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I.

Le lingue bibliche

Le lingue della Bibbia sono tre: l’ebraico classico, l’aramaico e il greco per i testi dell’A.T. e il
greco per quelli del N.T.
Quando saranno presentati i singoli libri sarà detto anche in quale lingua sono stati scritti o sono
pervenuti a noi.

II. La trasmissione del testo

Gli autografi o originali degli autori biblici non sono giunti fino a noi e i manoscritti conservati
attestano varianti, errori, lacune, glosse e cambiamenti, generatisi nel corso dei secoli per il
continuo processo di copiatura dei manoscritti. Tra gli originali degli autori e le copie più antiche
conosciute intercorrono circa millecinquecento anni per l.AT. e soltanto un paio di secoli per quanto
riguarda il N.T. S’impone un ovvio interrogativo: il testo biblico giunto fino anoi corrisponde
fedelmente a quello scritto dagli autori dell’A.T. e del N.T., in ebraico, aramaico o greco? In
risposta a questa domanda la critica testuale si prefigge un duplice obiettivo: la ricostruzione della
storia della trasmissione del testo biblico nelle lingue originali e nelle loro differenti versioni e la
ricostruzione del testo nel suo stato originale o nella forma più possibile prossima agli autografi.
Anche per quanto riguarda la fragilità dello scritto affidato alla trasmissione su materiali
corruttibili e alla prassi della copiatura dei testi possiamo ricordare quanto abbiamo detto all’inizio
del corso: Dio, per rivelarsi all’uomo accondiscende (sunkatabasis) utilizzando l’umile e limitato
strumento del linguaggio umano e del processo di scrittura e copiatura che prevede l’eventualità di
deformazioni ed errori. Il compito della critica testuale è di risalire al testo originale che contiene la
Parola di Dio.

IV.1 Storia della trasmissione del testo

Percorreremo un itinerario che parte dal nostro testo attuale per risalire ai manoscritti più antichi.
Attualmente in italiano è disponibile la nuova versione della Bibbia cattolica, stampata nel 2008,
frutto del lavoro di traduzione di una commissione di biblisti con la supervisione della CEI. Si tratta
di un testo possibilmente più fedele a quello originale scritto in ebraico, aramaico o greco.
Due esempi di cambiamento di traduzione per l’A.T. : Sal 65,1: non più “A te si deve lode o
Signore in Sion” bensì: “Per te il silenzio è lode o Dio in Sion”. In Sal 74,19 non più “Salva dalle
fiere la vita di chi ti loda” bensì “Non abbandonare ai rapaci la vita della tua tortora”.
La Bibbia ebraica utilizzata oggi, che possiede un buon apparato critico che segnala in certi casi
dubbi le possibili varianti contenute nei manoscritti, è la Biblia Hebraica Stuttgartensia (1977).
Le prime edizioni a stampa sono da collocare dal XV al XVII sec. d.C.
Quando fu inventata la stampa il primo scritto ad essere stampato fu la Bibbia in latino chiamata
“Gutemberg” dal nome del suo editore che fu stampata libro per libro tra il 1477 e il 1488. Poi seguì
la Poliglotta Complutense (1514-1517) e la cosidetta Bibbia rabbinica (1524-1525).
Tali edizioni si basavano su manoscritti molto recenti e di scarsissimo valore critico.Nel XIX
sec. nasce la critica testuale che si propne di verificare tutte le varianti testuali conservate dalla
tradizione manoscritta.

Andando ancora a ritroso nel tempo, per quanto riguarda la Bibbia ebraica nel IX sec. abbiamo
l’opera dei cosidetti “masoreti”. Masora significa “tradizione”. Designa le note critiche apposte sui
manoscritti delle Sacre Scritture tra l'VII e il X secolo d.C., note che riflettono appunto tali
tradizioni.

La Bibbia era scritta in ebraico, lingua non più parlata da oltre un millennio (dall'esilio
babilonese), e per di più scritta con un alfabeto esclusivamente consonantico. La necessità di
tramandare il testo corretto spinse alcuni rabbini, chiamati poi Masoreti, a conservare
meticolosamente il patrimonio di informazioni relative alla lettura della parole sacre. I masoreti si
occuparono anche della vocalizzazione del testo consonantico (le vocali sono segnalate da dei
puntini apposti alle consonanti). Il materiale masoretico venne dapprima tramandato oralmente: e in
seguito venne annotato in margine al testo stesso1.
L'attività masoretica raggiunse il suo apice sulle rive del lago di Tiberiade, in Palestina, ad opera
della famiglia Ben Āšêr, intorno all'anno 1000 d.C. La più importante testimonianza a noi pervenuta
è rappresentata dal Codice di Leningrado, un manoscritto datato 1008 d.C., custodito presso la
Biblioteca Nazionale di San Pietroburgo, dove la masora e le note testuali, fortemente abbreviate,
sono scritte in aramaico (e non in ebraico
Codici medievali che riproducono il testo della tradizione Ben Āšêr:
 Codice di Aleppo: 980d.C. ca.
 Codice di Leningrado (B 19A): 1008-1009
 Codice del Cairo: contiene solo testo Profeti anteriori e posteriori, 895 ca.

