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ZZ
BO
16 marzo 2007
Indice
Indice i
A
Introduzione iv
I La dinamica longitudinale 1
ZZ
1 Contatto ruota–strada 2
1.1 Modello di Coulomb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2
1.1.1 Limiti del modello di Coulomb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
3 Il modello a spazzola 12
3.1 Scorrimento longitudinale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
BO
4 Aderenza generalizzata 22
4.1 Magic Formula . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
4.2 Aderenza generalizzata in direzione laterale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 24
4.2.1 Spinta di campanatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
4.2.2 Diagramma di Gough . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
4.2.3 Carpet Plot . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
4.2.4 Rigidezza di deriva e di campanatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
4.2.5 Magic formulae per il comportamento laterale . . . . . . . . . . . . . . . 32
4.3 Interazione tra forze longitudinali e trasversali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33
4.3.1 Diagramma polare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 34
4.3.1.1 Approssimazione ellittica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35
5 Richiami di aerodinamica 37
5.1 Sistemi di riferimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
5.2 Forze aerodinamiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 38
i
INDICE
6 Frenatura 40
6.1 Decelerazione costante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41
6.1.1 Contributo dei freni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
6.1.2 Contributo delle azioni aerodinamiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
6.1.3 Contributo dell’attrito di rotolamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
6.1.4 Contributo della Pendenza della strada . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
6.2 Modello semplificato di veicolo in frenatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 44
6.2.1 Trasferimento di carico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 46
6.2.2 Decelerazione massima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 47
6.2.3 Ripartizione della frenatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
6.2.4 Variazione del coefficiente di aderenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 49
6.2.5 Efficienza della frenatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
A
6.2.6 Influenza della posizione del baricentro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51
6.2.7 Bloccaggio delle ruote . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 52
6.2.8 Correttori di frenata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
6.2.8.1 Limitatore di pressione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
6.2.9 ABS (Antilock Braking System) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 55
ZZ
6.2.9.1 Principio di funzionamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
6.2.9.2 Sensore di velocità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 56
6.2.10 BAS (Brake Assistance System) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
6.2.11 CBC (Cornering Break Control) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
6.2.12 ESP (Electronic Stability Program) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
6.2.13 FDR (Regelung Fahr-Dynamik) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
6.3 Frenatura ideale: “parabola di frenatura” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60
6.4 Ripartitore di frenatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64
BO
II La dinamica laterale 81
8 Sterzatura 82
8.1 Sterzatura cinematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
8.1.1 Il modello a bicicletta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
8.2 Limite di slittamento e ribaltamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86
8.3 Sterzatura dinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 89
ii
INDICE
A
9 Stabilità direzionale 106
Bibliografia 134
iii
Introduzione
Un veicolo terrestre presenta tre problematiche che saranno oggetto dei nostri studi:
• DINAMICA LONGITUDINALE;
A
• DINAMICA LATERALE;
• DINAMICA VERTICALE;
La dinamica longitudinale si occupa delle leggi in base alla quale il veicolo si muove
secondo una traiettoria rettilinea, realizzando moti uniformi, accelerati o decelerati.
ZZ
Gli aspetti fondamentali legati alla dinamica longitudinale riguardano:
• Dimensionamento del propulsore;
• Dimensionamento dell’impianto frenante e ripartizione delle forze frenanti sugli assi;
• Scelta dei rapporti di trasmissione del cambio;
La dinamica laterale studia le leggi in base alla quale un veicolo si muove lungo una
traiettoria curva (in genere fissando una legge d’avanzamento).
BO
La traiettoria curvilinea, oggetto dello studio, può essere impostata dal sistema di guida
(sterzo), oppure da una perturbazione esterna. A seconda di quale sia il modo in cui viene
impostata la traiettoria curvilinea, si individuano differenti oggetti di studio:
• il comportamento sovra o sottosterzante del veicolo, qualora la curva sia impostata per
mezzo del sistema di guida, come generalmente avviene nello studio di un autoveicolo;
• la stabilità di marcia ad alte velocità e l’assetto in curva del veicolo, nel caso in cui la
dinamica laterale sia dovuta a una perturbazione esterna. Questo campo di indagine si
presenta generalmente nello studio della dinamica laterale di un veicolo ferroviario.
La dinamica verticale studia i moti vibratori con cui il veicolo reagisce in presenza
d’irregolarità stradali.
Tale studio è legato sia a problemi di comfort, sia a quelli di sicurezza di marcia, in relazione
a fenomeni di distacco di una ruota o del ribaltamento.
Bisognerebbe infine parlare di tutti gli aspetti legati al controllo della dinamica di marcia.
L’incremento delle prestazioni di un autoveicolo è oggi strettamente connesso con l’utilizzo
d’opportuni sistemi di controllo, sia su strada (ABS, controllo della trazione, ESP, sospensioni
attive, sistemi di sterzata, ecc. . . ) sia su ferrovia (antipattinante, antislittante, sospensioni
attive, ecc. . . ).
