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LE FASCE

Ruolo dei tessuti nella meccanica umana

di Serge Paoletti

Edizioni Sully

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EMBRIOLOGIA
Stiamo per fare un richiamo embriologico considerando l’uovo a partire dalla seconda settimana,
che corrisponde alla formazione dei foglietti, fino alla ottava settimana, che corrisponde alla fine
della formazione dell’embrione. Le tappe che seguono costituiscono la formazione del feto.

FORMAZIONE DEL DISCO EMBRIONARIO DIDERMICO


Nel corso della seconda settimana il blastocita, formato nella prima settimana, s’impianta
solidamente nella membrana o trofoblasta.
Trofoblasta e bottone embrionario proseguiranno ciascuno il proprio sviluppo.
Il trofoblasta si defferenzierà in:
- sinciziotrofoblasta
- citotrofoblasta.
Le cellule del bottone embrionario formeranno due strati:
- l’ectoblasta
- l’endoblasta, che forma il disco embrionario didermico
Inizialmente le cellule ectoblasiche sono in connessione con il citotrofoblasta, ma, in seguito
appaiono delle piccole fessure intercellullari fra i due strati. Queste fessure divengono presto
confluenti e danno vita alla cavità amniotica. Si stabilisce una giunzione tra l’amnioblasta e le
cellule dell’ectoblasta, che
prende il nome di giunzione
amnio-ectoblastica.
Il trofoblasta in seguito si
sviluppa considerevolmente ,
particolarmente al polo
embrionario, dove si vedono
apparire dei vacuoli
intracitoplasmatici, che
daranno vita agli spazi
lacunari. Durante questo
tempo, al polo anti-
embrionario, alcune cellule
appiattite si slaminano sulla
superficie interna del

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citotrofoblasta e formano la membrana di Heuser che si continua col bordo dell’endoblasta e forma
con questo il sacco vitellino primitivo o cavità exocelomica. All’undicesimo-dodicesimo giorno di
sviluppo, il blastocita determina una leggera sopraelevazione della faccia interna dell’utero.
Simultaneamente le cellule sinciziali penetrano più profondamente nello stroma, secernendo una
sostanza vasodilatatrice che dilata i capillari materni, che prendono il nome di capillari sinusoidi
(fig 1).
Il sincizio lacunare si trova allora in continuità con le cellule endoteliali dei vasi e il sangue materno
penetra nel sistema lacunare; finalmente verrà ad aprirsi nello spazio lacunare dei capillari arteriosi
e venosi. Sotto l’effetto della differenza di pressione tra capillari arteriosi e venosi, si stabilisce una
circolazione di sangue materno nel sistema lacunare trofoblastico: è la circolazione utero-
placentare. Nella faccia interna del citotrofoblasta le cellule continuano a slaminarsi per formare il
mesenchima extra-embrionale. Presto in questo tessuto appariranno delle grandi cavità, che
formeranno una nuova cavità, il celoma extra-embrionale che circonderà il sacco vitellino primitivo
e la cavità amniotica eccetto che a
livello della sua connessione con il
trofoblasta. Il mesenchima extra-
embrionale che tappezza il
citotrofoblasta e l’amnio è chiamato:
somatopleura extra-embrionale;
quello che tappezza il sacco vitellino:
splancnopleura extra-embronale.
Verso il tredicesimo giorno il
foglietto ectoblastico embrionale, che
comincia a formare uno strato di
cellule epiteliali sulla faccia interna
della membrana di Heuser, continua a
proliferare e dà una nuova cavità:
sacco vitellino secondario o
lecitocele. Questa è molto più piccola della cavità exocelomica; importanti frammenti di
quest’ultima sono eliminati, tuttavia persistono nel celoma esterno delle cisti axocelomiche (fig 2).
Verso la fine della seconda settimana il disco embrionale è rappresentato da due dischi uniti:
- il foglietto ectoblastico che forma il pavimento della cavità amniotica
- il foglietto endoblastico che forma il tetto del lecitocele.

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FORMAZIONE DEL DISCO
EMBRIONARIO TRIDERMICO
È lo stadio gastrula.
La terza settimana di sviluppo è
caratterizzata dalla formazione della linea
primitiva sulla superficie dell’ectoblasta che
guarda verso la cavità amniotica (fig 3).
L’estremità craniale di questa linea è
chiamata nodo di Hansen e si presenta come
una depressione leggermente sopraelevata.
Le cellule dello strato ectoblastico si spostano sulla superficie del disco in dirazione della linea
primitiva; in quel punto queste si invaginano nel solco e poi migrano nuovamente in direzione
laterale tra ectoblasta ed endoblasta, per formare il mesoblasta. Le cellule che si invaginano nella
regione del nodo di Hansen migrano in direzione craniale fino alla lamina procordale e formano una
invaginazione a dita di guanto a partire dal nodo di Hansen: il canale cordale. Quest’ultimo si ferma
alla regione procordale a causa di legami molto stetti tra ectoblasta ed endoblasta (fig 4). Verso il
diciasettesimo giorno il cordomesoblasta separa interamente l’ectoblasta dall’endoblasta eccetto a
livello della membrana cloacale e della placca procordale, il canale cordale si chiude e forma un
cordone denso, la
notocorda definitiva.
La linea primitiva
regredirà verso la
quarta settimana (fig
5).
Attorno al
ventesimo giorno
l’embrione è
attaccato al
trofoblasta solo
tramite il peduncolo
embrionale, futuro
cordone ombelicale.

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DIFFERENZIAZIONE DEI FOGLIETTI E DELIMITAZIONE
Dalla quarta all’ottava
settimana ciascuno dei tre
foglietti formerà un certo
numero di tessuti specifici
e di organi (fig 6). Durante
questo periodo la forma
dell’embrione cambia
notevolmente arrivando a
forme riconoscibili verso la
fine del secondo mese.

A-I derivati del mesoblasta


Verso il ventesimo giorno le cellule del mesoblasta accanto alla linea mediana proliferano per
formare il mesoblasta para-assiale. Lateralmente il mesoblasta resta più spesso e forma la lamina
laterale, che in seguito si sfalda in due strati:
- la somatopleura intraembrionale, che andrà a ricoprire l’amnios
- la splancnopleura intraembrionale, che ricoprirà il sacco vitellino (fig 7).
Questi due strati delimiteranno il celoma interno.
Il tessuto che unisce il mesoblasta para-assiale e la lamina laterale è chiamato mesoblasta
intermedio.

1) Mesoblasta
para-assiale
Alla fine della
terza settimana il
mesoblasta para-
assiale si divide
per formare i
somiti; questi si
sviluppano in
direzione cranio-
caudale fino ad un numero di 42-44 paia.

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All’inizio della quarta settimana i somiti migrano in direzione della corda dorsale e costituiscono lo
sclerotoma, formato da tessuto connettivo giovane che possiede un alto potere di differenziarsi,
potendosi trasformare in:
- fibroblasto, che forma le fibre reticolari, di collagene ed elastiche
- condroblasto, che darà la cartilagine
- osteoblasto, che darà lo scheletro osseo.
La parete del somite, dopo la migrazione dello sclerotoma, costituisce il dermomiotoma, dalla sua
faccia interna si staccherà il miotoma che fornirà gli elementi muscolari del segmento metamerico
corrispondente. Dopo la formazione del miotoma, le cellule rimanenti si disperdono sotto
l’ectoblasto sottostante che le ricoprirà per formare il derma e il tessuto sottocutaneo.

2) Mesoblasta intermedio
(fig 8)
- Nella regione cervicale e
toracica superiore originerà
i futuri nefrotomi.
- Nella regione caudale
creerà il cordone nefrogeno,
futuro rene, che sarà
completato dal sistema
secretorio

3) Le lamine laterali
Abbiamo già visto che si differenziano in: somatopleura e splancnopleura e che tappezzano il
celoma intraembrionale. Al momento dell’avvolgimento dell’embrione:
- la somatopleura forma, con l’ectoblasta che la ricopre, la parete laterale e ventrale dell’embrione

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- la splancnopeura si avvolge attorno all’endoblasta per formare la parete del tubo digerente (fig
9).
- A metà
della
terza

settimana le cellule mesoblastiche, situate su ciascun lato della fila mediana e di fronte alla
placca procordale, formeranno l’abbozzo del cuore e dei vasi; per gemmazione i vasi extra-
embrionali entreranno in connessione con i vasi intra-embrionali facendo comunicare la
circolazione embrionale e placentare (fig 10).
Il mesoblasta da dunque vita a differenti formazioni:
- tessuto connettivo, cartilagine, ossa, muscoli striati e lisci
- pericardio, pleura e peritoneo
- cellule sanguigne e linfatiche, pareti del cuore, dei vasi sanguigni e linfatici
- rene, gonadi e i loro apparati escretori
- le corticosurrenali e le midollo
surrenali
- milza
il tessuto connettivo che ci interessa
in primo luogo è dunque il
mesoderma e più in particolare il
mesenchima.
Le cellule mesenchimali si
moltiplicano e migrano in tutto
l’embrione riempendo gli spazi vuoti
e insinuandosi tra le cellule degli
organi. Dalle cellule mesenchimatose
di questa rete primitiva derivano

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direttamente o indirettamente tutti i costituenti del tessuto connettivo. Le cellule mesenchimatose
rappresentano i precursori della maggior parte di tipi di cellule contenute nel tessuto connettivo
adulto. Alcune cellule non si differenziano e persistono sotto la loro forma primitiva; queste sono le
cellule indifferenziate, che giocano un ruolo preponderante nella crescita, riparazione e in certi
meccanismi di difesa del corpo. Le cellule indifferenziate conservano la loro potenzialità
embrionale nel moltiplicarsi e trasformarsi in nuove file di cellule specializzate.
Il mesoblasta, come abbiamo visto, è avvolto da due foglietti, uno esterno, l’ectoblasta di cui una
parte lo ricopre durante lo sviluppo embrilogico; l’altro interno, l’endoblasta, che lui stesso sosterrà.

B-I derivati dell’ectoblasta


(fig 11)
All’inizio della terza settimana,
nello stesso momento in cui si
forma la notocorda, il disco
ectoblastico da vita al sistema
nervoso centrale, che si allarga
verso la linea primitiva
formando la placca neurale.
I bordi laterali di questa placca in seguito si solleverranno e formerranno le creste neurali, mentre la
depressione mediana formerà il solco neurale. Le creste neurali si avvicinerranno l’una all’altra e si
fonderanno per formare il tubo neurale. Il sistema nervoso comprende allora una porzione
cilindrica stretta, il cordone midollare, e una porzione cefalica più larga, le vescicole cerebrali, che
alla fine della quarta settimana da vita alle vescicole otica e ottica. Quindi durante lo sviluppo
dell’embrione l’ectoblasta si scinde in due parti:
- una parte sarà ricoperta dal mesoblasto e forma il sistema nervoso che invierà delle espansioni
durante lo sviluppo nel mesoblasto e attraverso di questo nell’endoblasto.
- una parte ricoprirà il mesoblasta e formerà l’epidermide.
L’ectoblasta da dunque vita alle seguenti strutture:
- sistema nervoso centrale e periferico
- epitelio sensoriale degli organi di senso
- epiderma e suoi annessi (peli, unghie e ghiandole cutanee)

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- ipofisi
- smalto dei denti

C-I derivati dell’endoblasta


Dalla crescita del S.N.C. e dei somiti,
l’embrione subisca una piegatura
longitudinale e trasversale, che
ingloberà una parte del sacco
vitellino nella cavità così formata.
Questa incorporazione vitellina
formerà l’abbozzo del tubo digerente
(fig 12).
L’endoblasta formerà l’intestino anteriore, medio e posteriore.
- l’intestino anteriore sarà provvisoriamente chiuso dalla membrana faringea
- l’intestino posteriore sarà chiuso dalla membrana cloacale, che in seguito si dividerà in
membrana urogenitale e anale (fig 13). In questo periodo, a causa della piegatura laterale, la
delimitazione
dell’embrione
avverrà con la
formazione della
parete addominale,
che contiene una
formazione
tubulare: l’intestino
primitivo. In
seguito con la
formazione della
piega caudale alla fine della quarta settimana, la vescicola ombellicale e il peduncolo
embrionale si fondono per formare il cordone ombelicale. L’endoblasta dà dunque vita alle
strutture seguenti:
- il rivestimento epiteliale del tubo digestivo, della vescica e dell’uretra
- l’epitelio di rivestimento dell’apparato respiratorio
- l’epitelio di rivestimento della cassa del timpano e della tromba di Eustachio
- il parenchima dell’amigdala, della tiroide, della paratiroide e del timo

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- l’esofago, lo stomaco, il fegato, la cistifelia e le vie biliari, il pancreas e l’intestino
- l’apparato tracho-bronchiale
- la membrana faringea, la cloaca, l’allantoide
- le tasche entobranchiali
Dalla quinta all’ottava settimana tutte queste formazioni prolifereranno con l’apparizione
dell’abbozzo delle membra, la formazione degli organi e della testa.
È il periodo dell’organizzazione, il feto è formato, la tappa ulteriore sarà incentrata soprattutto sulla
crescita.

RIASSUNTO DELLO SVILUPPO EMBRIONALE

1. prima settimana : segmentaione dell’ovulo, formazione del blastocito


2. seconda settimana : trasformazione del blastocito in disco embrionale di dermico con due
foglietti: l’endoblasto e l’ectoblasto
3. terza settimana : trasformazione del disco in disco embrionale tridermico: endoblasta,
mesoblasta, ectoblasta
4. quarta settimana : delimitazione dell’embrione, apparizione delle gemme degli arti,
abbozzo di numerosi organi, apparizione della circolazione feto – placentare
5. secondo mese : apparizione di numerosi organi, modellatura esterna del corpo, il volume
della testa aumenta con l’arrivo degli occhi, delle orecchie e del naso; apparizione degli arti.
6. dal terzo al sesto mese : tutti gli abbozzi degli organi sono a posto e gli organi subiscono un
fenomeno di crescita, di differenziazione, di maturazione.
7. alla fine del sesto mese il feto è diventato vitale.

DERIVAZIONE DEI FOGLIETTI


- Mesoblasto: tessuto connettivo, cartilagine, ossa, muscoli striati e lisci - pericardio, pleura e
peritoneo.- cellule sanguigne e linfatiche,- pareti del cuore, dei vasi sanguigni e linfatici.- rene,
gonadi e i loro apparati escretori.- le corticosurrenali e le midollo surrenali-, milza – le tuniche

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muscolari e connettive del sistema digerente – il rivestimento epiteliale del tubo digerente, della
vescica dell’uretra
- Endoblasto: il rivestimento epiteliale del tubo digestivo, della vescica e dell’uretra, - l’epitelio
di rivestimento dell’apparato respiratorio, della cassa del timpano e della tromba di Eustachio -
il parenchima dell’amigdala, della tiroide, della paratiroide e del timo - l’esofago, lo stomaco, il
fegato, la cistifelia e le vie biliari, il pancreas e l’intestino - l’apparato tracho-bronchiale -
l’allantoide e il foglietto interno delle membrane cloacale e faringea
- Ectoblasto : sistema nervoso centrale e periferico - epitelio sensoriale degli organi di senso -
epidermide e suoi annessi (peli, unghie e ghiandole cutanee) – la ghiandola mammaria – ipofisi
- smalto dei denti

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Appena fecondato l’ovulo è animato da
un movimento continuo, ininterrotto, allo
scopo di riuscire a costituire un essere
straordinario. Formato all’inizio da tre
foglietti sovrapposti, l’embrione crescerà
e si svilupperà in maniera continua.Ogni
foglietto si unisce, si associa, si
interpenetra con il foglietto adiacente per
crescere e sviluppare le diverse parti del
corpo umano. A partire da uno stesso tessuto di base le cellule costituenti si
differenziano per creare un muscolo, il fegato, l’osso, una fascia la pelle etc…e
questo in maniera quasi perfetta poiché gli errori sono, tutto sommato, piuttosto rari.
All’inizio l’embrione i avvolge su se stesso, in senso verticale con l’apparizione della
curva cefalica, laterale con la costituzione delle pareti e cavità. All’interno si
sistemeranno i vari organi ed appariranno le bozze degli arti inferiori e superiori. Alla
fine del secondo mese il feto è costituito. Le tappe seguenti sono rivolte alla crescita e
alla maturazione, il tutto con un ritmo, una
pulsazione che si è formata al momento
della fecondazione e cesserà con la morte.
È questo ritmo che farà crescere, muovere,
stimolare le funzioni fisiologiche del corpo
umano, è il ritmo che proviene dalla
memoria embriologica e che ritroveremo
nel cranio, nelle fasce, negli organi, che
permetterà al corpo (ambiente interno
stabile) di adattarsi ad un ambiente esterno
dalle condizioni fluttuanti al fine di
mantenere l’equilibrio e la salute.

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Lo stato di questo ritmo ci permetterà, attraverso le nostre mani, di diagnosticare
l’equilibrio o lo squilibrio di tutto o di alcune parti del corpo.
MECCANISMO DI SVILUPPO EMBRIONALE

Come può un uovo dare un essere umano? Come si manifesta la complessità durante lo sviluppo?
Lo sviluppo embrionale è la sede dei fenomeni isto e biochimici oltre che dei fenomeni biocinetici e
biodinamici che orientano e modellano la crescita cellulare.

A) I FENOMENI ISTO E BIOCHIMICI

Le cellule riconoscono la loro posizione nell’embrione dalla concentrazione dei morfogeni. Gli
studi fatti sulla drosofilia hanno permesso di riconoscere questi morfogeni. Esistono nella drosofilia
una trentina di morfogeni che definiscono il patrimonio dell’embrione. Solo tre di questi codificano
dei segnali molecolari che determinano la struttura lungo l’asse antero-posteriore. Ciascuna di
queste proteine di segnalazione appare in un sito specifico e dà inizio alla creazione di un tipo
particolare di gradiente morfogenetico.
Un segnale comanda la metà anteriore che darà la testa e il torace; un secondo segnale, all’addome;
un terzo alle strutture situate alle due estremità della larva.
Un gradiente di concentrazione in proteine Bicoid si stabilisce dai primi stadi; la sua concentrazione
massima si situa all’estremità anteriore. Una certa soglia critica di concentrazione è necessaria
perché essa divenga attiva.
È capace di dare inizio alla produzione di un mRNA a partire dal DNA, quindi alla sintesi della
proteina codificata dal gene a partire dal mRNA. Un gradiente di concentrazione agisce su due o tre
geni determinando due o tre zone di attivazione. L’mRNA Bicoid contiene tutte le informazioni
necessarie ad una cellula per riconoscerlo, trasportarlo e fissarlo; inoltre si sposta sempre nella
stessa direzione lungo elementi strutturali chiamati microtubuli. La proteina Nanos determina la
parte posteriore. I gradienti di concentrazione Bicoid e Nanos si stabilizzano solo in assenza di
membrane cellulari, che ne bloccano la diffusione. Nel frattempo, nella maggior parte degli animali,
le membrane cellulari separano, già dai primi stadi, le differenti parti dell’uovo.
L’asse dorso-ventrale dell’embrionedella drosofila è definito attraverso un gradiente unico che si
stabilisce anche in presenza di membrane cellulari. Questo gradiente deve rassomigliare a quello
che esiste negli altri organismi.
La proteina Dorsale determina le prime strutture embrionali lungo l’asse dorso-vertebrale. Questa
proteina è sia un attivatore sia un inibitore della trascrizione nel nucleo cellulare. Attivatore dei due
geni quando la sua concentrazione supera una data soglia e inibitore di due altri geni quando la sua

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concentrazione è inferiore a quella soglia. Infine quando la concentrazione della proteina dorsale nei
diversi nuclei definisce un gradiente, ognuna delle due paia di geni si esprime da un lato o dall’altro
dell’embrione.
La proteina Dorsale è omogenea nell’embrione mentre la sua ripartizione intracellulare varia lungo
l’asse dorso-ventrale. Una proteina chiamata Cactus si lega alla proteina Dorsale per impedirgli di
penetrare nel nucleo. Tuttavia sulla faccia ventrale dell’embrione più di una decina di altre proteine
cooperano per staccare la proteina Dorsale dalla proteina Cactus.
Le proteine sono attivate da un segnale. Collegamenti molecolari, assicurati da diverse proteine,
trasmettono l'informazione che concerne i gradienti, da un compartimento all’altro. Alla fine
l’importazione progressiva nei nuclei di una proteina a ripartizione uniforme alla partenza, attiva il
nucleo attraverso un gradiente di concentrazione. Tutte le catene di attivazione studiate a questo
giorno portano alla formazione di un gradiente di morfogeni che si comporta come un fattore di
trascrizione; secondo la sua concentrazione questo gradiente attiva o inibisce la trascrizione di uno o
più geni bersaglio.
Una cooperazione tra più molecole diverse o tra più coppie di una stessa molecola potrebbe dare
inizio alla trascrizione.
Alcuni gradienti morfogenetici hanno un solo effetto quando la concentrazione in un morfogene è
superiore alla soglia critica. Un gene bersaglio o è attivo o non lo è.
In altri casi le reazioni differiscono a seconda delle concentrazioni in morfogeni; questo tipo di
gradiente è indispensabile all’aumentare della complessità negli organismi in movimento.
Le interazioni delle molecole che agiscono sulla trascrizione possono modificare notevolmente le
reazioni ai gradienti, contribuendo alla formazione di strutture complesse a partire da un sistema
iniziale molto semplice. La sovrapposizione di più gradienti in una regione dell’embrione permette
di suddividere questa maggiormente e di accedere ad una complessità supplementare.
La regolazione combinatoria e i gradienti di concentrazione permettono di organizzare le funzioni,
codificate dai geni, in un vasto repertorio di meccanismi di sviluppo. Nella drosofilia i gradienti
provocano l’espressione di geni in bande trasversali nella regione dell’uovo che diventerà la regione
segmentata della larva.
Questa struttura comanda in seguito la formazione di bande ancora più fini che determinano
direttamente le caratteristiche di ogni segmento dell’embrione. Quando l’embrione si divide in
cellule i fattori di trascrizione non si possono più diffondere. Le tappe ulteriori nel corso delle quali
il patrimonio embrionale si stabilisce mettono in gioco dei segnali trasmessi tra cellule vicine.

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Gli embriologisti hanno scoperto che questi risultati non si applicano unicamente alla drosofilia ma
all’insieme del regno animale e permettoneranno un giorno di comprendere meglio lo sviluppo
dell’embrione umano.
B) I FENOMENI BIOCINETICI E BIODINAMICI

Lo sviluppo cinetico dell’embrione è stato studiato da Bleschschmidt che ha definito i campi


metabolici. Questi sono otto e comprendono:

1) Campi di corrosione (corrosion fields)


Un campo di corrosione si stabilisce quando due strati di cellule epiteliali sono unite le une alle altre
per formare una membrana a due foglietti. Le cellule in contatto si necrotizzano e scompaiono,
permettendo la comunicazione tra i fluidi o con i tessuti che giacciono sotto. Questi campi si
stabiliscono dalla seconda settimana tra i tubuli mesonefrici e il canale nefrotico nello sviluppo dei
vasi. Le due aorte dorsali entrano in contatto e la loro membrana mediale degenera per formare un
solo vaso. Esistono altri esempi di campi di corrosione, per esempio a livello delle membrane oro-
nasali, oro-faringee, cloacalli, tubuli seminiferi…

2) Campi di densificazione (densation fields)


I campi di densificazione appaiono nel sistema scheletrico. Tale campo è composto da cellule
arrotondate circondate da una piccola quantità di sostanza intercellulare. È questa quantità di liquido
che differenzia i campi densi dai campi lassi. Le cartilagini nascono dal blastema, ma solo una parte
di questo diventa cartilagine; anche i legamenti e le capsule nascono dal blastema. Lo sviluppo
organico normale inizia all’esterno della cellula. I campi di densificazione sono caratterizzati dalla
loro posizione oltre che da quella delle loro cellule e del loro nucleo.
Prendendo come esempio lo sviluppo della trachea: l’epitelio dorsale è più spesso di quello
ventrale; le cellule vicine all’epitelio sono allungate e allineate tangenzialmente; esse daranno vita
ai muscoli tracheali e alla membrana fibrosa. Dal
lato ventrale lo stroma assomiglia ad un campo di
densificazione con un aggregazione di numerose
cellule arrotondate dove è limitata la sostanza
intercellulare. L’epiteliio dorsale cresce più
rapidamente di quello ventrale e ciò comporta un
allungamento delle cellule ed un allineamento
tangenziale. A livelo ventrale si produce una

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compressione e le cellule divengono sferiche. Queste cellule proliferano, si condensano e diventano
di cartilagine (fig 15).
Il principio biocinetico dei campi di densificazione è valido anche per le altre formazioni: le coste,
sotto la spinta della massa cardiaca ed epatica, il setto nasale….
La differenziazione in un campo di condensazione procede da un fenomeno biomeccanico che
richiede un processo biodinamico. Le cellule di questi campi non hanno un orientamento particolare
e ciò vuol dire che sono in uno stato di tensione equivalente in tutte le direzioni e di conseguenza,
diventano sferiche.

3) Campi di contusione (contusion fields)


In un campo di densificazione le cellule sferiche si appiattiscono e si trasformano in cellule
cartilaginee. Questo processo, che appare su un piano circolare, lungo un asse di densificazione
logitudinale, si sviluppa dal centro verso la periferia ed è chiamato campo di contusione. I campi di
contusione sono sempre circondati dal pericondrio che si unisce con il mesenchima lasso periferico.
Un campo di densificazione è una zona di condensazione di cellule arrotondate, un campo di
contusione è una zona di compressione dove le cellule diventano piatte. Lo schema di contusione si
applica soprattutto allo sviluppo scheletrico. Gli abbozzi di membra sono circondati da una
membrana, all’interno della quale le cellule si moltiplicano in tutte le direzioni, creando delle
tensioni equivalenti in tutti i punti e respingendo il liquido intercellulare alla periferia; si creno così
la condizione per un campo di contusione. I campi di contusione si sviluppano dunque all’interno di
un campo di densificazione,quando si crea una resistenza, secondo l’asse longitudinale, in seguito
alla crescita delle cellule sferiche. Questa resistenza alla crescita genera una compressione che a sua
volta è all’origine dell’appiattimento delle cellule (e le trasforma in cellule cartilaginee).

4) Campi di compressione (distusion fields)


Anche questi campi si applicano al sistema scheletrico. Sulle membra di un embrione di due mesi la
vecchia cartilagine è localizzata nella porzione prossimale e la cartilagine più giovane in quella
distale. In più le cellule cartilaginee appaiono in primo luogo nella parte centrale e quindi lontano
dal mesenchima periferico vascolarizzato. Se prendiamo come esempio una falange sotto l’effetto
della compressione, le cellule perdono la loro acqua e non sono più vascolarizzate né drenate. La
forma delle cellule cambia e divengono sferiche. Crescono prima su un solo asse. Questo tipo di
crescita è dovuta ad un fenomeno di tumefazione, che possiamo chiamare campo di compressione.
La crescita-tumefazione è parallela all’asse longitudinale della precedente precartilagine. Una tale

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cartilagine cresce come sotto l’azione di un pistone. La compressione è talmente importante che
l’acqua è eliminata, una capsula si forma attorno alle cellule e inizia la calcificazione.

5) Campi di ritenzione (retension fields)


Nei campi di ritenzione si ha un’aggregazione di cellule tessutali interne che all’inizio erano
indifferenziate e che spingono più lentamente in una direzione determinata rispetto ai tessuti che le
circondano. Subiscono dunque uno stiramento che le trasforma progressivamente in tessuto
connettivo fibroso, che poi darà tendini, legamenti ed aponeurosi. Le tensioni create dai campi di
ritensione fanno si che la parte periferica cresca più rapidamente creando così la morfologia umana.

6) Campi di stiramento (dilation fields)


Questi campi si applicano allo sviluppo della muscolatura umana. Lo sviluppo del sistema
muscolare è diverso da un distretto ad un altro, ma i principi sono gli stessi per tutti i muscoli. Così,
l’abbozzo del muscolo cardiaco è meno compresso esteriormente dal liquido celomico che
interiormente dal sangue, ne risulterà una maggiore stimolazione alla dilatazione. Questa
dilatazione va progressivamente a determinare una risposta di contrazione. Il risultato di questa
dilatazione-contrazione è che le cellule cardiache sono capaci di mobilizzarsi l’una in rapporto
all’altra. Il cuore progressivamente si dilaterà e ciò aumenta la resistenza delle fibre muscolari
circolari. Poi aumenterà il volume cardiaco, ma poiché il cuore è fissato alle sue due estremità,
prenderà una forma globulosa. I campi di stiramento saranno all’origine dei muscoli.
I somiti che fiancheggiano il dermatoma crescono rapidamente sia cranialmente che caudalmente,
questo in accordo con la crescita dell’embrione. Di conseguenza le cellule, sotto il dermatoma, si
allineano su un asse cranio-caudale parallelo all’asse del tubo neurale. Le cellule muscolari si
assottigliano nei campi di stiramento e allo stesso tempo si sviluppano dentro di loro delle fibrille.
All’inizio le striature trasversali sono mal definite. Dopo il primo mese una fila di nuclei diventa
distinta e ne risulta l’accrescimento delle cellule muscolari. Dal momento in cui le cellule del
dermatoma si allineano lungo la membrana dell’ectoderma, le cellule del miotoma si mettono
perpendicolarmente al setto. I campi di stiramento sono generalmente presenti sia per lo sviluppo
delle cellule muscolari stirate che per la costituzione dei tendini. Questi campi sono dunque
caratterizzati non soltanto dall’accrescimento longitudinale delle cellule, ma anche da un
accrescimento trasversale. L’abbozzo muscolare nelle zone ristrette non può dilatarsi
trasversalmente. Subisce a tali livelli un fenomeno di compressione che porterà alla formazione di

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un tendine. In queste regioni la quantità di acqua della sostanza intercellulare è diminuita e di
conseguenza la sostanza è più consolidata. Come tutti i tessuti compressi i tendini hanno delle
funzioni restritive. Queste funzioni restrittive, con un leggero potere elastico, sono caratteristiche
dei tendini, aponeurosi e setti intermuscolari. I campi di stiramento della cartilagine embrionale
sono essenziali per la crescita dei muscoli e dei tendini. La crescita della cartilagine va di pari passo
con la crescita muscolare. Tutti i muscoli hanno delle funzioni passive prima di essere capaci di
contrarsi attivamente. Più le cellule muscolari crescono rapidamente, più saranno riccamente
innervate, più potranno contrarsi precocemente. I campi di distensione si applicano anche al tratto
intestinale.

7) Campi lassi paraepiteliali (parathelial loasening fields)


Sono creati dalla congestione della sostanza intercellulare nei tessuti interni dove si esprime il
catabolismo cellulare. Quando il volume dei cataboliti aumenta, aumenta il volume della sostanza
intercellulare e le vescicole si fondono. All’inizio dello sviluppo, questi campi lassi all’interno del
mesoderma sono i precursori della formazione dei vasi. Un gruppo particolare, i campi lassi
paraepiteliali, è caratteristico dello sviluppo delle ghiandole.

8) Campi di frizione (datraction fields)


Si applicano al sistema osseo. Dal punto di vista topocinetico ci sono tre tipi di tessuto osseo
-osso membranoso che si sviluppa a partire dal tessuto connettivo stirato
-osso cartilagineo, che si sviluppa a partire dalla cartilgine
-osso che si sviluppa dal tessuto osseo già formato
tutti questi tipi hanno uno sviluppo cinetico caratteristico per il fatto che sono sempre accompagnati
da una estensione, sotto tensione, della sostanza intercellulare.
Il processo extracellulare è essenziale per l’inizio del processo di ossificazione. Le cellule
mesenchimatose, che scivolano lungo un supporto così rigido, sono compresse contro questo
supporto. Il liquido è espulso dalla sostanza che di conseguenza si indurisce. Le zone nelle quali
l’aggregazione di cellule scivola con una compressione lungo un supporto duro, sono chiamate
campi di frizione. Prendiamo cme esempio un osso frontale. L’abbozzo di dura madre è uno strato
di tessuto connettivo sotto tensione che si divide in due lamine con la formazione di un centro di
ossificazione sulla lamina esterna. La scissione è causata da una forte trazione del setto orbitale in
direzione della parte bassa del viso. L’abbozzo del foglietto esterno produce la tensione. Il foglietto
interno adatta la crescita espansiva dell’aracnoide.

1
Il liquido intercellulare è eliinato e di conseguenza la sostanza si indurisce e si viene a creare un
punto di condensazione per lo sviluppo dell’osso.
Una volta indurita, la parte interna del tessuto nella zona di condensazione perde le sue possibilità
di crescita. Il tessuto forma un mantello attorno al centro di condensazione e poi si estende tramite
prolliferazione cellulare. Con il tempo i centri di ossificazione progrediscono come linee divergenti
che si irradiano dal punto di condensazione (campi di frizione).
ANATOMIA DELLE FASCE cap.2

LA FASCIA SUPERFICIALIS
Si colloca tra il pannicolo adiposo del derma e il tessuto cellulare sotto cutaneo. La fascia
superficialis vera e propria inizia dalle arcate zigomatiche, si congiunge al mascellare superiore, e
termina alle caviglie e ai pugni.
Non si trova:
- sul viso
- nella parte superiore dello sterno -cleido - mastoideo
- sulla nuca
- sullo sterno
- a livello dei glutei
Costituisce il punto di partenza dei vasi linfatici e gioca per questo un ruolo importante nella
nutrizione e nella respirazione delle cellule. E' in caso di una sua lesione che si determina la gravità
delle ustioni.

LE APONEUROSI ESTERNE

1. L'APONEUROSI EPICRANICA
Si tratta di una vasta lamina fibrosa che ricopre come una calotta la convessità del cranio.
Separata dal periostio tramite un tessuto cellulare molle che gli consente un certo scorrimento, è
invece legata intimamente alla pelle che la segue nei suoi movimenti.
Nei senso ante-posteriore, l'aponeurosi epicranica riunisce i muscoli occipitali ai muscoli frontali.
Posteriormente s'inserisce sulla protuberanza occipitale esterna e sulla linea curva superiore.
Si prolunga lateralmente tra le aponeurosi temporali e del massetere, e finisce sulla cresta sopra-
mastoidea, il condotto uditivo esterno e il tessuto sotto cutaneo della regione del massetere.

1
L'APONEUROSI TEMPORALE
(FIG. 16).
Spessa e molto resistente, si estende
partendo dalla linea curva temporale
superiore e dallo spazio compreso tra
le due linee curve fino all'arcata
zigomatica, in due lamine che si
attaccano alle labbra del bordo superiore dell'arcata zigomatica, e da lì si prolunga attraverso
l'aponeurosi del massetere.

L'APONEUROSI DEL MASSETERE.


S'inserisce:
- posteriormente, sul bordo posteriore del ramo ascendente mascellare superiore.
- anteriormente, circonda il muscolo e poi passa in profondità fino a fissarsi sul bordo anteriore
del ramo ascendente.
- in alto, si fissa sull'arcata zigomatica
- in basso, sul bordo inferiore del mascellare dove si prolunga attraverso l'aponeurosi cervicale
superficiale
- dietro, lungo il bordo posteriore si unisce all'aponeurosi parotidea e poi sdoppiandosi circonda il
canale di Stenon.

2
Tabella 1

ARTICOLAZIONI DELL’ APONEUROSI EPICRANICA

CONNESSIONI CON LA PELLE


CONNESSIONI CON LA DURA MADRE

APENEUROSI EPICRANICA

APENEUROSI TEMPORALE

APENEUROSI MASSETERICA

APENEUROSI CERVICALE SUPERFICIA


LE APONEUROSI DELLA FACCIA (FIG. 17). La faccia è così composta:
- da una fascia superficiale
a sua volta formata da uno
strato superficiale sottile e
da uno strato profondo più
resistente. Questi due
strati avvolgono i muscoli
della mimica e li
collegano alla fascia
profonda.
- da una fascia profonda,
più spessa, non elastica, separata dalla precedente per mezzo di un tessuto aureolare lasso.
La fascia profonda ricopre le ossa, la cartilagine, i muscoli della masticazione e le strutture
viscerali. Come la fascia superficiale, si tratta di una guaina continua che si confonde e deriva dalle
fasce temporali, della parotide e del massetere. La fascia profonda sostiene i vasi profondi e i nervi
della masticazione.

2
A) L'APONEUROSI CERVICALE SUPERFICIALE. (fig 18)
Quest'aponeurosi forma al collo una guaina completa, e aderisce:
In alto:
- alla linea curva occipitale superiore
- all'apofisi mastoidea
- alla cartilagine del condotto uditivo esterno
- all'aponeurosi del massetere e al bordo inferiore della mascella.
Essa è quindi il prolungamento dell'aponeurosi epicranica.
In basso:
- sul bordo anteriore della forchetta dello sterno
- sulla faccia anteriore del manubrio dello sterno
- sulla faccia superiore della clavicola
- sul bordo posteriore della spina della scapola.
Dalla sua faccia profonda si stacca, lungo il bordo anteriore del trapezio, un'espansione profonda
fibrosa che si unisce all'aponeurosi dei muscoli scaleni.
Nella zona anteriore, dove è ricoperta dai muscoli pellicciai, si presenta sottile, mentre altrove è
spessa. Si sdoppia per avvolgere i muscoli sterno-cleido-mastoidei e i trapezi.
Passa davanti all'osso iodio al quale si congiunge.
Lateralmente crea un'espansione che forma una guaina nella quale scorre e si riflette il muscolo
digastrico. Nella zona sotto ioidea anteriore, superiore e mediana si confonde con l'aponeurosi
cervicale media.

2
Nella zona inferiore, le due aponeurosi si allontanano tra loro per andarsi a inserirsi una sul bordo
anteriore e l'altra su quello posteriore della forchetta sternale. Lo spazio dello sterno è così
delimitato: chiuso esternamente dall'aderenza dell'aponeurosi media, al bordo anteriore della guaina
dello sterno-cleido-mastoideo in avanti e dall'aponeurosi del trapezio dietro. Nella parte sotto-ioidea
si sdoppia per formare l'aponeurosi della ghiandola sotto mascellare. Dietro, ricopre la ghiandola
parotidea formando con l'aponeurosi del massetere la guaina di questa ghiandola. Lateralmente al
bordo anteriore dello sterno-cleido-mastoideo si stacca una fascetta che s'inserisce sull'angolo della
mascella superiore; questa sostiene e tiene tesa l'aponeurosi dello sterno-cleido-mastoideo, affinché
questo resti ben fermo per proteggere il fascio vascolare e nervoso soggiacente: carotide, giugulare
interna, pneumogastrico. Posteriormente, sulla linea mediana presenta una piega fibrosa che si
estende dalla protuberanza occipitale esterna alla sesta vertebra cervicale, e talvolta fino alla prima
dorsale: è il legamento cervicale posteriore che si fissa con la sua parte medina sulle apofisi
spinose. Si tratta di una lamina molto resistente che riceve delle espansioni aponeurotiche da
trapezio, splenio, romboide, piccoli dentati posteriori e superiori. Su certe persone, prende forma di
una corda della misura di una matita che emerge con una salienza posteriore molto evidente quando
si flette avanti la testa. L'aponeurosi cervicale superficiale si sdoppia numerose volte per avvolgere
i muscoli della nuca. Superficialmente, l'aponeurosi è percorsa dalle due giugulari anteriori che vi
scorrono in uno sdoppiamento prima di perforarla. Sulla sua superficie scorrono allo stesso modo i
rami superficiali del plesso cervicale: C2, C3, C4. Da notare che tutti i rami superficiali, così come
la giugulare esterna, perforano l'aponeurosi al bordo posteriore dello sterno-cleido-mastoideo.
L'aponeurosi cervicale superficiale si prolunga attraverso le aponeurosi del tronco e degli arti
superiori ed inferiori.

2
L'APONEUROSI DEL TRONCO.
È il proseguimento dell'aponeurosi
cervicale superficiale. Superiormente
si fissa su:
- lo sterno
- la clavicola
- la spina della scapola.
Da qui si prolunga in due direzioni
per formare le aponeurosi del tronco
da un lato e quelle dell'arto superiore
dall'altro, con numerosi sdoppiamenti che costituiscono i setti intermuscolari ed inguainano i diversi
muscoli delle varie regioni, formando, pertanto: la guaina dei muscoli pettorali, del trapezio, del
gran dorsale, della massa sacro-lombare; le aponeurosi dei muscoli profondi, cioè il quadrato
lombare, gli intercostali esterni, i muscoli itrinseci della colonna vertebrale.
A livello dell'addome avremo: le aponeurosi di piccolo obliquo, grande obliquo e trasverso, così
come la guaina dei retti (fig.19).

1) LE APONEUROSI POSTERIORI.
Distinguiamo un'aponeurosi sacro-ilio-costale individuata soprattutto nella parte mediana dove
s'inserisce sull'apofisi della spina, e in quella inferiore dove costituisce l'aponeurosi lombare: strato
molto resistente che s'immette sull'apofisi spinosa, sul sacro, sulla cresta iliaca e si prolunga in
basso attraverso l'aponeurosi del gluteo e dei membri inferiori, e lateralmente tramite l'aponeurosi
degli obliqui.
Questa aponeurosi è rinforzata nell'area post-laterale dall'aponeurosi del gran dorsale, che s lega il
bacino e all'arto superiore, poiché il suo punto finale superiore è la sua guaina bicipitale; essa causa
al passaggio un'espansione che si attacca all'angolo inferiore della scapola. Nella sua zona
superiore, l'aponeurosi ilio-costale è rinforzata dall'aponeurosi del trapezio che si fissa su di essa.
L'aponeurosi lombare aderisce sulla linea mediana alle spinose soprattutto da L2 a S2. E' molto
resistente e formata da un intersecarsi di fibre verticali, oblique e trasversali che generano un'area di
grandi costrizioni. Il suo ispessimento si prolunga per formare i numerosi e forti legamenti del sacro
così come i due legamenti sacroischiatici.

2) L'APONEUROSI ANTERIORE.
2
Formata nella parte superiore da
aponeurosi dei succlavi, del piccolo e
grand pettorale. Nella parte mediana,
sprovvista di muscoli, essa aderisce allo
sterno.
Queste aponeurosi si prolungano
lateralmente tramite le aponeurosi del
deltoide, del cavo delle ascelle, e tramite
l'aponeurosi del gran dorsale, la cui
articolazione continua nelle aponeurosi
posteriori, poi con quelle dell'arto.
Nell'area inferiore mediana e laterale, la
continuazione avverrà attraverso le
aponeurosi degli obliqui e del trasverso e la guaina dei retti. Tutte le aponeurosi si articolano sulla
linea mediana per costituire la linea alba che è un punto incrocio delle diverse fibre dei due
emicorpi, ma questo contatto si forma in modo piuttosto lasso. La zona sotto-ombelicale è sempre
meno lassa di quella soprastante, e questo spiega perché le ernie della linea alba si verificano
soprattutto sopra. Questa deiscenza è utile in particolare nella gravidanza. Dal momento in cui
l'utero gravido si alza verso la cavità addominale, la linea bianca si dilata per permettere una
dilatazione dell'addome, evitando così che si verifichino tensioni troppo forti e compressioni degli
organi addominali. Si assiste allo stesso fenomeno nelle persone che ingrassano; l'accumulo di
grasso a livello dell'epiploon induce a una dilatazione delle fibre della linea alba. La linea alba
presenta un punto d'inserzione superiore sull'appendice xifoide, in basso sulla sinfisi del pube dove
si prolunga attraverso il legamento sospensorio della verga o della clitoride. Si noti come la zona
anteriore e laterale dell'addome sia l'unica zona del corpo dove la struttura rigida è del tutto assente.
Per questo, le aponeurosi addominali sdoppiandosi diventano sempre più profonde per giungere con
l'aponeurosi del trasverso alla parete interna addominale e direttamente in contatto con la fascia
trasversale e il peritoneo. Da notare ancora a livello dell'addome la presenza dell'anello inguinale
interno e esterno che costituisce un punto fragile in cui possono convergere le anse intestinali e
verificarsi possibili ernie. Nella donna, il canale è percorso dal legamento rotondo, nell'uomo dal
cordone spermatico. E' attraverso quest'ultimo che il testicolo scende nello scroto provocando con il
suo passaggio un'invaginazione:
- del peritoneo che costituirà la tunica vaginale
- della fascia trasversale che costituirà la tunica fibrosa

2
- delle fasce del piccolo obliquo e del trasversale, che costituiranno la tunica muscolare o
cremastere.
Il gran dorsale e il trapezio sono i tensori dell'aponeurosi posteriore, il gran pettorale dell'anteriore.
La guaina dei retti è interrotta nella sua parte posteriore a circa tre dita sotto l'ombelico, formando
una linea semi circolare resistente, l'arcata di Douglas, facilmente palpabile in numerosi soggetti e
da non confondersi con la radice del mesentere situata molto più in profondità.

Le aponeurosi degli addominali convergono nella parte inferiore dell'addome su una linea che va da
una spina ante-superiore all'altra, e su tutta la larghezza della sinfisi del pube. L'intersecarsi di
queste diverse fibre costituisce in parte l'arcata crurale che riceve da dietro le fibre dell'aponeurosi
femorale, essa è dunque un punto di scambio e di continuità tra addome e arto inferiore. L'arcata
crurale riceve anche delle espansioni dalla fascia iliaca e da quella trasversale, formando così un
punto di articolazione tra la parete addominale e la superficie interna dell’addome.
I punti più rinforzati delle aponeurosi addominali sopra al livello del pube formano i legamenti di
Gimbernat, Colle e Hesselbach (fig. 21).

3) FASCIA ILIACA.

Annessa all'aponeurosi
superficiale, la fascia iliaca merita
uno studio a parte.
- data la sua collocazione, infatti
circonda lo psoas, che
rappresenta con il lungo del
collo uno dei due muscoli che
si inseriscono nella zona anteriore
delle vertebre e ha un tragitto intra-
cavitario.
- lo psoas e la sua fascia sono
collegati con il rene e l'uretere, il
colon ascendente e discendente.

2
Inoltre, la fascia iliaca contiene in un suo sdoppiamento il plesso lombare.
La fascia iliaca, sdoppiamento dell’aponeurosi addominale, occupa trasversalmente tutta la
larghezza della fossa iliaca interna e si estende dall'inserzione superiore dello psoas fino
all'inserzione trocanterica di tale muscolo, dove si prolunga tramite l'aponeurosi femorale. Sottile
nella sua zona superiore, s'ispessisce gradatamente scendendo nel bacino, che contiene il tendine del
piccolo psoas quando questo esiste.

La fascia iliaca s'inserisce:


1. All'interno
- sulle vertebre lombari formando a quel livello una sorta di ponte per il passaggio delle arterie e
delle vene lombari
- alla base del sacro
- sullo stretto superiore del bacino. A questo livello forma sull'arteria e sulla vena iliaca esterna un
foglietto che mantiene questi vasi sul bordo interno dello psoas.

2. All'esterno
Andando dall'alto verso il basso, si inserisce
- sull'aponeurosi del quadrato dei lombi, lungo il bordo esterno dello psoas
- sul legamento ilio-lombare
- sul labbro interno della cresta iliaca.

3. In alto
Presenta un ispessimento sotto forma di arco, l'arco dello psoas, sul quale si inserisce la parte
corrispondente del diaframma (continuità fasciale).

4. In basso
A livello dell'arcata crurale la fascia iliaca aderisce intimamente nlla sua metà esterna (legame e
continuità con le aponeurosi addominali), sul lato interno, forma la bandelletta iliopectinea e poi
continua fino all'inserzione trocanterica in cui si prolunga attraverso l'aponeurosi femorale.
Risulta quindi che la fascia iliaca costituisca con la colonna lombare e la fossa iliaca interna una
loggia osteofibrosa, perfettamente chiusa nella sua porzione addominale e che si apre dal lato della
coscia al di sopra della metà esterna dell'arcata crurale.

2
La fascia iliaca è essenzialmente costituita da fasce aponeurotiche posizionate in senso trasversale,
cui si aggiungono alcuni fasci verticali. Uno strato cellulare la separa dal peritoneo.
Essa avvolge lo psoas senza aderirvi. Uno strato di tessuto celluloso-sieroso fa da separatore, i nervi
del plesso lombare sono intimamente legati a quest'aponeurosi.

IN SINTESI LE APONEUROSI DEL TRONCO.


Fanno seguito all'aponeurosi cervicale superficiale a livello della cintura scapolare.
Terminano sulla circonferenza superiore del bacino dove si prolungano attraverso le aponeurosi
dell'arto inferiore
Hanno inserzioni mediane, anteriori e posteriori:
- sterno
- apofisi spinose
Si sdoppiano a più riprese per avvolgere i diversi muscoli del torace e addominali. Nella parte
superiore del tronco si prolungano attraverso le aponeurosi ascellari e dell'arto superiore.
Nella zona inferiore del tronco divengono molto forti, a questo livello i muscoli sono praticamente
inesistenti. Presentano diverse lamine con direzioni diverse che vanno a sostenere la statica toracica
e addominale. A livello addominale, il loro
sdoppiamento le porta sempre più in profondità fino
ad articolarsi con la fascia trasversale.La divisione più
profonda a livello posteriore costituisce la fascia
iliaca. A livello del bacino si articolano con le
aponeurosi perineali, in particolare quelle superficiali
e medie. Infine, a livello anteriore tramite l'aponeurosi
ombelico - prevescicale, si articolano con gli organi
del piccolo bacino e con l'aponeurosi perineale
profonda.

D- L'APONEUROSI DELL'ARTO SUPERIORE


(FIG.22)
Fa seguito all'aponeurosi cervicale superficiale dopo
un collegamento alla clavicola, all'acromion e alla

2
spina della scapola; essa è inoltre la continuazione dell'aponeurosi del gran pettorale, del gran
dorsale, del cavo ascellare. Di medio spessore, è in effetti più resistente dal lato degli estensori che
dei flessori. La sua superficie è percorsa da un sistema nervoso e linfatico. A livello del terzo
inferiore dell'avambraccio è perforata dal ramo cutaneo del radiale. Il brachiale cutaneo esterno
l'attraversa a livello della piega del gomito. A livello del terzo inferiore del braccio si trova l'orifizio
della vena basilica, orifizio nel quale la vena s'impegna e da cui emergono i rami cutanei del
brachiale interno, con la sua ramificazione anteriore e posteriore.
La sua parte superiore esterna è percorsa dall'accessorio del brachiale cutaneo interno che riceve
una ramificazione anastomotica degli intercostali.
La vena cefalica percorre il bordo esterno dell'arto superiore, è spesso legata alla basilica tramite la
mediana basilica, a livello della piega del gomito, spesso accompagnata dal nervo cutaneo ante-
brachiale esterno. Essa sale verso il solco delto-pettorale dove perfora l'aponeurosi del deltoide e
quella claveopettorale per gettarsi nella vena ascellare.
Dalla superficie interna dell'aponeurosi dell'arto superiore si distaccano dei setti intermuscolari che
si sdoppiano per avvolgere i diversi muscoli dell'arto superiore. Proseguendo prende dei punti fissi a
livello del gomito e del polso per terminare con le aponeurosi del palmo.
Successivamente studieremo le diverse parti da conoscere a livello di:
- spalle
- braccia
- avambraccio
- mano.

1) L'APONEUROSI DELLA
SPALLA (FIG.23)

Prosegue direttamente dall'aponeurosi


cervicale superficiale; è formata nella
sua parte esterna anteriore e posteriore
dall'aponeurosi del gran pettorale.
Davanti -fuori da quella del deltoide,
dietro da quella del sopraspinoso e
sottospinoso. Dietro al gran pettorale si
sdoppia per l'aponeurosi clavi-pettoro-

2
ascellare, costituita dall’apeneurosi del sottoclavicolare che riceve un rinforso del legamento coraco
– clavicolare interno.
Dal bordo inferiore del succlavio si stacca una fascia che raggiunge il piccolo pettorale. A questo
livello si sdoppia in due foglietti:
- uno foglietto anteriore che raggiunge in basso l'aponeurosi del gran pettorale e si fissa alla pelle
alla base dell'ascella.
- uno foglietto posteriore che continua con l'aponeurosi ascellare profonda e invia così delle
espansioni sulla pelle del cavo ascellare. Questi due prolungamenti che si fissano a livello della
pelle portano il nome di legamento sospensore dell'ascella di Gerdy.
Nella sua parte interna inferiore, forma l'aponeurosi della base della cavità ascellare formata da due
lame aponeurotiche: superficiale e profonda.

a) Aponeurosi superficiale.
Si estende dal bordo inferiore del gran pettorale al bordo inferiore del gran dorsale e del gran
ricurvo, di cui è il prolungamento.

b) Aponeurosi profonda.
E' una lamina quadrilatera unita davanti al foglietto profondo del legamento sospensore; da lì si
dirige dietro e va ad attaccarsi al bordo ascellare della scapola per tutta la sua estensione e aderisce
al di fuori alla faccia anteriore del tendine del lungo bicipite. La zona posteriore entra in contatto
con il gran dorsale e il gran rotondo. Il bordo infero- interno prende contatto con l'aponeurosi del
gran dentato.

Al di fuori, si unisce davanti all'aponeurosi del coracobrachiale e del bicipite; dietro forma l'arco
ascellare che avvolge il fascio vascolare nervoso.

2) L'APONEUROSI
BRACHIALE (FIG.24)

Segue l'aponeurosi della spalla.


Termina al gomito dove prende
inserzione a livello dell'olecrano,
dell'epitroclea e dell'epicondilo,

3
riceve inoltre nella sua parte anteriore l'espansione del tendine del bicipite che è un vero e proprio
tensore d'aponeurosi.

Su un piano sagittale presenta due setti:


- Il setto intramuscolare esterna
- Il setto intramuscolare interna.
I setti agganciano in un piano sagittale l'aponeurosi all'osso e consentono ai diversi gruppi
muscolari di esercitare tutta la loro efficacia prendendo appoggio su di essa.

a) Il setto intra muscolare esterna.


Ha origine dal bordo anteriore della coscia bicipitale e si confonde con il bordo posteriore del
tendine del deltoide, inserendosi lungo il bordo esterno dell'omero, fino al livello dell'epicondilo.
Separa i muscoli anteriori e posteriori, ed è un punto di inserzione di entrambi. E' attraversata
obliquamente da nervo radiale e dall'arteria omerale profonda.

b) Il setto intramuscolare interna.


Più larga e spessa di quella esterna, ha origine dal bordo posteriore della scanalatura del bicipite,
continua col tendine del coraco-brachiale con cui si unisce e si confonde in parte. Si inserisce lungo
il bordo interno dell'omero fino all'epitroclea. Invia un'espansione fibrosa, esile, che si estende
dall'estremità superiore del setto intramuscolare interna al trochine, passando dietro al coraco-
brachiale, che porta il nome del legamento brachiale interno. Separa il muscolo tricipite dal
brachiale anteriore dando inserzione ad ambedue.
Il nervo ulnare anteriore attraversa il seto nella sua parte media, e resta attaccato alla sua parte
posteriore. Dalla sua faccia profonda si distaccano inoltre diverse guaine muscolari:
- bicipite, coraco-brachiale, brachiale anteriore, tricipite; nella sua parte superiore una lamina
aponeurotica separa la lunga porzione del tricipite dalle altre porzioni. Nella sua parte inferiore,
questa lamina continua la diccia del nervo radiale in cui questo s'impegna accompagnato
dall'omerale profonda e avvolto nella propria aponeurosi.
- Tra bicipite e brachiale anteriore, una sottile lamina aponeurotica separa i due muscoli e
permette la loro mobilità. Questa lamina continua attraverso l'aponeurosi anti brachiale.

Nella parte interna, a contatto con il setto intramuscolare interno, si trova il canale brachiale
contenente l'arteria e la vena omerale e delle ramificazioni del plesso brachiale. Il fascio

3
vascolonervoso è di per sé contenuto in una guaina aponeurotica che gli serve come mezzo di
contenzione e di protezione. L'aponeurosi brachiale, come quella anti-brachiale, inviano delle
espansioni che circonderanno i diversi nervi, arterie e vene profonde e superficiali.

3) L'APONEUROSI ANTIBRACHIALE.
Continua dall'aponeurosi brachiale e termina al polso, dove è rinforzata dai legamenti anulari
anteriori e posteriori del carpo.
Sulla parte superiore riceve l'espansione del tendine del bicipite. Anche il brachiale anteriore e il
tricipite dietro invianono delle espansioni di rinforzo.
Più spessa dietro che davanti, l'aponeurosi prende delle insersioni inferiori a livello del carpo
tramite i legamenti anulari, e nella zona posteriore è legata intimamente al bordo posteriore
dell’ulna. Inoltre, invia una seconda espansione sul bordo posteriore del radio; costituisce inseme
allo scheletro osseo la regione anti brachiale anteriore e posteriore.
Dalla sua faccia profonda si distaccano anche le diverse guaine muscolari che circondano ogni
muscolo permettendo lo scorrimento di questi, gli uni sugli altri.
Nella regione anteriore uno sdoppiamento dell'aponeurosi separa lo strato superficiale da quello
profondo. La stessa disposizione si riscontra nella parte posteriore.
I muscoli di questa aponeurosi sono suddivisi in diversi gruppi. Il gruppo esterno comprende il
lungo supinatore e i due radiali. Questi tre muscoli sembrano circondati da una stessa guaina
aponeurotica, e ciò ha la sua importanza che vedremo più avanti.
Questa stessa disposizione si ritrova nella parte interna con i due ulnari, ma meno marcata.

4) L'APONEUROSI DELLA MANO


(FIG.26).
Continua dall'aponeurosi anti brachiale a
livello dei legamenti anulari. Si
distinguono delle apeneurosi dorsale e
delle apeneurosi palmari.
a) Le aponeurosi dorsali.
Se ne distinguono due: superficiale e
profonda.
Superficiale:E' sottile e ricopre i tendini
estensori. Prosegue dai legamenti anulari
posteriori e si confonde in basso con i tendini estensori, si inserisce sulle falangi.

3
Lateralmente, s'inserisce sul bordo esterno del primo metacarpo e sul bordo esterno del quinto
metacarpo.
Profonda:Molto sottile, ricopre la superficie dorsale dei muscoli interossei.

b) Le aponeurosi palmari
Sono due: superficiale e profonda.
Aponeurosi palmare
superficiale: E' formata da tre
parti:
- una parte media o aponeurosi
palmare propriamente detta
- due parti laterali che
ricoprono le eminenze tenar e
ipotenar.

a) l'aponeurosi palmare media


(fig. 27)

E' triangolare, la cui sua base


corrisponde alla radice delle ultime quattro dita, l’ apice è la continuazione dell'aponeurosi anti-
brachiale e del legamento anulare anteriore del carpo.
Si prolunga in alto attraverso il tendine del piccolo palmare, che è il tensore dell'aponeurosi.
Si tratta di una lamina fibrosa resistente, situata giusto al di sotto dei tegumenti ai quali è legata
intimamente da corti prolungamenti fibrosi. Dupuytren a descritto dei prolungamenti lunghi:
linguette cutanee che vanno dal terzo inferiore dell'aponeurosi alla piega interdigitale. Queste
linguette sono tese al massimo nei movimenti d'estensione, e sono responsabili della retrazione
dell'aponeurosi palmare nella malattia di Dupuytren.
Questa aponeurosi ricopre i tendini flessori, i vasi e i nervi del palmo della mano e continua in ogni
lato con l'aponeurosi delle protuberanze tenar e ipotenar. Si prolunga a livello delle dita, formando
le guaine dei tendini flessori, inserendosi sulle falangi. L’apeneurosi palmare media è formata da
fibre longitudinali e trasversali.

1) Le fibre longitudinali:

3
Seguono il legamento anulare e il tendine del piccolo palmare. Discendono e si irradiano verso le
quattro ultime dita sulle metacarpofalangee, generando otto linguette, due per ciascuna delle quattro
dita. Queste linguette vengono a fissarsi sulle superfici laterali della prima falange delle ultime
quattro dita, costituendo il punto più distante dall'aponeurosi superficiale dell'arto superiore.
Davanti ai tendini, le fibre si riuniscono per formare delle bandellette pre tendinee, riunite da lamine
intertendinee più sottili. Le fibre delle fascette pretendine terminano in tre modi diversi:
- alcune si attaccano alla faccia profonda della pelle
- altre si dirigono verso l'aponeurosi profonda. Queste costituiscono dei setti sagittali che limitano
con l'aponeurosi superficiale e profonda dei tunnel aponeurotici attraversati da:
Tendini flessori
Lombricali
Vasi e nervi digitali.
- altre formano delle fibre perforanti che si distaccano dalle linguette pre tendinee a livello
dell'articolazione di metacarpofalangea, attraversano il legamento trasverso profondo, circondano
l'articolazione di metacarpofalangea e continuano dietro al tendine estensore con quelle del lato
opposto.

