»
«Che tu te ne accorga o meno» spiegò lei, «non ha a che vedere con il fatto che
ci sia davvero o no. Io sono sempre con te; a volte desidero che tu ne sia
consapevole in modo particolare, insomma con maggiore intenzione.»
Mack annuì, e puntò la canoa verso la sponda lontana, e il rifugio. Sentiva la
presenza di lei sotto forma di un formicolio lungo la schiena. Sorrisero
contemporaneamente.
«Sarò ancora capace di percepirti così, come ora, quando tornerò a casa?»
Sarayu sorrise. «Mackenzie, tu mi puoi parlare sempre, e io sarò sempre al tuo
fianco, che tu avverta o meno la mia presenza.»
«Ora lo so, ma come farò a sentirti?»
«Imparerai a prendere atto dei miei pensieri nei tuoi, Mackenzie» lo rassicurò
lei.
«Mi sarà chiaro? E se li confondo con un’altra voce? Se commetto degli
errori?»
Sarayu rise, producendo un suono simile a uno scroscio d’acqua, ma a ritmo di
musica. «Ma certo che commetterai degli errori; succede a tutti, ma tu comincerai
a riconoscere più facilmente la mia voce, man mano che la nostra relazione si
svilupperà.»
«Non voglio sbagliare» si lamentò Mack.
«Oh, Mackenzie» disse Sarayu, «gli errori fanno parte della vita, e Pa trova il
modo di costruire del bene anche a partire da essi.» Era divertita, e Mack non
poté fare a meno di sorridere con lei. Capiva cosa intendeva dire.
«Tutto questo è così diverso da ciò che credevo di sapere, Sarayu. Non mi
fraintendere… adoro ciò che mi avete dato in questo fine settimana. Ma non ho
idea di come tornare alla mia vita. In qualche modo era più facile convivere con
l’idea di Dio quando lo consideravo un padrone esigente, o addirittura gestire la
solitudine della Grande Tristezza.»
«Lo credi davvero?» chiese lei. «Ne sei sicuro?»
«Per lo meno avevo la sensazione di avere tutto sotto controllo.»
«”Sensazione” è la parola giusta. A cosa ti ha portato? Ha permesso alla
Grande Tristezza di germinare, e ti ha procurato più dolore di quanto ne potessi
sopportare, un dolore che ha colpito anche le persone a cui tenevi di più.»
«Secondo Pa, è perché ho paura delle emozioni» rivelò lui.
Sarayu rise fragorosamente. «Quel vostro scambio mi ha divertito moltissimo.»
«Io ho paura delle emozioni» ammise Mack, vagamente turbato dal fatto che
potesse ridere di quell’argomento. «Non mi piace l’effetto che hanno. Ho ferito
altre persone, con le mie emozioni, e non mi posso fidare. Le hai create tutte tu, o
solo quelle buone?»
«Mackenzie.» Sarayu sembrò librarsi nell’aria. Aveva ancora problemi a
guardarla dritto negli occhi, ma con il sole pomeridiano che si rifletteva sul pelo
dell’acqua, era ancora più difficile. «Le emozioni sono i colori dell’anima; sono
spettacolari e incredibili. Quando non ne provi, il mondo diventa opaco e
incolore. Pensa solo a come la Grande Tristezza ha ridotto la gamma dei colori
della tua vita ai soli grigio e nero.»
«Allora aiutami a comprenderle» implorò Mack.
«Non c’è molto da capire, credimi. Esistono e basta. Non sono né buone né
cattive; ci sono, tutto qui. Ecco qualcosa che ti aiuterà a fare chiarezza nella tua
mente, Mackenzie. I paradigmi danno forza alle percezioni e le percezioni
danno forza alle emozioni. Per lo più le emozioni avvengono in risposta alle
percezioni: ciò che tu credi sia reale in merito a una data situazione. Se la tua
percezione è falsata, anche la tua reazione emotiva lo sarà. Devi assicurarti delle
tue percezioni, e, ancora più a monte, devi verificare la veridicità dei tuoi
paradigmi, ovvero ciò in cui credi. Il fatto che tu creda fermamente in qualcosa
non lo rende vero. Devi essere disposto a rivedere le tue convinzioni. Più vivrai
nella verità, più le tue emozioni ti aiuteranno a vedere chiaramente. Ma anche
allora, sarà meglio che tu ti fidi più di me che di loro.»
Mack lasciò che la pagaia gli ruotasse nelle mani mentre l’acqua la faceva
muovere. «Ho la sensazione che vivere questa relazione – insomma, fidarmi di te,
parlarti – sia un po’ più complicato che seguire semplicemente le regole.»
«Quali regole, Mackenzie?»
«Sai, quelle che leggiamo nelle Sacre Scritture.»
«Capisco…» disse lei, con una lieve esitazione. «E in cosa consisterebbero?»
«Be’, sai» rispose lui, sarcastico, «fare il bene ed evitare il male, essere
gentile con i poveri, leggere la Bibbia, pregare e andare in chiesa. Cose del
genere.»
«Capisco. E ti aiutano, queste regole?»
Lui rise. «Be’, non sono mai stato molto bravo ad attenermici. In certi momenti
me la cavo, ma c’è sempre qualcosa che mi mette in difficoltà, per cui mi sento in
colpa. Ho sempre pensato che bastasse impegnarsi di più, ma a volte fatico a
trovare la motivazione.»
«Mackenzie!» lo schernì lei, in tono affettuoso. «La Bibbia non ti insegna a
seguire le regole. È un ritratto di Gesù. Le parole ti dicono com’è Dio e magari
anche cosa potrebbe desiderare da te, ma tu non puoi compiere nessuna azione da
solo. La vita è fatta per essere vissuta in lui, e in nessun altro. Non mi dire che
pensavi di poter vivere secondo la giustizia di Dio per conto tuo?»
«Be’, a dire il vero un po’ sì…» rispose lui, vergognandosi. «Ma devi
ammettere che le regole e i principi sono più semplici delle relazioni.»
«Le relazioni sono certamente molto più complesse delle regole, ma le regole
non ti daranno mai risposte alle domande più profonde del cuore, e non ti
ameranno mai.»
Immergendo la mano nell’acqua, lui rimase a guardare le scie prodotte dal suo
movimento. «Mi rendo conto solo adesso di quante poche risposte io abbia… su
tutto. Sai, mi hai messo sottosopra, mi hai rivoltato, insomma… mi hai sconvolto
completamente.»
«Mackenzie, la religione serve a trovare le risposte giuste, e alcune di quelle
che ti fornisce lo sono realmente. Io invece ti consento di trovare la risposta
vivente, e quando ci arriverai, sarà lui a cambiarti dall’interno. Ci sono molte
persone istruite e intelligenti in grado di affermare parecchie cose giuste, grazie al
loro cervello, perché hanno capito le risposte, ma non mi conoscono affatto.
Quindi spiegami, come possono le loro risposte essere giuste, anche se
apparentemente lo sono? Capisci cosa intendo?» Sorrise della propria battuta.
«Insomma, anche se formalmente hanno ragione, si sbagliano lo stesso.»
«Capisco a cosa alludi. L’ho fatto per anni, dopo il seminario. Avevo le
risposte giuste, a volte, ma non ti conoscevo. In questi giorni, condividere la vita
con voi mi ha illuminato molto più di quando sono giunto a quelle risposte.»
Continuavano a muoversi pigramente nella corrente.
«Quindi… ti rivedrò?» le domandò, con esitazione.
«Ma certo. Forse mi vedrai in un’opera d’arte, o nella musica, nel silenzio o
attraverso le persone, o nel Creato, nella tua gioia e nel tuo dolore. La mia
capacità di comunicare è illimitata, viva e cangiante, ed è sempre in sintonia con
la bontà e l’amore di Pa. E mi sentirai e mi vedrai nella Bibbia in modi del tutto
nuovi. Però non cercare regole e principi; cerca rapporti: cerca un modo per
unirti a noi.»
«So che comunque non sarà lo stesso che averti seduta a prua di una barca.»
«No, sarà molto meglio di quanto tu abbia già provato, Mackenzie. E quando
finalmente dormirai in questo mondo, avremo un’eternità da trascorrere insieme,
faccia a faccia.»
E con quelle parole sparì. Anche se lui sapeva che non se n’era veramente
andata.
«Sì, ti prego, aiutami a vivere nella verità» disse ad alta voce. Forse vale come
una preghiera?, si domandò.
Quando Mack entrò nel rifugio vide che Gesù e Sarayu erano già lì, seduti intorno
al tavolo. Pa, come sempre, era affaccendata a portare piatti stracolmi di
leccornie dal profumo delizioso, che ancora una volta Mack riconobbe solo in
parte, e comunque dovette guardarle due volte per rendersi conto che si trattava di
pietanze che gli erano familiari. Notò che non c’erano verdure. Si diresse in
bagno per darsi una ripulita, e quando tornò gli altri tre avevano già cominciato.
Prese la quarta sedia e si accomodò.
«Non avete veramente bisogno di mangiare, vero?» chiese, mentre iniziava a
versarsi nella scodella qualcosa che sembrava una limpida zuppa di mare, con
pezzi di polipo, e altri pesci dalle forme più strane.
«Non abbiamo bisogno di fare niente» asserì in modo piuttosto netto Pa.
«Allora perché mangiate?» domandò Mack.
«Per stare con te, tesoro. Tu hai bisogno di nutrirti, allora quale scusa migliore
per stare insieme?»
«E comunque ci piace cucinare» aggiunse Gesù. «E a me il cibo piace, e molto.
Non c’è niente come un po’ di shaomai, ugali, nipla o kori bananje per appagare
le papille gustative. Completa il tutto con toffee pudding morbido o un tiramisù e
tè caldo… gnam! Che c’è di meglio?»
Tutti risero, poi ripresero a passarsi i piatti, servendosi a turno. Mentre gustava
quei piatti, Mack ascoltava la conversazione. I tre parlavano e ridevano come
vecchi amici che si conoscessero intimamente. Pensandoci, si rese conto che era
vero più per i suoi tre anfitrioni che per chiunque altro nel Creato. Invidiava la
leggerezza pregna di rispetto di quello scambio e si domandò cosa ci sarebbe
voluto per condividere un momento simile con Nan, e magari con qualche amico.
Ancora una volta fu colpito dalla meraviglia e dall’assoluta assurdità del
momento. La sua mente ripercorse le verità che gli erano state rivelate nelle
ultime ventiquattr’ore. Ma davvero era stato lì un giorno appena? E cosa doveva
farne di quella nuova conoscenza, una volta tornato a casa? Sapeva che avrebbe
raccontato ogni cosa a Nan. Forse lei non gli avrebbe creduto, e lui, in tal caso,
non l’avrebbe biasimata; anche lui, al suo posto, probabilmente avrebbe fatto lo
stesso.
Man mano che i suoi pensieri prendevano velocità si sentì allontanare dagli
altri. Non poteva essere vero. Chiuse gli occhi e cercò di escludere le discussioni
che stavano avvenendo intorno a lui. Improvvisamente, calò il silenzio. Aprì
lentamente un occhio, quasi aspettandosi di svegliarsi a casa. Invece Pa, Gesù e
Sarayu lo stavano fissando con grandi sorrisi. Non cercò nemmeno di spiegarsi.
Sapeva che sapevano.
Invece indicò uno dei piatti e disse: «Posso provare un po’ di quello?». Le
chiacchiere ripresero, e lui cominciò ad ascoltare. Ancora una volta, però, si rese
conto che si stava ritirando in se stesso. Per impedirselo, decise di fare una
domanda.
«Perché amate noi umani? Voglio dire, io…» Mentre parlava, si rese conto di
non aver formulato molto bene il concetto che voleva esprimere. «Cioè, insomma,
perché mi amate, se non ho niente da offrirvi?»
«Se ci pensi bene, Mack» rispose Gesù, «dovresti trovare liberatorio il fatto di
non poterci offrire nulla, o per lo meno nulla che possa aggiungere o togliere
qualcosa a ciò che siamo… Dovrebbe farti sentire meno ansioso di essere
all’altezza.»
«E tu ami i tuoi figli di più, quando rispondono alle tue aspettative?» aggiunse
Pa.
«Non capisco dove vuoi arrivare.» Mack fece una pausa. «Ma mi sento
gratificato della loro presenza nella mia vita. Capita anche a voi?»
«No» disse Pa. «Noi siamo già perfettamente gratificati dall’essere tra di noi.
Anche tu sei stato creato per la comunione, perché sei fatto a nostra immagine.