Tali aspetti saranno marginalmente trattati nel corso di Dinamica del veicolo e saranno
approfonditi nei corsi successivi.
iv
Parte I
A
ZZ
La dinamica longitudinale
BO
1
Capitolo 1
Contatto ruota–strada
A
Le forze che vengono scambiate nel moto del veicolo sono di varia natura:
• forze aerodinamiche;
ZZ
• forze motrici generate dal propulsore;
Questi ultimi due tipi di forze sono propriamente forze interne al sistema, ma, poiché
generano lavoro, devono essere messe in conto quando si valuta la dinamica del veicolo.
In questo capitolo presenteremo alcuni modelli utili per l’individuazione delle forze che
vengono scambiate nel contatto ruota–strada.
BO
2
1. CONTATTO RUOTA–STRADA
1.1. Modello di Coulomb
velocità di traslazione del centro della ruota è esprimibile, dalla relazione fondamentale della
cinematica dei corpi rigidi, come:
V~G = ω
~ ∧ (G − C) .
A
ZZ
Figura 1.1: Schema di corpo rigido per la ruota che rotola senza strisciare
Quando la forza tangenziale supera il valore definito dalla (1.1), si ha strisciamento tra ruota
e pavimentazione e in queste condizioni la forza tangenziale ha direzione opposta alla velocità
di strisciamento e vale in modulo:
~ ~
T = fcin N (1.2)
BO
Figura 1.2: Andamento qualitativo del coefficiente d’attrito al variare della velocità
fs > fcin .
3
1. CONTATTO RUOTA–STRADA
1.1. Modello di Coulomb
A
ZZ
(a) Caso ideale (b) Caso reale
Figura 1.3: Andamento delle pressioni normali nel caso ideale (a) e nel caso reale (b)
Abbiamo detto che, essendo i corpi rigidi, il contatto fra pneumatico e strada è di tipo
puntiforme. In realtà, si tiene conto della deformabilità del pneumatico ammettendo che il
contatto avvenga non in un punto, bensì su una superficie limitata, chiamata orma di contatto.
Qualora si consideri il materiale costituente la ruota perfettamente elastico, nel rotolamento
del pneumatico sulla strada si instaura in corrispondenza dell’orma di contatto un andamento
BO
di pressione normale perfettamente simmetrico. La forza normale risultante passa, quindi, per
il centro del cerchio (Fig. 1.3a).
A causa della semplicità del modello, per tenere conto delle resistenze di rotolamento, s’in-
troduce il parametro d’attrito volvente u, che tiene conto della non perfetta elasticità dei corpi
a contatto. Infatti, poiché la ruota non è perfettamente rigida, occorre spendere una certa
energia per poterla deformare nel rotolamento∗ : tale energia, però, non viene interamente re-
stituita a causa delle perdite interne al materiale. Ne consegue, con riferimento alla Fig. 1.3b,
una distribuzione delle pressioni con risultante spostata in avanti nel senso del moto.
Questo richiede, per poter mantenere in moto la ruota, l’instaurarsi di un momento MA pari
a:
MA = N · u.
Se valutiamo il lavoro dissipato per unità di percorso, possiamo scrivere:
dLs dϕ MA ds MA N ·u
= MA · = · = = .
ds ds ds r r r
Si definisce perciò il coefficiente d’attrito volvente come:
dLs/
fv = ds = u
N r
∗
Si suppone la ruota assai più deformabile della strada: ciò è generalmente accettabile nel contatto
pneumatico–strada, ma non necessariamente nel caso di contatto ferroviario.
4
1. CONTATTO RUOTA–STRADA
1.1. Modello di Coulomb
Il coefficiente d’attrito volvente dipende dalla pressione di gonfiaggio, dal tipo di pneumatico,
dal tipo di strada e dalla velocità.
Da rilevazioni di tipo sperimentale si è individuato per questo coefficiente un andamento
del tipo quello rappresentato qualitativamente in Fig. 1.4.
A
ZZ
Figura 1.4: Andamento del coefficiente d’attrito volvente al variare della velocità per un tipico
pneumatico convenzionale a tele incrociate e uno radiale
5
1. CONTATTO RUOTA–STRADA
1.1. Modello di Coulomb
A
Il modello presentato in questo paragrafo si presta a descrivere con buona approssimazione
condizioni di moto dei veicoli in rettilineo, fintanto che le forze longitudinali trasmesse non
superano il limite imposto dalla (1.1). Di fatto, le condizioni di funzionamento previste dal
modello sono soltanto due: rotolamento puro e bloccaggio delle ruote.
Esso si dimostra, però, inadeguato qualora si intenda studiare la deriva del pneumatico in
curva o si voglia comprendere il comportamento sovra o sottosterzante di un autoveicolo. Ana-
ZZ
logamente, con questo tipo di approccio non vi è modo di evidenziare i fenomeni di instabilità
che intervengono ad alte velocità sui veicoli ferroviari.
BO
6
Capitolo 2
A
2.1 Sistema di riferimento
Nello studio della cinematica, che ci tornerà utile per presentare i modelli che superano i limiti
di quello appena presentato, si farà riferimento al sistema di coordinate presentato in Fig. 2.1.
