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PIRAMIDI EGIZIE

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]
Il termine piramide deriva dalla parola greca pyramis (πυραμίς) [N 1] assegnato ad un tipico dolce di farro
e miele, di forma appuntita (conica o vagamente piramidale) che i mercenari greci presentavano come
offerta funebre ai commilitoni morti[1][N 2]; è tuttavia verosimile che la scelta di tale termine sia derivata
dall'assonanza della parola greca con quella egizia per-em-us, letteralmente "ciò che va in alto", che
nel papiro matematico Rhind[N 3] indica l’altezza del solido[N 4]. Il termine egizio per indicare la piramide
era MR vocalizzato[N 5] in Mer in cui "M" indica "luogo" e "R" l'atto di salire con il senso compiuto, perciò,
di luogo in cui si sale, ovvero avviene l'ascensione. Con tale termine, tuttavia, veniva indicato solo il
sepolcro del re, mentre per le tombe di altro genere si utilizzavano altri vocaboli[2] Il determinativo per il
geroglifico che precisa in quale ambito vada interpretato il segno cui è affiancato, è un triangolo con il
vertice rivolto verso l'alto. Tale segno venne erroneamente interpretato, tra gli altri, da Gaston Maspero
che lo ritenne indicare tutte le sepolture regali al punto che, traducendo per primo il Papiro Abbott,
chiamò "piramidi" anche le tombe ipogee della dinastia egizia e della Valle dei Re.
È bene tuttavia tener presente che presso gli egizi anche gli edifici erano indicati con un nome proprio
e, perciò, il termine per indicare genericamente l'edificio piramide era scarsamente utilizzato. La
piramide di Pepi, ad esempio, era denominata Merenra-Khanefer, o Mennefermare. I greci, per
assonanza, ricavarono Mennefer che grecizzarono con la più familiare "Memphys". Le piramidi erano
infatti divinizzate e possedevano personalità giuridica e religiosa. Ciascuna di esse aveva un nome
proprio e, dalla IV alla XII dinastia i nomi seguirono sempre (salvo sporadici casi) la stessa struttura
grammaticale: nome del re - verbo - aggettivo come attributo di una qualità o di un comportamento. Si
ebbero perciò, ad esempio: Cheope appartiene all'orizzonte; Chefren è grande; Pepi è stabile nella
perfezione; Snefru è splendente; Unas è bello di recinto.

Le origini[modifica | modifica wikitesto]
Per giungere all'elemento fisico-architettonico della piramide egizia, non si può prescindere
dall'elemento immateriale che ne è, molto verosimilmente, alla base: una vera contesa, forse non solo
dottrinale, di ordine teologico-religioso facilmente giustificabile là dove si consideri che l'unificazione
dell'Alto e Basso Egitto sotto la I e II dinastia comportava, necessariamente, la creazione di un sistema
amministrativo centralizzato, con un apparato burocratico gerarchizzato e distribuito capillarmente sul
territorio. Ad una tale opera di amalgama non poté sottrarsi l'ambito religioso in cui si cercò di
contemperare le esigenze di unificazione con quelle teologiche proprie dei due regni e delle molteplici
divinità esistenti per addivenire, peraltro, ad un pantheon riconosciuto e accettato[3].
Le origini dell'opera architettonica vanno perciò ricercate anche in ambito religioso e nell'operazione
dottrinaria che, nella fase unificatoria del Paese, tese a inglobare miti arcaici e leggende, senza tuttavia
far venir meno le relative indipendenze religiose dei regni coinvolti, concentrando l'attenzione su pochi
centri di culto sotto l'egida di grandi divinità che già potevano contare su un clero preparato e su scuole
teologiche consolidate[4][5].