1
Esempio: le diverse ipotesi di vocalizzazione di ’mn in Pr 8,30a.
3
Risalendo ancora a ritroso perveniamo al testo consonantico: 70-150 d.C., tramandato dai
manoscritti medievali e risalente alla fine del I e gli inizi del II sec. d.C., periodo in cui venne
fissato il testo consonantico e il canone dei libri biblici, con l’esclusione di quelli dichiarati apocrifi.
Nel periodo precedente alla fissazione del testo consonantico abbiamo un pluralismo testuale dal
300 a.C. al 70 d.C.
Il ritrovamento, a partire dal 1947 dei manoscritti di Qumran, anteriori più di un millennio
rispetto ai codici masoreti, consentì la scopera di un panorama fino ad allora insospettato. I
manoscritti di Isaia nella grotta I rivelarono una perfetta coincidenza con il T.M posteriore, mentre
quelli scoperti in seguito registrarono grandi divergenze dovute alle correzioni apportate ai testi da
gruppi socio-religiosi esistenti nel giudaismo che hanno sviluppato delle dottrine proprie a volte di
carattere settario (es. gli esseni). I manoscritti qumranici coprono la totalità dei libri del canone
ebraico, con la sola eccezione del libro di Ester.
L’importanza dei manoscritti biblici di Qumran poggia principalmente sulla testimonianza
dell’esistenza di un certo pluralismo testuale nell’età di transito dal I sec a.C. al I sec. d.C. prima
della costituzione di un testo consonantico unico e inalterabile che segnala il passaggio da una
situazione di pluralismo a un’altra di uniformità testuale.
Intorno alla metà del III sec. a.C. fu compiuta ad Alessandria d’Egitto la famosa versione dei
LXX che vede la luce durante il regno di Tolomeo II il Filadelfo (285-247 a.C.).
Secondo la Lettera di Aristea, su richiesta del sovrano, il sommo sacerdote Eleazaro inviò 72
saggi da Gerusalemme, 6 per ogni tribù d’Israele, incaricati di tradurre la Torah ebraica per la
biblioteca di Alessandria, ognuno per conto suo. Quando questi traduttori si riunirono insieme
scopersero che le loro 72 versioni corrispondevano esattamente. In realtà questa lettera è una favola
storica, è più probabile che i giudei residenti ad Alessandria avvertissero il bisogno di disporre di
una traduzione in greco, diventata ormai la loro prima lingua.
La designazione “versione dei LXX” in principio si riferiva solo al Pentateuco fino al
completamento intorno alla metà o fine del II sec. a.C.
Sono pervenute fino a noi anche due altre versioni greche della Bibbia ebraica antecedenti alla
versione dei LXX: la traduzione di Simmaco (170 a.C) e Aquila (140 d.C.).
Abbiamo anche versioni aramaiche, dette anche Targumim da Targum che significa
“traduzione”, che nascono dall’esigenza di accedere ai testi biblici in un epoca in cui non si parlava
più l’ebraico biblico ma l’aramaico.

IV.2 La critica testuale dell’A.T.


4
L’obiettivo della critica testuale consiste nello stabilire il più antico testo bilbico testimoniato
dalla tradizione manoscritta. L’ambito di studio della critica testuale è il processo di
trasmissione del testo. Nel processo di trasmissione o riproduzione manoscritta del testo
s’introducono inevitabilmente numerosi cambiamenti, alcuni accidentali: errori casuali dei copisti
accumilatisi nel tempo, altri intenzionali: modifiche deliberate, introdotte da glossatori e interpreti.
La critica testuale stabilisce metodi e principi per identificare e correggere questi cambiamenti,
onde ristabilire il testo nella forma più vicina all’originale.

 Modifiche accidentali o errori dei copisti:

- Scambio di lettere simili: es. d / r (d/r es. Sal 18,11; 74,19; 2 Sam 22,11); b / k (b/k Is
28,21); h / j (h/hΩ 2 Sam 13,37)
- Trasposizione di lettere o parole (metatesi): in Is 32,19 la lezione h‘jr (“la città”) appare
in I QIsa come hj‘r (“il bosco”). Altri esempi in 1 Sam 14,27; Sal 49,12; Is 6,18.
- Omissione per homoioarkton (homoio = simile, arkton = inizio) o per homoioteleuton
(homoio = simile, teleuton = fine): il copista passa, inavvertitamente, da una parola o
espressione a un’altra con inizio simile: es. Gen 31,18; i Sam 10,1; Is 4,5-6 ecc. – o
simile fine: es. Gen 1,19; 1 Sam 13,15; Is 4,5 ecc.
- Omissione per aplografia: quando due lettere, parole o frasi uguali si susseguono, una
delle due facilmente scompare (es. Os 4,19).
- Divisione o congiunzione errata di parole: nella scrittura continua, che non lasci spazio
tra le parole, è facile incorrere nell’errore di separare inappropriatamente le consonanti,
dividendo un’unica parola in due. In Am 6,12 la traduzione “arare con le vacche”
corrisponde a bbqrjm; al contrario, “arare il mare con i buoi” rende bbqr jm. E’ anche
possibile unire per errore due parole distinte.

 Modifiche intenzionali
- Sostituzione per “banalizzazione” o “modernizzazione”. Un termine più attuale
sostituisce un altro più arcaico: es. Is 39,1 / I QIs a. O un termine più comune soppianta un
altro più raro.
- Armonizzazione: il testo di Gen 2,2: “avendo Elohim terminato nel settimo giorno il
lavoro che aveva intrapreso”, nel Pentateuco samaritano, Peshitta2e Giub3 2,16 ha la
2
Una delle più importanti versioni in siriaco.
3
Libro dei Giubilei, uno scritto apocrifo.
5
variante “nel sesto giorno”. Essa cerca di armonizzare le due frasi, perché Dio termina le
sue opere nel sesto giorno e riposa nel settimo.
- Correzioni per ragioni morali e teologiche: per eufemismo, l’espressione di Gb 1,5.11;
2,5.9, “maledire YHWH”, è sostituita da “benedire YHWH” , nonostante la prima risulti
più in sintonia con il contesto. Così in 2 Sam 24,1: “YHWH incitò Davide contro gli
israeliti”, è corretta nel testo parallelo di 1 Cr 21,2 mediante il semplice cambiamento del
nome di “YHWH” in “Satana”.