ZZ
BO
Figura 2.1: Sistema di riferimento per lo studio della cinematica del rotolamento (Fonte: [4])
Si suppone che all’asse della ruota venga imposto un moto puramente traslatorio con velocità
costante V~ su una strada perfettamente piana e rettilinea. Il cerchio della ruota∗ ha velocità
angolare ω~ . L’origine O del sistema di riferimento è presa sul piano della strada e posta in
corrispondenza del centro dell’orma di contatto, ossia è data dall’intersezione di tre piani:
• il piano stradale;
7
2. CINEMATICA DEL ROTOLAMENTO
2.2. Cinematica
L’asse x è dato dall’intersezione del piano stradale con quello longitudinale ed è diretto
secondo il senso di marcia; l’asse z è ortogonale alla strada e diretto verso l’alto, mentre l’asse y,
di conseguenza, coincide con la proiezione sul piano stradale dell’asse della ruota ed è orientato
in modo da considerare positive rotazioni e momenti antiorari.
Gli angoli† rappresentati in Fig. 2.1 sono così chiamati:
angolo di camber o campanatura γ è l’angolo di cui è inclinato il piano medio della ruota
rispetto alla perpendicolare alla strada; è uno dei più importanti angoli che determinano
l’assetto del veicolo in quanto riveste particolare importanza nell’ottica di massimizzare
l’impronta a terra del pneumatico al variare del carico verticale;
A
del pneumatico in curva.
alla ruota siano applicate in corrispondenza dell’origine O del sistema di riferimento: poiché
ciò non sarà, in generale, verificato, occorre prevedere, per equilibrare il sistema, la presenza
~
di una coppia di risultante M = Mx My Mz . Di queste componenti‡ , riveste maggiore
ZZ
interesse il momento di autoallineamento Mz , in quanto, nella manovra di sterzatura, tende a
riportare lo sterzo in posizione neutra.
2.2 Cinematica
Supponiamo che il moto rigido del mozzo avvenga con velocità V~ = Vx Vy 0 costante
Vx = V cos α
Vy = −V sin α
8
2. CINEMATICA DEL ROTOLAMENTO
2.2. Cinematica
A
Figura 2.2: Sα è l’intersezione fra asse elicoidale del moto e piano x − z
Definiamo condizione di puro rotolamento quella in cui il moto avvenga con deriva nulla
(α = 0) e senza che vi sia alcuna coppia applicata all’asse del mozzo (T = 0). In queste con-
ZZ
dizioni, il moto sarà perfettamente piano, l’asse elicoidale diventa asse di istantanea rotazione,
tutti i suoi punti hanno velocità nulla Vy = 0 e il mozzo si muove con velocità V~ diretta secondo
l’asse longitudinale x. Se indichiamo con ω0 la velocità angolare in queste condizioni, la (2.1)
diventa:
V
R0 = (2.2)
ω0
In generale, possiamo affermare:
h < R0 < R e ,
ossia il centro di istantanea rotazione si trova leggermente sotto il piano stradale.
BO
Possiamo, a questo punto, pensare di applicare alla ruota un angolo di deriva non nullo
(α 6= 0), pur mantenendo nulla la coppia applicata (T = 0). In queste condizioni (Fig. 2.3a), il
moto del cerchio non è più piano e detta ω0α la velocità angolare in queste condizioni (minore
rispetto a ω0 in cui non si aveva deriva) avremo (per la (2.1)):
V cos α
R0α = (2.3)
ω0α
Poiché α è generalmente piccolo, non vi è grossa differenza fra i due valori di R0α e R0 , anche
se concettualmente rappresentano grandezze differenti: sono la distanza fra asse elicoidale del
moto e asse del cerchio nel caso in cui sia, rispettivamente, presente o meno la deriva della
ruota; fermo restando che sono ottenuti in assenza di coppie applicate alla ruota.
Qualora si preveda (come in Fig. 2.3b) di applicare una coppia sulla ruota, la velocità
angolare ω sarà diversa dalla ω0α che avevamo in precedenza¶ . Questo comporta che l’asse
elicoidale venga a trovarsi a una distanza
V cos α
R=
ω
rispetto all’asse della ruota diversa dal precedente valore R0α definito dalla (2.3). Il punto Sα , a
distanza R0α dal centro ruota, ha pertanto una velocità di scorrimento V~s rispetto alla strada.
¶
Sarà ω < ω0α con coppia frenante e ω > ω0α con coppia motrice.
9
2. CINEMATICA DEL ROTOLAMENTO
2.2. Cinematica
A
(a) (b)
Figura 2.3: Riposizionamento dell’asse elicoidale nel caso sia applicata una coppia al mozzo (b)
ZZ
Le componenti di questa velocità sono date da:
(
Vsx = ωR − ωR0α = V cos α − ωR0α = ω0α R0α − ωR0α
(2.4)
Vsy = −V sin α = −Vx tan α = −ω0α R0α tan α
La prima delle (2.4) è stata ottenuta osservando che Vx non cambia con l’applicazione della
T e che si può scrivere per le (2.1) e (2.3):
Vx = ωR = ω0α R0α
BO
V~r = ωR0α 0 0
10
2. CINEMATICA DEL ROTOLAMENTO
2.2. Cinematica
A
~s al variare della coppia applicata
Figura 2.4: Segno di V
ZZ
deriva (α = 0) si ha ~s = 1 0 e ω ~ = +∞ 0 , mentre in condizioni di puro rotolamento
sono entrambe nulli.
