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Lettera di Papa Leone a Flaviano (ep. 28,3.6).

Cf. edd. A. Hahn; G. L. Hahn, Hildesheim 1962, 324.328-330.


3. Dal momento che permangono integre le proprietà di entrambe le nature e le
sostanze che convergono in una sola persona, dall’altezza è stata assunta la
miseria e dalla potenza la fragilità e dall’ immortalità la mortalità. Perché la
natura inviolabile si è unita alla natura passibile per saldare il debito della
nostra condizione umana, di modo che, come conveniva alla nostra guarigione,
«l’unico e solo mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1 Tim.
2,5), potesse morire in base alla condizione umana e non potesse morire in
base alla condizione divina. Nella completa e perfetta natura di vero uomo,
quindi, è nato il vero Dio, completo nelle sue facoltà e completo anche nelle
nostre. Quando diciamo “nostre”, intendiamo le facoltà che il creatore mise in
noi da principio, e che il Mediatore ha assunto per ripristinarle. Quegli elementi,
infatti, che l’ingannatore introdusse e che l’uomo, ingannato, accettò, non si
riscontrano nel Salvatore. Né perché volle partecipare a tutte le miserie umane,
fu anche partecipe dei nostri peccati. Egli prese la forma di servo senza la
macchia del peccato, elevando ciò che era umano senza abbassare ciò che era
divino; perché quell’abbassamento per cui egli da invisibile si fece visibile, e,
pur essendo creatore e Signore di tutte le cose, volle essere uno dei mortali, fu
condiscendenza della misericordia non mancanza di potenza. Perciò, egli,
rimanendo nella forma di Dio che ha creato l’uomo, si fece uomo nella forma di
servo. Ciascuna natura, infatti, conserva senza difetto ciò che le è proprio. E
come la natura divina non sopprime quella di servo, così la natura di servo non
svaluta la divina. Il diavolo, di fatto, andava fiero della frode con cui aveva
ingannato l’uomo perché così l’uomo aveva perduto i doni divini, e cioè che era
stato spogliato della dote dell’immortalità ed era andato incontro a una dura
sentenza di morte. Da quel momento l’uomo, nei suoi mali, aveva trovato un
certo conforto nella comune sorte del prevaricatore condivisa con tutta
l’umanità. Dio però, secondo la giustizia che esigeva la restaurazione dell’uomo
(uomo che egli aveva innalzato a tanto onore creandolo) aveva dovuto mutare il
suo disegno. Fu necessario, allora, che Dio immutabile, nell’economia del suo
segreto consiglio, la cui volontà non può esser privata della sua innata bontà,
completasse per così dire il primitivo disegno della sua benevolenza verso di noi
con un misterioso e più profondo piano divino, e così l’uomo, spinto alla colpa
dall’inganno della malvagità diabolica, non perisse contro il disegno di Dio.
6. Esaminato e interrogato da voi Eutiche rispose: «Confesso che il nostro
Signore ha avuto due nature prima della loro unione; ma che ne ha una sola dopo
l’unione». Mi meraviglio del fatto che una professione di fede così assurda e
perversa non abbia trovato nei giudici una severa riprensione, e che un discorso
così sciocco sia riuscito a passare dinanzi al silenzio di tutti come se non
contenesse nulla di offensivo. Eppure è ugualmente empia l’affermazione:
«l’unigenito Figlio di Dio, prima dell’incarnazione, aveva avuto due nature», e
anche l’altra affermazione: «dopo che il Logos si è fatto carne (Io. 1,14), vi è in
lui una sola natura». Perché dunque Eutiche non debba credere di avere fatto tale
affermazione o conforme a verità, o almeno tollerabilmente (giacché non è stato
confutato con sentenza alcuna in contrario da parte vostra), noi esortiamo il tuo
amore sempre sollecito, fratello carissimo, perché, se per grazia della
misericordia di Dio la causa si va risolvendo in modo soddisfacente,
l’imprudenza di un uomo così ignorante sia purificata anche da questa peste del
suo pensiero. Egli, come documenta la relazione degli atti, aveva rettamente
cominciato a rinunziare alle sue idee quando, costretto dalla vostra sentenza,
affermava di ammettere quanto prima non ammetteva, e di aderire a quella fede,
da cui prima si era mostrato alieno. Ma poiché egli non volle dare il suo assenso
quando si trattò di condannare l’empia dottrina, la fraternità vostra ben comprese
che egli rimaneva nella sua perfida opinione, ed era degno di ricevere un
giudizio di condanna. Se quindi egli, sinceramente e utilmente, si pente di tutto
ciò e riconosce, benché tardi, con quanta ragione si sia mossa l’autorità dei
vescovi, se a piena soddisfazione egli condannerà a viva voce e firmando di sua
mano tutti i suoi errori, nessuna misericordia, per quanto grande, sarà degna di
biasimo. Nostro Signore, infatti, vero e «buon pastore che offrì la vita per le
pecore» (Io. 10,11) e che venne a salvare le anime degli uomini, non a perderle,
desidera che noi siamo imitatori della sua pietà. E se la giustizia deve reprimere
chi trasgredisce, la misericordia non può respingere chi si converte. È allora,
infatti, che la vera fede è difesa con abbondantissimo frutto, quando l’errore è
condannato anche da quelli che lo sostengono. Per condurre a termine piamente
e fedelmente la questione, abbiamo mandato come nostri rappresentanti i nostri
fratelli Giulio, vescovo, e Renato, presbitero del titolo di san Clemente, oltre al
mio diletto Ilario, diacono. Abbiamo aggiunto a essi il nostro notaio Dulcizio, la
cui fedeltà a tutta prova ci è nota. E confidiamo che ci assista l’aiuto di Dio,
perché colui che ha errato, condannato il suo malvagio modo di sentire, sia salvo
ache lui. Dio ti custodisca sano, fratello carissimo. Data: 13 giugno. Consoli: gli
illustrissimi Asturio e Protogene.