2) Le fibre trasversali:
Sono ricoperte da fibre longitudinali, eccetto nella zona inferiore dell'aponeurosi, dove
costituiscono i legamenti trasversi superficiali e interdigitali.

b) Le aponeurosi palmari laterali.


Molto più sottili dell'aponeurosi media, ricoprono i muscoli delle emminenze tenar e ipotenar.
Quella esterna s'inserisce fuori sullo scafoide, trapezio e sul bordo esterno del primo metacarpo,
dentro affonda fra i muscoli tenarici per fissarsi sul bordo anteriore del terzo metacarpo.
L'interno s'inserisce dentro, sul pisiforme e il bordo interno del quinto metacarpo, e fuori, sul bordo
anteriore del quinto metacarpo. Si forma cosi la loggia dei muscoli ipotenarici.

L'aponeurosi palmare profonda.


Continua in alto con gli elementi fibrosi del carpo, termina sulle articolazioni metacarpofalangee,
tramite un ispessimento situato davanti alla testa dal secondo al quinto metacarpo, costituente il
legamento trasverso profondo.

IN SINTESI LE APONEUROSI DELL'ARTO SUPERIORE.

3
Fa seguito all'aponeurosi cervicale superficiale e si articola con le aponeurosi toraciche anteriori e
posteriori. Termina a livello delle dita dopo aver preso dei punti fissi a livello dei gomiti e del polso.
La sua superficie è percorsa da numerose vene, linfatici e nervi che la perforano. E' costituita da
fibre verticali e oblique che s'intersecano e si compenetrano allo scopo di aumentare la sua
resistenza. Dalla sua faccia profonda si distaccano in diverse lamine:
- perpendicolari: i setti intermuscolari che la agganciano al periostio e tramite questi si prolunga
con le trabecolee ossee
- longitudinali, che circondano i diversi muscoli o a costituire le lamine aponeurotiche profonde.
- Infine, presenta degli sdoppiamenti che avvolgono e proteggono il sistema vascolare e nervoso,
sia a livello superficiale sia profondo.

ARTICOLAZIONI DELLE APONEUROSI


DELL’ARTO SUPERIORE

APONEUROSI CERVICALE
SUPERFICIALE

APONEUROSI DEL
GRAN DORSALE

PELLE APONEUROSI SETTI


INTERMUSCOLARI

DELL’ARTO SUPERIORE PERIOSTIO


APONEUROSI
CLAVICOLO
PETTORO
ASCELLARE
TERMINAZIONE

3
APONEUROSI CERVICALE
SULLE DITA
MEDIA

E- L'APONEUROSI DELL'ARTO
INFERIORE (FIG. 28)
Segue le aponeurosi lombare e
addominale. Nella sua parte postero
laterale ha origine dalla cresta iliaca,
dove prolunga l’aponeurosi lombo-
sacrale e il gran legamento sacro -
ischiatico. Nella parte anteriore, nasce
dal pube, dalla branca ascendente
dell'ischio, dall'arcata crurale. Termina ai piedi dopo aver preso un punto di inserzione a livello del
ginocchio e della caviglia. E' costituita da un intersecarsi di fibre verticali, orizzontali e oblique. Il
suo schema generale ci mostra che essa si avvolge sulla coscia e sulla gamba, dall'alto in basso e
verso l'esterno e l'interno. Questo avvolgimento è più netto a livello della coscia. Sottile dietro e in
dentro è spessa invece davanti e soprattutto all'esterno, dove prende il nome di fascia-lata. A questo
livello l'aponeurosi femorale rappresenta la zona più spessa e resistente di tutta l'anatomia umana.
Essa presenta:
- una faccia profonda da cui si distaccano dei setti, che studieremo con i diversi segmenti
dell'aponeurosi dell'arto inferiore.
- Uno faccia superficiale sotto cutanea separata dal piano cutaneo per mezzo della fascia
superficialis e sulla quale corrono i linfatici, due vene importanti e i nervi sensitivi.

LE VENE
Le due più importanti sono:

La safena esterna
Ha origine dal bordo esterno del piede e prosegue approssimativamente sulla zona mediana e
posteriore della gamba. Perfora nella maggior parte dei casi l'aponeurosi della tibia a livello della
cavità del popliteo per gettarsi nella vena poplitea. Da notare che questa perforazione è soggetta a

3
variazioni e si situa secondo Moosman e Hostweile nel terzo superiore del polpaccio, nel terzo
inferiore, o al livello del tendine d'Achille.

La safena interna.
Nasce dal bordo interno del piede. Passa davanti al malleolo interno, segue il bordo interno della
gamba e della coscia, per gettarsi nella vena femorale a livello della regione inguinale, dopo aver
perforato la fascia cribiformis. Questa aderisce alla tunica esterna della vena ed emette un
prolungamento su di essa.

I NERVI CUTANEI.
I nervi si trovano collocati dall'alto in basso e dall'interno all'esterno.

1) Alle facce antero-interna e antero-esterna:


- il piccolo addomino-genitale nella regione inguinale,
- il safeno interno, e l'accessorio del safeno interno dalla parte del tutto interna, perché il safeno
interno discende fino all'alluce mentre l'accessorio del safeno interno si ferma alla parte interna
del ginocchio.
- l'otturatore interno della faccia interna fino al ginocchio
- il perforante del crurale nella parte mediana fino al ginocchio
- il ramo crurale del genito-crurale nella parte mediana e superiore
- il femoro-cutaneo nella parte esterna
- il safeno peroneo e cutaneo peroneo sotto al ginocchio nella parte esterna.
- il muscolo cutaneo della gamba, nella superficie esterna della gamba e in quella superiore
esterna del piede.

2) Sulla superficie posteriore.


A livello del gluteo si trovano:
- il plesso sacro-coccigeo all'interno
- il piccolo sciatico nella parte inferiore
- la prima e seconda radice lombare nella parte superiore
- un ramo del grande addomino-genitale nella parte superiore esterna

A livello della coscia:


- la faccia posteriore e mediana è innervata dal piccolo sciatico fino alla cavità poplitea.

3
- la faccia posteriore interna dall'otturatore e dall'accessorio del safeno interno
- la faccia posteriore esterna dal femoro-cutaneo

A livello del polpaccio:


- safeno esterno per la parte mediana
- nervo cutaneo peroneo accessorio del safeno esterno per la parte posteriore esterna
- safeno interno per la parte posteriore interna.

Si studieranno ora le diverse parti dell'aponeurosi dell'arto inferiore, il suo strato profondo e le
diverse espansioni.

1) L'APONEUROSI DEI GLUTEI.

Si distacca dalla cresta iliaca, dal sacro, dal coccige, dal gran legamento sacro-sciatico e si prolunga
in basso e in avanti con l'aponeurosi femorale.
Nella parte anteriore ricopre il medio gluteo.
Giunta al bordo anteriore del grande gluteo, si divide in tre foglietti: superficiale, medio e profondo.
a) I foglietti superficiale e medio
Ricoprono lo strato superficiale e profondo del grande gluteo.
b) Lo strato profondo
Sottile, celluloso, ricopre successivamente dall'alto in basso:
- la parte posteriore del medio gluteo
- il piramidale
- i gemelli
- il quadrato crurale.
Si interrompe:
- al di sopra del piramidale per lasciare il passaggio ai vasi e ai nervi glutei superiori, sotto al
piramidale per il passaggio dei vasi sciatici e del nervo sciatico.
Infine due strati cellulosi ricoprono lo faccia profonda del medio gluteo e la superficie esterna del
piccolo gluteo; questi due foglietti continuano con il foglietto profondo dell'aponeurosi del gluteo
lungo l'interstizio che separa il medio gluteo dal piramidale.
Vediamo che l'aponeurosi del gluteo si spartisce in vari foglietti per rivestire i diversi muscoli, al
fine di permettere il loro scorrimento, gli uni sugli altri; costituisce peraltro dei piani di separazione

3
che ci consentono una palpazione profonda, in particolare tra il medio e il grande gluteo, per
raggiungere il piramidale
e i gemelli, di cui
studieremo l'importanza
in seguito.

2) L'APONEUROSI
DELLA COSCIA
(FIG. 29)
Si fissa in alto sull'arcata
crurale, al pube e sul ramo
ischio-puberale; in fuori e
dietro continua
l'aponeurosi del gluteo.
L'aponeurosi femorale si prolunga in basso con l’aponeurosi tibiale dopo un punto di inserzione a
livello della rotula, delle tuberosità tibiali e della testa del perone.
L'aponeurosi femorale presenta una disposizione particolare nella sua parte supero-interna, a livello
del triangolo di Scarpa, a cui è dato il nome di fascia cribiformis (a forma di setaccio). Si tratta di
un'area molle e sottile, bucata per permettere il passaggio di un vasto numero di vasi linfatici che,
dal superficiale, divengono profondi. La più interessante di queste aperture è quella attraversata
dalla vena safena interna: in linea con essa, l'aponeurosi s'ispessisce formando un anello, cui viene
dato il nome di legamento falciforme e al quale aderisce la guaina della safena interna
Questa fascia cribrosa costituisce anche una piega aponeurotica che consente l'abduzione e
rotazione interna della coscia, senza provocare in tal modo una tensione troppo forte dell'aponeurosi
e evitando così uno strozzamento delle strutture vascolari e nervose.
La sua faccia superficiale si sdoppia per avvolgere il muscolo sartorio. Dallo strato profondo si
distaccano dei prolungamenti che vanno ad avvolgere i muscoli della coscia, formando una guaina
per ognuno di loro. L'aponeurosi femorale è peraltro collegata al femore da due setti intramuscolari,
interno ed esterno.

Il setto intramuscolare interno

3
Si estende su una linea obliqua che va dal grande e piccolo trocantere fino al condilo interno del
ginocchio, inserendosi nel bordo interno della linea aspra; e nella parte inferiore entra nella
costituzione dell'anello del terzo adduttore, in cui passa l'arteria femorale.
Il bordo interno è spesso e sporgente, facilmente palpabile, si presta al tatto come una corda. Pare
continuare in basso con il legamento laterale interno del ginocchio.
La sua faccia anteriore serve da punto d'inserzione al vasto interno, quella posteriore è applicata
vicino agli adduttori, alle aponeurosi cui si lega fortemente. Questa aponeurosi divide la regione
anteriore della coscia in due aree:
- una anteriore esterna che contiene il quadricipite
- una posteriore interna che contiene i muscoli adduttori; il gracile, i vasi femorali
Un setto meno forte separa la loggia posteo-interna da quella posteriore.

Il setto intramuscolare esterno


Si estende dal gran trocantere al condilo esterno al di sopra del quale forma una corda sporgente,
dopo un'inserzione sul labbro esterno della linea aspra. E' punto d'inserzione anteriore per il
muscolo vasto mediale e posteriore per il fascio breve del bicipite. Separa la loggia anteriore da
quella posteriore.

La guaina dei vasi femorali.


L'aponeurosi femorale si sdoppia per formare una guaina che avvolge e protegge i vasi femorali.
Tale guaina si estende dall'anello crurale a quello del terzo adduttore e prende il nome di canale
femorale nella parte superiore e di canale di Hunter nella zona inferiore. Il canale ha la forma di un
prisma triangolare, torto sul suo asse in modo tale che la sua faccia anteriore in basso divenga
interna. Questa disposizione fasciale in torsione è fatta in modo da proteggere gli elementi vascolari
e nervosi del canale femorale (arterie e vene femorali, nervi safeni interni e accessori del safeno
interno), e impedirne la compressione e lo stiramento nei movimenti dell'anca, soprattutto in fase in
abduzione-rotazione esterna. Un elemento supplementare protegge, ricoprendolo, questo canale
nella parte inferiore: si tratta del muscolo sartorio che presenta un tragitto a spirale obliquo, verso il
basso e all'interno.

3) L'APONEUROSI DELLA GAMBA (FIG. 30)


Continua dall'aponeurosi della coscia, direttamente dalla parte posteriore, dopo aver preso
inserzione a livello della rotula, delle tuberosità della tibia, della testa del peroneo nella zona
anteriore. A tal livello riceve delle espansioni aponeurotiche da determinati muscoli della coscia, dal

4
bicipite all'esterno, dal sartorio semitendinoso all'interno. Dal suo strato profondo si distaccano
diverse fasce che vanno a formare le guaine dei muscoli, così come le pareti inter muscolari
anteriori ed esterne.

La parete
intramuscolare esterna
Si estende dallo strato
interno dell'aponeurosi al
bordo esterno del
peroneo. Questa parete
separa l'area antero-
esterna da quella
posteriore.

La parete intramuscolare interna


Si estende dalla superficie profonda dell'aponeurosi al bordo anteriore del perone; separa l'area
anteriore esterna della gamba in due zone:
- anteriore
- esterna per i peronei e l'estensore proprio dell'alluce.
La loggia anteriore contiene il muscolo estensore proprio dell'alluce, il tibiale anteriore e l'estensore
comune degli alluci; gli ultimi due prendono inserzione sull'aponeurosi del tibiale.
A livello della testa del perone, esiste una linea osteo-fibro-muscolare in cui passa il nervo sciatico
popliteo esterno, suscettibile ad una compressione in tale zona.
Sulla superficie antero-laterale della gamba, l'aponeurosi tibiale ricopre direttamente la tibia e
aderisce fortemente al suo periostio. Nella parte posteriore, l'aponeurosi tibiale si sdoppia a livello
della cavità poplitea, per ricoprire i muscoli profondi così come gli elementi vascolari e nervosi e
separare queste strutture dal tricipite, permettendo in tal modo il suo scorrimento sulle strutture
profonde.

4) L'APONEUROSI DEL PIEDE (FIG. 31)

4
Continua dall'aponeurosi tibiale
tramite il legamento anulare,
termina agli alluci. Si distinguono
l'aponeurosi dorsale e plantare.

a) Le aponeurosi dorsali.
sono tre:
- superficiale
- del pedidio
- profonda.
1) Aponeurosi superficiale.
Ricopre i tendini estensori, lateralmente si fissa sui bordi interni ed esterni del piede, dove si
confonde con l'aponeurosi plantare.
2) L'aponeurosi del pedidio.
Si tratta di uno sdoppiamento di quella superficiale; ricopre il pedidio, i vasi del pedidio e il nervo
tibiale anteriore. Fuori, s'inserisce sul bordo esterno del piede, all'interno si confonde con
l'aponeurosi superficiale.
3) l'aponeurosi profonda.
Si distacca da legamento anulare anteriore del tarso, ricopre la superficie dorsale del metatarso e dei
muscoli interossei.

b) Le aponeurosi plantari.
Sono due, una superficiale, l'altra profonda.
1) L'aponeurosi superficiale.
E' separata dalla pelle tramite una fascia di tessuto adiposo abbondante e come l'aponeurosi palmare
si suddivide in tre parti.
- media
- interna
- esterna.
a) Aponeurosi plantare media.
E' una fascia resistente e spessa soprattutto sul retro; contribuisce al mantenimento delle volte
plantari anteriori e posteriori. E' triangolare; si attacca dietro sulle tuberosità del calcagno e davanti
si allarga. Termina a livello delle articolazioni metacarpo -falange.

4
E' costituita da fibre longitudinali molto resistenti che formano in avanti delle bandellette pre
tendinee e delle fibre trasversali, abbondanti nella zona anteriore. Queste formano a livello delle
metacarpo-falange un legamento trasverso superficiale, che sostiene la volta plantare anteriore.
Lateralmente, si confonde con le aponeurosi esterne e interne.
b) L'aponeurosi plantare interna.
Assai più sottile della precedente, si estende dalla tuberosità interna del calcagno alla radice
dell'alluce. Si confonde fuori con l'aponeurosi media, dentro con l'aponeurosi plantare superficiale.
c) L'aponeurosi plantare esterna.
Si attacca sul retro alla tuberosità esterna del calcagno, e di fronte alla base del quinto metacarpo; si
confonde all'interno con l'aponeurosi media, al di fuori con l'aponeurosi superficiale. Nel punto in
cui l'aponeurosi media continua con quella esterna e interna, costituisce un'espansione sagittale che
collega: - l'interno dello scafoide al primo cuneiforme e alla strato inferiore del primo metacarpo.
- l'esterno sulla guaina del lungo peroneo laterale e sul quinto metacarpo.
Queste pareti determinano sulla fascia plantare del piede tre logge: interna, media ed esterna.
Queste sono incomplete e attraversate da elementi vascolari e nervosi.

2) L'aponeurosi profonda
Ricopre i muscoli interossei e si connette dietro sugli elementi fibrosi del tarso, confondendosi in
avanti con il legamento dell'intermetatarso profondo. Ricordiamoci che, al livello dell'arto inferiore,
così come all'arto superiore, l'aponeurosi tibiale si sdoppia per avvolgere il sistema vascolare e
nervoso, superficiale e profondo, e soprattutto il nervo sciatico che, qualunque sia il suo modo di
divisione alto o basso, è sempre avvolto da una guaina aponeurotica che continua sullo sciatico
popliteo esterno e interno, e può giocare un ruolo importante nella sua patologia, come vedremo.

IN SINTESI L'APONEUROSI DELL'ARTO INFERIORE.


Prosegue dalle aponeurosi del tronco, tramite le aponeurosi delle natiche. Termina a livello del piede, dopo
aver preso punti fissi a livello del ginocchio e delle caviglie.
E' attraversata da un sistema venoso, linfatico e nervoso che la perfora.
E' formata da fibre verticali, oblique e orizzontali che s'intersecano e si compenetrano al fine di accrescere
loro la resistenza. Dal suo strato profondo si distaccano diverse lame:
- perpendicolari: setti intramuscolari che si agganciano sul periostio e tramite questo si prolungano con le
trabecole ossee.
- Longitudinali, che circondano i diversi muscoli in cui costituire le fasce aponeurotiche profonde.
Infine, essa presenta degli sdoppiamenti che proteggono e avvolgono il sistema vascolare e nervoso, sia
superficiale sia profondo.

4
Inoltre, si articola con le aponeurosi del torace e addominali, con quelle perineali superficiali e profonde per
mezzo del piramidale e dell'otturatore interno, con la fascia iliaca tramite lo psoas, con le aponeurosi
addominali profonde e la fascia trasversalis a livello dell'arcata crurale.

ARTICOLAZIONI DELLE APENEUROSI


DELL’ARTO INFERIORE

APENEUROSI DORSALE
APENEUROSI ADDOMINALE

APENEUROSI DEL GLUTEO


FASCIA ILIACA
FASCIA TRASVERSALIS

PELLE APENEUROSI
DELL’ARTO INFERIORE

SETTO INTERMUSCOLARE
APENEUROSI DEL PERINEO
PERIOSTIO

TERMINAZIONE SULLE DITA

4
LE APONEUROSI INTERNE
Si studieranno in seguito:
- le aponeurosi cervicali, medie e profonde.
- le aponeurosi
intra-toraciche
intra-addominali
del piccolo bacino

A- L'APONEURSI CERVICALE MEDIA (FIG. 32)


Si estende: dall'osso iodio alla superficie posteriore della clavicola e dello sterno. Lateralmente
avvolge i muscoli omo-ioidei e si confonde sul bordo anteriore del trapezio con l'aponeurosi
superficiale e
profonda.
Davanti,
l'aponeurosi
media aderisce a
quella
superficiale fino
all'estremità
inferiore della
laringe, più in
basso le due
aponeurosi si
separano per
delimitare lo spazio soprasternale, percorso dalla giugulare anteriore. L'aponeurosi cervicale media
si sdoppia in una fascia superficiale per i muscoli anteriori del collo e per quelli sterno-cleido-ioidei
e omo-ioidei; in una fascia profonda per i muscoli tiro-ioidei e sterno-tiroidei.

4
Dal suo strato profondo si distaccano delle espansioni che entrano in rapporto con la membrana
peri-faringea e il fascio vascolare del collo, che gira intorno alla carotide primitiva, alla giugulare
interna e al nervo pneumo-gastrico; ogni elemento è fornito anche di una guaina propria.
Trasmette peraltro un'espansione alla tiroide e s'immette nella costituzione della sua aponeurosi.
Nella parte inferiore laterale, dopo essersi fissata sulla clavicola, trasmette delle espansioni molto
resistenti al tronco venoso brachio-cefalico e alla vena succlavia, fissando e mantenendo beanti
questi elementi venosi. S'immette inoltre nella costituzione dell'aponeurosi del succlavio.
L'aponeurosi cervicale media si prolungherà a livello del torace anteriore tramite l'aponeurosi endo-
toracica.

B. L'APONEUROSI CERVICALE PROFONDA (FIG. 33)

Ricopre davanti i muscoli prevertebrali, da cui il nome di aponeurosi pre vertebrale. Si fissa:
- in lato sull'apofisi basilare dell'occipitale
- lateralmente sulle apofisi traverse delle cervicali, da cui prosegue con l'aponeurosi degli scaleni.
Per suo tramite raggiunge lo strato profondo dell'aponeurosi superficiale davanti al bordo anteriore
del trapezio, così come l'aponeurosi media, separa in questo modo la guaina viscerale anteriore da
quella posteriore muscolare del
collo.Davanti, sulla linea mediana,
è collegata con la faringe e
l'esofago, a cui è unita per mezzo
di un strato di tessuti cellulari
molto lasso; lateralmente
s'interfaccia con la carotide, la
giugulare interna, il pneumo-
gastrico, e allo stesso modo con i
rami anteriori dei nervi rachidei
che sono inglobati nell'aponeurosi
pre vertebrale. Dietro, ricopre i
muscoli pre vertebrali, a cui
trasmette espansioni che li
circondano: il lungo il collo,
piccoli e grandi retti anteriori. Da
notare che questi muscoli sono gli

4
unici a livello superiore ad essere collocati di fronte alla colonna vertebrale e ad avere, inoltre, una
situazione intra cavitaria. Rappresenta inoltre il supporto al sistema simpatico e ai rami
comunicanti, situati in uno sdoppiamento dell'aponeurosi pre-vertebrale o in una guaina speciale
(Droubruch).
Si prolunga verso la parte inferiore tramite la fascia endo-toracica posteriore, dopo un punto di
inserzione sulla prima vertebra dorsale.
IN SINTESI LE APONEUROSI CERVICALI
Sono tre:
1) Una superficiale che prolunga verso il basso le aponeurosi del cranio, termina sulla circonferenza
dell'anello torace e si prolunga tramite le aponeurosi:
- del torace
- dell'arto superiore
Avvolge i muscoli superficiali del collo, anteriori e posteriori, così come le vene e i nervi superficiali. Si
articola in oltre con l'aponeurosi media e profonda sul bordo esterno del trapezio, con la media nella zona
anteriore del collo.
2) Una media presente nella parte antero-laterale del collo. Inizia dall'osso ioide, si collega al livello dello
sterno per prolungarsi poi tramite la fascia endo-toracica. Avvolge i muscoli profondi antero-esterni
Costituisce la guaina del fascio vascolare nervoso del collo: carotide, giugulare interna, vago. Partecipa
alla costruzione dell'aponeurosi della tiroide.
Si articola infine con l'aponeurosi superficiale e profonda così come l'aponeurosi peri-faringea.
3) Una profonda
Nasce dall'apofisi basilare dell'occipite. Si prolunga in basso tramite la fascia endo-toracica dopo un punto
d'inserzione sul D1. Dietro, aderisce alle apofisi trasversali cervicali. Costituisce l'aponeurosi degli scaleni e
si articola tramite loro con la media e la superficiale avvolgendo i muscoli prevertebrali. Sostiene il plesso
cervicale così come i gangli cervicali in uno sdoppiamento.
Infine, si stabilizza sull'aponeurosi peri-faringea tramite delle bande anteriori e posteriori.

ARTICOLAZIONI DELL’APENEUROSI CERVICALE SUPERFICIALE


EPICRANICA

TEMPORALE

PELLE MASSETERICA APENEUROSI CERVICALE


MEDIA
APENEUROSI CERVICALE SUPERFICIALE
APENEUROSI CERVICALE

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PROFONDA
FASCIA TRASVERSALIS
FASCIA ILIACA
APENEUROSI DORSALE E
TORACO ADDOMINALE

APENEUROSI AS E AI

ARTICOLAZIONI DELL’APENEUROSI CERVICALE MEDIA


APENEUROSI DELL’ARTO SUP
APENEUROSI SUPERFICIALIS

APENEUROSI PROFONDA
APENEUROSI CERVICALE MEDIA
APENEUROSI PERIFARINGEA PERICARDIO
DIAFRAMMA
FASCIA ENDOTORACICA PLEURA

PERITONEO
FASCIA PERIRENALE
FASCIA TRASVERSALIS FASCIA PROPRIA
APENEUROSI APENEUROSI ADDOMINALI
DELL’ARTO INFERIORE
APENEUROSI DEL PERINEO

ARTICOLAZIONIDELL’APENEUROSICERVICALE PROFONDA

APENEUROSI EPICRANICA

APENEUROSI CERVICALE MEDIA


APENEUROSI CERVICALE PROFONDA E SUPERFICIALE

APENEUROSI PERIFARINGEA PERICARDIO

4
DIAFRAMMA
FASCIA ENDOTORACICA PLEURA
PERITONEO
FASCIA PERIRENALE FASCIA PERIRENALE
FASCIA TRASVERSALIS FASCIA ILIACA
FASCIA ILIACA
APENEUROSI DEL PERINEO
B- LA FASCIA ENDOTORACICA (FIG. 34)

Riveste la superficie interna della cassa toracica, delle costole e degli intercostali interni cui è legata
da elementi fibrosi. Dietro, rispetto alla superficie laterale della colonna vertebrale, è più densa e
collegata alle vertebre da fini legamenti (Braine).
Nella parte superiore, ricopre la volta pleurale, aderisce al periostio della prima costola soprattutto
nella parte posteriore, e alla guaina vascolare dell'arteria succlavia (collegamento con aponeurosi
cervicale media) anteriormente.
S'ispessisce consistentemente e forma una parete fibrosa, il diaframma cervico-toracico di Bourger
alla luce del quale si sono individuati i legamenti sospensori della pleura (Seibileau):
- legamento costo-pleurale
- trasverso-pleurale
- vertebro-pleurale

Nella sua parte inferiore, ricopre il


diaframma a cui è unita in modo assai
stretto, e tramite questo si prolunga nella
parete addominale per la fascia
trasversalis.
Nella parte interna aderisce strettamente
alla pleura parietale che tramite essa,
allega alla parete toracica.
Nella zona del mediastino è spessa e
molle. Nonostante ciò forma sulla
superficie del pericardio una lamina
fibrosa unita ad esso, immediatamente
sottostante alla pleura.

4
La pleura aderisce ancora alla parete tramite la fascia endo-toracica:
- davanti, rispetto al triangolare dello sterno
- dietro, tra l'angolo posteriore delle costole e la colonna vertebrale e sulla colonna stessa.

C- LA FASCIA TRASVERSALIS

Riveste lo strato interno dell'addome. Aderisce strettamente al peritoneo parietale tramite una fascia
propria, da cui è difficile distinguerla.
Nella parte posteriore, si sdoppia per formare un sacco che contiene il rene. Questo sacco è formato:
- da una fascia retro-renale che aderisce dietro nella zona mediana ai grossi vasi e alle vertebre.
- dalla fascia pre-renale.
Frontalmente, queste due fasce si raggiungono lateralmente, formando un sacco in cui sono
contenuti i reni. Tale fascia si attacca in alto al diaframma e in basso alla fascia iliaca.
Nella parte inferiore, riposa sugli organi del piccolo bacino confusa con il peritoneo parietale.
Genera un diverticolo nel canale inguinale, che costituisce la guaina fibrosa del cordone.
A livello dei vasi iliaci esterni la fascia continua sulla guaina di questi.
Anteriormente e nella zona mediana è rinforzata da legamenti di Henlé e Hesselback.
Inizia dietro sul bordo laterale della regione lombare, dove si riconnette alla fascia iliaca; sulla parte
ventrale è strettamente legata alla linea alba. E' costituita da fibre trasversali soprattutto unite a delle
fibre oblique e verticali, in particolare nella zona anteriore. Il suo spessore non è uniforme, e
soprattutto è spessa sotto l'ombelico.
La fascia trasversale, nella parte anteriore laterale è in contatto con le aponeurosi addominali, nella
parte posteriore se ne separa tramite la fascia renale, quest'ultima situata sulla fascia iliaca, che è
uno sdoppiamento delle aponeurosi addominali posteriori.

Questa fascia iliaca aderisce:


- all'interno, ai corpi vertebrali, alle arcate d'inserzione dello psoas e alla linea innominata.
- all'esterno, all'aponeurosi del quadrato dei lombi.

In alto, la fascia presenta un ispessimento, l'arcata dello psoas. Questa si attacca medialmente al
corpo della seconda lombare, passa davanti allo psoas e termina alla base dell'apofisi trasversa della

5
prima lombare A livello dell'arcata femorale, la fascia iliaca aderisce a questa frontalmente, al punto
che nella sua parte interna è più spessa e forma una banda fibrosa e resistente, la fascetta ilio-
pectinea, che delimita al di fuori l'anello crurale.
Sotto l'arcata, la fascia iliaca si prolunga fino all'inserzione trocanterica dello psoas iliaco e
s'immette nella costituzione delle aponeurosi femorali.

5
LE FASCE ENDOTORACIHCE E TRASVERSALI IN SINTESI

Continuano dalle aponeurosi cervicali medie e profonde che costituiscono la fascia endo-toracica
stessa, prolungata dalla fascia trasversale dopo un collegamento tramite il diaframma.

1) la fascia endo-toracica si articola:


- all'esterno con la faccia interna della cavità toracica
- all'interno con le pleure e il pericardio
- in basso col diaframma e poi la fascia trasversale.

2) La fascia trasversale si articola:


- in alto con il diaframma e la fascia endo-toracica
- esternamente con le aponeurosi addominali profonde così come con le fasce renali
- all'interno con il peritoneo
- in basso con le aponeurosi del piccolo bacino da un lato, e con l'arto inferiore dall'altro, tramite
le sue espansioni sull'arcata crurale; comunicazione verso l'esterno.

5
E-LE APONEUROSI DEL PERINEO E DEL PICCOLO BACINO (fig 35)
Le aponeurosi del perineo vanno a chiudere la parte inferiore della cavità addominale.
Sono delle fasce molto resistenti, si inseriscono sulla circonferenza del bacino e presentano degli
orifizi in senso antero-posteriore, con una differenza nella parte anteriore tra uomo e donna.
Le aponeurosi sono tre
sostengono e rinforzano
i tre piani muscolari del
piccolo bacino:
- aponeurosi perineale
superficiale
- aponeurosi perineale
media
- aponeurosi perineale
profonda

1)

Aponeurosi perineale superficiale


Sottocutanea, si estende solamente nel
perineo anteriore. Si attacca:
-lateralmente sul labbro anteriore del
ramo ischio-pubico
-il suo apice, diretto in avanti, continua
con il rivestimento fibroso del pene.
Nella donna si perde nei tessuti connettivi
delle piccole labbra e in avanti si
continua con la fascia clitoridea
-la sua base si estende da un ischio
all’altro e stabilisce i confini tra perineo anteriore e posteriore. A questo livello si incurva verso
l’alto e dopo aver contornato il bordo posteriore del trasverso superficiale, si fonde col foglietto
inferiore dell’aponeurosi media. Invia indietro delle espansioni all’anello fibroso centrale del
perineo. La faccia profonda emette delle espansioni che tappezzano il trasverso superficiale,

5
l’ischio-cavernoso, il bulbo-cavernoso. Queste espansioni si uniscono al foglietto profondo
dell’aponeurosi media.
2) L’aponeurosi perineale media
Gli anatomisti inglesi la chiamano anche: legamento perineale di Carcassonne, legamento
triangolare dell’uretra di Colle, o diaframma urogenitale dagli anatomisti tedeschi.
Di forma triangolare, occupa solamente il triangolo anteriore o urogenitale del perineo. La sua
complessità è dimostrata dal fatto che sono state fatte numerose descrizioni, anche contraddittorie
( Zuckerkandl, Charpy, Delbert, Gregoire, Monier, Hovelacque).
Per semplificare le cose al fine di una migliore comprensione noi ci riferiamo a Testut e Rouviere.
È composta da due foglietti: uno inferiore e uno superiore, che racchiudono tra loro i muscoli del
piano medio, trasverso profondo indietro e sfintere esterno dell’uretra in avanti.
a) Foglietto inferiore o legamento perineale di Carcassonne
Spesso e resistente, si
inserisce all’esterno sulla
faccia interna dell’ischio,
sul labbro interno del
bordo inferiore del ramo
ischio-pubico,
immediatamente al di
sopra delle inserzioni dei
corpi cavernosi e ischio-
cavernosi alle quali
aderisce eccetto che
indietro; si estende
trasversalmente e aderisce
intimamente, sulla linea
mediana, alla tonaca albuginea del bulbo e ai corpo spongioso dell’uretra. Il suo bordo posteriore si
unisce: in basso all’aponeurosi perineale superficiale, in alto al foglietto profondo dell’aponeurosi
media. Indietro invia delle espansioni all’anello fibroso centrale del perineo. In avanti si confonde
col foglietto superiore. In definitiva il foglietto inferiore dell’aponeurosi media realizza un sistema
di ancoraggio del bulbo e dei corpi spongiosi, tale da fissarli saldamente ai rami ischio-pubici (Paul
Delbert). Il suo tessuto non è sempre lo stesso. E’ infatti più sottile indietro dove ricopre il trasverso
profondo, mentre è più spesso e molto resistente in vicinanza dell’uretra membranosa; qui
l’aponeurosi ha l’aspetto di una bandelletta, chiamata legamento trasverso del pube. La parte

5
anteriore è spessa, e si confonde con il legamento sottopubico che chiude la parte alta e anteriore
del perineo.
b) Foglietto superiore o profondo (fig 37)
Ricopre la faccia superiore del trasverso profondo e dello sfintere striato dell’uretra. Posteriormente
si unisce al foglietto superficiale dell’aponeurosi e invia delle espansioni all’anello centrale del
perineo. Anteriormente aderisce al foglietto inferiore per costituire con questo il legamento
trasverso del bacino di Henlè e infine termina sul legamento sottopubico.
Sui lati il foglietto superiore dell’aponeurosi media si attacca al ramo ischio-pubico al di sopra
dell’inserzione del trasverso profondo e invia una espansione all’aponeurosi dell’otturatore interno.
Questa espansione si sdoppia per formare un condotto fibroso nel quale passa il pacchetto vascolo-
nervoso pubendo interno: il canale di Alcook. Nella parte posteriore l’aponeurosi perineale media
emette una lamina ascendente tra la prostata e l’uretra membranosa in avanti e il retto indietro.
Questa si aggancia in alto al fondo di sacco di Douglas e costituisce l’aponeurosi prostato-
peritoneale di Denonvilliers. Questa aponeurosi si sdoppia in due lamine:
- una lamina posteriore che forma il setto retto-vescicale
- una lamina anteriore che ricopre le vescicole seminali, il canale deferente e la parte posteriore
della prostata. Forma dunque la loggia della prostata, la cui parte anteriore si distacca dalla
aponeurosi perineale media.
Nella donna, l’aponeurosi di Denonvilliers è rimpiazzata da un sottile foglietto che costituisce
l’aponeurosi retto-vaginale. Nell’uomo l’aponeurosi perineale media racchiude tra i suoi due
foglietti le ghiandole di Cowper. Questa presenta due orifizi :
- l’orifizio della vena dorsale del pene, tra il legamento sotto-pubico e il legamento trasverso di
Henlè
- più indietro, l’orifizio della porzione membranosa dell’uretra, circondato dallo sfintere esterno.

3) L’aponeurosi perineale
profonda (fig 38)
Molto più estesa delle
precedenti, occupa
contemporaneamente il perineo
anteriore e posteriore. Supera

5
anche i confini della regione perineale per risalire sulle pereti laterali del bacino e raggiungere
direttamente il distretto superiore.
La parte superiore dell’incavo pelvico è costituito da otto muscoli:
- elevatore dell’ano, nella parte centrale
- ischio-coccigei, indietro
- otturatori, di lato
- piramidali, nella parte postero-laterale
Questi otto muscoli sono circondati ciascuno dalla propria aponeurosi. L’unione di tutte le
aponeurosi costituisce l’aponeurosi perineale profonda, che con i muscoli citati, chiuderà tutti gli
orifizi del perineo ad eccezione di quelli del piano medio.
Nella sua estensione l’aponeurosi perineale assume la forma di un imbuto.
Per comodità di descrizione la divideremo in due metà simmetriche, considerando per ciascuna di
esse:
- un bordo esterno
- un bordo interno
- una faccia superiore
- una faccia inferiore
1) Bordo esterno
Si inserisce: in avanti sulla faccia posteriore del corpo del pube e del suo ramo orizzontale (in
continuità con la fascia addominale anteriore); sull’arcata fibrosa che limita in basso l’orifizio
interno del canale sotto-pubico, di cui entra a far parte; dietro questo canale risale fino al distretto
superiore, si inserisce sulla linea innominata fondendosi con la fascia iliaca (continuità della fascia
addominale laterale con la fascia pelvica); discende in seguito verso la grande incisura ischiatica
costeggiando il bordo superiore del piramidale; infine entra in contatto con l’aponeurosi presacrale
e si attacca all’interno dei fori sacrali pelvici (continuità posteriore con le fasce addominali)
2) Bordo interno
Le due metà dell’aponeurosi pelvica entrano in contatto tra loro sulla linea mediana in due punti:
- il rafe ano-bulbare
- il rafe ano-coccigeo
Davanti al rafe ano-bulbare, queste sono separate da un intervallo triangolare costituito
dall’aponeurosi perineale media. Tra i due rafe, queste due metà sono separate dall’orifizio rettale
unendosi alla guaina fibrosa del retto pelvico. A livello della prostata questa guaina si unisce
all’aponeurosi laterale della prostata e, attraverso il suo intermediario, alla aponeurosi media.

5
3) Faccia inferiore
Poggia direttamente sui muscoli che giacciono sotto; è unita a questi da un sottile strato di tessuto
cellulare
4) Faccia superiore
È separata dal peritoneo attraverso uno spazio
chiamato pelvico-viscerale, che contiene l’uretra,
il canale deferente e i vasi e i nervi dei visceri
pelvici.
L’aponeurosi perineale profonda non ha uno
spessore uniforme, ma presenta tre grandi
ispessimenti che divergono a raggiera dalla spina
ischiatica, per formare la stella a tre braccia di
Rogies:
- arco tendinoso dell’elevatore, che va
sull’ischio
- un rinforzo che costeggia il bordo anteriore della grande incisura sciatica (bandelletta ischiatica)
- un rinforzo che scende lungo l’interstizio tra il muscolo coccigeo da un lato, il piramidale e il
plesso sacrale dall’altro (bandelletta spino-sacrale).
È da notare che l’aponeurosi dell’otturatore interno, che superiormente era accollata all’aponeurosi
perineale media e superiore, si continua in basso con il grande legamento sacro-ischiatico e si
prolunga sulla faccia anteriore del muscolo grande gluteo, che supera in basso questo legamento
(unione con l’aponeurosi superficiale).
L’aponeurosi perineale profonda invia delle espansioni al nucleo fibroso centrale del perineo. In
senso antero posteriore è perforata dal retto e circondata dal suo sfintere, l’uretra all’uscita della
prostata, la vagina, nella donna, che rappresenta un importante deiscenza. L’aponeurosi perineale
profonda si inserisce sulla circonferenza della vagina e costituisce uno dei suoi principali sostegni.
L’apeneurosi perineale profonda riceve delle espansioni dalla bandelletta del colon (articolazioni
con fasce viscerali) e nella sua parte postero – laterale attraverso la fascia del piramidale costituisce
il sostegno del plesso lombo – sacrale.
Altre strutture aponeurotiche completano e chiudono il piccolo bacino da dietro in avanti:
- l’aponeurosi presacrale
- l’aponeurosi di Denonvilliers o retto-vaginale (già studiata)
- l’aponeurosi vescico-vaginale e il parametri nella donna
- l’aponeurosi ombelico-previscerale

5
- le lamine sacro-retto-genito-pubiche
di Delbet o tende dell’arteria e del
plesso ipogastrico.
Le prime quattro rappresentano delle
tende vascolari situate nel piano
frontale.
L’ultimo setto è in direzione sagittale.

5) Le aponeurosi annesse al perineo


(fig 39)
a) Aponeurosi presacrale
Discende dall’addome con l’arteria emorroidale media (continuità con le aponeurosi addominali),
riveste la faccia anteriore del sacro e si confonde sulla faccia posteriore del retto con la guaina
fibrosa del retto, che è a sua volta costituita dalla fascia retrorettale, che si estende dalla fine del
meso-sigmoide in alto fino al pavimento pelvico in basso.
Sull’aponeurosi presacrale, va a terminare la parte posteriore dell’aponeurosi perineale profonda e
va ad ancorarsi la lamina di Delbert.

5
È infine anche il supporto del plesso sacrale e della ghiandola coccigea di Luschka.

b) Aponeurosi di Denonvilliers o retto-vaginale

c) Aponeurosi vescico-vaginale e parametrio

5
La base della vescica è separata dalla vagina da un setto cellulare più o meno ben individualizzato:
la fascia vescico-vaginale o fascia d’Halban, nello spessore della quale passa trasversalmente il
segmento terminale juxtavescicale dell’uretere. Le fasce retto-vaginali e di Halban inviano delle
espansioni al legamento largo. Questo
è un ispessimento del peritoneo, che
ricopre l’utero, le tube, le ovaie, e i
legamenti rotondi. La sua forma e la
sua direzione sono molto complessi per
questo ne daremo una breve
descrizione senza entrare troppo nei
dettagli. Il legamento largo è formato
da due foglietti peritoneali, che
rivestono uno la faccia anteriore e
l’altro quella posteriore dell’utero, a
partire dal suo bordo laterale. Questi due foglietti, che sono in continuità l’uno con l’altro, si
appoggiano l’uno all’altro e si dirigono in fuori verso la parete laterarale della pelvi, sulla quale si
riflettono per divenire peritoneo parietale pelvico. In basso i due foglietti si allontanano l’uno
dall’altro, dall’avanti all’indietro, sul pavimento pelvico e si riflettono l’uno in avanti, l’altro
indietro per diventare peritoneo pelvico del fondo dalla pelvi (fig 40). Il legamento largo così
formato ha schematicamente la forma di un setto trasversale quadrilatero fortemente inclinato in
basso, in avanti e nel suo insieme, fortemente concavo indietro. Vi si distinguono due parti:
- una parte inferiore spessa, fissa, solidale
contemporaneamente alla parete pelvica,
alla regione cervico-istmica dell’utero e
alla vagina; corrisponde al parametrio,
supporto dell’utero (dalla croce di Richard)
e alla paravagina, supporto superiore della
vagina.
- Una parte superiore, il mesometrio, che
comprende tre ali: una ala tubale o
mesosalpingi; una ala funicolare o del
legamento rotondo; un meso ovario teso al
di sotto dal legamento utero-ovarico al
lombo-ovarico.(fig 41)

6
d) Aponeurosi ombelico previscerale (fig 42)
Corrisponde alle tende vascolari dalle arterie ombelico-vescicali, che la sottendono lateralmente,
sulla linea mediana; aderisce ugualmente all’uraco.
Di forma triangolare fortemente concava all’indietro:
- si attacca attraverso la sua sommità, all’ombelico
- si porta in basso indietro e raggiunge presto la
sommità della vescica. Qui si allarga bruscamente
e si ripiega su se stessa, come a formare un sacco
concavo indietro; abbraccia la faccia anteriore e le
facce laterali della vescica e scende così lungo le
sue facce fino al pavimento pelvico dove va a
finire nel modo seguente: 1-sulla linea mediana si
fonde con i legamenti pubo-vescicali 2 - ai lati si confonde con l’aponeurosi pelvica fino al
bordo anteriore delle due incisure ischiatiche.
I bordi laterali dell’aponeurosi ombelico-prevescicale si estende obliquamente dalla grande incisura
ischiatica all’ombelico. Aderiscono alla parete addomino-pelvica in parecchi punti: in basso
all’aponeurosi dell’otturatore interno; in alto alla guaina del grande retto, alla fascia trasversale fino
a tre, quattro centimetri al di sotto delle arcate di Douglas; L’aponeurosi ombelico-prevescicale ha
nella sua parte inferiore uno spazio tra la vescica e la parete addominale: lo spazio di Retyzius.
Lamine sacro-retto-genito-pubiche di
Delbet (fig 43)
Corrispondono alla tenda delle arterie
ipogastriche. Si estendono sagittalmente
dal sacro indietro, al’ interno dei fori
sacrali, fino alla faccia posteriore del pube
in avanti. Costeggiano i bordi laterali dei
visceri pelvici dove lasciano alcune fibre.
Sulla faccia interna, sono doppie, rivestite
e rinforzate da una lamina nervosa che
corrisponde al plesso ipogastrico.

6
Riassumendo le aponeurosi del perineo e del piccolo bacino
Nel perineo abbiamo le tre aponeurosi che chiudono la cavità inferiore dell’addome, dato che queste
tre aponeurosi sono rinforzate dai muscoli che esse circondano.
Nel perineo anteriore troviamo:
- l’apeneurosi perineale superficiale che si articola con le aponeurosi:
 addominali superficiali
 dell’arto inferiore
 dei glutei
- l’apeneurosi perineale media composta da due foglietti, essa si articola con le aponeurosi:
 perineale superficiale
 perineale profonda
 addominali profonde
- l’apeneurosi perineale profonda, molto resistente, ricopre tutto il perineo e si articola con:
 la perineale media in basso
 le aponeurosi addominali profonde così come l’apeneurosi ombellico - prevescicale
 lateralmente con l’apeneurosi dell’otturatore interno e attraverso di esso si collega
con l’esterno con il grande legamento sacro-ischiatico che si prolunga sulla faccia
anteriore del muscolo grande gluteo, .
 l’apeneurosi dell’ischio coccigeo e del piramidale nella parte postero-laterale,
essendo queste due aponeurosi parte della perineale profonda. Attraverso il
piramidale, inoltre, stabilisce un collegamento con l’esterno, l’apeneurosi presacrale
dietro, la fascia trasversalis in tutto il suo contorno.
Sopra queste apenerosi e spesso derivanti da queste abbiamo:
 due strutture centrali antero – posteriori: le lamine sacro-retto-genito-pubiche di Delbet.
Queste, a sua volta, sono divise in setti che, dal davanti in dietro, sono:
 l’apeneurosi ombellico-vescicale
 l’apeneurosi vescica vaginale o fascia di Halban nella donna
 l’apeneurosi retto-vaginale nella donna o aponeurosi prostato-peritoneale nell’uomo
 l’apenurosi presacrale
La parte superiore di questa zona è chiusa, nell’uomo, dal peritoneo, nella donna dal peritoneo e dai
parametri. Una struttura, in questa zona, il nucleo fibroso centrale, attira l’attenzione: è una struttura
fibrosa situata, nell’uomo, fra l’ano e la radice dello scroto, nella donna fra retto e radice inferiore
delle grandi labbra. Rappresenta il punto più basso del perineo e per estensione della cavità toraco –
addominale. È formata dalle espansioni di tre aponeurosi perineali e di tutti i muscoli del perineo
eccetto gli ischio-cavernosi e gli ischio-coccigei. Rappresenta, dunque, il fili che chiude in basso la
borsa toraco addominale.

Fascia traversalis
Aponeurosi ombellico prevescicale
peritoneo

fascia di Halban lamine sacro-retto-genito-pubiche


aponeurosi di Denonvilliers
fascia presacrale
Aponeurosi perineali

Fascia dell’otturatore
Aponeurosi del piramidale
aponeurosi arto inferiore

6
L’ASSE APONEUROTICO CENTRALE

A- L’APONEUROSI INTERPTERIGOIDEA

Quadrilatera, si attacca:
- in alto, da dietro in avanti: sulle due labbra della scissura di Glaser, sul prolungamento della rocca
interposta fra le scissure petro-timpaniche e timpano petrose, sulla spina dello sfenoide, sul bordo
interno del foro ovale
- in basso: sul mascellare immediatamente al di sotto delle inserzioni dello pterigoideo interno e sulla
spina di Spix
- il suo bordo posteriore è libero
- il suo bordo anteriore: si attacca al bordo posteriore dell’ala esterna dell’apofisi pterigoidea; più in
basso si porta verso la faccia laterale della base della lingua, dove si unisce al prolungamento
anteriore dell’aponeurosi perifaringea.
L’aponeurosi interpterigoidea non ha lo stesso aspetto in tutto il suo decorso:
- la parte posteriore spessa e resistente è conosciuta col nome di legamento sfeno-mascellare
- la parte anteriore è suddivisa in due dal legamento pterigo-spinoso

B- APONEUROSI PTERIGOTEMPOROMASCELLARE (fig 44)

Situata al di fuori dell’aponeurosi interpterigoidea, si


inserisce:
- in alto sulla grande ala dello sfenoide
- in avanti sulla parte superiore dell’ala pterigoidea
interna
- il suo bordo superiore, diventa libero e si ispessisce
sopra e al di fuori del foro ovale, per formare i
legamenti di Hyrtl
- in basso la sua inserzione si confonde con
l’aponeurosi interpterigoidea

63
C- APONEUROSI PALATINA
È una lamina fibrosa molto resistente che ricopre i muscoli stafilini e costituisce il velo del palato.
Fa seguito alla volta palatina e occupa la metà anteriore del velo palatino di cui questa costituisce la
struttura scheletrica. Si attacca:
- in avanti al bordo posteriore della volta palatina
- lateralmente al bordo inferiore e all’uncino dell’ala interna dell’apofisi pterigoidea
- indietro si perde nello spessore del velo
l’aponeurosi palatina è costituita in gran parte da fibre tendinose dei muscoli peristafilini e si prolunga
indietro attraverso questi. I muscoli del velo del palato sono in rapporto con le aponeurosi della faringe;
queste aponeurosi emettono delle espansioni che ricoprono la porzione discendente dei muscoli
peristafilini interno ed esterno.
D- APONEUROSI FARINGEA E PERIFARINGEA (fig 45)
L’aponeurosi perifaringea è una membrana fibrosa molto resistente che avvolge l’esofago e la trachea. Si
continua in alto nello spazio maxillo-faringeo sulla parete della faringe e si prolunga in basso nel
mediastino; la sua porzione inferiore viene chiamata anche guaina viscerale. Sopra il costrittore superiore
si unisce all’aponeurosi intrafaringea e, confondendosi con questa, si attacca alla base del cranio:
- alla base dell’occipite a livello del tubercolo faringeo
- sulla faccia inferiore della rocca in avanti e dentro al foro carotideo
- sulla lamina fibrosa che ostruisce il foro lacero anteriore
- sulla parte postero-esterna della base dell’apofisi pterigoidea
- sulla parete inferiore, fibrosa della tromba
- sul legamento pterigo-mascellare
Emette in avanti un prolungamento di cellule
linguali che accompagna verso la lingua il
muscolo faringoglosso. Le aponeurosi intra e
perifaringee emettono delle espansioni che
ricoprono la porzione discendente dei
muscoli peristafilini interno ed esterno.
L’aponeurosi perifaringea è rinforzata al di
sotto del peristafilino esterno dal legamento
timpano-pterigo-mascellare.
Raggiungendo il bordo posteriore della
tiroide l’aponeurosi perifaringea si sdoppia in
due foglietti:

64
- uno profondo o interno, continua la guaina viscerale sulla trachea e la laringe e forma il foglietto
profondo della guaina tiroidea
- l’altro esterno tappezza da dentro a fuori la faccia posteriore del lobo laterale corrispondente del corpo
della tiroide e si unisce, nella parte più esterna di questa faccia, al foglietto profondo dell’aponeurosi
media, che completa in avanti la guaina del corpo della tiroide
Dalla parte anteriore della guaina viscerale, lungo il bordo inferiore del corpo della tiroide, si stacca una
espansione che accompagna le grosse vene tiroidee, circonda il tronco brachio-cefalico venoso sinistro e
si prolunga fino al pericardio . questa
espansione porta il nome di lamina
tiropericardica o cervico-
pericardica(Richet). La lamina cervico-
pericardica e la parte continua del
pericardio limitano, col foglietto
profondo dell’aponeurosi media e il
legamento sterno-pericardico superiore,
uno spazio occupato dal timo (fig 46). La
guaina viscerale del collo invia indietro
delle espansioni sagittali (Charpy), che la
uniscono all’aponeurosi cervicale
profonda e attraverso di essa ai tubercoli
anteriori delle apofisi trasverse. Un
prolungamento posteriore la unisce all’apofisi stiloidea costituendo l’aponeurosi stilo-faringea. Si lega
inoltre alle grandi e piccole corna dell’osso ioide. A livello del costrittore superiore, invia una espansione
intrafaringea che costituisce l’aponeurosi intrafaringea. Ha la forma di una doccia perché occupa solo le
pareti posteriore e laterali della faringe; fibrosa e resistente in alto, sottile e cellulare in basso, si continua
con la tunica cellulare dell’esofago indietro e il pericardio in avanti.
Dura madre base del cranio
Aponeurosi interpterigoidea
Aponeurosi pterigo – temporo - mascellare
Aponeurosi palatina aponeurosi cervicale media
Aponeurosi perifaringea
Aponeurosi cervicale profonda pericardio
diaframma

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E-IL PERICARDIO
Il pericardio è un sacco fibro-sieroso che riveste il cuore ed è composto da due parti:
- una profonda, sierosa formata da un foglietto viscerale, modellato sul cuore e i vasi e un foglietto
parietale che ricopre il foglietto precedente
- una superficiale, fibrosa, che riveste il foglietto parietale sotto forma di un sacco chiuso
ermeticamente, destinata a proteggere e fissare il
cuore.
Noi studieremo soprattutto il pericardio fibroso e
descriveremo in seguito brevemente quello sieroso.
1) Il pericardio fibroso (fig 47)
Fa seguito, come abbiamo visto prima, all’aponeurosi
perifaringea. Il pericardio fibroso è una membrana
spessa e resistente. Riveste il foglietto parietale del pericardio sieroso, forma un vero e proprio sacco
fibroso attraversato dai grossi vasi del cuore. Dei solidi legamenti lo fissano al diaframma, alla parete
anteriore e posteriore del torace e alla regione del collo.
a) Il sacco fibroso
Di aspetto bianco madreperlaceo, è formato da fibre curvilinee che si intrecciano in tutti i sensi e si
addensano in bandellette che realizzano attorno ai vasi dei veri e propri anelli fibrosi.
Ha la forma di un cono troncato alla base inferiore. Avvolge il cuore. La sua base riposa sul diaframma,
più precisamente sul foglietto anteriore e sulla parte anteriore del foglietto sinistro, ma ne è sempre
separata da un sottile strato di tessuto cellulo-adiposo in continuità con la fascia endotoracica. La sua
faccia anteriore corrisponde al bordo anteriore dei polmoni, al fondo di sacco anteriore della pleura (cul-
de-sac) e al “piastrone” sterno-costale. La sua faccia posteriore corrisponde agli organi del mediastino
posteriore, in particolare all’esofago toracico.
La sommità, troncata, si perde nei vasi della base del cuore, al di sopra del pericardio sieroso e, come
abbiamo già segnalato, costituisce una continuità
con l’aponeurosi perifaringea.
b) i legamenti del pericardio( fig 48).
Il pericardio emette numerosi prolungamenti, che
costituiscono i suoi legamenti di ancoraggio.
1) Legamenti freno-pericardici
Sono tre, i più solidi ed in dipendenza dalla fascia
endotoracica. Il legamento anteriore si fissa sulla
fogliolina anteriore; ildestro è situato a destra

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della vena cava inferiore e il sinistro a sinistra della vena cava inferiore. Questi ultimi due legamenti
contengono la vena cava inferiore e formano i legamenti frenopericardici di Teutleben.
2) Legamenti sterno-pericardici
Sono due: uno superiore teso dal manubrio al pericardio (è un prolungamento del foglietto profondo
dell’aponeurosi cervicale media ed è anche la continuità della parete anteriore della guaina viscerale del
collo), l’altro inferiore è teso dalla base inferiore dell’appendice xifoide al pericardio.
3) Legamenti vertebro-pericardici
Sono delle bendellette fibrose sviluppate nello spessore dei setti sagittali. Le loro inserzioni si confondono
con quelle dei setti sagittali dell’aponeurosi perifaringea, sull’aponeurosi prevertebrale dalla sesta
cervicale fino alla terza dorsale e terminano in basso sulla parte superiore del pericardio.
4) Legamenti cervico-pericardici
Formano la lamina tiropericardica di Richet, espansione della guaina viscerale del collo, che si stacca
dalla guaina del corpo della tiroide e forma una lamina frontale che limita il dietro della loggia timica
terminandosi sulla faccia anteriore del pericardio.
5) Legamenti viscero-pericardici
Sono legamenti accessori, semplici tratti fibrosi che legano il pericardio all’esofago toracico(in dietro,
sono detti legamenti esofago-pericardici), alla biforcazione tracheale (in alto, legamenti tracheo-
pericardici e bronco-pericardici), lateralmente alle vene polmonari e vanno a formare le ali del pericardio.

2) Il pericardio sieroso
E’ formato da due foglietti:
- il foglietto viscerale si modella sul cuore
- il foglietto parietale riveste quello viscerale e si unisce al pericardio fibroso.
Questi due foglietti delimitano uno spazio chiuso dalle loro riflessioni interne attorno ai grossi vasi. Il
pericardio fibroso è inestensibile ed innervato dal nervo frenico, mentre quello sieroso riceve le fibre
vasomotrici e sensitive che provengono dal plesso coronario per cui la stimolazione non causa dolore.

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Riassumendo l’asse apeneurotico centrale
È costituito da:
1. apenerosi interpterigoidea, pterigo-temporo-mascellare, che l’agganciano alla base del
cranio e che si prolungano con:
2. aponeurosi faringea e perifaringea
3. quest’ultima prolungata dal pericardio

questo asse si articola con:


 in alto con le meningi attraverso i nervi cranici
 nel suo contorno dall’alto in basso:

 indietro all’apeneurosi cervicale profonda attraverso le lamine sagittali


 avanti e indietro (la fascia endotoracica si lega) attraverso i legamenti peripericardici
 inavanti all’apeneurosi cervicale media costituendo con questa la guaina della tiroide e la
loggia timica
 la pleura lateralmente a livello toracico

4. in basso con il diaframma

ARTICOLAZIONI DEL PERICARDIO

dura madre base del cranio

aponeurosi interpterigoidea

aponeurosi interpterigo- mascellare

aponeurosi palatina

aponeurosi perifaringea

aponeurosi cervicale media

pleura PERICARDIO
fascia endotoracica
diaframma

fascia trasversalis

peritoneo

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IL DIAFRAMMA (FIG 49)

È il muscolo principale della inspirazione, ma al di là di questo ruolo possiamo considerarlo anche come
una fascia. Il suo centro è fibroso, discende dal setto trasverso cervicale e trasporta con questo tutte le
colonne fasciali che abbiamo studiato. Costituisce la continuità tra la fascia toracica ed addominale,
separando queste due cavità. Nella sua parte superiore è ricoperto dalla fascia endotoracica (ricoperta
dalle pleure), questa fascia si prolunga nell’addome attraverso la fascia trasversalis. Dalla sua faccia
inferiore, tappezzata dal peritoneo, si distaccano le fasce renali; il diaframma è in oltre in rapporto con la
fascia dello psoas. Il peritoneo ricopre questa faccia inferiore e attraverso di essa appende il fegato e lo
stomaco al diaframma. Nella sua parte superiore anche quest’ultimo è appeso attraverso una guaina
fasciale formata dal pericardio, dalla fascia perifaringea, dalle aponeurosi interpterigoidea e palatina, alla
base del cranio. In senso anteroposteriore questa guaina è stabilizzata dai legamenti vertebro-pericardici e
sterno-pericardici. Il diaframma rappresenta dunque una continuità fasciale tra la base del cranio, il collo,
il torace e l’addome; è un punto di legame e di ammortizzamento importante, come vedremo più in là.