Quindi il fatto che tu ti senta così nei confronti dei tuoi bambini, o di qualunque
cosa ti “dia” qualcosa, è perfettamente naturale e giusto. Tieni a mente,
Mackenzie, che io non sono un essere umano, per mia natura, a dispetto della
forma che abbiamo scelto per trascorrere questo tempo con te. Io sono pienamente
umana, in Gesù, ma sono altro totalmente separato nella mia natura.»
«Sai… certo che lo sai» disse Mack quasi scusandosi, «che io posso seguire
questo ragionamento solo fino a un certo punto, e che poi mi perdo e il mio
cervello va in poltiglia?»
«Lo capisco» concesse Pa. «Tu non puoi immaginare con gli occhi della mente
qualcosa di cui non puoi fare esperienza.»
Mack ci rifletté un attimo. «Immagino di no… più o meno… Visto? Poltiglia.»
Quando gli altri smisero di ridere, proseguì. «Sapete che vi sono infinitamente
riconoscente, ma mi avete scaricato addosso un bel fardello di informazioni, in
questi giorni. Cosa devo fare, quando torno a casa? Cosa vi aspettate da me,
ora?»
Gesù e Pa guardarono Sarayu, che aveva una forchettata di qualcosa a metà tra
il piatto e la bocca. Appoggiò il boccone lentamente sul piatto e rispose allo
sguardo confuso di Mack.
«Mack» iniziò, «devi perdonare questi due. Gli umani hanno la tendenza a
riconfigurare il linguaggio a seconda della loro indipendenza e del loro bisogno
di compiacere. Quindi quando sento parole violentate per favorire le regole a
discapito della condivisione della vita con noi, per me è difficile rimanere in
silenzio.»
«Come è giusto che sia» disse Pa.
«Cosa ho detto di male?» chiese Mack, incuriosito.
«Finisci quel boccone. Possiamo parlare anche mentre mangi.»
Mack si rese conto che anche lui aveva la forchetta tra il piatto e la bocca.
Continuò a cibarsi, grato, mentre Sarayu iniziava a parlare, dandogli la sensazione
di luccicare e galleggiare sulla sedia in una danza di tonalità e sfumature
accompagnate da profumi che pervadevano la stanza, simili all’incenso,
persistenti e intensi.
«Lascia che per risponderti ti faccia una domanda. Perché credi che abbiamo
dettato i Dieci Comandamenti?»
La domanda lo colse a bocca piena, ma approfittò della masticazione per
pensare alla risposta da dare.
«Immagino, o almeno così mi hanno insegnato, che si tratti di un elenco di
regole che volevate che gli esseri umani seguissero per vivere in modo giusto,
nella vostra Grazia.»
«Se fosse vero, e non lo è» obiettò Sarayu, «quanti credi che abbiano vissuto in
modo giusto, ottenendo la nostra Grazia?»
«Non molti, se le persone mi somigliano» osservò l’uomo.
«A dire il vero ci è riuscito uno solo: Gesù. Non ha solo obbedito alla lettera
alla Legge, ma ne ha interpretato perfettamente lo spirito. Però devi capire,
Mackenzie, che per farlo si è dovuto abbandonare completamente a me, è dovuto
dipendere da me.»
«Allora perché ci avete dato quei comandamenti?» chiese Mack.
«Volevamo semplicemente che smetteste di provare a essere giusti da soli.
Erano uno specchio, utile a mostrarvi come diventa lurido il vostro viso quando
vivete nell’indipendenza.»
«Ma sono certo che sapete che molti» aggiunse allora Mack, « credono di
essere giusti perché seguono le regole.»
«Ma puoi pulirti il viso guardandoti nello stesso specchio che ti rimanda
l’immagine di quanto sei sudicio? Non c’è pietà o grazia nelle regole, neanche per
sbaglio. Ecco perché Gesù le ha adempiute per vostro conto: perché non avessero
più alcuna giurisdizione su di voi. E la Legge che un tempo conteneva richieste
impossibili – non farai questo o quest’altro – diventa così una promessa che noi
manteniamo in voi.»
Era ormai lanciata, e la sua figura vibrava, sfarfallava. «Ma ricordati che se
vivi la tua vita solo e indipendente, la promessa è vuota. Gesù ha annullato le
pretese della Legge; essa non ha più il potere di accusare o comandare. Gesù è sia
la promessa sia il suo compimento.»
«Stai dicendo che non devo seguire le regole?» Mack aveva ormai smesso di
mangiare ed era interamente concentrato sulla conversazione.
«Sì. In Gesù non sei soggetto ad alcuna legge. Tutte le cose sono giuste.»
«Ma non stai parlando sul serio! Mi stai prendendo di nuovo in giro» si
lamentò Mack.
«Figliolo» si intromise Pa, «ancora non hai sentito niente.»
«Mackenzie» proseguì Sarayu, «quelli che non possono contare sulla nostra
presenza in loro hanno paura della libertà. Cercare di attenersi alla Legge è una
dichiarazione di indipendenza, un modo per mantenere il controllo.»
«Quindi è per questo che la Legge ci piace tanto? Perché vogliamo mantenere
tutto sotto controllo?» chiese Mack.
«È molto peggio» riprese Sarayu. «Vi dà il potere di giudicare gli altri e di
sentirvi superiori. Voi credete di vivere secondo ideali più degni di coloro che
giudicate. Applicando le regole, soprattutto nelle loro espressioni più subdole,
come la responsabilità e le aspettative, tentate invano di creare certezze
nell’incertezza. E contrariamente a quanto potresti pensare, a me l’incertezza
piace molto. Le regole non possono dare la libertà; offrono solamente il potere di
accusare.»
«Caspita!» Mack realizzò di colpo ciò che Sarayu aveva detto. «Mi stai
dicendo che responsabilità e aspettative sono un’altra forma delle regole che non
ci riguardano più? Ho capito bene?»
«Esattamente» disse Pa. «Ora ci siamo. Sarayu, è tutto tuo!»
Mack ignorò Pa, scegliendo invece di concentrarsi su Sarayu, il che non era per
niente facile.
Sarayu sorrise a Pa e poi si rivolse di nuovo a Mack. Iniziò a parlare
lentamente, con convinzione. «Mackenzie, io preferisco senza dubbio un verbo a
qualunque sostantivo.»
Si fermò e attese. Mack non era sicuro di sapere cosa avrebbe dovuto ricavare
da quell’affermazione criptica, e dalla sua bocca uscì la sola cosa che gli venne
in mente: «Eh?».
«Io», Sarayu aprì le braccia per includere Gesù e Pa, «sono un verbo. Io sono
ciò che sono. Sarò ciò che sarò. Io sono un verbo! Io sono viva, dinamica, sempre
in attività, e in movimento. Sono un verbo vivente.»
Mack aveva la sensazione che il suo viso tradisse la sua confusione. Capiva le
parole che gli venivano rivolte, ma al momento non avevano senso, per lui.
«E poiché la mia stessa essenza è un verbo» continuò lei, «sono più in sintonia
con i verbi che con i sostantivi. Verbi come confessare, pentirsi, vivere, amare,
reagire, crescere, mietere, cambiare, seminare, correre, ballare, cantare, e tanti
altri. Gli umani, al contrario, hanno il brutto vizio di prendere un verbo, vivo e
pieno di grazia, e trasformarlo in un sostantivo inerte o in un principio che puzza
di regole: qualcosa che cresce, vive e muore. I sostantivi esistono perché ci sono
un universo creato e una realtà fisica, ma se l’universo fosse solo una massa di
sostantivi, morirebbe. Se io “non sono”, non ci sono verbi, e i verbi sono ciò che
fa muovere l’universo.»
«Ma…» Mack si stava ancora sforzando di capire, anche se una scintilla di
intuizione lo faceva ben sperare. «Ma cosa significa, precisamente?»
Sarayu non sembrava turbata dalla sua confusione. «Perché qualcosa passi
dalla morte alla vita, nella sua formula è necessario introdurre un’essenza vitale.
Passare da qualcosa che è solo un sostantivo a qualcosa di dinamico e
imprevedibile, di vivo nel presente, è un passaggio dalla Legge alla Grazia.
Posso farti un paio di esempi?»
«Te ne prego» assentì Mack. «Sono tutto orecchi.»
Gesù ridacchiò e Mack lo guardò male prima di posare nuovamente lo sguardo
su Sarayu. Un impercettibile accenno di sorriso le attraversò il volto mentre
riprendeva a parlare.
«Allora usiamo le due parole: responsabilità e aspettative. Prima che
diventassero sostantivi, erano parole mie, sostantivi con movimento ed
esperienza; l’abilità di rispondere e l’attesa. Le mie parole sono vive e
dinamiche, piene di vita e di possibilità; le tue sono morte, piene di regole, paura
e giudizio. Ecco perché nelle Sacre Scritture non trovi la parola responsabilità.»
«Oh, mamma!» esclamò Mack con una smorfia, cominciando a capire dove
Sarayu stava andando a parare. «E dire che noi la usiamo parecchio.»
«La religione ha bisogno di usare la Legge per assumere potere e controllare le
persone di cui ha bisogno per sopravvivere. Io vi do la possibilità di rispondere,
di reagire, e la vostra reazione è essere liberi di amare e servire in ogni
situazione, pertanto ogni momento è diverso, unico e meraviglioso. Poiché io sono
la vostra capacità di reagire, devo essere presente in voi. Se io vi dessi
semplicemente una responsabilità, non avrei affatto bisogno di essere con voi.
Sarebbe solo un compito da portare a termine, un obbligo da soddisfare, qualcosa
in cui fallire.»
«Oh, mamma, mamma mia!» esclamò di nuovo Mack, senza entusiasmo.
«Prendiamo l’esempio dell’amicizia, e di come togliendo l’elemento di vita da
un sostantivo una relazione possa cambiare radicalmente. Se tu e io siamo amici,
c’è un’attesa, nella nostra relazione. Quando ci vediamo o siamo distanti, c’è il
desiderio di stare insieme, di ridere e parlare. Quell’attesa non ha una definizione
concreta; essa è viva e dinamica, e tutto ciò che nasce dal nostro stare insieme è
un dono unico, che condividiamo solo noi. Ma cosa succede se cambio “attesa”
con “aspettativa”, espressa o implicita? Improvvisamente, le regole entrano nella
nostra relazione. Ci si aspetta che tu ti comporti in un modo che soddisfi le mie
aspettative. La nostra amicizia vivente deteriora ben presto in qualcosa di morto,
con doveri cui attenersi. Non riguarda più te e me, ma ciò che ci si aspetta che i
buoni amici facciano, o le responsabilità che si devono accollare.»
«Oppure» aggiunse Mack, «le responsabilità di un marito, di un padre, di un
impiegato, o altro. Credo di capire. Preferirei davvero vivere di attesa.»
«Anch’io» disse scherzosa Sarayu.
«Ma» obiettò Mack, «senza aspettative e responsabilità, non rischia di andare
tutto a catafascio?»
«Solo se tu appartieni al mondo, ti neghi a me e sei soggiogato dalle regole. Le
responsabilità e le aspettative sono alla base della colpa, della vergogna e del
giudizio, e forniscono la struttura essenziale che promuove l’eccellenza come
base dell’identità e del valore. Sai bene come ci si sente, quando non si è
all’altezza delle aspettative di qualcuno.»
Diamine, se lo so!, pensò Mack. «Non è affatto una sensazione piacevole.»
Fece una breve pausa, mentre un nuovo pensiero gli balenava nella mente. «Stai
dicendo che non hai alcuna aspettativa nei miei confronti?»
Allora fu Pa a prendere la parola. «Tesoro, non ho mai imposto le mie
aspettative né a te né a nessun altro. L’idea stessa di aspettativa presuppone che
una persona non conosca il futuro, o ciò che sarà, e quindi cerchi di controllare il
comportamento altrui per ottenere il risultato desiderato. Gli esseri umani cercano
di controllare i comportamenti principalmente tramite le aspettative. Io conosco te
e so tutto ciò che ti riguarda. Perché dovrei aspettarmi altro da ciò che già so?
Sarebbe sciocco. E inoltre, poiché non ho aspettative, tu non mi deludi mai.»
«Cosa? Non hai mai provato delusione nei miei confronti?» Mack faticava a
digerire quella nozione.
«Mai!» rispose Pa, convinta. «Ciò che provo è una costante, palpitante attesa
all’interno della nostra relazione, e ti offro la possibilità di rispondere e reagire a
tuo piacimento a ogni circostanza in cui ti trovi. Quando ricorri ad aspettative e
responsabilità, non mi conosci, né ti fidi di me.»
«E quindi» intervenne Gesù, «vivi nella paura.»