Teodoreto di Ciro, Il Mendicante, Prologo


(cf. ed. G. H. Ettlinger, Oxford 1975, 61-62).
Ci sono alcuni che non sono uomini noti né per la nascita né per la cultura né per
le loro buone azioni, e cercano di diventare famosi per il loro malefico
comportamento. Un tale Alessandro, calderaio di mestiere, che non era celebre
di nascita, non era dotato di eloquenza, non aveva influsso sul popolo, incapace
di comandare, pauroso nella guerra, era un semplice artigiano di caldaie che
passò famoso alla posterità soltanto per essersi messo contro l’eminente Paolo
(cf. 2 Tim. 4,14). Anche Simei, uno sconosciuto spregevole, è diventato
famosissimo solo perché si mise contro il divino Davide (2 Sam. 16,5-8). Si dice
anche che l’ideatore dell’eresia manichea non fosse altro che uno schiavo
ambizioso che scrisse tutte quelle fesserie per desiderio di diventare noto.
Ancora oggi vi è chi che si comporta in questo modo, preferiscono scappare alla
gloria che si ottiene per mezzo della virtù perché esso affatica parecchio, e
cercano di raggiungere la più ignobile e miserabile delle popolarità. Costoro
vogliono essere campioni di nuove dottrine prendendo in prestito da altre eresie
la loro iniquità e hanno conseguito come risultato quest’eresia assai pericolosa.
Cercherò di confutare la loro eresia sia per la loro salvezza sia per la richiesta
che mi hanno rivolto i nostri. Il titolo di questo mio scritto è il mendicante o
il multiforme perché, avendo mendicato sciagurate dottrine da molti uomini
empi espongono ora questi pensieri variopinti e multiformi. Affermare infatti
che il Signore Cristo è solo Dio è di Simone, Cerdone, Marcione e di quanti
altri sciagurati sono loro vicini. Ammetere poi la nascita dalla Vergine ma
affermare che questo è stato solo un passaggio e che il Dio Logos nulla ha
preso dalla Vergine, questo l’hanno tratto via dalle invenzioni di Valentino e di
Bardesane e dei loro vicini di casa. Il definire poi come una sola natura la
divinità e l’umanità del Signore Cristo, l’hanno preso dallo sciocco di
Apollinare e attribuire la passione alla divinità di Cristo l’hanno rubato alle
bestemmie di Ario e di Eunomio. Perciò veramente quest’eresia assomiglia
alle vesti raffazzonate dei mendicanti con stracci di diversa provenienza, e
per tal motivo intitolo questo mio scritto il mendicante o il multiforme.
Simbolo del Concilio di Calcedonia
(cf. edd. A. Hahn; G. L. Hahn, Hildesheim 1962, 166-167).
Seguendo i Santi Padri insegniamo unanimemente a professare uno solo e
stesso Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella divinità e perfetto
nell’umanità, che è veramente Dio e veramente uomo, dotato di anima
razionale e corpo, consustanziale al Padre nella divinità e consustanziale a noi
nell’umanità, in tutto a somiglianza di noi, escluso il peccato (Hbr. 4,15).
Generato dal Padre prima di tutti i secoli secondo la divinità, ed egli stesso è
nato da Maria Vergine Madre di Dio secondo l’umanità, in questi ultimi giorni,
per noi e per la nostra salvezza, uno solo e lo stesso Cristo, Figlio, Signore,
Unigenito, che si fa conoscere in due nature unite ma non confuse, immutabili,
indivisibili, inseparabili. Non è stata in assoluto eliminata la differenza delle
nature nell’unione, ma, al contrario, sono rimaste le proprietà di entrambe le
nature che si sono unite in una sola persona e in una sola ipostasi. Egli non è
separato o diviso in due persone, ma piuttosto, uno solo e lo stesso è il Figlio
Unigenito Dio Logos, il nostro Signore Gesù Cristo. È questo che è stato
insegnato su di lui dai profeti sin dall’antichità e, poi, dallo stesso Signore Gesù
Cristo, come ci è stato trasmesso dal Simbolo dei Padri.

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