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Le Macchie di Rorschach

INDICE

1. LA PROIEZIONE............................................................................................1

2. CARATTERISTICHE E UTILIZZI DEL TEST.............................................3

3. LE ORIGINI DEL TEST..................................................................................7

4. GLI ALTRI TEST VISIVI DI RORSCHACH...............................................11

BIBLIOGRAFIA...................................................................................................12
1. LA PROIEZIONE

Con il termine proiezione, dal latino proicĕre, “gettare avanti”, si intende in psicologia un
meccanismo di difesa arcaico e primitivo che consiste nello spostare sentimenti,
caratteristiche proprie, o parti del Sè, su altri oggetti o persone. La proiezione combina le
sensazioni entranti con le tracce memoniche presenti in noi evocate da tali sensazioni ed è un
processo culturale oltre che psicologico.

Gli esseri umani hanno la tendenza a “proiettare” immagini familiari in oggetti e forme
indefinite. Ad esempio ci capita di “proiettare” la forma di un viso nella configurazione di un
automobile, di vedere paesaggi, oggetti e creature in formazioni prive di significato in sé e che
sorgono per puro caso, come le nubi e le costellazioni.

I cacciatori primitivi, uomini più allenati a trovare che a fare, cercavano forme di animali
nelle caverne sacre, scrutavano le forme indefinite delle macchie e delle ombre per scoprirvi
l’animale da cacciare o il predatore.

Questa tendenza della nostra mente è stata una delle radici dell’arte.
Sono state usate infatti forme accidentali come punti di partenza del vocabolario dell’artista,
facendo diventare la macchia d’inchiostro rivale dell’album di modelli.
Il fenomeno della proiezione è stato sfruttato anche all’interno di disegni e quadri: il quadro
incompleto può stimolare l’immaginazione dell’osservatore inducendola a proiettarvi ciò che
non c’è.

Perché il meccanismo della proiezione possa mettersi in moto devono essere soddisfatte due
condizioni preliminari: una, che nell’osservatore non sussistano dubbi circa il modo di
colmare la lacuna; l’altra che egli abbia a disposizione uno “schermo di proiezione”, un’area
vuota o indefinita in cui proiettare l’immagine attesa. La teoria artistica cinese analizza la
facoltà di esprimere di pennello e inchiostro mediante l’assenza. Nell’arte cinese la superfice
vuota e luminosa fa parte dell’immagine non meno delle pennellate e sollecita l’integrazione
dello spettatore e la sua attività proiettiva.

La proiezione è divenuta il centro degli interessi di tutto un ramo della psicologia dove
vengono proposti test in cui ci si serve di macchie d’inchiostro per analizzare la risposta del
soggetto. Queste macchie, usate nel test di Rorschach, hanno rispetto alle nubi il vantaggio

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che si possono replicare e permettono così di confrontare le interpretazioni date da
soggetti diversi.

Coloro che osservano opere di pittura e disegno devono possedere la facoltà imitativa e
quel che noi leggiamo in queste forme accidentali dipende dalla nostra capacità di
riconoscere in essi cose o immagini che già teniamo accumulate nella nostra mente.
Interpretare una di queste macchie come pipistrello o farfalla è un atto di classificazione
percettiva, ovvero nel mio sistema classificatorio la metto nella stessa casella con i
pipistrelli o le farfalle che ho visto o semplicemente sognato.

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2. CARATTERISTICHE E UTILIZZI DEL TEST

Quando si guarda qualcosa si dirige la propria attenzione a certi parti del campo visivo mentre
se ne ignorano altre. Come quando guardiamo l'illusione anatra-coniglio, proposta nel 1892
dallo psicologo statunitense Joseph Jastrow, riusciamo a vedere solo l’anatra o il coniglio,
quando guardiamo le macchie di Rorschach riusciamo ad interpretare la forma solo in
determinati modi, e questo può comunicare molto su noi stessi.

Il test di Rorschach è un test psicologico proiettivo categorizzato tra i test psicodiagnostici


della personalità. Esso si basa sulla premessa che vedere non è un atto che riguarda
esclusivamente l’occhio ma anche la mente. Le macchie sono uno stimolo visivo ambiguo e
non rappresentano nulla, per cui ogni persona le interpreta rivelando qualcosa di sé.