III. Antico Testamento: questioni introduttive

V.1 La designazione di “Antico Testamento”

Fino al II sec. d.C. la Bibbia dei cristiani era costituita dalla Bibbia di Israele. Per il cristianesimo
delle origini non era l’“Antico Testamento” nel senso di una rivelazione di secondo grado o
superata, antica nel senso di “antiquata”. Anche quando fu riconosciuto ai quattro vangeli e alle
lettere il rango di “Scrittura Sacra” i libri sacri cristiani non subetrarono al posto della Bibbia
d’Israele.
Nel II sec. d.C. nacque, all’interno della chiesa, la dottrina di Marcione, uno gnostico (visione
negativa della materia) che rifiutava la Bibbia d’Israele. Secondo lui esistevano due divinità, il Dio
degli Ebrei, autore della Legge e dell'Antico Testamento, e il Dio Padre di Gesù Cristo, che aveva
mandato il proprio Figlio per salvare gli uomini; solo il secondo era il vero dio da adorare e che
portava la salvezza. La chiesa ha condannato come eretica questa dottrina, ritenendo che la Bibbia
d’Israele fosse il fondamento irrinunciabile della fede cristiana.
In Lc 24,13-35 il Risorto, sulla via di Emmaus, sottolinea il nesso profondo tra la “Legge e i
profeti” e lui stesso. In Lc 24,40 fa riferimento alla suddivisione tripartita della Bibbia d’Israele
menzionando, oltre alla Legge e ai Profeti, rispettivamente la prima e la seconda parte della Bibbia
ebraica, anche i “Salmi”, che fanno parte della terza parte: “Gli Scritti” (come vedremo nel
paragrafo successivo).
Ora, una questione preliminare di fondamentale importanza emersa recentemente è
l’interrogativo se la designazione di “Antico Testamento” per la prima parte della Bibbia cristiana
sia appropriata.4 Il N.T. non conosce la categoria di “scritti antichi” come espressione per indicare
la Bibbia d’Israele. Tale formulazione nacque in seguito ed è stata conservata fino ai nostri giorni,
venendo associata – spesso con un certo deprezzamento – a quella parte della Bibbia cristiana che si

4
Per questo paragrafo e i successivi si veda E. ZENGER (ed.), Introduzione all’Antico Testamento, Queriniana, Brescia
20082, 13-50.
6
presume essere “antiquata” e a quella svalutazione dell’ebraismo rimasto ancorato a tali Scritture
ormai soprassate.
Di per sé la designazione di “Antico Testamento” non deve necessariamente avere connotazioni
negative, poiché ciò che è “antico” in certi campi (pensiamo ai mobili di antiquariato) ha più valore
di ciò che è nuovo. La coppia antico/nuovo andrebbe vista non in termini di opposizione, bensì in
termini di correlazione. Riteniamo tuttavia che la dicitura di “Antico Testamento” sia inadeguata e
possa scatenare continui fraintendimenti e fatali antigiudaismi, come mostra la storia della sua
ricezione all’interno del cristianesimo.
Tale dicitura condusse non pochi teologi della Chiesa antica all’idea sbagliata che la Chiesa
fosse la vera e propria destinataria di questo libro, prevista come tale da Dio fin dall’inizio. Essi
definirono la Chiesa “il vero Israele”, espressione che purtroppo ancora utilizzata da molti, che
rivela la vitalità di una sorta di “marcionismo latente” che dobbiamo superare. Tale marcionismo
latente è presente là dove l’Antico Testamento è letto con gli occhi del “compimento” e
“superamento” neotestamentari. Là dove la portata e la validità teologica dell’A.T. sono ridotte a
preparazione e promessa di quella realtà che è rivelata soltanto in Cristo Gesù.
Tali modalità di lettura possono essere ridotte fondamentalmente a tre modelli5:
 Modello della sostituzione: colloca la Chiesa semplicemente al posto di Israele cosicchè il
rapporto dell’ebraismo post-biblico con i testi della Bibbia ebraica non ha alcuna rilevanza
teologica.
 Modello tipologico: la funzione dell’A.T. è stata ed è di preparare alla rivelazione definitiva
di Gesù Cristo (di questa visione risentono anche i catechismi per fanciulli della CEI che
affermano che “Dio si scelse un popolo per preparare la venuta di Gesù”). Dal punto di vista
ermeneutico il modello tipologico non va escluso a priori. Ne fa ampio uso sia l’A.T. stesso e
il giudaismo ellenistico. Un esempio è la categoria dell ‘”esodo” che viene riletta e
attualizzata durante l’esilio in cui il Secondo Isaia paarla del ritorno in patria dei deportati
come un “nuovo esodo”. Ma qui l’antitipo “il nuovo esodo” non annulla affatto il tipo:
“l’esodo”, anzi, ne presuppone la permanente validità.
 Modello della selezione: ciò che non è stato assunto dalla cristologia neotestamentaria non è
nemmeno realtà rivelata bensì dipende dal fatto che la rivelazione è storicamente
condizionata.

Tutti questi modelli negano al popolo ebraico che non è “antico” ma è una realtà vivente nel
mondo di oggi, di attuare una sua legittima lettura e interpretazione della sua Bibbia.
5
Cf. M. GRILLI, Quale rapporto tra i due Testamenti? Riflessione critica sui modelli ermeneutici classici
concernenti l’unità delle Scritture, Epifania della Parola (A5), Dehoniane (BO), 2007; [or. 1989]; Pontificia
Commissione Biblica, Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, 2001.
7
Riteniamo pertanto che sarebbe meglio sostituire la dicitura “Antico Testamento” con “Primo
Testamento”, una nuova definizione che svolgerebbe una funzione correttiva. Tale dicitura ha
numerose implicazioni positive: evita il deprezzamento di questa parte della Bibbia cristiana; riflette
il dato di fatto storico: rispetto al “Nuovo/Secondo Testamento”, la Bibbia d’Israele è sorta come
“Primo Testamento”, ed era la prima Bibbia della giovane Chiesa; sul piano teologico è
un’espressione assolutamente corretta: attesta quel “Patto eterno” che Dio ha stipulato con Israele
suo “figlio primogenito” che non ha mai ripudiato (cf. Ger 31,35-37; 33,25-26; Rm 11,1-2.29)6,
come ha sostenuto Giovanni Paolo II a Mainz nel 1986, chiamando l’alleanza che Dio ha stipulato
con Israele “alleanza mai revocata”7.

V.2 La struttura tripartita del Tanak (vedi documentario sat 200 8 luglio)

Tanak è un acronimo (L'acronimo, dal greco akron, "estremità" + onοma, "nome", è un nome
formato con le lettere o le sillabe iniziali o finali di determinate parole di una frase o di una
definizione, leggibili come se fossero un'unica parola: es. ABI = Associazione Biblica Italiana)
composto con le lettere iniziali dei vocaboli Tôrah, “Legge”, Nebi’îm, “Profeti” e Ketûbîm,
“Scritti”. Secondo il conteggio moderno i libri del Tanak sono 39. L’ordine di successione dei tre
blocchi corrisponde all’ordine in cui sono entrati a far parte del canone. All’interno del secondo e
terzo blocco, l’epoca della nscita dei singoli libri è il criterio in base al quale essi si susseguono (per
es. il libro profetico di Daniele, conchuiso verso il 154 a.C., è inserito nel terzo blocco.

