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Cesare Pavese “La casa in collina”

Mi è capitato di leggere alcuni libri riguardanti la seconda guerra mondiale in


cui i protagonisti erano ebrei che avevano subito la violenza delle leggi
razziali. In questo libro invece mi colpisce la vicenda del protagonista
Corrado che, non ebreo, vive in prima persona la violenza della guerra tra
nazifascisti e partigiani dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943. Corrado,
per sfuggire ai bombardamenti di Torino, trova rifugio in un casolare di
campagna dove viene ospitato da Elvira e dalla madre di lei. Scopre la
presenza di un'osteria, nelle vicinanze del casolare, e comincia a frequentarla
assiduamente così rincontrando il suo vecchio amore, Cate, la quale ha un
figlio, Corrado detto Dino, che potrebbe addirittura essere suo figlio; lui
preferisce però, non indagare sulla paternità del ragazzo, pur trattandolo con
atteggiamento paterno. Si evidenzia già in questo suo atteggiamento
l’incapacità di Corrado nel prendere decisioni. Un giorno, tornando da
Torino, riesce miracolosamente a sfuggire, insieme a Dino, ad una retata dei
nazisti all’osteria in cui viene presa Cate ed alcuni compagni. In un primo
momento troverà rifugio presso Elvira alla quale affida Dino, poi viene
ospitato nel collegio di Chieri. Successivamente saprà che Dino ha preso le
armi, arruolandosi tra i partigiani; lui, ancora incapace di decidere della
propria vita, preferisce accontentare la madre tornando a vivere nella casa in
collina. Lì trascorrerà il suo tempo a riflettere sul perché della guerra e dei
suoi orrori, sulla morte e sul senso di colpa che ha avvertito ogni qual volta
ha visto un cadavere e ne ha visti tanti. Se al posto loro ci fosse stato lui che
sarebbe cambiato? nulla. 

Cesare Pavese nella “Casa in collina” evidenzia il comportamento


dell’intellettuale che contempla gli eventi storici, ma non agisce. Questo
comportamento Pavese lo trasferisce nella figura di Corrado, il protagonista,
debole e irrisoluto, e rende così la narrazione autobiografica. Quando Torino
è devastata dai bombardamenti, Corrado fugge nelle langhe, luogo
certamente più appartato e quindi più sicuro; ma dopo l’8 settembre, con lo
scoppio della guerra civile tra nazifascisti e partigiani, anche la campagna
diventa insicura e Corrado non se la sente di partecipare agli eventi,
rifugiandosi in un collegio, prima e nella casa d’infanzia in collina, dopo. La
sua incertezza si manifesta anche nella vita privata, infatti se da un lato non
sa decidere se aderire alla lotta partigiana contro i fascisti di Salò, dall’altro
preferisce non indagare sulla paternità di Dino e, quando rivede Cate, pur
chiedendosi se il loro amore sia finito davvero, non fa niente per riallacciarlo.
Profonda è la riflessione che Pavese fa sul valore della vita e il senso della
morte, specie se violenta. Essa accomuna vincitori e vinti, la morte è uguale
per tutti. La guerra non ha giustificazioni e drammatica è la condizione
dell’uomo nei suoi confronti sia che egli vi partecipi attivamente, sia che non
partecipi, ma ne è egualmente e profondamente coinvolto. Nella narrazione
Pavese si fa un esame di coscienza attraverso il protagonista, il quale si
rammarica della propria impotenza a fermare la sofferenza collettiva
rappresentata dai cadaveri, che simboleggiano le colpe e le vergogne umane.

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