Tecnincamente la definizione stessa di "test" risulta non essere totalmente adeguata, in quanto
come test psicologico presenta scarse proprietà psicometriche. Molti studiosi ritengono che il
termine più corretto sarebbe quello di "Reattivo di Rorschach", in quanto si vanno a indagare
le risposte soggettive di fronte a stimoli nuovi e ambigui.

Il Rorschach è composto da 10 tavole rettangolari a sfondo bianco, contenenti delle macchie


di inchiostro. Queste forme casuali si suddividono in 5 tavole acromatiche, nere e grigie, e 5
tavole colorate, due bicromatiche e tre a più colori.

Queste sono state scelte tra moltissime altre, in base ai criteri di ambiguità, ovvero la macchia
deve permettere un’ interpretazione il più possibile libera, e semplicità, vale a dire la macchia
deve essere abbastanza regolare, in modo da consentirne una definizione. Le tavole possono
essere classificate in base ai parametri di colore, compattezza, apertura e chiusura.

Il fatto che si tratti di un esame visivo è cruciale, poiché riesce ad aggirare le difese
dell’individuo e le sue strategie di autorappresentazione a livello cosciente. È un equilibrio tra
ciò che viene percepito e ciò che invece viene proiettato, dato che non è solo la tavola ad
influenzare i criteri del soggetto, ma anche il soggetto a determinare ciò che la tavola
rappresenta.

Il compito del soggetto è in genere quello di fornire una descrizione o di raccontare una storia
ispirata all'immagine rappresentata. Lo scopo del test dovrebbe essere quello di far emergere

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contenuti psichici inconsci, come emozioni nascoste o conflitti interni, far affiorare eventuali
emozioni inconsce o conflitti interiori del soggetto attraverso la stimolazione visiva. Le
risposte del soggetto possono portare ad alcuni aspetti indicativi del modo in cui il paziente
percepisce la realtà attorno a sé. Le risposte al test evidenziano anche il grado di intelligenza,
la personalità, i disturbi cognitivi e permisero di distinguere tra determinati tipi di malattie
mentali che erano altrimenti difficile da differenziare fra loro. Nonostante le pluriennali
controversie, il test di Rorschach a oggi è anche usato in tribunale.

Le tavole vengono sottoposte all'attenzione del soggetto una alla volta e, per ciascuna e senza
limiti di tempo imposto, gli viene chiesto di esprimere tutto ciò cui, secondo lui, la tavola
somiglia. Posto di fronte a ciascuna tavola, il soggetto è libero di osservarla, capovolgerla e
quindi organizzarla percettivamente, oppure di non fare o dire nulla: questo fornisce, di per sé,
dati utili al fine della diagnosi.

Compito dello psicologo è trascrivere tutto ciò che il paziente riferisce in corrispondenza di
ciascuna tavola, su un foglio bianco, ripartito in 2 colonne: nella prima scriverà le risposte,
nella seconda riporterà i dati derivati dall’ inchiesta. Pur non esistendo risposte giuste o
sbagliate, esse sono normate da un ponderoso elenco standardizzato che, secondo i sostenitori
del test, ne renderebbe la valutazione attendibile. Dall'interpretazione delle risposte date a
ciascuna tavola è possibile.

L'interpretazione del test di Rorschach non si basa solo sul contenuto della risposta inteso
come "che cosa" la persona vede nella macchia d'inchiostro. Vengono tenuti in considerazione
anche quali dettagli della macchia hanno portato alla risposta, le motivazioni nel dare le
risposte, il tempo utilizzato per ogni tavola e il comportamento delle mani del soggetto. Al
termine, si chiede al paziente quale tavola ha gradito di più e quale, invece, ha trovato più
sgradevole: questo consente un primo approccio alle difese inconsce del soggetto.