Teologia e religione[modifica | modifica wikitesto]


«Viene eretta per lui una rampa fino al cielo ed egli sale su quella fino al cielo»
(dai testi delle Piramidi, 267. 364a[6])
È bene precisare che l'assenza di fonti scritte e la valutazione eseguita ex post sulla scorta di
rinvenimenti archeologici e di studi congetturali, non può garantire certezza; è inoltre difficile stabilire se
alcune delle divinità emergenti in tale periodo lo siano state strumentalmente, per l'affermazione degli
obiettivi che si volevano raggiungere, o se lo fossero, a prescindere, per antica tradizione[3].
Il re successore di Horus[modifica | modifica wikitesto]
Tutankhamon, assimilato a Ra, emerge dal fiore di loto primordiale

Con l'unificazione delle Due Terre il titolo nesu, proprio dei re dell'Alto Egitto[N 6], si fuse con quello
di bity dei re del Basso Egitto[N 7], così costituendo il più antico dei cinque nomi della titolatura regale,
il nesu-bity, letteralmente "Colui che regna sul giunco e sull'ape", che caratterizzerà il re per tutta
la storia dell'antico Egitto[7]. Si rendeva tuttavia necessario sancire anche il diritto a regnare sui due
regni unificati con un epiteto non legato alle distinte unità territoriali, ma che in qualche modo fosse ad
esse sovraordinato, condizione possibile solo facendolo sottostare a una discendenza divina comune[8].
Di una tale operazione, forse perché più preparato o teologicamente più antico, o forse per una
particolare aggressività e per circostanze politiche particolarmente favorevoli, si incaricò il clero di Ra
di Eliopoli che concepì[9], e rese teologicamente ineccepibile, la discendenza divina del re mediante
l'enunciazione della teoria della Grande Enneade che vedeva il dio falco Horus quale ultimo re della
dinastia divina[10] e, pertanto, immediato predecessore del re terrestre[N 8]. La scelta di Horus appare
quanto mai ponderata e acuta visto che si trattava di una divinità comune ad entrambe le realtà
geografiche coinvolte nell'unificazione; Horus era, infatti, dio protettore del maggior centro religioso del
sud, Nekhen (Ieracompoli), ma anche dell'analogo importante centro cultuale, per il regno del nord,
di Behdet[11][N 9].
Già in età Thinita si affiancherà perciò al titolo nesut-bity il serekh, sovrastato dal dio falco, nel titolo più
antico di "nome di Horus"[N 10]. È bene tuttavia tener presente che il mito della Grande Enneade
comprendeva anche la nascita di Ra ed il suo sorgere, come Ra-Atum, sulla pietra benben di Eliopoli[10]
[N 11][N 12]

