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DOLINDO RUOTOLO
Fui chiamato Dolindo,
che significa dolore...
... pagine d'autobiografia
da "La storia della mia vita nel piano
della misericordia di Dio"
Scritta di mio pugno col giuramento
solenne di dire la verit, cos come
consta a me e come me ne ricordo.
Sac. DOLINDO RUOTOLO
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Introduzione
(dall'autobiografia)
Il Signore padrone delle sue creature...
Il Signore padrone delle sue creature, e se ne serve come vuole, secondo
i disegni arcani della sua infinita Provvidenza.
Le creature irragionevoli sono tutte sottoposte a leggi infallibili che le
regolano; le creature ragionevoli hanno il grande dono della libert, che le
rende capaci di elevazioni anche superiori alla loro natura, allorch questa
libert si dona a Dio e si lascia guidare dai suoi lumi e dalla sua grazia.
La creatura ragionevole come un liquido, che prende la forma del
vaso nel quale si raccoglie.
Se si raccoglie in Dio, essa diventa come riflesso della grandezza di
Lui; se si abbandona a Dio, Egli la innalza e se ne serve, e la rende come
specchio terso, nel quale si riflette la gloria divina e dal quale s'irradia.
Se la creatura - che libera - si raccoglie in se stessa, cade nell'abisso
irrequieto della sua nullit; diventa prima schiava della sua miseria, della
sua carne, e poi si smarrisce in quel tenebroso vuoto, che la dannazione
eterna.
Il segreto vero della grandezza di una creatura sta tutto nella santa
umilt che la annienta, la stacca da se stessa e l'inabissa in Dio. Ogni anima
ha una storia particolare, interessante, nella quale rifulge costantemente
questa verit fondamentale: il tutto di Dio, il nulla della creatura.
Ma vi sono certe anime scelte da Dio, nelle quali egli scherza, opera, si
glorifica. Dio vuole che si conosca la sua divina azione in queste anime,
perch altre anime siano attratte in Lui.
Ogni anima ha una missione particolare per la gloria di Dio,
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ma io credo che nessuna lo glorifichi di pi quanto quella che pu mostrare
in se stessa tutta la misericordia di Dio, e tutta la sua miseria umana. E' in
questo contrasto che risalta di pi la grandezza di Dio e la nullit della
creatura.
Io non sono un santo...
Costretto a scrivere la storia dell'anima mia e di quanto vi si collega,
da un'obbedienza, io stabilisco come primo fondamento questo: io non sono
un santo, non sono un'anima gentile, virtuosa, piena di buone inclinazioni,
di virt elette; sono invece la sintesi di ogni miseria umana, sono un
monumento vivo della misericordia di Dio. Il Signore ha operato molto in
me proprio per allargare il cuore degli altri nella fiducia illimitata nella sua
misericordia.
Sono convinto che non vi male che non sia nell'anima mia, e me ne
umilio tanto innanzi all'infinita sua maest. Il Signore ha utilizzato quest'ammas
so
di miserie per vincerle, e mi ha reso come un ospedale vivente,
dove si raccolgono tutti i malanni, e dove si combattono tutte le infezioni.
Egli si messo da padrone nell'anima mia, dove fluirono e fluiscono tutte le
miserie, per annientarle, trasformarle, per far rifulgere la sua misericordia e
la sua gloria. Egli venuto in me non gi per discendere nell'orto dei gigli e
dilettarsene, ma per combattere una vera battaglia...
Egli mi ha fatto passare per tutte le condizioni della vita, tanto spirituale
quanto materiale come si riveler da questa storia; Egli ha reso pura una
cloaca d'impurit, umile una fogna di orgoglio, forte un ammasso di debolezza,
fiero un cumulo di vilt, dolce un insieme di durezza, calmo un uragano
di nervi...
Egli ha reso spirituale ci che tutto impastato di materia e di senso.
Egli ha reso vivo tutto quello che era morto. E non sono un santo, poich
dei Santi Dio si diletta: sono un povero strumento nelle sue mani, una voce
che grida nel deserto del mondo, non perch io possa gridare, ma perch
Egli grida attraverso la mia nullit.