Attualmente esistono due grandi gruppi di scuole di "siglatura" per valutare le risposte al
test: quella europea e quella americana, o Metodo Exner. Il "Sistema Comprensivo di
Exner" ha rappresentato un ampio tentativo di ricondurre il test di Rorschach nell'alveo
dell'assessment psicologico di matrice psicometrica, cercando di integrarne le istanze
proiettive con una vasta base di dati statistici. Approccio diverso è quello europeo
tradizionale che, seppur sempre fondato sui dati normativi statistici calcolati per le
popolazioni di riferimento, prevede un maggior spazio per gli aspetti interpretativi e
psicodinamici.

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Rorschach calcolava i risultati del test in base a quante risposte Forma, Colore e
Movimento, Animali erano state fornite e scoprì che c’era una relazione tra quello che
vedevano i pazienti e le loro malattie mentali.

Notò per esempio che un paziente maniaco depressivo non forniva risposte di Movimento
o Colore, non avrebbe individuato figure umane e sarebbe partito da piccoli dettagli per
poi passare alla figura intera, fornendo un numero esiguo di risposte Globali. Le persone
affette da depressione schizofrenica, invece, avrebbero rifiutato di rispondere a più di una
tavola, avrebbero visto una percentuale molto inferiore di figure animali e avrebbero dato
molte risposte di Movimento.

Scoprì anche che le risposte variavano in base alla personalità dei pazienti e al loro modo
di vivere. Per esempio, una grande quantità di risposte di Movimento indicava una
maggiore vita psichica interiore, ovvero un’energia introversa che portava la persona a
rimuginare, a muoversi internamente e a non avere molti contatti con la vita pratica. Le
risposte Colore sembravano esser legate all’emozione, al sentimento e all’”affettività”,
ovvero al modo in cui una persona era “affetta” dalle cose, e che quando le risposte
Colore prevalevano sulle risposte Forma il paziente si rivelava sensibile e anche
suggestionabile.

Con il passare del tempo gli psicologi riscontrarono come validi nuovi parametri di
interpretazione del test. Per esempio Gregory Meyer, dopo aver esaminato 1.292 studi
sperimentali sul test, valutò come valido il parametro per cui se una persona vede
immagini che richiamano un'idea di passività o impotenza, come "un uccello che non
riesce a volare", questa ha tratti di personalità definita dipendente e indecisa.

Esistono delle particolarità che riguardano solo determinate tavole: nella Tavola 2 spicca
il colore rosso, che ha come effetto il cosiddetto “ Shock al rosso”, che provoca
solitamente alcuni secondi di latenza tra presentazione e risposta, la Tavola 4 rappresenta
la “ tavola paterna”, mentre le Tavole 7 e 9 sono considerata “tavole materne”.

Il test può venire proposto anche ai bambini. Esso diventa spazio d’interazione tra
immaginario e realtà, tra percezione e proiezione, può diveire un importante banco di
prova della capacità del bambino di “giocare” e di esprimere la sua creatività personale.
Potremmo affermare che il compito possa mostrare le attitudini al playing, al gioco
immaginario, ma ci aspettiamo che mostri anche la capacità di gioco nel senso del game,
ossia che le risposte si organizzino entro le regole introdotte dalla consegna, mantenendo
l’articolazione tra percezione e proiezione. I bambini più piccoli tendono a fornire la

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stessa risposta ad ogni tavola. Questa tendenza alla perseverazione si mantiene, seppur
con un andamento progressivamente decrescente e solitamente dai tre anni d’età il
bambino inizia a fornire risposte differenti ad ogni tavola e queste sono spesso il prodotto
di un processo confabulatorio. Solo a partire dai cinque-sei anni si inizia ad osservare un
rapido aumento delle risposte di dettaglio e un miglioramento nel livello formale, grazie
ad un’aumentata capacità di differenziazione percettiva.

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3. LE ORIGINI DEL TEST

Le costellazioni potrebbero essere considerate una specie di primo test di Rorschach, dato che
bastava la più tenue somiglianza per suggerire l’identificazione di un animale nel tracciato di
alcuni punti luminosi. Diverse tribù proiettavano differenti immagini nelle costellazioni e per
vedere una determinata forma bisogna avere la disposizione mentale opportuna, tracciando le
linee fra le stelle maggiori del gruppo. Per esempio la costellazione che gli antichi
chiamavano Leone viene interpretata in modo diverso dagli Indios del Sud America: essi non
ci vedono un leone di profilo in quanto trascurano quelle che noi diremmo la coda e le zampe
posteriori dell’animale e immaginano il rimanente come una sorta di aragosta vista dall’alto.