Un facile accostamento consentirebbe, data la forma piramidale della pietra benben, di far derivare da
questa la forma finale del monumentale sepolcro, ma ciò sarebbe una soluzione alquanto semplicistica
che non terrebbe conto, peraltro, della lunga evoluzione di carattere teologico che ruota attorno alla
forma definitiva della tomba[12].
L'oltretomba solare del re[modifica | modifica wikitesto]
Caratterizzata così, anche teologicamente, la figura del faraone vivente, nulla ancora lo differenziava
nel momento del trapasso al mondo dell'aldilà giacché le mastabe reali della I e II dinastia, a Saqqara[N
13]
, non erano molto dissimili architettonicamente da quelle dei funzionari, legate concettualmente al sud
del Paese e, segnatamente, alla città di Abido e al culto di Osiride[N 14], un culto funerario, tuttavia, che
già prevedeva embrionalmente, per il re, un destino differente da quello dei comuni mortali[13]. Proprio
su tale differente concezione di un aldilà riservato esclusivamente al re, si sarebbe innestata la diatriba
dottrinale, e forse non solo, che voleva il re destinato non al mondo sotterraneo di Osiride, ma a quello
celeste di Ra[13][14].
Appare chiaro che una tale concezione "solare" contrastasse nettamente con la sepoltura primordiale
nei pozzi sovrastati dalla mastabe che, benché sicuramente in grado di garantire un'agiata vita
nell'aldilà, erano, nondimeno, ben lontane dall'aldilà celeste che si andava delineando[13].
Benché difficile individuare un momento preciso in cui la teologia solare ebbe il sopravvento
sull'osiriaca, e quando la struttura tombale divenne mezzo reale per il raggiungimento del fine ultimo, si
ritiene tuttavia che questo possa essere individuato verso la fine della II dinastia[13] e un primo riflesso
del conflitto teologico, e della possibile soluzione, sarebbe riscontrabile nella duplice sepoltura di re
Djoser a Saqqara là ove al pozzo sotterraneo[N 15], nascosto sotto la piramide a gradoni, vera tomba del
re, si affianca la cosiddetta Tomba meridionale, o "tomba a sud" [N 16] interpretata come cenotafio a
imitazione delle doppie mastabe dei precedenti re (a Saqqara e ad Abido), ma forse anche
direttamente connessa alla nuova concezione teologica che voleva l'esistenza dell'oltretomba reale,
nelle regioni celesti, riservata solo ai re per ricongiungersi al padre Ra[13].
A tale concezione solare, per l'oltretomba reale, si ricollegano i Testi delle Piramidi[15][N 17] che
esprimeranno palesemente il destino solare del re e che se compariranno, per la prima volta, nel corso
della V dinastia, vedranno la loro evoluzione svilupparsi proprio a partire dalla III e IV.

«Ti ha creato Geb, ti ha partorito l'Enneade, prendi ora il tuo potere in Eliopoli»
(dai testi delle Piramidi, 247. 257a-261b[16])
In base a tale concezione teologica il re, figlio di un dio e dio egli stesso, era il tramite nel rapporto tra il
mondo terreno e quello delle divinità, garantiva al suo popolo benessere e prosperità, ordine e giustizia
e suo compito era, infatti, il mantenimento della Maat sulle Due Terre, ma la sua attività protettiva non
veniva meno con la morte giacché nell'occasione del trapasso saliva tra le stelle circumpolari (quelle
che gli egizi chiamavano "Stelle Imperiture") e sedeva accanto a Ra; da qui, grazie al culto funerario
quotidiano di cui era fatto oggetto il suo Kha[N 18], proseguiva la sua sollecitudine verso i suoi sudditi
terreni[16].
Che l'affermazione dell'oltretomba solare per i re, destinati non ad occidente, come i comuni mortali, ma
a oriente, non sia stata del tutto pacifica, si ha traccia dal tono stesso di alcune formule dei Testi delle
Piramidi; un'intera sezione, da 1264a a 1279c, presenta addirittura invettive violentissime contro gli dei
del ciclo osiriaco per impedire loro di entrare nella piramide, dominio solare[17].

«Non permettere che Osiride venga in questa sua mala venuta, non aprirgli le braccia; non permettere che
Horus venga in questa sua mala venuta, non aprirgli le braccia, digli il suo nome di "Accecato da un porco"[N
19]
; non permettere che Seth venga in questa sua mala venuta, non aprirgli le braccia, digli questo suo nome
di "Evirato"[N 20]. Se viene Iside, non aprirle le braccia, dille questo suo nome di "Grande di putrefazione"[N 21];
se viene Nephtis dille il suo nome di "Sostituta senza matrice"[N 22]»
(dai testi delle Piramidi, 534. 1264a-1279c[18])
E sono ancora le formule dei Testi delle Piramidi a giustificare teologicamente l'idea stessa della scala
verso il cielo[19] costituita, prima, dalla piramide a gradoni e poi, dalla piramide perfetta[17].