Confesso che ho sentito una grande ripugnanza ed una grande difficolt a
scrivere questa storia cos complessa, ma sento il dovere di obbedire a Dio
(attraverso l'obbedienza al Confessore) ancora una volta e di manifestare la
sua gloria, manifestando anche la mia nullit.
Quello che scriver la pura verit, e lo giuro solennemente sul Cuore
benedetto di Ges che tanto mi ha amato; la pura verit, detta semplicemente,
senza reticenze.
lo confido solo in Ges, e spero che Egli stesso mi aiuter in un lavoro
cos arduo.
Questo lavoro utile anche sotto un aspetto umano, come lavoro psicologico,
ed anche da questo punto di vista, giover a qualche anima per
l'esperienza della vita.
Il Signore mi perdoni e mi aiuti.
Napoli, 9 Gennaio 1923
Sac. DOLINDO RUOTOLO
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L'Infanzia
I miei genitori erano di diversa condizione sociale quando si unirono
in matrimonio. Mio padre, Raffaele Ruotolo, era figliuolo di un sarto a
nome Gregorio, discendente da Casalnuovo, dove il nome dei Ruotolo
molto diffuso.
Egli, tra i fratelli suoi, fu l'unico che fu posto agli studi, e siccome
aveva molto ingegno, riusc a laurearsi prima in Matematica e poi in Ingegneria.
Gli altri fratelli si applicarono all'arte: Pietro apr un piccolo negozio
di mercerie, in Via Corsea 92, dove io ho venduto la merce al pubblico,
come dir in seguito. Michele fu sarto anche lui; Pasquale fu anche sarto;
Gabriele fu impresario teatrale.
Mia madre, Silvia Valle, discende invece da nobile famiglia. Essa era
collegata al ramo blasonato degli Spinola, per parte di madre, e per parte
paterna discendeva dai principi di Aragona.
La sua famiglia, nell'estensione della sua parentela, era formata di nobili
autentici, conti, baroni, ecc. che poi finirono quasi tutti nella povert.
L'ultimo dei Valle, che ancora vive, Carlo, ricoverato nell'ospizio di S.
Gennaro dei poveri.
Mia madre si spos dopo che era morto suo padre. Un mio zio,
Tommaso, fratello di mamma, frequentava l'universit insieme con mio
padre; fu cos che i miei genitori si conobbero e mamma lo spos perch
mio padre era un giovane molto buono e religioso.
Il nonno paterno, infatti, aveva educato cristianamente i suoi figli; la
sera li raccoglieva per leggere loro qualche tratto dell'Evangelo, degli atti
degli Apostoli e della vita di Santi. Tutti frequentavano i Sacramenti e menavan
o
una vita onesta.
Mio padre era figliuolo di un sarto,
mia madre, una nobile
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Pap era tanto buono e onesto e mamma mia lo spos proprio per
questo. Erano per di diversa educazione e di diverso carattere, e ben presto
la loro unione doveva essere cagione scambievole di dolori e di amarezze.
Pap mio era nervoso. Essendo l'unico in casa, che si era elevato ad
una condizione pi civile, egli era riguardato come padrone, e questo concorreva
ad inasprire il suo carattere. Com'era, poi, abituato in una famiglia
dove si viveva di lavoro, era molto economico, da rasentare l'avarizia. Si ricor
da
ancora fra i parenti che egli, con i pochi grani che il nonno dava
ai suoi figli ogni settimana, aveva avuto la costanza di accumulare 25 pezze
di argento. Pap mio, quindi, aveva nel suo carattere una ristrettezza
che contrastava col carattere e con l'educazione di mamma.
Mia madre era nobile, abituata in un ambiente signorile, servita da
servitori in livrea. I suoi zii e le sue zie erano alla corte del Re di Napoli.
Un
suo zio, Sacerdote, Francesco Valle, era cappellano del Re Ferdinando di
Borbone.