L'interpretazione di macchie di inchiostro o segni ambigui per determinare la personalità degli


individui era parte integrante di un gioco del tardo diciannovesimo secolo. Quello di
Rorschach fu, però, il primo approccio sistematico di questo genere

È possibile che l'uso di macchie d'inchiostro da parte di Rorschach sia stato ispirato dal
medico e poeta romantico tedesco Justinus Kerner, che, nel 1857, pubblicò un popolare libro
di poesie, Klecksographien, ognuna delle quali ispirata a una macchia d'inchiostro
simmetrica creata accidentalmente e poi modificata con la pittura. Kerner fu il fondatore di
quella che viene chiamata kleksografia, ovvero l’arte di produrre un’immagine piegando il
foglio contenente macchie di inchiostro.

Le “clecsografie” erano anche un gioco per bambini abbastanza comune. Studiosi come Jung
e Thoreau lo avevano provato e una conoscente russa di Rorschach si ricordava di un gioco
che aveva fatto spesso da bambina in cui si scriveva con l’inchiostro il proprio nome e
cognome su un pezzo di carta, lo si piegava a metà e si “vedeva cosa diceva la tua anima”.

Per Kerner la creazione di queste macchie d’inchiostro era una pratica spirituale e spiritistica.
Credeva che le immagini rappresentassero “l’affiorare di un mondo di spiriti”, al pari dei
poteri della veggente. Le macchie nascevano autonomamente, in modo magico, inconscio,
inevitabile, e lui non faceva altro che invitarle dal loro mondo nascosto nel nostro, dove
fungevano d’ispirazione per le sue poesie. A un certo punto definì le sue macchie
“dagherrotipi del mondo invisibile”.

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Anche l’artista Cozens nel 700 fece usò di macchie d’inchiostro casuali con lo scopo di
suggerire motivi di paesaggio all’aspirante pittore dilettante. Egli si rivolge a menti già
predisposte in una direzione precisa e i suoi allievi scopriranno nelle macchie unicamente
motivi paesistici, dato che essi volevano vedere in queste solamente dei quadri di paesaggio.

In psicologia le macchie erano già state usate in precedenza in qualche occasione come
metodo per misurare l’immaginazione di alcuni soggetti, soprattutto bambini in età scolare.
Uno psichiatra francese, Alfred Binet, fu il primo ad avere avuto quest’idea nel 1895. Per
Binet la psicologia di una persona si suddivideva in dieci “abilità”, tra cui figuravano
memoria, attrazione, forza di volontà, sentimenti morali, suggestionabilità e immaginazione
ed ognuna di esse poteva essere misurata con un test specifico. Per quanto riguarda
l’immaginazione, Binet l’analizzava prendendo una macchia d’inchiostro, generata dal caso e
quindi dalla forma insolita, su un foglio di carta e chiedendo al paziente che cosa ci vedeva.
Se il soggetto era in grado di vedere solo un paio di cose, non aveva molta immaginazione, se
invece ne vedeva una ventina, ne aveva molta.

Le macchie di Rorschach, al contrario di quelle di Binet, erano generate utilizzando non solo
l’inchiostro, ma anche delle vernici, e non si trattava di macchie casuali. Esse venivano
continuamente create di volta in volta usando una penna stilografica su un foglio di carta
bianca su cui Rorschach disponeva molte macchie, talvolta fino a una decina. Non erano
molto dissimili dalle altre forme di espressione visiva verso cui Rorschach incoraggiava i suoi
pazienti.

Rorschach era a conoscenza del lavoro di Binet e conosceva bene la sua fonte d’ispirazione,
Leonardo da Vinci, che nel suo “Trattato della pittura” descrisse il metodo con cui cercava
l’ispirazione, lanciando del colore contro un muro e osservandone il risultato.