«Viene eretta per lui una rampa fino al cielo ed egli sale su quella fino al cielo»
(dai testi delle Piramidi, 267. 364a[6])
«Le anime di Eliopoli costruiscono per lui una rampa affinché possa giungere in alto»
(dai testi delle Piramidi, 505. 1089a[6])
L'arrivo in cielo del re è inoltre salutato dagli stessi dei che lo considerano pienamente loro pari e
talvolta anche ad essi stessi superiore, come rilevabile nei testi della piramide di Pepi, o, addirittura,
iperbolicamente in sé comprendente tutti gli dei[20].

«È salito in cielo Pepi, ha trovato Ra in piedi, gli si avvicina e siede al suo fianco. Ra non permette che sieda
in terra perché sa bene che è più grande di lui [...] Pepi è il più grande di tutti gli spiriti e più prezioso di tutti i
preziosi, Pepi è eterno più degli eterni [...] Pepi ha conquistato i Due Paesi come sovrano degli Dei»
(dai testi delle Piramidi, 439. 812a-814c[20])
«Alzati, hanno detto Shu e Tefnut, nel tuo nome di Dio, così diverrai tutti gli Dei»
(dai testi delle Piramidi, 215. 140a-149d[20])
L'eco della vittoria del clero di Ra su altri, è ancora desumibile dai testi delle piramidi che, per la prima
volta, appaiono nella tomba di Unis (V dinastia) là ove si sottolinea con insistenza quasi ossessiva
proprio la nascita eliopolitana del re e dello stesso Ra[N 23].
«Unis è eliopolitano come te, o Dio! Unis è eliopolitano o Ra! La madre di Unis è eliopolitana, Unis lui stesso
è eliopolitano, nato a Eliopoli»
(dai testi delle Piramidi della Tomba di Unis a Saqqara, 307. 482a-486d[21])
E il concetto solare della piramide, intesa teologicamente, e materialmente, come scala verso il cielo[N
24]
 si rafforza e si stabilizza nei testi dell'Antico Regno da cui è desumibile, peraltro, un'altra
interpretazione della struttura piramidale come raggi di pietra solidificati filtranti dalle nubi[N 25].

«[...] ho camminato su questi tuoi raggi come se avessi una rampa sotto i miei piedi sulla quale salire [...] al
cospetto di Ra [...] per te il cielo ha reso i raggi del sole più saldi perché tu possa salire [...] fino agli occhi di
Ra»
(dai testi delle Piramidi[22])
Architettoniche[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Complesso piramidale egizio.

Evoluzione delle sepolture: neolitico[modifica | modifica wikitesto]


Nel periodo neolitico (Predinastico egizio), cui appartengono le più antiche sepolture di cui si abbia
conoscenza in Egitto, non si ha traccia di sarcofagi per la sepoltura dei defunti anche se vengono
impiegate comunque varie forme di ricovero che, embrionalmente, al sarcofago intanto faranno
riferimento[23]. Fin da tale periodo arcaico, tuttavia, si assiste ad una netta differenziazione fra le culture
dell'Alto e Basso Egitto testimoniate anche nella diversità dei riti funerari[23][24][N 26]. I cadaveri sono
generalmente deposti in posizione fetale, coricati su un fianco, in fosse rotonde oppure ovali che
ricordano la planimetria delle abitazioni, scavate nella terra, talvolta foderate di stuoie.
Già a partire dalla prima metà del neolitico, tuttavia, si avverte il bisogno di riparare il morto dalla sabbia
di cui veniva riempita la fossa, nonché, superiormente, dalle incursioni di animali predatori: si giungerà
all'uso di vere e proprie ceste in vimini, giunco, pelle, tessuti in lino, in cui il cadavere veniva rinchiuso;
superiormente vengono apposte stuoie come tettoia talvolta cementate con fango[25], infine la parte
esposta della sepoltura veniva ricoperta di brecciame e pietre che costituivano anche visibile segnacolo
per il ritrovamento della sepoltura stessa[26][N 27].
Nel periodo di Naqada si ha una prima importante evoluzione delle sepolture che, come per le
abitazioni, da tonde o ovali, divengono rettangolari[25], talvolta, sebbene di rado e nelle sepolture di
maggior pregio destinate ai rappresentanti dei ceti più abbienti, con pareti interne rivestite in argilla o
mattoni cotti al sole. Sempre per le sepolture destinate ai capi, o ai sovrani di derivazione divina, si
assiste ad un ampliamento della struttura sotterranea, compare una suddivisione interna in vari
ambienti realizzata con tavole in legno o mura in mattoni, e un embrione di tetto a cuspide che viene
generalmente sovrastato da cumuli di pietre o mattoni di cui, oggi, non è possibile stabilire l'altezza per i
crolli e per le asportazioni di materiale intervenuti nei millenni[27].
Evoluzione delle sepolture: Età Thinita e Antico Regno[modifica | modifica wikitesto]
Testa in Oro di Horus rinvenuta a Ieracompoli (Cairo, Museo Egizio)