Concludiamo il capitolo osservando, con l’ausilio della Fig. 2.4, che Vsx > 0 con ruota frenata
(T < 0) e Vsx < 0 quando la ruota è motrice (T > 0).
BO
11
Capitolo 3
Il modello a spazzola
A
Abbiamo già osservato che il modello di Coulomb è troppo semplice per poter spiegare alcuni
aspetti fondamentali del moto del veicolo. Qui presenteremo un modello, chiamato “a spaz-
zola” (brush model, in letteratura anglosassone), che ci permetterà di ottenere un andamento
qualitativo delle forze longitudinali e laterali che vengono scambiate al contatto ruota–strada,
ZZ
sia qualora si consideri la presenza della deriva o meno.
Il sistema è considerato piano, ossia si suppone che il pneumatico abbia larghezza (cioè
dimensione secondo l’asse y, ortogonale al foglio) nulla, in modo da poter supporre che la
pressione dovuta al contatto con la strada sia costante lungo l’asse trasversale e vari, quindi,
secondo il solo asse longitudinale x.
12
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.1. Scorrimento longitudinale
Ipotizzeremo, senza perdere in generalità, che l’angolo di camber γ sia nullo; per valuta-
re l’andamento delle tensioni longitudinali, come ci si propone di fare in questo paragrafo,
dobbiamo poi supporre nullo anche l’angolo di deriva α.
La strada è supposta infinitamente rigida e si assume che il contatto fra i due corpi avvenga
in corrispondenza di un segmento di lunghezza 2a, dipendente dalla forza normale agente e dalla
deformabilità del solo pneumatico. All’interno di questo segmento di contatto si introduce una
coordinata ξ con origine nel bordo d’ingresso e orientata secondo l’asse x nel verso opposto alla
direzione di avanzamento.
Per le ipotesi che abbiamo fatto, le deformazioni dovute alle azioni reciproche che si scambia-
no pneumatico e strada avvengono tutte esclusivamente sul battistrada: si ipotizza che ciascun
tassello elementare di cui si può pensare costituito il battistrada si deformi in maniera del tutto
indipendente dagli altri tasselli. La deformazione longitudinale del tassello individuato dalla
A
coordinata ξ viene indicata con u (ξ).
La velocità del tassello di battistrada che entra nella zona di contatto è data da∗ :
du ∂u ∂ξ
v (ξ) = Vx − ωR + = Vx − ωR + (3.1)
dt ∂ξ ∂t
ZZ
Possiamo scrivere:
∂ξ
= Vx (3.2)
∂t
in quanto la derivata parziale a primo membro rappresenta la “velocità di alimentazione” con
cui i tasselli del battistrada entrano nella superficie di contatto e coincide con la velocità Vx ,
appunto. La (3.1) si può così scrivere nella forma:
∂u
v (ξ) = Vx − ωR + Vx (3.3)
∂ξ
BO
Ammettendo che vi sia una relazione lineare fra deformazione e sforzo longitudinale appli-
cato sul singolo tassello, avremo:
τx (ξ)
u (ξ) =
Ck
dove Ck rappresenta la rigidezza longitudinale del battistrada.
A questo punto, è ragionevole aspettarsi che, almeno per un certo tratto in corrispondenza
dell’ingresso del segmento di contatto, il battistrada aderisca alla superficie stradale. In questa
zona di aderenza, la velocità del tassello espressa dalla (3.1) dovrà annullarsi:
1 ∂τx
Vx − ωR + Vx =0 (3.4)
Ck ∂ξ
da cui si ottiene:
Vx − ωR 1 ∂τx
Vx + =0
Vx Ck ∂ξ
È immediato scrivere:
∂τx Vx − ωR
= −Ck = −Ck s (3.5)
∂ξ Vx
∗
Avendo supposto α = 0, potremmo scrivere V al posto di Vx , ma si preferisce seguire questa formulazione
perché più generale.
13
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.1. Scorrimento longitudinale
Occorre a questo punto fare una precisazione: la velocità, che abbiamo chiamato di “alimen-
tazione”, con cui il battistrada entra all’interno del contatto non è eguale a Vx , come abbiamo
ammesso, bensì a Vr = ωR, leggermente diversa dalla prima. In ragione di ciò, la (3.2) si
trasforma nella:
∂ξ
= ωR
∂t
e, conseguentemente, dalla (3.1) avremmo ottenuto, invece della (3.5), la seguente:
∂τx Vx − ωR
= −Ck = −Ck σ (3.6)
∂ξ ωR
A
In realtà, non vi è grossa differenza nell’uso dell’una o dell’altra relazione, poiché, come
abbiamo avuto modo di notare nel precedente capitolo, i due scorrimenti differiscono solo nel
modulo. D’altra parte, come si capirà in seguito, quello a spazzola è un modello di tipo
qualitativo, in quanto, per conoscere le τx (ξ), saremo costretti a ipotizzare un andamento,
seppur ragionevole, delle p (ξ).