6
Cf. C. CARACCIOLO, «Il rapporto tra Chiesa e Israele», in AAVV, Essere Chiesa secondo S. Paolo. Lettera ai
Romani (capitoli 9-16), Arcidiocesi di Firenze, Anno pastorale 2008-2009 (17), 44-47.
7
Cf. N. LOHFINK, “L’alleanza mai revocata”. Riflessioni esegetiche per il dialogo tra cristiani ed ebrei, Queriniana,
Brescia (1991).

8
9
I libri da Giosuè a 2 Re, che i cristiani chiamano “libri strici”, nel Tanak sono annoverati tra i
Profeti, perché Giosuè e Samuele sono considerati profeti (cf. Sir 47,1), così Natan (1 Re 1); Achia
di Silo (1 Re 11,29-39; 14,12.18; 15,29); l’ “uomo di Dio” (1 Re 13); Elia, Eliseo Isaia (2 Re 19-
20), la profetessa Culda (2 Re 22,14-20).

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V.3 Il Primo Testamento: sacra Scrittura dei cristiani
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Il cristianesimo primitivo non ha fissato un canone proprio per il suo “Antico Testamento”, ma
ha considerato canonici quei libri che anche l’ebraismo, dal quale proveniva, considerava canonici.
Soltanto verso il 400 il canone dei LXX, più ampio, fu riconosciuto dalla chiesa occidentale
come “sacra Scrittura” rispetto al Tanak; la chiesa orientale si è unita on questo alla chiesa
occidentale nel VII sec. d.C. I riformatori a loro volta esclusero dal canone tutti i libri e le parti di
libri che non esistevano in ebraico. Contro questa scelta nel 1546 il concilio di Trento stabilì che i
libri di Tobia e di Giuditta, la Sapienza di Salomone, il Siracide, Baruc, 1-2 Maccabei, preservati in
lingua greca, dovevano essere considerati canonici. E’ possibile che Tobia, Siracide e Sapienza
fossero utilizzati già in comunità ebraiche per l’istruzione dei proseliti.
I libri biblici, nel canone cristiano, sono disposti in base al genere letterario e a punti di vista
cronologici. La struttura è quadripartita: Pentateuco, libri storici, libri profetici, libri sapienziali.
Nella pagina seguente forniamo il prospetto del Primo Testamento e del Tanak disposti su due
file parallele.

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IV. Illustrazione dei singoli libri ed esegesi di alcuni passi scelti

VI.1 Il Pentateuco (Tôrah)

VI.1.1 L’insieme dei libri: Pentateuco, Esateuco, Enneateuco, Tetrateuco

La designazione “Pentateuco” è di origine greca: penta-theucos Penta = cinque, theucòs = contenitore


cilindrico in cui venivano collocati i rotoli, quelli che per noi sono i “volumi” dei libri.
Si tratta dunque dei primi cinque rotoli, ossia dei primi cinque libri della Bibbia.
Nella Bibbia ebraica questo insieme di libri viene definito col nome TÔRAH, che noi traduciamo con
LEGGE. Non è una traduzione sbagliata ma insufficente e riduttiva, perché, se questi cinque libri contengono
molto materiale giuridico, la maggior parte del materiale è di ordine narrativo.

Il termine Tôrah (hrwøt) deriva dalla radice yrh ( hry ), che significa “insegnare” “dare delle
istruzioni-indicazioni”. Si tratta dunque delle “indicazioni di marcia” che Dio dà al suo popolo e a tutta
l’umanità, perché possa camminare nella via della vita, quei “segnali stradali” che indicano la direzione da
prendere per raggiungere la terra promessa, la dimensione della vita in pienezza nella comunione con Dio, con
gli uomini e il creato. La legge è data da YHWH al popolo solo dopo averlo liberato e con lo scopo che si
mantenga libero nella terra che sta per ereditare.
La liberazione dalla schiavitù è il presupposto fondamentale per il dono della legge e questo dono è offerto
al popolo in vista della sua esistenza libera nella terra.
Ci accorgiamo subito come questa idea di legge differisca da quella che comunemente abbiamo: la legge
considerata come qualcosa che mi viene imposto dal di fuori per costringermi e limitare la mia libertà. Idea
della legge come una gabbia.
Ma a noi, che ci è richiesto di “uscire dalla schiavitù d’Egitto”, dobbiamo essere capaci di “uscire” da
questo luogo comune che falsifica il vero significato della legge.
La legge viene data a un popolo che è stato liberato affinchè si mantenga libero .
Ora, queste indicazioni sono segnalate dalle leggi vere e proprie, i comandamenti, le prescrizioni, i decreti,
ma sono contenute anche negli stessi racconti. Attraverso il racconto della storia e del modo in cui Dio
interviene in essa, Egli rivela a noi il suo volto, e rivelandoci chi LUI è e quale disegno ha sul mondo rivela
noi a noi stessi. Dio, rivelando se stesso rivela l’uomo all’uomo, rivela all’uomo il senso della sua esistenza, il
suo essere nel mondo, la sua origine e la sua fine, o meglio, il suo fine.
Si tratta dunque di un’insegnamento offerto soprattutto attraverso storie, narrazioni.La Torah, il Pentateuco,
è compostoda leggi e narrazioni di eventi che sono il presupposto delle leggi. Come vedremo il decalogo, una
serie di formulazioni imperative, è preceduto da una sintesi riassuntiva di ciò che Dio ha operato a favore del
suo popolo e dunque dagli indicativi che “indicano” chi è Dio e chi è l’uomo al quale questo Dio rivolge le
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sue dieci parole imperative.
Alcuni studiosi hanno pensato che si potesse parlare di Esateuco o Ennateuco. La promessa della terra
raccontata in Gen-Dt si realizza soltanto nel libro di Giosuè con la conquista della terra di Canaan (esateuco =
sei libri). Si riscontrano anche linee interpretative che estendono il complesso letterario fino ai libri dei Re, il
che ha condotto alla dicitura “ennateuco” (nove libri). Questi nove libri raccontano la storia d’Israele dalla
creazione fino all’esilio in un complesso di eventi cronologicamente ordinato. Altri studiosi ritengono che si
possa parlere di un complesso letterario che, dopo il Levitico, quarto libro del Pentateuco, cominci con
Deuteronomio una storia che arriva fino a 2 Re e che è designata con il nome di “Storia deuteronomistica”. In
questo caso non si avrebbe più un Pentateuco, bensì un Tetrateuco (quattro libri).
In realtà, negli ultimi versetti del Deuteronomio stabiliscono una netta differenza tra Mosè e Giosuè
segnalando una cesura tra l’ultimo libro della Torah e il primo libro dei “Profeti” o della “storia
deuteronomistica”. Tra l’altro lo stesso libro di Giosuè attesta che la Torah è un libro in sé conchiuso e a sé
stante, perché YHWH dice a Giosuè: “Il libro della Torah non dovrà mai allontanarsi dalla tua bocca, lo
dovrai recitare di giorno e di notte” (Gs 1,8).
Per quanto riguarda i nomi dei singoli libri, mentre la traduzione giudaica per indicarne il nome usa le
parole iniziali di ciascuno di essi (come i documenti magisteriali), nel cristianesimo si sono imposti i titoli che
ricorrono nelle traduzioni della Bibbia in greco, che si riferiscono ai rispettivi contenuti.