A metà del 1917, durante una visita presso la clinica universitaria di Zurigo, Rorschach ebbe
un incontro con Szymon Hens. Anche lui aveva come relatore Eugen Bleuer e per la sua tesi
aveva scelto le macchie d’inchiostro. Hens usò otto macchie nere e rudimentali per misurare
l’immaginazione dei soggetti in esame. Sebbene anche lui riconducesse alcune risposte alla
storia dei soggetti o alla loro personalità, lo faceva con superficialità e basandosi puramente
sul contenuto della risposta.

Rorschach intuì subito che un esperimento che prevedesse l’utilizzo di macchie d’inchiostro
poteva raggiungere ben altri risultati, ma prima di tutto aveva bisogno di immagini migliori.
Sapeva che alcune immagini erano capaci, al contrario di altre, di stimolare nell’osservatore
reazioni psicologiche e persino fisiche. Iniziò a produrre centinaia di macchie di inchiostro e a
sottoporre i risultati migliori a chiunque avesse a tiro. Le immagini restavano sospese tra il

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significato e la sua assenza, sul confine tra lo sfacciatamente ovvio e l’incertezza. Esse
presentano un rapporto ambiguo tra sfondo e primo piano, spazi bianchi con un potenziale
significato e una coerenza discutibile che impone all’osservatore di integrare l’immagine nel
suo complesso; possono essere percepite come umane o non umane, animali o non animali,
organiche o inorganiche, possono rimandare a uno scheletro o no. Questa tensione al confine
dell’intelligibilità conferisce loro un’aria misteriosa.

Nel concepire le macchie Rorschach si impegnò ad eliminare ogni segno di perizia artistica e
manuale. Le macchie non dovevano avere un aspetto artefatto, l’impersonalità era cruciale per
il loro funzionamento. Le sue immagini erano assolutamente simmetriche, ma anche troppo
dettagliate per derivare dalla semplice piegatura di un foglio e i colori infittivano il mistero. I
disegni di Rorschach assumevano sembianze sempre più lontane da ogni cosa vista prima,
nella vita e nell’arte.

Era importante che non dessero l’impressione di essere un enigma da risolvere, un test, perché
i pazienti paranoici erano molto sensibili a qualsiasi indizio potesse tradire un secondo fine.
Non potevano figurarvi nomi o numeri, perché i pazienti avrebbero deviato tutta la loro
attenzione su cosa potessero voler dire, finendo per ignorare l’immagine stessa. I fogli non
potevano avere un bordo, perché nella Svizzera del tempo gli schizofrenici l’avrebbero subito
ricondotto a quello nero delle notifiche di morte. Un enorme vantaggio del metodo delle
macchie di inchiostro era quello di poter “essere somministrato come un gioco o un
esperimento, senza inficiarne i risultati. Anche i pazienti schizofrenici che non rispondono a
nessun altro tipo di esami si sottoporranno volentieri a questo.”

La scelta di rendere simmetriche le macchie potrebbe sembrare scontata, ma fu in realtà una


delle decisioni o intuizioni più cruciali di Rorschach, con conseguenze determinanti. “La
simmetria delle immagini presenta lo svantaggio che la gente tenderà a vedere moltissime
farfalle e quant’altro, ma i vantaggi sono molti di più dei punti a sfavore. La simmetria rende
la forma più gradevole all’occhio e il paziente è quindi più propenso a sottoporsi alla prova.
L’immagine è altresì adatta a soggetti destrimani e mancini e incoraggia anche a osservare
l’intera scena rappresentata. Questa scelta forse dipende anche delle Forme d’arte della
natura di Heckel, dove si affermava che la simmetria è ciò che appare organico e naturale, o
ancora dal saggio di Vischer sull’empatia, che diceva che la “simmetria orizzontale ottiene
sempre risultati migliori per via dell’analogia con il nostro corpo.

Un’altra scelta cardinale fu quella di usare il rosso. Come qualsiasi pittore Rorschach sapeva
che il rosso e gli altri colori caldi tendono allo spettatore mentre il blu e gli altri colori freddi
recedono: allo stesso modo nelle macchie di inchiostro il rosso si sarebbe imposto
all’osservatore in maniera più aggressiva di qualsiasi altro colore obbligandolo a una reazione

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o una soppressione della stessa. Il rosso ha un aspetto più luminoso all’occhio umano di altri
colori della stessa saturazione per il cosiddetto effetto Helmholtz-Kohlrausch ed è anche
percepito come più saturo rispetto a colori altrettanto luminosi. Inoltre interagisce con la
dicotomia luce-oscurità meglio di ogni altro colore: sembra scuro se confrontato al bianco e
chiaro se paragonato al nero.