ZZ
Pertanto, non perdendo alcuna informazione in merito all’andamento qualitativo delle τx ,
preferiamo per semplicità far uso dello scorrimento pratico, anziché di quello teorico.
τx (ξ) = τx (0) − Ck sξ
Poiché in corrispondenza del bordo d’ingresso il battistrada non può essere compresso, in
quanto proviene da una zona non in contatto con la strada e, pertanto, non sottoposto ad
BO
Si comprende ora quello che si è detto sul carattere qualitativo di questo modello: l’anda-
mento delle τx (ξ) è ottenuto in funzione di quello della p (ξ), per ottenere il quale andrebbero
svolte indagini più precise e complesse (come, ad esempio, analisi ad elementi finiti). General-
mente, si preferisce ipotizzare per la sua semplicità un andamento delle pressioni parabolico,
14
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.1. Scorrimento longitudinale
A
(a) Caso fcin = fs (b) Caso fcin < fs
Figura 3.2: Andamento delle tensioni longitudinali τx (ξ) secondo il modello a spazzola
ZZ
con l’accortezza di imporre in corrispondenza degli estremi del segmento 2a una pressione nulla,
come fisicamente richiesta dalla presenza di una certa rigidezza del pneumatico.
In Fig. 3.2 si riporta graficamente la soluzione‡ della espressione (3.8), in cui si distingue
l’andamento lineare delle tensioni longitudinali fintanto che è soddisfatta la condizione di ade-
renza (per quel dato valore di scorrimento) e il successivo andamento parabolico (o comunque
proporzionale a quello ipotizzato per la pressione) nel restante tratto finale di miscroslittamenti.
La forza longitudinale risultante, data dall’integrale della (3.8):
Z2a
BO
Tx = τx (ξ) dξ
0
†
In realtà, è la sola componente sx , ma nel caso in esame coincide con lo scorrimento essendo nullo l’angolo
di deriva α.
‡
Più precisamente il modulo.
15
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.2. Scorrimento laterale
A
ZZ
Figura 3.4: Modello a spazzola per deriva
dw
vy (ξ) = V sin α + (3.9)
dt
Occorre, a questo punto, osservare che l’angolo di deriva α è, nelle normali condizio-
ni di marcia, dell’ordine di 2◦ ÷ 4◦ ; si potranno pertanto considerare accettabili le seguenti
approssimazioni:
sin α ≈ tan α ≈ α.
Si può pertanto riscrivere la (3.9) nella forma:
∂w ∂ξ ∂w
vy (ξ) = V α + =Vα+V (3.10)
∂ξ ∂t ∂ξ
Nella zona di aderenza dovrà realizzarsi la condizione:
vy = 0,
ossia:
∂w
Vα+V = 0.
∂ξ
Vale, in definitiva:
∂w
= −α (3.11)
∂ξ
16
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.2. Scorrimento laterale
Integrando, si ottiene:
w (ξ) = −αξ (3.12)
avendo già considerato che la deformazione al bordo di ingresso deve essere nulla perché il
battistrada proviene da una regione non soggetta sollecitazioni.
Indicando con Ck 0 la rigidezza trasversale del pneumatico, si può ipotizzare una relazione
lineare fra deformazione e tensione:
τy (ξ)
w (ξ) = .
Ck 0
Sfruttando la (3.12), possiamo scrivere:
A
τy (ξ) = −Ck0 αξ (3.13)
Per le stesse ragioni che abbiamo detto nel caso delle tensioni longitudinali, la (3.13) vale
fintanto che τy (ξ) ≤ fs p (ξ). Sarà, in definitiva:
Figura 3.5: Andamento delle tensioni laterali τy (ξ) secondo il modello a spazzola
Z2a
Ty (ξ) = τy (ξ) dξ
0
Poiché, come si osserva dalla Fig. 3.5, la distribuzione delle tensioni non è simmetrica, si
genera un momento diretto secondo l’asse z dato da:
Z2a
Mz (ξ) = τy (ξ) (ξ − a) dξ
0
17
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.3. Coefficiente di aderenza
A
ZZ
Figura 3.6: Momento di autoallinemento secondo il modello a spazzola (Fonte: [2])
BO
Concludiamo osservando che la zona effettiva di aderenza è individuata da una relazione del
tipo:
τ (ξ) < fs p (ξ)
dove con τ si è indicato il modulo della tensione tangenziale totale, pari alla somma (vetto-
riale) delle due tensioni longitudinale τx e laterale τy . In altri termini, possiamo affermare che
l’impegno di aderenza in una direzione toglie aderenza nell’altra.
18
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.3. Coefficiente di aderenza
A
sx = ωω0 − 1
(3.16)
sy = tan α
Sul grafico di Fig. 3.7 si riporta l’andamento qualitativo del coefficiente di aderenza longi-
tudinale µx al variare dello scorrimento.