«Ma…» Mack non era convinto. «Ma non volete che noi decidiamo le nostre
priorità? Tipo: prima Dio, poi qualcos’altro, seguito da qualcos’altro ancora?»
«Il problema del vivere nelle priorità» intervenne Sarayu, «è che costringe a
vedere tutto come una gerarchia, una piramide, e noi due abbiamo già affrontato
questo discorso. Se metti Dio in cima, cosa significa veramente, e a che punto ti
fermi? Quanto tempo mi puoi dedicare prima di passare ai tuoi altri impegni, alla
parte che ti interessa di più?»
Pa la interruppe di nuovo. «Vedi, Mackenzie, io non voglio un pezzo di te e un
pezzo della tua vita. Anche se tu fossi in grado, e non lo sei, di darmi il pezzo più
grande, non è ciò che voglio. Io voglio tutto te, e ogni parte di ogni tuo giorno.»
Poi fu Gesù a parlare ancora. «Mack, io non voglio essere la prima voce in una
lista di valori; voglio essere al centro di tutto. Quando vivrò in te, potremo
condividere tutto ciò che ti succederà. Piuttosto che su una piramide, voglio
essere al centro di una struttura mobile, dove tutto ciò che compone la tua vita – i
tuoi amici, la famiglia, il lavoro, i pensieri, le attività – sia legato a me ma si
muova nel vento, dentro e fuori, avanti e indietro, in un’incredibile danza di
esistenza.»
«E io» concluse Sarayu, «sono quel vento.» Sorrise felice, e si inchinò.
Mentre Mack raccoglieva i pensieri regnò il silenzio. Si era tenuto saldo al
bordo del tavolo con entrambe le mani, come per sorreggersi a qualcosa di solido
per resistere alla forza di tante idee e immagini.
«Be’, ora basta» disse Pa, alzandosi. «È ora di divertirci! Voi andate avanti,
mentre io metto via le cose che potrebbero andare a male. I piatti li laverò dopo.»
«E la preghiera?» chiese Mack.
«Nulla è rituale » disse Pa, prendendo in mano alcuni piatti. «Per cui stasera
faremo qualcosa di diverso. Ti piacerà, vedrai!»
Mentre Mack si alzava per seguire Gesù, che era già alla porta sul retro, sentì
una mano sulla spalla e si voltò. Sarayu era a un passo da lui e lo guardava dritto
negli occhi.
«Mackenzie, se me lo permetti, voglio farti un dono, questa sera. Posso toccare
i tuoi occhi e guarirli, solo per stasera?»
Mack ne fu sorpreso. «Ci vedo abbastanza bene, o almeno credo.»
«A dire il vero» ribatté Sarayu, quasi scusandosi, «vedi molto poco, anche se
per un umano hai una vista buona. Ma solo per questa sera, mi farebbe piacere
che tu vedessi un poco di ciò che vediamo noi.»
«Allora fallo, ti prego» acconsentì Mack. «Ti prego, toccami gli occhi, se lo
desideri.»
Mentre lei tendeva le mani, Mack chiuse gli occhi e si protese in avanti. Il suo
tocco era come di ghiaccio, inatteso e inebriante. Un brivido piacevole lo
percorse e lo costrinse ad alzare le mani per trattenere quelle di lei sul suo viso.
Ma non c’erano già più, così lentamente iniziò a socchiudere gli occhi.
15
Quando Mack aprì gli occhi dovette immediatamente proteggerli con il dorso
della mano da una luce accecante che lo sovrastava. Poi udì qualcosa.
«Non ti sarà facile guardare direttamente me» disse la voce di Sarayu, «o Pa.
Ma pian piano la tua mente si abituerà ai cambiamenti, e la cosa diventerà più
facile.»
Si trovava esattamente nel punto in cui aveva chiuso gli occhi, ma il rifugio, il
molo e la rimessa erano spariti. Era all’aperto, in cima a una collinetta, sotto un
cielo notturno brillante, ma senza luna. Poteva scorgere il movimento delle stelle,
preciso, lento, come se grandiosi direttori d’orchestra ne stessero coordinando i
movimenti.
Di tanto in tanto, come seguendo un ritmo preordinato, comete e piogge di
meteore si insinuavano tra i ranghi di stelle, aggiungendo variazioni a quella
danza fluida. Poi Mack vide una stella crescere e cambiare colore, come se si
stesse trasformando in nova, o in nana bianca. Sembrava che il tempo fosse
diventato dinamico e volubile, contribuendo ad arricchire lo spettacolo celeste,
all’apparenza caotico, ma in realtà perfettamente armonico.
Si voltò verso Sarayu, ferma accanto a lui. Anche se faticava ancora a
guardarla, notava in lei simmetrie di colore, motivi di luce, come se minuscoli
diamanti, rubini e zaffiri variopinti fossero stati cuciti in un tessuto di luce, che si
muoveva dapprima a ondate, per poi sparpagliarsi ovunque.
«È tutto così incredibilmente bello» sussurrò, circondato com’era da quella
visione sacra e grandiosa.
«Sì, è vero» disse la voce di Sarayu, proveniente da quella luce. «Ora,
Mackenzie, guardati intorno.»
Lui lo fece, e gli si mozzò il fiato. Anche nel buio della notte, ogni cosa era
visibile con chiarezza e risplendeva di aureole di luce in colori e sfumature
infinite; eppure si poteva distinguere ogni albero, così come ogni ramo e ogni
foglia. Gli uccelli e i pipistrelli creavano scie di fuoco colorato quando volavano
o si inseguivano. In lontananza, scorse nitidamente un’ampia rappresentanza del
Creato: cervi, orsi, capre di montagna, alci maestosi al limitare del bosco, lontre
e procioni nel lago, ciascuno reso brillante dalla propria luce, dalla propria
fiamma. Miriadi di minuscole creature scorrazzavano, dardeggiavano in ogni
direzione, vivide nella propria gloria.
In un tripudio di fiamme color pesca, prugna e mirtillo, un falco pescatore si
tuffò sopra il lago, cabrando all’ultimo istante per sfiorarne appena la superficie,
mentre scintille di neve si staccavano dalle ali al suo passaggio. Dietro il falco,
una grande trota lacustre dal mantello arcobaleno guizzò come per sbeffeggiare il
cacciatore, poi ricadde in acqua in uno spruzzo disordinato di colori.
Mack si sentiva pervaso da qualcosa di più grande di lui, come se gli fosse
possibile trovarsi ovunque il suo sguardo si posasse. Due cuccioli di orso che
giocavano tra le zampe della madre attirarono la sua attenzione, ocra, menta e
nocciola che rotolavano con loro, mentre scherzavano nella loro lingua. Dal punto
in cui era, Mack aveva la sensazione di poter allungare una mano e toccarli, così
senza pensarci mosse il braccio. Lo ritrasse subito, stupefatto, accorgendosi che
anche lui era fatto di fiamme. Si guardò le mani, di meravigliosa fattura,
chiaramente visibili nel turbine di luce colorata che sembrava rivestirle. Esaminò
il resto del proprio corpo, per scoprire che la luce e il colore lo rivestivano
completamente: un abito di purezza che gli donava libertà e sobrietà.
Si rese anche conto di non provare alcun dolore, nemmeno alle articolazioni
che di solito gli davano fastidio. Anzi, non si era mai sentito tanto bene, tanto
sano. La sua mente era sgombra e lui inalava appieno i profumi e gli aromi della
notte e dei fiori dormienti nel giardino, molti dei quali avevano iniziato ad aprirsi
per prendere parte a quel momento di celebrazione.
Un delirio di deliziosa gioia lo pervase e saltò, galleggiando lentamente
nell’aria; poi tornò piano a terra. Com’è simile, pensò, a sognare di volare.
Poi notò le luci: punti in movimento che emergevano dalla foresta, convergendo
sulla radura dove si trovava insieme a Sarayu. Le vide incorniciare le montagne,
apparire e scomparire nel loro tragitto verso le cime, lungo rotte e sentieri
invisibili nel cielo.
Poi il tutto fu invaso da un nugolo di bambini. Non c’erano candele: erano luci
essi stessi. E nella loro radiosità, ciascuno era vestito con costumi diversi che
Mack immaginò rappresentassero ogni etnia e ogni lingua. Riusciva a distinguerne
solo alcuni, ma non gli importava. Erano i bambini della terra, i figli di Pa.
Arrivavano con quieta dignità, con grazia, i volti placidi e in pace, piccoli che
tenevano per mano quelli ancora più piccini.
Per un momento si domandò se Missy fosse tra loro e, anche se per un minuto la
cercò con lo sguardo, si arrese. Si disse che se c’era, e avesse voluto corrergli
incontro, l’avrebbe fatto. I bimbi formarono un grande cerchio nella radura,
lasciando un sentiero sgombro dal punto in cui si trovava Mack al centro esatto
dello spiazzo. Quando i bambini ridevano o bisbigliavano si accendevano piccoli
sprazzi di luce e fiamma, come uno stadio pieno di lampadine che scoppiavano
una dietro l’altra. Anche se Mack non aveva idea di cosa stesse succedendo, era
chiaro che loro sapevano, e che non stavano più nella pelle.
Oltre il ciglio della collina, a formare un altro cerchio, di luci più intense,
c’erano quelli che a Mack parvero adulti come lui, brillanti di colori eppure umili
e composti.
Improvvisamente, la sua attenzione fu rapita da un movimento insolito.
Sembrava che una delle creature di luce del circolo esterno avesse qualche
difficoltà. Lampi e saette viola e avorio tracciavano brevi archi nel buio in cui si
trovava, lasciando spazio a oro e vermiglio fiammeggianti, spruzzi di
luminescenza che spezzavano le tenebre tutt’intorno, per poi svanire e tornare alla
fonte.
Sarayu rise.
«Cosa sta succedendo?» sussurrò Mack.
«C’è un uomo che sta facendo fatica a trattenere le proprie sensazioni.»
Il poveretto stentava a contenersi e stava innervosendo anche alcuni vicini.
L’effetto a catena era chiaramente visibile, anche perché i lampi di luce si stavano
propagando anche al vicino cerchio dei bambini. Quelli più prossimi
all’istigatore sembravano reagire con saette, che si muovevano nella direzione
dell’uomo. Le combinazioni emesse da ciascuno erano uniche, e a Mack parvero
contenere una risposta specifica a colui che stava provocando quella confusione.
«Ancora non capisco» mormorò sommessamente.
«Mackenzie, la combinazione di luci e colori è specifica per ogni persona; non
ce ne sono due uguali, e non si presentano mai due volte nella stessa sequenza.
Qui possiamo vederci veramente e quindi anche la personalità e le emozioni di
ciascuno sono visibili, a loro volta, sotto forma di colori e luci.»
«Ma è incredibile!» esclamò Mack. «Allora perché i bambini sono per lo più
bianchi?»
«Se ti avvicini vedrai che hanno molti colori che si fondono nel bianco, che li
contiene tutti. Crescendo, diventando adulti, i colori diverranno più distinti, e si
manifesteranno le sfumature che appartengono solo a loro.»
«Incredibile!» Mack non riuscì a dire altro e si mise a guardare con più
attenzione. Vide che oltre il cerchio degli adulti erano emerse altre figure,
equamente distanziate lungo tutto il perimetro. Erano fiamme più alte, che
sembravano mosse dal vento, tutte di tonalità zaffiro e verde acqua, e disseminate
di frammenti di colori individuali.
«Angeli» rispose Sarayu prima che glielo chiedesse. «Servitori e osservatori.»
«Incredibile!» disse Mack, una terza volta.
«C’è molto altro, Mackenzie, e questo ti farà capire il problema di
quell’individuo.» Indicò verso il piccolo tumulto in corso.
Anche a Mack era evidente che l’uomo, chiunque fosse, era ancora in difficoltà.
Improvvisi sprazzi di luce si dirigevano verso di lui anche da punti molto lontani.
«Non solo siamo capaci di vedere l’unicità altrui, sotto forma di luce e colore,
ma possiamo anche reagire a essa allo stesso modo. Questa reazione è tuttavia
molto difficile da controllare, e di solito non cerchiamo di trattenerla, come sta
facendo lui. È più naturale lasciare semplicemente che sia.»
«Non capisco» esitò Mack. «Stai dicendo che reagiamo alle altre persone con i
colori?»
«Sì» annuì Sarayu, o per lo meno Mack ebbe questa impressione. «Ogni
relazione tra due persone è assolutamente unica. Ecco perché non puoi amare due
persone allo stesso modo. Non è proprio possibile. Tu ami ciascuno in modo
diverso per via di ciò che egli è, e per l’unicità che trae da te. E meglio conosci
una persona, più ricche sono le tonalità della relazione.»
