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della «Terra dei Viventi che comprende sette terre», e Vulliaud osserva che «questa Terra è

Canaan in cui vivevano sette popoli


» [La Kabbale, II, p. 116], il che è letteralmente esatto, per quanto sia ugualmente possibile
un'interpretazione simbolica. L'espressione
«Terra dei Viventi» è un esatto sinonimo di «dimora d'immortalità», e la liturgia cattolica la applica
alla dimora celeste
degli eletti, che era infatti raffigurata dalla Terra promessa, giacché Israele, penetrandovi, doveva
veder la fine delle sue tribolazioni.
Da un altro punto di vista ancora, la Terra d'Israele, in quanto centro spirituale, era un'immagine
del Cielo, poiché, secondo
la tradizione giudaica, «Tutto quel che fanno gli Israeliti sulla terra è compiuto secondo i tipi di ciò
che avviene nel mondo
celeste» [Ibidem, 1, p. 501].
Quanto è detto qui degli Israeliti può ugualmente valere per tutti i popoli che possiedono una
tradizione veramente ortodossa;
e, di fatto, il popolo d'Israele non è il solo ad aver assimilato il proprio paese al «Cuore del Mondo»
e ad averlo considerato
come un'immagine del Cielo, due idee che, del resto, sono in realtà una sola. L'uso dello stesso
simbolismo si ritrova presso altri
popoli i quali possedevano anch'essi una «Terra santa», cioè un paese ov'era stabilito un centro
spirituale avente per loro una funzione paragonabile a quella del Tempio di Gerusalemme per gli
Ebrei. A tale riguardo, la «Terra santa» equivale all'“Omphalos”,
che era sempre l'immagine visibile del «Centro del Mondo» per il popolo della regione in cui era
posto

Il simbolismo in questione s'incontra in particolare presso gli antichi Egizi; infatti secondo Plutarco,
«gli Egizi danno al loro paese
il nome “Chemia” [Kémi, in lingua egiziana, significa «terra nera», designazione di cui si ritrova
l'equivalente anche presso altri
popoli; da questa parola è venuta quella di “alchimia” (“al” non è che l'articolo in arabo), che
designava originariamente la
scienza ermetica, cioè la scienza sacerdotale dell'Egitto], e lo paragonano a un cuore

D'altronde, al dire di Plutarco


stesso, il cuore, che rappresentava l'Egitto, rappresentava al tempo stesso il Cielo: «Gli Egizi» egli
dice «raffigurano il cielo
che non può invecchiare perché è eterno, con un cuore posto su un braciere che ne alimenta
l'ardore con la fiamma» [Iside e
Osiride, 10, p. 49. Si osserverà che questo simbolo, con il significato che gli viene qui attribuito,
sembra poter essere accostato
a quello della fenice]

Così, mentre il cuore è esso stesso raffigurato da un vaso che non è altro se non quello designato
nelle
leggende medioevali come «Santo Graal», esso è a sua volta, e simultaneamente, il geroglifico
dell'Egitto e quello del Cielo.
La conclusione da trarre da queste considerazioni, è che vi sono altrettante «Terre sante»
particolari quante forme tradizionali
regolari, poiché esse rappresentano i centri spirituali corrispondenti rispettivamente a queste
diverse forme; ma, se lo stesso
simbolismo si applica uniformemente a tutte le «Terre sante», la ragione è che tali centri spirituali
hanno tutti una analoga costituzione,
spesso fin nei minimi particolari, poiché sono altrettante immagini di un medesimo centro unico e
supremo, che solo è il
vero «Centro del Mondo», ma di cui assumono gli attributi partecipando alla sua natura mediante
una comunicazione diretta,
nella quale risiede l'ortodossia tradizionale, e rappresentandolo effettivamente, in modo più o
meno esteriore, in tempi e luoghi
determinati. In altri termini, esiste una «Terra santa» per eccellenza, prototipo di tutte le altre,
centro spirituale a cui tutti gli altri
sono subordinati, sede della tradizione primordiale da cui tutte le tradizioni particolari sono derivate
per adattamento a queste o
quelle condizioni definite proprie a un popolo o a un'epoca. Questa «Terra santa» per eccellenza,
è il «paese supremo», secondo
il senso del termine sanscrito Paradesha, di cui i Caldei hanno fatto Pardes e gli Occidentali
Paradiso; è infatti il «Paradiso
terrestre», punto di partenza di ogni tradizione, che ha al suo centro la fonte unica da cui partono i
quattro fiumi che scorrono
verso i quattro punti cardinali [Questa fonte è identica alla «fonte d'insegnamento» alla quale
abbiamo avuto occasione di alludere
proprio qui diverse volte], e che è anche la «dimora d'immortalità», com'è facile rendersi conto
riportandosi ai primi capitoli
della Genesi [Per questo la «fonte d'insegnamento» è nello stesso tempo la «fontana della
giovinezza» (fons juventutis), poiché
chi vi beve è liberato dalla condizione temporale; essa è d'altronde situata ai piedi dell’“Albero della
Vita» (si veda il nostro studio
su “Le Langage secret de Dante et des «Fidèles d'Amour»” in «Le Voile d'Isis», febbraio 1929) e le
sue acque si identificano evidentemente
con “l'elisir di lunga vita» degli ermetisti (l'idea di «longevità» ha qui lo stesso significato che nelle
tradizioni orientali)
o con la «bevanda d'immortalità», di cui si parla ovunque sotto nomi diversi].

Non possiamo pensare di tornare qui su tutte le questioni concernenti il Centro supremo, da noi già
trattate altrove più o meno
compiutamente: la sua conservazione in modo più o meno nascosto a seconda dei periodi,
dall'inizio alla fine del ciclo, cioè dal
«Paradiso terrestre» fino alla «Gerusalemme celeste» che ne rappresentano le due fasi estreme; i
molteplici nomi sotto i quali
viene designato, come quelli di Tula, di Luz, di Salem, di Agarttha; i diversi simboli che lo
raffigurano, come la montagna, la caverna,
l'isola e molti altri ancora, in immediato rapporto, per lo più, con il simbolismo del «Polo» o
dell’“Asse del Mondo». A queste
raffigurazioni possiamo aggiungere anche quelle che ne fanno una città, una roccaforte, un tempio
o un palazzo, a seconda
dell'aspetto sotto il quale più specialmente lo si considera; ed è l'occasione di richiamare, assieme
al Tempio di Salomone che si
ricollega più direttamente al nostro argomento, la triplice cinta di cui abbiamo di recente parlato
come di una rappresentazione
della gerarchia iniziatica di certi centri tradizionali [Si veda il nostro articolo su “La triple enceinte
druidique” (qui sopra, come
cap. 10); vi abbiamo segnalato precisamente il rapporto di questa figura, sotto le due forme,
circolare e quadrata, con il simbolismo
del «Paradiso terrestre» e della «Gerusalemme celeste»], e anche il misterioso labirinto, che, in
una forma più complessa,
si ricollega a una concezione similare, con la differenza che vi è messa in evidenza soprattutto
l'idea di un «progredire» verso il
centro nascosto [Il labirinto cretese era il palazzo di Minosse, nome identico a quello di Manu, che
designa quindi il legislatore
primordiale. D'altra parte, si può capire, da quel che diciamo qui, la ragione per cui il percorso del
labirinto tracciato sul pavimento

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