ZZ
BO
Figura 3.7: Andamento qualitativo del coefficiente di aderenza longitudinale µx al variare dello
scorrimento pratico s (in figura indicato con σ) (Fonte: [3])
19
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.3. Coefficiente di aderenza
A
Figura 3.8: Andamento di µx in differenti condizioni di asfalto (Fonte: [3])
In Fig. 3.8 è mostrato la forte variabilità del coeffciente di aderenza al variare delle condizioni
dell’asfalto. Condizione particolarmente critica (non prendendo in considerazione il caso di
strada innevata o ghiacciata, in cui l’aderenza si mantiene su valori sempre molto bassi) è
ZZ
quella in cui la strada sia solo parzialmente bagnata e piena di sporcizia, condizione che si
realizza piuttosto frequentemente alle prime acque autunnali. In tali condizioni, il coefficiente
di aderenza è assai variabile da punto a punto e, mentre dove si realizzano condizioni di scarso
scorrimento l’aderenza è ragionevolmente elevata, là dove lo scorrimento è più alto il coefficiente
µx può assumere valori assai più bassi del massimo.
BO
Figura 3.9: Influenza dell’usura sull’andamento del massimo di µx con la velocità (Fonte: [3])
La Fig. 3.9 mostra come l’aumento di µP dovuto all’usura del battistrada possa essere
molto sensibile alle alte velocità. La cosa non deve trarre in inganno: il grafico di Fig. 3.9 fa
riferimento a superfici asciutte, mentre la presenza di uno strato di acqua peggiora l’aderenza
in maniera molto più sensibile su pneumatici usurati (si veda al riguardo la Fig. 3.10).
Infatti, qualora lo spessore dello strato di acqua è notevole e la velocità abbastanza soste-
nuta, può realizzarsi una condizione di sostentamento idrodinamico noto come aquaplaning.
La superficie di contatto è in queste condizioni assai ridotta e le condizioni di contatto che ne
derivano ricordano un po’ quelle tipiche delle superfici lubrificate.
Osserviamo, infine, che il coefficiente di aderenza longitudinale di diminuisce all’aumentare
del carico (Fig. 3.11).
20
3. IL MODELLO A SPAZZOLA
3.3. Coefficiente di aderenza
A
ZZ
Figura 3.10: Fenomeno dell’aquaplaning per pneumatico con battistrada (curve A) e senza
(curve B) (Fonte: [3])
BO
Figura 3.11: Diminuzione del coefficiente di aderenza longitudinale all’aumentare del carico
normale applicato alla ruota (Fonte: [3])
21
Capitolo 4
Aderenza generalizzata
A
Per lo studio dei fenomeni di interazione fra pneumatico e strada sono stati sviluppati diversi
modelli, oltre a quello a spazzola presentato nel precedente capitolo. Sostanzialmente, i modelli
si suddividono in:
ZZ
fisici: riproducono il reale contatto fra pneumatico e strada, così da prevedere il comporta-
mento dei fenomeni;
In questo capitolo, ci proponiamo di presentare uno dei più validi modelli semiempirici per
la ricostruzione “analitica” del contatto e di sviluppare alcuni concetti sull’interazione dei vari
BO
22
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.1. Magic Formula
Si assume poi:
• µxP = b1 Fz + b2 ;
• C = b0 ;
• b0 = 1, 65;
• E = b6 Fz2 + b7 Fz + b8 ;
• Sh = b9 Fz + b10 ;
A
• Sv = 0.
Dalla formula (4.1) e successive assunzioni si osserva che la funzione Fx = f (N, sx ) viene
fatta dipendere da 10 parametri che vengono calcolati con metodi di identificazione in maniera
da interpolare la curva sperimentale. Per la sua stessa espressione, si accetta implicitamente
ZZ
che il comportamento in frenatura e in accelerazione sia antisimmetrico.
Inoltre, poiché B, C e D dipendono dal carico normale, può essere conveniente studiarli in
forma adimensionale, fornendo le seguenti definizioni:
23
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
A
così la ruota in una condizione di vero e proprio slittamento.
Il fatto, insito nella presenza stessa dell’angolo di deriva, che il vettore velocità non giac-
cia nel piano medio della ruota implica che la forma della superficie di contatto sia distorta,
come mostrato in Fig. 4.1. Nella stessa figura si mostra anche, qualitativamente, l’incremento
dell’estensione della zona di strisciamento all’aumentare dell’angolo di deriva.
ZZ
BO
Figura 4.1: Distorsione dell’orma di contatto per la presenza della deriva (Fonte: [3])
24
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
A
ZZ
Figura 4.2: Deformazioni laterali, distribuzione delle azioni tangenziali e normali, slittamento e
velocità laterali in un pneumatico in deriva (Fonte: [3])
della zona di contatto: la Fz è applicata in un punto spostato in avanti rispetto alla direzione
di moto e determina il momento resistente dovuto al rotolamento, mentre la risultante Fy delle
azioni laterali è applicata in una posizione arretrata di un braccio t rispetto al centro dell’orma.
BO
25
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
A
ZZ
BO
Figura 4.5: Curve qualitative Fy (α), t (α) e Mz (α) al variare della velocità V (Fonte: [3])
26
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
A
ZZ
BO
Figura 4.6: Spinta di campanatura in funzione del carico normale e dell’angolo di campanatura
(Fonte: [3])
27
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
A
ZZ
Figura 4.7: Forza laterale al variare di γ (Fonte: [3])
BO
28
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
per le imprecisioni di lavorazione, la forma della ruota presenti una certa conicità: essa tenderà
quindi a rotolare su una traiettoria non più rettilinea, bensì circolare.