In Età Thinita si delinea anche nelle sepolture, la stretta gerarchia esistente nella monarchia faraonica:
a Ieracompoli, l'antica Nekhen capitale dell’Alto Egitto, a immagine del monticello Tatenen, emerso
dal Nun, l'oceano primordiale da cui la vita ebbe origine, il corpo del sovrano viene "piantato" nella
terra, come un seme, affinché possa rinascere con l'annuale inondazione nilotica[28]. In tale periodo, e
tale usanza permarrà sino alla IV dinastia, i corpi sono ancora deposti in posizione fetale e si giungerà
alla completa estensione ed alla mummificazione artificiale solo alla fine del Primo Periodo
Intermedio[29]. Sul corpo del re, nell'area della città riservata alle sepolture, ai limiti con l'area desertica,
viene eretto un tumulo rivestito in mattoni crudi, con i vari corsi sovrapposti inclinati con un angolo di
45°[N 28], circondato da un muro in mattoni di fango di circa 49 m.[30]. Dati i crolli intervenuti nei millenni,
non è possibile stabilire l'altezza della sovrastruttura tumularia che, tuttavia, doveva verosimilmente
essere a sua volta sovrastata dalla cappella Per-Wer, ovvero "la Grande Casa" che era il nome del
santuario di Ieracompoli e dell’Egitto meridionale. Nello stesso recinto venne rinvenuta
da Quibell e Green, nel 1898, la Tavoletta di Narmer ritenuta il simbolo dell'unificazione dell’Alto e
Basso Egitto da parte del re meridionale Menes/Narmer della I dinastia.
A dimostrazione dell'importanza di tale tumulo che, nei secoli, subirà sovrapposizioni fino al Nuovo
Regno, si consideri che al Medio Regno risale, altresì, la realizzazione di un complesso in muratura
costituito da più locali che ricalcano quelli previsti per i complessi funerari delle piramidi delle prime
dinastie[30]; in uno di questi, al centro del complesso, venne peraltro rinvenuta la testa in oro di Horus,
con il capo sovrastato da alte piume, nota come Horus di Ieracompoli[31].
La letteratura egizia riferita alla vita dell'aldilà contiene molti riferimenti al divino tumulo primordiale
considerato inoltre, specie nel Nuovo Regno, un mezzo per Osiride per ascendere al cielo tanto che il
dio viene talvolta rappresentato supino, all'interno di una struttura che ricorda, in sezione, una piramide
a gradoni[32]; in tal senso, il tumulo di Ieracompoli può essere interpretato come una prefigurazione del
concetto alla base del più grande e più sacro degli tumuli: la piramide[33].
I e II dinastia[modifica | modifica wikitesto]
Se politicamente l’unificazione delle due terre poteva dirsi conclusa con il mitico re Menes/Narmer, di
fatto non era ancora compiuta e i re della I e II dinastia continuarono a scegliere quale necropoli l’area
di Abido [N 29]. Si tratta ancora di tombe ipogee sormontate da strutture in mattoni crudi che, nel caso
della tomba di Khasekhemui, forse l’ultimo re della II dinastia qui sepolto, hanno consentito
l'individuazione di strutture murarie che sono state definite "proto-piramidali"[34][35].
Mastabe[modifica | modifica wikitesto]
Con l'unificazione territoriale avvenuta sotto la I dinastia[N 30], si rese necessaria la scelta di una nuova
capitale che i re meridionali, venuti dall'Alto Egitto, decisero di creare alla confluenza del Nilo con
l'estesa area del Delta. Alla fine della II dinastia tale città sarà nota come Ineb Hedj, ovvero "il Muro
Bianco", che i greci denomineranno Menfi [N 31]
Necessitando, in assonanza di quanto praticato nella terra d’origine, di creare un’area da destinare a
necropoli ai margini della città, venne scelta, come area della necropoli reale, Saqqara (a circa 30 km)
ove, direttamente derivanti dal tumulo primordiale[36] e dalle pietre sovrapposte a protezione delle
sepolture più antiche, furono ideate strutture più squadrate ed architettonicamente più definite,
complesse e monumentali: le mastabe [N 32]. Queste, di forma tronco-piramidale, al pari dei tumuli di
pietre, di fatto proteggevano sepolture sotterranee ed erano, in origine, prive di locali interni[N 33][37].
Esternamente le mastabe erano caratterizzata da un'altezza media di circa 6 m, con pareti a
"rientranze e sporgenze" in mattoni cotti al sole[37] che ricordavano la cosiddetta facciata di palazzo,
rivestite di latte di calce, ad imitazione di stuoie e tende policrome in tessuto[36]
Nel ventennio 1936-1956, sotto la guida dell'egittologo britannico Walter Bryan Emery [N 34] vennero
scavate numerose mastabe di Saqqara riscontrando che, alcune di esse, presentavano riferimenti a re
della I e II dinastia di cui erano già note le tombe ad Abido[38]: questo fece supporre che le mastabe di
Saqqara, località legata territorialmente alla nuova capitale, fossero in realtà cenotafi delle sepolture
autentiche di Abido o viceversa[39] considerando, peraltro, che tale seconda località era intimamente
connessa al culto del dio dei morti Osiride.