Titolo ebraico Titolo greco

Bere’shit “In principio” génesis Genesi “Origine”


shemôt “Nomi” exodos Esodo “Uscita”
wajjiqrà “Egli chiamò” leuitikòn Levitico “Il libro
sacerdotale della Legge”

bemidbar “Nel deserto” Aritmoi Numeri “Numeri”


debarîm “Parole” Deuteronòmion “La seconda Legge”

Sintesi del contenuto dei singoli libri

- Nel primo libro (Genesi ):


1-11. La creazione del mondo e la storia primordiale dell’umanità, che può essere anche
considerata una preistoria alla storia d’Israele, una specie di prefazione che colloca la
storia di questo popolo nel contesto ampio della storia dell’umanità.
12-50. La storia dei patriarchi d’Israele ai quali viene promessa la terra che possederanno
solo parzialmente finendo, a motivo di una carestia, in Egitto, fuori dalla terra
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promessa.

- Nel secondo libro (Esodo):


l’uscita dall’Egitto (nascita d’Israele come popolo), il cammino nel deserto verso la terra
promessa (nel quale la tappa al Sinai costituisce il momento centrale che segna il reciproco
impegno di Dio con Israele e d’Israele con il suo Dio attraverso la stipulazione
dell’alleanza). La tenda dell’incontro, costruita al Sinai, guida il popolo verso la terra
promessa.

- Nel terzo libro (Levitico):

le leggi promulgate durante la tappa al Sinai (tra le quali le istruzioni sulla


costruzione del santuario e le prescrizioni cultuali ad esso collegate)

- Nel quarto libro (Numeri):

le ultime istruzioni al Sinai e il cammino nel deserto con un riassunto delle diverse
tappe

- Nel quinto libro (Deuteronomio):

l’ultimo grande discorso di Mosè nelle steppe di Moab, davanti al Giordano, sulle
soglie della terra promessa, che comprende l’arco di una sola giornata, l’ultimo
giorno della vita di Mosè, che costituisce il suo testamento, le ultime istruzioni rivolte
al popolo perché possa entrare in possesso della terra e mantenersi libero in essa.

VI.1.2 Ipotesi sull’origine del Pentateuco e sviluppi dell’indagine scientifica8

Per molto tempo nel giudaismo come nella chiesa ha prevalso l’idea che il Pentateuco fosse opera di Mosè.

8
Da questo punto in poi per quanto riguarda questo paragrafo si veda J. L. SKA, Introduzione alla lettura del
Pentateuco. Chiavi per l’interpretazione dei primi cinque libri della Bibbia, EDB, Bologna 2000.
19
Nella sacra Scrittura infatti è denominato “La Legge di Mosè”.
In realtà è impossibile attribuire il Pentateuco a un solo autore. Molti testi legislativi e narrativi, da una
parte, si rassomigliano e, dall’altra, contengono delle differenze palesi. Sono i famosi “doppioni” del
Pentateuco, il primo dei quali è il doppio racconto della creazione nei primi tre capitoli di Genesi. Vi sono
delle divergenze evidenti fra le varie leggi, sopratutto fra i tre codici maggiori, cioè il “codice dell’alleanza”
(Es 20,22-23,33), il “codice deuteronomico” (Dt 12,1-26,15) e la “Legge di santità” (Lv 17-26). L’analisi
mostra che alcune leggi sono state scritte in rierimento ad altre per correggerle.
Per fare uno dei tanti esempi possibili prendiamo le leggi sugli schiavi.
“Codice dell’alleanza” (Es 21,2-11): mette in rilievo i diritti e i doveri dei padroni nei riguardi dei servi e
delle serve.
“Codice deuteronomico” (Dt 12-18): insiste sulla fraternità e la solidarietà che devono unire tutti i membri
del popolo d’Israele. Quando il servo e la serva finiscono il loro tempo di servizio, hanno diritto alla “buona
uscita”.
“Legge di santità” (Lv 25,39-55): abolisce la schiavitù in Israele basandosi sul principio teologico che tutti
i membri del popolo d’Israele sono “servi” di Dio e non possono essere servi gli uni degli altri Davanti al Dio
dell’esodo che ha liberato Israele dalla casa di servitù, tutti i membri del popolo sono uguali.