Un altro fattore che influenza questa “asimmetria” di comportamento di un pneumatico è il
cosiddetto ply steer, dovuto alla sua tipica struttura a tele incrociate. Infatti, l’angolo e l’ordine
con cui sono posizionate le varie tele fa sì che, anche in rotolamento puro, il pneumatico rotoli
lungo una retta inclinata rispetto al suo piano medio: ciò determina l’instaurarsi di una forza
laterale, il cui verso, però, non cambia pur se si monta il pneumatico ruotato di 180° sul cerchio.
Appare evidente che l’effetto dovuto al ply steer può essere controllato con una buona
precisione, in quanto dipende sostanzialmente dalla progettazione della disposizione delle tele.
Questa controllabilità del fenomeno può essere sfruttata per limitare l’uso della convergenza, il
cui scopo è garantire alla traiettoria rettilinea la condizione di moto stabile; con la differenza che
il ply steer, rispetto alla convergenza, non comporta l’aumento della resistenza al rotolamento.
A
4.2.2 Diagramma di Gough
Per avere un quadro di insieme sul comportamento laterale del pneumatico, è molto utile far
uso di un diagramma del tipo rappresentato in Fig. 4.9, dove la forza laterale Fy è riportata in
ZZ
funzione del momento di autoallineamento Mz con Fz , α e t come parametri.
BO
Si è detto che il momento di autoallineamento viene percepito dal guidatore come una
reazione sullo sterzo: poiché (come è evidente dalla Fig. 4.9) al diminuire della forza laterale
il momento tende a zero, la diminuzione della reazione sullo sterzo dovrebbe essere sentore di
condizione di rischio.
In realtà, un pneumatico di cattiva qualità può conservare un valore relativamente elevato
di momento di autoallineamento anche per valori pericolosamente bassi della spinta laterale. La
29
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
Fig. 4.10 mostra come il pneumatico di curva caratteristica b) al crescere della velocità presenta
una marcata riduzione della forza di deriva che però non è accompagnata dalla riduzione del
momento.
A
Figura 4.10: Diagrammi di Gough a differenti velocità per un carico Fz fissato: a) pneumatico
con comportamento soddisfacente; b) pneumatico con comportamento insoddisfacente (Fonte: [3])
ZZ
4.2.3 Carpet Plot
In quest’altro tipo di diagramma si riportano le grandezze considerate (tipicamente forze o
coefficienti di aderenza) in funzione dell’angolo di deriva per diversi valori del carico verticale,
con l’accortezza di traslare lungo l’asse delle ascisse le curve ottenute per diversi valori di Fz di
quantità proporzionali al carico stesso (in Fig. 4.11 ne è riportato un esempio).
BO
Figura 4.11: Carpet Plot del coefficiente di aderenza laterale (Fonte: [3])
Per poter leggere un digramma di questo tipo, poiché le curve sono shiftate a seconda del
carico verticale, occorre riportare anche le curve “iso–deriva”, come fatto in figura.
30
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
Fy = −Cα α (4.3)
A
Si definisce anche un coefficiente di rigidezza laterale come il rapporto fra la rigidezza di
deriva e il carico normale: valori tipici di questo rapporto sono di 0, 15 deg−1 per pneumatici
radiali e 0, 12 deg−1 per pneumatici convenzionali.
In maniera analoga si definisce la rigidezza di campanatura:
∂Fycamp
ZZ
Cγ = (4.4)
∂γ γ=0
Fy = −Cα α + Cγ γ (4.5)
BO
La validità della (4.5) è del tutto accettabile per angoli α ≤ 4◦ e γ ≤ 10◦ , circa.
Un procedimento del tutto analogo può essere applicato al momento di autoallineamento,
definendo le rigidezze come:
∂Mz
(Mz ),α =
∂α α=0
∂Mz
(Mz ),γ =
∂γ γ=0
ed esprimere il momento secondo un’espressione lineare del tipo:
31
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.2. Aderenza generalizzata in direzione laterale
h i
(Mz ),γ 0, 001 m/deg conven.
≈ h i
Fz 0, 0003 m/deg radiali
Occorre osservare che nella definizione che abbiamo dato dei coefficienti di rigidezza di deriva
e di campanatura è implicita una dipendenza lineare delle forze laterali dal carico normale
applicato. In realtà, la rigidezza di deriva ha un andamento lineare con il carico normale
soltanto per bassi valori di quest’ultimo: per valori più alti, la rigidezza cresce in maniera molto
meno sensibile, al punto che si può spesso ritenere che si raggiunga una sorta di saturazione
(Fig. 4.12).
A
ZZ
BO
• C = a0 = 1, 30;
• D = µyP Fz ;
32
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.3. Interazione tra forze longitudinali e trasversali
• µyP = a1 Fz + a2 ;
• E = a6 Fz + a9 ;
h i
• BCD = sin 2 arctan Fa4z (1 − a5 |γ|);
• Sh = a8 γ + a9 Fz + a10 ;
Si osserva, per inciso, che i termini Sv e Sh tengono conto del ply steer e della conicità del
A
pneumatico.