Evoluzione delle piramidi[modifica | modifica wikitesto]


La piramide egizia nella sua concezione architettonica finale di "piramide perfetta" è, in sé, solo parte di
un più ampio complesso funerario che, nella sua definitiva strutturazione, vedrà coesistere:

1. la piramide principale;
2. una o più piramidi satelliti;
3. una o più piramidi secondarie, o "della regina";
4. un tempio funerario dedicato al culto del sovrano defunto;
5. un tempio a valle, o "dell’accoglienza", dove avvenivano i riti connessi con l’imbalsamazione del
re;
6. una rampa processionale, o "cerimoniale", che univa i due templi e lungo la quale si snodava il
percorso funerario e rappresentava l’ascesa dalla vita terrena alla Duat [N 35].
Precedentemente a tale strutturazione, tuttavia, la piramide passò attraverso fasi successive la cui
genesi, teologica e architettonica, è stata sopra delineata[9]. Dal tumulo, semplice segnacolo di
sepoltura e protettivo dei resti mortali, si passò a strutture più complesse che del tumulo erano
l'elaborazione architettonica, le mastabe, che furono le sepolture dei re delle prime due dinastie dopo
l'unificazione delle Due Terre. Con tali dinastie si assiste alla presenza di doppie sepolture, a Saqqara e
ad Abido, verosimilmente per far godere entrambe le terre unificate della presenza funebre divina del
re-dio.
Ritenuta immediata predecessora della piramide a gradoni, a sua volta originatrice della piramide
perfetta, è la "piramide a crepidoma" di Nebitka, a Saqqara[40][41][N 36] che, come la successiva piramide
di Djoser, di cui ricalca in piccolo struttura e proporzioni, presenta più fasi edificatorie[N 37][42].