Mack ascoltava ma continuava a guardare lo spettacolo che gli si offriva alla
vista. Sarayu continuò: «Forse il modo migliore per farti capire è darti una
piccola dimostrazione. Immagina di essere in compagnia di un amico nel tuo bar
preferito. Sei concentrato sul tuo compagno, e se avessi gli occhi per vederlo,
capiresti che siete avviluppati in una serie di luci e colori, che indicano non solo
la vostra specificità come individui, ma anche l’unicità della vostra relazione, e
delle emozioni che provate in quel momento».
«Ma…» iniziò a chiedere Mack, che fu però subito interrotto.
«Immagina» proseguì Sarayu, «che un’altra persona che ami entri nello stesso
bar, e che benché tu sia coinvolto nella conversazione con il tuo amico, ti accorga
del suo arrivo. Ancora una volta, se tu avessi gli occhi capaci di cogliere la realtà
nel suo complesso, ecco cosa vedresti: una combinazione specifica di colori si
staccherebbe da te e avvolgerebbe la persona appena entrata, per rappresentare te
in una differente forma di amore e accoglienza, senza che tu debba interrompere la
conversazione. E ricorda, Mackenzie, che quella specificità non è solo visiva, ma
anche tattile, olfattiva, gustativa.»
«Ma è stupendo!» esclamò Mack. «Però a eccezione di quello lì» e indicò nella
direzione dei colori in agitazione, «mi sembrano tutti così calmi! Dovrebbero
esserci colori dappertutto, no? Non si conoscono tra loro?»
«Si conoscono molto bene, quasi tutti, ma sono qui per una celebrazione che
non riguarda loro, né i loro rapporti, almeno non direttamente» spiegò Sarayu.
«Stanno aspettando.»
«Cosa?» chiese Mack.
«Lo vedrai molto presto» rispose Sarayu, e fu chiaro che non intendeva
aggiungere altro.
«Allora perché» iniziò Mack, che stava guardando nuovamente l’elemento di
disturbo, «quell’uomo sembra avere tanta difficoltà? E perché ho la sensazione
che ci stia osservando?»
«Mackenzie» disse dolcemente Sarayu, «non sta guardando noi. Sta guardando
te.»
«Cosa?» chiese Mack, interdetto.
«Quell’uomo che non riesce a contenersi… è tuo padre.»
Un’ondata di emozioni, un misto di rabbia e nostalgia, si riversò su di lui
mentre i colori di suo padre attraversavano la radura e lo avviluppavano. Era
perso in un turbine di rubino e vermiglio, magenta e viola, mentre luce e sfumature
lo rivestivano e lo abbracciavano. E in qualche modo, nel mezzo di quella
tempesta scintillante, si ritrovò a correre nella radura, alla ricerca di suo padre,
verso l’origine dei colori e delle emozioni. Era un bambino che voleva il suo
papà, e che per la prima volta non ne aveva paura. Correva, incurante di tutto ciò
che non fosse l’oggetto del suo desiderio, e alla fine lo trovò. Suo padre era in
ginocchio, immerso nella luce e le lacrime, come una cascata di diamanti e altre
gemme, gli gocciolavano dalle mani che gli coprivano il volto.
«Papà!» gridò, e si gettò al collo dell’uomo che non riusciva nemmeno a
guardare suo figlio. Nell’ululato del vento e delle fiamme, Mack prese il viso di
suo padre tra le mani e lo costrinse a incrociare il suo sguardo mentre dalle
labbra gli usciva ciò che aveva sempre voluto dirgli: «Papà, mi dispiace! Ti
voglio bene, papà!». La luce di quelle parole sembrò scacciare la tenebra dalle
sfumature del padre, rendendole rosso sangue. Si scambiarono tra i singhiozzi
frasi di confessione e perdono, mentre un amore più grande di loro li guariva.
Alla fine riuscirono ad alzarsi, il padre stringeva il figlio come non era mai
riuscito a fare prima. Fu allora che Mack notò l’eco di un canto avvolgerli
entrambi, penetrando lo spazio sacro che condivideva con suo padre. Avvinti
nell’abbraccio ascoltarono, incapaci di parlare, tra le lacrime, il canto di
riconciliazione che illuminava il cielo notturno. Una fontana zampillante di colori
brillanti si propagò tra i bambini, soprattutto quelli che avevano sofferto di più, e
poi si estese fino a coprire tutto il campo di luce e canto.
Mack sapeva che non era il momento di fare conversazione e che non aveva
molto tempo per stare con suo padre. Percepiva che, per qualche misterioso
motivo, quell’occasione gli era stata offerta tanto per il bene di suo padre quanto
per il suo. La nuova leggerezza che lo pervadeva lo rese euforico. Baciò suo
padre sulle labbra, si voltò e tornò alla collinetta, dove Sarayu lo attendeva.
Passando tra i bambini, percepì su di sé il loro tocco e i loro colori. Sapeva di
essere già conosciuto e amato, là.
Quando raggiunse Sarayu, anche lei lo abbracciò e lui si lasciò stringere,
piangendo. Quando si fu ripreso almeno in parte, alzò di nuovo lo sguardo sulla
radura, il lago e il cielo notturno. Calò il silenzio. L’attesa era palpabile.
Improvvisamente, alla loro destra, dalle tenebre apparve Gesù, e subito fu il
pandemonio. Indossava una semplice veste bianco accecante e sulla testa portava
una sobria corona d’oro: non c’era dubbio che fosse il re dell’universo.
Percorse il sentiero che si apriva davanti a lui verso il centro: il centro della
Creazione, l’uomo che è Dio e il Dio fatto uomo. Luci e colori ballavano,
disegnando un drappeggio d’amore su cui avanzava. Alcuni gridavano parole
d’amore, altri restavano fermi, con le mani rivolte al cielo. Molti di quelli che
avevano i colori più ricchi e intensi si erano prostrati a faccia in giù. Tutto ciò che
aveva respiro cantava una melodia di amore e gratitudine infiniti. Quella sera
l’universo era come sarebbe dovuto essere sempre.
Mentre raggiungeva il centro, Gesù si fermò per guardarsi intorno. I suoi occhi
si posarono su Mack, in cima alla collinetta, che lo sentì bisbigliargli
all’orecchio: «Sono davvero fiero di te». Fu tutto ciò che Mack poteva sopportare
di sentire, e si lasciò cadere a terra sconvolto da lacrime di gioia. Non riusciva a
muoversi, avvinto com’era dall’abbraccio d’amore e tenerezza di Gesù.
Poi lo sentì dire a voce forte e chiara: «Venite!». E loro obbedirono, prima i
bambini e poi gli adulti, a turno, ciascuno per tutto il tempo di cui aveva bisogno
per ridere, parlare, abbracciarsi e cantare con il loro Gesù. Il tempo sembrava
essersi arrestato, mentre la danza celestiale continuava. E tutti, uno alla volta, se
ne andarono, finché non rimasero che le sentinelle blu e gli animali. Gesù
camminò anche tra di loro, chiamandoli tutti per nome finché non furono tornati,
insieme ai loro piccoli, alle tane, ai nidi e ai pascoli.
Mack rimase immobile, nel tentativo di assorbire quell’esperienza che non
avrebbe mai saputo descrivere. «Non avevo idea…» sussurrò, scuotendo la testa
e guardando verso l’orizzonte. «Incredibile!»
Sarayu rise, in una pioggia di colori. «Prova a immaginare, Mack, se non ti
avessi toccato soltanto gli occhi, ma anche la lingua, il naso e le orecchie.»
Alla fine furono nuovamente soli. Il grido selvaggio e penetrante di una
strolaga, che echeggiò sopra il lago, parve indicare la fine della celebrazione, e le
sentinelle scomparvero all’unisono. I soli suoni rimasti erano un coro di grilli e
rane, che ripresero i loro canti di lode dalla sponda del lago e dalle radure
circostanti. Senza una parola, i tre si voltarono e si incamminarono verso il
rifugio, nuovamente visibile agli occhi di Mack. Come se gli fosse stato calato
davanti un sipario, si ritrovò di nuovo cieco; la vista era tornata quella di sempre.
Ebbe cognizione di quella perdita, e si sentì persino rattristato, finché Gesù non
gli si avvicinò e gli prese la mano, stringendola per fargli capire che tutto andava
come sarebbe dovuto andare.
* Alcuni di noi vivono e altri muoiono. / Un giorno Dio ci dirà perché. / Apri il cuore e lascia che si nutra di ciò
che la vita offre. / Ci rivedremo alla festa tra amici.
16
Risveglio di dolore
Gli sembrava di essere appena entrato nella fase più profonda del sonno, quando
una mano lo scosse fino a risvegliarlo.
«Mack, alzati. È ora di partire.» La voce suonava familiare, ma più roca, come
se appartenesse a qualcun altro che si era appena svegliato.
«Eh?» mugugnò. «Che ore sono?» riuscì a chiedere, mentre cercava di
ricordare dove si trovasse e cosa stesse facendo.
«È ora di andare!» rispose il sussurro.
Benché non avesse ricevuto risposta, scese dal letto incespicando, poi trovò
l’interruttore e accese la lampada. La luce era accecante e gli ci volle un altro
momento prima di poter aprire di poco un occhio per dare una sbirciata al suo
visitatore mattutino.
L’uomo che gli stava accanto somigliava vagamente a Pa: solenne, più vecchio,
più muscoloso e più alto di Mack. Aveva capelli argentati raccolti in una coda di
cavallo, baffi e pizzetto dello stesso colore. Camicia a quadri con le maniche
arrotolate, jeans e scarponi da arrampicata completavano la tenuta di una persona
chiaramente pronta ad affrontare un sentiero di montagna. «Pa?» chiese Mack.
«Sì, figliolo.»
Mack scosse la testa. «Stai ancora giocando con la mia mente, vero?»
«Sempre» disse lui con un sorriso affabile, e poi rispose alla domanda
successiva prima ancora che Mack potesse formularla. «Questa mattina avrai
bisogno di un padre. Vieni, mettiamoci in cammino. Sulla sedia ai piedi del letto
c’è tutto l’occorrente. Ti aspetto in cucina, così puoi riempirti lo stomaco prima
di partire.»
Mack annuì. Non gli sembrava il caso di chiedere dove fossero diretti. Se Pa
avesse voluto farglielo sapere, gliel’avrebbe rivelato. Indossò in fretta gli
indumenti, che erano della sua taglia e somigliavano a quelli di Pa, e mise anche
lui un paio di scarponi. Dopo essersi dato una rapida rinfrescata in bagno, entrò in
cucina.
Gesù e Pa erano vicino al tavolo e avevano l’aria molto più riposata di quanto
Mack potesse dire di sé. Stava per parlare, quando Sarayu entrò dalla porta sul
retro stringendo un grande involto arrotolato. Sembrava un sacco a pelo molto
grande, ben legato con una fune a ciascuna estremità, per poter essere trasportato
facilmente. Lo passò a Mack, che dall’involto sentì subito provenire un miscuglio
di profumi meravigliosi. Erano fiori ed erbe aromatiche che aveva la sensazione
di riconoscere. C’erano cannella e menta, sali e frutti.
«Questo è un regalo, per dopo. Pa ti farà vedere come usarlo.» Sorrise e lo
abbracciò. O almeno, lui non avrebbe saputo descriverlo altrimenti. Era sempre
così difficile capire i suoi gesti.
«Puoi portarlo tu» aggiunse Pa. «Li hai raccolti tu con Sarayu, ieri.»
«Il mio regalo può aspettare il tuo ritorno» sorrise Gesù, e abbracciò Mack a
sua volta, solo che il suo sembrava proprio un abbraccio.
I due uscirono dal retro e Mack restò solo con Pa, che si mise a strapazzare due
uova e friggere delle strisce di pancetta.
«Pa» chiese, sorpreso da quanto gli fosse diventato facile chiamarlo così, «tu
non mangi?»
«Niente è rituale, Mackenzie. Tu hai bisogno di nutrirti, io no.» Sorrise. «E non
ingozzarti. Abbiamo tutto il tempo, e mangiare in fretta rende difficile la
digestione.»
Mack fece colazione lentamente e in relativo silenzio, godendosi la presenza di
Pa.
A un certo punto Gesù si affacciò con la testa nella stanza per informare Pa che
aveva messo gli strumenti di cui avrebbero avuto bisogno appena fuori dalla
porta. Pa lo ringraziò, Gesù si avvicinò per baciarlo sulle labbra e tornò fuori.