Era poi di una ingenuit infantile, di una purezza delicata. Il padre
suo, anche molto religioso e pio, l'aveva educata con ogni riservatezza. Il
nonno materno rimasto vedovo si rispos. Dalla prima moglie ebbe due figlioli:
Francesco e Maria Chiara, che fu monaca professa nel monastero di
S. Margherita a Fonseca, qui in Napoli, e dalla seconda ebbe mia madre
Silvia, Teresa, Aristide, Tommaso ed Anna. Aveva, il nonno materno, una
piet piena di fede, bench io credo che non fosse proprio quella piet
fondata su solide virt. Questa sua fede viva la trasfuse anche nei figlioli e
soprattutto in mamma mia.
Mia madre si spos con pap il 23 settembre 1873, come ho rilevato
da un certificato municipale dell'epoca, e si spos in Chiesa, in S. Domenico
Soriano a Piazza Dante, nella 2a cappella a sinistra di chi entra. Pap,
come professore di matematica, non era fisso in Napoli, dovette viaggiare
parecchio, e fu direttore della Scuola tecnica di Marsala, professore in Terni,
Viterbo ecc. Mamm lo seguiva con grande sua pena, perch era stata
sempre rinchiusa in casa sua, e non era avvezza a girare per il mondo.
Pap mio le faceva menare una vita molto ristretta economicamente,
avendo egli in animo di accumulare del danaro per comprare poi delle
propriet.
Dai miei genitori nacquero 11 figli: Maria, Giuseppina (morta nell'et
di pochi mesi), Cristina, Elio, io, Bianca, Ausilio, Natalia e Consilia (gemelle
,
morte la prima, a tre mesi e mezzo, e la seconda a 18 mesi), Emma ed Eucario.
Io fui il quinto dei loro figliuoli, e nacqui il 6 ottobre 1882, di venerd.
Era il giorno della festa di S. Maria Francesca delle cinque piaghe, ed
il centenario di S. Francesco d'Assisi e mi furono imposti i nomi di Dolindo,
Francesco, Giuseppe.
Papa mio aveva per abitudine di imporre ai figli suoi nomi che spesso
coniava egli stesso con un significato speciale: dopo la morte di Giuseppina,
egli impose sempre i nomi di Ges o di Maria ai suoi figli.
Il mio nome Dolindo significa Dolore; lo form egli stesso, e mi confid,
quando avevo 14 anni, che me lo aveva imposto con una previsione
curiosa. Egli mi diceva: Io sento che tu devi essere non gi un Sacerdote
comune, ma un apostolo, e sento che non per caso ti ho maltrattato tanto
nell'infanzia. Egli mi aveva reso veramente dolore , come si rilever da
quello che dir. Fui battezzato il giorno 11 dello stesso mese di ottobre.
Prime prove e primi dolori
Mi diceva mia madre che nei primi mesi della mia vita ero cos bello e
pacifico, che mi venivano a vedere come una meraviglia. Avevo i capelli
d'oro a riccioli, la faccia paffuta, bianca e rosea, lo sguardo dolce.
Essa mi voleva un gran bene, ed io le ero sommamente affezionato.
Io ricordo bene che le stavo sempre vicino, specialmente quando pregava.
Nacqui il sei ottobre 1882
e fui chiamato Dolindo
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Non sapevo ancora pregare, ma sentivo gusto a starle vicino allora. Mi
dice mamma, che quando essa andava in Chiesa a fare la S. Comunione, io
andavo ad attenderla vicino alla porta di casa e la baciavo; essa mi alitava in
bocca, per comunicarmi l'alito di Ges Sacramentato, che da poco aveva ricevuto
nel cuore ed io credo che per questo le andavo incontro con tanta
premura.
Intanto cominciarono presto per me le prime prove ed i primi dolori.
Avevo 11 mesi - siccome mia madre mi ha detto - e mi uscirono sulle
due mani due macchie rosse, nel centro, sul dorso. Al principio si credette
che fosse cosa da nulla; si chiam dopo il chirurgo, il dott. Fabiani, il quale
dovette sottopormi ad una operazione dolorosa: mi perfor completamente
la mano destra, e ne estrasse un osso cariato, e mi incise la mano sinistra in
tre punti.