III dinastia[modifica | modifica wikitesto]


Benché non si abbia contezza di un momento di netta separazione dalle costruzioni funebri precedenti,
con il primo re della III dinastia, Djoser, e più segnatamente con il suo architetto Imhotep, si assiste ad
un vero salto di qualità architettonico[N 38].
Complesso di Djoser[modifica | modifica wikitesto]
Lo stesso argomento in dettaglio: Complesso di Djoser.

Si tratta, intanto, della prima costruzione di cui si abbia memoria in cui il mattone crudo viene sostituito
dalla pietra squadrata[43] usata per realizzare tutto il complesso[N 39]. Trattandosi del primo esperimento
di uso del nuovo materiale da costruzione, i blocchi in pietra hanno dimensioni di poco maggiori dei
precedenti mattoni crudi[44]; è tuttavia sintomatico che, di pari passo con l'esperienza acquisita e con la
maggior fiducia nella soluzione architettonica, le dimensioni dei blocchi aumenteranno fino a
raggiungere, poco più di un secolo dopo, quelle immani che si riscontrano nelle piramidi perfette di
Giza. Il complesso di Djoser a Saqqara è, per dimensioni, pari a circa 60 volte il più grande dei cenotafi
della II dinastia di Abido[40][N 40][45] e l'architetto Imhotep seppe trasporre in pietra, su scala monumentale,
strutture già esistenti nelle costruzioni precedenti, ma realizzate in materiali deperibili come mattoni
crudi, tronchi d'albero, fasci di canne e stuoie[N 41]. Le soluzioni poste in essere da Imhotep, tuttavia,
furono tutt'altro che semplicemente imitative giacché seppe coniugare la novità con il rigoroso rispetto
dei precetti del cerimoniale e della dottrina funeraria regale, solare, che si era, intanto, instaurata[46].
Non fu verosimilmente avulso da tale concezione il fatto che, tra gli innumerevoli titoli di cui si fregiava,
Imhotep possedesse anche quello di Kheriheb her tep, ovvero Primo sacerdote lettore del clero
eliopolitano.
Come già per la màstaba a crepidoma di Nebitka, anche il complesso di Djoser fu eretto per espansioni
successive; si trattava infatti, originariamente, di una màstaba a pareti verticali, a pianta quadrata di
62,90 m x 8,32 d'altezza, a tetto piatto, con rivestimento in calcare[N 42][47]. Tutto il complesso, nella parte
visibile, costituisce una vera e propria simulazione di edifici giacché la maggior parte di questi non è
praticabile, quasi si trattasse di una scena teatrale; il vero complesso funerario si sviluppa, infatti,
sotterraneamente con undici pozzi funerari, profondi 33 m, difficilmente accessibili, poiché ostruiti
dall'espansione accrescitiva della piramide, e un gran numero di locali (oltre 400) che, si ritiene,
ospitassero ben 40.000 vasi[48] di alabastro, schisto, porfido, cristallo di rocca, serpentino, breccia e altri
tipi di pietra, quasi tutti risalenti, per foggia o iscrizioni, alla I e II dinastia, di cui almeno i due terzi
recanti i cartigli di predecessori del re Djoser[N 43] altri i nomi di funzionari ed il monumento a cui erano
originariamente destinati e, all'interno, in inchiostro, il nome del donatore e, talvolta, quello del vasaio[49]
[N 44]
.
Il risultato finale è, comunque, una piramide costituita da sei gradoni, per un'altezza complessiva, oggi,
di circa 59 m, una vera e propria scala che doveva agevolare il re nella sua ascesa verso il cielo e il
padre Ra, in perfetta aderenza con la teologia eliopolitana cui si richiamerebbe, inoltre, la
cosiddetta Tomba a sud[N 45][50].

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