Mack stava aiutando a lavare i pochi piatti sporchi, quando gli venne in mente
di chiedere: «Lo ami proprio tanto, vero? Gesù, intendo».
«So bene a chi ti riferisci» rispose Pa, sorridendo. Stava sciacquando la
padella e si interruppe. «Con tutto il mio cuore! Credo che ci sia qualcosa di
molto speciale in un figlio unico.» Ammiccò e riprese a maneggiare la padella.
«È parte dell’unicità che condivido con lui.»
Finirono di rassettare e Mack lo seguì all’aperto. L’alba stava spuntando tra i
picchi, i colori del primo mattino si manifestavano nel grigio cenere della notte in
fuga. Mack prese il regalo di Sarayu e se lo mise in spalla. Pa gli passò una
piccola picozza che stava appoggiata allo stipite della porta, e si caricò in spalla
uno zaino. Prese una pala con una mano e un bastone da passeggio con l’altra e,
senza dire una parola, si avviò in giardino, verso il frutteto, nella direzione della
sponda destra del lago.
Quando raggiunsero il sentiero vero e proprio, la luce era sufficiente a
consentire di trovare agevolmente la strada. Pa si fermò e puntò il bastone verso
un albero al margine del cammino. Mack vide a malapena che qualcuno l’aveva
segnato con un piccolo arco rosso. Non sapeva cosa significasse e Pa non gli offrì
spiegazioni, ma riprese invece a camminare con passo disteso.
Il regalo di Sarayu era relativamente leggero, date le dimensioni, e Mack poté
usare l’estremità della picozza come bastone da passeggio. Il sentiero li portò
attraverso uno dei torrenti e nel fitto del bosco. Quando mettendo un piede in fallo
si ritrovò con l’acqua fino alle caviglie, Mack fu lieto di constatare che i suoi
scarponi erano impermeabili. Sentì Pa intonare un motivetto, ma non lo
riconobbe.
Durante la marcia, pensò alla miriade di cose che gli erano successe nei due
giorni precedenti. Le conversazioni con i tre, insieme e singolarmente, il tempo
trascorso con Sophia, la devozione di cui si era sentito parte, guardare le stelle
con Gesù, la traversata del lago. E soprattutto la celebrazione della notte appena
trascorsa, e la riconciliazione con suo padre… tanta guarigione con così poche
parole. Era difficile accogliere tutto nel cuore e nella mente.
Mentre ci pensava e rimuginava su ciò che aveva imparato, si rese conto di
avere ancora tantissime domande. Forse avrebbe avuto l’occasione di porne
alcune, ma sentiva che quello non era il momento giusto. Sapeva solo che non
sarebbe mai più stato lo stesso e si domandò cosa avrebbero significato quei
cambiamenti per Nan e per i ragazzi, soprattutto per Kate.
Eppure c’era ancora qualcosa che voleva chiedere, e dopo un po’ non poté più
trattenersi.
«Pa?»
«Sì, figliolo?»
«Sophia mi ha fatto capire molte cose su Missy, ieri. E parlare con Pa… cioè,
parlare con te… mi ha aiutato davvero tanto.» Era confuso, ma Pa si fermò e gli
sorrise, come per esprimergli la sua comprensione, così Mack proseguì: «Trovi
strano che senta il bisogno di parlarne anche con te? Cioè, ai miei occhi sei più
una figura paterna, ora, se capisci cosa intendo».
«Capisco, Mackenzie. Stiamo chiudendo il cerchio. Avevi bisogno di
perdonare tuo padre, ieri, per riconoscermi come il Padre oggi. Non devi
aggiungere altro.» Mack sentiva che erano prossimi alla fine di un lungo viaggio e
che Pa lo stava accompagnando per mano negli ultimi passi.
«Non c’era modo di creare la libertà senza pagare un prezzo, sai.» Pa guardò le
cicatrici indelebilmente incise sui suoi polsi. «Sapevo che la mia Creazione si
sarebbe ribellata, che avrebbe scelto l’indipendenza e la morte, e sapevo che mi
sarebbe costato creare un cammino di riconciliazione. La vostra indipendenza ha
scatenato, come tu stesso ne sei testimone, un mondo di caos spaventoso. Potevo
dunque impedire ciò che è successo a Missy? La risposta è sì.»
Mack lo guardò, i suoi occhi ponevano la domanda che la sua voce non osava
formulare. Pa proseguì: «In primo luogo, se avessi evitato di creare, questi
problemi non si sarebbero posti. Oppure avrei potuto decidere di interferire, nel
suo caso. La prima possibilità non è mai stata presa in considerazione, e la
seconda non era praticabile per motivi che ora non capiresti. A questo punto, la
sola risposta che ti posso offrire sono il mio amore e la mia bontà, e il mio
rapporto con te. Non ho orchestrato io la morte di Missy, ma questo non significa
che non la possa usare per fare del bene».
Mack scosse la testa, triste. «Hai ragione. Non capisco molto bene. A volte
penso di cogliere un barlume di luce, per un attimo, ma poi il dolore e la nostalgia
che ho dentro mi dicono che di certo mi sbaglio. Però mi fido di te…» E,
all’improvviso, si scoprì alle prese con un pensiero nuovo e meraviglioso. «Pa,
io mi fido di te!»
Pa gli sorrise, sereno. «Lo so, figliolo. Lo so.»
Al che si voltò e riprese il cammino. Mack lo seguì, il cuore un po’ più leggero
e meno inquieto. Iniziarono una salita e rallentarono il passo. Di tanto in tanto Pa
si fermava e sfiorava una roccia o un albero lungo il percorso, sempre per
indicare la presenza del piccolo arco rosso. Prima che Mack potesse fare l’ovvia
domanda, Pa si voltava e ripartiva.
Dopo un poco gli alberi si diradarono e Mack intravide campi sterrati dai quali
le slavine avevano sradicato intere aree di bosco. Si fermarono per riposare
qualche minuto, e Mack bevve da una delle borracce che Pa aveva riempito
d’acqua.
Quando ripresero il cammino, la salita si fece più ripida e dovettero rallentare
ancora. Quando uscirono dal fitto del bosco, Mack azzardò che dovevano essere
in viaggio da almeno due ore. Vedeva il sentiero alle pendici del costone che
avevano davanti, ma per raggiungerlo avrebbero dovuto attraversare una distesa
di rocce.
Pa si fermò di nuovo e infilò una mano nello zaino per prendere l’acqua.
«Ci siamo quasi, figliolo» disse, passandogli la borraccia.
«Davvero?» chiese Mack, contemplando il terreno roccioso che avevano
davanti.
«Sì!» disse Pa, e Mack non era sicuro di volergli chiedere quale fosse la loro
destinazione.
Pa posò lo zaino e la pala contro una roccia levigata, e vi si sedette. Sembrava
turbato. «Voglio mostrarti una cosa che, purtroppo, ti farà molto male.»
«Va bene…» Mack sentì lo stomaco sottosopra, mentre poggiava la picozza e si
sedeva, con il dono di Sarayu in grembo. I profumi, nel sole del mattino, davano
ai suoi sensi un profondo senso di bellezza e di pace. «Di che si tratta?»
«Per aiutarti a vedere, voglio togliere un ostacolo che ancora oscura il tuo
cuore.»
Mack capì subito a cosa si riferiva, e con lo sguardo iniziò a scavare un foro
nel terreno.
Pa parlò dolcemente, rassicurandolo. «Figliolo, non lo faccio per umiliarti.
Non mi interessano né l’umiliazione, né la colpa, né la condanna. Non producono
nulla di buono, ed è per questo che furono conficcate in Gesù, sulla croce.»
Attese, consentendo a quel pensiero di alleviare parte della vergogna che Mack
provava, prima di continuare. «Oggi percorriamo un sentiero di guarigione per
completare questa fase del tuo viaggio, non solo per te, ma anche per altri. Oggi
lanceremo un grosso sasso nel lago e le onde concentriche raggiungeranno luoghi
inaspettati. Sai già cosa voglio, vero?»
«Temo di sì» mormorò Mack, sentendo le emozioni pervaderlo come se fossero
scappate da una stanza chiusa a chiave in fondo al suo cuore.
«Figliolo, devi dirlo, devo sentirtelo chiamare per nome.»
Non riuscì più a trattenersi, e mentre le lacrime gli rigavano il volto, tra un
singhiozzo e l’altro iniziò a confessarsi. «Pa» piagnucolò, «come posso perdonare
il mostro che ha ucciso la mia Missy? Se fosse qui davanti a me, ora, non so cosa
farei. So che non è giusto, ma voglio che soffra come ha fatto soffrire me… se non
posso avere giustizia, voglio almeno vendetta.»
Pa lasciò che quel torrente di rancore uscisse e attese che l’ondata si placasse.
«Mack, se perdonerai quest’uomo lo libererai, e mi permetterai di redimerlo.»
«Redimerlo?» Mack fu avvinto dalle fiamme della rabbia e del dolore. «Non
voglio redimerlo! Voglio fargli male, punirlo, relegarlo all’inferno…» Non fu in
grado di completare la frase.
Pa attese che le emozioni si calmassero.
«Sono bloccato, Pa. Non posso dimenticare quello che ha fatto, lo capisci?»
implorò Mack.
«Il perdono non ha a che vedere con il dimenticare. Significa piuttosto smettere
di stringere alla gola di un’altra persona.»
«Ma io credevo che tu dimenticassi i nostri peccati!»
«Mack, io sono Dio. Non dimentico niente. So tutto. Dimenticare, per me,
significherebbe limitarmi. Figliolo» disse Pa, poi tacque, così Mack dovette
alzare la testa e fissare quei suoi profondi occhi castani. «Grazie a Gesù, non
esiste più la Legge che richiede che io ti ricordi i tuoi peccati. Tra noi, essi non
contano, e non interferiscono nella nostra relazione.»
«Ma quest’uomo…»
«Anche lui è mio figlio. Voglio redimerlo.»
«E poi? Io lo perdono, le cose si aggiustano, e diventiamo amici?» chiese
Mack, a bassa voce, ma in tono sarcastico.
«Tu non hai alcun rapporto con lui, almeno non ancora. Il perdono non crea una
relazione. In Gesù, io ho perdonato tutti gli uomini per i loro peccati contro di me,
ma solo alcuni di loro scelgono di rapportarsi a me. Mackenzie, non capisci che il
perdono è una forza incredibile… un potere che condividi con noi, che Gesù
concede a tutti coloro in cui lui vive, per consentire la crescita della
riconciliazione? Quando Gesù ha perdonato gli uomini che lo hanno inchiodato
alla croce, essi non sono più stati in debito con lui, né con me. Nel mio rapporto
con quegli uomini, io non ricorderò mai loro ciò che hanno fatto, non li farò
vergognare, non li farò sentire in colpa.»
«Non credo di esserne capace» disse Mack, in un sospiro.
«Io voglio che tu ci riesca. Il perdono è prima per te, che lo amministri»
rispose Pa, «per liberarti da qualcosa che potrebbe divorarti dall’interno; può
distruggere la tua gioia e la tua capacità di amare pienamente e
incondizionatamente. Credi che a quest’uomo importi del dolore e del tormento
che hai sopportato? Forse quella consapevolezza gli fa addirittura piacere. Non
vuoi che tutto questo finisca? Perdonandolo, lo libererai da un fardello che forse
nemmeno sa di portare. Quando decidi di perdonare qualcuno, lo stai amando nel
modo giusto.»
«Ma io non lo amo.»
«Non ora, no. Ma io sì, Mack, non per ciò che è diventato, ma per il bambino
ferito che è stato reso mostruoso dal dolore. Voglio che tu abbracci la parte di te
che trova più forza nell’amore e nel perdono che nell’odio.»
«Quindi vuoi dire» disse Mack, nuovamente seccato dalla piega che aveva
preso il discorso, «che se io perdono quest’uomo, potrei lasciarlo giocare con
Kate, o con la mia prima nipotina?»
«Mackenzie» disse Pa, con risolutezza. «Ti ho già spiegato che il perdono non
crea un rapporto. A meno che le persone non dicano la verità su ciò che hanno
fatto e cambino il loro modo di pensare e i loro comportamenti, non può stabilirsi
un rapporto di fiducia. Quando perdoni qualcuno lo liberi dal giudizio, ma senza
un vero cambiamento un vero rapporto non è possibile.»
«Quindi il perdono non mi impone di fingere che non sia successo niente?»
«Come potresti? Ieri hai perdonato tuo padre. Dimenticherai mai cosa ti ha
fatto?»
«Non credo.»