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LE APONEUROSI CHE TAPPEZZANO LA FACCIA INTERNA DELLA
CAVITA’ TORACO-ADDOMINALE

A) LE PLEURE

Due aponeurosi, una destra e una sinistra, indipendenti l’una dall’altra. Sono delle sierose che presentano
due foglietti:
-un foglietto viscerale, che riveste i polmoni
-un foglietto parietale, che riveste la cavità toracica
Il foglietto parietale e il foglietto viscerale si continuano l’uno con l’altro a livello dell’ilo polmonare
formando la linea di riflessione della pleura. Le pleure, mantenute normalmente in contatto da un film
liquido, delimitano tra loro una cavità virtuale: la cavità pleurica.
1) La pleura viscerale
Riveste tutta la superficie del polmone ad eccezione di una parte della sua faccia mediastinica, dove le
pleura si riflette a livello dell’ilo per divenire pleura parietale. Questa linea di riflessione prosegue al di
sotto dell’ilo per costituire il legamento triangolare. La pleura viscerale penetra nel polmone, dove riveste
le scissure polmonari, poi si sdoppia per tappezzarei i lobuli polmonari. La pleura viscerale è unita al
parenchima polmonare da un sottile strato di tesuto cellulare sottopleurico che continua all’interno del
parenchima formando la trama o l’interstizio polmonare.
2) La pleura parietale (fig 50)
Tappezza pressochè interamente la
faccia profonda della cavità toracica.
Riposa sulla parete attraverso
l’intermediario della fascia endotoracica
che si sdoppia dunque all’interno. Si
distinguono più segmenti:
-un segmento costale o pleura costale
-un segmento mediastinico o pleura
mediastinica
-un segmento diaframmatico o pleura
diaframmatica
Questi tre elementi si proseguono senza soluzione di continuità formando i cul-de-sac pleurici.
a) La pleura costale Riveste la faccia profonda delle coste e degli spazi intercostali dai quali si separa
attraverso la fascia endotoracica. In avanti si estende fino al bordo dello sterno e si riflette indietro per

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diventare pleura mediastinica. Indietro si estende fino al solco laterovertebrale dove si riflette ugualmente
in direzione della pleura mediastinica. In basso si riflette per diventare pleura diaframmatica.
b) La pleura diaframmatica Più sottile della pleura costale, aderisce alla fascia endotoracica e attraverso il
suo intermediario alla faccia superiore delle cupole diaframmatiche in maniera stabile e incompleta. A
sinistra lascia libera la parte di diaframma destinata all’inserzione del pericardio. A destra ricopre tutta la
cupola fuori che una linea anteroposteriore che passa per il bordo esterno dell’orifizio della vena cava
inferiore.
c) La pleura mediastinica Ricopre gli organi del mediastino secondo una direzione anteroposteriore, dallo
lo sterno in avanti fino al solco costovertebrale indietro. Gli organi sono:
 nel mediastino anteriore: pericardio, nervo frenico, vasi diaframmatici superiori, timo, tronco
brachiocefalico destro e vena cava superiore ed inferiore.
 nel mediastino posteriore: trachea, esofago, la grande azigos e la pneumogastrica destra (a destra),
aorta toracica discendente, le emiazigos e in alto il canale toracico (a sinistra).
A livello del peduncolo polmonare, la pleura mediastinica forma un manicotto pressochè circolare attorno
a degli elementi del peduncolo di cui tappezza la faccia anteriore, posteriore e superiore. Al di fuori, a
livello dell’ilo si riflette per divenire pleura viscerale. La riflessione della pleura a livello dell’ilo si
prosegue fino al diaframma attraverso il legamento triangolare del polmone. Il legamento del polmone
sinistro è pressapoco verticale. Il legamento del polmone destro è obliquo, deviato in basso e indietro
dalla vena cava inferiore. Ogni legamento del polmone corrisponde in dentro al bordo laterale
corrispondente dell’esofago, attraverso l’intermediario della fascia periesofagea, ed è assai fortemente
unito a questo.
d) La volta pleurica (fig 51) La volta pleurica copre la sommità del polmone. Aderisce fortemente alla
fascia endotoracica, che si ispessisce considerevolmente per formare il diaframma cervicotoracico di
Bourgerey, in seno del quale si può vedere i legamenti sospensori della pleura (vedere la fascia
endotoracica):
-legamento costopleurale
-legamento trasversopleurale
-legamento vertebropleurale.
La pleura parietale è innervata dai nervi
intercoastali, toracoaddominali e dal
nervo frenico.

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Riassumendo le due pleure
Presentano due foglietti separati da uno spazio virtuale lubrificato perpermettere lo
scivolamento.
 Il foglietto interno ( pleura viscerale) circonda il polmone e si sdoppia in profondità
per formare le scissure e circondare lobi e lobuli.
 Il foglietto esterno (pleura parietale) aggancia il polmone alla periferia e permette
di costituire una pompa efficace
Le sue articolazioni sono:
 Medialmente con il pericardio
 Esternamente con la fascia edotoracica e attraverso di essa con la parete toracica
interna
 In basso con il diaframma
 In alto con la fascia endotoracica e attraverso di essa con le fasce cervicali e con i
legamenti sospensori della pleura

ARTICOLAZIONI DELLA PLEURA

APENEUROSI CERVICALI

PERICARDIO PLEURA FASCIA ENDOTORACICA

DIAFRAMMA

FASCIA TRASVERSALIS

PERITONEO

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B) IL PERITONEO E LA CAVITA’
PERITONEALE(fig 52)

Il peritoneo è una membrana sierosa che riveste la


faccia profonda della cavità addominale, pelvica e i
visceri che contengono. Oggetto di numerose
modificazione successive nel corso della vita
embrionale e fetale, il peritoneo dell’adulto presenta
numerose pieghe, che gli conferiscono una
disposizione particolarmente complessa spiegata dall’embriologia.
Come tutte le sierose è costituito da due foglietti:
-un foglietto parietale che riveste la faccia profonda della cavità addominale
-un foglietto viscerale che riveste la faccia superficiale dei visceri addominali.
Questi due foglietti delimitano una cavità virtuale: la cavità peritoneale. Questa cavità rappresenta un
sacco chiuso che contiene i visceri addominali. Tuttavia è da notare che nella donna il peritoneo non è
chiuso ermeticamente; in effetti questa cavità si apre a livello dell’ovaia e questa apertura porta il nome di
linea di Farre. Questa soluzione di continuità permette lo scorrimento del liquido peritoneale attraverso le
tube e spiega la possibilità di infezione peritoneale ascendente di origine ginecologica. Nell’uomo, al
momento della discesa dei testicoli, il peritoneo si invagina come un dito di guanto a livello dei testicoli
(tunica vaginale) trascinando con lui la fascia trasversale (tunica fibrosa) e alcune fibre dei muscoli
trasversi e piccolo obliquo (cremastere).
Il suo punto più pendente costituisce il fondo di sacco di Douglas.
Il peritoneo parietale è spesso separato dalla parete addominale da un tessuto sottoperitoneale: la fascia
propria. Abbondante e lassa nella parte inferiore della parete dove il peritoneo è facilmente scollabile, in
altri luoghi è poco abbondante e stringe e lega solidamente il peritoneo alla parete.

1) IL PERITONEO PARIETALE
Tappezza la faccia profonda della cavità addominale. Si distigue:
- il peritoneo parietale diaframmatico
- il peritoneo parietale posteriore
- il peritoneo parietale anteriore
- il peritoneo parietale inferiore o pelvico

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a) il peritoneo parietale diaframmatico
Aderisce fortemente alla faccia inferiore del diaframma eccetto a livello del legamento coronale del
fegato, come vedremo più avanti.

b) il peritoneo parietale posteriore


Riveste la fascia trasversale e, attraverso il suo intermediario, la parete addominale posteriore, dalla quale
è separato dallo spazio retroperitoneale dove alloggiano: grossi vasi paravertebrali come l’aorta e la vena
cava (sulla linea mediana) e reni, surreni e ureteri (lateralmente).
Segnaliamo che l’uretere attraverso la sua guaina connettiva, formata dalla fascia sottoperitoneale,
aderisce in avanti al peritoneo. L’uretere accompagna il peritoneo quando lo si scolla.

c) il peritoneo parietale anteriore


Riveste la faccia profonda della parete anterolaterale dell’addome, dalla quale è separato attraverso uno
spazio di cellule sottoperitoneali, che diventa sempre più stretto via via che ci si dirige in avanti verso la
linea mediana. Nella sua parte sotto-ombelicale si allontana sempre più dalla parete, spinto indietro
dall’aponeurosi ombelico-prevescicale. A questo livello è sollevato dall’uraco e dai legamenti ombelico-
vescicali laterali che creano a livello della sua faccia interna tre fossette:
-la fossetta inguinale interna
-la fossetta inguinale media
-la fossetta inguinale esterna
La fossetta esterna costituisce uno dei punti deboli della parete addominale( l’orifizio interno de canale
inguinale) da dove possono infiltrarsi le anse intestinali e creare delle ernie inguinali.
Un po’ al di sotto dell’arcata crurale il peritoneo parietale anteriore è separato dal piano parietale
attraverso uno spazio di cellule: lo spazio di Bogros.

d) il peritoneo parietale inferiore o pelvico


Riveste le pareti della cavità pelvica lateralmente e, sulla linea mediana, ricopre lo spazio sottoperitoneale
e i visceri che questo contiene, da dietro in avanti: retto, organi genitali interni, vescica. Riveste le facce
laterali e superiore della vescica alla quale aderisce fortemente. Dietro la vescica: - nell’uomo, ricopre
la base delle vescicole seminali, costituisce il fondo di sacco di Douglas e ricopre indietro il retto, dove va
a formare per ogni lato i solchi laterorettali.
- nella donna aderisce fortemente al parametrio, che ricopre l’utero e gli annessi e forma due cul de
sac: uno anteriore (il cul de sac vescicouterino, poco marcato) e uno posteriore (il cul de sac di Douglas).

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Da notare che i cul de sac possono essere la sede di:
-depositi di liquidi (soprattutto quello di Douglas che è in discesa)
-migrazione di anse intestinali che vengono ad incastrarvisi.

2) IL PERITONEO VISCERALE
Riveste la faccia profoda del peritoneo parietale e la faccia superficiale dei visceri addominali aderendovi
strettamente. I foglietti peritoneali delimitano la cavità peritoneale occupata dai visceri digestivi. Questa
cavità è divisa da un certo numero di pieghe che formano dei setti, delle fossette ed anche dei recessi. Il
più importante di questi recessi è la retrocavità degli epiploon, che permette di dividere la cavità
peritoneale in due parti:
-grande cavità peritoneale
-retrocavità degli epiploon
Uno dei più importanti ripiegamenti peritoneali lega il colon trasverso alla parete posteriore e forma un
setto obliquo in basso e in avanti, che divide la grande cavità peritoneale in due piani:
-piano sopramesocolico
-piano sottomesocolico
Adesso andremo a interessarci alle pieghe peritoneali, la loro formazione è molto complessa e per una
migliore comprensione è preferibile rimandare all’embriologia.

3) LE DIVERSE PIEGHE PERITONEALI


La sierosa peritoneale è molto complessa a causa di un gran numero di pieghe peritoneali che portano il
nome di:
- mesos
- legamenti
- epiploon
a) I mesi
I mesi uniscono i visceri addominali alla parete e apportono loro la propria vascolarizzazione e
innervazione. Un meso si costituisce ogni volta che il peritoneo parietale, riflettendosi sul peritoneo di un
viscere, racchiude i vasi e i nervi che si recano a questo viscere. La zona parietale circoscritta fra due
foglietti che costituiscono il meso, rappresenta la radice di inserzione del meso.
La lunghezza del meso dà ad ogni organo una mobilità più o meno grande all’interno della cavità
peritoneale. Tramite la disposizione primaria embriologica si può distinguere:
-un mesogastro a livello dello stomaco
-un mesentere a livello dell’intestino tenue

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-un mesocolon a lilvello dell’intestino crasso.
Secondariamente a causa dell’allungamento dell’intestino primitivo e delle rotazioni gastriche e
intestinali, alcuni organi si trovano applicati contro la parete addominale posteriore; il foglietto posteriore
del meso si fonde con il peritoneo parietale posteriore e si dice che si realizza un’accollamento. Le fasce
sono dunque dei piani di divisione avascolarizzati, che mantengono applicati alla parete, più o meno
fortemente, gli organi che rivestono.
Dopo la nascita la parte terminale dell’esofago e la parte iniziale dello stomaco, oltre che l’estremità
sinistra del pancreas, sono unite dall’intermediario del mesogastro posteriore:
-il duodeno-pancreas è anche egli unito attraverso l’intemediario della fascia di Treitz
-il colon ascendente e discendente è unito dall’intermediario della fascia di Toldt.
Lo stomaco , il primo duodeno, l’intestino tenue, il colon trasverso e il colon sigmoide restano mobili e
legati alla parete attraverso dei mesi.
Andiamo adesso a studiare i mesi e i loro derivati, le fasce di unione.

b) I differenti mesi
-I mesi dello stomaco (fig 53)
Costituiti dalla falci vascolari, sono
due: la falce della coronaria e la falce
dell’epatico.
La falce della coronaria o legamento
gastropancreatico di Huske è tesa dal
tronco ciliaco al terzo superiore della piccola curvatura; il suo bordo inferiore libero, concavo in basso,
orientato in avanti e a destra, limita in alto il “foramen bursae omentalis”, che dà accesso alla retrocavità
degli epiploon.
La falce dell’epatico o legamento duodeno-pancreatico è orientato in senso inverso; il suo bordo
superiore libero, concavo in alto limita la parte bassa del foramen.

-Il mesentere
Meso delle anse tenui, le lega alla parete addominale posteriore e assicura loro una vascolarizzazione e
una innervazione propria. Ha la forma di un segmento di cerchio di cui:
-la corda è il bordo parietale o radice
-la periferia è il bordo intestinale di una lunghezza da 5 a 6 metri ed è molto mobile.
La radice costituisce la parte fissa, solidamente attaccata alla parete addominale posteriore soprattutto
nella sua parte media. Lunga 15 centimetri larga 18 millimetri, disegna una linea spezzata obliqua in
basso e a destra. Vi si distinguono tre segmenti:

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-il superiore, obliquo in basso e a destra, si estende dall’angolo duodeno-digiunale, dove è fissato
fortemente all’apofisi trasversa sinistra della seconda lombare e attraverso il muscolo di Treitz al bordo
inferiore del terzo duodeno; dunque davanti al corpo di L3
-il medio verticale, più corto, rappresenta l’elemento più fisso. È al suo livello che i vasi mesenterici
superiori penetrano nel mesentere. Si proietta su L3, L4.
-l’inferiore di nuovo obliquo in basso e a destra, si estende dal disco di L4-L5 all’angolo ileo-ciecale al
sotto del’arteria iliaca primitiva destra, incrociando l’uretere e i vasi spermatici ( o lombo ovarici).

-Il meso colon trasverso


Forma una lamina trasversale tesa fra la parete addominale destra e quella sinistra. Obliquo in basso e in
avanti separa la cavità peritoneale in due parti:
-superiore o sopramesocolica
-inferiore o sottomesocolico
Il mesocolon lega il colon trasverso alla parete posteriore. Il suo bordo anteriore è molto lasso, soprattutto
a sinistra, il bordo posteriore si fissa alla parete posteriore. Incrocia la testa del pancreas alla quale
aderisce, passa al di sopra dell’angolo duodeno-digiunale,costeggiando il bordo inferiore del corpo del
pancreas; nella ua parte sinistra costituisce la parete inferiore della retro cavità degli epiploon.

-Il meso-sigmoideo
Il colon sigmoide è legato alla perete posteriore attraverso un meso a doppia radice:
-una radice primaria che discende verticalmente e medialmente e che va dalla mesenterica inferiore alla
faccia anteriore di S3.
-una radice secondaria obliqua in basso e a sinistra, che va dal mesentere inferiore al bordo interno dello
psoas sinistro; costeggia il bordo esterno dei vasi iliaci primitivi e poi quelli esterni, incrociando i vasi
spermatici (o lombo-ovarici) e l’uretere.
Dei mesi si staccano dalle espansioni che legano il colon sigmoide alla parete e agli organi vicini e
costituiscono dei legamenti:
-il legamento colon-iliaco,che unisce il colon alla parete iliaca sinistra e prolungando verso sinistra la
radice secondaria.
-il legamento colon-tubaio, incostante teso tra il meso-sigmoide e la tuba sinistra
-il legamento colon-mesenterico, mutevole, teso da sinistra a destra dal meso-sigmoide al foglietto destro
del mesentere.

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c) Le fasce
Rappresentano, come abbiamo detto,
un’unione dei mesi.
-La fascia di Treitz(fig 54)
Fascia di unione del duodeno e della testa
del pancreas, unisce solidamente questi
organi alla parete posteriore, poiché il suo
punto massimo di fissaggio è l’angolo del
2°-3° del duodeno e la sua espansione
sull’apofisi trasversa di L2, il muscolo di
Treitz. Anche questo invia una espansione sul pilastro sinistro del diaframma, sul bordo destro
dell’esofago e sulla circonferenza dell’orifizio dell’aorta.

-La fascia di Toldt


Fascia di unione alla parete posteriore del colon ascendente e discendente.
Per il colon ascendente, si estende dal cieco all’angolo colico destro. Fissa il colon al peritoneo parietalle
posteriore; tuttavia in un certo numero di casi l’unione non esiste e il colon è totalmente libero nella
cavità addominale. La fascia si prolunga verso il basso con il legamento laterocolico, che lega il bordo
esterno del cieco alla parete lomboiliaca. Il bordo esterno del cieco è legato alla parete iliaca anche
attraverso l’intermediario del legamento retro-ilio-colico, che non è altro che un prolungamento
dell’inserzione bassa della radice del mesentere. La radice del mesentere fornisce il mezzo di fissazione
dell’appendice e cioè il mesoappendice che emette anch’esso un prolungamento inferiore: il legamento
appendico-ovarico.
Nella parte superiore, la fascia di Toldt si prolunga fino all’angolo colico destro dove forma il piano
profondo di fissazione o lamina fissatrice del gomito destro di Buy, dove si può individuare :
-un legamento reno-colico
-un legamento freno-colico
Ricordiamoci che gli altri legamenti fissano l’angolo colico destro :
-sul piano medio i legamenti cisto-duodeno-colico ed epato-colico
-sul piano superficiale il legamento omento-colo-parietale
Per quanto riguarda il colon discendente, la fascia si estende dall’angolo colico sinistro al colon sigmoide.
Fissa il colon al peritoneo posteriore e si prolunga in basso attraverso il meso sigmoide. Nella sua parte
superiore forma il il piano profondo di fissazione dell’angolo colico sinistro, attraverso la lamina
fissatrice del gomito sinistro di Buy.

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Ricordiamoci gli altri legamenti che fissano l’angolo sinistro:
-nel piano medio attraverso il legamento spleno-colico, prolungamento verso il basso dei legamenti gastro
e pancreatico-splenici
-nel piano superficiale, il più importante, attraverso il legamento frenico-colico sinistro, che costituisce
anche il letto della milza, la cui base riposa sulla sua faccia superiore.
Bisogna notare che il colon si stacca facilmente dalla parete posteriore e che il peritoneo posteriore ha la
tendenza a prolungarsi verso il centro dell’addome; questo spiega il perchè sia molto più facile ricondurre
il colon verso la zona mediana dell’addome piuttosto che distenderli verso l’esterno.

d) I legamenti
Vanno sotto questo nome (legamenti peritoneali) delle lamine peritoneali a due foglietti che legano i
visceri tra loro o un viscere alla parete addominale, senza contenere dei peduncoli vascolari importanti.
Alcuni sono il risultato di una riflessione peritoneale, altri sono il prolungamento dei mesi o
dell’epiploon.
Questi legamenti sono molto numerosi. Alcuni rappresentano dei mezzi di fassazione molto solidi, altri
sono incostanti e variabili e hanno un ruolo di contenimento minore.
Distinguiamo:
-Il legamento rotondo del fegato
È un residuo della vena ombelicale; forma una vasta piega sagittale chiamata legamento falciforme o
legamento sospensore. Rappresenta un setto verticale e anteroposteriore che va dall’ombelico alla faccia
postero-superiore del fegato e lega la faccia convessa del fegato al diaframma e alla parete anteriore
dell’addome.
È costituito da due foglietti uniti nella loro parte anteriore fino all’ombelico, dove si prolunga attraverso il
legamento vescico-ombelicale mediale (“vestigio dell’uraco”).
Nella sua parte posteriore, a livello del bordo postero-superiore del fegato, i due foglietti si separano e si
dirigono: uno a destra sul lobo destro del fegato, l’altro a sinistra su tutta l’ampiezza del lobo sinistro,
dove si prolunga col foglietto superiore del legamento coronario.
-Il legamento coronario
Unisce la faccia posteriore del fegato al diaframma e comprende due foglietti:
-un foglietto antero-superiore che si riflette dal diaframma sul fegato costeggiando il suo bordo postero-
superiore. Sulla linea mediana si prolunga attraverso il legamento falciforme come possiamo vedere.
-un foglietto inferiore che si riflette sulla porzione verticale del diaframma, costeggia il bordo inferiore
poi la vena cava inferiore, infine la parte trasversale del canale di Aranzio dove raggiunge il foglietto
posteriore del piccolo epiploon.
Il legamento coronario emette tre prolungamenti attorno alla vena cava inferiore:
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-il meso epato-cavo, incostante, che si prolunga attorno alla vena cava inferiore
-I legamenti triangolari destro e sinistro formati dall’unione dei foglietti superiore ed inferiore del
legamento coronario. Questi due legamenti terminano con un bordo libero teso verticalmente dal
diaframma alla faccia superiore del fegato. Ricordiamoci che dal punto di vista embriologico, il fegato si
sviluppa dal setto trasverso (che costituirà il centro frenico del diaframma) il quale ha origine dall’arco
branchiale. Per il suo aumento di volume, discende nella cavità addominale e stira la sue inserzioni per
formare i legamenti coronario, falciforme e piccolo epiploon. Il fegato è circondato dalla capsula di
Glisson che proviene dal centro frenico; sarà in seguito interamente ricoperto dal peritoneo eccetto a
livello del piano di allontanamento del legamento coronario dove è direttamente in contatto con il
diaframma.
-Il legamento gastro-frenico
Punto di riflessione sul peritoneo diaframmatico dei due foglietti del peritoneo gastrico, si estende dal
versante posteriore della grande tuberosità al foglietto sinistro del diaframma. Si continua:
-a destra con la porzione alta del piccolo epiploon
-a sinistra con l’epiploon gastro-splenico.
-Il legamento gastro-colico
Teso dalla grande curvatura dello stomaco al colon trasverso, deriva dal grande epiploon.
-Il legamento largo
Lo si può considerare come un legamento che fissa fortemente il peritoneo sull’utero e i suoi annessi
come noi l’abbiamo già visto.
-Il legamento sospensore degli angoli colici
Sono i legamenti parieto-colici destro e sinistro, espansione laterale del grande epiploon e mezzo di
fissazione più importante delle anse coliche.

e) Gli epiploon
Sono delle lamine peritoneali che talvolta contengono uno o più peduncoli vascolari e si portano da un
organo all’altro all’interno della cavità peritoneale. Esistono quattro epiploon di cui tre si fissano sullo
stomaco:
-Il piccolo epiploon o epiploon gastro-epatico
È una lamina quadrilatera situata in un piano frontale e tesa : dalla piccola curvatura dello stomaco, bordo
mediale dell’esofago addominale e dal primo duodeno, alla faccia inferiore del fegato a livello dell’ilo
(per poi curvare all’angolo destro in dietro, per seguire il canale di Aranzio e il canale verticale sinistro) e
alla faccia posteriore del fegato prima di andare ad inserirsi sul diaframma. Ricordiamoci che il piccolo
epiploon riceve delle espansioni dal legamento coronario e dal legamento gastro-frenico. Lascia a destra

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un bordo libero che costituisce lo iato di Winslow che dà accesso alla retrocavità degli epiploon. Nel suo
spessore decorrono la vena porta, il coledoco e l’arteria epatica e i peduncoli nervosi del fegato.
-Il grande epiploon o epiploon gastro-colico (fig 53)
È una lamina quadrilatera che ricopre in avanti l’intestino come un grembiule più o meno esteso.
Si fissa in alto sulla grande curvatura dello
stomaco, forma il legamento gastro-
colico, passa in avanti al colon trasverso
dove aderisce per poi discendere nella
cavità addominale e terminare in un bordo
libero.
Lateralmente invia delle epansioni alle
pareti addominali, che costituiscono i
legamenti sospensori delle anse coliche. A
livello del suo bordo sinistro il legamento gastro-colico si continua in alto a sinistra con l’epiploon gastro-
splenico. È una vasta lamina peritoneale che comprende quattro foglietti accolati.
-Epiploon gastro-splenico
Prosegue verso l’alto il legamento gastro-colico. È una lamina a due foglietti tesa dalla grande curvatura
dello stomaco fino al versante anteriore dell’ilo della milza. A questo livello i due foglietti si separano:
quello anteriore riveste il versante anteriore della faccia interna della milza; quello pesteriore si riflette a
livello dell’ilo della milza per formare il foglietto antero-destro dell’epiploon pancreatico-splenico.
-Epiploon pancreatico-splenico
Formato da due foglietti, si inserisce in dietro e in dentro a livello dell coda del pancreas e sul piano
parietale posteriore e si estende fino all’ilo della milza. Il suo foglietto antero-destro si prosegue con il
foglietto posteriore dell’epiploon gastro-splenico. Il suo foglietto posteriore, molto breve, si riflette al di
fuori per divenire peritoneo parietale posteriore.
-Retrocavità degli epiploon
I quattro epiploon determinano dietro lo stomaco una cavità appiattita in senso antero-posteriore, la
retrocavità degli epiploon, delimitata: -in dietro dal peritoneo parietale posteriore -in avanti dal piccolo
epiploon, faccia posteriore dello stomaco e del colon trasverso -in basso dal mesocolon trasverso che ne
forma il pavimento -a sinistra dagli epiploon gastro.splenico e pancreatico-splenico
Questa cavità comunica a destra con la grande cavità peritoneale attraverso lo iato di Winslow.
La retrocavità degli epiploon rappresenta un piano di scivolamento che permette una grande mobilità
dello stomaco nella cavità addominale. L’innervazione del peritoneo avviene attraverso il nervo frenico,

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toraco addominale, e il plesso lombare per le fibre sensitive e vasomotrici. La radice del mesentere
contiene delle fibre della sensibilità dolorosa, molto sensibili allo stiramento.
Riassumendo il peritoneo
È costituito da due foglietti separati da uno spazio virtuale che permette lo scivolamento:
il peritoneo parietale: riveste la faccia profonda della cavità addominale. Si articola in alto con il
diaframma, lateralmente con la fascia trasversalis, in basso con gli organi del piccolo bacino e con il
peritoneo attraverso le aponeurosi vescico-rettali, vescica-vaginali, retto-vaginale, prostatica.
Il peritoneo viscerale: non si modella direttamente sul peritoneo parietale,ma presenta numerosi
ripiegamenti chiamati: legamenti ( lamine peritoneali a due foglietti che collegano i visceri fra di loro o
un viscere alla parete addominale senza contenere nel suo interno fasci pascolo-nervosi )
Meso: è un legamento che contiene il fascio vascolonervoso destinato all’organo che aggancia alla parete
addominale) Fasce: sono un accoramento dei meso Epiploon: sono delle lamine peritoneali che collegano
gli organi all’interno della cavità addominale e contengono fasci vascolo nervosi.

PLEURA FASCIA ENDOTORACICA PERICARDIO

DIAFRAMMA

FASCIA PERIRENALE FASCIA TRASVERSALIS


PERITONEO
FASCIA ILIACA APENEUROSI OMBELICO PREVESCICALE

PARAMETRI
ORGANI DEL PICCLO BACINO

APENEUROSI PRESACRALE FASCIA DI HALBAN


APENEUROSI VESCICO-RETTALE

APENEUROSI PERINEALI

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LE APONEUROSI CONTENUTE ALL’INTERNO DI UN CONDOTTO
OSSEO O LE MENINGI

L’asse cerebro-spinale è interamente avvolto da tre membrane concentriche, le meningi, che sono da fuori
a dentro: la dura madre, l’aracnoide e la pia madre. Adesso andremo a studiare la parte craniale e rachidea
delle meningi.

A-LA DURA MADRE

1) La dura madre craniale (fig 55)


È una membrana fibrosa spessa (da 0,3 mm a 1 cm
massimo nella circonferenza del foro occipitale) e
resistente, costituita da dei fasci di tessuto connettivo
uniti a fibre elastiche; riveste la faccia interna della
scatola cranica e si unisce intimamente al periostio
dove è molto difficile individualizzarla. La distinzione
tra periostio e dura madre è chiara nel foro occipitale
dove la dura madre, fin lì confusa con il periostio, si
separa da questo per continuarsi con la dura madre
spinale. In seguito ai lavori di Kuchiwaki e coll. si è visto che lo spesore della dura madre varia in
funzione della prssione intracranica. Più la pressione aumenta più lo spessore diminuisce.
Descriviamo adesso la faccia interna e la faccia esterna della dura madre.
FACCIA ESTERNA
Riveste tutta la faccia interna della scatola cranica e aderisce a questa parete attraverso dei
prolungamenti fibrosi, vascolari e nervosi. Questa aderenza è diversa sulla volta e sulla base del
cranio. Sulla VOLTA l'aderenza è relativamente debole eccetto che a livello delle suture, dove
aderisce fortemente. Lo scollamento è relativamente facile nella regione descritta da G.Marchant sotto
il nome di zona scollabile:
-da avanti a dietro, dal bordo posteriore delle piccole ali dello sfenoide fino a due o tre centimetri
dalla pretuberanza occipitale interna.
-da alto in basso, da qualche centimetro fuori dalla falce del cervello ad una linea orizzontale che,
partendo dal bordo posteriore delle piccole ali, incontra il bordo superiore della rocca e passa al di
sopra della porzione orizzontale del seno laterale.
Sulla BASE l'aderenza è molto forte soprattutto a livello dei seguenti punti:

83
-apofisi cristagalli
-bordo posteriore delle piccole ali dello sfenoide
-apofisi clinoidee anteriore e posteriore
-bordo superiore della rocca
-circonferenza del foro occipitale
L'aderenza della dura madre craniale varia anche con l'età; è più pronunciata nell'adulto che nel
bambino e aumenta ancora via via che si invecchia, senza considerare le alterazioni patologiche.
Lascia ai vasi e ai nervi che escono dl cranio dei prolungamenti che li accompagnano nei rispettivi
fori; questi prolungamenti si separano al di là dei fori per continuarsi con il periostio extracraniale e
accompagnano:
-il grande ipoglosso fino alla fossetta condiloidea anteriore
-il vago, il glossofaringeo e lo spinale, oltre che la vena giugulare interna, fino al di sotto del foro
lacero posteriore
-il nervo faciale e uditivo nel condotto uditivo interno dove la dura madre si fonde al periostio
-il nervo mascellare inferiore nel foro ovale
-il nervo mascellare superiore nel foro grande rotondo
-i filamenti olfattivi fino alle fosse nasali
-a livello del foro ottico e della fessura sfenoidale la dura madre penetra nell'orbita dove noi la
vediamo da una parte confondersi con il periostio di questa cavità e dall'altra parte fornire al nervo
ottico una guaina fibrosa che lo accompagna fino al globo dell'occhio e che qui si confonde, senza
demarcazione, con la sclera.
La dura madre al di sopra del nervo ottico forma una piega falciforme (tenda del nervo ottico) che va
dal limbo sfenoidale alla clinoide anteriore. Il nervo aderisce alle pareti del canale ottico attraverso
l'intermediario della sua guaina e questo spiega il perchè esso possa essere leso da fratture irradiate al
canale o colpito nel corso di infezionidei seni. Questi prolungamenti contribuiscono ad aumentare
ancora le aderenze alla base del cranio. Nel territorio delle suture craniche dei fasci vascolo-nervosi
fini, contenuti in tessuto connetivo lasso, lasciano la dura madre per raggiungere il cuoio capelluto in
canali sinuosi transossei.
FACCIA INTERNA
Dalla sua faccia interna la dura madre emette dei prolungamenti che separano le diverse parti
dell'encfalo e le mantengono nella loro rispettiva posizione qualunque sia la posizione della testa.
Questi setti sono cinque:
-tenda del cervelletto ,falce cerebrale, falce del cervelletto, tenda dell'ipofisi, tenda del bulbo olfattivo.

84
La TENDA DEL CERVELLETTO è un setto orizzontale esteso tra la faccia superiore del
cervelletto, che ricopre, e la faccia inferiore dei lobi occipitali, che riposano su di lei.
Caratterizzata da due facce e due bordi
faccia superiore: più alta nella parte centrale rispetto ai versanti laterali; a causa dell'inserzione sulla
linea mediana della falce cerebrale. Su ciascun lato di questi riposano i lobi occipitali.
faccia inferiore: fatta a forma di volta riposa sul cervelletto e sulla sua parte medina si inserisce la
falce del cervello.
bordo anteriore o piccola circonferenza: fortemente concavo in avanti; forma con l'estremità anteriore
del solco basilare il forame ovale di Pacchioni, attraversato dal tronco cerebrale. A ognuna delle sue
estremità il bordo anteriore della tenda del cervelletto passa al di sopra della rocca, dove incrocia la
grande circonferenza , fuori dall'apofisi clinoidea posteriore, e si fissa sulla sommità e sul bordo
esterno dell'apofisi clinoidea anteriore. Le estremità dei due bordi della tenda del cervelletto formano
un triangolo, il cui terzo lato è rappresentato da una linea antero-posteriore che unisce le due apofisi
clinoidee; Questo triangolo è riempito da una lamina di dura madre nella quale sprofonda
l'oculomotore comune e il patetico. Dai tre bordi di questo triangolo si distaccano tre espansioni che
discendono verso la base del cranio e vi si fissano solidamente (dalla faccia anteriore della rocca fino
alla fessura sferoidale, sul fondo della sella turcica). Queste espansioni formano le pareti: interna,
esterna e posteriore dei seni cavernosi.
bordo posteriore o grande circonferenza: concavo in dietro, si inserisce da dentro a fuori sulla
protuberanza occipitale interna, sulle due labbra del solco del seno laterale, sul bordo superiore della
rocca e infine sull'apofisi clinoidea posteriore. Lungo questo bordo sono contenuti i seni laterali in
dietro e i seni petrosi superiori di lato. Vicino alla sommità dell piramide petrosa, il bordo posteriore
della tenda del cervelletto presenta un orifizio da dove passa il trigemino, orifizio che dà accesso al
cavo di Meckel che contiene il ganglio di Gasser.
La FALCE CEREBRALE è un setto verticale piazzato nella scissura interemisferica e che separa i
due emisferi cerebrali. Presenta due facce, due bordi, una base e una sommità.
Le facce corrispondono alla faccia interna degli emisferi cerebrali
La base posteriore, inclinata verso il basso e dietro, si continua sulla linea mediana con la tenda del
cervelletto, che mantiene tesa. Il seno retto è contenuto lungo la linea di unione tra falce e tenda.
La sommità si inserisce sull'apofisi cristagalli e invia un prolungamento nel "foro cieco"
Il bordo superiore fortemente convesso, occupa la linea mediana dalla protuberanza occipitale interna
fino al foro cieco. In questo bordo alloggia il seno longitudinale superiore

85
Il bordo inferiore convesso, sottile, corrisponde alla faccia superiore del corpo calloso ma riposa
direttamente su questo solo nella sua parte posterire. Il bordo inferiore contiene nel suo spessore il
seno longitudinale inferiore.

La FALCE DEL CERVELLETTO è una lamina verticale mediana che separa i due emisferi del
cervelletto:
-le facce laterali corrispondono agli emisferi cerebellari
-la base si porta verso l'alto e si unisce alla parte mediana della tenda del cervelletto
-la sommità, diretta in basso e in avanti, si biforca a livello del foro occipitale; le due branche di
biforcazione aggirano questo orifizio e si dirigono verso il foro "spezzato" posteriore. Ognuna di
queste contiene la parte inferiore del seno occipitale posteriore corrispondente.
-il bordo posteriore convesso si inserisce sulla cresta occipitale interna e contiene il seno occipitale
posteriore.
-il bordo anteriore, concavo e libero è in rapporto con il verme inferiore.

La TENDA DELL'IPOFISI è un setto orizzontale teso al di sopra della sella turcica. Si inserisce:
-sul bordo superiore della lamina quadrilatera dello sfenoide in dietro
-sul labbro posteriore del solco ottico e sulle quattro apofisi clinoidee in avanti
si unisce poi alla parete dei seni cavernosi lungo la linea di unione tra parete superiore ed interna di
questo seno. Presenta due foglietti:
-un foglietto superficiale che è la tenda dell'ipofisi
-un foglietto profondo che riveste la sella turcica e raggiunge il foglietto precedente a livello del solco
ottico.
La tenda dell'ipofisi ricopre l'ipofisi, è forata da un orifizio che serve da passaggio allo "stelo"
pituitario e contiene il seno coronario.

La TENDA DEL BULBO OLFATTIVO è una piccola piega di dura madre a forma di spicchio di
luna tesa da ciascun lato della linea mediana fino al di sopra dell'estremità anteriore del bulbo
olfattivo, tra l'apofisi cristagalli e il bordo interno delle bozze orbitarie del frontale. Spesso la tenda
del bulbo olfattivo è assente.

La dura madre craniale e il cuoio capelluto sono innervate dal trigemino, da alcuni rami cavernosi
oltre che dal sistema autonomo.
Si distinguono dei rami meningei:

86
-anteriori, dati da fili etmoidali della parte nasale del nervo oftalmico
-laterali, dati dalle branche del trigemino. Uno di questi rami meningei, conosciuto sotto il nome di
nervo ricorrente di Arnold, nasce dall'oftalmico e si ramifica nella tenda del cervelletto; il ramo
meningeo del nervo mascellare superiore passa dal grande foro rotondo e quello del mascellare
infreiore dal foro ovale.
-posteriore, dato dalle branche dello pneumogastrico e del grande ipoglosso e destinato alla dura
madre dalla fossa posteriore, ed inoltre dalle branche meningee di C1-C3 he passano attraverso il
forame magno.

2) La dura madre rachidea (fig 56)


È un manicotto fibroso che contiene il midolo spinale e

le radici rachidee. Si estende dal foro occipitale fino


alla seconda vertebra sacrale. Il suo diametro è più
grande di quello del midollo e inferiore a quello del
canale midollare.

ESTREMITA' SUPERIORE
Si fissa solidmente alla terza vertebra cervicale, all'asse
e alla circonferenza del foro occipitale per prolungarsi
con la dura madre craniale. Le arterie vertebrali la
attraversano a livello dell'articolazione occipito-
atlantoidea.
ESTREMITA' INFERIORE
Discende al di sotto dell'estremità inferiore del midollo e racchiude gli elementi della coda equina e del
filo terminale. Termina a fondo di sacco sulla seconda vertebra sacrale, ma si prolunga col filo terminale
fino al coccige, attraverso il legamento coccigeo del midollo. Questo legamento si fissa al legamento
vertebrale posteriore attraverso un setto mediale completo o aperto (legamento anteriore della dura madre
di Trolard).
SUPERFICIE ESTERNA
È saparata dalle pareti attraverso lo spazio epidurale, occupato dai vasi venosi e da un tessuto adiposo
semifluido abbondante soprattutto nella parte posteriore. Questo grasso entra o esce dal canale secondo le
variazioni pressorie intratoraciche ed intra-addominali.

87
In dietro non presenta alcuna connessione. In avanti lo spazio epidurale è molto stretto; la dura madre è
unita al legamento vertebrale posteriore attraverso dei prolungamenti fibrosi abbondanti soprattutto nella
regione cervicale e lombare.
Hack e coll. Nel corso di dissezioni umane hanno messo in evidenza un ponte fibroso antero posteriore
che, a livello occipitale, aggancia la dura madre alla membrana occipito-atlantoidea e, attraverso questa,
al piccolo retto posteriore. Le radici dei nervi rachidei attraversano la dura madre e portano con loro dei
prolungamenti di questa fino ai fori di coniugazione dove, dopo aver emesso delle ramificazioni sul
periostio del foro di coniugazione, si confondono poco a poco col nevrilemma (fig 57).
Degli studi fatti da Yaszemki White
mostrano che esistono dei legamenti
durali lombari che vanno dal tubo
durale al legamento comune
vertebrale posteriore e dalla guaina
della radice nervosa alla parte
interna del peduncolo all'interno del
canale neurale. Esistono delle altre
connessioni tra la dura madre e le
radici nervose.
All'interno di questi tessuti ci sono
delle vene durali. La connessione
tra nervi e legamenti vertebrali
nasce dal manicotto durale della
radice a livello del disco e termina sull'espansione laterale del legamento vertebrale. Lo spessore di questo
legamento varia da individuo ad individuo e da livello a livello.
SUPERFICIE INTERNA
Corrisponde al foglietto parietale dell'aracnoide. È legata alla pia madre da un tratto di tessuto
connettivo :
-in senso antero posteriore dove rappresenta soltanto piccoli filamenti
-in senso trasversale dove rappresenta una vera e propria membrana che occupa tutta l'altezza del
midollo;: il legamento dentato.
Tutti questi prolungamenti hanno il fine di fissare e mantenere il midollo al centro del canale fibroso di
dura madre oltre che proteggerlo.
L'innervazione dell dura madre rachidea avviene attraverso il nervo seno vertebrale di Luschka.

88
B-LA PIA MADRE
È la più profonda delle tre membrane. È una membrana cellulo-vascolare e per questa ragione viene
definita membrana nutritiva. La pia madre forma una guaina a livello dei cordoni nervosi, che li
accompagna fuori dal cranio e dal rachide fino alle loro terminazioni; tale guaina è il nevrilemma.
1) La pia madre craniale
Più sottile e ricca di vasi rispetto alla pia madre rachidea, è inoltre meno aderente. La pia madre riveste la
superficie esterna dell’encefalo, insinuandosi in tutte le anfrattuosità. A livello della protuberanza e dei
peduncoli è più aderente che a livello del cervello e del cervelletto. È allo stesso tempo meno
vascolarizzata e più resistente. La superficie interna è in rapporto diretto con la sostanza nervosa; le
aderisce in maniera lassa attraverso dei filamenti di tessuto connettivo e soprattutto attraverso gli
innumerevoili piccoli vasi che ritornano alla sostanza nervosa o che da questa vanno verso la pia madre.
La faccia esterna è in rapporto con lo spazio subaracnoideo nel quale circola il liquido cefalorachidiano. A
livello della grande fessura di Bichat, la pia madre craniale si insinua all’interno del cervello per formarvi
la tela coroidea e i plessi coroidei.
2) La pia madre rachidea
Fa seguito alla pia madre craniale e si prolunga in basso attorno al filo terminale, sotto il nome di
legamento coccigeo, che si inserisce alla base del coccige. Questo legamento è gracile, ma resistente e
contribuisce a mantenere in uno stato di stabilità l’estremità inferiore del midollo spinale.
-Faccia interna: aderisce in modo continuo alla sostanza nervosa grazie ai numerosi setti connettivi che
penetrano nei fasci bianchi. Del resto, invia anche dei prolungamenti nei solchi mediani anteriore e
posteriore.
-Faccia esterna: è bagnata dal liquido cefalorachidiano. È legata alla dura madre attraverso dei
prolungamenti antero-posteriori e laterali.
-Prolungamenti antero-posteriori: sono dei prolungamenti connettivi molto gracili soprattutto in avanti,
mentre sono più numerosi e resistenti nella paarte posteriore. Formano sulla linea mediana un vero e
proprio setto (setto “posticum” di Schwalbe) e sono sviluppati soprattutto nella regione dorso-lombare.
-Prolungamenti laterali o legamento dentellato: è teso trasversalmente dalla pia madre alla dura madre,
dalle masse laterali dell’atlante fino a L1. È posizionato tra le radici anteriori e posteriori dei nervi
rachidei. Il suo bordo esterno è ornato o dentellato e le dentellature si fissano tra gli orifizi di uscita di
due nervi rachidei vicini, sulla dura madre. Tra le due dentellature il bordo esterno è libero e dà passaggio
alle radici del medesimo nervo rachideo. Il più cefalico dei legamenti dentati è legato all’arteria vertebrale
e al grande ipoglosso nei pressi del foro occipitale.

89
C-L’ARACNOIDE
È una membrana connettiva sottile compresa tra la dura madre e la pia madre. È unita alla dura madre in
tutto il suo decorso. Delimita uno spazio sopra e uno subaracnoideo. Lo spazio sopra-aracnoideo è
pressochè virtuale, è attraversato da numerose arterie e vene oltre che da fili nervosi che tornano o
partono dal nevrasse; a livello del rachide è attraversato da trabecole connettive e dai legamenti dentati
che legano la pia madre alla dura madre. L’aracnoide appare verso il 12-13esimo giorno. A 30 settimane è
sottile e ancora incompleta e a 38 settimane diventa più resistente. Dal feto fino a tre anni si nota un
aumento del suo spessore e delle sue connessioni. Il legamento dentellato appare attorno al 41esimo
giorno.
1) Aracnoide craniale (fig 58)
Il foglietto viscerale
dell’aracnoide unito alla dura
madre non segue la pia madre
nelle anfrattuosità dell’encefalo
ma passa a ponte al di sopra di
queste; ne risulta un allargamento
degli spazi subaracnoidei, che
formano delle cavità dove si
accumulano quantità più o meno
importanti di liquido
cefalorachidiano. Queste cavità
portano il nome di:
-confluenti: anteriore (davanti al chiasma ottico); inferiore (dietro al chiasma fino alla pretuberanza);
superiore (al di sopra dei tubercoli quadrigemini); pontocerebellari (tra l’estremità inferiore dell’emisfero
cerebellare e il bordo laterale della pretuberanza)
-cisterne o laghi: cisterna esterna o ambientale (lungo la parte mediana della fessura del Bichat); lago
cerebellare superiore (tra la tenda del cervelle e il cervelletto); lago cerebella inferiore o grande cisterna
(al di sopra del bulbo e al di sotto del cervelletto).
L’aracnoide craniale contiene le granulazioni del Pacchioni, che sono delle piccole masse a forma di
gemma presenti soprattutto nelle vicinanze dei seni e che servono al riassorbimento del liquido
cefalorachidiano. Queste granulazione si accrescono da dentro a fuori obbedendo ad una forza di
espansione eccentrica per venire in contatto con la parete ossea e scavarvi delle fossette più o meno
profonde (presenti nel cranio dei vecchi) e andando, in casi estremi, a perforare la calotta cranica facendo
sporgere dei tessuti.

90
2) Aracnoide rachidea (fig 59)
Segue alll’aracnoide craniale dal foro
occipitale fino alla coda equina
aderendo alla dura madre. Riveste
inoltre tutti gli elementi vascolo-
nervosi, i legamenti dentellati e
accompagna le radici nervose fino al
foro di coniugazione dove si
riflettono. La faccia interna
dell’aracnoide è rivestita da una
leptomeninge; questo è confermato
dai lavori di Nicholas e Weller oltre che da Parkinson. Questa leptomeninge esiste a livello midollare ma
è assente a livello cerebrale; è presente soprattutto a livello dorsale. Lo spazio subaracnoideo vertebrale è
separato attraverso uno strato di pia madre, dagli spazi perivascolari o di Virchow Robin, ciò che non
avviene a livello cerebrale. La leptomeninge tappezza la faccia profonda dell’aracnoide a livello mediano,
si riflette sulla linea mediana per formare i setti (septa) posteriori, che legano in modo lasso l’aracnoide
alla pia madre. È da notare che a livello dorsale esiste un setto laterale. Questa leptomeninge tappezza
anche la pia madre e i legamenti dentati. Le fibre di collagene dei legamenti dentati sono più spesse dalla
parte che dà verso la dura madre di quella che dà verso la pia madre.
La leptomeninge è fenestrata ed ha delle trabecole che si attaccano ai nervi e ai vasi della pia madre oltre
che alla pia madre. La pia madre è attaccata al midollo da un contingente di fibre di collagene più
abbondanti a livello dorsale (questi legami non sono fenestrati). A livello ventrale è presente una
leptomeninge fenestrata meno marcatamente, che stà attorno all’arteria midollare anteriore. Non sono
stati messi ain evidenza setti (septa) a questo livello. La leptomeninge e i legamenti sono presenti
soprattutto nell’uomo, probabilmente a causa della posizione eretta.. l’aspetto fenestrato attorno ai vasi ha
certamente il fine di ammortizzare gli sbalzi pressori durante i cambiamenti di postura. La leptomeninge
serve inoltre a mantenere stabili nervi e vasi nello spazio subaracnoideo (anche il midollo spinale). Uno
spazio la separa dalla pia madre, qui circola il liquido cefalorachidiano, che a livello midollare è
riassorbito dalle guine perivenose e dai gangli extravertebrali. L’aracnoide e la pia madre craniale sono
innervate dal plesso nervoso che accompagna i vasi.

91
ARTICOLAZIONI DELLE MENINGI

PERIOSTIO E CUOIO CAPELLUTO

VENE EMISSARIE

VOLTA ENDOCRANICA

LEGAMENTO VERTEBRALE
POSTERIORE
FACCIA LATERALE
DELLE VERTEBRE
( LEGAMENTO DENTATO)

MENINGI PERIOSTIO
DEL FORO
DI COGNIUGAZIONE

FASCE PERIFERICHE
PER I PROLUNGAMENTI
NERVOSI

SACRO

FILO TERMINALE

COCCIGE

92
ANATOMIA MICROSCOPICA ED ISTOLOGICA
Si possono definire i tessuti come il primo livello di organizzazione sopracellulare: sono degli insieme di
cellule differenziate che formano una associazione allo stesso tempo territoriale, funzionale e biologica. J Racadot

ANATOMIA MICROSCOPICA DEI TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO


J.F.Bernandin e Kaiyos danno una definizione biochimica del tessuto connettivo che si basa sulla
presenza in questo tessuto di quattro tipi specifici di macromolecole: collagene, elastina, proteoglicani e
glicoproteine di struttura. Associazioni cellulari formano una rete a maglie larghe; queste cellule possono
essere fissate o libere in una sostanza intercellulare. Le cellule fisse hanno la denominazione a seconda
del tessuto che formano: connettive, cartilaginee, ossee…
La sostanza intercellulare si compone di:
- una sostanza fondamentale - fibre diverse
si possono distinguere i seguenti tessuti:
- tessuto connettivo (embrionale, reticolare, interstiziale, fibroso, adiposo)
- tessuto cartilagineo (cartilagine ialina, elastica, fibrocartilagine, tessuto osseo)
A- IL TESSUTO CONNETTIVO (fig 61)
Si distinguono diversi tipi di tessuto connettivo. Tuttavia non esiste una linea di demarcazione netta che
separa un tipo dall’altro.Il tessuto connettivo è composto da elementi cellulari e sostanza intercellulare.
a) Elementi cellulari
- Cellule fisse Cellule libere
Fibrociti (i cui precursori sono i fibroblasti ) istiociti
Cellule mesenchimali Mastociti (i più frequenti)
Cellule reticolari Linfociti
Cellule con pigmenti Plasmacellule
Adipociti Granulociti
c) La sostanza intercellulare:Contiene soprattutto fibre
- Fibre reticolari: della stessa struttura delle fibre collagene, si incontrano sotto forma di rete
fibrosa attorno ai vasi capillari della sostanza basale nei tubi urinari.
- Fibre collagene: formate da fibrille tenute insieme da una sostanza cementaria amorfa. Poco
estensibili e sempre raggruppate in fasci nei tessuti. Si trovano solitamente nei tendini, membrana
del timpano e in alcune fasce.
- Fibre elastiche: si trovano anche nelle arterie coronarie e in certi legamenti (legamento giallo)
d) La sostanza fondamentale
Prodotta in parte dalle cellule del tessuto è l’intermediario dove si effettuano gli scambi metabolici tra le
cellule e il sangue.

93
d) I diversi tipi di tessuto connettivo
- Il tessuto embrionale: si presenta
sotto forma di mesenchima
- Il tessuto reticolare: si distingue il
tessuto linfoide (gangli linfatici) e
mieloide (midollo osseo),
- Il tessuto interstiziale: è lasso,
senza forma specifica. La sua
funzione è quella di riempire gli
spazi tra alcune strutture (muscoli,
visceri) formando uno strato di
scivolamento. Gioca un ruolo nel
metabolismo generale e nella
rigenerazione. Contiene: fibre
collagene, elastiche, reticolari,
sostanza fondamentale e cellule.
- Il tessuto fibroso: caratterizzato da
una alta percentuale di fibre
collagene; la sostanza fondamentale
e le cellule sono meno abbondanti
che nel tessuto interstiziale. Si trova
soprattutto nei tendini e nelle
aponeurosi palmare e plantare.
- Il tessuto adiposo: si distinguono due tipi: un tessuto adiposo bianco monovacuolare e un tessuto
adiposo bruno plurivacuolare. Quest’ultimo è più abbondante nei neonati e permane negli adulti in
certi distretti (capsula adiposa dei reni…). Contiene degli adipociti e del tessuto interstiziale. Si
distingue: il tessuto adiposo di riserva (dipende dallo stato di nutrizione, presente soprattutto nei
cuscinetti adiposi sottocutanei e utilizzato in caso di bisogno) e il tessuto adiposo di edificazione
(indipendente dalla nutrizione, lo si incontra nelle articolazioni, nel midollo osseo, nei boli grassi
di Bichat).
B-IL TESSUTO CARTILAGINEO
È composto da cellule e da sostanza intercellulare molto ricca in acqua (70%), è pressochè totalmente
privo di vasi e nervi. La natura della sostanza intercellulare determina il tipo di tessuto cartilagineo; si
distingue: - la cartilagine ialina, - la cartilagine elastica, - la cartilagine fibrosa

94
a) La cartilagine ialina: contiene sostanza intercellulare, numerose fibre collagene di piccolo
calibro e delle reti isolate di fibre elastiche. Alla periferia la cartilagine è rivestita dal pericondrio,
che è in continuità con questa. La si trova nelle cartilagini articolari, costale, delle vie respiratorie,
di coniugazione e nell’abbozzo dello scheletro.
b) La cartilagine elastica: la sostanza intercellulare contiene sopratutto reti di fibre elastiche e in
misura minore di collagene. La si trova nel padiglione auricolare e nell’epiglottide…..
c) La fibrocartilagine: contiene meno cellule, ma è abbondantemente provvista di fasci collageni; la
si trova in particolare nei dischi intervertebrali e nei legamenti interpubici della sinfisi. Il disco
intervertebrale è tenuto al suo posto da cartilagine ialina molto aderente al corpo vertebrale,
all’interno del quale il disco si prolunga e si inserisce attraverso le spine di Schmorl. Il legamento
vertebrale comune posteriore aderisce fortemente al disco. Qui troviamo una articolazione e una
continuità fasciale tra tessuto osseo cartilagineo e fibroso.
IL TESSUTO OSSEO
Il tessuto osseo è composto da:
- cellule ossee o osteociti
- sostanza fondamentale
- fibrille di collagene
- sostanza cementante
- divarsi sali
Appare evidente che l’osso è formato in parte da due strutture che sono i componenti fondamentali di tutti
i tessuti: sostanza fondamentale e fibrille collagene. È per questo che si può affermare che l’osso è una
fascia densificata al massimo. Le fibrille fanno parte dei costituenti organici dell’osso (in opposizione ai
sali che sono i costituenti minerali). La solidità di un osso dipende in parte dai costituenti organici, dal
momento che se questi sono in quantità insufficente, l’osso perde la propria elasticità e diviene più fragile.
L’osso, come tutta la fascia, deve dunque avere due caratteristiche fondamentali: elasticità-plasticità e
solidità.
a) I diversi tipi di osso
Si possono distinguere due tipi di osso a seconda della disposizione delle fibrille:
- osso reticolare
- osso lamellare o del canale di Havers
Osso reticolareÈ il risultato della trasformazione da tessuto connettivo ad osseo. È presente soprattutto
durante lo sviluppo e permane nell’adulto vicino alle suture craniche.

95
Osso lamellare (fig 62) Costituisce il
restante delle ossa. Presenta una
stratificazione ben netta, dovuta a degli
strati di sostanza fondamentale sotto forma
di lamelle alternate con degli strati di
osteociti. Questi strati, disposti
concentricamente attorno al canale di
Havers, costituiscono un osteone. Fra i
diversi osteoni si trovano delle lamine
interstiziali, essendo i canali di Havers legati fra loro attraverso dei sottili canali obliqui detti canali di
Volkmann. La struttura e la disposizione degli osteoni dipende dal carico imposto all’osso (variabilità,
adattabilità; ritroviamo lo stesso schema della fascia). Lo sviluppo del tessuto osseo avviene grazie agli
osteoblasti, cellule specializzate derivate da cellule mesenchimali (cellule all’origine di tutti i tessuti). Gli
osteoblasti secernono una sostanza intercellulare, l’osteoide, che, all’origine è composta da sostanza
fondamentale molle e fibre collagene.
b) Le diverse modalità di ossificazione
Si distingue una modalità di ossificazione diretta o endoconnettiva (fibrosa) e una indiretta o encondrale
(per sostituzione di cartilagine).
- ossificazione endoconnettiva: il tessuto osseo si forma a partire dal tessuto connettivo. L’osso
inizialmente fibroso si trasforma in seguito in lamellare. Questo tipo di ossificazione si incontra
nelle ossa della volta cranica, della faccia e della clavicola.
- ossificazione incondrale: necessita prima della presenza di parti scheletriche cartilaginee,
rimpiazzate in seguito da osso grazie alla presenza di condroclasti, che distruggono il tessuto
cartilagineo e permettono agli osteoblasti di formare il tessuto osseo. Si distinguono due tipi di
ossificazione encondrale: endocandrale e pericondrale. La prima avviene all’interno della
cartilagine a livello delle epifisi mentre la seconda parte dal pericondrio e si limita alla diafisi.
c) Il periostio
E’ una membrana fibroelastica che riveste interamente l’osso eccetto a livello delle cartilagini. A livello
delle inserzioni muscolari e fasciali si confonde con queste ultime (prova della continuità ininterrotta
delle fascie). L’aderenza all’osso è molto variabile:
-molto aderente alle ossa corte
-debolmente aderente alle ossa larghe
-aderenza debole a livello delle diafisi e forte a livello delle epifisi nelle ossa lunghe

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Questa proprietà del periostio è dovuta :
- all’inserzione dei tendini e delle fascie all’osso, ed è questa che fissa il periostio all’osso
- all’inserimento nell’osso di vasi e nervi generati dal periostio
- alla penetrazione nell’osso di fibre di tessuto connettivo generate nel periostio e che costituiscono le
fibre di Sharpey (continuità fascia, periostio, osso, punto terminale di arrivo delle fasce).
- Faccia interna: porta sulla sua superficie le ramificazioni vascolari e nervose destinate all’osso.
Inoltre esiste uno strato di cellule midollari che entrano a far parte della crescita in spessore
dell’osso.
- Faccia esterna: è in rapporto con muscoli tendini e fasce. A tratti è anche in rapporti con la pelle e
ne è separata da una fascia o da un tessuto cellulare poco denso (tibia, osso malare).
- Struttura: costituita da tessuto fibroso di cui si distinguono due strati: uno esterno, formato da
tessuto connettivo misto a fibre elastiche e uno interno formato dai medesimi elementi ma che è
più sottile. Lo strato interno è più sottile, la rete elastica è più stretta. Da questo strato partono
delle fibre di tessuto connettivo e di fibre elastiche che penetrano nell’osso: le fibre di Ranvier. Lo
strato interno, inoltre, dà vita agli osteoblasti, che spariscono alla fine della crescita, ma che
riappaiono in qualunque momento per riformare l’osso in caso di frattura. Il periostio è molto
vascolarizzato e serve alla nutrizione dell’osso, ne è prova il fatto che se lo si toglie, l’osso si
necrotizza. Nel periostio penetra una maglia molto importante di fili nervosi e questo ne spiega la
sua sensibilità; una parte di questi fili penetra nell’osso con il sistema vascolare. Esiste anche una
larga rete di canali linfatici.
d) Organizzazione del tessuto osseo
L’osso è costituito da cellule (osteoblasti, osteoclasti e osteociti) e da matrice extracellulare.
- matrice extracellulare: è fatta da una matrice organica di sostanza fondamentale e di fibre
collagene mineralizzate oltre che da una componente di sali minerali.
matrice organica: comprende fibre collagene e sostanza fondamentale. Le fibre collagene sono molto
numerose. Si può mettere in evidenza delle fibre tubulari intraossee che sarebbero il prolungamento
delle fibre di inserzione dei tendini o della fascia. Sono le fibre di Charpey. La sostanza fondamentale
è meno abbondante e contiene mucopolisccaridi, glicoproteine, proteine di struttura, acqua ed
elettroliti.
sali minerali: danno la durezza al tessuto osseo. Sono cristalli di idrossipatite di calcio e fosfato.
- formazione e riassorbimento di tessuto osseo: per tutta la vita il tessuto osseo è la sede di un
rinnovamento permanente attraverso un processo distruttivo e uno costruttivo.
Formazione di tessuto osseo: gli osteoblasti attraverso la secrezione e la sintetizzazione di
glicoproteine, mucopolisaccaridi e molecole di tropocollagene formano una sostanza preossea. In

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seguito si ha la mineralizzazione attraverso depositi di un sale fosfocalcico e costruzione di cristalli di
idrossipatite.
Riassorbimento di tessuto osseo: entrano in gioco due processi che sono il riassorbimenro
osteoclastico e quello periosteocitario.
Il riassorbimento osteoclastico è stimolato dall’ormone paratiroideo. L’osteoclasta secerne ioni H+
(solubilizzano la sostanza minerale), idrolasi acide (polimerizzano le glicoproteine e i
mucopolisaccaridi), collagenasi (attaccano il collagene).
Nel riassorbimento periosteocitario alcuni osteoclasti hanno una attività più litica e determinano la
demineralizzazione e la lisi del tessuto osseo che li circonda.
Per concludere questo capitolo sul tessuto connettivo andiamo a dire qualche parola sul tessuto
muscolare, nervoso, epiteliale e la pelle, perchè ognuno di questi tessuti è in parte in rapporto con il
tessuto connettivo e quest’ultimo forma la loro matrice di supporto e sostegno.