Questo fatto pone un problema giuridico: quale legge vige in materia di servitù?
Queste leggi contraddittorie si trovano nello stesso Pentateuco e godono della stessa autorità divina e
mosaica. Se queste leggi fossero state scritte da un unico autore, la legislazione d’Israele risulterebbe confusa
e inapplicabile.
Allo stesso modo il comandamento del sabato lo abbiamo in due versioni che differiscono riguardo alla
motivazione. Es 20,8-11 riallaccia il comandamento al riposo di Dio nel settimo giorno della creazione
(20,11), mentre Dt 5,15 lo riallaccia all’esperienza dell’esodo, imperniato sull’esperienza dell’esodo diventa il
simbolo dei doveri verso il Dio liberatore e verso il prossimo liberato (“ricordati che sei stato schiavo nella
terra d’Egitto”).
Per quanto riguarda i testi narrativi siamo in presenza di doppia o tripla versione di un solo evento o vi
sono doppioni all’interno di un racconto.
Come abbiamo accennato, son dalle prime pagine della Bibbia appare questo fenomeno dei doppioni:
abbiamo infatti due versioni della narrazione della creazione. Per quanto riguarda anche la narrazione del
diluvio (Gen 6-9) abbiamo il caso di doppioni all’interno dello stesso racconto9.

Fu per primo Baruch Spinoza, un filosofo ebreo (1632-1677) che giunge alla concusione che il Pentateuco