Ciò che distanzia maggiormente Rorschach dai suoi predecessori è la scelta di smettere di
usare le macchie come metro dell’immaginazione. Secondo lui una macchia non è soltanto
una macchia, se essa è di buona fattura, essa ha un significato reale. L’immagine contiene in
sé alcune limitazioni riguardo alle cose che vi si possono scorgere - come una sorta di binari –
pur non privando del tutto il soggetto della sua libertà: persone diverse vedono in modo
differente, e in questa differenza sta l’aspetto più illuminante. Rorschach lo aveva appreso
dagli amici con cui andava al museo di Zurigo, dal suo impegno nel leggere le persone in
quanto medico e in quanto essere umano.

Rorschach capì che nessuno guardava una macchia e cercava di vedervi qualcosa che non
c’era; tutti provavano a “trovare la risposta che più si avvicini alla realtà dell’immagine,
questo vale per l’individuo fantasioso quando per chiunque altro”. Scoprì che dire o meno al
soggetto di “dare libero corso alla propria immaginazione” non faceva alcuna differenza.
L’individuo fantasioso integra forme e colori in un quadro complessivo, l’uomo che
confabula vede la fossa degli orsi non perché essi si trovano all’interno della tavola, ma
perché il filo dei suoi pensieri è incagliato su di essi e di lì in poi tutto deve avere a che fare
con essi.

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3. GLI ALTRI TEST VISIVI DI RORSCHACH

Rorschach inventò anche altri test visivi tra il 1917 e il 1918 e li usò per integrare o
confermare le sue scoperte. Li abbandonò gradualmente, man mano che cresceva la sua
competenza nel test delle macchie, in quanto non più necessari.

Nel suo test sul colore egli colorò un gatto con i colori di una rana e uno scoiattolo con i
colori di un gallo per verificare cosa tra la forma e il colore giocasse un ruolo predominante
nella percezione di un soggetto. Gli epilettici, e in particolare coloro che erano affetti da
demenza, vedevano una rana e un gallo, a riprova dell’enfasi sull’interpretazione cromatica
rivelata dal test delle macchie.

Nel suo test sulla forma egli colorò la sagoma dell’Australia di nero. Stando a Rorschach, uno
schizzofrenico poteva descrivere la sagoma come “Africa, ma dalla forma sbagliata”, perché
la macchia è nera e le persone nere vengono dall’Africa. Rorschach realizzò anche una
macchia a forma di Italia che gli schizofrenici interpretarono come Russia (Russland), perché
questa era di colore nerofumo (Lampenruss).

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BIBLIOGRAFIA

Damion Searls, 2018, Macchie di inchiostro. Storia di Hermann Rorschach e del suo test, Il
Saggiatore

Maria Teresa Aliprandi, Anna M. Rosso, 2008, L' immaginario infantile nel Rorschach,
Franco Angeli

Ernst H. Gombrich, 2008, Arte e illusione, Phaidon

https://www.psiconline.it/le-parole-della-psicologia/la-proiezione.html

https://www.focus.it/scienza/scienze/il-test-delle-macchie-di-rorschach

https://www.paginemediche.it/medicina-e-prevenzione/esami/test-di-rorschach-il-significato-
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http://www.scenacriminis.com/news-storia/test-di-rorschach/

https://www.in-psychology.it/il-test-di-rorschach/

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https://www.dottori.it/salute/test-di-rorschach-applicazioni-specialisti-risultati

https://it.yestherapyhelps.com/the-rorschach-inkblot-test-11324

http://www.shadowes.org/24/?p=39

http://www.deltabravo.net/cms/plugins/content/content.php?content.35

http://www.terapiabrevestrategica-firenze.com/le-macchie-di-rorschach/

https://www.letture.org/il-test-di-rorschach-luciano-giromini-alessandro-zennaro

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