D) IL TESSUTO MUSCOLARE
Il tessuto muscolare è indissociabile dalla fascia. Quest’ultima gli fornisce i suoi rivestimenti, rappresenta
un punto di appoggio e di inserzione del muscolo e gli porta il sistema neurovascolare (fig 63).
Il muscolo si divide in più unità circondate da una fascia o perimisio esterno. Questo si sdoppia per
formare una guaina, grazie al perimisio
interno, ad un fascio primitivo. Anche il
perimisio interno si sdoppia per formare
l’involucro connettivo della fibra
muscolare: il sarcolemma che chiude le
miofibrille, che rappresentano l’unità
muscolare. Il muscolo si prolunga senza
discontinuità attraverso un tendine
(convergenza di fasce o membrane che
formano un fascio molto spesso, resistente
ed elastico). Questo tendine è formato da
due tipi di tessuto connettivo: tessuto
fibroso e tessuto cellulare lasso.
È costituito da fasci primitivi o fibre
circondate da una guaina. Questi fasci si
attaccano gli uni agli altri per formare dei

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fasci secondari circondati da una membrana, loro stessi raggruppati in fasci, che costituiscono il tendine;
anch’esso inguainato da una membrana.
Alcune masse tendinee hanno sviluppato in loro delle vere e proprie ossa a spese del tessuto tendineo;
queste sono le ossa sesamoidi di cui la più notevole è la rotula.
Il tessuto muscolare si divide in due categorie:
- Tessuto muscolare liscio
- Tessuto muscolare striato scheletrico
Tessuto muscolare liscio: comprende un nucleo centrale, il citoplasma con dei miofilamenti, una
membrana plasmatica rivestita da una lamina basale sulla quale si inseriscono dei fasci di fibre collagene.
Tessuto muscolare striato scheletrico: circondato da una lamina basale, la cellula muscolare striata
possiede parecchie centinaia di nuclei situati contro la membrana plasmatica. I fasci muscolari sono uniti
da tessuto connettivo vascolare. Le inserserzioni scheletriche avvengono attraverso l’intermediario
dell’aponeuresi e dei tendini di cui le fibre di collagene si inseriscono alle estremità di ogni cellula
muscolare.

E- IL TESSUTO NERVOSO
I nervi sono composti da srtutture nervose conduttrici e dai loro apparati mesenchimali di sostegno e di
protezione.
1) Il tessuto del sistema nervoso centrale
Il tessuto di sostegno e di rivestimento del sistema nervoso centrale è la nevroglia, di origine ectodermica,
che qui assume la funzione di tessuto connettivo (sostegno, scambio, riassorbimento e formazione di
cicatrici durante i processi patologici). Si distinguono tre tipi di cellule:
- astrociti: protoplasmatici (più frequenti nella sostanza grigia) e fibrosi (hanno dei prolungamenti
esili e predominano nella sostanza bianca). Quando si ha distruzione del tessuto centrale formano
cicatrici di tessuto gliale. Gli astrociti sono gli elementi di sostegno alla periferia del cervello e
formano la membrana gliale limitante. Inviano dei prolungamenti verso i vasi: le trombe vascolari
che contribuiscono con la membrana basale all’isolamento del tessuto cerebrale ectodermico in
rapporto al tessuto capillare mesodermico e formano anche la barriera ematoencefalica selettiva
per le sostanze del torrente sanguigno. Gli astrociti possiedono una debole motilità.
- Oligodendrociti: accompagnano le cellule nervose a livello della sostanza grigia . invece a livello
della sostanza bianca si dispongono in fila tra le fibre nervose e sono considerate come le
generatrice di guaina mielinica. Sono animate da una pulsazione che contrae e dilata i loro corpi
cellulari, seguendo un ritmo regolare.

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- Microglia: al momento della distruzione di un tessuto, queste fagocitano i frantumi e cambiano di
forma; si mettono rapidamente tra i prolungamente astrocitari , cambiando continuamente di
forma.
La nevroglia circonda e protegge il neurone, che costituisce l’unità funzionale del sistema nervoso. Il
neurone è costituito da un corpo cellulare, centro trofico della cellula, dai dendriti, prolungamenti che
costituiscono legami di ricezione e di influsso e dall’assone, prolungamento principale rivestito di una
guaina di Schwann mielinizzata o no, che conduce l’influsso nervoso. Una fibra nervosa contiene
nella sua parte centrale l’exoplasma, sostanza semifluida che scorre dal corpo cellulare verso la
periferia.

2) I nervi periferici (fig 64)


La sua unità di base è costituita dalla fibra nervosa il
cui corpo cellulare è situato nel midollo o nei gangli
cranio-rachidei. Questa fibra è circondata da una
guaina di Schwann mielinizzata o non. Questa guaina
è formata da fibrille di collagene, a disposizione
longitudinale, che, con la membrana basale, formano
la guaina endoneurale. Le fibre si raggruppano in
fascicoli nervosi e rappresentano l’unità anatomico-funzionale del nervo. All’interno dei fascicoli si trova
un tessuto connettivo lasso, l’endonevrio, dove sono immerse le fibre. I fascicoli sono circondati dal
perinevrio costituito soprattutto da fibre longitudinali. La percentuale di fibre elastiche circolari spiega la
resistenza meccanica dei nervi priferici; negli arti inoltre il perinevrio è rinforzato a livello delle
articolazioni. I fasci nervosi sono immersi nel perinevrio, un tessuto connettivo lasso che contiene: tessuto
adiposo, vasi sanguigni e linfatici. Il tutto è circondato dal nevrilemma, un prolungamento della pia madre
e della dura madre (i punti di vista dvergono a seconda degli autori) e ciò da vita ad un nervo periferico.
Ogni nervo si dirige verso la sua destinazione supportato da una fascia che forma una guaina
supplementare volta a contenere, proteggere e vascolarizzare il nervo stesso. Il nervo è circondato dal
nevrilemma (prolungamento periferico della pia madre). All’interno dell’epinevrio ogni fascio nervoso è
circondato da una guaina di tessuto connettivo, il perinevrio. Questo forma una barriera di diffusione che
separa l’epinevrio, che gioca un ruolo di protezione, dal tessuto connettivo intrafascicolare chiamato
endonevrio.

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F-I TESSUTI EPITELIALI DI RIVESTIMENTO
Sono fatti di cellule strettamente sovrapposte e rivestono il corpo e le cavità dell’organismo.

a) Sistema di unione intercellulare


Le cellule sono unite da delle interdigitazioni della loro membrana plasmatica e soprattutto dal sistema di
unione intercellulare, che assicura all’epitelio una notevole coesione. Questi sistemi sono di tre tipi:
congiunzione di tipo occludente (serrate – chiuse) due membrane adiacenti sono fuse lungo creste lineari
formate da un seguito di proteine di membrana incastrate l’una nell’altra a modo di una chiusura lampo;
congiunzione di tipo aderente comportano la presenza di un materiale adesivo intercellulare;
congiunzione di tipo comunicante cellule adiacenti che sono unite tra loro da una sorta di canali tubulari
formati da proteine di membrana che permettono il passaggio diretto da una cellula all’altra.
b) Relazioni tra epitelio e tessuto connettivo (fig 65)
La faccia apicale degli epiteli è direttamente in contatto con il lume della cavità che riveste. La faccia
basale riposa su un tessuto connettivo attraverso una membrana basale formata da sostanza fondamentale.
Questa membrana basale è costituita da due strati :
-uno strato superficiale o lamina basale, formata da
glicoproteine e collagene tpo IV
-uno strato profondo formato da fibre reticolari
Il suo ruolo è duplice: sostegno e barriera (filtrazione,
diffusione, scambi).
c) Differenziazione cellulare e specializzazione
funzionale
Per garantire tutte le loro diverse funzioni gli epiteli
hanno spesso differenziazioni cellulari particolari. La
durata di vita di tali cellule è breve e il rinnovamento
avviene attraverso cellule epiteliali indifferenziate situate nella membrana basale:
-cellule cheratinizzate dell’epidermide, che hanno un ruolo di protezione
-cellule pigmentate della retina che producono melanina per proteggere dalla luce
-cellule sensoriali o neurosensoriali dell’orecchio interno per l’udito e poi per il gusto e l’olfatto
-cellule dell’epitelio di scambio nel mesotelio delle sierose, nell’epitelio alveolare dei polmoni,..
-cellule cigliate, a livello delle vie respiratorie e genitali (tube) e nelle ghiandole
-cellule piatte striate, dai bordi a spazzola o stereociglia, specializzate nei fenomeni di assorbimento.

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G-LA PELLE
Ricopre la faccia esterna del
corpo, misura circa 1,6
metri quadrati. A livello
degli orifizi del corpo si
continua con le mucose.
1) Differenti strati di
pelle (fig 66)
Troviamo andando
dall’esterno all’interno tre
strati:
- EPIDERMIDE: epitelio pluristratificato e cheratinizzato composto a sua volta da più strati. Le
cellule dell’epidermide migrano dalla base fino alla superficie in circa 30 giorni. Possiamo
distinguere uno strato più profondo (strato basale) che riposa su una lamina di tessuto connettivo
basale che fa da supporto cellulare alla pelle e separa derma da epidermide; qui le cellule mandano
numerose espansioni che fanno da fissazione e nutrimento. Risalendo troviamo lo strato spinoso,
che ha spazi intercellulari più larghi e stabilizzati da tonofibrille; lo strato lucido con eleidina e
carotene; lo strato corneo, luogo di cheratinizzazoione e desquamazione.
- DERMA: grazie all’alta percentuale di fibre collagene è lo strato della pelle meccanicamente più
efficace. Il cuoio proviene dal derma. L’elasticità della pelle viene fuori dai diversi angoli che
formano le maglie tra loro. Delle reti elastiche assicurano la reintegrazione degli strati fibrillari
dopo la loro deformazione; sono dei legami trasversali, che sono i responsabili delle pieghe
cutanee e si traducono nell’adulto e soprattutto nei vecchi in una pelle flaccida e rugosa. Il derma
contiene la radice dei peli, le ghiandole, i vasi sanguigni, le cellule connettive e cellule libere del
sistema immunitario, oltre a strutture nervose. Il derma è composto da più strati:
Strato papillare: è situato immediatamente sotto la membrana basale ell’epidermide. Esiste uno stretto
rapporto con quest’ultima attraverso le fibre di reticolina che sono a loro volta in rapporto con i
prolungamenti cellulari dello strato basale.
Strato reticolare: è costituito da fasci di fibre collagene aggrovigliati, è questo strato che determina la
resisistenza alla rottura della pelle. Infatti le fibre del derma sono orientate cosi bene, che se si perfora la
pelle non si forma un buco ma una fessura allungata. I chirurghi tengono conto delle linee di apertura; un
incisione parallela a queste linee, le allontana invece di sezionarle, favorendo la cicatrizzazione. Una
tensione importante porta a strappi con formazioni di smagliature.

102
- IPODERMA: è una fascia lassa in continuità con il derma e realizza uno strato di scivolamento.
Gioca il ruolo di riserva di grasso, che è anche un fattore di regolazione termica. La ripartizione di
tessuto adiposo è sotto il controllo del sistema endocrino. L’ipoderma riposa sulla fascia
superficialis, ma non ovunque; questo per esempio non avviene nel volto dove l’ipoderma posa
direttamente sui muscoli favorendo così la mimica facciale.

2) Ruolo della pelle


- Protezione: la pelle protegge il corpo contro le aggressioni chimiche, meccaniche, termiche, così
come dai numerosi agenti patogeni.
- Immunitario: la pelle possiede cellule immunologiche e partecipa al sistema di difesa
dell’organismo
- Regolazione termica: attraverso modificazioni della perfusione sanguigna e dell’eliminazione di
liquido dalle sue ghiandole
- Regolazione dell’equilibrio idrosalino: protegge il corpo dalla disidratazione eliminando l’acqua e
i sali attraverso le ghiandole sudoripare.
- Organo di senso: attraverso le proprie numerose strutture nervose percepisce la pressione, la
temperatura e il dolore. È un organo di comunicazione per la sua capacità di arrossarsi, sbiancare e
per il fenomeno dell’orripilazione. La resistenza elettrica della pelle viene modificata da uno stress
psichico. Infine è il riflesso e il rivelatore di ciò che accade a livello della sostanza fondamentale.
Heine ha provato infatti che la sostanza fondamentale invia delle espansioni in superficie sotto
forma di cilindri che avvolgono i fasci nervosi e i vasi. Questi cilindri di Heine portano
modificazioni nella pelle, che viene a diventare anche un organo di percezione magnetico ed
elettromagnetico. Questo spiega il perché una stimolazione cutanea può modificare durevolmente
i processi di regolazione organica. Noi abbiamo qui un sistema fasciale, i cilindri, che mettono in
comunicazione tutte le fasce profonde con la superficie, in maniera visibile.

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ISTOLOGIA DEL TESSUTO
CONNETTIVO

LE PARTI CHE COSTITUISCONO IL


TESSUTO CONNETTIVO
1-La sostanza fondamentale

La sostanza fondamentale è un materiale


omogeneo la cui viscosità varia da stato
liquido a semiliquido, simile a gel. È una
soluzione colloidale di mucopolisaccaridi:
condroitina, solfato, cheratansolfato eparina
per i solfati e condroitina e acido ialuronico Gli elementi costitutivi della fascia
per i non solfati, con una predominanza di
proteoglicani e glicoproteine di struttura. I cambiamenti di viscosità permettono una fissazione di acqua
nei tessuti, prevenendo il disseminarsi di infezioni e influenzando l’atttività metabolica della cellula.
L’acqua è al 50% sotto forma di cristalli liquidi a temperatura corporea. La sostanza fondamentale
realizza una rete riccamente idratata attorno a proteine fibrose e assicura un ruolo di lubrificazione e di
assorbimento degli urti resistendo alla compressione. Attraverso le sue cariche elettriche influenza
numerosi elementi dentro e fuori del tessuto connettivo. Gioco un ruolo fondamentale nella nutrizione
delle cellule grazie agli scambi con i capillari sanguigni che risiedino in abbondanza nel tessuto
connettivo. I proteoglicani e le proteine di struttura formano un setaccio molecolare attraverso il quale
passano tutti gli elementi metabolici dal capillare verso la cellula e, al ritorno, le molecole troppo grandi o
con una determinata carica elettrica subiscono un processo di esclusione. Il diametro dei pori del filtro
dipende dalla concentrazione di proteoglicani nel compartimento tessutale interessato. Grazie alla loro
carica negativa i proteoglicani sono i garanti dell’isosmia e dell’isotonia della sostanza fondamentale.(
isosmia= pressione osmotica uguale a quella del sangue. isotonia = press. osmotica uguale a quella
esercitata dal liquido extracellulare sulle membrane cellulari. Esse non solo membrane semipermebili
ideali e quindi l'isotonia è diversa dall'isosmia.) La sostanza fondamentale o matrice del tessuto
connettivo può essere considerata come un laboratorio dove vengono compiute tutte le funzioni del
tessuto connettivo.

2-Le fibre di tessuto connettivo


Si trovano nella sostanza fondamentale e sono di tre tipi: collagene, fibre elastiche e di reticolina. La loro
quantità varia a seconda della funzione della fascia considerata.
 Fibre di collagene: il collagene è il costituente proteico più importante del nostro organismo e
rappresenta il 60-70% della massa di tessuto connettivo. Il tropocollagene è l’unità di base del
collagene.
- Tropocollagene: comprende una forte percentuale di glicina, che lo distingue dalle altre proteine
dell’organismo, eccetto l’elastina. Un quarto dei suoi aminoacidi è formato da prolina.
- Biosintesi di collagene: è realizzata soprattutto nei fibroblasti; tuttavia anche le cellule endoteliali,
muscolari lisce e epiteliali sono capaci di sintetizzarlo. La sintesi del protocollagene si sviluppa
nei ribosomi associati al reticolo endoplasmatico. Subisce in seguito una idrossilazione di prolina

104
e di lisina sotto il controllo del tropocollagene-prolina-idrossilasi e della tropocollagene-lisina-
idrossilasi. Poi si ha una glicosilazione delle unità di saccaridi (galattosio e glucosil-galattosio),
che vengono ad inserirsi sulla parte idrossilata di certe idrossilisine. Una volta liberati dai
ribosomi le tre catene A di protocollagene sono allineate parallelamente e si avvolgono ad elica
per formare il protocollagene. L’estrusione di protocollagene sembra essere fatta da vescicole del
golgi e/o da vescicole che derivano dal reticolo endoplasmatico. La fibrillogenesi nella sostanza
extracellulare porta, per divisione, alla liberazione di tropocollagene. La divisione può essere
incompleta come nel collagene della membrana basale. Il tropocollagene subisce una
polimerizzazione che porta alla formazione di fibrille. Questa sembra essere sotto il controllo
degli idrati di carbonio associati alla molecola di tropocollagene. La formazione di fibrille è
inversamente proporzionale alla quantità di questi glucidi e ciò spiega perché il collagene delle
lamine basali, ricco di glucidi, non forma
fibrille. La maturazione extracellulare per la
formazione di fibrille e di fibre di collagene è
essenzialmente dipendente dai proteoglicani e
dai glicoaminoglicani. Il collagene è molto
resistente a tutti gli enzimi proteolitici e può
essere degradato solo con l’intervento della
collagenasi. Il rinnovamento di collagene è
variabile: lento, nei tessuti stabili e molto rapido,
in talune condizioni (cicatrizzazione, nell’utero
Fibra di collagene
durante la gestazione).
Diversi tipi di collagene: esistono quattro tipi.
Tipo I: il più frequente (derma, ossa, tendini), è realizzato da fibre con grande resistenza alla forze di
tensione
Tipo II: associato a dei proteoglicani, forma poche fibre e si trova soprattutto nel tessuto cartilagineo
Tipo III: ha una grande percentuale di cisteina e idrossiprolina. Forma il collagene della pelle fetale ed è
associato al tipo I nel derma papillare, nei vasi, nell’intestino, nell’utero, nei polmoni
Tipo IV: si trova nelle lamine basali, contiene una forte percentuale di idrati di carbone e di idrossilisina.
Questi quattro tipi di collagene possono essere sintetizzati da cellule diverse o da più tipi della stessa
cellula (tipo I e III dai fibroblasti). Sono fibre di aspetto bianco madreperlaceo, allungate, leggermente
ondulate e non elastiche. Sono composte da fasci di fibre parallele non ramificate. I fasci possono unirsi
gli uni agli altri. Le fibrille sono tenute insieme da una sostanza cementante che forma anche un
rivestimento attorno a tutte le fibre. Da un punto di vista chimico sono costituite da collagene, che se lo si

105
fa bollire dà gelatina. La sua inelasticità conferisce agli organi dove si trova una combinazione unica di
flessibilità e resistenza. È costituito soprattutto da aminoacidi, glicina, prolina e idrossiprolina. Wyckoff e
Kennedy hanno messo in evidenza una strittura tubulare di fibrille collagene. Secondo Erlingheuser il
liquido cefalorachidiano circolerebbe in tutto il corpo utilizzando le fibrille tubulari di collagene.
 Fibre di elastina: è una proteina fibrosa che forma i componenti amorfi delle fibre elastiche, il cui
precursore è la tropoelastina. La tropoelastina è sintetizzata nel reticolo endoplasmatico delle cellule
mesenchimali (fibroblasti, cellule muscolari lisce). La formazione di ponti intermolecolari porta alla
formazione di elastina. Il suo rinnovamento è molto lento e la sua degradazione necessita
dell’intervento di una elastasi. Queste fibre sono lunghe e fini e si anastomizzano tra di loro; possono
essere allungate da una volta ad una volta e mezzo la loro lunghezza. Chimicamente le fibre sono
composte di elastina, una sostanza albuminoide molto resistente al calore, agli acidi e alle basi.
Presenta una colorazione gialla. Le fibre sono formate da una componente amorfa ed una fibrillare
formata da microfibrille. Con l’età la parte amorfa diventa più importante e le microfibrille sono
spinte verso la periferia. La componente amorfa è fatta da elastina e quella fibrillare da glicoproteine
di struttura. Queste fibre sono prodotte dai fibroblasti a livello di tendini e pelle e da cellule muscolari
lisce nei vasi di grosso calibro, sotto forma di tropoelastina. Come per il collagene la temperatura
ottimale è a 37°C.
 Fibre di reticolina: sono fibre collagene di piccolo calibro disperse in piccolo numero in seno alla
sostanza fondamentale e ricche di microfilamenti. Sono ramificate e si uniscono l’una all’altra per
formare una fragile rete spiegata. Spesso, invece di anastomizzarsi, si incrociano. Le fibre di reticolina
si trovano spesso a livello delle membrane basali e in continuità con le fibre di collagene negli organi
linfoidi ed ematopoietici. Non hanno sostanza fondamentale. Le si incontra anche nel tessuto
connettivo lasso ed in quello adiposo. Possono essere presenti elementi fibrillari come fibrille e fibre
collagene.
3-I proteoglicani: fissano l’acqua e i cationi e formano così la sostanza extracellulare o sostanza
fondamentale del tessuto connettivo. Sono importanti per determinare le proprietà viscoelastiche delle
articolazioni e di altre strutture sottoposte a deformazione meccanica. I proteoglicani possono essere la
riserva di quattro componenti nutritivi: idrati di carbonio (sotto forma di glucosio e galattosio), albumine
(sotto forma del gruppo NH), lipidi (nella catena idrocarbonata), acqua (nutrimento essenziale, la sua
mancanza genera una ritrazione di proteoglicani). I proteoglicani, le glicoproteine di struttura e il glicolix
(membrana che circonda la faccia esterna della cellula e che permette il dialogo con la sostanza
fondamentale) sono i mediatori e le fibre di informazione. I proteoglicani sono macromolecole composte
da catene polipeptidiche sulle quali si inseriscono le catene glucidiche chiamate glicosaminoglicani o
mucopolisaccaridi acidi. La sintesi di proteoglicani avviene in un primo tempo all’interno del reticolo

106
endoplasmatico granulare e in un secondo tempo in quello del golgi, prima della loro estrusione. La loro
ripartizione è diversa a secondo dei tessuti : dermatano solfato (pelle, tendini, pareti delle arterie),
cheratano solfato (cornea, cartilagine, nucleo polposo), acido ialuronico (umor vitreo, liquido sinoviale).
4-Le glicoproteine di struttura: giocheranno un ruolo importante stabilendo ponti intermolecolari e
orientando le proteine fibrose. Sembra esistere una relazione tra la regolarità delle fibre di collagene e la
loro associazione con le glicoproteine. Nelle lamine elastiche permettono l’assemblaggio delle molecole
di tropoelastina.

LE CELLULE DEL TESSUTO CONNETTIVO

Cellule mesenchimali: il loro citoplasma possiede dei prolungamenti che spesso danno alla cellula un
aspetto stellato e che permettono l’adesione con la cellula vicina. I punti di contatto sono temporanei
perché le cellule mesenchimali mantengono la loro individualità e possono anche spostarsi. Alcuni autori
pensano che permangano nel tessuto adulto pronte a differenziarsi in: fibroblasti, macrofagi e cellule del
parenchima delle ghiandole surrenali.

Fibroblasti: sono i costituenti cellulari più numerosi del tessuto connettivo. Si trovano nel tessuto adulto.
Servono alla produzione di sostanza fondamentale intercellulare e dei precursori di fibre connettive.
Assicurano anche la secrezione di enzimi, permettono il catabolismo di alcune macromolecole e il
rinnovamento di strutture quali la membrana basale. Giocano un ruolo importante nell’infiammazione e
nella cicatrizzazione. La produzione di protocollagene si effettua a livello del reticolo endoplasmatico e
dell’apparato di Golgi, si ha poi la secrezione nella sostanza fondamentale. I fibroblasti sintetizzano anche
i glicosaminoglicani. I fibroblasti modificano il loro comportamento in base a fattori meccanici. Tutte le
tensioni o le pressioni mantenute su un tessuto fasciale generano: moltiplicazione dei fibroblasti;
orientamento dei fibroblasti secondo linee di forza create dalla pressione o dalla tensione; aumento della
secrezione da parte dei fibroblasti di macromolecole al fine di rinforzare la fascia di fronte all’aumento
delle costrizioni. Se la tensione persiste ne risulterà un addensamento della fascia che apparirà più stretta
e di un colore più madreperlaceo, con una disposizione in funzione delle linee di forza, come possiamo
vedere in dissezione. Il fibroblasta è il principio direttore della sostanza fondamentale, solo questo tipo di
cellula, in retroazione con con tutti gli altri componenti cellulari e nervosi, è capace di sintetizzare una
sostanza fondamentale adattabile alle situazioni del momento. Il fibroblasta è però incapace di distinguere
il bene dal male; se viene alterato secerne una sostanza strutturata ma non fisiologica, la cui influenza
sugli elementi cellulari può essere all’origine di malattie croniche e di tumori.

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Cellule reticolari: sono grandi cellule stellate; nella maggior parte derivanti dal mesenchima. Tuttavia la
maggiorparte delle cellule del timo e dell’amigdala sono probabilmente di origine endoblastica.

Mastociti: appartengono al sistema immunitario e sono liberate nel tessuto connettivo per facilitare le
reazioni immunitarie. I mastociti sono particolarmente abbondanti nel tessuto areolare, soprattutto degli
organi che contengono importanti quantità di eparina. Sintetizzano e secernono nella sostanza
fondamentale: eparina, istamina, dopamina, serotonina e acido ialuronico.

Macrofagi: sono dei fagociti. Alcuni sono fissi, altri liberi e si mettono fra le fibre fagocitando batteri,
frammenti cellulari e materiale estraneo. I monociti del torrente sanguigno possono trasformarsi in
macrofagi dopo essere entrati nello spazio cellulare. Grazie alla loro proprietà di trasferimento e di
fagocitosi hanno un ruolo principale nella difesa dell’organismo, anche attraverso la secrezione di enzimi
e di interferone. Sono le cellule più numerose del tessuto connettivo lasso e denso. La loro attività e il loro
numero aumenta negli stati patologici.

Plasmacellule: sono poco frequenti nel tessuto connettivo normale, eccetto che nella lamina propria dello
stomaco dove sono numerose. Le si vede anche nel tessuto ematopoietico e sono numerose nelle regioni
di infiammazione cronica (mucosa digestiva, gangli linfatici, milza). Sono responsabili della produzione
di anticorpi.

Leucociti: possono passare nel tessuto connettivo dal torrente sanguigno.si tratta di linfociti, monociti e
polimorfonucleati eosinofili. Hanno mobilità, necessaria per combattere contro l’infiammazione e gli
agenti patogeni.

Adipociti: appaiono o in gruppi tra le fibre di collagene. Li ritroviamo in tutti i tipi di tessuti. In alcune
regione come vicino al rene o alla ghiandola surrenale, le cellule adipose seguono un ciclo continupo di
crescita e sparizione. Il tessuto adiposo è formato soprattutto da grasso bianco. Una varietà di tessuto
adiposo è conosciuta con il nome di grasso bruno, incontrato maggiormente nei neonati. Il primo ruolo di
queste cellule è quello di immagazzinare grassi per diverse finalità: riserva di grassi neutri (grazie alla
lipogenesi) o liberazione (lipolisi) nel torrente sanguigno in caso di bisogno energetico; isolante termico;
protezione meccanica (ammortizzando le pressioni e gli urti).

Cellule pigmentate: contengono dei pigmenti con colore e struttura specifica. I più conosciute sono i
melanociti, che contengono la melanina, un pigmento bruno scuro o nero.

108
I DIFFERENTI TIPI DI TESSUTO CONNETTIVO
- Mesenchima: lo si incontra nell’embrione; è caratterizzato da mancanza di fibre e presenza di
sostanza fondamentale acquosa.
- Tessuto connettivo mucoso: o gelatinoso di Wharton, si trova nel cordone ombelicale. Possiede
meno cellule ma più sostanza fondamentale gelatinosa rispetto al tessuto mesenchimale, oltre ad un
piccolo numero di fibre. Esiste nell’adulto solo in condizioni patologiche (papilloma, miosoma).
- Tessuto connettivo reticolare: è il più primitivo dei tessuti connettivi dell’adulto. È costituito da una
rete di cellule reticolari e di fibre argentofile molto sottili. Alcune di queste cellule sono fissate alle
fibre, altre sono libere. Questo tessuto si trova nei gangli linfatici, nella milza, nel fegato e nel midollo
osseo.
- Tessuto connettivo lasso: è composto da una trama lassa di fibre di collagene, elastiche e reticolari,
immerse in una sostanza fondamentale abbondante e di debole viscosità. Tutte le cellule del tessuto
connettivo adulto, eccetto le cellule reticolari, vi sono presenti. Tutti gli scambi tra i vasi sanguigni ed
il parenchima degli organi avvengono attraverso questo tessuto che assicura un ruolo nutritivo. La sua
presenza nella sottomucosa del tubo digerente è all’origine della sua motricità. Questo tessuto
connettivo lasso ha delle proprietà meccaniche di plasticità e di elasticità, dovute in gran parte alla
sostanza fondamentale. Ospita le cellule di difesa del sistema immunitario, i vasi e i nervi. Serve da
materiale di riempimento formando lo stroma della maggior parte degli organi pieni: corion e
sottomucosa del tubo digerente; corion delle vie respiratorie, genitali ed urinarie; derma della pelle;
strato sottomesoteliale delle sierose. Entra nella costituzione dei nervi periferici e dei muscoli; lo si
trova infine nella fascia superficiale e profonda.
- Tessuto adiposo: è un tessuto di tipo connettivo, ricco di adipociti e capillari sanguigni. Alcune
regioni come il rene, le fosse ischio-rettali, l’epiploon, l’ipoderma, il mesentere, ne sono
particolarmente provviste. In tali regioni, nella vita embrionale, appaiono dei capillari sferici ancor
prima che il grasso inizi a depositarsi. Un lobulo di tessuto adiposo si sviluppa poi in un territorio di
questi plessi e si accresce fino ad andare a toccare il lobulo adiacente (i lobuli restano tuttavia separati
da dei setti fibrosi; nel tessuto sottocutaneo questi setti sono chiamati legamenti cutanei). I lobuli del
tessuto adiposo funzionano come degli ammortizzatori di pressione e come organi di riserva. Esistono
due varietà di tessuto adiposo: il grasso bianco e quello bruno. Nell’adulto è presente essenzialmente
il grasso bianco. Il grasso bruno è molto abbondante nei neonati.
- Tessuto connettivo denso: sono dei tessuti connettivi meccanici. Contengono numerose fibre. La
vascolarizzazione è poco abbondante e sono soprattutto composti da fibre di collagene oltre che fibre
elastiche. Ne esistono di due tipi: orientato e non orientato.

109
NON ORIENTATO (fig 70): è
simile al tessuto connettivo lasso,
ma le fibre di collagene sono più
larghe e più dense. Il tessuto ha un
consistenza più ferma e resistente.
Lo si trova nel derma, nelle capsule
di alcuni organi, nella dura madre,
nelle fasce profonde, nel periostio,
pericondrio e nelle capsule, nelle
cartilagini e nell’osso.
ORIENTATO: lo si trova nei tendini, aponeurosi, legamenti, stroma della cornea. I tendini sono composti
da fasci paralleli di fibre di collagene spessi e serrati gli uni contro gli altri. Questi fasci sono separati tra
loro da tessuto connettivo lasso. Tutto l’insieme è circondato da una guaina fibrosa formata da connettivo
denso (fig 71). Le aponeurosi sono composte da fibre parallele disposte a strati e incrociate ad angolo
retto; le fasce sono il risultato
dell’assemblaggio delle aponeurosi e
possiedono la stessa struttura di base.
I legamenti dal punto di vista
istologico sono comparabili ai
tendini. I legamenti elastici (gialli)
contengono più fasci paralleli di fibre
elastiche spesse e legate da deboli
quantità di tessuto connettivo. Qui i
fibroblasti sono meno numerosi.
Delle gellule giganti dai corpi
estranei (fusione di macrofagi) si
incontrano nella regione di irritazione
e di infiammazione, che contiene frammenti troppo grandi per essere fagocitati dai macrofagi. Le
proprietà meccaniche del tessuto connettivo sono: elasticità, viscosità, plasticità e resistenza.

110
PATOLOGIA DELLE FASCE

Il tessuto connettivo come è stato dimostrato precedentemente è presente a livello di tutti i compartimenti
del corpo umano: vascolare, neurologico, viscerale….etc
In più, pochè questi tessuti sono in stretta relazione gli uni con gli altri, è evidente che qualunque sia il
danno nell’organismo, automaticamente il tessuto connettivo ne è implicato in modo più o meno grave. È
chiaro che ogni patologia specifica delle varie branche (neurologia, reumatologia, cardiologia, gastro-
enterologia) avrà una risonanza sullo stato dei tessuti connettivi. I manuali di patologia clasificano le
malattie specifiche del tessuto connettivo o collagenosi o connettiviti. Esse inglobano varie patologie la
cui caratteristica comune è una degenerazione della sostanza fondamentale del tessuto connettivo. La loro
originalità consiste nel carattere diffuso, ma questo stupisce forse se sappiamo dell’onnipresenza del
tessuto connettivo?
I fattori in comune sono: espressione clinica come le malattie infiammatorie, prognosi grave, sindromi di
sovrapposizione nelle forme atipiche, che danno origine alla difficoltà della diagnosi.

LE COLLAGENOSI
- Le quattro grande collagenosi
Comprendono: L.E.S.(lupus eritematoso disseminato), sclerodermia, periartrite nodosa, dermatomiosite.
Non faremo uno studio approfondito delle quattro patologie, ma precisiamo che i loro segni clinici sono
molteplici e più o meno comuni a gradi diversi.
Si localizzano a livello: cutaneo, muscolare, articolare, toracico, neurologico, viscerale. Una parentesi per
ciò che riguarda il danno cutaneo e che illustra perfettamente il danno del tessuto connettivo. La
sclerodermia è caratterizzata da una produzione accresciuta di collagene; a livello della pelle una
epidermide atrofica ricopre un ammasso compatto di fibre di collagene che restano parallele
all’epidermide. Dei prolungamenti digitiformi di collagene si estendono dal derma fino al tessuto
sottocutaneo fissando la pelle ai piani profondi. Il danno più o meno grave a tutti i sistemi, conseguente
alle connettiviti, conferma il loro carattere di malattia generale e rinforza l’importanza che riveste il
tessuto connettivo, presente a livello di tutti i compartimenti del corpo.
- Altre forme di collagenosi
Si aggiungerà alle collagenosi: sindrome di Wegner (caratterizzata da una patologia molto grave alle vie
aeree superiori, del polmone e del rene); sindrome di Sharp o connettivite mista; sindrome di Marfan
(altezza eccessiva, allungamento degli arti e soprattutto delle estremità, cifo-scoliosi con torace ad
imbuto, iperlassità legamentosa, manifestazioni viscerali); poliartrite reumatoide (classificata
ultimamente tra le collagenosi e caratterizzata da sinovite, vasculoartrite, noduli reumatoidi. Questi ultimi
possono essere sottocutanei o avere la sede nella pleura, nel polmone, nel cuore, a livelllo dela capsula

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del fegato, delle corde vocali. Il nodulo comprende una zona centrale di necrosi fibrinoide, racchiuso da
una palizzata di istociti che sono a loro volta circondati da tessuto connettivo fibroso infiltrato con
linfociti e plasmacellule); morbo di Dupuytren (ispessimento e retrazione dell’aponeurosi palmare
media, di origine sconosciuta, corisponde a un danno molto specifico e molto localizzato su una fascia).

ALTRE AFFEZIONI DELLE FASCE

Oltre alle patologie specifiche del tessuto connettivo, che esamineremo, ci sono altre affezioni che nella
maggior parte dei casi non presentano quadri clinici così drammatici come quelli affrontati
precedentemente, bensì costituiscono la patologia più frequente nel tessuto connettivo.
Considereremo, prima di tutto, cicatrici, aderenze e fissazioni.
Le suddette patologie o disfunzioni c'interesseranno particolarmente (le osteopatie), poiché le
incontreremo di frequente. Nel tempo le cicatrici e le aderenze creano delle irritazioni; le immobilità, a
loro volta, interferiscono con la meccanica articolare o viscerale, provocando dei sintomi detti funzionali
perché spesso hanno una manifestazione sotto clinica, senza espressione radiologica o biochimica.
Si tratta di vere e proprie lesioni primarie che dovranno essere rilevate con molta cura.
In seguito, svilupperemo i diversi studi effettuati a livello del tessuto connettivo e specialmente della
sostanza fondamentale, con l’intento di dimostrare che la patologia si sviluppa soprattutto al tale livello
dal momento in cui la sostanza è sopraffatta.
Citeremo Snyder, che afferma che la sostanza fondamentale costituisce il laboratorio delle funzioni del
tessuto connettivo e l’arena del processo patologico.

LE CICATRICI
Salvo i casi di cicatrici retrattili e di cheloidi, che rappresentano situazioni particolari per fortuna rare,
ogni più banale cicatrice può costituire un punto di perturbazione per il corpo umano. Ciò nonostante, la
maggior parte non costituisce un elemento di alterazione, ma un certo numero può esser causa di dolori,
disfunzioni e perfino patologie insostenibili per il soggetto come nelle causalgie.
In seguito al verificarsi di una lesione sopravviene il fenomeno di ricostruzione, con rifioritura e
proliferazione delle fibre elastiche e connettive, allo scopo di realizzare una riparazione più perfetta
possibile nella zona in cui tessuto ha subito un’aggressione.
Nonostante l’accuratezza di questo sistema di ricostruzione, non si otterrà mai un risultato perfetto. Prova
ne sia che la traccia che lascia la cicatrice colpisce le fasce profonde. Come detto in precedenza, nella
maggior parte dei casi, il fenomeno di riparazione avviene senza comportare problemi secondari.
Malgrado ciò, in alcuni casi non trascurabili una cicatrice può dare origine a perturbazioni e ad

112
insediamento di una patologia di prossimità, che si manifesta sotto forma di irritazioni, oppure può
costituire sede di immobilità che perturba la meccanica e la fisiologia del corpo.
Una cicatrice irritante genera un elemento di perturbazione del tessuto connettivo, il quale a sua volta,
sottomesso alle tensioni e allo stress in questa zona di irritazione, modifica la propria struttura, plasticità
ed elasticità e, a lungo, produce una perturbazione della meccanica fasciale che influisce sulla
funzionalità di un’area più o meno estesa.
Nel caso di cicatrici presenti nella zona dell’addome ( il caso più comune è determinato dalle
appendicectomie) posso avere delle perturbazioni alla meccanica dell’organo vicino, sottoposto quindi a
una tensione ed irritazione permanente che lo porterà a perdere la mobilità e restare fisso. Abbiamo visto
come la fisiologia dell’addome è facilitata dalla mobilità delle fasce; questa immobilità, quindi,
porterebbe l’organo verso la disfunzione, con il rischio a lungo termine d’instaurare una vera patologia.
La patologia delle cicatrici può essere continuativa di corpi estranei che possono infiltrarsi al momento
dell’aggressione.
Kellner ha dimostrato l’intrusione di cristalli di talco nelle cicatrici chirurgiche, frammenti di proiettili e
di stoffa sui feriti di guerra, granelli di sabbia, piccole bolle di catrame, schegge di vetro negli infortunati
da incidenti della strada
Il riassorbimento di corpi estranei è lento, perfino impossibile; questi creano un'acidosi nei tessuti che li
circondano e, di conseguenza, delle mutazioni della sostanza fondamentale. Da rivelazioni elettriche
effettuate sono stati ottenuti risultati di 1400 kilo-ohm di differenza( in più) fra misurazioni a livello di
queste cicatrici disturbanti e quelli registrati sulla pelle in prossimità delle stesse; misurazioni su cicatrici
non disturbanti sono risultati vicini al normale.
Le cicatrici si devono considerare come delle zone potenziali di perturbazione.

ADERENZE E IMMOBILITA’
Molto numerose nel corpo umano, possono essere conseguenza di una cicatrice, di infiammazioni o
infezioni, di irritazioni o aumento di costrizioni in qualsiasi parte del corpo. Si producono assai facilmente
specie a livello del torace e dell’addome. Solo il fatto di incidere sul peritoneo comporta un'alta
potenzialità di aderenze. Hanno la tendenza ad aumentare con l’età ed è eclatante il numero di aderenze
trovate nella pleura, nel polmone e nel peritoneo, quando si pratica una dissezione. Comportano
conseguenze pari a quelle delle cicatrici, se si considera che in certi casi realizzano un vero ponte fibroso
non elastico con l’organo cui sono correlate. Si torna quindi al circolo vizioso di ipomobilità, disfunzioni
e perfino patologie.

113
TESSUTO CONNETTIVO, PUNTO DI PARTENZA DELLA MALATTIA.
Lo studio istologico e del ruolo del tessuto connettivo ci dimostra che qualunque sia il tipo di aggressione,
choc o stress che esso riceve, ne conseguirà sempre una ripercussione. E’ possibile affermare che non
esiste alcuna patologia che non abbia risonanza sulla fascia; più esattamente, ogni patologia non può
estendersi se non dopo aver annullato le possibilità del tessuto connettivo.
Eppinger ha affermato che la malattia ha origine dalla sostanza fondamentale e si propaga poi nelle
cellule parenchimatiche. La specificità sintomatologica e diagnostica si manifesta tardivamente dopo
l'insediamento delle lesioni cellulari, ed è posteriore agli stadi originari delle diverse infezioni.
Vi sono svariate cause di irritazione a livello del connettivo; esse comprendono tutte le situazioni in cui le
fasce sono sottoposte a stress: ferite, colpi meccanici, lesioni fisico-chimiche, ormoni ad azione tessutale,
choc. Lo choc operatorio ne fa parte, ed è opportuno sottolineare che l’organismo impiega circa 21 giorni
per superarlo.
La sostanza fondamentale non è solo uno starter per le informazioni destinate alla cellula e al sistema
umorale e nervoso, ma subisce modificazioni a causa di disordini funzionali dei tessuti.
Una situazione minima, di breve durata, provoca una depolarizzazione parziale dei proteoglicani che in
un sistema funzionale viene corretta dallo sforzo di un carico di compenso. Se questi stimoli minimi
divengono continui, provocano fenomeni di depolarizzazione costanti che comportano alterazioni
strutturali nella sostanza fondamentale, portando alla formazione di un blocco. All’inizio le mutazioni
rimangono localizzate, dato che l’estensione dell’informazione è limitata da proprietà isolanti delle
sierose, dei setti (come il diaframma)e delle fasce.

A uno stadio preliminare è difficile rilevare le perturbazioni indotte nel tessuto connettivo, considerando
che spesso non generano sintomi di irritazione o reazione, e per questo possono inviare un messaggio
confuso in un tempo molto lungo mantenendo il sistema di regolazione cellulare, tessutale, umorale,
nervoso, in uno stato di pretensione. In seguito, le alterazioni della regolazione si estendono. La
sintomatologia si propaga al lato opposto, per compartecipazione secondaria dell’asse vertebrale.
Una stimolazione supplementare su questo sistema alterato porta spesso a risposte inadeguate ed
eccessive. Un disordine esterno può insediarsi (ad esempio in un organo) accrescendo ancora l’irritazione
del centro d’infezione primario e inducendo infine, se non ci sono interventi, a una fase di spossamento, a
un blocco della reazione che potrà trovarsi all’origine di una malattia grave.
E. Perger segnala che il 25% dei pazienti affetti da un blocco della regolazione di base hanno sviluppato
tumori negli anni a seguire; l’intervento di disordini della regolazione non deve essere trascurato
nell’evoluzione della malattia tumorale.

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Peraltro, è stata evidenziato, nei malati cronici, l’esistenza di una potenziale attivo dal lato colpito e di un
aumento della conduttanza. Il disturbo, dunque, è inizialmente locale e include dermatosi e miotonia.
Tramite l’intervento del sistema nervoso vegetativo l’affezione modifica la vasomotricità e le altre
funzioni vegetative del quadrante corrispondente all’accentuazione dell’intensità di stimolazione, e la
messa in atto del processo di regolazione centrale finisce per sviluppare una sintomatica emicorporale.
Partendo da un’alterazione locale, una malattia generale si manifesta tardivamente in seguito
all’intervento di fattori secondari e terziari. Il tessuto connettivo reagisce dunque nella sua totalità ma non
necessariamente in maniera omogenea. Le diversità sono tanto più marcate quanto il percorso
dell’affezione cronica è ridotto. Il fattore tempo e la durata dell’aggressione preliminare giocano un ruolo
preminente nella diffusione delle perturbazioni all’insieme dell’organismo.
Certe cellule mesenchimali restano indifferenziate nel tessuto connettivo adulto, conservano la memoria
embrionale e possono in caso di necessità trasformarsi in altre linee di cellule specializzate. Queste cellule
sono in generale inibite ma in caso di ferite, malattie, divengono mitoticamente attive per far fronte
all’aggressione. Può sembrare che la messa in circolo dei meccanismi di difesa che si producono nel
tessuto connettivo sia consecutiva a un'autonomia della periferia e che il sistema centrale intervenga in
secondo tempo. Ciò è confortato dal fatto che il valori di partenza e le affezioni più marcate sono sempre
situate negli emicorpi più perturbati. Le disintegrazioni del tessuto (infiammazioni, cicatrici, aderenze),
non riassorbibili procurano tali differenze emilaterali.
Kellner ha provato che l’equilibrio acido-basico dipende dal sistema di base: in zona acida la neutralità
del PH è ristabilita dalla lisi dei fibroblasti, mentre in area alcalina la normalizzazione risulta dalla loro
moltiplicazione.
Mc Laughlin ha constatato che la coltura in vitro delle cellule epiteliali embrionali ha una crescita
indifferenziata e disordinata; l’introduzione di cellule mesenchimali comporta la differenziazione, una
membrana basale si forma, completata da una stratificazione cellulare.
Queste due esperienze proverebbero che il tessuto connettivo contiene un sistema di organizzazione
indipendente dalle influenze centrali.
In caso di uno stress persistente, problemi funzionali o cambiamenti del setaccio molecolare potrebbero
modificare la sintesi della sostanza fondamentale, generando un terreno fertile per le malattie croniche.
Hine ha messo in evidenza che sono sufficienti 30 minuti per provocare un netto aumento del collagene
nel setto alveolare su vittime della strada gravemente traumatizzate.
Speransky ha dimostrato, tramite esperienze fatte su animali, che una stimolazione intensa dei recettori
cutanei o muscolari, situati nel territorio innervato dal bulbo rachideo, o dalla parte superiore del midollo
spinale, o ancora una stimolazione meccanica o chimica diretta ai centri nervosi, possono indurre delle
modificazioni profonde nel tessuto polmonare, molto simili a quelle che si riscontrano nella polmonite.

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Pare quindi che, se il tessuto connettivo ha una propria autonomia e può essere all'origine di un sistema di
difesa proprio e indipendente, può essere anche il punto di partenza di un processo patologico a se stante.
Sembra quindi che questo meccanismo non sia esclusivo di una simulazione periferica o centrale delle
afferenze nervose e possa indurre delle perturbazioni nel tessuto connettivo. Questo è ciò che è necessario
tener presente, prima di effettuare una diagnosi su una perturbazione o patologia di una parte qualunque
dell'organismo.
La reazione primaria nell'ambito di un'aggressione non è una reazione biochimica tipica, ma è soprattutto
il risultato di uno scivolamento del PH verso l'acidosi.
La propagazione a distanza di un problema nel tessuto connettivo avviene per via nervosa.
La normalizzazione in seno al tessuto connettivo può durare fino a tre anni. Non ci sono possibilità di
regolazione fino a quando la meccanica del tessuto connettivo resta paralizzata come nel processo cronico
evolutivo.

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Capitolo 5°
RUOLO DELLE FASCE

Come studieremo, le fasce hanno molteplici ruoli all'interno dell'organismo, derivanti dalla loro storia e
fisiologia. Le fasce e, di conseguenza, il tessuto connettivo sono presenti in tutte le parti del corpo. Lo
studio anatomico e isto-fisiologico ci consente di affermare che il tessuto connettivo riveste un ruolo
primario nel mantenimento di tutte le funzioni del corpo. Vari studi effettuati sull’argomento dimostrano
che èil primo garante di un buono stato funzionale e di una buona salute. "Il tessuto connettivo non solo
collega le diverse parti del corpo, ma in un senso più ampio collega le numerose branche della medicina"
(Snyder).
Studieremo successivamente i diversi ruoli delle fasce:
A - Sostegno e supporto.
B - Protezione
C - Ammortizzatore
D - Emodinamica
E - Difesa
F - Comunicazione e scambio.
Il tessuto connettivo collega gli organi e le parti del corpo tra loro, in una continuità ininterrotta. Lo studio
anatomico ci dimostra, in effetti, che non c'è mai interruzione tra i diversi tessuti, ma che tutto si articola
al fine di realizzare un'armonia di funzioni perfette.

A - RUOLO DI SOSTEGNO (FIG. 72)


Le fasce permettono di mantenere l'integrità anatomica dell'individuo. Se su una
persona si potessero sopprimere tutti i sistemi tranne le fasce, queste
conserverebbero un'apparenza perfettamente umana. Non sarebbe lo stesso se si
conservasse solo il sistema vascolare o nervoso, ciò è logico poiché le fasce sono il
supporto e la guida di tali sistemi; questa è la conferma dell'interdipendenza e
indissolubilità delle differenti strutture del corpo.
Grazie alle fasce il sistema muscolare può funzionare, come vedremo nella
meccanica fasciale. Grazie alle fasce le articolazioni possono mantenere la stabilità
e le funzioni. Il sistema muscolare è il motore delle articolazioni, ma è a sua volta
coordinato dalla meccanica fasciale.

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Per merito delle fasce i diversi organi possono mantenere la loro forma anatomica restare fissati alla
struttura ossea. Le fasce assicurano così una buona coerenza e permettono, inoltre, un buon
funzionamento fisiologico.

B - RUOLO DI SUPPORTO.
Le fasce sono il supporto del sistema nervoso, vascolare e linfatico. Lo studio anatomico ci ha dimostrato
che i diversi sistemi sono intimamente legati alle fasce. Essi stessi sono, in parte, costituiti da fasce che
hanno lo scopo di mantenere la loro forma anatomica; sono anche avvolti da una guaina fasciale a sua
volta collegata e guidata da fasce più dense.
I sistemi nervoso e vascolare sono interdipendente dal sistema fasciale. Nel corso dello sviluppo
embriologico la crescita e la migrazione si svolgono in modo parallelo ed intricato tra il sistema vascolo -
nervoso e quello fasciale.
Il ruolo di supporto è particolarmente evidenziato: a livello dell'aponeurosi cervicale profonda
indissociabile dal plesso cervicale e dai gangli simpatici cervicali, a livello dei mesi, che sono dei veri e
propri portatori di vasi e nervi, ecc.

C - RUOLO DI PROTEZIONE
Uno dei ruoli fondamentali delle fasce è il mantenimento dell'integrità fisica e fisiologica del corpo.
Presenti a tutti i livelli, come visto in precedenza, proteggono le diverse strutture anatomiche contro le
tensioni, lo stress, le aggressioni che permanentemente il corpo subisce. Per adempiere tale compito
danno prova di adattabilità e di capacità di variazioni in funzione dei segmenti che salvaguardano.
Infatti,nella parte periferica, la fascia s'ispessisce e si addensa nelle zone di massima costrizione: ne
risulta, a livello articolare, una copertura fasciale molto importante con un addensamento massimo al
livello dei legamenti che sono stabilizzatori molto potenti.
Tuttavia, qualunque sia la resistenza di una fascia, questa non raggiungerà mai uno stato di rigidità, se non
nella patologia, inoltre si noterà sempre la presenza di una certa elasticità, per rispondere meglio alle
sollecitazioni che deve subire la zona controllata.
Quando i carichi di lavoro diventano molto forti, si può constatare un ispessimento della fascia, fino a
sostituire interamente i fasci muscolari. Ne sono esempi i potenti tratti ilio-tibiali e l'aponeurosi lombo
sacrale, molto resistente.
Un altro ruolo di protezione consiste nella capacità di ammortizzare. In caso di sforzi o di contrazioni
molto violente, la fascia si fa carico di parte dell'intensità delle forze per evitare che tensioni troppo
violente gravino su muscoli , organi…., impedendone così la rottura.
Questo intervento avviene grazie alla stimolazione delle terminazioni nervose della fascia.

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Bednar e Coll hanno dimostrato che il legamento vertebrale comune anteriore ha una funzione passiva,
ma è riccamente innervato. Se stimolata è sede di un'attività neurologica molto attiva.
A livello dell'asse cerebrale - spinale la fascia ha un ruolo di protezione del cervello e del midollo, a
difesa sia delle variazioni di pressione troppo brutali, che degli choc che sarebbero molto dannosi per tali
strutture.In questa zona, la fascia dà prova notevole di adattabilità e ingegnosità. Una sola guaina
connettiva sarebbe insufficiente per assolvere il ruolo di protezione; infatti, si è costituita una tripla
guaina fasciale e per aumentare la sua efficacia sono stati aggiunti due sistemi tampone: il liquido cefalo -
rachidiano e un importante sistema venoso.
Questo ruolo di protezione, esercitato dalla fascia, lo ritroviamo anche per il sistema vascolare e nervoso,
i quali non solo ne sono sostenuti ma, in una certa misura, sono protetti da possibili compressioni,
stiramenti, traumatismi.
Da ricordare semplicemente che i principali tronchi arterio-venosi e nervosi si trovano a livello delle fasce
profonde, e che queste sono in più inserite nelle guaine fasciali (canale di Hunter), oppure contenuti nelle
parti più stabili della fascia (radice del mesentere).
Infine, per proteggere gli organi vitali e fragili, la fascia li avvolge come una guaina resistente e in più
interpone una fascia molto fluida e plastica: il tessuto grasso…. ( grasso perineale), o un tessuto a trama
molto lassa: il tessuto areolare.
Gli organi stessi hanno un involucro fasciale che mantiene loro la struttura. Questo involucro penetra
all'interno dell'organo e si divide più volte, realizzando così un divisione in compartimenti che isola, più o
meno, le diverse parti l'una dall'altra. Questo allo scopo di impedire la diffusione delle infezioni tra i vari
segmenti. Gli esempi più eclatanti di questa divisione in compartimenti riguardano fegato e polmoni.

D - RUOLO DI AMMORTIZZATORE
La fascia, tramite la sua elasticità permette di ammortizzare le costrizioni che il corpo subisce.
La struttura macromolecolare a rete dei proteoglicani partecipa attivamente alla coesione meccanica dei
tessuti. I proteoglicani sono ammortizzatori di colpi, che agiscono come dei lubrificanti e che, se
sollecitati intensamente e in modo ripetuto, si trasformano in una sostanza visco-elastica.
I proteoglicani e l'acido ialuronico conferiscono alla sostanza fondamentale una sovrastruttura
molecolare reticolata, coprono le superfici cellulari, costituiscono la sostanza intercellulare, avvolgono e
infiltrano le fibre di collagene e di elastina, costituendo un potere viscoelastico di tampone indispensabile
a una funzione cellulare e tissutale normale.
Ciò è confermato dal lavoro di Yahia e Coll, che dimostra un comportamento visco-elastico della fascia
lombo-dorsale nel momento in cui è sottoposta a carichi ripetuti; infatti questa visco-elasticità varia nel

119
tempo. Inoltre, questo, permette di diminuire le intensità delle pressioni e di canalizzarle seguendo diverse
direzioni al fine di evitare la lesione organica.
Questo ruolo di ammortizzatore è rinforzato dall'accumulo di tessuti grassi particolarmente abbondanti in
certe aree vulnerabili: grasso perineale, grasso addominale abbondante sul grande epiploon, ma anche in
zone sottomesse a forti pressioni a livello delle fosse ischio-rettali.

In merito a tale ruolo, è opportuna una parentesi per quel che concerne le meningi: abbiamo visto che esse
rivestono la scatola cranica e la colonna vertebrale, a fine di contenere e proteggere l'asse cerebro -
spinale. Ma le meningi hanno anche la funzione di contenere il liquido cefalorachideo, guaina idrica che
svolge un ruolo di ammortizzatore per il cervello, proteggendolo dalle variazioni di pressione cui è
soggetto. Inoltre, ha una funzione di nutrimento e difesa.
Tale liquido è secreto soprattutto dai plessi coroidei, una parte, circa il 20%, proviene direttamente dal
parenchima venoso per via trans-vascolare, a livello degli spazi perivascolari di Virchow Robin.
Il suo riassorbimento avviene per via venosa, tramite le villosità e granulazioni aracnoidee di Pacchioni, e
per via linfatica nella guaina neurale verso il canale toracico.
Il volume di questo liquido in un adulto è di 140 ml, più o meno di cui 30, di cui 35ml nei ventricoli,
25ml negli spazi sotto aracnoidei pericerebrali e nelle cisterne, 75 negli spazi sotto aracnoidei spinali.
La sua composizione è simile a quella del plasma e della linfa, ma con delle proporzioni diverse. Peraltro
è veicolo di numerosi ormoni e di altre sostanze il cui ruolo è ancora oscuro.
Nuove sostanze cerebrali vengono tuttora regolarmente scoperte, cosa che permette di affinare il ruolo del
LCR. L'ultima è stata una sostanza con un forte potere soporifero, scoperta da Richard Lernier.
La produzione di liquido cefalorachideo va da 0,5 l a 1l /24h. Si è in questo modo descritta una
fluttuazione del LCR seguendo un movimento di espansione e ritrazione che costituisce uno dei motori
del meccanismo cranico, la cui periodicità va da 8 a 12 cicli al minuto. A tal proposito, gli studi di
Laland-Clarke descrivono continue pulsioni che intervengono nelle più fini strutture del cervello e sono
caratterizzate da onde cicliche da 10 a 14 intervalli a minuto. Pare, infatti, che questo ritmo da 8 a 12
traduca piuttosto uno stato patologico legato a una simpaticotomia relativa allo stress, generato dalla vita
moderna. In effetti, il ritmo del cranio delle società primitive si colloca all'incirca tra 2,5 intervalli al
minuto. Siamo portati a considerare tale frequenza come uno stato di equilibrio.
Tali movimenti ritmici del cervello e la fluttuazione del LCR sono stati all'origine di una teoria per la
quale questo LCR circolerebbe a livello delle fasce e sarebbe l'origine dei loro movimenti ritmici. In
effetti, non sembra esserci continuità tra LCR e liquido periferico, specialmente a livello delle radici
nervose.

120
Brydevik e Coll, in seguito ad un'iniezione di H-metiglucosio intravenoso o direttamente nel liquido
cefalico-rachideo, hanno dimostrato che la distribuzione degli isotopi si stabilisce nella maniera seguente:
 radice nervosa: 58% portato dal LCR contro il 35% dai vasi intramurali.
 Nervo periferico: 95% portato dai vasi intramurali, nulla per quel che riguarda LCR.
La nutrizione delle radici nervose è dovuta per la maggior parte al LCR, mentre quella dei nervi periferici
è data esclusivamente dai vasi. Non è stato dimostrato che vi sia un passaggio di LCR verso i nervi
periferici.
I nervi cranici e rachidei, al di là dei loro orifizi ossei, sono rivestiti da tessuto connettivo in cui circolano
i linfatici.
Le meningi avrebbero così strette relazioni con i vicini spazi linfatici, non ci sarebbe continuità diretta ma
semplice filtrazione, impregnamento per contiguità. Ciò sembra del tutto logico poiché se ci fosse
continuità tra LCR e periferia, questa costituirebbe un rischio importante per il cervello nel diffondersi di
infezioni o di agenti patogeni provenienti dalla periferia, dove le porte di accesso sono tanto più
numerose. Il fatto che lo scambio avvenga per diffusione stabilisce un meccanismo tampone di
salvaguardia, paragonabile a quello di altre regioni del corpo.
Il LCR comunica quindi con il liquido extra cellulare, come questo comunica con il liquido intra
cellulare.
Qualunque siano i livelli, la comunicazione avviene per diffusione o trasporto attivo, ma mai
direttamente. Questi diversi liquidi hanno delle composizioni chimiche diverse, ma restano
permanentemente in contatto gli uni con gli altri, garantendo una continuità e una comunicazione
permanente all’ìnterno dell'organismo nella sua totalità.