Avevo undici mesi e ricordo vagamente questa operazione subita. Ricordo
che una persona mi teneva in braccio, vicino ad un balcone; questa
persona era la nonna materna, che mor di colera, nel 1884. Ricordo che io
piangevo e che mio fratello Elio spiava da una stanza vicina, tutto accorato,
anzi adirato contro il medico che mi faceva quel male.
Dopo questa operazione, ne subii un'altra alla guancia destra. Mi usc
un tumore sotto la guancia, e siccome ci erano impegnate le glandole, cos
dovetti subire un'operazione anche pi dolorosa. Caddi in una grande prostrazione
di forze; ero tranquillo, non piangevo, ma stavo da mane a sera,
sul sediolone, con la testolina reclinata sul braccio sinistro, non potendola
reggere. Questo particolare mi fu narrato da una mia cugina, Clorinda
Ruotolo, maritata Orgera, la quale veniva spesso a casa e sentiva grande
compassione vedendomi cos sofferente e cos tranquillo, che non davo
noia a nessuno.
Il sole... la mia passione di bambino
E dissi: Io sar sacerdote...
Della mia infanzia non ricordo che questo. Abitavo in Via S. Chiara
n. 24. Quando mamm si levava al mattino, verso le quattro, io mi levavo
con lei e le stavo vicino mentre, facendo il caff, essa pregava.
Ero tanto piccolo, che la mia testa non arrivava a superare l'altezza del
focolare. Ricordo che, avendo soli tre o quattro anni al pi, stando in piedi
e poggiato sulle ginocchia materne, le dicevo: Io sar sacerdote... Ricordo
che amavo la solitudine, bench fossi molto vivace. Ero attratto assai dagli
spettacoli naturali e sopra tutto dal sole. Quando entrava il sole nella stanza,
io me ne sentivo pieno di gioia, mi sedevo in terra e mi sentivo l'anima
tratta in Dio.
Non sapevo pregare ancora e ricordo che mi sentivo una tranquillit
interna, una pace che mi faceva rimanere immobile e pensavo a Dio.
t
La mia passione per il sole mi fece una volta ruzzolare per una scala,
quanto essa era lunga. Stavamo a Secondigliano, paese vicino Napoli, in
villeggiatura. La casina aveva la cucina fuori la porta d'ingresso. Era l'anno
1886, avevo quattro anni circa. Appena sorto il sole, io uscii dalla porta di
casa per andarlo a vedere in cucina. Misi un piede in fallo e ruzzolai per
tutta la scala.
Mamma ne fu spaventata, ma non mi feci troppo male. Posto a letto,
ricordo che un uccellino entr nella stanza... e mi fece tanto piacere il vedere,
per la prima volta da vicino, un uccello; e dimenticai la caduta.
Ero ancora innocente, avevo una vivacit non comune; rimanevo attratto
dalla Passione di Ges e cercavo di cantare fin d'allora a Ges appassionato,
cullando una mia sorella pi piccola, a nome Bianca. Essa ha tre
anni meno di me, quindi allora io ne potevo avere tutto al pi, cinque.
Ero ancora innocente... e, cullando
la sorellina, cantavo a Ges appassionato
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Vicino al letto, anzi alla culla, ci era un quadro di S. Alfonso dei Liguori,
che mi attraeva, e non so perch, vedendo quel quadro, io mi ricordavo
della passione di Ges.
Allora procuravo di cantare a Ges appassionato dei versi che facevo
io stesso. Il concetto di questi versi, dei quali ricordo solo alcuni, era quest
o.
Ricordavo la passione di Ges e supplicavo di non chiamare il... Filisteo,
sembrandomi che l'avrebbe resa pi dolorosa. Questi i primi due versi
della mia cantilena:
Fu martirizzato da quei Giudei
No, non chiamare il Filisteo...
gli altri, non li rammento pi.