9
Non abbiamo qui il tempo di illustrare tutti gli esempi. Rimandiamo al testo di J.L. Ska segnalato all’inizio di questo
paragrafo.
20
non fosse stato scritto da Mosè ma forse dallo scriba Esdra molto tempo dopo di lui. Per queste sue idee fu
espulso dalla sinagoga e le sue opere furono messe all’indice dalla chiesa cattolica. In Inghilterra Thomas
Hobbes giunge alla stessa conclusione. Richard Simon (sacerdote oratoriano; 1638-1722) è uno dei pionieri
della critica biblica. Nella sua Histoire critique du Vieux Testament ammette l’origine mosaica del Pentateuco,
ma suggerisce che la sua forma finale è dovuta all’attività di scribi e giuristi dal tempo delle origini fino a
Esdra. Le sue idee furono fortemente attaccate dai cattolici.
E’ nel 1711 che un giovane pastore protestante, Bernhard Witter (1683-1715) pubblica uno studio su Gen
1-3 in cui fa notare la differenza fra gli appellativi divini Elohim (1,1-2a) e YHWH Elohim (2,4b-3,24). Witter
pensa che Mosè abbia utilizzato varie “fonti” per comporre il Pentateuco. Il suo libro sarà dimenticato fino al
1925.
Per molti esegeti, il padre dell’ipotesi documentaria è invece Jean Astruc, un medico di Luigi XV (1684-
1766). Sulla base dei diversi appellativi divini, Elohim e YHWH, costruisce come Witter una teoria
sull’origine del Pentateuco individuando tre fonti. In Germania J. G. Eichorn riprende la teoria di de Wette.
Gli specialisti si dividono in tre gruppi e propongono tre teorie principali sull’origine del Pentateuco:
l’ipotesi dei documenti, l’ipotesi dei frammenti e l’ipotesi dei supplementi.
Ipotesi dei documenti: all’origine del Pentateuco attuale vi sono vari documento paralleli, completi e
indipendenti.
Ipotesi dei frammenti: all’origine ci sarebbe una pluralità di fonti, di piccole unità narrative e di testi
separati e incompleti, che furono riuniti molto tempo dopo la morte di Mosè per formare il Pentateuco attuale.
Ipotesi dei complementi: un editore avrebbe completato con brani un documento jahwista durante l’ultimo
periodo della monarchia di Giuda. L’opera finale, frutto di un lavoro editoriale di parecchi secoli, copre gli
attuali primi sei libri della bibbia (Esateuco). Nel XIX secolo vi fu in tutta Europa diversi movimenti di idee:
l’immulinismo (che rivendicava la l’autonomia della ragione davanti ad ogni forma di autorità); il
romanticismo e l’interesse per la storia. A poco a poco si fa strada l’idea che l’ispirazione divina dei testi non
escluda l’origine umana e storica dei libri (ciò che sarà sostenuto, secoli più tardi nella Dei Verbum 11).
Per quanto riguarda gli studi sul Pentateuco si avvertiva il bisogno di datare le varie fonti o frammenti o
supplementi. De Wette parte dal libro delle Cronache che, a suo avviso, hanno retroproiettato nel passato
mosaico le istituzioni di un’epoca molto più tardiva per dare ad esse il sigillo dell’autorità e dell’antichità.
In seguito De Wette applica la sua teoria a tutto il Pentateuco: i testi narrativi e legislativi dei primi cinque
libri della Bibbia rappresentano le preoccupazioni di epoche posteriori che volevano spiegare, a partire dal
passato, l’origine e il destino di Israele nel mondo.
De Wette identifica poi il libro del Deuteronomio, almeno nella sua versione più antica, con il “libro”
trovato nel tempio durante il regno di Giosia. Lesegeta giunse a questa conclusione dopo aver osservato che le
riforme di giosia (2 Re 23) corrispondono in gran parte con le esigenze delle leggi deuteronomiche in campo
cultuale: centralizzazione e purificazione del culto.
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Verso il 1800, un gran numero di esegeti distingueva nel Pentateuco due “fonti” principali: l’Elohista e lo
Yahwista, secondo il nome divino che usavano nel libro della Genesi e in Es 1-2. L’Elohista offriva un
racconto più articolato che strutturava l’insieme della storia. Inoltre appariva più fedele alla storia, poiché il
nome divino YHWH venne rivelato soltanto al tempo di Mosè (Es 3,14; 6,3). Più tardi gli esegeti hanno
identificato quattro fonti: due Elohisti (sigle E1 ed E2), uno Yahwista (sigla J dal tedesco Jahwist) e il
Deuteronomio (sigla D).
Nel 1833 Eduard Reuss si accorge che i profeti preesilici ignorano le prescrizioni della Legge mosaica,
specialmente quelle rituali, che sono invece molto vicine a testi postesilici come quelli di Ezechiele.
Si arriva a dire che l’Elohista deve essere non la prima, ma piuttosto l’ultima fonte del Pentateuco e non
può essere stata scritta prima dell’esilio. Tale fonte sarà chiamata (da A. Kuenen) “codice sacerdotale (sigla P
dal tedesco Priestercodex).
Juluis Wellhausen conferirà a questi studi una forma definitiva esponendo con grande chiarezza la sua
ipotesi. Wellhausen è innanzitutto uno storico che vuole ricostruire una “storia d’Israele”. Gli esegeti di
questo periodo storico capivano la storia come evoluzione o sviluppo (Hegel), tuttavia, come i romantici, il
periodo ideale non era l’ultimo, ma il primo. Secondo questa visione l’inizio della monarchia israelitica era
l’età dell’oro della religione d’Israele. Wellhause distingue tre periodi principali nella religione d’Israele cui
corrispondono tre attività letterarie: inizi della monarchia:Yahwista e Elohista; riforma deuteronomica: il
Deuteronomio; periodo postesilico: scritti sacerdotali, spontanea, libera e genuina.
L’ordine classico della “ipotesi documentaria” di Wellhausen è il seguente: J (Jahwista); E (Elohista); D
(Deuteronomio); e P (sacerdotale).
La religione dello jawhista è naturale, spontanea, libera e genuina.Con il Deuteronomio inizia un processo
di degenerazione, accompagnato da una progressiva centralizzazione e ritualizzazione della religione. Le
regole prendono il posto della spontaneità. Questo processo giunge al culmine nella religione instaurata dal
sacerdozio postesilico: legalismo e ritualismo hanno il sopravvento sulla libertà. Questa visione delle cose
risente fortemente dell’influsso del romanticismo. Il filosofo romantico Jean Jaques Rousseau fece un'aspra
critica della civiltà come causa di tutti i mali e le infelicità della vita dell'uomo, con il corrispondente elogio
della natura come depositaria di tutte le qualità positive e buone. La natura è libera, spontanea, genuina.
Ricordiamo come nella riforma deuteronomistica vennero distrutti i santuari locali legati al culto della
natura e le feste ebraiche, da feste agricole, diventarono memoria delle geste salvifiche di Dio nella storia
d’Israele perdendo ogni legame con la natura. Questa visione negativa del periodo postesilico è il grande
limite del sistema di Wellhausen e dei suoi discepoli. In realtà le culture primitive conoscono più restrizioni e
costrizioni di quanto Rousseau pensasse.
Un secolo dopo Wellhause cambia la mentalità. Due fattori influenzano il mondo intellettuale ed esegetico
nella seconda metà del IXX secolo: le scoperte del Medio Oriente antico e il gusto per la letteratura popolare.
Gunkel risalirà al tempo precedente alla scrittura, il tempo delle tradizioni orali tramandate di padre in
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figlio. Egli si spinge quindi oltre il periodo monarchico, all’epoca dei Giudici e ancora oltre, al tempo in cui
Israele era seminomade. Gli studiosi sono alla ricerca dell’ambiente vitale in cui sono stati generati i testi,
ovvero al loro cosìdetto Sitz im Leben = ambiente vitale, il contesto esistenziale dei testi letterari. Così Gunkel
ha individuato l’ambiente vitale che ha originato i racconti patriarcali nei clan familiari seminomadi in cui gli
anziani narravano le gesta dei padri.
Nella prima metà del XX secolo la tendenza prevalente fu quella di cercare il nucleo originale della fede
d’Israele. L’età dell’oro della religione d’Israele è il periodo dei Giudici e il periodo precedente in cui Israele
era ancora seminomade.
Secondo A. Alt il “Dio dei padri” appartiene alla religione dei seminomadi, perchè la divinità non è legata
a un luogo, bensì a una persona.
Lo studioso più importante di questo periodo, Gerhard von Rad formula la sua tesi più importante
concernente l’origine dell’Esateuco e la figura dello Jahwista. Egli afferma che il Pentateuco attuale sia un
ampliamento di un cucleo primitivo, il “piccolo credo storico” presente in testi antichi come Dt 26,5b-9; 6,20-
23; Gs 24,2b-13). In queste brevi affermazioni di fede, sotto forma di riassunti della storia d’Israele, due
momenti sono importanti: l’esodo e il dono della terra. Il “piccolo credo storico” ha come ambiente vitale la
festa delle Settimane e della Mietitura (Pentecoste) legata all’offerta delle primizie (Dt 26,2-3) che celebrava
l’entrata nella terra promessa, culmine del “piccolo creo storico” (Gs 4,19-24).
Il dono della Legge si celebrava a Sichem durante la festa dei Tabernacoli (o delle capanne), in autunno (Dt
31,9-13). A partire da questi “credo” cultuali lo Jahwista avrebbe composto la trama narrativa del suo
Esateuco, al tempo di Salomone.
Per von Rad lo Jahwista è un genio letterario e teologico dell’epoca salomonica Von Rad parlerà di
“illuminismo salomonico”. Il primo periodo monarchico è l’età dell’oro nella storia di israele.
Con Martin Noth abbiamo un’altra ipotesi. Secondo questo studioso il Deuteronomio attuale è diventato
soltanto in uno stadio recente il quinto libro del Pentateuco. In uno stadio anteriore, questo libro fungeva da
prefazione alla grande opera che si estende dal libro di Giosuè fino a 2 Re. Il deuteronomista, che lavorava
durante l’esilio, interpreta tutta la storia d’Israele alla luce della “Legge di Mosè” e misura ogni evento o
regno secondo questo metro. Noth ipotiza l’esistenza di una confederazione delle dodici tribù in Israele
(secondo il modello delle anfizionie greche) che avevano un santuario comune in cui celebravano le loro feste
e recitavano le loro gesta comuni.
Negli ultimi anni regna una grande confusione nellesegesi del pentateuco. Attorno agli anni ’70 del secolo
scorso nell’esegesi del Pentateuco i grandi maestri del passato vengono criticati e, come in unterremoto, le
fondamenta delle loro ipotesi cominciano a tremare. L’ipotesi documentaria e la stesa esegesi storico-critica
vengono messe in questione. Nell’ambiente anglossassone si impone un nuovo pensiero secondo il quale per
capire un testo non si deve necessariamente spiegare la sua origine, facendo un lavoro di scavo archeologico
alla ricerca dello strato più antico del testo, considerato come il migliore (studio dia-cronico), bensì si prende
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in considerazione la forma finale del testo e lo si legge con uno sguardo complessivo (lettura sin-cronica). Il
più famoso esponente di questa corrente è B. S. Childs che considera il testo nella sua stesuta finale, o, come
dice lui, nella sua forma “canonica” .
Per Wellhausen il periodo postesilico era quello in cui era nato il giudaismo, una degenerazione della
genuina religione d’Israele. A partire dagli anni ’70, al contrario, quasi ogni scritto di qualche importanza è
sorto durante l’esilio o nel postesilio.
Come dice ironicamente J.L Ska: “Lo Jahwista, di conseguenza, trasloca dalla confortevole corte di Davide
o di Salomone per andare ad abitare in esilio, a Babilonia, oppure, per alcuni, viene addirittura a partecipare
alla costruzione del nuovo tempio” 10. A partire dalla metà del secolo scorso si tiene maggiormente conto della
complessità dei fenomeni storici nei quali è sempre più difficile vedere evoluzioni lineari verso il prohresso o
la decadenza. La realtà non si lascia più ridurre a schemi semplici come al tempo di Wellhausen e vige una
profonda diffidenza verso le ideologie.
Il dibattito attuale veret sopratutto sullo Jahwista e la sua preistoria nella tradizione orale.
Tanti presupposti delle varie ipotesi del 1800 e primi del 1900 cadono. Sembra non si possa più parlare di
un periodo “nomade”, come abbiamo visto nella parte dedicata alla storia d’Israele. Non si può nemmeno
parlare di un’anfinionia delle tribù israelitiche in parallelo con l’anfizionia greca. Anche la tesi di von Rad
cade perché viene dimostrato che i testi da lui ritenuti antichi, che avrebbero contenuto il cosidetto “credo
storico” d’Israele, si sono rivelati testi deuteronomistici piuttosto recenti.
Dopo il crollo delle grandi ipotesi sull’Israele premonarchico, diventava difficile far risalire lo Jahwista a
questa epoca, E se cambiava il volto dello Jhawista, doveva cambiare il volto dell’ipotesi documentaria.
Per quanto riguarda l’Elohista: i genere gli esegeti attribuivano all’Elohista i testi o frammenti che non
potevano attribuire allo J o al P. Nella fonte E, pertanto, si raccoglievano gli “avanzi” rimasti dopo la
determinazione delle altre fonti.
Già dal 1933 si alzano le prime voci contrarie all’esistenza di una fonte elohista. Oggi ben pochi studiosi
parlano ancora di una “fonte E”. Le obiezioni sono numerose e sono state riassunte da E. Zenger nella sua
“Introduzione all’Antico Testamento”.
Esistono solo frammenti di questa fonte nel Pentateuco attuale. I brani attribuiti a E non hanno molti
elementi in comune. E’ difficile parlare della “trama” o del “disegno teologico” del racconto elohista.
Alcuni testi generalmente considerati E sono adesso considerati tardivi e attribuiti a D (es. Gen 22).
Per quanto concerne lo Jahwista nella ricerca recente, la discussione verte principalmente su due aspetti
della fonte J: la sua esistenza come “fonte”; la sua datazione.
L’attacco frontale contro lo J è venuto da R. Rendtorff che denuncia l’inconciliabilità delle posizioni di
Gunkel e di von Rad: J non può essere un raccoglitore di storie come per Gunkel e un grande teologo che ha
pianificato una grande opera letteraria secondo un chiaro disegno letterario, come affermava von Rad.