E- RUOLO EMODINAMICO
Il sistema vascolare e quello linfatico sono indissociabili da quello fasciale. La circolazione di ritorno
avviene tramite sistemi venosi e linfatici e non è dotato di una pompa aspirante tanto potente quanto
quella che invia il sangue a tutto il corpo attraverso il sistema arterioso. Peraltro, quest'ultima possiede
una struttura rigida difficilmente deformabile, contrariamente ai linfatici e alle vene, che sono molto
flaccide e possono collabire facilmente. Per questi motivi i vasi sono provvisti di valvole, per facilitare la
circolazione di ritorno, ma le valvole sono insufficienti a svolgere tale compito. Le fasce sopperiscono
alla pompa centrale per agevolare la circolazione di ritorno. Si tratta di vere e proprie pompe periferiche
che spingono sangue e linfa verso il cuore
Le fasce sono animate da movimenti ininterrotti la cui frequenza è di circa 8-12 intervalli per minuto. Tali
contrazioni realizzano un movimento di pompa erogante, permettendo la progressione dei fluidi. È da
notare che il trasporto della linfa all'interno dei vasi avviene per contrazioni successive dei segmenti

121
valvolari. La linfa è trasportata da onde di contrazione di una periodicità di 10-12 per minuto. Ciò
equivale alla periodicità delle fasce, ma il linfatico non è prima di tutto di per se una fascia?
Questo meccanismo sottile è rinforzato da contrazioni muscolari canalizzate attraverso le fasce.
L'anatomia ci ha dimostrato che le fasce non sono continue e parallele, ma costituite da diversi strati in
direzione obliqua, trasversale o circolare. Il diverso orientamento delle fibre fasciali ci permette di
affermare che la forma generale delle fasce presenta un aspetto a spirale. Quindi, al momento della sua
contrazione si avrà tendenza a racchiudere le strutture che avvolge, spingendo i liquidi verso il cuore,
come uno straccio che si torce. Se la fascia è il motore del ricambio circolatorio, può essere anche
l'elemento perturbatore. Immaginiamo una fascia in stato di tensione anormale, si comprende facilmente
come il sistema vascolare che vi è collegato sarà in stato di compressione permanente, in tal caso
giocando un ruolo di ostruzione che favorisce la stasi.
I linfatici e le vene perforano le fasce a livello delle strutture anulari, più o meno irrigidite, per permettere
la libertà del condotto in questo anello, ma se questo è sottoposte a tensioni troppo importanti può
trasformarsi in un vero e proprio laccio emostatico.

F- RUOLO DI DIFESA
La finalità del tessuto connettivo è ristabilire delle normali funzioni di difesa.
Il ruolo di difesa del connettivo rappresenta certo una fase primaria nel meccanismo delle fasce. È nella
sostanza fondamentale che inizia la lotta contro gli agenti patogeni e le infezioni, ciò grazie a un
meccanismo intrinseco locale che interviene prima del sistema generale. Da questo conflitto locale
dipende la diffusione dell'agente patogeno e quindi la salute del soggetto.
I processi di difesa sono caratterizzati da quattro fasi cellulari:
1. Inizialmente si organizza uno scudo di istiociti intorno a luogo dell'invasione nociva.
2. Segue immediatamente la fase micro-fagica (reazione locale, ma con qualche partecipazione
passiva dell'organismo).
3. Fase macro-fagica, accompagnata da una cooperazione attiva dell'insieme del corpo.
4. Stadio dei linfociti (con eliminazione dell'infezione e passaggio alla cronicità).

Lo stadio macro-fagico è scatenato dal fattore monocitario, la sua assenza riduce l'intensità dello stadio
macro-fagico fino a renderlo inattivo.
Le prime reazioni di difesa locali sono ammortizzate da una serie di ormoni tessutali (prostaglandine,
leucotrieni, interferone, …).

122
La comparsa delle fasi istiocitarie e microfagiche non rileva solo la biochimica ma anche le modificazioni
biofisiche, come quella brutale del Ph verso l'acidosi nel punto dell'aggressione, responsabile delle
alterazioni delle membrane delle cellule.
Al contrario, la modificazione repentina della situazione biofisica nella zona dell'aggressione genera una
reazione di urgenza immediata, scatenando la prima razione di difesa allo scopo di limitare l'intento di
aggressione.
Il tutto avviene in due fasi.
1. Soppressione dei legamenti delle grandi cellule reticolari, con il sistema di base. La loro
liberazione sotto forma di istiociti mononucleari facilita lo stabilizzarsi di uno scudo intorno alla
zona invasa.
2. Alterazione della permeabilità delle pareti capillari, permettendo l'installazione dello stadio micro-
fagico.

Questi fenomeni di difesa si accompagnano al passaggio del siero nel tessuto e alla comparsa dell'edema.
L'edema non è nocivo per il processo di difesa, come si è creduto per un certo periodo, ma al contrario
partecipa alla diluizione dell'agente nocivo, e le immunoglobuline sieriche che provengono da infezioni
anteriori possono già intervenire localmente.
Questo meccanismo di difesa scaturisce dalla sostanza fondamentale; questa è correlata alle ghiandole
endocrine tramite dei capillari, e al sistema nervoso centrale dalle estremità terminali libere dalle fibre
nervose e vegetative. I due apparati si trovano all'interno del tronco cerebrale.
La sostanza fondamentale può quindi influenzare direttamente i centri regolatori superiori grazie agli
elementi liberati (interleuchine, prostaglandine, interferone, proteasi, ecc..), un'informazione reciproca è
stabilita tra i capillari, le fibre nervose vegetative e le cellule connettive mobili della sostanza
fondamentale (macrofagi, leucociti, monociti). Ne risulta un'organizzazione umorale a rete di gran
complessità. Il vantaggio di questi sistemi intrecciati è dato da un aumento delle facoltà di adattamento e
di efficienza.
Lo scopo dell'organismo è quello di garantire il proprio mantenimento grazie alla regolazione
dell'omeostasia. In biologia come in medicina, la casualità e la finalità non si escludono, bensì
s'influenzano reciprocamente.
Filogeneticamente, la sostanza fondamentale è più antica del sistema nervoso e umorale. Di conseguenza,
la sua formazione e la sua degradazione sono rette da un'organizzazione cellulare primitiva
compensatoria: l'associazione fibrocito-macrofago. Alla questa necessità i fibrociti sono capaci di reagire
in pochi secondi, tramite una sintesi dei proteoglicani e delle glicoproteine strutturali, quantitativamente e
qualitativamente adattati, che saranno fagocitati dai macrofagi. Con la progressione della sua alterazione,

123
i fibrociti secernono una sostanza fondamentale strutturata ma non fisiologica. Influenzati da questa, tutti
gli elementi cellulari possono costituire l'origine delle malattie croniche e tumorali (Heine). Altre
sostanze intervengono ugualmente nel ruolo di difesa della sostaza fondamentale. Proteoglicani e
gliocosaminoglicani rappresentano il primo sistema di difesa primitivo, e costituiscono un sistema visco-
elastico che assorbe i colpi con un effetto di consumo di energia. Selye considera il tessuto connettivo
come il regolatore della sindrome da stress. Tale sindrome conduce a un invecchiamento precoce dovuto
alla perdita dell'adattabilità e dell'energia dell'adattamento. Tale ruolo di difesa del tessuto connettivo è
illustrato dalle funzioni del peritoneo e del grande epiploon. Le funzioni principali del peritoneo sono
quelle di ridurre gli attriti, di immagazzinare i grassi, tramite il grande epiploon, e di resistere alle
infezioni. Il grande epiploon tende a dirigersi verso il luogo dell'infezione (il meccanismo è sconosciuto),
ad incollarsi al focolaio e per conseguenza ad alimentare la vascolarizzazione locale. In tal modo aiuta a
prevenire il propagarsi dell'infezione. In base alle nostre ordinarie conoscenze, sembra che gli interventi
del sistema immunitario siano posteriori a quelli della sostanza fondamentale, che risulta dunque la prima
barriera di difesa.

G- RUOLO DELLA COMUNICAZIONE E DEGLI SCAMBI.


Il tessuto connettivo, e tramite questo la sostanza fondamentale, sono in contatto contiguo con gli
elementi cellulari del corpo. Il sistema vascolare, come quello linfatico e nervoso, si fermano al livello
della sostanza fondamentale, e non si prolunga al di là nella cellula. Tutti i diversi sistemi portano alla
sostanza gli elementi nutritivi e le informazioni periferiche e ne ripartono con i prodotti di scarto del
metabolismo e le informazioni provenienti dalle cellule. Queste cellule sono bagnate dal liquido extra
cellulare attraverso il quale s'instaura un dialogo con la sostanza fondamentale. Questo ha lo scopo, come
abbiamo visto, di posizionare una barriera di difesa al fine di evitare che la cellula possa essere colpita.
A partire dal momento in cui la sostanza fondamentale viene sopraffatta da un agente patogeno, la cellula
stessa può essere colpita e s'innesca un processo degenerativo e morboso. Oltre al suo ruolo di difesa, la
sostanza fondamentale è in comunicazione permanente con la cellula, fornendogli tutti gli elementi
funzionali di cui questa necessita e veicolando al contrario i prodotti del metabolismo cellulare, così come
i diversi messaggi emessi dalla cellula. Il tessuto connettivo è considerato come un complesso unitario
che sviluppa le cellule parenchimatiche specifiche e permette la loro sopravvivenza, come la loro
regolazione.
Bordeu aveva già riscontrato nel 1767 che il tessuto connettivo non era solo un elemento di riempimento
e di sostegno, ma anche di regolazione e di nutrimento per gli organi, e che era contemporaneamente un
mediatore delle attività vascolari e nervose.
Il tessuto connettivo è un'unità di collegamento tra il parenchima e le formazioni vascolari e nervose.

124
Questi scambi con la cellula avvengono
per:
 diffusione
 meccanismo osmotico
 processo attivo del mesotelio
Lo strato glucidico superficiale della
cellula o glicocalice costituisce
l’intermediario funzionale tra l'interno e
lo spazio cellulare. ( fig. 73) Corrisponde alla guaina recettiva della cellula, tramite glicosaminoglicani e i
proteoglicani, e mette in contatto l’ambiente intracellulare con la sostanza fondamentale. Le perturbazioni
della sostanza possono alterare i glucidi del glicocalice o modificare il comportamento della cellula.
Esistono delle proteine di legame: fibronectina, laminino, condronectina, che sono intermediari tra la
superficie cellulare e la sostanza fondamentale. La fibronectina partecipa alla crescita, alla mobilità, alla
differenziazione cellulare; interviene nella fissazione delle cellule alla sostanza, impedendo così la
sovrapposizione. La tenasina, nuova glicoproteina scoperta, parteciperà alle interazioni cellulari.
L'eparina contenuta nelle vescichette situate nei mastociti e granulociti basofili, e quindi la liberazione
avviene secondo la necessità, parteciperebbe alle interezioni cellulari.
L’eparina contenuta nelle vescicole situate nei mastociti e granulociti basofili, la cui liberazione si svolge
a seconda dei bisogni, partecipa a tutti i fenomeni di regolazione della sostanza fondamentale:
1. è regolatrice della lipolisi e della lipoproteinemia circolante
2. stimola l'aggregazione delle cellule linfatiche
3. attiva le proteine chinasi delle cellule muscolari
4. provoca la sintesi della sostanza fondamentale: interviene nella sintesi del collagene e nella
polimerizzazione delle fibrille di collagene.
Le membrane basali corrispondono a una determinata forma della sostanza fondamentale. Sono
indispensabili per la crescita regolare dell'epitelio, ricoprono ugualmente le cellule di Schwann, gli assoni
terminali, le cellule muscolari striate e lisce, le cellule miocardiche. La modificazione delle membrane
basali è all'origine delle lesioni organiche. Le membrane impediscono la propagazione dell'infiammazione
del connettivo l'epitelio, grazie al loro tenore elevato di vitamina C, che sembra captare i radicali ionici
legati al processo infiammatorio. L'alimentazione del parenchima è il risultato di una corrente di
secrezione attraverso le canicole della membrana capillare verso la membrana cellulare: qui il liquido
carico di prodotti provenienti dal metabolismo resta a disposizione della cellula parenchimatica, poi
questo liquido carico di prodotti del metabolismo cellulare raggiunge i vasi linfatici molto numerosi a
livello del tessuto connettivo.

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H- RUOLO BIOCHIMICO
A seguito delle ricerche di Philippe Bourdinaud (lui stesso si è ispirato agli studi di D.Urry) riguardo
all'azione biochimica della mano dell'osteopatia sul tessuto connettivo umano, sappiamo oggi che le fibre
di elastina, reticolina e collageno, chiamati tuttora biopolimeri, contenuti nella matrice fasciale, sono in
grado di ritrarsi sotto l’influenza di una pressione superiore a quella fisiologica per la quale la loro
composizione biomolecolare è concepita, e di ritornare alla loro lunghezza iniziale, se la pressione dell’
ambiente interstiziale ridiventa fisiologica.
Il fenomeno di ritrazione si manifesta quando un'iperpressione provoca il raggruppamento di molecole
d'acqua della matrice fasciale, le spinge l'una verso l'altra, sotto forma di gabbie di acqua, attorno a poli
idrofobi di fibre. La transizione inversa è allora possibile, cioè il ritorno alla lunghezza iniziale, solo se
l'iperpressione nella matrice fasciale cessa o ritorna fisiologica, e questo avviene per mezzo della
creazione di legami d'idrogeno tra le molecole d'acqua della matrice fasciale e i poli idrofobi delle fibre.
Questa risposta si verifica a gradi di energia infinitesimale dell'ordine di qualche micron, perfino
nanometro d'angstrom, ed è riconducibile a ogni momento in cui un'energia influenza l’ambiente.
E' importante qui precisare che ogni tipo di energia possiede questa capacità di provocare il fenomeno
della transizione inversa dei biopolimeri, come l'energia fotonica, calorica, chimica, elettrica ed
elettromagnetica. Nonostante ciò, bisogna notare che l'energia meccanica risulta cinque volte superiore
rispetto alle altre.
Le proteine sono, infatti, capaci di effettuare un lavoro a partire da uno stimolo energetico, e da quello
deriva l'energia meccanica. Si tratta del meccanismo universale più efficace che consiste nel piegamento o
allungamento di questi biopolimeri. Questo meccanismo è alla base della maggior parte delle
trasformazioni bioenergetiche.
Ciò significa che alcune strutture anatomiche come: le membrane di tensioni reciproche del cranio, la
dura madre midollare, i legamenti, le capsule articolari, i tendini, le aponeurosi, le cartilagini, in definitiva
tutti i tessuti connettivi del corpo, sono in grado nell'infinitamente piccolo (dell'ordine di un micron, di un
manometro o di un angstrom) di ritrarsi sotto l'influenza di un'iperpressione, e poi di ritornare alla loro
lunghezza iniziale se la pressione della zona ritorna fisiologica.
Tali scoperte scientifiche traducono perfettamente la teoria osteopatica dei nostri maestri, quando
sostengono l'azione dell'osteopatia sul metabolismo cellulare.

126
CAPITOLO 6
MECCANICA DELLE
FASCE

La meccanica fasciale svolge un ruolo


essenziale nel funzionamento del corpo,
così come nel mantenimento della sua
integrità. Le fasce funzionano come un
tutto, ma per la buona comprensione del
loro meccanismo occorrerà studiare prima
la meccanica locale e poi quella generale.
(fig 74)

MECCANICA LOCALE
La meccanica locale delle fasce si
manifesta sotto forma multifattoriale,
avendo queste un ruolo di: sospensione,
protezione, contenimento, separazione,
assorbimento degli urti, ammortizzamento
delle pressioni.

A- SOSPENSIONE E PROTEZIONE
1)Sospensione
Il ruolo di sospensione della fascia acquista significato nelle fasce
interne, sia che siano sotto forma di meso dei legamenti sia delle fasce
propriamente dette. È la fascia che garantisce la coesione interna
perchè mantiene, attraverso le insersioni strutturali, ogni organo al suo
posto. Questo sostegno avviene in modo fermo, ma, nella maggior
parte dei casi, non fisso. In effetti ogni organo grazie alla elasticità dei
suoi punti di aggancio, ha sempre una certa mobilità. Mobilità
necessaria per adattarsi alle diverse costrizioni che possono

127
intervenire, ma anche mobilità che rientra nel contesto generale di mobilità del corpo umano, affinchè la
funzione e la fisiologia possano esprimersi pienamente.
Il ruolo di sospensione non si esercita unicamente nella parte cavitaria, ma anche alla periferia del corpo
umano. Attraverso le aponeurosi dei legamenti è il supporto di ogni muscolo, articolazioni e sistema
vascolo-nervoso. Circondando i vasi, i nervi, i muscoli e le articolazioni e formando i loro punti di
insersione, questo sistema periferico è esso stesso ancorato a dei punti fissi rappresentati dalla struttura
ossea, che gli permettono di mantenere l’integrità anatomica delle strutture che supporta (fig75).
Dall’integrità della struttura ossea dipende il suo stato funzionale e per estensione, la buona fisiologia del
corpo. Ma un osso, di per se stesso, non ha alcuna possibilità di azione; la sua funzione, la sua integrità e
le relazioni tra osso e osso dipendono unicamente dai punti di aggancio che uniscono un osso alle
strutture ossee vicine.
Quindi se la struttura forma l’impalcatura, il punto di ancoraggio, essa dipende intimamente dai tessuti
molli per il mantenimento della sua coesione e della sua funzione; si viene così a creare una interrelazione
indissociabile fra struttura e tessuti molli , e da ciò dunque fra struttura e funzione e tra funzione e
struttura. La funzione di sospensione delle fasce varia a seconda della zona considerata. La fascia
possiede una capacità di stiramento diversa a seconda della sua localizzazione. Per esempio la capacità di
stiramento di un tendine equivale ad 1/10 rispetto a quella della pelle e ciò è dovuto al fatto che il tendine
è costituito da fibre di I tipo disposte parallelamente, mentre nella pelle ci sono tutti i tipi di fibre e queste
sono disposte in tutte le direzioni. Lo spessore delle fibre di collagene è specifico dell’organo ed evolve
con l’età. L’elasticità della fascia decresce durante la vita. La fascia è sede di ispessimenti, accorciamenti,
calcificazioni, in funzione delle costrizioni subite. Tuttavia questa funzione di sospensione ha una
adattabilità notevole a seconda delle circostanze. Così, durante la gravidanza , l’utero è la sede di una
distesione notevolmente con l’ allungamento dei suoi legamenti, senza peraltro che questo crei alcun tipo
di dolore. Non solo l’utero si distende, ma, risalendo nella cavità addominale, genera in secondo luogo
una distensione delle fasce della parete addominale senza tuttavia generare neanche qui un disturbo
doloroso. In altre circostanze dove è sottomesso a tensioni di stress e di tensione reagisce attraverso un
ispessimento o una calcificazione, ma niente di ciò si produce in gravidanza.
Dopo il parto ritorna progressivamente normale, ovvero si ritira per ritrovare la sua tonicità e la sua
elasticità. Questo è un fenomeno preprogrammato e si può pensare che la fascia abbia “in memoria”
questo meccanismo. Prendiamo il caso dell’obesità: questa situazione può essere considerata come
patologica. In alcuni soggetti l’aumento di peso è enorme, l’accumulo di tessuto grasso avviene a tutti i
livelli, implicando un aumento di volume che può essere considerevole e quindi automaticamente portare
ad una distensione della fascia (per contenere questo sovrappiù). Durante il dimagrimento, soprattutto se è

128
progressivo, nella grande maggior parte dei casi la fascia riprende la sua elasticità e la sua tonicità
normali. Abbiamo quindi a che fare con un sistema di adattamento notevole.
Un altro esempio: il rene, contenuto in un sacco aponeurotico sospeso attraverso dei legamenti e
dall’arteria renale, è soggetto a ptosi o a divenire fluttuante in seguito ad una lassità del sistema di
sospensione, essendo stirata anche l’arteria renale. Se attraverso una manipolazione osteopatica, a
condizione che questa non sia troppo tardiva, riusciamo far reintegrare il rene nella sua posizione
normale, constatiamo che dopo un certo tempo il rene si è stabilizzato nella sua loggia e che le strutture di
sostegno hanno ritrovato la loro tonicità. La fascia possiede una notevole mallebilità che le permette di
adattarsi continuamente alle costrizioni che deve subire, ma è anche capace di ritrovare il suo stato
precedente perché è “programmata” per facilitare la fisiologia del corpo (a condizione che un aiuto
esterno le sia apportato in un tempo ragionevole).

2)Protezione
Oltre al ruolo di mantenimento la fascia possiede un meccanismo di protezione per garantire l’integrità
fisica e fisiologica del corpo umano. Questo meccanismo di protezione si esprime seguendo più vettori e
questo grazie alla sua solidità, ma anche alla sua contrattilità ed elasticità.
Mantenimento dell’integrità anatomica
Grazie alla sua resistenza la fascia permette il mantenimento dell’integrità anatomica delle diverse parti
del corpo. Permette ai diversi organi di conservare una forma costante. Questo non avviene in modo
rigido, ma grazie ad un’adattabilità che varia a seconda delle regioni prese a riferimento.
Così le fasce che avvolgono i reni, il fegato, o che mantengono la struttura delle arterie, pur avendo una
certa elasticità, possiedono un tono maggiore rispetto a quelle presenti nell’intestino, nello stomaco, nelle
vene e negli ureteri, che sono sottomessi a variazioni di forma e di pressione dipendenti dal loro grado di
riempimento; devono dunque permanentemente aggiustare le loro tensioni, per una maggiore tolleranza e
perciò necessitano nella loro struttura di una maggiore quantità di reticolina, fibre elastiche e di una
sostanza fondamentale meno densa. È ancora grazie alle fasce che i muscoli possono avere la loro forma
anatomica; ma qui abbiamo a che fare con fasce molto più dense e resistenti. La loro deformazione è
minima permettendo così ai muscoli di appoggiarsi a loro.
Protezione contro le variazioni di tensione
La fascia costituisce la prima barriera protettrice contro le variazioni importanti di tensione nel corpo,
permettendo di assorbire gli urti per preservare l’integrità delle strutture che avvolge e sostiene. Funge
dunque da vero e proprio ammortizzatore, che tramite la sua contrattilità e la sua elasticità attenua le
tensioni che si esercitano sul corpo e di prendersi carico e di distribuire l’energia trasmessa da un urto
violento, al fine di evitare una lesione sull’organo che protegge.

129
Questo ruolo di tampone e di protezione è significativo a livello delle meningi il cui fine è quello di
preservare l’asse cerebrospinale contro gli urti e le variazioni brutali di pressione, che potrebbero essere
molto dannose per il tessuto nervoso. A questo livello abbiamo un elemento supplementare che rinforza il
ruolo di ammortizzazione: il liquido cefalo-rachidiano. In periferia il liquido cefalo-rachidiano è
sostituito, nelle zone particolarmente sensibili (reni, fosse ischio-rettali…), da tessuto grasso, che non è
altro che una varietà di tessuto connettivo prossimo alla fluidità. Bisogna ricordare che la contrattilità e la
elasticità sono fattori importanti della meccanica fasciale; l’elasticità diminuisce nel corso della vita
contribuendo in modo importante all’invecchiamento.
Un esempio illustra chiaramente questo stato di cose: ci sono delle modificazioni progressive della pelle
nel corso dell’età, come le pieghe cutanee che si affacciano nel corso degli anni e che aumentano via via
che il tempo passa; queste pieghe sono dovute all’indebolimento dei legami trasversali e quindi
dell’elasticità del tessuto connetivo.
La dinamica meccanica di un tessuto sarà condizionata dalla concentrazione locale di proteoglicani e di
acido ialuronico. Le tappe della sintesi e del metabolismo dei proteoglicani possono essere modificati da
dei fattori endogeni (ereditarietà, errori genetici…) ed esogeni (malnutrizione, stress, infezioni batteriche
e virali, traumi…). Ciò porterà ad un addensamento della sostanza fondamentale con un rinforzo delle
fibre di collagene. Se le forzature che si esercitano sul tessuto connettivo persistono, questo trasformerà
completamente la sua struttura, soprattutto nei punti di inserzione, per poi arrivare alla calcificazione. È
per questo che noi vediamo il progressivo formarsi di calcificazioni su attacchi legamentosi o fasciali a
seguito di tensioni importanti. Questo fenomeno è particolarmente frequente a livello del calcagno, del
gomito e della spalla o della colonna vertebrale, citando gli esempi più notevoli che si trovano
quotidianamente.
Sotto l’effetto di irritazioni, infiammazioni e di stress ripetitivi e molto importanti, il tessuto connettivo
mette in moto un meccanismo di difesa che consiste nella sua trasformazione in tessuto osseo. Assistiamo
così ad un importante fenomeno di adattamento, compensazione tanto più notevole visto che come
vedremo più avanti, questo fenomeno può essere reversibile.

B- CONTENIMENTO E SEPARAZIONE
La fascia unisce e separa tutto, separa e unisce tutto (L. Issartel)
1)Contenimento
Non esiste una sola parte del corpo che non sia avvolta da una fascia. Come dimostra l’anatomia, il corpo
umano è costituito da dei grandi guaine che racchiudono delle regioni più o meno estese, ma, all’interno
di queste regioni, c’è una duplicazione della fascia che va a contenere delle strutture sempre più fini, e
questo senza alcuna discontinuità. Così a livello della coscia, per esempio, abbiamo una grande guaina

130
cilindrica che ingloba tutti i muscoli di questa zona. Questo grande cilindro si divide in seguito, grazie a
dei setti intermuscolari, per separare i gruppi muscolari con funzioni diverse. All’interno di questi setti
possiamo avere più muscoli avvolti nella stessa guaina fasciale. Nello stesso muscolo abbiamo un’altra
divisione aponeurotica che circonda i diversi fasci muscolari, i quali saranno a loro volta divisi in setti da
altre membrane che rivestono le miofibrille.
La cavità addominale è chiusa da una vasta borsa membranosa che contiene tutti i visceri, e li isola dalle
strutture vicine, mantenendo una certa coerenza e costanza di pressione. Ma questo stesso peritoneo va a
dividersi in legamenti, mesi….che vanno a costituire l’involucro strutturale degli organi.
La fascia dunque garantisce la struttura anatomica dei tessuti molli; essendone a sua volta il costituente, il
supporto e l’impalcatura. Una debolezza al suo livello si tradurrà in un ernia della “materia” che contiene;
quest’ernia potrà a sua volta evolvere verso una rottura con danno alla funzione fisiologica. Senza la
fascia i diversi organi non potrebbero adempire al loro ruolo. Gli organi cavi sarebbero sede di distensioni
enormi; la loro fisiologia sarebbe completamente perturbata dal fatto che gli epiteli hanno il loro punto di
ancoraggio nelle membrane basali, esse stesse all’origine della loro rigenerazione (degli epiteli).
Un’arteria sprovvista di fascia sarebbe flaccida, facilmente comprimibile e ciò perturberebbe
enormemente il flusso sanguigno.
Gli organi pieni senza la loro struttura fasciale sarebbero incapaci di mantenere la loro forma e
diverrebbero del tutto inoperanti.
A livello muscolare sarebbe impossibile sviluppare la potenza legata alla contrazione. Abbiamo detto che
la fascia è una struttura rigida più o meno anaelastica. Durante la contrazione un muscolo ha bisogno di
punti di appoggio per manifestare la sua efficacia. Possiede perciò degli ancoraggi ossei, ma questi
sarebbero insufficienti se il muscolo non si appoggiasse alla fascia (soprattutto se la contrazione genera
spostamento del segmento osseo). La fascia costituisce un punto di fissazione per il muscolo, ma anche
un punto di appoggio a partire dal quale potrà esprimere tutta la sua potenza.
Questo ruolo di contenimento interviene anche per proteggere gli organi e i muscoli contro gli urti e le
variazioni di pressione assorbendone essa stessa una parte di energia; in mancanza della fascia finiremmo
molto velocemente per strapparci o scoppiare.
Questo ruolo di contenimento si manifesta anche per canalizzare le forze. La fascia assiste al controllo del
movimento nella sua realizzazione oltre che nella sua coordinazione.
2)Separazione
Sebbene tutte le strutture anatomiche siano legate alla fascia, questa funge anche da mezzo di separazione
affinchè esse salvaguardino la loro coerenza. Questa separazione si realizza attraverso una divisione in
compartimenti e degli scivolamenti.
Scivolamento (o clivaggio)

131
Per evitare rigidità e mantenere il massimo di mobilità (funzione principale anche della più piccola parte
del corpo) oltre che una certa indipendenza (tra un organo o una struttura in rapporto a quella adiacente),
ogni parte, pur rimanendo in relazione con quella vicina, ne è separata attraverso dei piani di
scivolamento. Questi piani sono costituiti da tessuto connettivo lasso che penetra tra gli organi per
riempire gli spazi, ma anche, come abbiamo già detto, per collegare le strutture. Questi piani di
scivolamento presentano tre punti di interesse:
- 1) favoriscono lo scivolamento degli organi, muscoli o fasci muscolari, gli uni in rapporto agli altri,
permettendo così di adattarsi alle variazioni di forma, di tensione, di movimento.
- 2) rappresentano dei punti di passaggio che facilitano la palpazione profonda.
Quando, per attuare dei test o dei trattamenti, dobbiamo indirizzarci in zone situate in profondità, ci
occorre attraversare una barriera muscolare. Se cerchiamo di penetrare passando attraverso un piano
muscolare, saremo molto velocemente frenati dalla tensione del muscolo o dalla sua contrazione riflessa;
per di più interporremmo tra le nostre mani e la zona da palpare una struttura spessa e densa che
diminuirà o impedirà la palpazione. I piani di sfaldamento ci permettono un passaggio più facile. Così se
vogliamo palpare un piramidale o un piccolo legamento sacro-sciatico, bisognerà servirci del piano di
scivolamento presente tra il medio e il grande gluteo. Se si vuole palpare il nervo sciatico sulla faccia
posteriore della coscia, la sola via di passaggio possibile è il piano di sfaldatura presente tra il gruppo
esterno e quello interno degli ischio-crurali. Allo stesso modo per palpare un rene il punto di passaggio
efficace non potrà che essere fra il bordo esterno dei grandi retti e gli obliqui. Se si vuole palpare il
legamento vertebrale comune anteriore il solo punto di passaggio possibile è attraverso la linea alba, e
questo è un punto di scivolamento soggetto a notevoli variazione. Ricordiamoci che in gravidanza è
grazie soprattutto all’allontanamento della linea alba se l’addome può dilatarsi. Ma purtroppo è a causa
della cattiva riunione postpartum che interviene una interruzione della linea bianca attraverso la quale si
può facilmente sentire le anse intestinali.
- Permettono infine ai chirurghi di fare delle incision minime e di separare facilmente gli organi tra loro
quando operano nella cavità addominale.
Compartimentazione
La divisione delle fasce permette di costituire dei compati più o meno a tenuta stagna, per mantenere
diverse pressioni tra i diversi compartimenti, ma anche per prevenire la diffusione delle infezioni o delle
infiammazioni da un compartimento all’altro. Questa compartimentazione protegge dunque gli organi
dall’espansione di focolai purulenti. Ma come abbiamo visto, realizza anche delle segmentazioni
all’interno di uno stesso organo e di queste le più rappresentative sono i lobi del fegato e del polmone.
Questa compartimentazione supplementare ha per fine la protezione di un organo vitale, preservando la

132
sua funzione quando è danneggiata una delle sue parti. È per questo che il fegato può assolvere alla sua
funzione fisiologica finchè persiste il 30% di tessuto è funzionante.
C- ASSORBIMENTO DEGLI URTI
Durante un trauma violento il corpo è vittima di un onda d’urto che fa penetrare al suo interno una grande
quantità di energia. Se la sua intensità è troppo elevata ne conseguiranno danni importanti a livello di
determinate strutture o organi. Il ruolo del tessuto connettivo è quello di ammortizzare questa onda d’urto
e di disperderla in differenti direzioni al fine di attenuarne l’intensità, preservando l’integrità fisica del
corpo umano. Se l’intensità va oltre una certa soglia, il tessuto connettivo non potrà adempiere al suo
ruolo e assisteremo a delle lesioni che portano a esiti fatali, fra i quali i più ricorrenti sono lo scoppio della
milza e del fegato e la rottura del rene.
L’orientamento delle fibre fasciali, il ruolo di tampone del tessuto connettivo, tendono, come abbiamo
detto, a disperdere questa energia in differenti direzioni al fine di attenuare l’intensità e permettere anche
l’assorbimento dell’urto.
Tuttavia, in un certo numero di casi, questa energia non può essere ammortizzata e dispersa, sia perché
l’urto è troppo violento sia perché avviene in una zona che era già in stato di tensione anormale.
Assistiamo dunque alla formazione di quelle che Elmer Green ha chiamato cisti di energia. Ciò vuol dire
un imprigionamento nel tessuto connettivo di una quantità importante di energia che avrà a, più o meno
lunga scadenza, un effetto perturbante. Questa cisti si manifesta come un’ostruzione della conduzione
efficace di elettricità attraverso la parte del corpo dove risiede. Si comporta come agente irritante e
contribuisce allo sviluppo di un segmento facilitato come focolaio di irritazione locale. Genera un
aumento dell’entropia ed è meno funzionale dei tessuti circostanti. Può essere il risultato di un trauma, ma
anche di una invasione patogena, di una disfunzione fisiologica o di un problema emozionale.
È curioso pensare che un tessuto molle possa accumulare in se stesso una quantità di energia che resta
imprigionata dentro di esso. Abbiamo visto che il ruolo della sostanza fondamentale era, fra gli altri,
quello di ammortizzamento e che per adempiere al suo lavoro metteva in moto numerosi meccanismi per
ristabilire la normalità. In un certo numero di casi avviene che i suoi meccanismi sono sommersi di lavoro
e non possono del tutto far fronte agli stress imposti. In questi casi essa mette in memoria questi stress e
lo fa in maniera indipendente dalle vie superiori. Certamente queste ultime interverranno per aumentare la
possibilità di evacuazione di energia attenuandone le conseguenze, ma non potranno cancellare gli stress
subiti. Questo è messo in evidenza dall’esperimento di Frankstein: dopo aver iniettato essenza di terebinto
nella zampa di un gatto, ha visto che quest’ultimo, sotto l’intensità di un urto, ha messo la gamba in
posizione di triplice ritrazione. Passato un certo periodo il gatto ha ritrovato la funzionalità della sua
zampa. Dopo alcuni mesi è stata effettuata una decerebrazione del gatto e immediatamente la zampa
traumatizzata ha assunto la posizione di triplice ritrazione. L’interruzione dei processi regolatori superiori

133
ha fatto venir fuori il trauma iniziale: si è parlato così di memoria cellulare o di memoria periferica, ma si
può meglio definirla come memoria del tessuto connettivo e più precisamente memoria della sostanza
fondamentale.
Quando il potere tampone del tessuto connettivo è superato, ovvero quando un trauma o un’aggressione
supera una certa intensità, si assiste al collocarsi di uno stress locale che il più delle volte evolve in
maniera silente e questo anche per alcuni anni, ma che poi, nella maggior parte dei casi, tende verso uno
stato patologico. Questo avviene a partire da un meccanismo locale autonomo, ma tramite il sistema
nervoso può guadagnare rapidamente una zona più estesa, tramite il meccanismo di facilitazione di un
segmento midollare. Al suo livello la resistenza alla conduzione di un impulso elettrico è stata ridotta. Il
segmento è altamente irritabile e uno stimolo supplementare anche debole, gli genererà una risposta
importante, non corrispondente con l’intensità della stimolazione. Questo segmento midollare facilitato
genera delle risposte del tono muscolare, con diminuzione della mobilità del segmento in questione oltre
ad un cambiamento palpabile della struttura del tessuto. Ricordiamoci che questo cambiamento può
essere indotto direttamente senza passare dall’arco midollare e questo grazie a delle modificazioni nella
sostanza fondamentale che si vanno a ripercuotere sulla superficie tramite i cilindri di Hine. La
stimolazione simpatica genera a sua volta un cambiamento nella struttura della pelle oltre che un
cambiamento nell’attività delle ghiandole sudoripare. La sua azione infine si estende a distanza sugli
organi dipendenti dalla zona metamerica che a loro volta entrano in disfunzione senza l’intervento
esterno. Un segmento facilitato avrà purtroppo tendenza ad autoperpetuarsi.
D- AMMORTIZZAZIONE DI PRESSIONI
Il corpo subisce continuamente tensioni, stiramenti, urti, stress di tutti i tipi. Se non esistesse un reparto
difensivo per ammortizzare questi diversi traumi, sarebbe poco probabile che l’essere umano fosse
sempre vivo e in ogni caso la sua funzionalità sarebbe fortemente alterata. Questo ruolo di
ammortizzazione è in gran parte compiuto dalla fascia e si realizza attraverso la sua struttura biochimica,
le sue componenti elastiche, la sua costruzione anatomica, il tessuto grasso.
1) Struttura biochimica
Abbiamo studiato nel capitolo precedente il ruolo tampone del tessuto connettivo devoluto alla sostanza
fondamentale, essa stessa dipendente dalla concentrazione in proteoglicani. Occorre ricordarsi che i
proteoglicani modificano le caratteristiche visco-elastiche dei tessuti permettendo così il loro adattamento
alle variazioni di pressione. La proporzione tra sostanza fondamentale e fibre dipende dalle forze che
agiscono sul tessuto. Così avremo che in un legamento, dove le forze sono dirette secondo una direzione
costante con sollecitazioni importanti, la sostanza fondamentale è molto limitata e le fibre sono molto
abbondanti e allineate in fasci paralleli. In seguito ad una qualsiasi sollecitazione la fascia gioca un ruolo
di ammortizzatore per attenuarne l’intensità e assorbire una parte di forza. Se questa sollecitazione

134
persiste la fascia in un secondo tempo modificherà la sua struttura. Così quando una tensione è applicata
ad un qualsiasi livello, le fibre di collagene aumentano e si orientano secondo le linee di forza potendo
creare una fibrosità.
Hurchler e coll. in studi fatti su una fascia patologica nel quadro della sindrome cronica della loggia
tibiale anteriore, non hanno constatato differenze quantitative di collagene. Al contrario hanno notato un
aumento dello spessore e della rigidità strutturale. A livello della fascia patologica la la struttura reticolata
delle fibre è più piccola. In certi pazienti appare più spessa ed in altri più spessa e con delle aderenze
muscolari ed in altri ancora istologicamente normale. Questo ci porta a pensare che ogni soggetto
risponde in maniera diversa ad una stessa patologia e questo certamente in base allo stato di salute
generale del paziente. Quando guardiamo una persona occorrerà quindi integrare la patologia in un
contesto generale; questa è l’idea che esprime I.Korr che “non ci sono malattie ma solo malati”.
Page nota che il tessuto connettivo forma le membrane attraverso le quali hanno luogo i processi osmotici
di nutrizioni ed eliminazione. Pressioni o tensioni anormali vanno a ripercuotersi sugli scambi osmotici
dei fluidi. L’equilibrio che esiste tra il flusso sanguigno ed il fluido tessutale deve essere mantenuto,
affinché si possa esprimere pienamente l’equilibrio fisiologico del corpo. Qualsiasi tensione membranosa
può perturbare l’emodinamica del corpo; il drenaggio dei tessuti sarà a sua volta perturbato con accumulo
di metaboliti e progressive disfunzioni locali.
Yahia e coll. tramite prelievi campione di fascia lombare, hanno constatato degli ispessimenti evidenti,
ciascuno con fibre orientate in una direzione specifica.
2) Componente elastica
La fascia non è una struttura totalmente rigida. Qualunque sia la sua localizzazione, presenta sempre una
certa elasticità grazie alla quale può attenuare l’intensità delle pressioni e far aumentare al massimo la
soglia di rottura. Durante uno sforzo violento la resistenza muscolare è supportata e rinforzata dalle
caratteristiche elastiche del tessuto connettivo; senza questo il muscolo raggiungerebbe rapidamente la
sua soglia di tolleranza e ne conseguirebbe facilmente la rottura. Se questo non si realizza frequentemente
è grazie alle proprietà visco-elastiche e contrattili della fascia.
Yahia e coll. hanno studiato lo stiramento su campioni di fasce. Hanno constatato che più una fascia è
stirata, più aumenta la sua rigidità e che per ottenere una stessa deformazione in un tempo più corto
occorre una carica più importante. In più se la fascia è sottomessa ad una carica costante la deformazione
diminuisce progressivamente.
3) Tessuto grasso
Oltre al suo ruolo di messa in riserva di grasso, di isolante termico, il tessuto grasso interviene anche per
ammortizzare le pressioni. Questo ruolo riveste una importanza più o meno grande a seconda delle
regioni considerate. A livello cutaneo il tessuto grasso attenua l’intensità degli urti, costituendo un cuscino

135
ammortizzante più o meno efficace a seconda dello spessore. Così un urto sul braccio, dove il pannicolo
adiposo è ben presente, sarà meno doloro rispetto alla tibia dove il tessuto grasso è praticamente
inesistente.
A livello addominale, oltre a riempire lo spazio compreso tra i diversi organi, il tessuto grasso attenua in
modo significativo le grandi pressioni che si esercitano all’interno della cavità addominale, proteggendo
così i diversi organi affinché la loro fisiologia possa svolgersi normalmente.
A livello dei reni il grasso perineale è molto abbondante. Permette una fissazione del rene (le ptosi renali
sono frequenti nei dimagrimenti rapidi con perdita del grasso perineale) e costituisce attorno a questo un
cuscinetto adiposo che protegge contro i traumi (se troppo violenti possono portare alla rottura del rene).
A livello del perineo infine esiste una importante raccolta di grasso.
Esempio del perineo
Il perineo per la sua situazione, il suo ruolo, la sua costruzione anatomica, merita uno studio particolare
che illustrerà perfettamente le diverse caratteristiche della fascia. Richiamiamo alla mente che il perineo è
composto da tre strati fasciali sovrapposti: aponeurosi perineale superficiale, media (presenti a livello del
perineo anteriore), aponeurosi perineale profonda (rappresenta l’amaca che chiude tutta la cavità
addominale). Questi involucri fasciali circondano i diversi muscoli che rinforzano e sottendono. Questa
costruzione sarebbe perfetta se non presentasse in senso antero-posteriore delle aperture nelle quali si
introducono gli organi del piccolo bacino: retto, vescica nell’uomo e retto, vescica e sopratutto vagina
nella donna (questa costituisce una importante fessura dove si situano utero e collo della vescica).
Il perineo è riempito nella sua parte centrale, in senso antero-posteriore, dagli organi dl piccolo bacino che
hanno grossolanamente una forma concava e sui quali aderisce e riposa il peritoneo. Lateralmente
troviamo le fosse ischio-rettali, due strutture longitudinali riempite di grasso. Il perineo rappresenta la
parte più declive della cavità toraco-addominale, su cui si appoggia tutta una “colonna liquida”, che
comprende non soltanto gli organi perineali, ma anche gli organi addominali e toracici. Questa colonna ha
un peso considerevole e poiché il perineo non è chiuso ermeticamente, se questo peso si ripartisse solo
verticalmente, gli organi perineali tenderebbero rapidamente alla ptosi, ma questa fortunatamente non è
che una circostanza eccezionale.
Il perineo, per evitare questi inconvenienti e al fine di sostenere la colonna viscerale sottostante,
assicurare una perfetta fisiologia degli sfinteri, assorbire le pressioni che si esercitano su di lui, si è dotato
di più meccanismi di protezione:
- elasticità e solidità
- architettura anatomica
- presenza di un cuscino adiposo
- ammortizzatori complementari

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- sinergia di movimento

a)elasticità e solidità
Per sostenere gli organi perineali, le fasce pelviche devono avere due caratteristiche essenziali e
apparentemente contraddittorie: elasticità e solidità.
 Solidità per sopportare le enormi pressioni che possono esercitarsi quando si tossisce o facciamo
sforzi violenti.
 Elasticità per permettere di ammortizzare permanentemente le pressioni e per favorire il gioco
degli sfinteri.
La perdita di uno di questi due fattori o di entrambi porta alla rottura del funzionamento fisiologico degli
organi perineali, con possibilità di disfunzioni vescicali o uterine e, in più o meno tempo, prolasso di
questi organi.
b)architettura anatomica
Abbiamo segnalato che gli organi perineali hanno una forma grossolanamente concava in senso antero-
posteriore e sagittale. Questo per permettere alle pressioni che vengono dall’alto di ripartirsi in tutti i sensi
e non solamente in una direzione strettamente verticale. Kamina nota che: la statica interna è tanto
migliore quanto l’orientamento fisiologico dell’apparato genitale è conservato o accentuato e quando gli
elementi di sostegno sono solidi. Durante lo sforzo, la pressione addominale, tenuto conto della direzione
generale del bacino, è orientata essenzialmente in dietro verso la resistente regione ano-coccigea. C’è una
traslazione posteriore dei visceri ed in particolare dell’utero, il cui collo si appoggia sul perineo
posteriore. Del resto le fasce uterine dell’elevatore dell’ano si contraggono per opporsi alle sollecitazioni
pressorie. Alzano il centro tendineo del perineo, che applica la parete vaginale posteriore contro quella
anteriore, formando un angolo vaginale a seno posteriore: “l’angolo vaginale”. Nell’architettura
anatomica bisogna tener conto dell’inclinazione del bacino, della lordosi lombare, della tonicità
addominale. L’aumento della lordosi lombare e la perdita della tonicità addominale favoriscono
l’antiversione del bacino; di conseguenza, la risultante delle forze che si esercitano sul perineo ha la
tendenza ha focalizzarsi sulla fessura vulvare, esercitando una pressione molto più forte sulla vescica e
sull’utero. Se ci troviamo davanti ad un perineo indebolito, molto rapidamente ciò porterà alla discesa del
collo vescicale o uterino.
c)presenza di un cuscino adiposo
Il tessuto grasso presente a livello delle fosse ischio-rettali ha il compito non soltanto di colmare uno
spazio lacunare o per proteggere gli elementi vascolo-nervosi, ma anche per ammortizzare le pressioni.

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Rappresenta un tampone elastico che attenua l’intensità delle pressioni e ne prende in carico una certa
parte

d)ammortizzatori complementari
-Postero-lateralmente la cavità perineale è chiusa dal muscolo piramidale circondato dalla sua fascia, che
è in dipendenza dall’aponeurosi perineale profonda. Oltre a chiudere ermeticamente l’anello pelvico in
dietro, il piramidale costituisce un ammortizzatore supplementare delle sollecitazioni che si esercitano sul
piccolo bacino.
-Lateralmente il bacino presenta due orifizi: i forami otturatori, dei quali ci si può chiedere la funzione.
Oltre al fatto che danno inserzione ai due muscoli otturatori, questi forami sono colmati dalla membrana
otturatrice, struttura elastica che vibra in funzione delle pressioni che si esercitano sul piccolo bacino; un
po’ alla maniera di due branchie di un pesce, costituendo così un elemento supplementare di regolazione
delle sollecitazioni.
e)sinergia di movimento
Non ci scordiamo che esiste una importante massa viscerale addominale che domina il piccolo bacino e
che questa massa è chiusa nella sua parte superiore dal pistone diaframmatico, che è mobilizzato
continuamente dall’alto verso il basso, esercitando quindi una certa pressione sulla colonna viscerale.
Questa pressione si trasmette agli organi pelvici. I tessuti molli del perineo, grazie alla loro elasticità,
sono là anche per assorbire ed integrare questo movimento permanente, evitando così che questo diventi
dannoso per il proprio contenuto.
Il perineo lavora dunque in sinergia con il diaframma, realizzando un lieve movimento di discesa durante
l’inspirazione. Per convincersi di ciò basta respirare contraendo il perineo e si percepisce che la
respirazione diviene improvvisamente più difficile e si ha la sensazione di un aumento di pressione. Tutto
sommato, grazie alla solidità, alla plasticità e alle caratteristiche visco-elastiche delle fasce, le pressioni
trasmesse dalla colonna toraco-addominale non si esercitano soltanto in maniera verticale, ma sono
ripartite e prese in carico da tutte le componenti dell’anello pelvico:
- In basso e in dietro a livello dell’anello fibroso centrale del perineo, punto della cavità più declive e di
convergenza di tutte le fasce e di tutti i muscoli perineali. Rappresenta il laccio che chiude il sacco e
può quindi essere considerato il punto più solido.
- Lateralmente esiste il primo ammortizzatore costituito dal tessuto connettivo grasso. Più lateralmente
ancora si trovano in avanti le membrane otturatrici e in dietro i piramidali.
- In avanti infine una parte di sollecitazioni è presa in carico dal perineo anteriore e dalla sinfisi.

138
4) Struttura anatomica
Ancorata al sistema scheletrico la fascia non rappresenta un semplice tubo costituito da bande verticali o
parallele. L’architettura della fascia è formata da più strati sovrapposti e interdipendenti gli uni dagli altri,
orientati in parecchie direzioni: verticali, orizzontali e oblique. Tutto ciò al fine di rinforzare la solidità,
l’efficacia e di aumentare la resistenza alle sollecitazioni che si esercitano su di essa. Debnar e coll., nel
corso dell’analisi di campioni di fascia toraco-lombare, hanno dimostrato che questa è formata numerose
lamine di collagene orientate obliquamente le une in rapporto alle altre. Gerlach e Lierse hanno studiato la
fascia dell’arto inferiore. A livello della coscia hanno visto che (fig 76):
1) Nella sua parte anteriore la fascia presenta:

-delle fibre orizzontali che si


attaccano al tratto ileo-tibiale e
delle altre che vanno
posteriormente
-delle fibre verticali nella parte
superiore della coscia, che sono
intrecciate con le fibre
orizzontali
-delle fibre oblique in basso ed
in dentro la cui parte inferiore si
prosegue sulla parte interna
della tibia. Sono più sottili di
quelle verticali ad eccezione che
a livello delle anche dove sono
più forti
2) nella sua parte posteriore:
-potenti fibre verticali

139
-fibre orizzontali presenti soprattutto sotto il grande gluteo e nella parte inferiore della coscia (queste
terminano nel cavo popliteo); le fibre più basse sono arciformi, dapprima oblique in basso ed in dentro,
poi verticali e si continuano con l’aponeurosi tibiale posteriore.
3) nella sua parte interna:
-costituite da fibre verticali e oblique, queste ultime provenienti dalla fascia lata; presentano un
contingente anteriore obliquo in basso ed in avanti e un contingente posteriore obliquo in basso ed in
dietro. Le fibre anteriori si confondono con il retinacolo patellare, quelle laterali con il legamento
collaterale interno. La parte laterale interna presenta fibre molto resistenti, strette e facilmente palpabili.
4) nella sua parte esterna:
-delle fibre verticali molto potenti formano il tratto ileo-tibiale. Questo tratto è in connessione con il
femore grazie alla membrana interossea esterna. Nella sua parte inferiore entra nella costituzione del
retinacolo patellare e del legamento collaterale esterno.
Le fibre della coscia si prolungano a livello della gamba e del piede, dove presentano la stessa
architettura. In genarale la fascia dell’arto inferiore e comunque, tutte le fasce, hanno una costruzione a
spirale. Questo permette loro di giocare un ruolo “di straccio” nella dinamica dei fluidi, come abbiamo
già visto, ma anche di aumentare la capacità di resistenza alle sollecitazioni e di mantenere delle forme
anatomiche.

MECCANICA GENERALE

A) CONDUZIONE DELLA SENSIBILITA’


La conduzione della sensibilità, proveniente dalla periferia, arriva al corno posteriore del midollo spinale.
Da qui, attraverso le vie intramidollari, è portata verso i centri specifici cerebrali che elaborano
l’informazione ed inviano la risposta di ritorno adeguata alla situazione. Questo è uno schema un po’
grossolano, nella realtà le cose sono molto più complesse. Esiste tutta una serie di recettori periferici che
si trovano nelle vie di passaggio anatomiche sopra descritte, ma sembra che le vie di conduzione non

140
siano così semplici come si potrebbe pensare e che esistano dei circuiti che attualmente sfuggono a ogni
schematizzazione.
Ogni informazione che arriva al corno posteriore del midollo non genera sistematicamente una risposta e
questo fortunatamente, altrimenti saremmo in uno stato di agitazione permanente. Perché ci sia una
risposta appropriata è necessario che avvenga una sommazione di impulsi. È a partire da questa
constatazione che Melzach e Wall hanno elaborato la “teoria del portone”. Esiste nel corno posteriore del
midollo un meccanismo regolatore che consente di aumentare o diminuire debitamente gli impulsi
nervosi. Questo meccanismo è determinato dall’attività di fibre Aβ e Aδ, oltre che dalle influenze
discendenti generate dal cervello. Quando la quantità di informazioni che attraversano il portone
oltrepassa una soglia critica, c’è l’attivazione delle zone neurali responsabili del dolore. A livello delle
cellule T del corno posteriore arriva tutto un flusso di stimoli; fino ad una certa soglia, le cellule T sono
in grado di esercitare un controllo inibitorio e il portone resta chiuso. Quando la sommazione diventa
troppo grande il controllo inibitorio è inibito, il portone si apre e compare la sensazione dolorosa.
Tuttavia il meccanismo puramente midollare pone alcuni problemi; infatti il modello del portone è basato
su un controllo presinaptico, ma esistono anche delle inibizioni postsinaptiche; ne è prova il fatto che il
meccanismo di salvaguardia, ma anche l’arresto della lesione avviene in primo luogo alla periferia, prima
ancora dell’intervento dell’arco riflesso. Appare chiaro dunque che non tutte le informazioni vanno verso
i centri superiori, ma che vengono trattate anche dai “cervelli periferici”. Così esperimenti effettuati su
topi decerebrati hanno dimostrato che questi potevano risolvere dei problemi di labirinto per trovare il
cibo. Il midollo sarebbe dotato di memoria, può prendere decisioni e risolvere alcuni problemi. Ma i
cervelli periferici sono disposti anche alla periferia e soprattutto a livello delle fasce.
Le fasce sarebbero dei conduttori di una sensibilità superficiale che segue sistemi diversi da quelli
midollari; è quello che Bichat chiamava “il simpatico delle membrane”. Così, per esempio, se ci
grattiamo a livello della coscia, possono apparire dei punti di irritazione lontani, sulla schiena o altrove.
Questa conduzione periferica della sensibilità è perfettamente illustrata in caso di causalgie o di
algoallucinosi. Queste due patologie possono generare dei dolori talmente atroci che il soggetto è portato
a suicidarsi. Oppure nei casi più ribelli, dopo radicolotomie, simpatectomie, cordotomie o sezioni
midollari, si ottiene, a volte, solo una scomparsa transitoria del dolore infatti questo finisce per ritornare
con la stessa intensità. Da dove viene? Da dove passa? Sicuramente non dal sistema nervo-midollo che è
stato sopresso. Sembra quindi esistere una maglia sensitiva autonoma che costituisce la prima
organizzazione periferica, e che funziona in maniera del tutto indipendente.
Un tocco leggero su una zona dolorosa può scatenare dolori atroci, talvolta il dolore si manifesta
spontaneamente senza stimoli apparenti. I dolori possono propagarsi in modo imprevedibile in parti
lontane del corpo, che non hanno alcun legame con il sito iniziale del dolore. Spesso il dolore persiste a

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lungo dopo l’arresto dello stimolo. Questo fatto sfugge a qualsiasi spiegazione logica se consideriamo un
sistema del dolore specifico, rigido, diretto. Così una vescica in uno stato di semi-replezione è insensibile
e non genera lo stimolo ad urinare. La replezione genera il bisogno di urinare grazie ad uno stimolo di
eccitazione dei meccanorecettori. In caso di cistite, il bisogno di urinare si scatena con una capacità di
replezione molto debole.
L’utero presenta una doppia innervazione. Il corpo innervato da un contingente di fibre dorso-lombari non
è doloroso se non in caso di forti dilatazioni, di infezioni importanti, nel parto e durante le mestruazioni in
alcune donne. Certamente in questo ultimo caso le fasce sono in uno stato di stimolo massimale e il
semplice fatto della congestione mestruale è sufficiente a scatenare il dolore. Il collo è innervato dal
plesso ipogastrico ed è sede di intensi dolori anche se viene dilatato di pochi centimetri. Non soltanto i
tessuti reagiscono agli stimoli, ma all’interno di uno stesso organo gli stimoli possono generare reazioni
del tutto differenti. Appare sempre più evidente che la fascia non è soltanto la sede di una sensibilità, ma
che è capace di elaborare l’informazione in maniera del tutto autonoma. Piscinger attribuisce questa
regolazione al sistema di base. Essa è assicurata dal mentenimento dell’omeostasi del sistema, ovvero la
correzione, con il minimo di perdita di energia, delle deviazioni che risultano dall’intervento di fattori
perturbanti.
Questi fattori perturbanti agiscono in generale in modo unilaterale. La mobilità e la funzione sono
perturbate nel segmento colpito. Ancor prima dell’apparizione dei disturbi clinicamente espressi, la
perturbazione è già installata; essa è caratterizzata da una un aumento di dispendio energetico che assicura
la funzione. Poi per via riflessa segmentaria, il danno va in profondità, via viscerosomatica, per
guadagnare, con l’installazione della cronicità, tutto il lato omolaterale che si trova così in ipofunzione.
Yahia e coll., nei loro lavori sulla fascia toraco-lombare hanno messo in evidenza dei corpuscoli di Pacini
e Ruffini. I corpuscoli di Ruffini sono caratterizzati da un semplice assone ed una arborizzazione
dendritica molto densa con le fibre di collagene. I meccanocettori sono localizzati soprattutto nelle zone
juxtavascolari e nel tessuto connettivo lasso con dei fasci di collagene denso. Questa conduzione nervosa
a livello della fascia sembra essere fatta sia dal sistema parasimpatico che, soprattutto, da quello
simpatico e che intervengono non soltanto nella meccanica, ma anche nella biochimica fasciale. Il
simpatico, influenzando la circolazione sanguigna ed il metabolismo,influisce sul livello del pH e
l’eliminazione degli scarti. Se la fascia possiede il suo sistema di innervazione è perché non è una
struttura rigida, ma possiede un certo movimento. Ciò è stato controllato da Yahia e coll., nell’esperienza
di stiramento della fascia, che ha messo in evidenza una contrazione spontanea durante lo stiramento, che
si traduce in un aumento delle sue proprietà viscoelastiche.
Boabighi e coll., hanno dimostrate che le fibre di collagene sono costituite da ondulazioni regolari, queste
sono comparabili nella loro forma alle onde fluide in movimento. La loro ampiezza media è di 6

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micrometri e la loro lunghezza d’onda di 60 micrometri. Andiamo a vedere adesso qualche misura
effettuata da questi autori

PROPRIETA’ ISTOLOGICHE DELLE APONEUROSI (misure in micron )


STRUTTURA Diametro dei fasci ampiezza Lunghezza d’onda
Aponeurosi brachiale 130 8,5 30
Aponeurosi 155 8,5 30
antibrachiale
Retinacolo degli 200 1,5 70
estensori
Retinacolo dei flessori 200 1,5 70
Aponeurosi alta 155 8,5 30
dell’obliquo esterno
Aponeurosi bassa 170 5,7 85
dell’obliquo esterno
Fascia lata anteriore 150 8,5 35
Tratto ileo tibiale 155 4,5 75
Retinacolo estensore 285 1,5 80
della caviglia

Dobbiamo dunque considerare la fascia come una struttura dotata di un certo movimento autonomo.
L’origine di questo movimento deve essere ricercata nell’embriologia. Lo sviluppo embriologico non è
che un movimento continuo che, dopo diversi stadi, porta alla costituzione di un essere umano.
Ricordiamoci che all’inizio abbiamo tre foglietti intimamente intricati: ectoblasta, mesoblasta ed
endoblasta. Questi tre foglietti subiscono una involuzione che permette loro di costituire lo scheletro, le
cavità, gli organi. Questa involuzione si svolge in modo concomitante infatti ogni foglietto migra in
parallelo e penetra in quello vicino. Persisterà “la memoria” del movimento continuo, che si ritroverà a
livello craniale, viscerale e fasciale. La sua ampiezza sarà all’incirca di 8-14 periodi al minuto, con
leggere variazioni a seconda delle zone considerate. Questo movimento continuo permetterà di facilitare
gli scambi cellulari oltre che rendere dinamica la meccanica dei fluidi. Sembra che questo movimento sia
mantenuto dal sistema nervoso simpatico, la sua diminuzione, la sua assenza o la sua accelerazione
costituirà per noi un mezzo di diagnosi di lesione, come vedremo più in là.