Monellerie infantili
Ricordo di questo periodo infantile anche le mie monellerie. Una
mattina mi avvicinai allo specchio dell'armadio, nel quale si rifletteva il lett
o
di mamm, e credevo che... fosse un'altra stanza. Allora pensai di rompere
lo specchio e... mi accinsi all'opera.
Fortunatamente non vi riuscii per interventi... esterni.
La prima volta che vidi la luna nel cielo, di sera, fu tanta la mia sorpresa,
che corsi da pap e balbettando dicevo: A lu fo u balcon 'a quella
parte cio: la luna fuori il balcone, da quella parte della casa. Pap credette
che fossero i ladri, perch non mi capiva, e poco manc non avessi
poi delle percosse.
Quando in casa mi chiamavano scemo, e volevano parlare di me come
di uno scemo, dicevano proverbialmente: A lu fo u balcon ... Le vere
mie monellerie, che rivelavano il mio animo, vennero pi tardi e ne parler
in seguito.
La mia prima fanciullezza
Vita selvaggia
In Via S. Chiara n. 24, povert estrema. La mia fanciullezza fu molto
tribolata, ed in essa si rivel l'animo mio, pieno di tante miserie.
E' con grande dolore che io penso anche oggi alle offese che feci al
Signore, bench forse incoscientemente. A certi peccati non posso pensare
senza sentirmi venire le vertigini. Penso al dolore che cagionai a Ges in
una et nella quale avrei dovuto amarlo soltanto.
Per lumeggiare bene questo periodo, necessario che io parli dell'ambiente
di casa mia pi diffusamente. Abitavamo allora in Via S. Chiara n.
24, primo piano.
La casa era meschina assai: un ingressino basso, col pavimento di lastrico
battuto. Una saletta che faceva da studio, angusta, stretta, col pavimento
patinato bianco, con gli angoli marroni. Un passetto oscuro, dove vi
era la canna del pozzo, che era il mio terrore. Una stanzetta che affacciava
in un palazzo vicino, un salotto e la stanza di mamm, dove vi era una culla
ed una branda militare per noi due maschi, Elio ed io.
Era la casa della povert, nel pi ristretto senso della parola. Il cibo era
tanto misurato che noi morivamo di fame. Quando veniva il panettiere per
portare la meschina razione di pane, noi piccoli gli davamo l'assalto per divora
re
l'aggiunta del pane.
Non si aveva idea di vestiti d'inverno e pap era in questo cos ristretto
che veniva spesso a questione con mamma. Ricordo che per sfamarmi in un
modo qualunque, andavo raccattando i residui delle erbe dalle immondizie:
torsoli di finocchi, foglie di ravanelli e simili, e li facevo... ad insalata.
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Io ero affidato a mia sorella Cristina, ed Elio alla sorella Maria. Esse ci
sorvegliavano e ci facevano fare, senza metodo e senza competenza, i lavorucci
diciamo cos... scolastici; ma a scuola non andavamo.
Pap poi li rivedeva; e quando li rivedeva avevamo sempre percosse a
non finire.
Egli voleva che noi studiassimo tutto imparandolo a parola; dovevamo
poi recitarlo ad una delle sorelle, e prima d questo non potevamo mangiare.
Le sorelle erano stranamente inflessibili, perch temevano di avere da pap le
percosse, esse per prime.
Una volta Elio ed io, con certe paline di agrimensura, che erano in
casa giocammo alla... guerra contro alcuni quadri di disegno d'ingegneria,
trapuntandoli con la punta delle paline , che era di ferro.
Quando venne pap e trov quello scempio, successe il finimondo.
Una punizione atroce fu quando pap mi divise da Elio e per un certo
tempo mi releg solo solo a dormire in uno stanzinetto dove c'era un bagno
di pietra e dove si conservavano i carboni.
La notte, chiuso l dentro, era il terrore. Sopra una branda poggiata sul
bagno io, solo, tremavo di paura. Per colmo, qualche volta, il gatto veniva
mangiarsi i topi che prendeva proprio sul mio lettuccio e non so dire la paura
che ne provavo.
Confesso che questa estrema severit e questi dolori continui, sproporzionati
all'et, che era cos, senza alcun sorriso, mi resero completamente cretino.