10
Cf. J.L. Ska, 147.
24
Rendtorff insiste sulla differenza delle storie patriarcali e l’esodo. Quando inizia il racconto dell’esodo non si
parla più della promessa fatta ai padri. l’idea di una marcia verso la terra promessa ai padri è frequente,
invece, nel Deuteronomio. Per quanto riguarda la formazione del Pentateuco attuale Rendtorff distingue
l’opera redazionale di stampo deuteronomistico e un’altra di stampo sacerdotale a cui occorre aggiungere
qualche intervento redazionale posteriore.
Per E. Blum il Pentateuco attuale è il frutto di un compromesso che ebbe luogo durante l’epoca persiana.
Esistevano due correnti importanti, l’una “laica” (sopratutto aristocrazia terriera il cui organo rappresentativo
erano gli “anziani”) e l’altra sacerdotale (difendeva le prerogative delle famiglie sacerdotali del secondo
tempio di Gerusalemme).
I due gruppi hanno composto una propria “storia delle origini d’Israele”.
Le due opere esistevano quindi l’una accanto all’altra. La prima, quella dei laici e degli anziani, viene
chiamata “composizione D” o “deuteronomistica”. La seconda viene chiamata “composizione P” o
sacerdotale.
Quando il governo persiano decise di accordare una certa autonomia alla provincia di giuda, ci voleva un
solo documento legislativo per definire la nuova entità politica. Inoltre l’Israele postesilico doveva riunirsi per
vivere.
Per queste ragioni esterne e interne, si creò il Pentateuco attuale e le due “composizioni” furono congiunte
in una sola opera che diventò pertanto il documento ufficiale dell’autorizzazione imperiale persiana.
Per molti studiosi attuali lo Jahwista segue cronologicamente il Deuteronomista e lo corregge. E’ più
liberale, umanistico e universalistico, è contrario al legalismo e al nazionalismo.
Lo scopo di P è di tritrovare nel passato le salde fondamenta sulle quali si possa ricostruire la comunità
d’Israele. Per P, queste fondamenta sono religiose. L’esistenza dell’universo postdiluviano dipende
interamente dall’alleanza unilaterale di Dio cone Noè (Gen 9,1-17). In altre parole, il fondamento è
indistruttibile perchè è stato stabilito da Dio. L’esistenza di Israele ha anch’essa il suo fondamento in Dio:
l’alleanza unilaterale di El Shaddai (Dio onnipotente) con Abramo e i suoi discendenti /Gen 17). Su questo
punto P modifica la teologia dell’alleanza deuteronomica. Per il Dt, la benedizione dipendeva dall’osservanza
della Legge da parte del popolo (alleanza bilaterale, condizionata). Per P l’alleanza è un dono puramente
gratuito di Dio (alleanza unilaterale e incondizionata).
Siccome il popolo non è stato fedele, è giunta la maledizione dell’esilio. Occorreva pertanto trovare nel
passato un fondamento più solido che non fosse legato alla fragile fedeltà umana. P lo trova nell’alleanza
unilaterale e non condizionata di Dio con Abramo (Gen 17).

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