B) PARTICOLARITA’MORFOLOGICHE
Il tessuto connettivo è molto ricco di fibre collagene disposte in fasci molto densi e pressoché paralleli,
orientati con regolarità nel senso dove le sollecitazioni meccaniche sono più importanti. La differenza di
intensità delle costrizioni meccaniche ci porta a constatare in maniera generale che:

143
- a livello degli arti superiori le fasce antero-esterne sono più spesse e più potenti di quelle postero-
interne.
- Questa stessa disposizione si trova a livello dell’arto inferiore, fatta eccezione a livello della gamba
dove la fascia antero-interna che ricopre la tibia è la più spessa.
- A livello plantare e palmare ritroviamo delle fasce potenti, spesse e resistenti.
- A livello del collo e del tronco in generale le fasce posteriori sono più potenti di quelle anteriori.
Questa differenza a seconda della localizzazione si spiega attraverso le loro caratteristiche biomeccaniche.
Le fasce più spesse e resistenti hanno sia un lavoro dinamico, sia frenante molto più importante. Sono
queste che intervengono maggiormente nel mantenimento della statica e della postura. Abbiamo visto
come l’intensità delle sollecitazioni genera le caratteristiche della fascia e come tali differenze appaiono
del tutto logiche. Boabighi e coll., hanno studiato le proprità biomeccaniche di alcune aponeurosi e noi
riproduciamo qui le loro misurazioni: proprietà biomeccaniche delle apeneurosi
STRUTTURA Allungamento in Costrizione in N/mm² Modulo di Young (da
percentuale N/mm² )
Aponeurosi brachiale 88 1,7 2
Lacerto fibroso 42 2,9 12
Aponeurosi 43 1,2 3
antibrachiele
Retinacolo degli 55 1,0 3
estensori
Retinacolo dei flessori 76 1,3 2
Aponeurosi palmere 47 2,4 7
Aponeurosi digitale 53 2,6 13
Aponeurosi 100 1,2 3
dell’obliquo est.
Aponeurosi 62 3,5 18
dell’obliquo int.
Fascia lata 48 0,6 2
Tratto ileo-tibiale 35 3,8 19
Retinacolo est. caviglia 65 1,1 3

L’analisi di questa tabella mette in evidenza un gruppo la cui soglia di rottura è elevata, come si vede dal
modulo di Young. Questo gruppo comprende: il lacero fibroso, l’aponeurosi palmare e digitale, il tratto
ileo-tibiale, l’aponeurosi bassa del muscolo obliquo esterno . Questo gruppo tuttavia ha dei valori più
bassi di stiramento e corrisponde a ciò che noi abbiamo classificato con aponeurosi più spesse e resistenti.
Lo studio morfologico mette in evidenza che:
- gli arti inferiori sono generalmente, in posizione naturale, in rotazione esterna.
- - gli arti superiori sono in generale, in posizione naturale, in rotazione interna.

144
Vedremo con i test che questa posizione generale dovrà essere tuttavia sfumata. Un’altra particolarità
sorprendente consiste nell’allineamento degli arti in rapporto al tronco. Tanto gli arti inferiori sono in
continuità con il tronco e con il bacino, tanto gli arti superiori sembrano branchie derivate dal torace come
due innesti che sono stati attaccati al tronco. Vedremo che questo ha la sua importanza pratica.

C) MANTENIMENTO DELLA POSTURA


Se anche il mantenimento e la correzione della postura sono devolute al sistema muscolare, tuttavia
questo non può assolvere al proprio compito senza l’aiuto e il supporto delle fasce. Come abbiamo visto
precedentemente, un muscolo senza fascia non è fisiologicamente funzionale. Inoltre in certe condizioni,
la fascia supplisce interamente il muscolo per mantenere la postura. Alcune fasce sono più attive di altre
in questo ruolo. Cathie constatando che su queste aponeurosi esistono bande visibili nettamente, cita
come fasce di postura le fasce del:
 del grande gluteo,
 cervicale,
 lombo-sacrale,
 tratto ileotibiale;
Questa constatazione conferma che: più una fascia ha un carico di lavoro importante, più tenderà a
rinforzare le sue fibre di collagene e sarà la prima a reagire al trauma. Recenti studi istologici sostengono
l’ipotesi che la fascia dorso-lombare potrebbe giocare un ruolo neurosensoriale nella meccanica della
colonna lombare; infatti durante una flessone anteriore del tronco non è constata l’attività elettrica dei
muscoli posteriori, ma la loro azione è supportata dai legamenti vertebrali. Se i muscoli sono i motori
della postura (poiché intervengono in maniera più evidente nella dinamica), per ciò che concerne la
statica, le fasce sembrano essere più adatte per il mantenimento di
questa postura e questo con il fine di spendere la minor energia
possibile. In linea generale le fasce esterne saranno considerate
maggiormente come fasce di postura e quelle interne come fasce di
sostegno. Il loro studio anatomico oltre che la loro architettura
mostrano che sono prima di tutto adatte a mantenimento della
postura.
D) CATENE FASCIALI
1) GENERALITA’
Lo studio anatomico delle fasce mostrano chiaramente che queste
costituiscono una successione ininterrotta che parte dal cranio e
arriva fino ai piedi. Queste catene fasciali sono esterne ed interne ed

145
in comunicazione l’una con l’altra. In nessun momento c’è interruzione a livello delle fasce, tutte
incatenate le une con le altre in maniera armoniosa. Prendono solo collegamento su alcuni punti ossei per
migliorare la loro coerenza e aumentare la loro efficacia. Tenuto conto dell’orientamento delle fibre
fasciali, queste catene possono essere verticali o oblique (fig 77).
Vleeming e coll., durante i loro lavori sulla fascia toraco-lombare dimostrano che la lamina superficiale di
questa si continua con la fascia del grande gluteo. Alcune fibre a livello del sacro continuano direttamente
il fianco omolaterale, altre si incrociano per prendere legame sulla SIPS e sulla cresta ilaca dove si
confondono poi con quelle del grande dorsale. La lamina superficiale si confonde con quella profonda a
livello del sacro e continua con il grande ligamento sacro sciatico. La trazione su un punto della fascia
superficiale toraco-lombare genera uno spostamento della fascia a distanza, più o meno importante, che
segue la direzione della trazione e questo spostamento a volte è controlaterale (attraverso le fibre a
direzione obliqua).
Una trazione sul bicipite femorale e la sua fascia genera uno spostamento della lamina pofonda del grande
legamento sacro-sciatico fino alle vertebre lombari basse, si può avere anche uno spostamento
controlaterale. La mobilizzazione della fascia lombare può avvenire attraverso diversi muscoli: grande
dorsale, ischio-crurali, obliqui, grande gluteo. Il grande gluteo e il grande dorsale controlaterale creano
una forza perpendicolare a livello della sacro-ilaca. La fascia toraco-lombare è il trasmettitore delle forze
tra: colonna, pelvi e arto inferiore. Questa continuità fasciale è confermata dai lavori di Gerlach e coll.,
sulla fascia della coscia. Questa prende legame in alto a livello del legamento inguinale, cresta iliaca,
sacro e coccige. Nella sua parte inferiore entra a far parte dei legamenti del ginocchio e si continua con la
fascia della gamba. È inoltre attaccata al perone attraverso il setto intermuscolare. Una lamina di tessuto
connettivo che proviene dalla fascia lata va a costituire il setto intermuscolare interno ed esterno, che fissa
la fascia lata e il tratto ileo-tibiale al femore, costituendo così una solida unità tra osso, fascia e tendine.

2) RUOLO DELLE CATENE


Il ruolo delle catene fasciali riguarda particolarmente tre punti importanti:
a. trasmissione
b. coordinazione – armornizzazione
c. ammortizzatore

a) Ruolo di trasmissione (fig 78)


Per schematizzare possiamo considerare le fasce come delle corde incaricate di trasmettere le forze
attraverso il corpo. Il motore di queste corde è il sistema muscolare, ma compreso in una unità funzionale
indissociabile muscolo-fascia. Queste corde per trasmettere la loro energia in modo efficace e coordinato

146
hanno bisogno di punti di appoggio, generalmente costituiti dalle articolazioni, (pulegge) carrucole di
riflessione delle corde.

b) Ruolo di coordinazione e armonizzazione


Perché un movimento sia efficace occorre che l’energia che lo determina sia ben canalizzata e che
l’azione dei diversi muscoli sia ben coordinata, affinchè le forze motrici possano agire efficacemente.
Questo avviene attraverso le fasce. Così quando si esegue un gesto complesso, come per esempio la
marcia, si mette in gioco tutto un importante meccanismo che riguarda il corpo in tutta la sua interezza.

147
La marcia implica in primo luogo la stazione eretta , dunque un riaggiustamento continuo della posizione
verticale in rapporto ad una base di appoggio, i piedi, che rappresentano una superficie d’appoggio
limitata. La stazione eretta deve avvenire con il minimo dispendio di energia. Ciò è realizzato in parte dal
gioco delle corde e delle carrucole fasciali.
Durante la marcia invece abbiamo la messa in gioco di tutta una serie di movimenti complessi che fanno
si che la propulsione avvenga nella direzione voluta. Ci sarà la messa in gioco di una o più catene fasciali
con il fine di compiere un gesto preciso ed efficace. Il semplice fatto di camminare si accompagna ad una
serie di movimenti compensatori, arti superiori, inclinazione del tronco……etc. È evidente che se non
esistesse un’armonizzazione tra tutti questi diversi movimenti implicati in una funzione così banale come
la marcia, questa rischierebbe di diventare complicata o impossibile. È sottointeso che una serie di sistemi
intervengono in questa armonizzazione: muscoli, sistema nervoso, centri dell’equilibrio, ma, nonostante
questi, la marcia sarebbe praticamente impossibile senza la fascia. Ogni gesto che compiamo è la somma
di più movimenti: flessione, estensione, rotazione, traslazione. Nella vita quotidiana non esistono
movimenti puri, ogni movimento è la combinazione di più parametri. L’architettura delle fibre fasciali con
la loro direzione verticale, obliqua e trasversale sembra essere perfettamente adatta ad armonizzare questa
combinazione di fattori affinchè il movimento divenga funzionale.

c) Ruolo di ammortizzazione
Le catene fasciali trasmettono i movimenti della vita quotidiana, ma intervengono anche durante sforzi
violenti o traumi. Nel caso di una forza violenta abbiamo la partecipazione di tutto il corpo nel suo
insieme, che ripartisce questa forza su una superficie più grande per non far raggiungere il punto di
rottura. Se i muscoli sono concepiti per fornire l’energia necessaria alla realizzazione dello sforzo, la
fascia coordina la ripartizione dello sforzo, dà ai muscoli un punto di appoggio solido e infine grazie alle
sue proprietà viscoelastiche ammortizza una parte di energia al fine di evitare di raggiungere il punto di
rottura.
In caso di un trauma, che spesso avviene in maniera inaspettata, il sistema muscolare non è in stato di
difesa e dunque non è pronto ad ammortizzare l’importante energia che penetra brutalmente nel corpo. È
dunque la fascia che in parte assorbe, ammortizza e cerca di canalizzare questa energia in diverse
direzione per attenuare l’effetto dannoso ed evitare una eventuale lesione degli organi. Quando questa
energia è troppo violenta o concentrata su una superficie ridotta possiamo assistere a delgli strappi o alla
scomposizione di organi.
Studi realizzati sui cambiamenti all’interno delle fascie a seguito di traumi mostrano che queste
presentano delle modificazione delle loro proprietà viscoelastiche, modifiche che possono insorgere
subito dopo il trauma e che dimostrano che la fascia ha preso su di se una grande parte di energia.

148
3) PRINCIPALI CATENE FASCIALI
Tenuto conto dell’onnipresenza delle fasce, possiamo dire che le catene fasciali sono presenti a tutti i
livelli. È certo che se si resta su un piano strettamente locale, è sempre possibile trovare una catena
fasciale poiché questa è la guida e la cinghia di trasmissione delle forze.
Tuttavia abbiamo visto che il corpo partecipa sempre nel suo insieme alle sue grandi funzioni. Questo
determina della catene più estese che legano il corpo da un punto all’altro. Tuttavia tramite lo studio
anatomico delle fasce, la direzione delle loro fibre, lo spessore e la concentrazione delle fibre collagene,
la funzione più specifica di certe parti del corpo rispetto alle altre, siamo portati a pensare che esistano
delle catene preferenziali che intervengono più frequentemente nella meccanica umana.
Andiamo adesso a descrivere qualche grande catena fasciale. La trasmissione delle sollecitazioni
all’interno di queste avviene dall’alto verso il basso o dal basso verso l’alto, ma anche da dentro a fuori e
da fuori a dentro. A livello dei punti di incrocio, queste catene possono passare sulla parte controlaterale.
Alcune catene, soprattutto a livello del tronco, lavorano principalmente in maniera obliqua, coordinando
un lato con l’altro. È evidente che le catene fasciali funzionano bene sia in senso ascendente che
discendente. Andiamo adesso a descrivere qualche catena esterna,
interna e meningea, ricordandoci sempre che queste restano
costantemente in relazione le une con le altre.
a) Le catene esterne
A partire dall’arto inferiore possiamo descrivere tre catene
fasciali: una esterna, una anteriore ed una posteriore.
La catena esterna (fig 79) parte dal piede e segue:
- la fascia esterna della gamba
- fa un legame a livello del ginocchio e della testa del perone
- segue la faccia antero-esterna della coscia tramite il tratto ileo-
tibiale e la fascia lata
- fa un legame a livello dell’anca e del bacino (a questo livello si
articola con una catena orizzontale collegata al perineo tramite
il piramidale e l’otturatore interno)
a partire dal bacino:
- sale anteriormente seguendo il retto addominale e la fascia
toracica, prende legame a livello della clavicola, arriva alla parte
laterale del cranio attraverso la fascia superficiale;

149
- sale posteriormente seguendo la fascia toraco lombare, arriva alla parte
posteriore del cingolo scapolare dove prende legame con la scapola, si
articola a questo livello con la catena obliqua del cingolo scapolare tramite
la fascia dei rotatori esterni della spalla, arriva infine alla parte posteriore
dell’occipite tramite la fascia del trapezio, splenio…
La catena anteriore (fig 80) parte dal piede e segue:
- la fascia antero-interna della gamba, si lega alla faccia interna del
ginocchio (a questo livello una parte delle forze possono essere
trasmesse alla parte antero-esterna della coscia attraverso fibre fasciali
oblique), segue la fascia degli adduttori, prende legame a livello del
pube e dell’arcata crurale e monta in seguito, come la catena
precedente, attraverso il retto addominale, potendo passare sul lato
controlaterale attraverso la fascia degli obliqui

A livello del bacino si articola con due catene interne:


- una rappresentata dalla fascia iliaca
- l’altra rappresentatadall’aponeurosi perineale
superficiale.

La catena posteriore (fig 81) parte dal piede e va:


- sulla fascia posteriore del polpaccio, prende legame a livello del ginocchio,
segue preferenzialmente la fascia del bicipite, prende legame a livello gluteo
sull’ischio, il sacro, il coccige, il grande ligamento sacro-sciatico ed infine
sulla cresta iliaca; in seguito monta posteriormente come la catena esterna
oppure può andare controlateralmente attraverso le fibre oblique della fascia
toraco-lombare
a livello gluteo si articola con altre catene:
- una a direzione orizzontale (la perineale tramite il coccige e dei legamenti
sacro sciatici)

150
- una a direzione verticale (la catena della dura madre attraverso il coccige
e le fibre che cambiano la parte terminale della dura madre con il grande
legamento sacro sciatico tramite il sacro e il coccige)

Per l’arto superiore descriviamo una catena interna ed una esterna:


La catena interna (fig 82) parte dalla mano:
- segue il bordo antero-interno dei muscoli epitrocleari, prende legame
con il gomito (a questo livello una parte delle forze può essere
trasmessa alla catena esterna da fibre oblique basse dell’aponeurosi del
bicipite), segue il setto intermuscolare interno, si prolunga attraverso la
fascia del coraco-brachiale, prende legame sull’acromion e la
clavicola, per terminare sulla parte antero-laterale del cranio tramite
l’aponeurosi cervicale superficiale e l’aponeurosi degli scaleni

La catena esterna (fig 82) rappresenta la catena più sollecitata a livello


dell’arto superiore e, come vedremo, è a questo livello che dovremmo
intervenire più frequentemente; parte dal polso e segue:
- sia il bordo antero-interno della fascia degli epicondili che il bordo
postero-interno della fascia degli epicondili, prende legame con la
faccia esterna del gomito, segue il setto intermuscolare esterno, a
livello della “V” deltoidea può seguire due direzioni:
---- un antero-interna (dalla parte interna della fascia deltoidea. A questo livello si articola
con la catena trasversa costituita dalle fasce dei pettorali e segue lo stesso tragitto della
catena interna)
---- una postero-esterna (con il bordo esterno della fascia deltoidea, si collega alla spina
della scapola e qui si articola con la catena obliqua posteriore rappresentata dalla fascia del
grande dorsale e dei rotatori esterni. Finalmente poi raggiunge l’occipite tramite lo stesso
tragitto della catena posteriore).

b) Le catene interne
Ne descriviamo principalmente tre: una periferica, una centrale ed una mista.

La catena periferica (fig 83)la facciamo partire dal perineo ricordandoci però che può
essere influenzata dalle catene esterne tramite le fasce perineali del piramidale e

151
dell’otturatore; poi si trasmette attraverso la fascia trasversale o il peritoneo, prende legame a livello del
diaframma, segue la fascia endotoracica, arriva a livello della cintura scapolare dove prende legame,
segue approssimativamente le catene esterne per poi arrivare alla base del cranio. Notiamo che le catene
periferiche possono seguire anche le pleure per arrivare alla spalla o a livello del diaframma di Bourgerey
e di lì rimontare sulla base del cranio come tutte le altre catene.

La catena centrale la facciamo iniziare dal diaframma, senza dimenticarci che sotto questo si trova tutto
un sistema fasciale di sostegno degli organi e che questo sistema fasciale addominale è in connessione
con il sistema fasciale pelvico.
A partire dal diaframma questa catena segue il pericardio, la fascia perifaringea, a livello dell’ “imbuto”
toracico presenta una connessione con le fasce cervicali profonda e media e dunque una parte delle
sollecitazioni potrà dirigersi verso i supporti ossei. prende in seguito legame con l’osso ioide, a questo
livello ugualmente l’aponeurosi cervicale superficiale potrà prendere in carico una parte delle
sollecitazioni, attraverso l’aponeurosi pterigo-temporo-mascellare e interpterigoidea arriva alla base del
cranio, di lì eventualmente si prolunga a livello della dura madre intracranica tramite dei prolungamenti
nervosi che la portano ad articolarsi con le fasce sopracitate.

La catena mista a partire dal perineo segue l’aponeurosi ombelico-prevescicale, si lega all’ombelico, a
questo livello può essere presa in carico dalla fascia trasversale, segue il
legamento rotondo del fegato e poi quello falciforme, si lega al diaframma, di
là segue la catena fasciale periferica o centrale precedentemente descritta.

c) La catena meningea (fig 84)


Il suo punto di partenza inferiore si situa a livello del coccige , ma abbiamo
visto che può essere influenzata dalle catene interne, dalle aponeurosi del
perineo, dalle catene esterne e attraverso i loro legami con il coccige, il sacro e
il pube. Sale poi nel condotto vertebrale dove ha numerosi punti di legame con
le vertebre, questo per un fine di sicurezza e di salvaguardia: anteriormente
contatta il legamento vertebrale comune posteriore, in tutta la lunghezza della
colonna, ma due legami sono particolarmente resistenti: il legamento coccigeo
nella sua parte inferiore, i suoi legami superiori a livello di C2-C3;
lateralmente la dura madre vertebrale invia bilateralmente delle espansioni
meningee che accompagnano il nervo fino al foro di coniugazione. A questo
livello prende dei solidi legami sul contorno osseo, costituendo dei punti fissi

152
bilaterali delle radici rachidee. Questo al fine di impedire uno stiramento verticale troppo importante delle
radici e del midollo. Penetra in seguito nella scatola cranica attraverso il foro occipitale attorno al quale
prende dei solidi legami. Nella parte endocraniale questa catena si espande in una sfera per attaccarsi su
tutta la circonferenza della scatola cranica. Le articolazioni sono più marcate sulla base del cranio. Emette
inoltre dei setti importanti destinati a migliorare la motricità e proteggere: la tenda del cervelletto (che
costituisce un rinforzo all’ancoraggio orizzontale) e la falce del cervelletto e del cervello(si appendono
all’apofisi cristagalli e costituiscono un rinforzo all’ancoraggio sagittale). Presenta delle articolazioni con
l’esocranio : sulla base tramite dei prolungamenti attorno ai nervi cranici e sulla volta tramite l’aponeurosi
epicraniale attraverso i canali transossei

4) GRANDI PUNTI DI AMMORTIZZAZIONE (fig 85)


Le catene fasciali trasmettono la mobilità attraverso tutto il corpo ma
sono anche la sede di sollecitazioni che possono perturbare il loro
meccanismo. Affinchè queste perturbazioni non si trasmettano lungo
tutta la catena, esistono dei punti di ammortizzamento. Questi sono
ripartiti lungo tutto il percorso, ma alcuni sono più importanti e più
sollecitati di altri perché posti in punti di convergenza; noi li
studieremo dal basso verso l’alto:
- Il cingolo pelvico
- il diaframma
- il cingolo scapolare
- l’osso ioide
- la cerniera occipito-cervicale
La cintura pelvica è il punto di unione tra gli arti inferiori e il tronco,
da una parte, e il perineo dall’altra parte. Rappresenta un punto di convergenza di forze, che deve
permanentemente adattare, controllare e dirigere, grazie alla sua mobilità e alla sua architettura. È a
questo livello che le forze discendenti, ascendenti o a direzione trasversale, attraverso la catena interna
saranno ammortizzate e ripartite, soprattutto quando raggiungono un’intensità critica.

Il diaframma oltre al ruolo di muscolo respiratorio principale, adempie ad altre funzioni intervenendo sia
a livello meccanico che fisiologico: separa in maniera ermetica la cavità toracica e quella addominale,
facendo da passaggio tra una zona a pressione negativa e una zona in cui la pressione è sempre più grande
andando in senso caudale; è la sede di una doppia attrazione: cefalica (attraverso la fascia toracica,
periferica e centrale) e caudale (attraverso le fasce addominali e il peso degli organi a lui appesi).

153
Malgrado questa dualità contraddittoria deve restare sempre agile e funzionale ed in questo è aiutato dalla
differenza di pressione; tutto ciò per adempiere perfettamente alle sue funzioni:
- respiratoria
- di mobilizzazione emodinamica
- di sospensione della massa addominale
- di motore viscerale, che grazie al suo movimento di pistone permanente realizza una dinamizzazione
costante degli organi, influenzando fortemente le loro funzioni fisiologiche.
La sua costruzione anatomica ci interroga sul suo funzionamento meccanico. È composto da una parte
periferica muscolare, che costituisce il motore diaframmatico e che si appoggia sulla circonferenza
interna della cavità toracica. Tuttavia questa parte costale per essere perfettamente funzionale non deve
essere fissa e per questo il diaframma deve servirsi di altri punti di appoggio, questo ruolo è devoluto alla
parte centrale del diaframma, unicamente aponeurotico: il centro frenico (fig 86).
Questo è sospeso ad una forte lamina fasciale, il
pericardio, che crea un punto fisso dove il
diaframma può appoggiarsi per aprirsi durante
l’inspirazione. Il suo appoggio alla massa
addominale è relativo nella normalità poichè
questo non ha punti di appoggio e ha la tendenza
ad essere spinto in basso e in avanti. È per
questo motivo che il perineo lavora in sinergia e
in armonia con il diaframma. Durante sforzi
maggiori il diaframma si appoggia alla massa
addominale, resa rigida dalla contrazione
addominale, o addominale e pelvica insieme. Esistono numerosi studi per determinare la meccanica
diaframmatica. Paiva e coll., hanno dimostrato, tramite test effettuati in decubito, che:
1) il contatto diaframma polmone è uniforme e rappresenta una superficie più o meno uguale chiunque sia
il soggetto e qualunque sia la differenza di peso;
2) esiste un gradiente di pressione uniforme che si esercita sul diaframma, anche a riposo, malgrado la
differenza tra gli organi di destra e di sinistra.
Le pressioni misurate nel diaframma danno dei valori di 9,7 cm di acqua a destra e 9,2 a sinistra. Il
diaframma non ha una forma sferica, il suo raggio di curvatura decresce quando decresce l’altezza.
Quando si contrae e il volume del polmone aumenta il raggio diminuisce con l’altezza e diventa più
sferico. Quando il volume del polmone aumenta, il diaframma può migliorare la conversione della
tensione in pressione.

154
Verschankelen e coll., hanno dimostrato che i valori di spostamento del diaframma durante una
inspirazione aumentano dal davanti all’indietro con 100% in dietro, 90% nel mezzo e 60% in avanti. Il
movimento del diaframma è accoppiato a quello delle coste e degli addominali. La relazione è migliore
nella sua parte mediana e posteriore; la parte posteriore è accoppiata soprattutto con lo spostamento degli
addominali. Durante una inspirazione normale il diaframma si accorcia, più posteriormente che
anteriormente. Dopo frenicotomia la parte
posteriore si allunga durante l’inspirazione
mentre la parte posteriore si allunga in certi
animali e si accorcia in altri (Decramer e
coll.). fermiamoci un attimo sulla
innervazione dl diaframma, che sicuramente
rappresenta una spiegazione dei fenomeni
lesionali della regione cervico-scapolare (fig
87).
Inizialmente situata nel miotoma cervicale, il
setto trasverso, futuro diaframma, migra
progressivamente verso il basso durante lo
sviluppo dell’embrione, per prendere la sua posizione definitiva. Innervato inizialmente dal nervo frenico,
se lo porta dietro durante la sua discesa. Durante la sua migrazione il nervo frenico non si accontenta di
seguire il diaframma, ma distribuisce numerosi collaterali nel su passaggio e innerva così anche: il timo, il
pericardio, la pleura parietale, la vena cava superiore ed inferiore, la capsula di Glisson, i gangli
semilunari (dove invia un filetto nervoso). Se noi aggiungiamo le sue anastomosi con: il nervo del sotto-
claveare, il XII e il X nervo cranico e il simpatico cervicale, comprendiamo la sua importanza e il perché
il cingolo scapolare sia la sede di patologie spesso incomprensibili. La via neuronale costituita dal frenico
è una spiegazione a questi dubbi. Per concludere, notiamo che il diaframma rappresenta un punto
importante di ammortizzazione intratoracico, per le sollecitazioni meccaniche trasmesse dalla fascia, ma
anche per le variazioni di pressione.

Il cingolo scapolare
Il cingolo scapolare è il punto di convergenza e dove prendono legame tutte le fasce interne o esterne.
Questo spiega le numerose sollecitazioni di cui è la sede e in caso di disfunzione fasciale, gli sforzi che
può subire. Questa regione deve permanentemente controllare e aggiustare le sollecitazioni che vengono
dal basso, generate da zone che noi qualifichiamo ‘di rigidità’; o da quelle zone che vengono dall’alto
generate da una regione ipermobile. Il ciclo scapolare deve costantemente giocare un ruolo di bilancia per

155
armonizzare tutte le forze che gli passano attraverso e proteggere le zone vitali che gli giacciono sopra e
sotto. Maggiormente si viene a inserire su di lui un segmento ipermobile, l’arto superiore, che costituisce
la zona più costantemente sollecitata meccanicamente. È inoltre il punto di convergenza delle
sollecitazioni verticali, oblique e trasversali. Per queste diverse ragioni questa regione ha un’architettura
molto particolare, orientata verso l’ipermobilità dove eccetto la sterno-claveale, i punti di ancoraggio sono
realizzati esclusivamente dai tessuti molli. Questa convergenza di forze discendenti o ascendenti, interne
o esterne, ci dà una spiegazione meccanica della frequenza di lesioni della cerniera cervico-scapolare.

L’osso ioide
La catena fasciale centrale pericardio-aponeurosi-faringea possiede dei punti di legame periferici, i
legamenti pericardici, connessioni con le aponeurosi cervicali media e profonda, ma questi non sono così
importanti come quelli del cingolo scapolare. Così durante delle sollecitazioni importanti le tensioni
potrebbero trasmettersi in maniera brutale alla base del cranio e proseguire intracranialmente. Per evitare
il generarsi di questa situazione si è interposto nella parte superiore di questa catena fasciale l’osso ioide.
Interamente sospeso a dei cavi muscolo-fasciali, l’ioide fluttua in tutti i piani dello spazio, controllato e
sostenuto da dei legami che lo collegano alla mandibola, alla mastoide, all’apofisi stiloidea, alla scapola e
alla cartilagine tiroidea. La catena fasciale centrale prende dunque legame, alla fine dell’aponeurosi
perifaringea, sull’ioide, poi si prolunga verso l’alto attraverso l’aponeurosi interpterigoidea e pterigo-
temporo-mascellare. L’osso ioide, oltre al suo ruolo nella voce e nel canto come fissatore della cartilagine
tiroidea, serve anche ad ammortizzare e ripartire le sollecitazioni della catena centrale sia antero-
lateralmente per l’aponeurosi cervicale superficiale, sia posteriormente verso il temporale attraverso il
digastrico e la ‘fontana (bouquet) di Riolan’.

La cerniera cervico-occipitale
La scatola cranica posta su un supporto occipitale, costituisce un punto di convergenza tra le catene
cervico-craniali discendenti e le catene sottogiacenti. Questo punto di convergenza interessa anche le
catene endocraniale e la dura madre vertebrale, che si legano a questo livello. Questa cerniera rappresenta
di conseguenza una zona di ipersollecitazione e questo spiega i numerosi muscoli, lunghi o corti, che la
controllano, al fine di poterla adattare costantemente a tutte le variazioni di tensione possibili, per
proteggere al massimo ‘l’computer’ centrale e i suoi prolungamenti di conduzione dell’informazione.
Tutte le fasce si inseriscono sulla sua circonferenza. Rappresenta il primo ammortizzatore discendente e
l’ultimo ascendente, prima che la tensione penetri all’interno della scatola cranica, dove fortunatamente
un gioco di membrane può ancora prendere in carica un’energia di intensità sopraliminale. Ricordiamoci
che a livello del cranio e del midollo un sistema liquido rinforza efficacemente il sistema membranoso.

156
Queste ipersollecitazioni della cerniera cervico-occipitale spiega il perché questa sia la sede di frequenti
restrizioni di mobilità.

E) LE CATENE LESIONALI
Rappresentano il tragitto che può seguire una tensione di membrana per propagarsi a distanza. Si può
descrivere un numero infinito di catene lesionali, ma la pratica e la meccanica umana ci mostrano che la
trasmissione della sollecitazioni e delle distorsioni avviene seguendo assi privilegiati che sono
rappresentati in modo generale attraverso le catene studiate nel capitolo precedente. Queste catene
lesionali sono dunque delle distorsioni, delle catene fasciali che si trovano perturbate nel loro
funzionamento fisiologico. Invece di trasmettere e ripartire armoniosamente il movimento, loro si
trasformano, in questo caso in punti fissatori, sorgenti di irritazione e di perturbazione della mobilità.
All’origine una catena lesionale può sopravvenire in seguito a una molteplicità di fattori: traumi
(distorsioni, caduta su coccige, ma anche traumi diretti su tessuti molli), cicatrici, infezioni,
infiammazioni, stress. Questi fattori creano un punto di disfunzione fasciale che, se non rimosso, genera
una modificazione della qualità dei tessuti e che, nel tempo, può prolungarsi lungo una catena fasciale per
creare, più o meno a lungo termine, una disfunzione talvolta molto a distanza.
Una catena lesionale può iniziare in qualsiasi punto di una catena fasciale, il suo percorso può essere
quindi lungo o corto, partire per esempio dai piedi ed arrivare alla cerniera cervico-occipitale o al cranio.
Non tutti i traumi generano direttamente la messa in moto di una catena lesionale. Talvolta questa
apparirà subito dopo il trauma, talvolta settimane o mesi dopo e talvolta infine anche anni dopo. Tutto ciò
dipende da numerosi fattori: intensità della forza di partenza, età del soggetto al momento del trauma,
possibilità di adattamento-compensazione del soggetto. È evidente che più un soggetto sarà giovane più il
suo corpo potrà difendersi dalle aggressioni. Un corpo in buona salute e funzionale farà di tutto per
attenuare gli effetti di una lesione cercando di ripartire gli eccessi di energia in diverse direzioni. Con
l’aumento dell’età o l’insieme di più traumi il corpo avrà più difficoltà a difendersi; le possibilità di
adattamento-compensazione si riducono, la sommazione diventa troppo imponente, il sistema trabocca e
le catene lesionali progrediscono con conseguenze nefaste. Ricordiamoci che i tessuti hanno in memoria i
traumi subiti e questi, qualunque sia la loro origine, si accumulano e un giorno o l’altro saranno restituiti
dal corpo. La sommazione traumatica temporale è lontana dall’essere una regola assoluta, alcuni soggetti
sviluppano una disfunzione molto rapidamente, altri dopo anni, altri molto tardi o mai e questo dipende
dalla “vitalità” dell’individuo, dal suo “capitale” di partenza per affrontare le sollecitazioni della vita.
Un fattore importante per limitare la diffusione di un trauma consiste nelle zone di ammortizzamento.
Queste sono numerose e ripartite in tutto il corpo: tessuti grassi, sistema liquido, concezione
architetturale, articolazioni. Via via che un sistema sarà saturo, le sollecitazioni si trasmetteranno al

157
successivo; saranno in seguito frenate dai grandi punti di ammortizzamento che abbiamo visto più
indietro; una volta esauriti anche questi, le solecitazioni finalmente raggiungeranno il loro bersaglio
provocando molto spesso conseguenze nefaste. È evidente che, se durante il suo percorso, una catena
lesionale incontra un punto di debolezza (articolare, tessutale, viscerale) preesistente, questa contribuirà
ad accelerare il fenomeno degenerativo a questo livello.
Una catena fasciale lesionata può arrivare o partire da qualsiasi distretto corporeo, seguire un percorso
ascendente o discendente, in funzione del distretto di partenza, dei fattori di sollecitazione che essa
subisce, dal sistema di compensazione e di adattamento del soggetto. Avremo dunque catene lesionali
ascendenti e discendenti.

1) Catene lesionali discendenti


In linea generale e in ordine di importanza le incontriamo soprattutto a livello craniale, cervicale, del
cingolo scapolare, del bacino, degli arti inferiori, del torace, dell’addome e del diaframma. Andiamo
adesso a descriverne alcune incontrate frequentemente ricordandoci che il loro percorso ricalca la
maggior paret delle volte le catene fasciali.
A partire da un punto di fissazione dell’aponeurosi epicraniale possiamo assistere alla messa in moto di
una lesione discendente condotta attraverso dell’aponeurosi cervicale superficiale fino al cingolo
scapolare, da dove potrà seguire o l’arto superiore o il torace superiore. Se il punto di partenza è alla base
del cranio, in senso largo, o intracranica, la lesione potrà essere condotta attraverso l'aponeurosi cervicale
profonda, l'aponeurosi degli scaleni e arriverà infine allo stesso percorso della precedente. Se abbiamo un
punto di fissazione mediastinico o toracico la perturbazione può trasmettersi eventualmente alle fasce
addominali (Toldt, Treitz) con possibilità di prolungarsi fino al piccolo bacino. Infine se il punto di
fissazione è a livello dello psoas, del perineo o dei muscoli corti dell'anca, la catena lesionale avrà la
possibilità di prolungarsi verso il basso con l'apparizione di una patologia del ginocchio o della caviglia.
In riferimento alle catene fasciali descritte, bisogna notare che le catene lesionali discendenti sono più
corte nel loro percorso, è raro in effetti, vederle iniziare dalla testa e finire ai piedi, sebbene questa
eventualità esiste realmente.
2) Catene lesionali ascendenti
Queste sono più frequenti di quelle discendenti certamente a causa dell'appoggio al suolo,
dell'aggiustamento costante necessario alla stabilità e alla lotta permanente contro il peso, così come per
la sospensione degli organi, la cui sollecitazione naturale è una trazione verso il basso.
Contrariamente alle catene lesionali discendenti, quelle ascendenti possono svilupparsi su un lungo
tragitto. Ne descriveremo alcune fra le più frequenti.

158
- - A partire dal piede la catena lesionale più comune si sviluppa lungo la catena esterna. In seguito ad
una distorsione la trazione della fascia esterna può giocare sulla testa del perone o sulla parte esterna del
ginocchio e creare un dolore funzionale a questo livello, se la lesione continua a salire genererà una
perturbazione al livello dell'anca (con possibilità di penetrare nel piccolo bacino attraverso la fascia del
piramidale e dell'otturatore interno) e poi della sacro-iliaca. Da là seguirà il percorso dell'aponeurosi
toraco-lombare o del grande dorsale per arrivare alla spalla e finalmente, se non sarà interrotta, alle
cervicali e al cranio. Ben inteso che, come abbiamo segnalato il suo punto di partenza può essere al
ginocchio, al bacino o altrove.
- - Una caduta sul coccige può essere all'origine di una catena lesionale duramadrica potendo a poco a
poco arrivare alle membrane intracraniali.
- - Un problema al livello del perineo può trasmettersi sia ai visceri addominali sia alla fascia trasversale,
prendere legame sul diaframma e da lì, attraverso il sistema pleurale o la fascia endotoracica, proseguire
fino al cingolo scapolare per terminare al livello cervicale o al cranio.
- - Daremo l'esempio di una catena lesionale incontrata più volte e che a prima vista sembra più teorica
che reale; il suo punto di partenza può essere la vescica o la fascia ombelico-prevescicale, si prosegue poi
attraverso il legamento rotondo, il legamento falciforme, che la trasmette al diaframma dove prosegue
attraverso il pericardio e la aponeurosi perifaringea, dove si manifesterà con una disfunzione al livello
della gola. Abbiamo in memoria un recente caso di una paziente che ci consultava per una irritazione alla
gola e dolore alla deglutizione. Questa persona aveva subito una celioscopia, presentava una cicatrice al
livello dell'uraco che generava un disturbo al livello della gola a causa di un aumento di tensione. La
cicatrice era il punto di partenza di una catena lesionale ascendente, avendo per espressione clinica un
dolore alla gola che è scomparso in seguito alla normalizzazione del punto di fissazione situato sull'uraco.
Possiamo moltiplicare gli esempi sebbene non ci sembri utile, ciò che è utile è ricordare è la realtà delle
catene fasciali, la loro possibilità lesionale e, di conseguenza la necessità di un indagine, spesso molto
lontana, per la comprensione di un fenomeno patologico.

CAPITOLO 7° TEST SULLE FASCE


Obiettivi Del Test
Sistema recettore sensibile, la fascia nella vita quotidiana è la sede di numerose distorsioni, la cui origine
può essere:
- traumatica
- ostetriche
- postura scorretta
- chirurgica (cicatrici, aderenze)

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- infiammatoria
- accidentale
- tensioni, attitudini sbagliate (specialmente professionali)
- falsi movimenti
- stress.

Tali aggressioni comportano una modificazione biochimica all'interno del tessuto connettivo,
traducendosi in una modificazione delle proprietà visco-elastiche, loro stesse all'origine delle mutazioni
della struttura: addensamento e orientamento delle fibre del collageno, seguendo le linee di forza; perdita
di elasticità tessutale. Tutti questi disturbi della fascia saranno all'origine di cambiamenti palpabili,
quantificabili e talvolta visibili.
Lo scopo del test fasciale è quello di rilevare, grazie all'enorme sensibilità della nostra mano i diversi
problemi che si presentano nel tessuto, per poter trovare, in un secondo tempo, una risposta terapeutica
efficace.

MODALITA' DEI TEST


La ricerca delle lesioni delle fasce si esegue manualmente. E' possibile affermare che il test è una tecnica
di fascia contro fascia: l'una rivela le proprie distorsioni, l'altra sta in ascolto per registrarle e
comprenderle.
Si è parlato di una "memoria delle fasce", che consiste in una registrazione all'interno del tessuto
connettivo dell'impronta di diversi traumatismi, in senso ampio, subiti da un individuo. Il nostro scopo è
quello di rilevare questa impronta e possibilmente eliminarla o attenuarla.
La fascia, come si è visto, è dotata di un meccanismo di contrazione generato dal sistema d'innervazione,
piuttosto che dalla fase embriologica. Questo meccanismo induce un micromovimento perpetuo, di cui è
stata registrata la frequenza tra 8 e 14 fasi al minuto.
Le fasce, però, hanno anche la funzione di corde e carrucole che trasmettono la motricità.
Da queste constatazioni si possono descrivere due modalità di test:
- test di ascolto
- test di mobilità
Questi due test non sono opposti. L'ascolto è, in effetti, un test di mobilità nella sua espressione più fine,
manifestata da un micromovimento non indotto, e non visibile, ma sentito. Il test di mobilità, come indica
il nome, implica uno spostamento indotto assai più importante, visibile con la messa in tensione.

TEST DI ASCOLTO

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Consiste nel porre la mano su una qualunque zona del corpo per registrare le mutazioni soggiacenti
eventuali. La mano deve rimanere del tutto passiva, per poter valutare i movimenti in scala di
micron.Alcune misurazioni effettuate al livello della sensibilità della mano hanno dimostrato che essa può
rilevare movimenti dell'ordine di 10 micron, e che la differenza tra i valori rilevati in modo manuale e per
mezzo apparecchi sofisticati risulta essere appena del 5%.

A- PROTOCOLLO DEL TEST


Per essere efficace un test di ascolto richiede precauzioni elementari, senza le quali risulta del tutto
inutile. E' evidente che un test d'ascolto non si esegue in modo spontaneo, ma necessita di addestramento
per perfezionarsi, e della disponibilità da parte del terapeuta di ammettere che una mano può avvertire
movimenti infimi.
Il corretto svolgimento dipenderà da:
- contatto manuale
- trovarsi in sintonia col paziente
- neutralità del terapeuta

1) Il contatto manuale
Dovendo testare movimenti nell'ordine di qualche micron, è chiaro che il minimo "granello di sabbia"
può falsare il test.
- In primo luogo, si deve evitare che le mani siano fredde per non scatenare un riflesso di difesa.
- La mano deve essere appoggiata ben piatta sulla zona da esaminare cercando di stabilire un contatto
più ampio possibile con il tessuto del soggetto, per due motivi fondamentali:
1. più la superficie del contatto è ampia, più grande è il numero di ricettori dai quali si ricevono
informazioni.
2. più la mano è piatta, più facilmente ci arriveranno informazioni precise dalle fasce del paziente.
- E' necessario evitare il contatto con l'estremità delle dita; i tessuti sono dotati di sensibilità estrema e se
la palpazione è aggressiva non si ottiene da parte loro alcuna risposta, poiché si provoca una reazione
tramite uno spasmo riflesso, che si può innescare con facilità.
- Anche la pressione deve essere moderata, se è troppo forte può superare il livello di ascolto voluto
impedendo di percepire il movimento; verrebbero, infatti, stimolati soprattutto i recettori della pressione.
- La mano deve posare in modo naturale sul tessuto, alleggerita solo dal suo peso, ma deve anche ottenere
un'aderenza ferma creando un effetto a ventosa. La mano "s'incolla" al tessuto per seguirlo più facilmente
nella sua motilità.

161
2) Trovarsi in sintonia col soggetto.
Il test di ascolto è in assoluto il più raffinato come possibilità di palpazione. I tessuti hanno memoria del
passato, e il nostro scopo è leggere la storia di cui essi sono impregnati.
Si stabilisce un dialogo passivo; il paziente non ha padronanza delle informazioni che riceviamo dalle
fasce, perché ci sono trasmesse a livello incosciente. Se non si riesce ad ottenere un giusto contatto, non
si ricevono risposte. Conosciamo il soggetto attraverso i suoi tessuti, agendo con gran rispetto come se
dovessimo chiedere il permesso per dialogare con essi.

3- Neutralità del terapeuta.


La lettura dei tessuti deve avvenire in stretta imparzialità per essere efficace.
Il terapeuta si deve apprestare al compito senza alcun tipo di preconcetto ed essere totalmente passivo e
dedito all'ascolto. Deve rispettare il ritmo del paziente, senza imporre il proprio ritmo, altrimenti si
ottiene una non risposta o una risposta falsata. Ciò non è così scontato, per mancanza d'abitudine, o
perché la motilità tarda a manifestarsi e il terapeuta ha la tendenza a proiettare il proprio ritmo sui tessuti
del paziente, rilevando così solo il proprio movimento.
L'attenzione dev'essere posta esclusivamente su quello che accade a livello del contatto, lasciandosi
guidare dai tessuti soggiacenti. Ciò richiede una disponibilità e una concentrazione massima, per ottenere
una risposta rapida.
Al momento in cui tutti i parametri sono rispettati il test inizia veramente. Solo quando i tessuti
accetteranno di dialogare con il terapeuta, riveleranno le loro distorsioni, il dolore: la storia.
Riuscendo a rimanere totalmente in ascolto del paziente, è stupefacente la rapidità con cui i suoi tessuti si
mettono a "dialogare". Più rapidamente s'instaura uno stato di confidenza, più repentina sarà la risposta.
Si avrà l'impressione di movimenti molto ampi, come se il fatto d'essere in sintonia costituisse un
amplificatore del micromovimenti ricercati.
Un solo momento di distrazione, un gesto troppo brusco o una negligenza del terapeuta saranno
sufficienti ad interrompere il dialogo. Non è necessario un tempo troppo lungo per testare la motilità; può
accadere che si rimanga delle ore in contatto col tessuto senza trarne la minima informazione.

B- I TEST D'ASCOLTO
Lo scopo di questi test è d'indagare sulle anomalie dei tessuti molli.
Un'anomalia si definisce solo in rapporto alla normalità, per questo è essenziale definire il concetto di
normalità

1) La normalità

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Include diversi parametri che la mano deve registrare spontaneamente:
- La temperatura dei tessuti. Sebbene la pelle possa presentare delle differenze di temperatura seguendo
le zone considerate, deve essere inscritta in una range di normalità, al bisogno paragonata con la
propria temperatura o con quella di un'altra zona.
Frequentemente si constata un'elevazione della temperatura sopra i valori soglia, che traduce una reazione
soggiacente. Può succedere anche che si verifichi una temperatura sotto-liminare, tale caso è riscontrato
soprattutto nei piedi e nelle mani.
- la trama dei tessuti. Questi devono essere elastici, duttili al tatto, facili da deprimere, di un'elasticità
normale, e nemmeno troppo tesi né troppo flosci. L'elasticità varia in funzione delle fasce esaminate.
- il movimento dei tessuti: sebbene certi abbiano una direzione preferenziale, come vedremo più avanti,
nell'insieme si può attestare la normalità quando il movimento è armonioso in tutte le direzioni dello
spazio. Al momento in cui si pone la mano su questo, si deve avere l'impressione di una fluttuazione
su tutti i piani, come se ponessimo la mano su un corpo molle che ondeggia sull'acqua. Non dev'essere
privilegiata nessuna direzione, e se si nota un micro spostamento attivo, i tessuti soggiacenti devono
seguire senza restrizioni.
- il ritmo dei tessuti. Si è detto che i tessuti sono sede di movimenti ritmici, la cui periodicità si
distribuisce su una scala da 8 a 14 cicli al minuto. I valori che stanno al di sotto o sopra a questo ritmo
possono essere ritenuti come anomalie, nella maggior parte dei casi. Si consideri però che alcuni
soggetti hanno valori leggermente fuori da tali soglie, senza necessariamente essere anomali.

E' necessario sapere anche che il ritmo può variare seguendo lo stato attuale del paziente e che se può
essere facilmente riscontrato in alcune zone, parte anteriore dei membri inferiori, torace, cranio, in altre
zone è molto difficile se non impossibile evidenziarlo (parte posteriore, coscia, natiche, zona dorsale,
addome).
Una parentesi merita l'addome; è tanto difficile sentire il ritmo della fascia superficiale, quanto è
relativamente facile diagnosticare attraverso questo le diverse fasce intra-addominali.
L'anatomia umana ci riserva qualche contraddizione incomprensibile, che non è meno reale.

3) L'ascolto in piedi.
Spesso il test è preceduto da un ascolto in piedi.
Il soggetto tiene le gambe leggermente divaricate, sguardo orizzontale, occhi chiusi. Il terapeuta si
posiziona dietro al paziente, pone delicatamente la sua mano piatta sulla testa del soggetto, senza indurre
compressione.

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Frequentemente si verifica un movimento del corpo in una flessione anteriore, antero-laterale o
posteriore. Il fatto di aver posizionato un punto fisso sulla testa crea un abbinamento tra il suolo e la
testa, e le fasce comprese tra i due punti si mettono in movimento, qualora comportino un punto di
fissazione. Per questo si verificano delle inclinazioni del tutto involontarie, essendo il punto di fissazione
un fattore di focalizzazione delle tensioni che generano una flessione del corpo verso quella zona.
Ciò permette di asserire l'esistenza di un problema nel quadrante in cui si colloca, benché non si possa
trarre solo attraverso questo test una diagnosi formale.
In questo modo s'illustra perfettamente la dinamica delle fasce nella meccanica generale del corpo. Nelle
persone depresse le fasce sono generalmente implicate. Bisogna vigilare su questi pazienti perché cadono
facilmente all'indietro, ed è necessario esser pronti al sorreggerli.

4) L'ascolto degli arti inferiori.


Per quel che riguarda il test di ascolto generale, la modalità consiste nel porre una mano su una regione
del corpo allo scopo di rilevare un'anomalia sottostante.
Si possono anche porre due mani ad una certa distanza, sentendo se la motilità si stabilisce tra i due punti
di contatto in modo normale o perturbato.
La finalità è quella di mettere le mani su una zona qualunque del corpo e trarne informazioni su
qualunque restrizione a distanza; ciò si raggiunge con una lunga esperienza ed una sensibilità affinata.
Ciò non è per niente semplice, ma alcune persone ci riescono bene, benché rare.
Per tornare ai membri inferiori, i protocolli dei test saranno descritti con le varianti: il soggetto è disteso
supino e perfettamente rilassato. Le mani si pongono piatte sulla superficie dorsale dei piedi, notando
l'armonia dei movimenti o eventualmente un'attrazione preferenziale verso una determinata zona, che in
tal caso costituisce un asse lesionale: il cambiamento della struttura dei tessuti connettivi dovuto a un
qualunque trauma crea un vettore preferenziale di movimento non fisiologico. E' sufficiente seguire
passo passo la direzione della tensione per arrivare esattamente al punto o alla zona iniziale. Per aver
conferma di cià che sentiamo passivamente è sufficiente creare un microspostamento della mano, più
intenzionale che reale. Se ci si muove nel senso della restrizione ciò avverrà facilmente. Se si vuole
andare in senso inverso si avvertirà una tensione che impedisce di allontanare la mano. Le modalità e i
principi dei test di motilità saranno gli stessi a livello di qualsiasi area del corpo; quindi non sarà
necessario descriverli ulteriormente. Ogni test d'ascolto è eseguito in posizione di decubito, partendo dal
piede e muovendosi verso il bacino.
a) Ascolto dell’articolazione del ginocchio e della caviglia

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Caviglia: una mano posta sulla faccia dorsale del piede, l’altra sul bordo inferiore della tibia. Nella
normalità noi dovremmo sentire un movimento armonioso in tutti i piani dello spazio, come se
mobilizzassimo una rotula.
Ginocchio: una mano a livello della
tuberosità tibiale (fig 88) l’altra nella
parte inferiore del femore, escludendo la
rotula. Nella normalità dovremmo sentire
un movimento che si armonizzi in tutti i
piani dello spazio come se
mobilizzassimo una rotula.
b)

Ascolto coscia-gamba (fig 89)


Una mano appoggiata al centro della coscia, l’altra
mano sulla faccia antero-esterna della tibia. La
mano cefalica registrerà un movimento di rotazione
esterna ed interna, con predominanza di
quest’ultima, la mano caudale registrerà un
movimento con predominanza di rotazione esterna
Abbiamo visto che le fasce dell’arto inferiore sono
composte da fibre di diverse direzioni; nel
meccanismo congiunto coscia-gamba sono le fibre a obliquità interna che
predominano a livello della coscia e a obliquità esterna a livello della gamba.

c) Ascolto globale degli arti inferiori (fig 90)


Il terapeuta si situa lateralmente al soggetto guardandolo in direzione
cefalica. Appoggiare una mano ben piatta sulla faccia antero-laterale della
parte inferiore della coscia. Registreremo un movimento generale dell’arto
inferiore a predominanza di rotazione esterna; in effetti le fasce nel loro
insieme sono molto più spesse e resistenti nella loro parte antero-esterna.
L’ascolto può avvenire in maniera bilaterale.

4) Ascolto degli arti superiori

165
Come abbiamo già segnalato l’ascolto dei tessuti dell’arto superiore si rivela nettamente più delicato
rispetto a quello degli arti inferiori, se non, in alcuni casi, addirittura impossibile. Ciò deriva dalla
particolarità di questo segmento corporeo che sembra impiantato in derivazione sul resto del corpo. Se noi
poniamo la nostra mano sulla faccia dorsale della mano del soggetto, nella normalità l’indicazione di
motilità è ben minore che nell’arto inferiore, e ciò avviene anche nell’ascolto segmentario.

a) ascolto braccio- avanti-braccio (fig


91)
porre una mano sulla faccia antero-esterna
del braccio al di sotto della V deltoidea,
l’altra mano al di sotto della piega del
gomito, sui muscoli epicondiloidei.
La mano cefalica registrerà un
movimento a dominanza di
rotazione esterna, la mano caudale
registrerà un movimento a
dominanza di rotazione interna

b) ascolto globale
dell’arto superiore
(fig 92)
Il terapeuta si posizione lateralmente al paziente guardando
caudalmente, la mano sarà posta nella parte inferiore
dell’omero, a livello dell’articolazione del gomito.
La predominanza di movimento si manifesterà in favore della
rotazione interna; l’ascolto potrà farsi bilateralmente.

166
Ciò è dovuto forse alla potenza dei muscoli pettorali e alle loro fasce che sollecitano l’arto superiore in
rotazione interna? Possiamo del resto segnalare l’attitudine naturale del segmento superiore a posizionarsi
in rotazione interna. Sembra che l’arto superiore, nella sua motilità, funzioni in senso inverso a quello
inferiore; forse per un fine di equilibrio generale al fine di creare un bilanciamento funzionale?

5) Ascolto dell’addome
Non descriveremo sistematicamente l’ascolto a livello dell’addome, che è già stato fatto in altre opere, ma
insisteremo sulle difficoltà che si presentano a questo livello. Le difficoltà sono legate al numero di
strutture che si interpongono sotto le nostre mani: peritoneo, fasce, legamenti, mesi, organi. Difficoltà
collegata anche alla profondità del campo di esplorazione e dal fatto che ci sono più strati tra una fascia
superficiale e una renale. Il principio generale per quanto riguarda l’addome è di porre le mani a piatto
attorno all’ombelico e registrare eventuali tensioni. Per rendere più fine la diagnosi bisognerà spostare le
mani verso la tensione sentita, per determinarne più esattamente il punto di origine. Nella normalità la
motilità dell’addome è quella generale dei tessuti e ciò vuol dire che la mano fluttua al di sopra della
cavità addominale con una libertà in tutti i piani dello spazio.

6) Ascolto del torace


Ci indirizzeremo in una regione dove la motilità dei tessuti è molto marcata. La difficoltà consisterà nel
realizzare un test discriminante tra la profondità e la superficie, dove si collocano due importanti fasce: il
pericardio e le pleure, oltre che, nella parte inferiore del torace, il diaframma.
Il soggetto sarà posto in decubito supino e il terapeuta si posiziona
dietro la sua testa.

a) parte inferiore del torace (fig 93)


la mani aperte saranno poste sulla parte
laterale del torace, le dita seguiranno
posteriormente la direzione delle coste,
i pollici saranno orientati medialmente.
Dobbiamo testare il torace nella sua
globalità e poi, per via comarativa, un
emitorace in rapporto all’altro. Nella
normalità questo fusto elastico sembra

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muoversi in tutti i piani senza restrizioni. Una variante di questa tecnica consiste nel mettersi lateralmente
al soggetto, facendoglielo di fronte.

b) parte superiore del torace (fig 94)


In questa regione la difficoltà si accresce, tenuto conto che in più alle aponeurosi superficiali si
aggiungono il pericardio, la cupola pleurica e le fasce che prendono legame a livello del cingolo
scapolare.

b1) test bimanuale


Le due mani largamente aperte saranno poste sulla parte laterale del torace, il palmo delle mani sarà
appena sotto le clavicole, le dita largamente aperte copriranno i pettorali e i pollici saranno in direzione
mediale. Nella normalità un movimento armonioso si sentirà sotto le nostre mani; in caso di tensione
questa può essere:
1. a direzione mediale per un problema che concerne la fascia superficiale che ricopre direttamente
lo sterno
2. a direzione medale ma si avrà una sensazione di sprofondamento della mano se il problema si
colloca livello del pericardio
3. a direzione verticale se il problema è localizzato nella cupola pleurica
4. a direzione supero-esterna se il problema concerne la regione periscapolare.
b2) test sternale
L’esperienza ci mostra che i problemi del torace superiore sono particolarmente localizzati a livello dello
sterno o in prossimità di questo.
Porre una mano sullo sterno inglobandolo nella sua totalità, tenar – ipotenar situato a livello della forcella
sternale, la mano sarà il più possibile in contatto con i tessuti a mo’ di ventosa; a partire da questo
momento la motilità delle fasce dello sterno e sottogiacenti potrà
essere facilmente percepita.
Bisogna immaginarsi lo sterno come un sacro rovesciato posto
nella mano. Un microspostamento della mano potrà far viaggiare lo
sterno in tutti i piani dello spazio e ci permetterà di localizzare
molto facilmente il punto di restrizione.

7) Ascolto globale del cingolo scapolare (fig 95)


Il soggetto è sempre in decubito supino, il terapeuta è dietro la testa
del paziente, porre i due pollici sul bordo anteriore dei trapezi

168
vicino l’apofisi trasversa di C7, la mano aperta posa sulla cupola pleurica, sulle clavicole e sul moncone
di spalla.
I pollici registreranno le restrizioni attorno alla prima costa. Le mani quelle relative alle inserzioni fasciali
attorno alla clavicola, oltre che le eventuali tensioni periarticolari. È frequente notare un leggero
squilibrio destro-sinistro. Nei destri il complesso spalla-clavicola destra ha una tendenza a orientarsi in
avanti e in dentro; nei sinistri lo stesso fenomeno si ha a sinistra. Se questa tendenza è nettamente marcata
entriamo nella disfunzione.
8) Ascolto del bacino (fig 96)
Il soggetto sarà in decubito prono. Questa regione è il punto di articolazione
tra le potenti fasce lombo-sacrali e quelle dell’arto inferiore con dei forti
rinforzi legamentosi conosciuti sotto il nome di piccoli e grandi legamenti
sacro-sciatici. Occorrerà aggiungere tutte le strutture intracavitarie che
dipendono dal piccolo bacino. Infine non bisogna dimenticare l’inserzione
terminale della dura madre a livello del sacro. Abbiamo così un’idea
dell’accumulo di informazioni che transitano in questa regione,
informazioni che complicano l’ascolto.
Il terapista si pone lateralmente al soggetto guardando cefalicamente, la
mano ingloba bene il sacro a effetto ventosa, la base è a livello degli angoli
inferiori del sacro. Se la zona è funzionale il sacro fluttuerà
armoniosamente tra le iliache.
In caso di disfunzione:
 se le dita della mano sono attirate cefalicamente il problema si
situerà probabilmente a livello della cerniera lombo-sacrale o della fascia lombare.
 se il palmo della mano è attirato caudalmente, la disfunzione potrà avere sede a livello del coccige
o del grande legamento sacro-ischiatico.
 se la mano ha la tendenza a infossarsi tra le iliache occorrerà considerare delle restrizioni a livello
del piccolo bacino.
 Se la mano è attirata lateralmente la restrizione potrà essere di origine sacro-iliaca, del piccolo
legamento sacro-ischiatico, o dell’anca e pelvi-trocanterica.