Io non capivo pi nulla e fu una grande misericordia di Dio perch io
commisi molti peccati, senza capirne la malizia e quindi, credo, senza offendere
il Signore gravemente. Ero uno scimunito; mi burlavano e mi chiamavano
scemo, ovvero, pi graziosamente, a lu fo 'u balcon , Questo periodo
della mia vita fu assolutamente vuoto di spirito.
Severit paterna
Pap era estremamente nervoso e per un nonnulla ci batteva. Egli ci
percoteva con un finocchietto le carni emaciate dalle privazioni.
Era tanto il terrore di pap, che quando sentivamo il campanello della
Porta, Elio ed io correvamo a nasconderci.
Io mi nascondevo persino in uno dei cassettoni laterali di una scrivania,
dove vi entravo rannicchiandomi, tanto ero piccolo.
Avevo un poco di olio e di aceto mescolati insieme, che conservavo in
un manico vuoto di tegame di Marsiglia; con quello
condivo l'insalata e poi scuotevo le foglie e i torsoli appena unti, per
conservarlo novellamente per un'altra volta.
Andavamo sempre mezzi scalzi per mancanza di scarpe, o dovevamo
adattarci a mettere gli stivaloni vecchi di pap'. Era un problema trascinarli
appresso a e non difendevano dal freddo.
Come appresi a leggere e a scrivere
Povero pap era in buona fede; credeva di fare bene e di educare cos i
suoi figli - Se sono costretto a scrivere di lui cose che fanno pena, benedico
sempre la sua memoria e veggo che egli senza volerlo mi puniva dei peccati
miei. Il Signore lo abbia nella gloria ora che e morto da 21 anni.
Egli non volle mandarmi alle scuole elementari, e per questo questionava
tante volte con Mamma che avrebbe voi mandarmici per non farmi crescere
asino; per non mi faceva scuola eppure lui. Ricordo qui come appresi a
leggere e a scrivere.
Un giorno pap mi chiama, stando egli ancora a letto; mi mette nelle
mani un sillabario, mi spiega le lettere dell'alfabeto e lascia a me il compito
di
esercitarmici.
Io appresi a leggere e a scrivere da me stesso; papa mi faceva disegnare
solo le aste, facendomi sorvegliare da una delle sorelle. Il regime familiare
era severissimo. Avevamo l'orario scritto come nei collegi
Ero al principio dei sette anni; non avevo ancora avuto il regime severo
di cui parl.
Liberato dalla prima colpa
con un tratto misericordioso del Signore
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Avevo la mente abbastanza sveglia, fino al punto di voler poetare. Ricordo,
in principio uno di questi parti poetici , in cui pretendevo descrivere
l'inverno ed immaginavo un fantasioso dialogo tra un padrone e un
vecchio servo. Ecco i versi:
Vedi, vedi, mio buon vecchio
se estate o inverno; vedi vedi se i
tuoi occhi sono uguali alla lucerna.
- 0 mio signor, l'ho visto che il fuoco
ci bisognerebbe... - Ma va', domanda
all'artista se questa cosa andrebbe...
-
D altre poesie mi sono sfuggiti i... soggetti. Questa prima... poesia
mi rimasta nella memoria perch ne ebbi la baia a casa e... ci stanno ridendo
ancora.
Piuttosto sveglio di mente, io avrei capito la malizia del peccato.
Ora il Signore, mi volle liberare dalla prima colpa con un tratto misericordioso
.
Ero solo in cucina, nella casa di Via S. Chiara. Ebbi il pensiero di
commettere un'immodestia; fu tentazione o fu malvagit la mia'? Non lo so.
Prima di concepire completamente questo pensiero, io sentii un forte
rumore di catene dall'angolo della cucina. Era un rumore sintomatico, certamente
non naturale; rimasi terrorizzato e ne ho ancora l'impressione tanto
da averne i brividi nello scriverne.
Capii che quel pensiero era cattivo, e non lo seguii.
Senza quell'... avviso, io sarei caduto nel peccato grave. Ma tante colpe
rivelarono poi la mia miseria sconfinata.