«Ma ora puoi amarlo, nonostante tutto. Il suo cambiamento te lo consente. Il
perdono non ti impone di fidarti della persona che perdoni. Ma se alla fine
confessa e si pente, scoprirai nel tuo cuore un miracolo che ti consente di iniziare
a costruire tra voi un ponte di riconciliazione. E a volte – anche se ora questo può
sembrarti inconcepibile – quel ponte può addirittura ripristinare completamente la
tua fiducia in quella persona.»
Mack si lasciò scivolare a terra e appoggiò la schiena alla roccia sulla quale
era stato seduto. Guardò per terra. «Pa, credo di capire quello che vuoi
comunicarmi, ma mi sembra che se lo perdono lui sarà libero dalla sua colpa.
Come posso scusare ciò che ha fatto? Se non continuo a odiarlo, ho la sensazione
di fare un torto a Missy.»
«Mackenzie, il perdono non giustifica nulla. Credimi, quest’uomo è tutt’altro
che libero. Tu non hai il dovere di fare giustizia, in questa vicenda. Di questo mi
occuperò io. Quanto a Missy, lei lo ha già perdonato.»
«Davvero?» Mack non alzò nemmeno lo sguardo. «Come può averlo fatto?»
«Per via della mia presenza in lei. Solo così il perdono è possibile.»
Mack sentì che Pa si sedeva per terra, accanto a lui, ma continuò a tenere gli
occhi bassi. Le braccia di Pa lo strinsero, e lui cominciò a piangere. «Sfogati»
sussurrò Pa, e lui non se lo fece ripetere. Chiuse gli occhi, senza cercare di
trattenere le lacrime. I ricordi di Missy gli invasero la mente; libri da colorare,
pastelli, un abitino rosso strappato. Pianse finché non sentì di aver sciolto tutta
l’oscurità, tutta la nostalgia e il senso di perdita, finché non restò più niente.
Con gli occhi chiusi, dondolando avanti e indietro, supplicava: «Aiutami, Pa.
Aiutami! Cosa devo fare? Come faccio a perdonarlo?».
«Diglielo.»
Mack alzò lo sguardo, quasi aspettandosi di trovarsi davanti un uomo che non
aveva mai visto, ma non c’era nessuno.
«Come, Pa?»
«Dillo ad alta voce. C’è grande potere, nelle dichiarazioni dei miei figli.»
Mack iniziò a bisbigliare, dapprima meccanicamente, poi con sempre maggiore
convinzione. «Ti perdono. Ti perdono. Ti perdono.»
Pa lo strinse a sé. «Mackenzie, sei una tale gioia.»
Quando Mack riuscì a ricomporsi, Pa gli allungò una pezza umida perché si
rinfrescasse il viso. Poi si alzò, su gambe malferme.
«Caspita!» disse, la voce rotta, cercando inutilmente parole per descrivere il
viaggio emotivo appena compiuto. Si sentiva vivo. Restituì a Pa la pezza e chiese:
«Allora non è sbagliato, che io ce l’abbia ancora con lui?».
Pa rispose subito: «Ma certo! Ciò che ha fatto è terribile. Ha procurato
immenso dolore a molti. Ha sbagliato, e la rabbia è la reazione giusta a un torto
così terribile. Ma non lasciare che rabbia, dolore e senso di perdita ti
impediscano di perdonarlo e di togliere le mani dal suo collo».
Poi sollevò lo zaino e se lo rimise in spalla. «Figliolo, forse dovrai dichiarare
il tuo perdono cento volte il primo giorno, e il secondo, ma al terzo saranno già
meno, e con il tempo ti renderai conto di aver pian piano perdonato
completamente. E un giorno ti scoprirai a pregare per il suo benessere e ad
affidarlo a me, perché il mio amore bruci in lui ogni vestigia di corruzione. Per
quanto in questo momento ti sembri incomprensibile, forse un giorno conoscerai
quest’uomo sotto una luce del tutto nuova.»
Mack fece una smorfia, ma per quanto le parole di Pa gli facessero contrarre lo
stomaco, nel suo cuore sapeva che rispondevano al vero. Si alzarono insieme, e
Mack si avviò verso il sentiero, per tornare da dove erano venuti.
«Non abbiamo ancora finito» disse Pa.
Mack si fermò e lo guardò. «Davvero? Pensavo che tu mi avessi condotto fin
qui per questo.»
«Sì, è così, ma ti ho detto che dovevo mostrarti qualcosa, qualcosa che mi
avevi chiesto di fare. Siamo qui per portare Missy a casa.»
Improvvisamente tutto fu chiaro. Guardò il dono di Sarayu e comprese cos’era.
L’assassino aveva nascosto il cadavere di Missy da qualche parte in quella
desolazione, e loro erano venuti a prenderlo.
«Grazie» fu tutto ciò che riuscì a dire a Pa, mentre gli occhi gli si riempivano
nuovamente di lacrime. «Odio fare così… piangere, biascicare come un idiota,
tutte queste lacrime…» si lamentò.
«Oh, piccolo» disse Pa, teneramente. «Non sminuire mai la meraviglia delle
tue lacrime. Sono acque guaritrici e sorgente di gioia. A volte sono le parole
migliori che il cuore possa pronunciare.»
Mack fece un passo indietro e lo guardò negli occhi. Non aveva mai fissato
tanta pura bontà d’animo, tanto amore, speranza e gioia vitale. «Ma tu hai
promesso che un giorno non ci saranno più lacrime, giusto? Non sai come aspetto
quel momento.»
Pa sorrise, gli sfiorò il viso con il dorso delle dita e gli asciugò le gote dal
pianto. «Mackenzie, questo mondo è pieno di lacrime, ma se ricordi bene ho
promesso che sarei stato io ad asciugartele.»
Mack riuscì ad abbozzare un sorriso, mentre la sua anima continuava a
sciogliersi e a guarire nell’amore del Padre.
«Tieni» disse Pa, allungandogli una borraccia. «Manda giù un bel sorso. Non
voglio che tu avvizzisca come una prugna, con tutte queste emozioni.»
Mack non riuscì a trattenere una risata, che dapprima gli sembrò assolutamente
fuori luogo, ma che poi, ripensandoci, trovò perfetta per quel momento. Era una
risata di speranza e gioia restituita… di compimento.
Pa gli fece strada. Prima di lasciare il sentiero principale e addentrarsi tra le
rocce, ne sfiorò una molto grande con il bastone da passeggio. Fece cenno a Mack
di fare più attenzione. C’era il solito arco rosso. In quel momento Mack capì che
la rotta che stavano seguendo era stata segnata dall’uomo che aveva rapito sua
figlia. Mentre camminavano, Pa gli spiegò che i corpi non erano mai stati trovati
perché quell’uomo cercava i luoghi in cui nasconderli a volte anche mesi prima di
rapire le bambine.
A metà del terreno roccioso, Pa lasciò il sentiero e si inerpicò tra i massi, dopo
aver indicato il segnale su una vicina parete levigata. Mack si rese conto che a
meno di sapere cosa si stava cercando, i segnali sarebbero passati inosservati.
Dieci minuti più tardi, Pa si fermò davanti al punto dove due grandi rocce si
incontravano. Alla base c’era un mucchietto di pietre, uno dei quali era segnato
con il marchio inconfondibile dell’assassino.
«Aiutami» disse a Mack, mentre cominciava a togliere le più grosse. «Qui
dietro c’è l’ingresso di una caverna.»
Rimosse le pietre più superficiali, con pala e picozza attaccarono la terra
indurita e la ghiaia che bloccavano l’accesso. Improvvisamente, la parete cedette
e un pertugio si aprì verso l’interno; doveva essere la tana di un animale in
letargo. Ne uscì l’odore stantio della decomposizione e Mack ebbe un conato di
vomito. Pa infilò una mano in un’estremità dell’involto che Sarayu aveva dato a
Mack e ne estrasse un pezzo di tessuto abbastanza grande. Lo annodò attorno al
naso e alla bocca di Mack e quel profumo dolce attutì il lezzo della grotta.
Lo spazio bastava appena per entrare strisciando. Dopo aver tirato fuori dallo
zaino una potente torcia, Pa si intrufolò nel pertugio per primo, seguito da Mack,
che aveva ancora in mano il dono di Sarayu.
Ci vollero solo pochi minuti per trovare ciò che loro malgrado cercavano. Su
uno sperone di roccia, Mack vide il corpo di quella che doveva essere Missy; a
faccia in su, coperto da un sudicio telo consunto. Come un vecchio guanto senza
una mano a dargli forma, seppe subito che la vera Missy non era lì.
Pa svolse ciò che Sarayu aveva affidato loro, e subito la tana si riempì di
profumi vivi e allegri. Anche se il telo che avvolgeva Missy era fragile, fu
sufficiente per consentire a Mack di sollevare il corpo e depositarlo tra i fiori e le
spezie. Pa allora lo avvolse teneramente e lo portò con sé all’imboccatura. Mack
uscì per primo, poi Pa gli passò quel piccolo, prezioso fardello. Si alzò, mentre
Pa strisciava fuori e riprendeva lo zaino in spalla. Non si erano scambiati
nemmeno una parola, tranne nei momenti in cui Mack aveva sentito il bisogno di
sussurrare: «Ti perdono… Ti perdono…».
Prima di andare via, Pa prese la pietra con l’arco rosso e la sistemò vicino
all’ingresso. Mack lo notò ma non si domandò il motivo, preso com’era dai
propri pensieri e dal fatto di poter stringere teneramente al petto il corpo della
figlia.
17
Anche se doveva portare il peso del corpo di Missy fino al rifugio, il tempo passò
in un lampo. Quando finalmente arrivarono, Gesù e Sarayu li aspettavano sulla
porta sul retro. Gesù gli tolse delicatamente dalle braccia quel fardello, e insieme
andarono nella rimessa. Mack non era mai entrato in quel locale, dal suo arrivo, e
fu sorpreso dalla sua semplicità. La luce che filtrava dalle grandi finestre
imprigionava la segatura sospesa nell’aria. Le pareti e i tavoli da lavoro, affollati
di ogni genere di utensili, erano ordinati, per facilitare le attività. Si trattava
chiaramente del laboratorio di un artigiano sapiente.
Il suo lavoro era davanti ai loro occhi, un oggetto meraviglioso che avrebbe
accolto i resti di Missy. Girando intorno al contenitore, Mack riconobbe subito le
incisioni che lo ricoprivano. Erano scene della vita della sua bambina. C’era lei
con il gatto Judas e Mack seduto in poltrona che le leggeva una favola del Dr.
Seuss. In qualche miniatura compariva tutta la famiglia: Nan e Missy che facevano
i biscotti, il viaggio al lago Wallowa con la funicolare che saliva sulla montagna,
perfino Missy che colorava al campeggio, con tanto di dettaglio della coccinella
lasciata dall’assassino. C’era perfino Missy che sorrideva guardando la cascata,
consapevole del fatto che suo padre si trovava dall’altro lato del muro d’acqua.
Tra una scena e l’altra, i suoi fiori e animali preferiti.
Mack si voltò per abbracciare Gesù, che gli sussurrò all’orecchio: «Missy mi
ha aiutato. Ha scelto lei le immagini che voleva che incidessi».
Mack lo strinse ancora di più. Non riuscì a lasciarlo andare per parecchi
istanti.
«Abbiamo trovato il posto ideale per accogliere il suo corpo» disse Sarayu,
avvicinandosi. «Mackenzie, è nel nostro giardino.»
Con grande cura deposero le spoglie di Missy nella cassa, posandola su un
letto di morbida erba e muschio, poi la riempirono con i fiori e le spezie
dell’involto di Sarayu. Gesù e Mack chiusero il coperchio, sollevarono
un’estremità ciascuno e uscirono, seguendo Sarayu verso il giardino, fino al punto
del frutteto che Mack aveva aiutato a sgomberare. Lì, tra peschi e ciliegi,
circondata da orchidee e belle di giorno, c’era una buca, scavata proprio dove il
giorno prima Mack aveva strappato le radici dell’arbusto. Pa li aspettava.
Quando la cassa così decorata fu deposta nel terreno, abbracciò forte Mack, che
ricambiò.
Sarayu si avvicinò. «Sono onorata» disse con una riverenza e un inchino, «di
intonare la canzone di Missy, che lei ha scritto apposta per quest’occasione.»
Cominciò a cantare, con una voce simile al vento d’autunno; un suono di foglie
dorate e foreste che si addormentavano lentamente, i toni della notte che si
avvicina e la promessa delle albe di nuovi giorni. Era la melodia indimenticabile
che Mack le aveva già sentito intonare, e in cui ora poteva ascoltare le parole di
sua figlia:
Respira in me… profondamente
Ché io possa vivere e respirare
E tienimi stretta per farmi addormentare
Nel tuo abbraccio serenamente
Quando Sarayu terminò il canto, restarono tutti in silenzio; poi, tutti e tre,
all’unisono dissero: «Amen». Mack fece loro eco, prese una delle pale e con
l’aiuto di Gesù iniziò a riempire la buca, coprendo la piccola bara nella quale
riposava il corpo di Missy.