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 Se il palmo della mano è attirato verso il tavolato e cefalicamente occorrerà considerare una
tensione anomala a livello della dura madre.
9) Ascolto delle fasce dorsali (fig 97)
Il paziente è in decubito prono.
L’osteopata è seduto lateralmente e guarda cefalicamente. Le mani
sono poste bilateralmente in rapporto all’asse vertebrale; ognuna delle
due mani ingloba il rachide e le parti iuxta-laterali (o una sola mano
che copre rachide e parti laterali). La motilità nella regione dorsale
bassa è difficile da percepire. A questo livello avremo una risposta
positiva soprattutto in caso di distorsione. A livello dorsale superiore è
molto più facile mettere in evidenza la motilità. Le due mani saranno
poste sulle scapole. Si percepirà rapidamente un movimento come se le
mani fluttuassero sulla gabbia toracica. L’interposizione delle scapole
in rapporto al torace sembra costituire un amplificatore del movimento.
In caso di distorsione la scapola sarà attirata preferenzialmente verso la
zona in restrizione.
10) Ascolto craniale
In questa regione possono essere testati diversi parametri e ciò aumenta la complessità e la difficoltà
diagnostica. Dobbiamo in effetti tenere conto di : 1-membrane intracraniali; 2-membrane esocraniali e
loro prolungamenti (aponeurosi cervicali); 3-meningi rachidee; 4-asse aponeurotico centrale. La posizione
della testa sarà in decubito supino qualunque sia l’asse testato.
(a) le membrane intracraniali
Non abbiamo intenzione di descrivere le tecniche craniali. Pensiamo che la tecnica a 5 dita è ben adatta a
un ascolto generale del cranio. In caso di distorsione può essere completata da una tecnica falce-tenda
del cervelletto: l’occipite riposa sul palmo della mano sinistra; il pollice e l’anulare diretti lateralmente
come per inglobare la tenda del cervelletto, l’altra mano è posta sulla volta con il medio che indica l’asse
sagittale della falce del cervello. Una delle difficoltà nella percezione delle membrane intra-craniali è
dovuta all’interposizione tra la mano e queste delle aponeurosi esocraniali e di tutto il piano osseo.
Abbiamo visto che l’interno del cranio è in relazione con l’esterno e viceversa , un parametro può dunque
influenzare l’altro. Sarà necessario per un ascolto intracraniale “proiettarsi” all’interno dl cranio.
(b) le membrane esocraniali e loro prolungamenti
Paziente in decupito supino.
È evidente che le aponeurosi esterne possono essere in restrizione; non bisognerà dunque trascurarle in
caso di tensione superficiale, ma sarà necessario ricercare il punto di restrizione, che sarà molto

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disturbante per la meccanica craniale e
cervico-scapolare, come vedremo più tardi.

Abbiamo visto che la base del cranio era il


punto di partenza dei cavi aponeurotici e
delle aponeurosi cervicali. In caso di lesione ascendente questi costituiranno un punto frenante della
motilità craniale. Questo è particolarmente vero per le aponeurosi dello sternocleidomastoideo e
soprattutto dell’aponeurosi cervicale superficiale posteriore, che ha la tendenza a portare il temporale in
lesione. Durante la presa craniale, sentiremo una attrazione caudale nelle nostre mani, che segue la
direzione delle fibre incriminate.
(c) meningi rachidee (figg. 98 e 99)
La presa sarà sotto-occipitale, le dita poste le une
sulle altre aformare una V molto aperta. Indurre
una leggera trazione seguendo l’asse
intravertebrale. Aumentare leggermente questa
trazione per discendere progressivamente fino a
livello sacrale. La dura madre prende dei solidi
legami a livello di C2-C3, ma attraverso dei
prolungamenti radicolari prende anche dei solidi
legami sulla circonferenza dei fori di coniugazione
bilateralmente. Questi legami non sono teorici, la
dura madre è solidamente ancorata al periostio
vertebrale costituendo così un mezzo di protezione midollare e delle radici intrarachidee. Abbiamo potuto
verificare la loro solidità sul maiale, dove per arrivare a disinserirle è stato necessario applicare una forza
importante.
Nella normalità una leggera trazione sulla dura madre non avrà delle risposte positive. Essendo la dura
inestensibile, risentirà facilmente di una fissazione, poiché in quel punto la dura madre non fluttuerà più
nel condotto osseo. Con una certa manualità sarà facile fare diagnosi di restrizioni ai vari livelli, sia
frontalmente che lateralmente.

asse aponeurotico centrale (fig. 100)


Il punto di partenza di quest’ asse si colloca sulla circonferenza del foro occipitale. Quando sarà passato il
potere frenante dei diversi elementi posti lungo il suo percorso, tutta la restrizione, in qualunque distretto
del suo tragitto, si ripercuoterà sulla base del cranio. Per l’ascolto di questo asse la presa della mano è la

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stessa che per l’asse dura-madrico, con i pollici diretti verso l’asse mandibolare. -Nella normalità questo
asse è perfettamente libero. In caso di restrizioni si possono fare due constatazioni:
1) sensitiva: le mani sono attirate caudalmente, con la scatola cranica che segue un movimento ritmato
dalla respirazione
2) visiva: guardando questo asse centrale constatiamo che si ha un movimento ritmico caudo-cefalico e,
in caso di grave fissazione, vediamo la parte viscerale del collo infossarsi all’interno dell’imbuto
toracico con un ampiezza di parecchi centimetri.

11) Ascolto antero-posteriore (fig 101 e 101 bis)


Il soggetto è in decubito supino.
Il terapista è dietro la testa del soggetto.
Il terapista pone una mano a coppa sotto
l’occipite inducendo una leggera trazione, l’altra
mano è appoggiata piatta sullo sterno.
Questa tecnica serve a testare il sincronismo
generale delle fasce, particolarmente a livello
toracico e cervico-craniale. Una leggera trazione
sotto-occipitale serve a proiettarsi su tutte le
fasce posteriori. Nella normalità un movimento
ampio, libero e ben ritmato è percepito dalle
nostre mani. In caso di restrizione percepiremo
un movimento asincrono e che segue determinati assi preferenziali.

12) Lo stress
In alcune persone particolarmente stressate i tessuti avranno una motilità perturbata. Il movimento sarà
rallentato e la sua ampiezza diminuita. La sensazione percepita sarà una mancanza di libertà nelle
oscillazioni dei tessuti, come se questi fossero indecisi riguardo alla direzione in cui muoversi. Avremo
così una sensazione di retroazione e la mano avrà la tendenza a richiudersi. Questo può essere sentito a
tutti i livelli ma soprattutto nel cranio, nella regione toracica e, in quest’ultimo caso, in modo più evidente
nello sterno.

172
13) Zone particolari
Alcune zone del corpo sono più vulnerabili e lasciano dei ricordi imperituri di un trauma a loro livello. In
queste zone possiamo dire che le fasce hanno una memoria particolarmente durevole. È sufficiente porre
le mani su questi distretti per rivelare delle tensioni fasciali spesso conseguenti a choc molto vecchi.
Queste regioni sono maggiormente localizzate a livello: cranico e cervicale, dorsale superiore, sternale,
coccigeo, epigastrico, nelle cicatrici e nei punti di impatto dell’urto.
(a) cranio e cervicali
Importante incrocio della circolazione per le vie nervose e vascolari, questa regione è dotata di una grande
mobilità sia per un fine di migliore funzione, sia per un fine di adattamento-compensazione. A livello
delle vertebre cervicali superiori e dell’occipite abbiamo l’arrivo di una moltitudine di sollecitazioni.
Questa regione è in uno stato di riaggiustamento permanente al fine di assicurare un funzionamento il più
perfetto possibile nei centri superiori dell’informazione e di comando.
Nel caso di traumi importanti l’ultimo punto di ammortizzazione è nelle vertebre cervicali e nella cerniera
occipito-cervicale. Non stupisce, quindi, di incontrare delle tensioni fasciali oltre che delle restrizioni di
mobilità a questo livello. La zona occipito-cervicale superiore sarà la più implicata. Si può affermare che
è raro non trovare delle limitazioni a questo livello. Le prime tensioni ad imprimersi sono quelle
conseguenti al parto. Non è raro constatare una traslazione laterale delle vertebre cervicali con
compensazione occipite-atlante derivante da un vecchio trauma della circolazione o da un urto laterale
violento, per la maggior parte delle volte dimenticato dal paziente ma non dai tessuti.
(b) dorsale superiore
Zona di sostegno delle vertebre cervicali, quelle dorsali superiori spesso subiscono le sollecitazioni
imposte dalle prime. Così nel caso di un colpo di frusta è questa regione che va ad assorbire spesso la
maggior parte dell’energia dell’urto e di seguito a entrare in uno stato di disfunzione. Uno degli urti più
traumatici è quello relativo alle cadute a piatto sul dorso, soprattutto se è prodotta nell’infanzia.
Quest’urto è all’origine di uno shock molto importante con spasmo respiratorio, angoscia e panico. Il
trauma va ad imprimersi sui tessuti insieme allo stress che lo accompagna. Quando andiamo a posare una
mano su questa zona sentiamo un’importante rigidità oltre che una tensione tessutale, come se la pelle
fosse troppo tesa. È sufficiente interrogare il soggetto perché vi riveli spontaneamente il suo trauma in
quanto questo ha lasciato un’impronta indelebile. La regione dorsale superiore è, così come l’abbiamo
vista, un importante incrocio fasciale, continuamente sollecitato. Sotto il peso di urti, stress, tensioni,
questa zona va ad essere la sede di limitazioni sempre più importanti che portano ad una modificazione
della statica. Il dorso si cifotizza, le spalle ruotano in avanti; da cui l’espressione molto significativa ‘è
tutto sulle mie spalle’ oppure ‘ho l’impressione di portare il peso del mondo sulle mie spalle’.
(c) sterno

173
È una zona di elezione per le tensioni conseguenti a stress ripetuti e non compensati. Durante l’ascolto a
questo livello i tessuti sono tesi, fissati, si ritraggono verso il centro, lasciano la sensazione di una mano
che ha la tendenza a incavarsi quando lo sterno si ritrae posteriormente. La cintura di sicurezza, in caso di
incidenti, lascia un’impronta assai rivelatrice durante l’ascolto, sotto forma di una trazione obliqua come
una sbarra che percorre il torace superiore.
(d) coccige
Allo stesso modo che una caduta a piatto sul dorso che lascia un ricordo imperituro, una persona che è
caduta sul coccige non lo dimenticherà mai. In questa regione si applica perfettamente il detto ‘vedere le
stelle’. Oltre il trauma locale, la caduta sul coccige è spesso accompagnata da una scossa che può risalire
fino al cranio, ma può riguardare anche l’addome o il torace. Non è raro constatare, dopo un tale trauma,
l’apparizione di una tensione dolorosa in seno ad un organo o constatare una ptosi. Il coccige, nel caso di
choc, si lede il più frequentemente in flessione e latero-flessione. La palpazione a questo livello rivelerà
l’urto anche dopo molti anni, e anche se l’urto è divenuto muto possiamo dire che l’impronta è a vita.
(e) regione epigastrica
Numerose persone somatizzano il loro stress a livello epigastrico da cui l’espressione ‘avere un peso nello
stomaco’. Questo stress esercita il plesso solare che genera a sua volta una disfunzione di tutta la regione
sopra-mesocolica. In un ascolto a questo livello abbiamo la sensazione di una zona dura, ipertesa che non
si lascia comprimere e che genera dolore. Alla palpazione abbiamo effettivamente l’impressione di avere
un palla sotto la mano. Gli organi sono fissati e distesi; il fatto di porre la nostra mano genera un’eco dei
battiti aortici che sono molto amplificati e inquietano particolarmente il paziente.
(f) cicatrici
Non tutte le cicatrici sono all’origine di una disfunzione ma come abbiamo visto numerose sono quelle
che generano delle perturbazioni. Esse devono essere sistematicamente testate perché, quando diventano
elementi perturbatori, costituiscono la causa primaria di una disfunzione meccanica o fisiologica.
L’ascolto di una cicatrice restrittiva ci rivelerà molto facilmente la direzione delle tensioni che avrà
generato.

(g) punti di impatto degli urti


Quando il corpo subisce un urto questo deve essere ammortizzato, altrimenti potrebbe ledere gravemente
le strutture fragili. Durante un urto diretto, un colpo per esempio, si ha prima l’ammortizzazione da parte
della pelle, poi delle fasce e del pannicolo adiposo. Quando il trauma sopravviene su una zona poco
protetta, come la tibia o il cranio, la zona tessutale di ammmortizzazione è nettamente ridotta. Va dunque
a imprimersi sulle fasce e a costituire un punto di fissazione da cui parte da un processo lesionale.

174
Dobbiamo ricercare con molta minuziosità questi segni di punti di impatto perché sono spesso la chiave
del successo del nostro trattamento.
Un urto a livello del cranio, soprattutto nella sua parte postero-laterale, può essere all’origine di una
modificazione del tessuto connettivo che porta alla formazione di una catena lesionale discendente che si
trasmette via via: alla cerniera occipito-cervicale, alle vertebre cervicali, alla cerniera cervico-dorsale, alla
spalla. Durante l’ascolto percepiamo una fissazione molto spesso puntiforme. Ma un urto importante
come un incidente in automobile o una caduta sul polso oltrepassa le possibilità dei tessuti molli e dovrà
essere quindi presa in carico da un tessuto più denso come il complesso periostio-osso. L’osso ha una
certa elasticità, la sua architettura è costruita in maniera tale da assorbire gli urti. Se questi sono troppo
violenti lasceranno un’impronta sul tessuto osseo che diverrà punto di partenza di un processo patologico.
Ci torna in mente un paziente visto recentemente in seguito ad un urto frontale in auto. Questa persona si
è aggrappata al volante e una gran parte di energia è stata assorbita dal radio sinistro. All’ascolto questo
dava l’impressione di essere piegato come se le fibre ossee fossero penetrate in parte l’una nell’altra. In
effetti l’osso era arrivato al limite di rottura.

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TEST PALPATORI E DI MOBILITÀ

A- TEST PALPATORI
Il test di ascolto è del tutto passivo e si realizza con tutta la superficie della mano; il test palpatorio si
svolgerà con i polpastrelli e implicherà una pressione più o meno accentuata a seconda della zona da
raggiungere. Apriamo una parentesi prima di andare oltre: è necessario, prima di porre la mano su un
paziente, osservare bene la zona da testare, perché l’osservazione è carica di insegnamenti molto utili
(colore della pelle, stato della pelle, che può essere fine, spessa, infiltrata, con macchie, foruncoli,
gonfiori). A livello della linea alba per esempio se noi constatiamo una deviazione laterale di questa con
una curvatura di piccola ampiezza, ciò segnalerà un problema nel quadrante corrispondente alla
deviazione. Ricordiamoci che attraverso i cilindri di Hine la pelle è il rivelatore di ciò che avviene in
profondità. Il fine della palpazione è di mettere in evidenza tutte le modificazioni che possono essere
intervenute in un tessuto. Queste modificazioni possono essere di più ordini: cambiamenti di struttura e
zone dolorose.
1) cambiamenti di struttura
Saranno constatati a livello della pelle e poi delle fasce sottstanti secondo un cronologia che va dalla
superficie alla profondità

1. a livello della pelle


Una pelle normale deve essere regolare, elastica e morbida. In caso di modificazioni potrà apparire
indurita, infiltrata ed edematosa. Quindi saranno constatati dei cambiamenti della sua elasticità con
diminuzione o perdita di questa. In certi casi sarà impossibile formare pieghe cutanee e in altri si
constaterà una durezza anomala dalla sparizione di queste pieghe e ciò si traduce in una alterazione dei
legami trasversali.

2. a livello delle fasce sottogiacenti


Le fasce sottogiacenti al rivestimento cutaneo devono essere percepite come delle strutture flessibili
dotate tuttavia di una certa durezza; questa è variabile a seconda delle zone consaiderate, e andando da
zone facilmente depressibili, fascia anteriore del collo, a zone con resistenza maggiore, fasce di inserzione
, legamenti e alcuni mèsi. In maniera generale una fascia funzionale può presentare o no delle ondulazioni
ed è costituita da bande parallele orientate nello stesso senso. Durante una distorsione si modificano le sue
proprietà visco-elastiche, facendo modificare la sensazioni palpatorie. La perdita di elasticità costituirà un
fastidio alla palpazione che porterà la fascia ad essere tesa in modo anomalo e necessiterà una forza

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maggiore per penetrare in profondità. Le modificazioni delle fibre collagene metteranno in evidenza
all’interno della fascia:
- delle bande fasciali ben individualizzabili molto più tese delle strutture circostanti che presentando a
volte un bordo tagliente ben distinto orientato obliquamente o perpendicolarmente alla direzione
generale delle fibre. Queste bande sono i rivelatori di sollecitazioni anomale e il loro tragitto si
stabilisce in funzione della direzione delle sollecitazioni. Queste bande sono facilmente palpabili e
appaiono chiaramente alla dissezione sotto forma di fasci più densi e di aspetto più madreperlaceo.
- delle bande fasciali più tese e attorcigliate sul loro asse longitudinale costituite in modo da seguire
l’asse generale della fascia e spesso di una lunghezza maggiore rispetto alle bande oblique o
trasversali.
- Alcune fasce, come la fascia lata, hanno un aspetto ondulato; durante delle tensioni importanti queste
ondulazioni hanno la tendenza a aumentare prendendo l’aspetto di una lamiera ondulata come se
fossero state riaccorciate a mo’ di una grinza di tenda.
- In altre circostanze si percepirà all’interno di una banda fasciale o in una fascia normale delle
granulazioni molto spesso ovalari a grandezza di un grano di riso, di caffè o di un nocciolo di oliva.
Possono essere anche arrotondate come un granello di sabbia o di sale grosso. Le granulazioni ovali
saranno maggiormente riscontrate a livello delle membrane che separano i differenti muscoli, le altre
possono risiedere non importa dove. La loro consistenza potrà essere molto dura, vicino alla
consistenza del tessuto osseo.
- Infine si potranno palpare zone molto indurite o calcificate. Queste percorreranno un tragitto da
qualche millimetro a 1 o 2 centimetri. Si incontreranno particolarmente a livello della spalla, del
gomito, dei legamenti vertebrali profondi, del grande legamento plantare. Queste zone hanno la
consistenza dell’osso; infatti assistiamo a questo livello alla trasformazione da tessuto molle a tessuto
osseo. Per far fronte a sollecitazioni troppo grandi le fasce, i legamenti, i muscoli si calcificano.
Questo fenomeno di trasformazione da tessuto molle a osso è stato studiato dall’équipe di Reddi che
ha concluso che è possibile la trasformazione da muscolo a osso grazie all’osteogenina. Come
vedremo oltre questo fenomeno fortunatamente non è sempre irreversibile.
2) il dolore
Si dice che il dolore è bugiardo e se lo consideriamo con circospezione vediamo la variabilità che può
presentare da un soggetto all’altro o eventualmente il fatto che può nascondere un problema più profondo;
il dolore può tuttavia essere un buon alleato se lo si considera con le precauzioni d’uso. Una fascia,
normalmente, non è dolorosa a una pressione normale; in caso di leione la sua sensibilità è nettamente
aumentata e questa diviene molto dolorosa a livello delle bande o dei punti nodulari e appena tollerabile a
una palpazione leggera nelle zone di calcificazione o in certi legamenti. Il dolore è legato alla liberazione

177
di prostaglandine. L’aspirina e gli antidolorifici bloccano la sintesi di prostaglandina e impediscono
dunque la produzione di questa sostanza critica che segnala il danno tessutale. Per quanto riguarda la pelle
essa può essere sede di dolori molto vivi scatenati da un semplice sfioramento. In seguito ad un
trattamento appropriato si nota una diminuzione o una scomparsa dei punti dolorosi. Questo ha un’altro
vantaggio, ed è quello di fare sentire al paziente l’effetto benefico del trattamento e ciò non farà altro che
rassicurarlo del resto non vi cosulta perché ‘ha male là’. Insistiamo ancora sul fatto che il dolore non è
che la parte emersa di un iceberg e questo è parte integrante di più fattori che costituiscono la lesione
osteopatica.

B- TEST DI MOBILITA’
I test di mobilità seguono naturalmente i test palpatori e vi sono collegati.
1) Scopo del test
Il fine è quello di mettere in evidenza una perturbazione della motilità sia che questa sia a livello della
pelle, di un legamento, di un viscere o di un’articolazione. Ha per fine confermare il test di ascolto. Il test
di mobilità può applicarsi a qualsiasi distretto corporeo e richiede una ottima conoscenza dell’anatomia.
Più sarà precisa la nostra conoscenza anatomica palpatoria, più sarà fine il test di mobilità e efficace il
trattamento che ne deriverà. Il test di mobilità si farà seguendo due modalità: a grande leva o segmentario.
2) Test a grande braccio di leva
Riguarda dei segmenti o delle parti più estese. Una limitazione di un’articolazione o di tutta una zona può
essere di origine strettamente locale o provenire da una catena lesionale lunga. I test a grande braccio di
leva sono tutti quelli più classici: flessione plantare, flessione dorsale, flessione anteriore della testa e del
tronco…
La loro modalità di esecuzione non presenta alcuna difficoltà. È tuttavia più difficile determinare al primo
colpo se la limitazione è puramente locale o dipende da una grande leva fasciale. Con una certa abitudine
si può vedere assai facilmente la differenza. È importante vedere la differenza in quanto le tecniche
correttive variano in funzione dei parametri limitativi, ma anche delle zone considerate. I test a grande
braccio di leva sono sfortunatamente troppo spesso evitati o fatti in modo incompleto. Eppure sono loro a
dimostrare obbiettivamente al soggetto il miglioramento apportato dal trattamento grazie al guadagno di
mobilità ottenuto, guadagno che spesso va di pari passo con una modificazione della sensazione dolorosa.

3) Test segmentari
È un test specifico in modo da fare diagnosi molto precisa sul distretto lesionato. Permetterà di precisare
la natura della fissazione, la sua localizzazione e la sua profondità. Avviene naturalmente in seguito ai test
di ascolto e di palpazione. Permette di confermare o di negare i diversi fattori già registrati. Porterà infine

178
al trattamento che sarà tanto più preciso ed efficace quanto il test segmentario sarà stato realizzato con la
massima precisione. Richiede naturalmente da parte del terapista una grande pratica palpatoria e una
grande precisione nella conoscenza anatomica topografica. Procederemo dalla superficie alla profondità,
andando dalla pelle alle fasce periferiche, poi a quelle profonde ed infine ai visceri.
a) A livello cutaneo
La pelle è legata nella sua parte profonda alle fasce superficiali. Abbiamo visto che un problema profondo
si ripercuote a livello cutaneo, creando delle modificazioni a questo livello o anche una coppia lesionale
di fissazione che va dalla superficie alla profondità.
La tecnica consisterà nel mobilizzare la pelle molto leggermente in tutte le direzione, seguendo tutta
l’estensione della zona considerata, con i polpastrelli di due o tre dita o con la mano intera. Si tratta molto
semplicemente di far scivolare un piano di tessuto sull’altro. Nella normalità lo scivolamento sarà uguale
in tutti i sensi; in caso di limitazione lo spostamento all’opposizione di questa sarà più difficile, se non
impossibile, e ciò ci rivelerà subito la zona di fissazione e la sua direzione. Mettendo una maggiore
pressione ci possiamo indirizzare a delle zone più profonde e testare anche diversi piani.
b) Test delle fasce periferiche
Sia ben inteso che non andremo a descrivere i test di tutte le fasce, ma le modalità saranno
approssimativamente le stesse seguendo i segmenti considerati. Descriveremo adesso alcun tra quelli più
frequentemente realizzati o che potranno essere la chiave di alcuni nostri trattamenti.

LIVELLO DELL’ARTO INFERIORE

Il grande legamento plantare (fig 102)


Il soggetto è in decubito prono. Si piega il
ginocchio e si realizza una pressione a livello
plantare, molto velocemente sentirete una corda
sotto le dita; se si aumenta la pressione il dolore
diventerà sempre più vivo fino a divenire
insopportabile. In un secondo tempo si prende il
bordo interno del legamento con i polpastrelli delle ultime tre o quattro dita per mobilizzarlo verso
l’esterno. In caso di lesione il movimento è molto limitato e doloroso.

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La fascia antero-interna della gamba
Riposa direttamente sulla tibia. Il
soggetto è in decubito supino; far
scivolare i polpastrelli di due o tre dita
lungo la fascia dalla caviglia al
ginocchio. In caso di fissazione
percepiremmo una zona cutanea edematosa che arresta lo scivolamento delle dita. A questo livello
mobilizzeremmo la pelle e le fasce cutanee sottogiacenti. Questa mobilizzazione è molto limitata e
dolorosa, la fascia sembra incollata al periostio. Talvolta si può percepire una piccola banda fasciale sulla
quale si agganciano le dita. Vedremo, nel
trattamento, l’interesse a testare questa zona.

La loggia antero-esterna e postero-interna della


gamba (fig 104 e 105)
Si tratta di testare i piani di sovrapposizione tra le
zone aponeurosi-muscolari e la tibia.
Il soggetto è in decubito supino, con l’arto
inferiore piegato e il piede appoggiato sulla
tavola. Con i polpasterlli dei due pollici bisogna
testare dal basso in alto lo spazio osteo-muscolare della loggia antero-esterna. Con i polpastrelli delle dita
bisogna testare in seguito lo spazio osteo-muscolare posteriore.
In caso di fissazione è molto difficile far
penetrare le dita in profondità e il paziente
sente un vivo dolore. Questo test può essere
molto utile in seguito ad episodi di sciatica, di
fratture, di distorsioni o di dolori ribelli al
polpaccio.

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La fascia dello sciatico (fig 106)
Il nervo sciatico, qualunque sia la sua modalità di separazione, è
circondato da una fascia che lo accompagna in tutta la sua lunghezza.
Nella normalità il nervo sciatico non è percepito durante una palpazione
profonda, mentre lo è in caso di patologia.
Il soggetto è in decubito prono; il terapista si pone lateralmente al paziente.
La palpazione inizia approssimativamente sotto la piega glutea. L’asse
dello sciatico è l’asse longitudinale della coscia., ciò vuol dire il piano di
divisione tra bicipite da una parte e semimembranoso-semitendimoso dall’altra parte.
Bisogna penetrare progressivamente con i polpastrelli delle dita in profondità, poi mobilizzare i piani
profondi seguendo un asse longitudinale e trasversale. Bisogna poi scendere progressivamente fino al
cavo popliteo e di là fino al tendine di achille,
passando tra i due gemelli. A questo livello talvolta è
utile mettere la gamba in leggera flessione. In caso
di patologia dello sciatico la mobilizzazione dei
piani profondi è difficile e assai dolorosa. In
generale le fissazioni si situano di preferenza nella
parte superiore della coscia e in mezzo al polpaccio.
Si tratta spesso di una zona che ha l’estensione di
qualche centimetro. A volte si trova un solo punto di
fissazione molto corto e localizzato nel punto di
congiunzione fra il terzo superiore e medio della
coscia.

LIVELLO DORSALE

Glutei e paravertebrali
Il soggetto è in decubito prono. Il terapista si pone lateralmente. Con i
polpastrelli testare i piani di inserzione dei glutei superiori sotto la cresta
illiaca (fig 107). Spesso a questo livello troviamo delle bande fasciali molto
tese e dolorose che perturbano la meccanica del bacino.

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Di seguito risalire con i polpastrelli lungo i muscoli paravertebrali fino
alla zona cervico-dorsale e cervico-occipitale (fig 108).
Di frequente si percepisce, se siamo sufficientemente in profondità, dei
fasci che ruotano sotto le nostre dita e che possono essere della misura di
un dito. Una zona di tensione può iniziare a livello lombare inferiore e
risalire senza interruzione in alto fino a livello dorsale. È interessante
seguirla perché spesso il suo punto finale è rivelatore di una lesione
dorsale in interrelazione con la fissazione lombare. A livello dorsale
superiore, possono essere percepite delle bande fasciali oblique che sono
in rapporto con le inserzioni muscolari mediali della scapola e i piccoli
dentati posteriore e superiore. Arriviamo qui a livello di un cingolo, punto
di scambio di direzione e di incrocio delle fasce.

La scapola (fig 109)


Il soggetto è in decubito prono. Il terapista si piazza lateralmente
a lui e pone le due mani ben piatte sulle scapole. Occorre in
seguito mobilizzare le mani in tutte le direzioni per testare lo
scivolamento dei piani sottoscapolari. Di seguito testare
elettivamente con i polpastrelli delle dita la zona sovra e
sottospinosa.
A livello sovraspinoso troveremo delle zone di tensione dolorosa
situate tra i fasci muscolari e a direzione orizzontale.
A livello sottospinoso le zone di tensione saranno oblique e in
direzione della spalla, i punti più eloquenti si situano al bordo
esterno e superiore della scapola. In caso di problemi di spalla,
questa regioni sono frequentemente in lesione.

182
LIVELLO VENTRALE
Andiamo soprattutto ad attaccarci a due zone particolarmente
sollecitate: lo sterno e la clavicola.

Lo sterno (fig 110) Il soggetto è in decubito supino. Il terapista è posto


lateralmente. Si pongono le mani ben a piatto sullo sterno come per
l’ascolto, ma quando avremo lo sterno bene nelle mani, lo
mobilizzeremo in tutte le direzione. Si può, per maggiore facilità, porre
le due mani in opposizione, il palmo di una mano a livello della
forcella sternale e l’altra a livello dell’appendice xifoide. A livello
dello sterno la fascia è direttamente in contatto con l’osso come nella
tibia. Con i polpastrelli delle dita si scivola lungo lo sterno. In caso di
lesione le dita saranno arrestate da una barriera fibrosa a direzione
orizzontale. Dei punti di fissazione spesso iperalgici acuti si
incontreranno a livello della linea mediana oltre che a livello sterno-
condrale. Lo sterno è una zona di ipersollecitazione sia ascendenti che discendenti. Le disfunzioni fasciali
saranno quindi frequenti. In più come abbiamo già segnalato questa regione è molto sensibile a tutti i tipi
di stress.

La clavicola (fig 111) Punto di legami fasciali, la clavicola è una zona in costante sollecitazione. Inoltre
per le sue relazioni sottostanti può costituire un elemento perturbatore per il plesso brachiale, l’arteria
succlavia e anche per le strutture sovrastanti. Il test si indirizzerà soprattutto alle strutture sotto-
clavicolari: aponeurosi clavicolo-petto-ascellare, legamento conoide, trapezoide e acromion-claveare.
Il soggetto è in decubito supino, il terapista si piazza lateralmente al paziente; il pollice e l’indice sono
posti al di sopra e al di sotto della clavicola e si introducono progressivamente sotto per testare i tessuti
molli. In caso di rilasciamento totale le due dita
possono venire in contatto l’una dell’altra. In caso di
lesione la penetrazione è rapidamente fermata dalle
tensione e dalla comparsa del dolore. Per maggiore
facilità si può sollevare la spalla con l’altra mano o,
meglio ancora, mettere il soggetto in decubito laterale,
procurando la massima detenzione. In caso di tensione
importante, questa ultima posizione permette una
palpazione migliore.

183
LIVELLO DEL COLLO
Descriveremo unicamente un test delle cartilagini e dell’aponeurosi perifaringea. Questa zona è molto
importante per il fatto che controlla la faringe, la laringe e la tiroide. Abbiamo visto in anatomia che si
articola con le vertebre cervicali e che l’osso ioide gioca un ruolo importante nell’ammortizzazione e
nella ripartizione delle tensioni trasmesse dall’asse centrale. Lo ioide e la cartilagine tiroidea sono
meccanicamente legati nel fenomeno della voce dato che la tiroide ha bisogno di fissarsi bene sull’ioide
per permettere il gioco delle cartlagini aritenoidee e far vibrare le corde vocali. Queste hanno una
vibrazione di circa 20.000 periodi e possono arrivare nei soprani più alti a 36.000. È evidente che tutte le
perturbazioni meccaniche a questo livello potranno tra l’altro ripercuotersi sulla voce.

Test globale (fig 112)


Il soggetto è in decubito supino. Il terapista si pone lateralmente e
mette la mano sinistra sulla fronte del soggetto. Prende l’asse
viscerale del collo tra tre dita del lato controlaterale e il pollice del
lato omolaterale. Esegue una rotazione a sinistra della testa e allo
stesso tempo esercita una trazione verso destra con i polpastrelli delle
dita. Esegue in seguito una rotazione destra della testa e con il pollice
spinge leggermente verso sinistra. Per una maggiore precisione, si
potrà prendere l’asse del collo tra il pollice e l’indice e mobilizzare in
modo più segmentario. In caso di fissazione lo spostamento su un
lato è molto resistente, e il dolore può essere molto vivo. È facile
scatenare, quando si mobilizza il lato fissato, un riflesso di tosse ,
soprattutto a livello tiroide-cricoide.
Durante questi test globali non è raro riscontrare i seguenti fenomeni:
- un rumore di sfregamento, che in certi casi è molto forte (in alcuni soggetti questo rumore è del tutto
banale, e ciò che non è normale è quando si accompagna a dolori localizzati spesso a livello
retrofaringei e che si proiettano sulle vertebre cervicali)
- un vivo dolore, provocato durante lo stiramento a livello della vertebra cervicale e che corrisponde
spesso a sintomi descritti dal paziente a questo livello. Non ci scordiamo che l’asse viscerale del collo
è collegato ai tubercoli anteriori delle apofisi trasverse attraverso tratti fibrosi a direzione antero-
posteriore.

184
Test dell’ioide (fig 113)
Attraverso l’osso ioide possiamo avere informazioni riguardo diverse
strutture: l’aponeurosi cervicale superficiale e media, l’aponeurosi
perifaringea, la sua relazione con la spina temporale attraverso la
fontana di Roland e con la scapola attraverso la scapolo-ioidea. L’ioide
è una fibrocartilagine a forma di ferro di cavallo. Questa
conformazione che ci distingue dall’animale (in quest’ultimo in effetti
l’ioide è molto aperto) ci ha permesso nel corso dell’evoluzione di
essere dotati dell’uso della parola. Tuttavia non è raro trovare delle
variazioni di forma tutt’altro che normali che vanno da un ioide molto
chiuso come un diapason, incontrato soprattutto nel sesso femminile, a un ioide molto aperto, che si
percepisce come punta di corna, caratteristica del sesso maschile.
Il soggetto è in decubito supino; si prende l’ioide tra pollice e indice, a
livello delle facce laterali. Lo si mobilizza a destra e sinistra, in avanti e
indietro, in inclinazione laterale, ponendo un dito nella sua parte inferiore
e l’altro nella sua parte superiore. È molto frequente trovare un lato più
alto dell’altro (più spesso a sinistra); se la tensione non è troppo
importante questo può essere considerato come normale. Si prenderà in
seguito tra pollice e indice la cartilagine tiroidea e si mobilizzerà l’ioide
in rapporto alla toroide (fig. 114).

Altre cartilagini
Il soggetto è in decubito supino; si prenderà una cartilagine tra pollice e
indice e la si mobilizzerà in rapporto alle altre; si testerà così la tiroide in
rapporto all’ioide e la tiroide in rapporto alla cricoide.

LIVELLO DEL CRANIO


A livello del cranio il test di mobilità consisterà in una mobilizzazione del cuoio capelluto in rapporto al
piano osseo sottostante. Nella normalità il piano cutaneo scivola sul sottostante senza tensioni né dolore.
È evidente che questa mobilità è più importante a livello frontale e occipitale. In caso di fissazione
solitamente dovute a degli urti, come abbiamo già segnalato, possiamo incontrare diverse possibilità:

185
- sia una banda fasciale molto tesa e nettamente individualizzabile, talvolta sentita come una piccola
cordicella che si estende lungo più centimetri. Questo genere di tensione è spesso localizzata nella
zona parieto-temporale.
- sia una zona edematosa infiltrata di circa 5 cm e che presenta frequentemente una depressione nel
mezzo, che costituisce il punto di fissazione del periostio. Questa zona è molto difficilmente
mobilizzabile ed è sede di un dolore tipo puntura che può essere eccessivamente acuto.
- sia un incavo a livello dell’osso. Questa situazione si incontra a livello delle suture e dell’osso
vormiano. Appare dunque sotto le dita una depressione come se la fascia fosse stata aspirata
all’interno. Anche in questa zona la mobilizzazione del tessuto è dolorosa.

c) TEST DELL’ADDOME
Non è nelle nostre intenzioni descrivere i diversi test viscerali. Vogliamo semplicemente insistere
sull’importanza della palpazione e dei test di mobilità a livello viscerale. Se c’è una regione del corpo
dove le tecniche osteopatiche sono una pura applicazione dell’anatomia, questa è la regione addominale.
Per una diagnosi precisa e un trattamento efficace è necessario conoscere perfettamente l’anatomia
topografica e l’anatomia palpatoria.
I test di ascolto sono di grande utilità per l’orientamento diagnostico ma non sono sufficienti; quindi
saranno completati dalla palpazione e dai test di mobilità. Ciò metterà in evidenza una zona sensibile o
fissata, la palpazione è inoltre un mezzo di conoscenza dello stato della zona che all’ascolto si era rivelata
in restrizione.
È evidente che se sentiamo sotto le nostre dita dei piccoli rilievi, un indurimento, una deformazione, ciò
deve farci adottare un’attitudine di grande riserva e indirizzare il paziente a uno specialista. Queste
modificazioni morfologiche non possono essere messe in evidenza che attraverso una palpazione precisa
e allenata.
Il problema che si pone con l’addome è legato alla profondità della palpazione e all’interposizione di
diverse strutture, da cui la difficoltà di stabilire una diagnosi differenziale. Tuttavia con la pratica e una
perfetta conoscenza dell’anatomia ciò diviene più facile.
La palpazione, abbiamo già detto, deve essere il più precisa possibile, deve seguire la struttura da palpare
e talvolta dovrà essere anche profonda, malgrado tutto la difficoltà di interposizione svolgersi
direttamente sulla zona considerata e non per semplice proiezione. Se sappiamo essere pazienti e trovare
il buon percorso, le fasce ci lasceranno praticamente sempre passare e così potremo palpare senza troppa
difficoltà un mesentere, un muscolo di Treitz o un rene per via anteriore.
Questa palpazione sarà direttamente seguita dal test di mobilità di organi mèsi o di legamenti testati. La
mobilità viscerale è molto variabile a seconda dei segmenti considerati, ciò va da uno stato molto fluido

186
per gli intestini a una mobilità più ristretta per fegato o legamenti, o una mobilità pressochè nulla per ciò
che riguarda un muscolo, una fascia di Treitz o un mesentere. Tuttavia ricordiamoci che qualunque sia il
tessuto questo è dotato di una certa elasticità. È dunque quest’ultima che occorrerà mettere in evidenza
quando ci si indirizza a una zona con minore mobilità.
La palpazione e il test di mobilità addominale possono essere spiacevoli e dolorose. La comparsa di un
dolore itenso deve farci adottare la più grande prudenza. Contrariamente alla fasce periferiche che sono
sede di dolori spesso al limite della tollerabilità, senza che questo sia obbligatoriamente segno di un
problema grave, lo stesso fenomeno a livello viscerale purtroppo è spesso diagnosi di un problema grave.

d) CICATRICI ED ADERENZE
Le cicatrici
Come abbiamo già segnalato alcune cicatrici possono imprigionare nel tessuto cicatriziale differenti corpi
estranei che possono rivelarsi elementi di disturbo nei processi fisiologici e biologici. Maggiormente le
cicatrici possono essere la sede di fissazioni o aderenze e queste generano obbligatoriamente una
modificazione della viscoelasticità dei tessuti e generare così un segmento o un organo in disfunzione. È
necessario dunque testare sistematicamente tutte le cicatrici.
Oltre a palpare il tessuto superficiale e i bordi cicatriziali occorrerà mobilizzare il tessuto sottostante. Con
l’aiuto dei polpastrelli di uno o due dita mobilizzeremo la zona circoscritta della cicatrice in tutti i piani
dello spazio, prendendola anche in profondità secondo la sua localizzazione. In casi di fissazione o di
aderenza sentiremo facilmente una corda più o meno resistente che ci impedirà lo spostamento. Spesso la
fissazione avviene su un solo asse.
Le aderenze
Conseguenti a cicatrici, infezioni, infiammazioni, sono in questi ultimi due casi meno visibili e potranno
essere messe in evidenza solo attraverso la palpazione e la mobilizzazione. In linea generale le aderenze
hanno sede a livello viscerale: piccolo bacino ,addome, torace. La dissezione mostra frequentemente che
ponti fibrosi si erano stabiliti fra pleura e polmone. La difficoltà in queste regioni è che non vi si può
accedere direttamente.

C- CASI PARTICOLARI
Affrontiamo a parte il discorso sui test di alcuni legamenti perché la loro patologia è molto frequente ed
essi sono la chiave della riuscita del trattamento osteopatico. Questi legamenti sono: i legamenti ileo-
lombare, i piccoli e grandi legamenti sacro-ischiatici e, in misura minore, il legamento comune vertebrale
anteriore e i legamenti cervico-pleurici.

187
1) I legamenti ileo-lombari (fig 115)
Prendendiamo come esempio il legamento destro. Il soggetto è in piedi con
le gambe leggermente divaricate; il terapista è posto dietro il soggetto in
contatto con lui e con un braccio posto sotto il braccio sinistro del paziente
cinge la parte bassa del torace di quest’ultimo. Fa scivolare il pollice destro
lungo la parte discendente della cresta iliaca per dirigersi in basso e in avanti
a livello dello spazio di L4-L5, entra in contatto con il legamento ilio-
lombare e ne apprezza l’elasticità.
In alcuni pazienti questo è perfettamente deteso e difficilmente percettibile.
Nella maggio parte dei casi è teso , della misura di una matita, perfettamente
individualizzabile e leggermente sensibile. In altri infine è talmente teso che
sembra calcificato, difficilmente mobilizzabile e di una sensibilità estrema.
Per facilitare la nostra palpazione possiamo, se necessario, fare una
traslazione sinistra del bacino accompagnata da una inclinazione destra del tronco, o associata ad una
rotazione destra , il paziente si appoggia al nostro braccio sinistro per essere perfettamente rilassato. Il test
di questo legamento può essere veramente efficace e rivelatore solo se fatto in piedi; in decubito dice
veramente poco. Questo legamento interviene soprattutto nella statica ed ha bisogno del peso per entrare
in azione e per essere testato più facilmente. Alla dissezione il legamento ileo-lombare appare spesso
come una struttura piuttosto circolare, della dimensione di una matita e di aspetto madreperlaceo dal
quale si deducono dei cambiamenti a livello del tessuto connettivo in seguito a sollecitazioni molto
importanti.

2) I piccoli e grandi legamenti sacro-ischiatici


Ricordiamoci semplicemente che la loro palpazione avverrà in decubito prono e che essi sono la sede di
enormi tensioni che possono farli risentire in alcuni casi come delle strutture indurite. Il piccolo
legamento è più difficile da mettere in evidenza perché è ricoperto da una grande massa muscolare.
Ricordiamoci i loro rapporti con il piramidale e, tra loro, il nervo sciatico. Infine non dimentichiamoci
che i legamenti ischiatici sono in rapporto con la regione intrapelvica.

188
3) Il legamento comune vertebrale anteriore (fig 116)
Durante delle patologie lombosacrali talvolta è utile testare
questo legamento. Il soggetto è in decubito supino con le
gambe piegate. Il terapista si pone lateralmente e posiziona i
polpastrelli delle dita delle due mani nella parte inferiore
della linea alba. Penetra progressivamente e in modo dolce e in profondità fino al contatto osseo. Realizza
uno stiramento longitudinale allontanando in senso opposto le dita di ogni mano, poi in modo molto dolce
fa uno stiramento trasversale.
La palpazione di questo legamento può essere talvolta molto dolorosa e accompagnarsi a una diffusione
di questo dolore a livello lombosacrale o a livello di un percorso radicolare. È evidente che questo test
non può che applicarsi a soggetti magri con addome facilmente deprimibile. È inutile volerlo realizzare in
un soggetto pletorico. Nella donna potrà essere fatto più facilmente. È inutile precisare che questa
palpazione si fermerà alla biforcazione aortica.

4) I legamenti cervico-pleurali (fig 117)


Sono tre e fissano il diaframma cervico-toracico alla prima costa
e alle vertebre cervicali. Da dietro in avanti sono:
- il legamento costo-pleurico;
- il legamento trasverso-pleurico
- il legamento vertebro-pleurico.
Nella normalità questi legamenti sono difficilmente
individualizzabili ma in caso di tensione si possono facilmente
sentire.
Il soggetto è in decubito supino e il terapista è dietro la testa del
soggetto. Per facilitare la palpazione, per esempio a destra, occorre sollevare leggermente la testa del
paziente con una latero-flessione destra. Con il pollice destro che passa davanti al trapezio si va a livello
della apofisi trasversa di D1, dunque del legamento costo-pleurale; poi descrivendo un arco di
circonferenza da dietro in avanti si cerca di individuare gli altri fasci. Questa palpazione può avvenire in
posizione seduta ma sarà più difficile da realizzare a causa
delle tensioni fasciali che sopraggiungeranno.
Ricordiamoci che il ganglio stellato è situato in prossimità
del legamento costo-pleurale e che quest’ultimo termina in
modo bifido (questa biforcazione dà passaggio alla radice
D1).

189
Cronologia dei test
Quando abbiamo da testare una zona qualunque del corpo è bene seguire un certo ordine per ottimizzare
le informazioni.
- prima di tutto occorre saper osservare e, come abbiamo già detto, ciò può essere molto istruttivo;
- in seguito occorre fare il test di motilità che permette sia di rassicurare il paziente sia di entrare il
contatto con i suoi tessuti;
- infine si procede all’esecuzione del test palpatorio e di mobilità.
Ci teniamo a ripetere che sarebbe dannoso limitarsi a un solo parametro. La diagnosi osteopatica deve
essere una diagnosi di convergenza, cioè accumulare il massimo di informazioni cliniche, radiologiche,
biologiche, test di ascolto e di mobilità e questo per affermare con la minima possibilità di errore l’origine
dei lamenti del paziente.

190
TRATTAMENTO DELLE FASCE

SCOPI DEL TRATTAMENTO


Ogni aggressione, qualunque sia l’origine, sarà seguite da una modificazione in seno ai tessuti
(cambiamento della struttura che diventerà granulosa, edematosa, indurita, con aumento della sensibilità
miofasciale). Queste modificazioni attraverso dei fenomeni biochimici e meccanici genereranno una
disfunzione delle fasce che genererà a sua volta un cambiamento nel comportamento fisiologico di un
segmento o di un organo.
Bednar e Coll hanno constatato dei cambiamenti degenerativi nelle fasce che consistono in una
separazione dei fasci di collagene con formazione di tessuto misto oltre a infiltrazioni di linfociti e di
plasmacellule. In alcuni pazienti si ha una proliferazione vascolare con una anomalia capillare a spese
della lamina basale esterna, in altri pazienti si ha la presenza di microcalcificazioni.
Se l’aggressione è troppo forte o se persiste troppo a lungo abbiamo visto che va a perturbare gli scambi
tra la sostanza fondamentale e la cellula. Questo fenomeno darà origine ad una irregolarità della cellula
nel suo interno e questa irregolarità si evolve verso la cronicità o la patologia. Una delle principali cause
di disfunzioni fasciali è attribuita ai traumi. In caso di trauma importante devono essere considerate le
fasce di tutto il corpo. Il cambiamento del tessuto può essere immediato o intervenire nella notte o nei
giorni seguenti all’incidente. Il trattamento dei traumi deve essere intrapreso il più rapidamente possibile
e iniziare preferibilmente attraverso un lavoro tissutale.
Le modificazioni in seno al tessuto connettivo si ripercuoteranno sul sistema simpatico e sensitivo.
Questa situazione genererà degli influssi afferenti perturbati, essi stessi all’origine di uno stato di
facilitazione midollare creando così un circolo vizioso automantenuto. La facilitazione delle vie
simpatiche genererà una perturbazione della secrezione ghiandolare, della vasomotricità, delle funzioni
dei visceri….
Questo aumento del tono simpatico può rivelarsi dannoso. Nella normalità il sistema nervoso simpatico
gioca un ruolo importante negli aggiustamenti di protezione e di adattamento dell’ambiente interno in
rapporto alle variazioni dell’ambiente esterno, al lavoro muscolare, allo stress emozionale….il simpatico
inibisce l’attività dei visceri che non sono immediatamente implicati in queste situazioni e diminuisce il
debito di sangue in questi visceri e nella pelle a favore dei muscoli striati. Questi periodi sono in generale
brevi e seguiti da periodi di riposo. Una simpaticotonia permanente genera una riduzione del debito di
sangue, una inibizione delle attività della secrezione, uno spasmo degli sfinteri….. e tutto ciò termina con
una lesione o a una disfunzione degli organi coinvolti.
Bisogna notare che le manifestazioni cliniche possono cambiare con il tempo. Una iperidrosi può dar
luogo a una ipoidrosi, un angiospasmo può lasciare il posto ad una atonia vasomotrice con stasi,

191
infiammazione, edema…. Ciò vuol dire che lo stato cronico inizia a produrre dei cambiamenti
degenerativi, inizialmente può anche non persistere una simpaticotonia evidente o addirittura essere
mascherata in qualche modo.
A livello delle ghiandole endocrine una simpaticotonia prolungata modificherà le risposte normali dei
tessuti agli ormoni circolanti, inoltre l’ischemia locale che la simpaticotonia genera a livello di tessuti
endocrini potrà produrre degli effetti estesi e allontanati dalla zona facilitata.
I processi che si svolgono a livello del segmento facilitato fanno sì che una volta installata, la
facilitazione può persistere a lungo dopo la scomparsa dell’irritazione che aveva scatenato inizialmente il
processo. In funzione di questi dati appare che una lesione a livello del tesuto connettivo, se è persistente,
genererà più o meno a lungo termine un fenomeno lesionale automantenuto, in un secondo tempo
dall’entrata in gioco di un sistema neurologico che è esso stesso all’origine di uno stato di facilitazione;
si crea così un circolo vizioso che se non verrà interrotto porterà a dei fenomeni degenerativi che
perturbano le funzioni fisiologiche.
Lo scopo di un trattamento osteopatico sarà dunque quello di interrompere questo circolo vizioso
correggendo gli spasmi, le tensioni, le irritazioni dei tessuti, oltre che lo stato di simpaticotonia, tutto ciò
affinchè le fasce ritrovino pienamente il loro stato funzionale.
La liberazione dei tessuti e la correzione delle posture sono di grande importanza per il mantenimento di
una buona emodinamica. Se questa emodinamica non è perturbata, gli scambi dei tessuti possono
avvenire normalmente. I tessuti saranno ben vascolarizzati e riceveranno dunque tutti gli elementi
necessari alla loro funzione (ormoni, proteine…..). i prodotti di scarto relativi al loro metabolismo
potranno essere eliminati evitando la stasi locale fonte di disfunzioni. Il sistema neurologico libero da
tutte le forzature potrà esprimersi pienamente per facilitare gli scambi e veicolare le informazioni
necessarie al mantenimento dell’omeostasi. Dobbiamo dunque sorvegliare che i tessuti siano liberi da
tutte le forzature perché queste sono fonte di disfunzioni che con il tempo genererebbero fenomeni
degenerativi. Così per esempio se le fasce attorno ad un’articolazione esercitano una sollecitazione
mantenuta nel tempo potrà esserci una perturbazione della lubrificazione articolare. Questa perturbazione
sarà all’origine di una degenerazione che porterà alla fine ad un’usura precoce dell’articolazione. Il test
fasciale consiste, come abbiamo detto, nel decifrare il messsaggio emesso dal tessuto. Quando questo
messaggio sarà integrato e compreso il trattamento che ne deriva dovrà apportare una risposta adeguata
alle informazioni ricevute.

192
MODALITA' E PRINCIPI

Stabiliremo un principio generale per la correzione dei tessuti, che possa applicarsi a tutte le fasce, con
riserva di utilizzo solo per le zone interessate e in funzione della patologia. Tale principio avrà lo scopo
di ristabilire la funzione del tessuto, risanando in primo luogo la funzione di un tessuto cioè la motilità e
la mobilità che saranno loro stesse seguite da una restaurazione dell'emodinamica e del tono nervoso. Nel
capitolo dedicato ai test è stato detto che per mezzo della nostra mano si stabilisce dapprima un contatto
con le fasce, e successivamente s'instaura un dialogo che permette di decifrare il messaggio emesso dalle
stesse. Il trattamento è il prolungamento dei test. Come vedremo nelle tecniche specifiche, la maggior
parte delle correzioni fasciali sono direttamente indotte dal test. Al momento in cui si rileva una
perturbazione all'interno del tessuto si può agire continuando il dialogo, cioè apportando l'aiuto
necessario affinché questa fissazione sia soppressa. Il terapeuta, che fino ad ora era passivo, in ascolto,
diverrà attivo e operante.
Due sono le condizioni essenziali in questo compito:
- precisione
- scelta della tecnica giusta

La precisione
Indispensabile per il buon esito del nostro trattamento. Più la correzione sarà precisa, più rapidamente
otterremo un rilasciamento delle tensioni ; di conseguenzapiù rapidamente il tessuto ristabilirà le sue
funzioni fisiologiche. Quando un tessuto è stato traumatizzato, nella maggior parte dei casi è incapace di
alleviare il traumatismo. Però, come è stato detto, la fascia è dotata di una memoria, e di una certa
intelligenza; pertanto, conosce il proprio problema e pare attendere che un intervento esterno possa
conferirgli un impulso che gli serva a ristabilire le sue funzioni. Più questo impulso sarà preciso e
adeguato, più facilmente la fascia dialogherà con il terapeuta e sarà pronta a lasciarsi trattare.

Scelta della tecnica


In funzione della zona da trattare, del tipo di tessuto, delle diverse patologie o distorsioni riscontrate, si
cercherà un'appropriata risposta tecnica. Se si effettua una correzione precisa con un'adeguata tecnica,
avremo il più alto margine d'efficacia.
Il trattamento fasciale implica due modalità correttive primarie:
- l'induzione
- il trattamento diretto
-

193
A- L'INDUZIONE
1) Principio
Deriva direttamente dal test di ascolto; tale test ci ha mostrato che i tessuti hanno un'attrazione particolare
verso il punto di fissazione. Esiste una focalizzazione delle forze che circondano questo punto di
fissazione, che rinforzano ancora di più le tensioni al quel livello.
La tecnica consiste, quindi, nel seguire la direzione delle tensioni i tutti i suoi parametri. Talvolta, si può
trovare un unico asse di tensione, ma a volte possono esisterne due o tre.
A quel punto è necessario riequilibrare il tessuto in funzione di assi diversi; se ne dimentichiamo anche
uno solo la tecnica non sarà valida perché persisterà un elemento di disturbo.
2) Modalità tecniche
La mano deve esser libera di dirigersi fino al punto di fissazione, a quel punto avremo soppresso gli assi
di stiramento e saranno ridotte le forze che si applicano in tal punto. Mantenendo la posizione con una
leggera pressione di qualche secondo, o addirittura per uno o due minuti, si potrà indurre un rilassamento
che si avvertirà sulla nostra mano.
E' necessario diminuire la pressione e poi rimetterci in ascolto e di nuovo in induzione, fino a che il
tessuto non sarà libero in tutti i parametri.
Nel momento in cui si riprende un secondo contatto, è necessario modificare i parametri dell'asse; in
effetti, un asse di tensione potrebbe aver ceduto, ma in un secondo tempo un altro preferenziale può
apparire. Se non gestiamo in permanenza il nostro aiuto manuale in funzione dei vettori di tensione,
bloccheremo la motilità dei tessuti, non prmettendo l’attuarsi della correzione.
In alcuni casi ci troviamo alla presenza di lesioni assai radicate o datate, che difficilmente cedono
spontaneamente con una sola messa in equilibrio. E' dunque necessario esser più attivi nel supporto da
fornire ai tessuti. La pressione sul punto di fissazione sarà un po’ più accentuata, in modo da realizzare un
leggero stiramento; potrà esser allentata per ricominciare a recuperare progressivamente terreno, cinque o
sei volte di seguito.
La mano può anche attuare uno stiramento opposto al punto di fissazione, per sollecitare le tensioni
tutt'intorno, poi tornare sul punto di fissazione, creare una pressione al suo livello, rilasciare e di nuovo
ripartire in stiramento opposto. Il tutto in media per cinque o sei volte.
In genere, con tale trattamento, il tempo necessario al rilasciamento si stabilisce intorno ai tre / cinque
minuti, oltre i quali è opportuno interrompere, perché una stimolazione troppo prolungata rischia di
generare una risposta inversa a quella voluta, cioè un rinforzamento delle tensioni. Tornando un po’ più
tardi sulla zona trattata, è sorprendente constatare un netto miglioramento della situazione. Il tempo di
latenza come risposta alla correzione sarà in tal caso aumentato. Talvolta questa latenza può necessitare di

194
ventiquattro ore o addirittura di giorni, in base alla cronicità della lesione o alle capacità di adattamento
del paziente.
E' evidente che come accadeva per il test di ascolto c’è la necessità, nell'induzione, di rispettare il ritmo
dei tessuti del soggetto. Il micromovimento che realizziamo dovrà essere accompagnato solo da quello dei
tessuti, altrimenti supereremo la possibilità di risposta delle fasce ottenendo solo uno spasmo riflesso.
L'induzione sarà in particolare adattata ad ampie porzioni di fasce, o ad un equilibrio più generale;
risulterà meno efficace sui legamenti, sui mesi, sugli strati fasciali o sugli indurimenti fasciali. Se la zona
da trattare è molto estesa, la tecnica si attuerà con le mani distanziate l'una dall'altra. Verranno a crearsi
così due punti di fissazione intorno ai quali si potrà mobilitare e armonizzare un segmento di fascia: in
realtà, quando un segmento o tutta una fascia è inibita, ha bisogno di un punto fisso esterno, punto
intorno a cui rilanciare la sua motilità.

B- TRATTAMENTO DIRETTO
1) Principio
Il trattamento fasciale diretto consiste nel prendere contatto tramite i polpastrelli di uno o più dita, con la
zona lesa per mobilitarla, stirarla, inibirla fino a correggere la lesione. Ciò si applica soprattutto su zone
specifiche: legamenti, mesos, o segmenti di ascia in cui si è diagnosticato uno strato fasciale, un'aderenza,
un punto d'indurimento, una modifica della fascia d'inserzione. Interviene più spesso in fissazioni datate,
in cui le modificazioni dei tessuti sono già ben stabilizzate, e in cui l'induzione non è più sufficiente per
ristabilire la normalità.
A questo livello si constatano, come abbiamo segnalato, delle modificazioni della visco-elasticità, dei
cambiamenti nella struttura della fascia con la comparsa di strati fasciali, madreperlacei, molto tesi,
attorcigliati, o delle zone d'indurimento, che vanno dal granello di sabbia al nocciolo d'oliva. Gli scambi a
livello dei tessuti sono perturbati, è un'area di importanti tensioni permanenti che andranno ad
automantenere i fenomeni degenerativi.
In quest'area la fascia è sottomessa, non più capace di difendersi da se stessa, stordita, incapace di
sostenere questo stordimento, necessita di un aiuto esterno per ristabilire i meccanismi fisiologici che
sono stati inibiti da un'aggressione.
Sarà dunque necessario risvegliare la zona fasciale lesionata attraverso un'appropriata tecnica,
massaggiatura o stiramento, per generare un meccanismo funzionale normale. Questo letargo dei tessuti
può durare anni se trascurato, e divenire col tempo nucleo di fenomeni cronici degenerativi.
Nonostante ciò, si è constatato che anche a lunga distanza è sempre importante intervenire, dato che la
possibilità, anche minima, di recupero sussiste sempre.