Scherzavamo al... ladro
Le colpe che ricordo con pi dolore, e delle quali mi confesso sempre
anche ora, sono i furti, i contrasti tra i fratelli e le sorelle, le immodeste.
Ci furono anche i... furti.
Ecco come.
Morti di fame come eravamo, scherzavamo al... ladro con mio fratello.
Non so chi introdusse questo triste giuoco: vestiti con abiti vecchi di pap,
che strisciavano per terra, con qualche suo vecchio cappello a cilindro
in testa... andavamo rubando.
Cos sparirono molte uova in una festa di Pasqua. Pap non sapeva
spiegarsi come mancassero. Scoperto il giuoco, tutto s concluse con una
buona scarica di sante legnate. Mai furono cos sante come allora.
Allora certamente io non capivo la malizia dello scherzo, che aveva
dovuto essermi stupidamente insegnato
Ricordo per con grande dolore che, a Secondigliano, nella bottega
di una merciaia, pigliai una rotella di legno di quelle che si mettono sotto i
piccoli carrocci dei fanciulli; e la portai a casa.
Capii di far male, ed ora che ne scrivo ne piango dalla pena, pensando
al dolore che diedi a Ges; fu il mio vero peccato. Giunto a casa, tentai
di giocare con quella rotellina, ma era tanto il rimorso che sentivo che non
riuscii a giocare e la buttai via.
Questo peccato mi ha fatto sempre un gran dolore, ed rimasto come
un punto dolente della mia vita, a differenza degli altri. Da questo capisco
come forse gli altri peccati li feci senza malizia.
A una domanda imprudente, in
confessione, io tacqui...
Le prime volte che mamm mi condusse a confessarmi, io questi peccati
non li dicevo, perch non ci pensavo neppure.
Una volta il confessore mi fece una domanda imprudente su materia
impura: fu tanto il mio rossore che tacqui. Mi sono riguardato perci come
un sacrilego dolorosamente, ed ho riguardato sempre come anno della mia
conversione il 1898, nel quale, stando nella casa dei Vergini ed essendo
interrogato dal Confessore, mi confessai di tutto. In questo periodo della
mia vita non ancora capivo la malizia del male.
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Ricordo che, ascoltando per la strada le cattive parole, io le andavo a
dire a mia madre, come cose buone e per... fare l'elogio di chi le diceva.
O mio Ges, perdonami se ti ho offeso tanto nell'et nella quale avrei
dovuto pi amarti!
Penso che il trattamento crudele che mi faceva pap (e questo mi fu
chiarito anche dal medesimo pap mio in seguito, come vedremo) era in
fondo una espiazione tanto meritata per i peccati miei!
In una casetta da bambola, dentro un
armadio a muro, c'era... Guglielmino
In questo periodo della mia vita, ricorder una circostanza, un fatto,
che dimostra quanto io sia stato, da piccolo, poco disposto a credere nelle
fiabe o in cose meravigliose e fantastiche, nonostante che fossi cos cretino.
Mia sorella Cristina aveva, in un armadio a muro, una piccola casetta
da bambola. Invece della bambola, per, aveva un... prete di pezza.
Essa, per scherzare, diceva che. quel bamboccio parlava, mangiava,
operava cose meravigliose, senza farne accorgere. Cos, a noi piccoli, narrava
un mondo di corbellerie fantastiche... Diceva che di notte eravamo stati
sul Vesuvio, col bamboccio, a cui aveva dato il nome di Guglielmino.
Mio fratello Elio se lo credeva davvero, io per non me lo credevo affatto
e siccome non vedevo niente con gli occhi miei, capivo che erano
frottole.
Mia sorella, per questo, mi chiamava incredulo ed io avevo dispiacere
di essere chiamato con questo nome.
Una volta, dopo parecchi anni che durava lo scherzo, il confessore la
costrinse a dire che erano fiabe quelle che essa diceva. Elio ne pianse dal
dolore, io ne fui invece soddisfatto e dissi: Avevo ragione io a non credervi!