Quando ebbero finito, Sarayu tirò fuori dalla veste una piccola bottiglia
dall’aria fragile. Ne trasse alcune gocce della sua preziosa collezione e iniziò a
spargere un po’ di lacrime di Mack sul terreno scuro sotto il quale riposavano le
spoglie di Missy. Le gocce caddero come diamanti e rubini, e dovunque si
posavano spuntavano immediatamente fiori colorati, che salivano verso
l’abbraccio del sole. Allora Sarayu si fermò un momento, guardò con attenzione
una delle perle che teneva in mano, una lacrima speciale, e poi la fece cadere al
centro del terreno. Subito ne spuntò un alberello, che cominciò a crescere,
giovane, lussureggiante e magnifico, e maturò fino a sbocciare e fiorire. Allora
Sarayu, come un sospiro di brezza, si voltò e sorrise a Mack, che aveva osservato
la scena, trasfigurato. «È un albero della vita, che cresce nel giardino del tuo
cuore.»
Pa gli si avvicinò e gli mise un braccio sulle spalle. «Missy è speciale, questo
lo sai. Ti ama davvero.»
«Mi manca da morire. Fa ancora così male…»
«Lo so, Mackenzie. Lo so.»
Era poco prima di mezzogiorno, a giudicare dalla posizione del sole, quando i
quattro lasciarono il giardino e fecero ritorno al rifugio. Non c’era niente di
pronto in cucina, né cibo in tavola. Pa li condusse tutti in soggiorno; su un basso
tavolino c’erano un bicchiere di vino e un filone di pane fresco. Sedettero tutti,
eccetto Pa, che, in piedi, si rivolse a Mack.
«Mackenzie» iniziò, «vogliamo che tu rifletta su una cosa. Qui con noi sei
guarito da molte ferite, e hai imparato molto.»
«Direi che è un eufemismo» ridacchiò Mack.
Pa sorrise. «Ci sei particolarmente caro, e lo sai. Ma ora devi fare una scelta.
Puoi rimanere con noi e continuare a crescere e imparare, oppure puoi tornare
alla tua altra casa, da Nan e dai tuoi figli e amici. In ogni caso, noi promettiamo di
esserti sempre vicini, anche se qui sarebbe tutto più diretto e facile.»
Mack si appoggiò allo schienale e rifletté. «E Missy?» chiese.
«Be’, se decidi di restare» proseguì Pa, «la vedrai oggi pomeriggio. Verrà
anche lei. Ma se sceglierai di andartene, allora significherà anche lasciarti Missy
alle spalle.»
«Non è una decisione facile» sospirò Mack. La stanza rimase in silenzio per
diversi minuti, mentre Pa gli concedeva il tempo per soppesare i suoi pensieri e
desideri. Alla fine Mack chiese: «Cosa preferirebbe Missy?».
«Anche se le farebbe piacere stare con te, lei vive dove non esiste impazienza.
Non le dispiace aspettare.»
«Vorrei stare con lei.» Sorrise a quel pensiero. «Ma farei del male a Nan e agli
altri miei figli. Voglio chiedervi una cosa. Quello che faccio a casa, nel mio
mondo, è importante? È significativo? Non faccio molto, a parte lavorare e
occuparmi della mia famiglia e dei miei amici…»
Sarayu lo interruppe. «Mack, se qualcosa è importante, allora tutto è
importante. Poiché tu sei importante, tutte le tue azioni lo sono di conseguenza.
Ogni volta che tu perdoni, l’universo cambia; ogni volta che ti apri e tocchi un
cuore o una vita, il mondo cambia; con ogni gentilezza, ogni servizio che rendi,
visibile o invisibile, i miei scopi si compiono e niente è mai più come prima.»
«Va bene» disse Mack, risoluto. «Allora voglio andare a casa. Non credo che
qualcuno crederà mai alla mia storia, ma, tornando, so che posso cambiare
qualcosa, anche se forse solo di poco. Ci sono delle cose che ho bisogno… o, che
voglio fare.» Si fermò e li guardò tutti e tre, uno alla volta, poi sorrise. «Lo
sapete…»
Tutti risero.
«E credo davvero che non mi lascerete mai, che non mi abbandonerete, per cui
non ho paura di tornare. Be’… forse solo un po’.»
«Questa» disse Pa, «è un’ottima scelta.» Gli sorrise fiero, sedendosi accanto a
lui.
Poi fu Sarayu ad alzarsi, ad avvicinarsi a Mack e a parlargli. «Mackenzie, ora
che stai per andare via, voglio che accetti un ultimo dono.»
«Di che si tratta?» chiese Mack, curioso.
«È una cosa per Kate» rispose lei.
«Kate?» esclamò Mack, rendendosi conto che sua figlia era ancora nella morsa
dei pesi che gli gravavano sul cuore. «Ti prego, spiegati.»
«Kate crede di essere responsabile della morte di Missy.»
Mack restò ammutolito. Le parole di Sarayu erano così ovvie. Che Kate si
attribuisse la colpa aveva perfettamente senso. Aveva alzato la pagaia scatenando
gli eventi che avevano portato al rapimento. Non riusciva a credere di non averci
mai pensato prima. In un istante, le parole di Sarayu gli svelarono nuovi risvolti
del dolore di Kate.
«Grazie, davvero!» le disse, il cuore colmo di gratitudine. Ora era certo di
dover tornare, fosse stato anche solo per Kate. Lei annuì, sorrise e si sedette, o
almeno così sembrava. Fu la volta di Gesù, che da uno degli scaffali prese la
scatoletta di latta di Mack. «Ho pensato che volessi questa…»
Mack prese la scatola dalle sue mani e la guardò per un momento. «A dire il
vero non credo che mi servirà più» disse. «Puoi tenerla al posto mio? Tanto ora i
miei tesori più preziosi sono nascosti dentro di te. Voglio che la mia vita sia tu.»
«Lo sono» gli rispose Gesù, con voce rassicurante.
* Gesù mi sfiorò le spalle e disse: «Bob perché mi rifiuti?». / Io dissi: «Non ti sto rifiutando». / E lui: «Allora mi
seguirai?». / Gli dissi: «Non ci ho mai pensato prima!». / E lui: «Se non mi stai seguendo, mi stai rifiutando».
18
Onde concentriche
Alla fine, come da molto lontano, sentì una voce familiare esclamare, eccitata:
«Mi ha stretto il dito! Davvero! L’ho sentito!».
Non riusciva nemmeno a socchiudere gli occhi, ma sapeva che Josh gli stava
tenendo la mano. Cercò di stringere ancora, ma l’oscurità lo avvolse e perse i
sensi. Ci mise un giorno intero a riprendere conoscenza. Non riusciva a muovere
un solo muscolo. Anche lo sforzo di sollevare una palpebra era sovrumano,
benché ricompensato sempre dalla gioia di chi aveva accanto. Una dopo l’altra,
una processione di persone si chinarono a guardare il suo unico occhio aperto,
come se stessero sbirciando un pertugio su un incredibile tesoro. Qualunque cosa
vi vedessero sembrava compiacerli infinitamente, tanto che correvano subito a
dirlo a qualcun altro.
Alcuni dei volti li riconosceva; dopo un po’ capì che quelli a lui ignoti
appartenevano a medici e infermieri. Dormiva spesso, ma sembrava che gli
bastasse aprire un occhio per provocare emozione negli astanti. Non vedo l’ora di
riuscire a tirare fuori la lingua, pensò. Li lascerò tutti di stucco.
Aveva la sensazione che gli facesse male dappertutto. Si rendeva conto di ogni
volta che un’infermiera muoveva il suo corpo contro la sua volontà, per la terapia
e per impedire la formazione di piaghe da decubito. A quanto pareva era la prassi
per chiunque avesse perso conoscenza da più di un giorno, ma saperlo non
rendeva la pratica meno dolorosa.
All’inizio non capiva dove si trovasse, o come ci fosse finito. A malapena
ricordava chi fosse. I sedativi non gli erano di nessun aiuto, anche se era grato per
la morfina, che rendeva sopportabile il dolore. Nel giro di un paio di giorni la
mente gli si schiarì e iniziò a tornargli la voce. Un flusso costante di amici e
parenti venne ad augurargli una pronta guarigione o a chiedergli qualche
spiegazione, ma lui restava abbottonato. Josh e Kate andavano spesso a trovarlo;
a volte facevano i compiti mentre Mack sonnecchiava, o rispondevano alle sue
domande, che nei primi giorni aveva posto più volte.
A un certo punto comprese, benché glielo avessero detto e ripetuto, che era
rimasto privo di sensi per quasi quattro giorni dopo un grave incidente a Joseph.
Nan gli aveva fatto capire che si aspettava una spiegazione, ma per il momento
era più interessata alla sua salute che alle proprie domande. Non che facesse
molta differenza. La sua memoria era avvolta da una fitta nebbia e i frammenti che
ricordava non avevano alcun senso.
Ricordava vagamente di aver guidato fino al rifugio, ma dal momento del suo
arrivo era tutto molto offuscato. Nei suoi sogni, le immagini di Pa, Gesù, Missy
che giocava al lago, Sophia nella caverna e le luci e i colori della festa nella
radura tornavano come schegge di uno specchio rotto. Ciascun ricordo era
accompagnato da ondate di piacere e gioia, ma non avrebbe saputo dire se fossero
veri ricordi o allucinazioni dovute alla combinazione tra i suoi neuroni vagabondi
e le sostanze iniettate nel suo organismo dai medici.
Il pomeriggio del terzo giorno si svegliò e vide Willie ai piedi del letto, con
l’aria corrucciata.
«Razza di idiota!» lo rimbrottò.
«Anche a me fa tanto piacere vederti, Willie» sbadigliò Mack.
«Ma chi ti ha insegnato a guidare?» proseguì l’altro. «Ah, sì, ora ricordo: sei
un ragazzo di campagna che non ha mai visto un incrocio. Mack, da quello che mi
hanno detto avresti dovuto sentire il fiato di quel tizio a un chilometro di
distanza.» Mack se ne stava lì ad ascoltare lo sfogo del suo amico, cercando di
capire ogni parola, ma non ci riusciva. «E per di più» continuò Willie, «ora Nan è
arrabbiata con me e non mi parla. Dice che è colpa mia, perché ti ho prestato la
jeep per andare al rifugio.»
«Ma perché ci sono andato, al rifugio?» chiese Mack, cercando di raccogliere
le idee. «Non mi ricordo niente.»
Willie sospirò, rassegnato. «Devi dirle che ho tentato di dissuaderti.»
«Davvero?»
«Non fare il furbo con me, Mack. Ho provato a trattenerti…»
Mack sorrise e ascoltò il sermone di Willie. Ricordava ben poco, ma sapeva
per certo che quell’uomo teneva a lui, e il solo fatto di averlo vicino lo faceva
sorridere. Sussultò, quando si rese conto che Willie si era chinato su di lui e
aveva il viso vicinissimo al suo.
«Allora, lui c’era?» bisbigliò, guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno
li ascoltasse.
«Chi?» sussurrò Mack. «E perché stiamo bisbigliando?»
«Ma sì… Dio» insistette Willie. «Era al rifugio o no?»
Mack era divertito. «Willie» disse. «Non è un segreto: Dio è dappertutto.
Insomma, sono andato al rifugio.»
«Questo lo so, testa vuota» lo rimbeccò. «Non ti ricordi proprio niente? Cioè,
non ti ricordi neanche del biglietto ? Sai, quello firmato “Pa” che hai trovato
nella cassetta della posta, il giorno che sei scivolato sul ghiaccio e hai battuto la
testa.»
In quel momento nella mente di Mack i pezzi del mosaico cominciarono a
ricomporsi. Tutto aveva nuovamente un senso: il biglietto, la jeep, la pistola, il
viaggio al rifugio, ogni istante di quell’incredibile fine settimana. Le immagini e i
ricordi lo pervasero con tanta forza e impeto che temette che lo avrebbero
sollevato dal letto e portato via. Mentre le immagini tornavano a essere più nitide
nella sua mente, cominciò a emozionarsi, finché le lacrime non sgorgarono libere.
«Mack, perdonami.» Willie era scosso. «Che ho detto di male?»