195
A tal proposito vorremmo citare due esempi, che non sono direttamente legati a un trattamento
osteopatico, ma che illustrano perfettamente come un tessuto può recuperare la propria memoria dopo un
lungo letargo. I suddetti casi sollevano una serie d'interrogazioni sulla possibilità d'intervenire
eventualmente su situazioni all'apparenza disperate, di cui è ancora necessario trovare una modalità
tecnica. Il primo, di cui tutte le televisioni hanno parlato, riguarda una giovane americana che scriveva al
contrario, tanto che per leggerla occorreva uno specchio; un colpo alla testa le ridona una capacità di
scrittura normale. Il secondo caso, di cui un po’ si è parlato, è ancor più straordinario; un uomo di circa
settant'anni anni, emiplegico da una ventina d'anni, afasico e in stato di letargo, viene ospedalizzato per un
problema cardiaco. A causa di uno stato di agitazione cade dal letto e subì un trauma alla testa, in seguito
al quale recupera l'uso della parola e della memoria, come dopo essersi risvegliato da un sonno di
vent'anni. Attualmente ha recuperato tutte le sue capacità mentali, ma non quelle fisiche.
I due casi suddetti testimoniano una rimessa in moto dei circuiti, di un contro choc del tessuto nervoso
non grazie a un intervento umano ma a un traumatismo benefico. Queste situazioni fanno davvero
riflettere.
2) Modalità tecniche
Le tecniche dirette sono segmentali e consistono in un contatto diretto con la zona da trattare, e partendo
dalla zona stessa esercitare una pressione o di uno stiramento più o meno forte a seconda della zona o del
segmento coivolto,in funzione del soggetto e dell'origine della lesione.
Certi tessuti necessitano di un contatto dolce e di una forza moderata per riprendere la loro libertà. Altri,
invece, richiedono un contatto più fermo e una forza più importante per risvegliarsi, come vedremo. In
alcune zone la pressione può risultare al limite del tollerabile. Nell'ultimo caso pare che il punto di
pressione esercitato per sopprimere la lesione corrisponda all'effetto dell’ago di Lewit: secondo questo
studioso, l'efficacia di un trattamento dipende poco dall'agente immesso, ma è collegato piuttosto
all'intensità del dolore prodotto nell'area di rilassamento e alla precisione con cui l’ago (il dito) ha
localizzato il punto di sensibilità massima.
A proposito del dolore, era stato detto che poteva essere utile ma ingannevole. Nel caso di lesioni fasciali,
è praticamente sempre presente, talvolta eccessivamente vivo. Lo si riscontra sempre nelle bande fasciali,
nei punti di indurimento isolati o d'inserzione fasciale. Possiamo dire che nei casi di lesione della fascia, il
dolore è un elemento di diagnosi e la sua diminuzione o sedazione è un fattore di riuscita del trattamento.
Bisognerà tenerne conto, pertanto, dosando l'intensità in funzione del paziente, della zona da trattare o del
tipo di lesione. In effetti, se alcuni pazienti lo tollerano bene, altri ne tollerano una soglia minima che
dovrà esser presa in considerazione.
In punti come i legamenti plantari, ad esempio, è possibile una pressione assai dolorosa, cosa che è
sconsigliata in punti come nella doccia bicipitale.

196
In ogni caso, praticando un trattamento con una pressione dolorosa, è prudente non prolungarlo oltre certi
limiti, altrimenti ne scaturisce una reazione inversa all'effetto cercato. Le tecniche dirette per trattare una
fascia si possono quindi riassumere in:
 pressione tipo massaggio (pompage);
 stiramento,
 pressione tipo scivolamento,
 caso particolare dei legamenti;
 tecnica strutturale.

PRESSIONE TIPO MASSAGGIO (fig. 118)


Si applica soprattutto a una zona puntiforme o di estensione
limitata: punto di inserzione di una fascia, zona modulare…
Dopo aver identificato esattamente la zona da trattare, occorre
applicare una pressione più o meno accentuata (in genere con il
pollice) sercitando, nello stesso tempo, uno stiramento e una
rotazione del pollice come se si volesse effettuare un
massaggio. La pressione dovrà essere progressiva e non brusca,
occorre aspettare che le fasce ci diano libero accesso. Per una
efficacia ottimale, malgrado il dolore possibile e la pressione, occorrerà seguire il movimento delle fasce
che progressivamente ci porteranno al punto massimo.
Mantenere la pressione per qualche secondo e poi iniziare di nuovo la manovra lasciandoci sempre
guidare dalle fasce. Spesso è sufficiente per avere un notevole miglioramento una ripetizione di 4 o 5
volte. Questa ripetizione è valida anche per le altre tecniche (salvo quella strutturale) quindi noi
consideriamo questo come acquisito. Si sospende poi la tecnica per ritornarci ulteriormente se necessario.
Lo scopo di questa tecnica è di reprimere per quanto si può l’indurimento. Occorre immaginarsi di avere
fra le dita un corpo friabile che va ridotto progressivamente in polvere.
La fascia si trova in uno stato di siderazione, la pressione tipo masaggio toglie progressivamente questa
siderazione. La fascia ritrova la sua motilità e la sua mobilità e molto rapidamente la zona indurita, che ci
sembrava una calcificazione, sparisce.

197
STIRAMENTO (FIG. 119)
Si applica su una banda fasciale o su una porzione di fascia di qualche centimetro. In casi di banda
fasciale abbiamo segnalato che questa può essere molto tesa e presentare talvolta un bordo tagliente.
1. Determinare due punti estremi della banda
2. prendere contatto con i polpastrelli di due dita a
livello di questi punti ed esercitare una trazione
longitudinale nell’asse della banda tenendo conto
dei movimenti fasciali.
3. In un secondo tempo agganciare con una o due dita
il bordo tagliente ed esercitare una trazione
perpendicolare progressiva tenendo sempre conto
del movimento fasciale. Questa seconda manovra
sarà più dolorosa della prima; occorrerà dunque
saper giocare con il dolore.
Se abbiamo a che fare con una porzione di fascia (in generale si tratterà di una regione profonda o di un
piano di separazione di due fasce)
1. seguire con le dita delle mani o con i due pollici tutta l’estensione della zona, penetrare
progressivamente in profondità fino al punto di
contatto
2. eserciterare una trazione longitudinale attraverso un
movimento inverso delle dita di ciascuna mano.
3. Mantenendo la trazione longitudinale si eserciterà
infine una trazione perpendicolare alla fascia.
Occorre sempre tenere conto dei movimenti delle fasce e
questo è valido per ciascuna tecnica che vedremo più avanti
(fig. 120). Se la tensione è superficiale tipo una cordicella
sarà sufficiente una trazione perpendicolare alle fibre. Anche qui si tratterà di togliere lo spasmo alla
fascia, sopprimere la sua congestione, e da qui la sua tensione e irritazione. Occorre immaginarsi di avere
tra le mani un impasto spesso che si vuole ridurre a un piccola pellicola facilmente mobilizzabile tra le
dita.

198
PRESSIONE TIPO SCIVOLAMENTO
Si esercita sia su una zona arrotondata di grossa
misura e fissata in profondità al periostio, sia su
una zona di grande lunghezza per esempio la
fascia tibiale, sia su una zona di grande
lunghezza come una fascia di separazione.
- su una zona estesa (fig. 121)
Far scivolare il dito lungo la fascia esercitando una pressione moderata. Si possono incontrare numerose
situazioni:
1. Possiamo avere a che fare con un aumento delle ondulazioni fasciali: in questo caso
eserciteremo una potenza nella pressione, con il pollice, finchè l’ondulazione non si
attenua e ci permette di passare a quella seguente. È un po’ come se avessimo a che fare
con della carta sgualcita che vorremmo lisciare.
2. Possiamo essere in presenza di una banda fasciale tesa e attorcigliata; eserciteremmo in
questo caso una potenza nella pressione ma aggiungeremmo anche una rotazione come se
volessimo riaddrizzare la fascia; quando cade la tensione si può proseguire con lo
scivolamento.
3. il pollice potrebbe essere frenato da una zona tesa ed
edematosa; in questo caso eserciteremo una presione
più accentuata con eventualmente un movimento
rotatorio finchè la fascia non ci lascia continuare il
nostro percorso.
- su una fascia di separazione
Come nel caso precedente la tecnica consisterà nel far scivolare il
pollice nel piano di separazione dellle due fasce. Incontreremo dei
segmenti più tesi e dolorosi. Fermeremo in quel punto la nostra
progressione esercitando una pressione più accentuata e accompagnata
da un movimento rotatorio o di trazione perpendicolare.
- su una zona arrotondata
Si incontra particolarmente nei distretti dove la fascia è direttamente in
contatto con il periostio. Si tratta di una zona rotonda, edematosa,
sopraelevata e con un punto di fissazione al periostio nel suo centro
(fig. 122 e 122 bis). Occorre fare una pressione su tutta il contorno
della zona dirigendosi verso il centro; si prende poi contatto con il

199
punto di fissazione e mentre si eserciterà una pressione molto marcata si stirerà in tutti i sensi. Lo scopo
di questa tecnica è lo stesso degli altri casi. Per facilitare il trattamento si può immaginare di avere un
cubetto di ghiaccio fra le dita da far sciogliere progressivamente. È sempre la ricerca della fluidità.
- legamenti
Rappresentano una categoria a parte per la loro funzione e le modalità di trattamento. Occorre prendere
contatto con il pollice in generale ed esercitare poi una pressione perpendicolare allle sue fibre. Quando
questo diventa possibile occorre prendere un secondo punto di contatto con l’aiuto del palmo dell’altra
mano, con la sua inserzione più accessibile al fine di costituire una coppia con le due mani (una mano
esercita una pressione stiramento e l’altra una pressione stiramento variando leggermente la sua posizione
per lavorare in ogni piano). Se ne abbiamo la possibilità, dopo aver preso contatto con il legamento, si
mobilizza il corpo attorno al legamento per permettere il suo rilasciamento. Vedremo tutto ciò nella
tecnica del legamento ileo-lombare. Nel caso di lesione alcuni legamenti diventano molto tesi e alla
palpazione. sembrano completamente induriti Occorre quindi ridare loro una certa elasticità.

- strutturale
Le tecniche strutturali restano il trattamento per eccellenza delle fasce soprattutto delle fasce corte e
profonde difficilmente accessibili alla palpazione. Una lesione strutturale nella maggior parte dei casi è
prima di tuttto una lesione fasciale. Allo stesso modo una disfunzione somatica non può essere mantenuta
che dai tessutoi molli circostanti. Questi tessuti si modificano, si fibrotizzano e fissano maggiormente la
lesione con la comparsa di fenomeni degenerativi a lungo termine. È evidente che quando abbiamo a che
fare con una lesione vertebrale è dificile avere accesso alle fasce profonde e ai loro prolungamenti: i
numerosi legamenti periarticolari. Inoltre, se la lesione è vecchia, questi saranno in uno stato di tensione
massima, spesso prossima alla calcificazione. La tecnica strutturale in questi casi è la più adatta e
certamente la più efficace. Si tratta di realizzare uno stiramento rapido dei tessuti, cosa che permetterà di
sopprimere lo spasmo di cui questi sono vittime e di creare un rilasciamento che renderà la libertà
all’articolazione.
Tutte le lesioni strutturali non sono unicamente mantenute da un processo fasciale. L’articolazione tibio-
carsica, le metacarpo-falangee, le interfalangee in particolare sembrano procedere in altro modo. È certo
che la loro lesione si associa ad un fenomeno tissutale ma la liberazione di questo non corregge sempre la
lesione. In effetti a livello delle articolazioni si aggiunge un fenomeno di vuoto articolare che unisce le
parti dell’articolazione le une contro le altre a mo’ di ventosa. Tutto questo fa sì che se noi non
decoattiamo l’articolazione e ricreiamo una certa pressione al suo interno questa non ritornerà funzionale.

200
LE TECNICHE SPECIFICHE

Non descriveremo sistematicamente tutte le tecniche specifiche delle fasce ma prenderemo alcuni esempi
a livello di diverse regioni del corpo per illustrare il principio generale di trattamento fasciale annunciato
al capitolo precedente.

A- L’ARTO INFERIORE
a) il legamento plantare (fig. 123)
In seguito a diverse distorsioni che subisce il piede è
frequente constatare una tensione importante del
legamento plantare. Questa tensione blocca tutto il
meccanismo del piede e impedisce spesso la riuscita
delle tecniche strutturali specifiche e può, infine
essere all’origine di una spina calcaneare.
 Il soggetto è in decubito prono con le gambe piegate
 penetrare in profondità per sentire la corda che tende la volta plantare.
 In un primo tempo esercitare una pressione mentre si scivola insistendo sulle zone con maggiore
sensibilità.
 In un secondo tempo agganciare il legamento con i polpastrelli delle dita e stirarlo
trasversalmente.
Questa tecnica è molto dolorosa: occorre dunque prevenire il paziente che dovrà essere consenziente.
Occorre sempre rimanere nel limite del tollerabile. Prese queste precauzioni il trattamento dovrà essere
deciso ma breve. Il risultato è spesso molto rapido, nella maggior parte dei casi bastano una o due sedute,
anche se abbiamo a che fare spesso con dei casi di vecchi traumi importanti. In caso di spina calcaneare,
dopo aver trattato il legamento plantare occorrerà insistere direttamente a livello della spina attraverso
una pressione-rotazione per trattare la fascia a livello della inserzione sul tallone, in seguito salire lungo il
tendine di Achille per arrivare al polpaccio, dove le tensioni si situano più spesso nel piano di divisione
dei gemelli. Anche in questo caso la fine del dolore deve essere rapida. Talvolta constatiamo una
diminuzione della spina o una sua scomparsa.

201
b) la fascia della gamba (fig. 124)
ricopre direttamente la tibia ed è frequentemente implicata nelle lesioni dell’arto
inferiore, oltre che essere la chiave del successo del trattamento di un ginocchio
o di una caviglia.
 Il soggetto è in decubito supino, con le gambe stese o piegate e i piedi
che poggiano sulla tavola.
 Esercitare una pressione da scivolamento lungo la fascia, insistendo
attraverso stiramenti, pompage, rotazione sulle zone di fissazione. Si sale
così fino al piatto interno della tibia.
Tutti i punti di fissazione devono essere rilasciati, in questo momento si potrà far
scivolare il dito lungo la fascia senza ostacolo e senza dolore. Il trattamento
della fascia e della gamba è spesso la chiave per un problema di caviglia
dolorante, in cui si ha difficoltà alla flessione plantare. In seguito ad una
distorsione lo stiramento brutale, generato dal falso movimento, si è ripercosso
esclusivamente sulla fascia della gamba, preservando i legamenti della caviglia ma creando una tensione
fissatrice su questa.
Segnaliamo anche che la fascia della gamba è una zona preferenziale di prevenzione dei problemi
ginecologici nella donna. Questi sono all’origine di modificazioni fasciali riflesse che si situano
generalmente a metà tibia sul lato esterno e sul condilo interno, sotto forma di una zona edematosa
infiltrata e dolorante. Il trattamento di queste zone dà spesso per via riflessa dei risultati interessanti a
livello ginecologico. Talvolta tutta la fascia è in disfunzione senza un particolare punto di fissazione. Il
trattamento avverrà sotto forma di ascolto-induzione sia in modo globale ponendo una mano a livello
della parte inferiore della tibia e una in quella superiore, sia in maniera segmentale per finire via via in
modo globale.

c) la coscia
Nella maggior parte dei casi i problemi della coscia si situano a livello esterno e interno.
1) a livello esterno (fig. 125)
Sono tutte distorsioni legate alla fascia lata.
Il soggetto è in decubito supino con le gambe stese.
Con i polpastrelli di due o tre dita facciamo una
pressione da scivolamento lungo il tratto ileo-
tibiale. Incontreremo speso un aumento di
ondulazioni come se fossimo in presenza di una

202
tenda ondulata. Occorrerà cercare di ridurre progressivamente queste ondulazioni. Incontreremo lungo il
tragitto dei punti dolorosi sotto forma di granulazioni e occorrerà ridurli attraverso una levigazione-
rotazione. Qui, come in tutti i casi di trattamento delle fasce, l’efficacia si tradurrà in una diminuzione
della tensione, in una riduzione del dolore e in un miglioramento funzionale. Ciò vale per tutte le fasce e
dunque è applicabile ad ogni tecnica. Ritorniamo un attimo sul dolore per segnalare che questo può essere
acuto e al limite del tollerabile e se il trattamento è ben condotto e preciso questo deve totalmente cessare
in un lasso di tempo molto breve. Se il trattamento è mal condotto o la fascia reagisce troppo
violentemente persisterà per più giorni un dolore residuo, anche se inizialmente la zona trattata poteva
essere non dolorante.
2) a livello interno (fig. 126)
 Il soggetto è in decubito supino con il
ginocchio e l’anca leggermente piegate.
 Il terapista si posiziona lateralmente
ponendo un ginocchio sulla tavola e
facendo riposare la faccia esterna della
coscia del paziente sulla propria coscia.
 Posizionare polpastrelli delle dita delle due
mani lungo il piano di divisione degli adduttori e esercitare una pressione da stiramento. Se esiste
un punto di fissazione più importante si pongono i due pollici sul bordo superiore degli adduttori,
realizzando in seguito uno stiramento trasversale spingendo verso il lettino.
d) lo sciatico (fig. 127)
Per finire con l’arto inferiore parleremo del trattamento della fascia sciatica. Abbiamo detto nei test che
questa poteva essere fonte di irritazione e causa dell’origine o del mantenimento di una sciatica.
Raccontiamo per questo un aneddoto importante. Come molte persone abbiamo conosciuto pazienti che
avevano consultato dei guaritori che avevano ‘messo loro a posto dei nervi’ o ‘rimontato i nervi’ e nel
caso di sciatica il risultato era talvolta spettacolare. La tecnica consisteva nel mettere il paziente in
decubito prono o in piedi e con il pollice risalire lungo lo sciatico fino al gluteo o lungo il dorso fino alle
vertebre cervicali. Inutile precisare che nella maggior parte dei casi il paziente aveva un ricordo
indimenticabile; il pollice del terapista solcava tutta la zona da trattare e talvolta ne restava una traccia
lunga a sparire. Comunque il paziente si trovava spesso alleggerito della sua sciatica. Per anni ne abbiamo
cercato una spiegazione. Quest’ultima pertanto era molto semplice e lo studio più approfondito
dell’anatomia lo ha dimostrato.
Lo sciatico è circondato da una fascia, la tensione di questa, molto semplicemente, può irritarlo. La
solcatura non rimetteva il nervo a posto ma faceva semplicemente un lavoro fasciale. La tradizione

203
popolare è sempre fondata su una certa verità. Lo stress generato dalla tecnica sembrava risvegliare la
fascia che si trovava in uno stato di ipofunzionalità e si irritava. Il forte stimolo aveva inibito la
siderazione e rimesso in memoria la fisiologia normale.
Abbiamo dunque adattato e applicato questo trattamento molto spesso con successo.
 Il soggetto è in decubito prono;
 dopo aver trovato la zona di restrizione che si trova
spesso a metà coscia, introduciamo i polpastrelli
delle dita di due mani in profondità per realizzare
uno stiramento longitudinale e trasversale.
 Discendiamo lungo la fascia fino al polpaccio; poi
appoggiamo una coscia sul tavolo e vi poniamo
sopra la gamba piegata del paziente. Procediamo in
seguito con lo stiramento o la pressione-inibizione del punto specifico. Non è necessario nella
grande maggioranza dei casi esercitare una pressione troppo forte facendo male al paziente, né
solcare con il pollice tutto l’arto inferiore, ciò può essere fatto in
modo più dolce.
Spesso constatiamo dopo un tale trattamento un miglioramento
funzionale con diminuzione netta del segno di Lasègue. Ben inteso che
questa tecnica non è esclusiva del trattamento della sciatica, ma si
accompagna a una esplorazione minuziosa delle cause possibili e molto
frequentemente si associa ad altre tecniche.

B- IL BACINO
Non insisteremo sulle tecniche di liberazione dei piccoli e grandi legamenti sacro-ischiatici o del
piramidale, che tutti conoscete, ma segnaliamo il fatto che il piccolo legamento sacro-ischiatico è spesso
la chiave dei problemi del bacino e dell’arto inferiore. Sarà dunque necessario esplorarlo
sistematicamente. Descriveremo essenzialmente due tecniche per: le fasce glutee e i legamenti ileo-
lombari e lombo-sacrali.

204
- Le fasce glutee (fig 128)
Ricoprono una grande superficie e sono costantemente sollecitati a causa
della posizione eretta.
 Il soggetto è in decubito prono
 con il pollice, attraverso una pressione scivolamento o una tecnica
di inibizione o stiramento andiamo a trattare: i legami di inserzione
lungo la cresta iliaca, dove incontriamo spesso delle bande fasciali
o delle zone nodulari; le fasce che avvolgono i diversi fasci
muscolari e che seguono una direzione obliqua in basso e in fuori
(per una migliore efficacia sarà necessario penetrare
profondamente tra i fasci); l’inserzione della fascia lungo il bordo
laterale del sacro, in contatto con l’osso, dove le bande fasciali e le zone nodulari sono frequenti.
In molti pazienti, per una maggiore efficacia, questa tecnica dovrà praticarsi in piedi.
Facendo l’esempio di una fascia di destra: ci si pone dietro il paziente, che si appoggia contro il terapista;
si passa il braccio sinistro sotto quello del paziente, cingendolo; sostenendo il paziente col braccio sinistro
si fa una traslazione sinistra del bacino, accompagnata da una inclinazione destra del busto. Questo
permette di diminuire le tensioni a livello della fascia e di realizzare un miglior lavoro con la mano destra.

- Il legamento ileo-lombare (fig 129)


È una vera e propria corda tesa tra le apofisi trasverse di L4-L5 e la cresta
iliaca. È una chiave essenziale per la normalizzazione della cerniera lombo-
sacrale. Come abbiamo segnalato, la tecnica si fa solo in posizione eretta; in
decubito prono non è efficace. Questo legamento ha bisogno, per essere
trattato, di un peso che lo metta in tensione. Prendiamo l’esempio del
legamento di destra:
 il soggetto è in posizione eretta con i piedi leggermente divaricati.

 Il terapista si pone dietro di lui e si mette in contatto con il dorso del


paziente. Il braccio sinistro del terapista, passa sotto quello del
paziente,e cinge quest’ultimo.
 Il pollice destro si posiziona a metà del legamento ed esercita una
pressione perpendicolare a questo.

205
Spesso anche una semplice pressione può essere dolorosa, con l’impossibilità di deprimere il legamento
come se fosse calcificato. Occorrerà dunque avvalersi della partecipazione di tutto il corpo, per integrarlo
in uno schema generale.
Si porterà poi l paziente in flessione anteriore, più o meno accentuata, e questo tramite un semplice nostro
indietreggiamento. I piedi del soggetto non devono muoversi durante tutta la manovra, in seguito si
eseguirà una latero flessione destra e una rotazione sinistra.
Durante tutto questo temop il pollice esercita una pressione costante sul legamento, in funzione del
dolore. Occorrerà riaggiustare la posizione del corpo attorno al legamento; ritornare alla posizione iniziale
e reintrodurre in seguito i diversi parametri.
La difficoltà di questa manovra è che spesso i pazienti, per paura di cadere, si contraggono e ciò rende la
tecnica impossibile. Occorrerà spiegargli, per rassicurarlo pienamente, quel che ci si aspetta da lui, che lui
sia del tutto rilassato. Per rassicurarlo ulteriormente bisognerà sostenerlo fermamente, quindi si porterà la
nostra gamba sinistra a lato della sua in modo da sostenerlo anche con un secondo appoggio. Questa
tecnica può essere subito risolutiva, ma la sua efficia si fa sentire dopo, a seguito di tecniche articolari sui
tessuti molli del bacino o ad una correzione strutturale. Se tale tecnica è relizzata correttamente si
guadagnerà molto nella flessione anteriore e questo faciliterà il processo di normalizzazione.
- Il legamento lombo-sacrale
La tecnica è la stessa della precedente con alcuni dettagli in più: il pollice è posto superiormente al solco;
il soggetto sarà portato in estensione-inclinazione destra e rotazione sinistra.
Occorre segnalare che questo legamento è meno spesso chiemato in causa rispetto al precedente

C- LA REGIONE DORSALE
La fascia dorso-lombo-sacrale (fig 130)
Questa regione, zona fasciale per
eccellenza, è sottoposta a molteplici
distorsioni fasciali.
Il soggetto è in decubito prono, partendo
dal sacro facciamo una pressioneche
scivolando risalga fino a livello cervicale.
Incontriamo delle bande fasciali, dei punti
nodulari e dei fasci tondeggianti molto tesi e grandi. Arrivati alla zona interscapolare incontreremo spesso
delle tensioni oblique in direzione della scapola. La faccia posteriore della scapola è sede frequente di
tensioni fasciali sia a livello del sottospinoso che a livello del sovraspinoso. Effettuare una pressione
scivolamento obliqua verso la spalla. Individuiamo delle tensioni tra i fasci muscolari, delle zone nodulari

206
oltre che delle vere e proprie palle molto tese e ipersensibili, che
bisognerà far cedere attraverso degli stiramenti, pressioni, rotazioni,
inibizioni (fig 131e 131 bis). Non bisogna dimenticarsi di fare una
pressione da scivolamento lungo il bordo esterno della scapola, dove
le distorsioni sono molto frequenti.
Il trattamento della regione dorsale sarà talvolta più efficace in
posizione seduta, quindi con l’aiuto del peso. Nelle persone anziane,
difficilmente mobilizzabili e con le quali la prudenza non è mai
troppa, la posizione seduta è, nella maggior parte dei casi, sufficiente
per i problemi lombosacrali e può essere impiegata esclusivamente
con risultati immediati e durevoli.
- Le fasce posteriori (fig 132 e 132 bis)
In alcuni soggetti constatiamo una tensione generale delle fasce posteriori,
con difficoltà a piegarsi in avanti o a mettersi sdraiati e se si solleva una gamba, l’angolo di flessione è
molto limitato e spesso doloroso. Una tecnica fasciale globale migliora nettamente la situazione, equivale
al roll lombare senza specificità locale.
Il soggetto è in decubito laterale e il terapista gli stà
di fronte. Quest’ultimo porta il segmento superiore in
leggera rotazione posteriore attraverso la trazione
anteriore e cefalica dell’arto superiore in contatto con
la tavola. A livello degli arti inferiori, quello che stà
sotto poggia sulla tavola diritto e quello che stà sopra
è portato fuori dalla tavola. Si prende contatto a
livello della parte superiore del torace e a livello del
bacino. Si mette in tensione aumentando la rotazione
e la trazione longitudianali. Allo stesso tempo
spingiamo la gamba superiore con il nostro piede in modo
da portarla in flessione ed adduzione, aumentando così la
tensione, sempre guardando che rimanga dritta. Una
variante stà nel posizionarsi subito dietro la gamba del
paziente. Il fine della tecnica consiste nel realizzare uno
stiramento molto rapido attraverso un trust non specifico.
Le due braccia realizzano uno stiramento longitudinale
mentre con la gamba sinistra si accentua la flessione-

207
adduzione dell’arto inferiore del paziente. Questa tecnica si realizza bilateralmente, il guadagno della
mobilità è importante, immediato e durevole.

D- LA REGIONE VENTRALE
La regione ventrale di divide in due parti: l’addome e il torace, separati dal diaframma. Il trattamento
fasciale dell’addome si localizza sul legamento vertebrale anteriore, sui visceri, zone fasciali per
eccellenza dato che le fasce superficialis addominali sono sollecitate più raramente. Tratteremo in seguito
il diaframma, poi il torace, dove il trattamento
principale si situa a livello dello sterno.

Il legamento vertebrale comune anteriore (fig 133)


Il soggetto è in decubito supino con le gambe piegate e
i piedi che poggiano sulla tavola. Il terapista si
posiziona lateralmenete e deprime progressivamente
con le dita delle due mani la linea alba, per entrare in
contatto con il legamento. In seguito ad una pressione
leggera si realizza uo stiramento longitudinale
allontanando le due mani, in seguito si esegue uno
stiramento trasversale. Questa tecnica va eseguita con dolcezza ed è da evitare se si vede che la sua
ralizzazione è difficile. Spesso è una tecnica utile in caso di lombalgia cronica e sciatica. Ricordiamoci
che bisogna stare attenti a non oltrepassare la biforcazione aortica.
- I visceri
Non abbiamo l’intenzione di spiegare tutte le tecniche viscerali, cosa fatta in maniera eccelente da altri
autori; vogliamo soltanto sottolineare che le tecniche fasciali si applicano anche ai visceri, infatti il
viscerale avviene esclusivamente con tecniche fasciali. In questa regione noi alterniamo l’ascolto
induzione al trattamento diretto. In modo generale è preferibile iniziare attraverso l’ascolto induzione
seguito da un trattamento diretto e se necessario far seguire questo da un ascolto induzione. Se c’è una
regione dove la progressione attraverso le fasce deve farsi dolcemente, questa è l’addome; occorrerà
sempre aspettare che le fasce ci permettano la penetrazione e in nessun caso volere a tutti i costi superare
una barriera di resistenza. In modo generale l’ascolto induzione avviene lasciando scivolare la mano verso
il punto di fissazione, mantenere in seguito una certa pressione, infine se necessario aumentare
leggermente la pressione della mano eseguendo così uno stiramento. Si ritorna poi alla posizione iniziale
ripetendo la manovra. Se esiste un asse di tensione o di movimento preferenziale occorre vedere che il

208
riequilibrio avviene secondo i tre piani dello spazio e se si privilegia un piano occorre riaggiustarlo
sempre in rapporto agli altri altrimenti la tecnica sarà inefficace. La progressione deve avvenire seguendo
i movimenti delle fasce. Sarà sufficiente seguirle e in seguito dar loro una leggera sollecitazione. Le
tecniche di ascolto induzione possono essere insufficienti e avere bisogno dell’utilizzo di tecniche dirette.
Il loro principio sarà lo stesso che per le altre fasce, ma con una maggiore prudenza. Si tratta di penetrare
profondamente nell’addome e questo può essere fatto soltanto con il consenso delle fasce. Occorrerà
aspettare il tempo necessario perché ci sia data la possibilità di passare e seguire sempre il movimento
fasciale evitando di volerlo oltrepassare. Queste stesse tecniche consisteranno in stiramenti, pressioni,
rotazioni, inibizioni; le bande fasciali sono costituite soprattutto dal mesentere, le fasce di Toldt o di Treitz
o le ‘tubature’ in caso di fissazione. I punti nodulari saranno particolarmente incontrati a livello degli
sfinteri: piloro, Oddie, valvola ileo-cecale.

IL DIAFRAMMA
Legame fasciale e fascia lui stesso, abbiamo visto tutta
l’importanza di questa struttura nella fisiologia umana. Occorre
dunque sorvegliare che il suo movimento sia libero da tutte le
forzature.
- tecnica globale (fig. 134)
Il soggetto è in decubito supino con gli arti inferiori piegati e i
piedi appoggiati sulla tavola. Il terapista si posiziona lateralmente
guardando cefalicamente. Con le mani leggermente aperte prende
maggior contatto possibile con le basse coste e i pollici diretti verso
l’appendice xifoide. Accompagna con le mani i movimenti toracici;
la tecnica consiste nel riarmonizzare un emitorace in rapporto
all’altro, poi il torace nel suo insieme, in modo da avere un
movimento armonioso in tutti i piani dello spazio.
- tecnica muscolare (fig. 135)
nella stessa posizione di prima si pongono le due mani sotto un emitorace
con i pollici che penetrano sotto la griglia costale in contatto con
l’inserzione muscolare. Si fa penetrare progressivamente i pollici il più
cefalicamente possibile. Si correggono attraverso uno stiramento , presione,
inibizione, tutte le fissazioni incontrate, portando i pollici in direzioni
opposte, per poi passare all’emitorace controlaterale. È preferibile far
seguire questa tecnica da un trattamento di riarmonizzazione globale. I

209
pilastri del diaframma non sono acessibili direttamente, la tecnica strutturale quindi sarà la più indicata a
questo livello. Occorre guardare nella seconda tecnica a non scatenare dolore, perché questo sarebbe
seguito immediatamente da uno spasmo riflesso e dall’espulsione delle
dita.

- Lo sterno
Siamo di nuovo in una zona dove la fascia è direttamente in contatto con
l’osso. Nel piano profondo si aggiunge il pericardio, e abbiamo segnalato
che è una zona particolarmente sensibile allo stress e ciò implica che
saranno frequentemente riscontrate distorsioni fasciali.
- L’induzione (fig. 136)
Il soggetto è in decubito supino e il terapista si pone lateralmente o dietro
la testa del paziente. Si pone una mano sullo sterno cercando di prendere il
più contatto possibile a mo’ di ventosa. Incontreremo a questo livello dei
movimenti di torsione, inclinazione, attrazione posteriore, contrazione
assiale dello sterno, o la combinazione di alcuni di questi. Il principio
generale di trattamento resta lo stesso che dalle altre parti; a partire da un
asse privilegiato si raiarmonizza lo sterno in tutti i suoi parametri, affinchè esso fluttui in tutta libertà.
- Tecnica diretta
Il soggetto è nella stessa posizione del precedente e si esegue una pressione scivolamento lungo lo sterno,
nella sua parte mediana, lungo i suoi bordi laterali. Le bande fasciali e le zone nodulari si trovano
frequentemente a questo livello, le prime si situano maggiormente nella parte centrale e le seconde
lateralmente alla punta dello sterno. La tecnica è paragonabile a quella già descritta in funzione della
distorsione incontrata. Sarà utile far seguire la seconda tecnica da un ascolto induzione. Spesso saremo in
presenza di un dolore molto forte. Occorrerà dosare correttamente la pressione, altrimenti il paziente potrà
risentire per qualche giorno un dolore persistente, tipo puntura o bruciatura. Questo può essere un male
minore se cessa nel giro di qualche giorno, tuttavia se la pressione è stata troppo forte, il dolore può
durare più settimane e diventare veramente fastidioso per il paziente, se non angosciante. Il lavoro sullo
sterno può migliorare notevolmente le palpitazioni, le tachicardie, lo stress e le ansie.

210
E- L’ARTO SUPERIORE
L’arto superiore è sempre sollecitato. Lo abbiamo posto come un caso a parte in funzione della sua
morfologia, del funzionamento delle sue fasce, ma anche delle sue risposte. Tenuto conto della sua attività
permanente l’arto superiore presenta meno problemi delle altre parti del corpo, eccetto che alla sua radice,
che al contrario, sembra accumulare problemi. Risponde molto difficilmente alle tecniche di ascolto
induzione, ma molto positivamente alle tecniche dirette.
a) a livello dell’avambraccio (fig. 137)
Il soggetto è in decubito supino, si fa una pressione scivolamento
sulla faccia anteriore o posteriore dell’avambraccio, risalendo fino al
gomito. In modo generale questo scivolamento ci riporta verso
l’epitroclea o l’epicondilo, seguendo dunque due assi preferenziali, il
più spesso sede di lesioni soprattutto all’esterno. Per ciò che riguarda
la parte mediana la pressione dovrà essere più accentuata. In caso di
forte tensione, questa sarà fermata nella parte inferiore dal quadrato
dei pronatori e nella parte superiore attraverso i muscoli a direzione
obliqua, prendendo l’aspetto talvolta di una pallina ipertrofica e
molto dolorosa. Le bande fasciali sono meno frequentemente
incontrate a questo livello. Avremo piuttosto a che fare con delle
tensioni dei piani di separazione, sotto forma di una corda dritta o attorcigliata. I punti nodulari sono
frequenti e scatenano un dolore molto vivo. La regione più sollecitata si situa lungo i bordi del supinatore
lungo e particolarmente sul suo bordo antero- interno. Durante la progressione si metteranno in evidenza
delle fibre tese nel senso longitudinale e queste dovranno essere stirate in maniera perpendicolare, invece
in profondità delle zone arrotondate da trattare attraverso una levigazione rotazione e inibizione. Le
tecniche a livello dell’avambraccio sono molto spesso sensibili. In certi casi necessitano anche
dell’impiego di una certa forza dolorosa per essere rapidamente efficaci; occorrerà dunque avvertire il
paziente e avere il suo consenso, acquisito questo i risultati possono essere più che soddisfacenti. Queste
tecniche applicate a livello dell’avambraccio possono rivelarsi perticolarmente efficaci per i problemi dei
crampi alle mani, dell’irrigidimento mattutino delle dita, dei dolori alla mobilizzazione, della rizoartrosi,
dei problemi del canale carpico e beninteso di tutti i fenomeni di irritazioni e tendiniti a livello
dell’avambraccio e soprattutto del gomito; i problemi alla spalla possono, a volte, essere alleviati
attraverso un trattamento fasciale dell’avambraccio. È sufficiente seguire la catena fasciale.

211
b) a livello del gomito (fig. 138)
Punto di cambio della catena fasciale antero-esterna
e postero-esterna dell’avambraccio e la catena
esterna del braccio, il gomito è una zona di
ipersollecitazione fasciale che si traduce spesso in
una tendinite esterna. L’epitrocleite è una
eventualità più rara. Siamo spesso di fronte a delle
epicondiliti che rispondono positivamente al trattamento fasciale.
Il soggetto è in decubito supino. Occorrerà trattare la catena fasciale dell’avambraccio dall’avanti
all’indietro. Nella maggior parte di casi questa catena è in rapporto con il bordo antero-interno del
supinatore lungo. Arriveremo in seguito all’epicondilo dove incontreremo delle bande fasciali, delle zone
nodulari di inserzione che possono anche calcificare.
Occorre esercitare una pressione inibizione ferma sul punto trafittivo, accompagnata, se necessario, da
uno stiramento delle fibre. Il successo del trattamento sembra proporzionale all’intensità della pressione.
Sarà quindi molto doloroso e per questo dovrà essere breve. In generale il miglioramento funzionale è
immediato. Come sempre, la difficoltà consisterà nel dosare la soglia di pressione; al di là di una certa
soglia questa tecnica è inutile e talvolta può aggravare i sintomi. Infatti ciò dipende enormemente
dall’origine della tendinite, alcune delle quali non tollerano una pressione dolorosa. È un interrogatorio
minuzioso e l’esperienza che ci indicano con cosa abbiamo a che fare. È necessario prolungare il lavoro
sul gomito attraverso un trattamento della catena
esterna del braccio.
Il braccio(fig 139)
Nel braccio i problemi si collocano sulla catena
esterna, ne abbiamo spiegato le ragioni.
Il soggetto è in decubito supino, si esercita una
pressione scivolamento dal gomito fino alla V
deltoidea. Troveremo a questo livello delle
bande fasciali longitudinali con, a volte, una
zona arrotondata e infiltrata, che si trattarà
attraverso una levigazione rotazione. La V
deltoidea è spesso sede di una ipertrofia che verrà trattata da una pressione inibizione e stiramenti
trasversali. A partire da qui il percorso proseguirà in avanti, in dietro e in mezzo al deltoide seguendo
l’asse di tensione.

212
c) a livello della spalla (fig. 140)
Articolazione fasciale per eccellenza, punto di convergenza di
tutte le aponeurosi, le sollecitazioni a livello scapolare sono
numerose e il suo trattamento resta molto delicato e richiede una
investigazione molto ampia.
Dal punto di vista locale il trattamento fasciale può avere una
grande utilità. Il soggetto è in posizione seduta (abbiamo bisogno
del peso per una maggior efficacia). Il terapista si pone dietro il
paziente e si appoggia contro il suo dorso. Si esegue una
pressione scivolamento lungo il piano di divisione del deltoide in
direzione della V deltoidea. Incontreremo spesso delle bande
fasciali profonde che tratteremo attraverso pressione inibizione e
stiramento trasversale. Tratteremo in seguito la regione della scapola seguendo le modalità annunciate in
precedenza. È utile andare a verificare il punto di inizio superiore della catena brachiale interna
introducendo il pollice nel cavo ascellare. La catena fasciale dell’arto superiore non dovrà essere
trascurata, ma in qusto caso è necessario mettere il paziente in decubito supino. Il trattamento delle fasce
della spalla è, come tutti gli altri, doloroso ma se c’è una zona in cui bisogna saper dosare il dolore è
proprio questa. Una pressione troppo forte si traforma velocemente in una ipereazione con aggravamento
dei sintomi. La doccia bicipitale richiede tutta la nostra attenzione; sede di irritazione molto dolorosa non
tollera una pressione troppo accentuata.

F- IL COLLO
a) Il cingolo scapolare (fig. 141)
Il soggetto è in decubito supino e il terapista è dietro la testa del
paziente. Pone i suoi pollici davanti al bordo anteriore del trapezio
in direzione della prima costa, vicino all’asse vertebrale. Gli indici
posano sulle fasce sottoclavicolari e sono paralleli alla clavicola. Il
palmo delle mani è appoggiato sulla parte esterna delle clavicole e
dei monconi di spalla. Le ultime tre dita si posano: il medio sul
pettorale, l’anulare e il mignolo sulla spalla e sul deltoide.
Si esercita una leggera pressione con i pollici (spesso un lato è più
resistente e si presenta come una palla arrotondata difficilmente
deprimibile). Con i pollici si fa un ascolto induzione seguendo i
movimenti del tessuto. In un secondo tempo si potrà accentuare la pressione con una leggera rotazione e

213
stiramento nella direzione adeguata. Progressivamente la palla si scioglie sotto il pollice e la sensazione
dolorosa alla pressione sparisce. In maniera concomitante le dita controllano la tensione a livello delle
spalle; se questa è troppo forte le dita realizzeranno un ascolto induzione per normalizzarla. Questa
tecnica non necesita alcuna pressione forte e deve essere indolore. Il rilasciamento deve avvenire in 2 o 3
minuti al massimo. Siamo davanti talvolta a un’importante tensione della spalla che inibisce il nostro
trattamento. In questo caso occorre fare una tecnica diretta a grande braccio di leva: con una mano posta
sotto l’occipite si sostiene la testa del soggetto appoggiandola inoltre contro il nostro addome; l’altra
mano è posta sul moncone della spalla. Si esercita una pressione con la mano scapolare nello stesso
tempo si fa una inclinazione rotazione opposta della colonna cervicale. L’efficacia di questa tecnica tiene
conto del riaggiustamento permanente dell’inclinazione laterale con la flesso-estensione e un certo grado
di rotazione. Questa tecnica è anzi un trattamento globale delle fasce laterali del collo. In seguito si torna
alla tecnica precedente.

b)

Le cartilagini
Il soggetto è in decubito supino, il terapista si pone dietro la testa del paziente, nel nostro esempio a
destra. Questa tecnica richiede una certa successione, andando dal generale allo specifico (fig. 142).
Si pone la mano sinistra sulla fronte del paziente; le dita della mano destra sul bordo sinistro del tratto del
collo. Si esegue una rotazione sinistra della testa e nello stesso tempo una trazione perpendicolare destra.
Si accentua leggermente la trazione con la mano destra, solitamente fino alla tensione massimale. In
seguito si esegue una rotazione destra della testa e con il pollice destro si spingono le cartilagini verso la
sinistra. In un secondo tempo si tratterà l’osso ioide avendo come principio il fatto di esercitare uno
stiramento dolce e progresivo in direzione opposta al punto frenatore (fig. 143). La terza tappa consisterà
nel prendere l’ioide tra pollice e indice della mano sinistra e le cartilagini tra pollice e indice della mano

214
destra. Si introduce una traslazione inversa delle due cartilagini; ciò metterà in tensione la restrizione (fig.
144). Si procederà alla quarta tappa allo stesso modo fra tiroide e cricoide. Questa tecnica può diventare
velocemnete molto dolorosa e in certe persone angosciante, occorrerà dunque che essa sia molto
progressiva. Se ben condotta questa tecnica può rivelarsi molto efficace per le angine, i mal di gola le
irritazioni e le modificazioni della voce e la raucedine. Vorremmo dare due esempi per mostrare la sua
efficacia. Il primo si riferisce a un paziente che in seguito a un falso movimento si trovava in situazione di
cantare stonato. Un trattamento delle cartilagini ha immediatamente restaurato la normalità. Il seondo
caso riguarda una cantante lirica che in presenza di tensioni a livello del collo non poteva più cantare.
Anche in questo caso un semplice trattamento delle cartilagini ha restituito l’ordine. Abbiamo incontrato
questo caso numerose volte.

c) I legamenti cervico-pleurali (fig. 145)


Il paziente è in decubito supino e il terapista si pone dietro a lui.
Prende l’occipite nella sua mano appoggiando la testa contro il
suo addome. Il pollice dell’altra mano prende contatto con il
legamento in questione. Si esegue una latero-flessione
omolaterale e nello stesso tempo il pollice segue il
rilasciamento del legamento ed esercita su di lui una
leggerissima pressione. Si riagguìiusta in seguito la posizione
in funzione della latero-flessione rotazione flessione estensione,
il pollice mantiene la tensione del legamento. Si attende il
rilasciamento progressivo riaggiustando sempre la posizione. In
un’ultima fase si può mantenere il legamento e portare la
colonna cervicale in latero-flessione opposta. Questa tecnica richiede molta più prudenza tenuto conto
delle struttura che costeggiano la cupola pleurica. Non è raro constatare in seguito a una cattiva
esecuzione, un rossore eccessivo del viso del paziente, sensazione di vertigini e un leggero malessere.

215
G- IL CRANIO Il cuoio capelluto (fig 146 e 146 bis)
Il soggetto è in decubito supino e il terapista è alla testa del paziente. A
livello delle suture incontriamo delle zone di depressione e delle zone circolari. Con i polpastralli delle
dita facciamo una pressione scivolamento convergente verso il centro della lesione. Per le zone circolari,
si porta in seguito verso il centro e si esercita una leggera pressione e mobilizzare la fascia in tutti i sensi
sul periostio. Le zone circolari si incontrano spesso in seguito a degli urti e possono essere all’origine di
catene lesionali discendenti. Le zone di depressione si incontrano più frequentemente in caso di
affaticamento, stress, mal di testa e strapazzi.

a) La giunzione occipito-cervicale (fig 147)


Ultima zona di adattamento-compensazione, è
sede di tensioni permanenti ed è raro che presenti
una libertà totale di movimenti. Il soggetto è in
decubito supino e il terapista si pone dietro il
paziente, ponendo le dita delle due mani al di sotto
dell’occipite nella zona tessutale. Si mette una
leggera pressione delle dita e si segue il
rilasciamento del tessuto. Si potranno spostare le due mani in senso opposto per introdurre uno stiramento
laterale e infine, oltre alla pressione, piegare le dita per eseguire uno stiramento longitudinale localizzato.
Si porranno in seguito i polpastrelli sulla linea curva occipitale. Il peso della testa è sufficiente per la
pressione; attendiamo il rilasciamento dei tessuti. Se sotto le dita appare una banda o un punto nodulare lo
tratteremo specificatamente. Il nervo di Arnold passa a questo livello in un canale osteofibroso e non è
raro che vi sia compresso.

216
b) Lavoro globale delle fasce superiori (fig 148)
Il soggetto è in decubito supino e il terapista, posto dietro di lui, prende l’occipite del paziente nelle sue
mani a V aperta, con i pollici in direzioni delle temporo-mandibolari. Si esegue una leggera trazione e
nello stesso tempo si riaggiusta la flessione dell’occipite sull’atlante. A partire da qua si possono
controllare tutte le fasce posteriori e laterali. In funzione delle tensioni si riaggiusterà tutto il segmento
superiore attraverso dei micromovimenti di flessione, estensione, lateroflessione e rotazione, e in seguito
si attende il rilasciamento progressivo dei tessuti.
È evidente che se esite una forte perturbazione a
distanza occorrerà andare lì per regolarla; più il
trattamento è preciso e specifico, più è efficace.
Questa tecnica è molto utile quando la tensione è
globale o per affinare la correzione dopo un
trattamento specifico. Con una certa abitudine si
può discendere molto in basso per completare un
trattamento, ma è illusorio voler trattare tutto attraverso la leva superiore.
H- L’ASSE DUROMADRICO VERTEBRALE (FIG. 149)
La distinzione fra questa tecnica e la precedente è molto sottile.
Il soggetto è in decubito supino e il terapista, alla testa del
paziente, posiziona le sue mani nel prolungamento l’una
dell’altra lungo la linea curva occipitale. Si riaggiusta in seguito
la flessione estensione occipito-atlante per essere bene nell’asse
duro-madrico. Si introduce una minima trazione più
intenzionale che reale e si discende progressivamente lungo la
colonna. Quando appare un punto di fissazione ci si arresta su
questo punto e si aggiusta eventualmente la lateroflessione
rotazione; si attende il rilasciamento accentuando leggermente
la tensione poi rilasciandola per riprenderla in seguito fino a
che non si sente una certa libertà.-è tutto così evidente che,
nelle fissazioni importanti, occorrerà dapprima passare
attraverso una tecnica strutturale e non sperare in un rilasciamento che rischierebbe di farsi attendere
troppo a lungo. Al contrario nelle tensioni minori o per completare un trattamento strutturale questa
tecnica risulta efficace e perfettamente adatta.

217
LAVORO FASCIALE GLOBALE
Abbiamo descritto nell’insieme delle
tecniche segmentali ma il lavoro fasciale
può avvenire anche in modo globale sia
procedendo mano a mano sia tutto
insieme su una lunga distanza, seguendo
le possibilità del terapista (fig. 150). Per esempio a livello dell’arto inferiore il soggetto è in decubito
supino. Il terapista pone una mano sulla faccia dorsale del piede e l’altra a metà tibia; tra le due mani si
stabilisce un movimento di ascolto induzione, che armonizza l’arto inferiore in tutti i piani dello spazio.
Si procederà via via fino alla radice dell’arto; poi una mano a livello del piede e l’altra alla radice
dell’arto, si riarmonizzerà l’arto inferiore nel suo insieme. Avremmo potuto iniziare tutto insieme da
quest’ultima tappa.
A partire dalla radice dell’arto si può risalire via via fino al livello del cranio, per controllare finalmente,
con una grande esperienza, le disfunzioni fasciali che partono dall’inizio delle fasce: il cranio. Ancora una
volta questo riguarda le tensioni globali senza fissazione specifica. Bisogna riconoscere che voler
controlare tutto a partire da un solo punto è molto difficile e che può essere più semplice andare dove ci
chiama la tensione.

I- RIEQUILIBRIO ANTERO-POSTERIORE (FIG. 151)


Consiste nel rimettere in fase i
movimenti fasciali della parte
posteriore del corpo con quelli
della parte anteriore.
Il soggetto è in decubito supino e
il terapista, alla testa del soggetto,
prende l’occipite nella sua mano
sinistra a culla. La mano destra si
pone sullo sterno. Si induce una
leggera trazione della mano
sinistra per controllare le fasce posteriori; la mano destra controla le fasce anteriori e percorre l’asse
centrale del torace fino alla regione epigastrica. Tramite acolto induzione si armonizzano i movimenti
percepiti dalle due mani fino a una libertà totale; le due mani devono essere in perfetta sincronia.

J- LO STRESS

218
Numerose persone sono in uno stato di stress permanente e questo imprime sulle loro fasce perturbando la
motilità e creando delle tensioni, un po’ come se ci infiliamo una tuta troppo stretta; questo modifica il
loro umore. Non esiste una ricetta per questa situazione, il trattamento è diverso per ciascun individuo.
Tuttavia in un certo modo possiamo aiutare favorevolmente alcune persone soprattutto se questo
trattamento interviene rapidamente.
Il soggetto è in decubito supino e il terapista si pone lateralmente a lui. Pone una mano a piatto sulla
regione epigastrica. Spesso si sente sotto le nostre mani una zona tesa, dura come se tutto facesse blocco e
con dei battiti aortici nettamente esagerati. Progressivamente i tessuti si mettono in movimento e si
rilassano. Occorre essere del tutto passivi e non forzare la barriera di resistenza. L’ideale sarebbe che la
mano potesse affondare liberamente in un addome del tutto elastico. Non ci scordiamo che abbiamo sotto
le nostre mani il plesso solare e in caso di disfunzione può perturbare tutta la fisiologia della sfera
sottomesocolica. In seguito trattare il diaframma e poi si passa allo sterno. Non ci scordiamo che a questo
livello abbiamo in proiezione il plesso cardio-polmonare, con tutte le conseguenze della sua disfunzione.
In seguito si passa al cranio del paziente. Si fa poi un riequilibrio antero-posteriore e si finisce attraverso
un lavoro globale delle fasce. Questo trattamento non è esclusivo, può essere soggetto a numerose
variazioni, in funzione del soggetto trattato; ha il merito tuttavia di portare un certo benessere che avviene
in modo durevole se il trattamento interviene rapidamente.

K- LE CICATRICI E LE ADERENZE
È sempre più raro incontrare una persona senza cicatrici e quando queste sono perturbanti devono essere
sistematicamente trattate perché costituiscono la lesione primaria.
Si tratta la cicatrice in superficie a livello del tessuto cicatriziale attraverso degli stiramenti longitudinali e
trasversali. Si passa poia la lavoro in profondità, perché è a questo livello che si hanno psesso
perturbazioni. Una volta trovato l’asse di fissazione preferenziale si stira progressivamente in senso
inverso alla restrizione. Si ritorna al punto di partenza per reintrodurre uno stiramento rispettando le
possibilità dei tessuti e includendo progressivamente gli altri assi. Se necessario si fissa con l’altra mano
la porzione di fascia opposta. Si termina tramite un ascolto induzione che deve mettere in evidenza una
migliore motilità dei tessuti sottogiacenti. Ripetiamo che non si tratta di soppprimere le aderenze perché
solo un bisturi potrà farlo ma queste a forza di irritazioni perdono tutta l’elasticità e finiscono per inibire
l’organo vicino e per fissarlo. Si tratta di ritrovare semplicemente una certa possibilità di elasticità come è
nel potere di tutti i tessuti; dopo il trattamento sulla cicatrice un organo potrà ritrovare una funzione
normale. Citiamo semplicemente due esempi su tanti. È frequente incontrare una stitichezza destra in
seguito a una cicatrice da appendicectomia e a volte un semplice lavoro su questa ristabilisce un transito
normale. Il secondo esempio riguarda un paziente che in seguito ad episiotomia presenta una dispareunia

219
superficiale che impedisce tutto il rapporto. Un solo trattamento del tessuto cicatriziale è sufficiente
affinchè tutto ritorni nella normalità. Potremmo moltiplicare gli esempi sebbene non tutte le cicatrici
reagiscano al nostro trattamento; ma proponiamo una soluzione diversa pensando che sarebbe dannoso
privarne il paziente.
Cronologia del trattamento

Vorremmo ripetere prima di tutto che il trattamento deve essere inizialmente locale. È più elegante,
soddisfacente, efficace, andere all’origine del problema per apportarne una correzione, solo in seguito
potremmo cercare una correzione globale a distanza su una catena lesionale indotta dalla fissazione
d’origine. Possiamo allora riequilibrare tutto il corpo attorno ad una fissazione puntuale che ha generato
un percorso lesionale più o meno esteso. La riequilibro di alcune fasce non necessita di un trattamento
diretto. L’ascolto sarà immediatamente seguito da una induzione e riverificato da un ascolto. Se dobbiamo
applicare un trattamento diretto cominciamo da un ascolto induzione , questo ci permette di prendere
contatto con i tessuti del soggetto e di stabilire un dialogo con questi; inoltre ci permette di abbassare
leggermente la soglia di irritazione. In un secondo tempo si passa ad un trattamento diretto.
In un terzo tempo si torna ad un ascolto induzione seguito da un ascolto. È importante ritestare tutti i
nostri parametri alla fine del trattamento: dolore, mobilità funzionale; non ci dimentichiamo che è questo
che rassicura il soggetto sul buon fondamento della nostra azione.

Indicazioni e controindicazioni

Tenuto conto della non aggressività delle tecniche fasciali e delle modifiche che possono generare a
livello dei tessuti, tanto sul sistema di difesa quanto sul loro metabolismo, le indicazione delle tecniche
tissutali sembrano praticamente illimitate. Sembra logico pensare che un lavoro di ascolto induzione
possa essere applicato a tutti i casi. Le controindicazioni sono più relative che formali. Consigliamo di
adottare grande prudenza in caso di infezioni. È sconsigliato inoltre applicare delle tecniche dirette su dei
tessuti iperalgici o in corso di infiammazione acuta. Tutte le tensioni o le masse non identificate
formalmente come uno stato di tensione del tessuto non dovrà in alcun modo essere la sede di tecniche
dirette. In modo generale una prima controindicazione consiste nel non prendere in carico un paziente di
cui non abbiamo compreso nè la storia né il problema; indirizzarlo ad una persona più competente è la
parte più elementare di prudenza e saggezza. Anche se il trattamento attraverso le fasce può applicarsi
praticamente a tutti i casi, non costituisce la panacea, soprattutto se sarà adottato dopo molto tempo.
Occupa un grande posto nell’arte di curare, ma occorre che abbia il suo giusto posto.

INDICE
220
1. EMBRIOLOGIA pg 2
Formazione del disco embrionario didermico pg 2
Formazione del disco embrionario tridermico pg 4
Differenziazione dei foglietti e determinazione dell’embrione pg 5
 Deriva del mesoblasta
 Deriva dell’ectoblasta
 Deriva dell’endoblasta
Meccanismo di sviluppo embrionario pg 12
 Fenomeni isto e biochimici
 Fenomeni biocinetici e biodinamici

2. ANATOMIA DELLE FASCE pg 17


Fascia superficialis pg 17
Aponeurosi esterne pg 17
 Aponeurosi epicranica
 Aponeurosi della faccia
 Aponeurosi cervicale superficiale
 Aponeurosi del tronco
o Aponeurosi posteriore
o Aponeurosi anteriore
o Fascia iliaca
 Aponeurosi dell’arto superiore pag 26
o Aponeurosi della spalla
o Aponeurosi brachiale
o Aponeurosi antibrachiale
o Aponeurosi della mano
 Aponeurosi interne
o Aponeurosi cervicale media pag 43
o Aponeurosi cervicale profonda pag 44
o Fascia endotoracica pag47
o Fascia trasversale pag 48
 Aponeurosi del perineo e del piccolo bacino
o Aponeurosi perineale superficiale pag 50
o Aponeurosi perineale media pag 51
o Aponeurosi perineale profonda pag 52
o Aponeurosi annesse al perineo
 Asse aponeurotico centrale pg 59
o Aponeurosi interpterigoidea
o Aponeurosi pterigotemporomascellare
o Aponeurosi palatina
o Aponeurosi faringea e perifaringea

221
 Pericardio pag 61
 Il diaframma pag 65
 Le aponeurosi che tappezzano la faccia interna della cavità toraco-addominale
o Le pleure pag 66
o Il peritoneo e la cavità peritoneale 69
 Le aponeurosi contenute all’interno di un condotto osseo o le meningi pg 79
o La dura madre pag 79
o La pia madre pag 85
o L’aracnoide pag 86

3. ANATOMIA MICROSCOPICA ED ISTOLOGICA pag 89


Anatomia microscopica dei tessuti connettivi di sostegno
 Tessuto connettivo pag 89
 Tessuto cartilagineo pag 90
 Tessuto osseo pag 91
 Tessuto muscolare pag 94
 Tessuto nervoso pag 95
 Tessuto epiteliale e di rivestimento pag 97
 La pelle pag 98
Istologia del tessuto connettivo pag 100
 formazione del tessuto connettivo e suoi composti
 cellule del tessuto connettivo
 diversi tipi di tessuti connettivi

4.PATOLOGIA DELLE FASCE pag 107


 Le collagenosi pag 107
 Altri danni alle fasce pag 108
o Cicatrici
o Aderenze e fissazioni
o Tessuto connettivo, punto di partenza delle malattie

5. RUOLO DELLE FASCE pag112


 Sostegno pag 113
 Supporto pag 114
 Protezione pag 114
 Ammortizzazione pag 115
 Emodinamico pag 117
 Difesa pag 118
 Comunicazione di scambi pag 120
 Biochimico pag 122

222
6.MECCANICA DELLE FASCE pag 123
 Meccanica locale pag 123
o Sospensione e protezione
o Contenimento e separazione pag 126
o Assorbimento degli urti
o Ammortizzazione delle pressioni
 Meccanica generale pag 136
o Conduzione della sensibilità pag 136
o Particolarità morfologiche pag 139
o Mantenimento della postura pag 141
o Catene fasciali pag 142
o Le catene lesionali pag 153

7. TEST DELLE FASCE


Scopi dei test pag 156
Modalità dei test pag 156
Test di ascolto pag 159
Test palpatorio e di mobilità pag 172
Cronologia dei test pg 186

8. TRATTAMENTI DELLE FASCE pag 187


Scopi del trattamento pag 187
Modalità e principi pag 189
 Induzione pag 190
 Trattamento diretto pag 191
Tecniche specifiche
 Pompage pag 193
 Stiramento pag 194
 Scivolamento pag 195
 Strutturale pag 196
Distretti di applicazione:
 Arto inferiore pag 197
 Bacino pag 200
 Regione dorsale pag 202
 Regione ventrale pag 204
 Diaframma pag 205
 Arto superiore pag 207
 Collo pag 209
 Cranio pag 212
 Asse duro-madrico pag 213
 Lavoro fasciale globale pag 214
 Riequilibrio antero-posteriore pag 214
223
 Stress pag 215
 Cicatrici e aderenze pag 215

Cronologia del trattamento pag 216

224

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