Mack alzò un braccio e gli sfiorò il volto. «Niente, Willie… Ora ricordo tutto.
Il biglietto, il rifugio, Missy, Pa. Ricordo tutto.»
Willie rimase immobile, incerto su cosa dire o fare. Temeva di aver spinto il
suo amico nel baratro della follia, a giudicare da come parlava del rifugio, di Pa
e di Missy. Alla fine gli chiese: «Mi stai dicendo che l’hai incontrato? Cioè, Dio
in persona?».
Mack rideva e piangeva. «Willie, c’era! Oh, altroché se c’era! Aspetta che ti
racconti tutto. Non ci crederai mai. Amico mio, non sono sicuro di crederci io
stesso.» Poi si fermò, perso per un istante nei ricordi. «Oh, sì» disse infine. «Mi
ha chiesto di dirti una cosa.»
«Come? A me?» Mack vide dubbi e preoccupazioni alternarsi sul volto di
Willie. «Insomma, che ti ha detto?»
Mack cercò le parole giuste. «Ha detto: Di’ a William che mi è
particolarmente caro.»
Mack vide l’amico contrarre la mascella e i suoi occhi riempirsi di lacrime.
Gli tremava il labbro superiore, e Mack capì che stava cercando di non perdere il
controllo. «Devo andare» disse con voce rotta. «Ma dopo dobbiamo parlarne
ancora.» A queste parole si accomiatò, lasciando Mack a interrogarsi e a
ricordare.
Quando Nan arrivò, lo trovò seduto sul letto che sorrideva da un orecchio
all’altro. Non sapeva da dove cominciare, così lasciò che fosse lei a parlare per
prima. Nan gli spiegò alcuni dettagli sui quali era ancora confuso; fu lieto di
accorgersi che finalmente le informazioni non gli sfuggivano di mente. Era stato
quasi ucciso da un guidatore ubriaco ed era stato operato d’urgenza a causa delle
fratture e delle emorragie interne provocate dall’urto. Per un po’ avevano temuto
che potesse cadere in coma, ma il suo risveglio aveva restituito a tutti
l’ottimismo.
Mentre lei parlava, Mack si rese conto di quanto fosse stato strano subire un
incidente subito dopo un fine settimana trascorso con Dio. L’apparente caos della
vita, non era forse così che l’aveva definito Pa?
Poi sentì Nan dire che l’incidente era avvenuto venerdì notte. «Vuoi dire
domenica, vero?» chiese lui.
«Domenica? Credi che non mi ricordi che giorno era? Ti hanno portato qui in
elicottero nella notte di venerdì.»
Tutto gli apparve di nuovo confuso e, per un attimo, dubitò che gli eventi del
rifugio fossero avvenuti realmente. D’altra parte, si rassicurò, poteva essere uno
dei fenomeni di alterazione temporale di Sarayu.
Quando Nan finì di raccontare la sua versione dei fatti, Mack cominciò a
riferirle tutto ciò che gli era successo. Per prima cosa, però, le chiese perdono,
spiegandole quando e perché le aveva mentito. Nan ne fu molto sorpresa, e
attribuì quel bisogno di trasparenza al trauma e alla morfina.
La narrazione completa del suo fine settimana, o della sua giornata, come Nan
insisteva a puntualizzare, si svolse lentamente, a più riprese. A volte i sedativi
avevano la meglio e Mack cadeva in un sonno senza sogni, anche a metà di una
frase. All’inizio Nan cercò di essere paziente e attenta, di sospendere il giudizio,
benché fosse sicura che quel delirio fosse solo un effetto collaterale del danno
neurologico. Ma il realismo e la profondità dei ricordi di lui la commossero,
minando progressivamente la sua capacità di rimanere obiettiva. C’era vita in ciò
che le stava raccontando, tanta da farle capire che qualunque cosa fosse successa,
l’esperienza aveva cambiato profondamente suo marito.
Il suo scetticismo pian piano si dissolse e, infine, acconsentì a trovare il modo
di far restare Kate sola con Mack, che non voleva dirle perché ne avesse bisogno.
Questo la innervosiva, ma era anche disposta a fidarsi di lui, per cui mandò Josh
a fare una commissione, e rimasero solo loro tre.
Mack allungò una mano e Kate la prese. «Kate» esordì, la voce ancora debole
e rasposa, «voglio che tu sappia che ti amo con tutto il cuore.»
«Anch’io, papà.» Vederlo in quelle condizioni doveva averla ammorbidita un
poco.
Lui le sorrise e poi si fece serio, ma senza lasciarle la mano.
«Voglio parlarti di Missy.»
Kate ebbe un sussulto, come se l’avesse punta un calabrone, e si scurì in volto.
Istintivamente cercò di ritrarre la mano, ma suo padre non la lasciò andare, cosa
non facile, date le sue condizioni. Kate si guardò attorno. Nan si avvicinò e le
mise un braccio intorno alle spalle. Sua figlia stava tremando. «Perché?» chiese,
in un soffio.
«Kate, non è stata colpa tua.»
Lei rimase immobile, quasi come se le avessero rinfacciato una cosa che
riteneva segreta. «Colpa mia?»
Ancora una volta, dirlo non fu facile, ma lei capì perfettamente. «La perdita di
Missy.» Il volto di lui si bagnò di lacrime, mentre combatteva con quelle quattro
parole. Lei indietreggiò ancora, voltandogli le spalle.
«Tesoro, nessuno ti crede responsabile per quello che è successo.»
Il silenzio durò solo pochi istanti, prima che la diga cedesse. «Ma se non fossi
stata maldestra sulla canoa, non avresti dovuto…» La sua voce era piena di
disprezzo per se stessa.
Mack la interruppe posandole una mano sul braccio. «È proprio questo che sto
cercando di dirti, tesoro. Non è colpa tua.»
Kate singhiozzò come se le parole del padre le avessero penetrato il cuore
lacerato. «Ma ho sempre pensato che fosse colpa mia. E credevo che tu e mamma
ce l’aveste con me e non volevo…»
«Nessuno di noi voleva che succedesse, Kate. È successo e basta, e
impareremo a conviverci. Ma impareremo insieme, okay?»
Kate non sapeva come reagire. Sconvolta e in lacrime, si divincolò dalla stretta
del padre e uscì dalla stanza. Nan, con il volto bagnato dal pianto, guardò Mack,
grata, e andò subito a cercare la figlia.
Quando Mack si risvegliò, Kate gli dormiva accanto sul letto, rannicchiata, al
sicuro. Nan doveva essere riuscita a farle metabolizzare quel che era successo.
Quando Nan si accorse che aveva aperto gli occhi, si avvicinò in silenzio, per non
svegliare la piccola, e lo baciò. «Io ti credo» sussurrò. Mack annuì e sorrise,
sorpreso di quanto per lui fosse importante sentire quelle parole. Probabilmente
erano le medicine a farlo sentire così emotivo.
Be’, eccola qui… almeno, la versione che è stata raccontata a me. Sono sicuro
che in molti si domanderanno se le cose siano andate davvero come Mack le
ricorda, o se l’incidente e la morfina l’abbiano fatto vaneggiare. Quanto a lui,
continua a vivere un’esistenza normale, e ad assicurarmi che ogni parola di questa
storia è vera. I cambiamenti nella sua vita, dice, sono l’unica prova definitiva. La
Grande Tristezza non c’è più e ogni giorno gli regala un profondo senso di gioia.
Il problema che mi pongo mentre scrivo queste parole è: come posso
concludere una storia simile? Forse il modo migliore è raccontarvi in che modo
abbia colpito me. Come ho detto nella premessa, la storia di Mack mi ha
cambiato. Non credo che esista un solo aspetto della mia vita, in particolare dei
miei rapporti con gli altri, che non sia stato toccato profondamente, e alterato in
maniera significativa. Credo dunque che sia vera? Io voglio che lo sia. Forse se in
parte non fosse vera, lo sarebbe comunque… se capite cosa intendo. Credo che
dovreste discuterne con Sarayu.
E Mack? Be’, è un essere umano che prosegue nel suo cammino di
trasformazione, come tutti noi. Solo che lui lo accoglie, mentre io tendo a
resistervi. Ho notato che ama più di molti, che perdona rapidamente e che è
ancora più pronto a chiedere scusa. Le trasformazioni che ha subito hanno
provocato non pochi cambiamenti nella sua rete di rapporti, e non sono stati tutti
facili. Ma devo dirvi che non ho mai incontrato un uomo fatto e finito che ami la
vita con tanta gioia e semplicità. È riuscito a tornare bambino. O forse è più
giusto dire che è diventato il bambino che non è mai potuto essere prima: ora è
capace di pura fiducia, di meraviglia. Abbraccia perfino i momenti più oscuri
della vita, considerandoli come parte di una trama di infinita ricchezza e
profondità, intessuta con maestria dalle invisibili mani dell’amore.
Mentre scrivo queste righe, Mack sta testimoniando al processo del Killer
delle Coccinelle. Sperava di poter parlare con l’imputato, ma non ne ha ancora
avuto il permesso. È determinato a incontrarlo, anche se questa occasione
dovesse presentarglisi molto tempo dopo la sentenza.
Se mai avrete modo di passare del tempo con lui, apprenderete presto che sta
sperando che avvenga una nuova rivoluzione, fatta di amore e gentilezza,
incentrata intorno a Gesù e a ciò che ha fatto per noi, a ciò che continua a fare in
chiunque aneli alla riconciliazione e a un luogo che sia veramente casa. Non è una
rivoluzione che rovescerà alcunché, o se lo farà sarà in modi che nessuno
potrebbe calcolare in anticipo. La opereranno i quieti poteri quotidiani: morire,
servire, amare e ridere, la semplice tenerezza e le gentilezze silenziose, perché se
qualcosa è importante, allora tutto è importante. E un giorno, quando tutto sarà
stato rivelato, ciascuno di noi si inginocchierà e confesserà nel potere di Sarayu
che Gesù è il Signore di tutto il Creato, nella gloria eterna di Pa.
Oh, un’ultima cosa. Sono convinto che Mack e Nan ci tornino, di tanto in tanto
– al rifugio, intendo – per restare soli. Non mi sorprenderebbe affatto che lui
andasse fino al vecchio molo, si togliesse scarpe e calzini e, sì, insomma,
mettesse i piedi sull’acqua tanto per vedere se… be’, ci siamo capiti…
Willie
La terra è piena di paradiso
e ogni roveto arde di Dio,
ma solo colui che vede si toglie le scarpe;
gli altri gli siedono intorno e colgono mirtilli.
Elizabeth Barrett Browning
Ringraziamenti
Ho portato a tre amici una pietra. Era un frammento di roccia staccato dalle grotte
delle mie esperienze. Questi tre, Wayne Jacobsen, Brad Cummings e Bobby
Downes, con immensa gentilezza mi hanno aiutato a rimuovere sassi finché non
siamo riusciti a intravedere ciò che di meraviglioso era nascosto sotto la
superficie.
Sono pieno di gratitudine nei confronti del clan Warren (che ormai ha quasi
raggiunto i cento elementi), per aver aiutato Kim a salvarmi dal lato oscuro, ai
miei genitori e alla famiglia canadese, gli Young, Sparrow, Bruneski e altri. Ti
voglio bene, zia Ruby; so che non ti è stato facile accettarlo, di recente. E non ho
parole per esprimere il mio amore per Kim, i miei figli e le nostre due incredibili
nuore, Courtney e Michelle, che stanno per dare alla luce i nostri primi nipotini.
(Evviva!)
Grazie, Anna Rice, per aver amato questa storia e averle donato il tuo talento
musicale. Hai dato a me, a tutti noi, qualcosa di incredibile.
Quasi tutti noi abbiamo un dolore, sogni spezzati e cuori infranti, ciascuno ha
avuto le sue perdite, ha il proprio rifugio. Prego che là ritroviate tutti la stessa
Grazia che ho ritrovato io, e che la presenza costante di Pa, Gesù e Sarayu
riempia il vostro vuoto interiore di gioia indescrivibile e gloria eterna.
Indice
Premessa
1. Un incrocio di sentieri
2. L’arrivo delle tenebre
3. Il punto di rottura
4. La Grande Tristezza
5. Indovina chi viene a cena?
6. Un poco di π
7. Dio sul molo
8. La colazione dei campioni
9. C’era una volta, in un giardino lontano, lontano…
10. Camminare sull’acqua
11. Arriva il giudice
12. Nel ventre delle bestie
13. Un incontro di cuori
14. Verbi e altre libertà
15. Una festa tra amici
16. Risveglio di dolore
17. Scelte del cuore
18. Onde concentriche
Postfazione
Ringraziamenti