Espressione analoga si definisce anche per il momento di autoallineamento:
• D = c1 Fz2 + c2 Fz ;
Anche in questo caso le varie grandezze non sono dimensionalmente congruenti essendo
espresse Fz in [ kN], α e γ in [ deg], Fy in [ N] e Mz in [ Nm].
33
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.3. Interazione tra forze longitudinali e trasversali
A
Figura 4.13: Coefficienti di aderenza in funzione dello scorrimento per diversi valori dell’angolo
di deriva (Fonte: [3])
ZZ
4.3.1 Diagramma polare
Si può pensare quindi di riportare la forza laterale in funzione di quella longitudinale prendendo
come parametro l’angolo di deriva: ciascun punto della curva ottenuta corrisponde a valori
diversi dello scorrimento longitudinale. Il procedimento può essere esteso anche al momento di
autoallineamento, ottenendo la Fig. 4.14.
BO
A rigore, le curve di forza non sono simmetriche rispetto alle ordinate, ossia il massimo di
forza laterale sviluppabile dal pneumatico si raggiunge quando si ha la contemporanea azione
di una leggera forza frenante† .
†
Detto in altri termini, le curve non sono delle vere e proprie semi–ellissi, anche se si approssimano a tali.
34
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.3. Interazione tra forze longitudinali e trasversali
Osservando la Fig. 4.14, si constata che quando si applica una elevata forza frenante il
momento cambia di segno e questo ha un effetto destabilizzante perché tende a far aumentare
l’angolo di deriva.
Generalmente si preferisce riportare il digramma polare invertendo l’asse delle ordinate,
ottenendo la Fig. 4.15: la curva tratteggiata rappresenta l’inviluppo dei grafici ottenuti per
diversi valori di α e identifica il valore della forza risultante massima esercitabile dal pneumatico.
A
Figura 4.15: Diagramma polare “ribaltato”: grafico sperimentale (Fonte: [3])
ZZ
Se F è la forza esercitata dal pneumatico e Fx e Fy sono le sue componenti, il coefficiente
di aderenza della forza risultante può essere espresso come:
F q
µ= = µ2x + µ2y (4.8)
Fz
Nei modelli più semplici si ipotizza che la curva dell’inviluppo di Fig. 4.15 sia un cerchio,
chiamato cerchio di aderenza. In realtà, µx è maggiore di µy e per di più le curve non sono
perfettamente simmetriche. Si tenga, poi, presente che, qualunque sia il tipo di approssimazione
che si faccia, la forza F ha una forte dipendenza dalla velocità.
BO
35
4. ADERENZA GENERALIZZATA
4.3. Interazione tra forze longitudinali e trasversali
s 2
Fx
C = C0 1− (4.11)
Fx0
A
ZZ
BO
36
Capitolo 5
Richiami di aerodinamica
A
5.1 Sistemi di riferimento
Prima di passare allo studio delle azioni aerodinamiche occorre fare una precisazione sui sistemi
di riferimento di cui si fa uso nello studio del moto di un veicolo:
ZZ
Sistema assi suolo XYZ: Sistema di riferimento fisso rispetto alla strada. Gli assi X e Y
giacciono su un piano orizzontale (con l’asse X orientato secondo la linea mediana della
strada) mentre l’asse Z è verticale e diretto verso l’alto.
Sistema assi corpo xyz: Sistema solidale al veicolo, centrato nel suo baricentro. L’asse x si
trova nel piano di simmetria del veicolo ed è orizzontale, l’asse z si trova anch’esso nello
stesso piano ed è veerticale e diretto verso l’alto, mentre l’asse y è perpendicolare agli
altri due.
BO
Sistema assi vento x0 y0 z0 : Sistema solidale con il veicolo, simile al sistema assi corpo con la
differenza che l’asse x0 è diretto secondo la velocità relativa V~r fra aria e veicolo, nel verso
opposto (FIg. 5.1). È il sistema di riferimento usato nello studio dell’aerodinamica.
La velocità relativa V~r dell’aria rispetto al veicolo è la differenza fra la velocità V~ del veicolo
stesso e quella ~vv del vento.
37
5. RICHIAMI DI AERODINAMICA
5.2. Forze aerodinamiche
All’angolo β che la velocità V~ forma con l’asse x si da il nome di angolo di deriva del veicolo
o angolo di assetto. Analogamente, l’angolo βa fra lasse x0 , ossia V~r , e l’asse x prende il nome
di angolo di deriva aerodinamico.
A
resistenza Fxv : è l’unica che compie lavoro;
devianza Fyv
portanza Fzv
ZZ
Le componenti della forza aerodinamica rispetto al sistema assi corpo prendono il nome di:
Quelle del momento aerodinamico nello stesso sistema assi corpo sono dette invece:
BO
In Tab. 5.1 sono riportati valori tipici assunti dal Cx per diverse tipologie di veicoli: si tenga
presente che i coefficienti adimensionali vengono calcolati per βa = 0 fissando la superficie S e
la lunghezza l (tipicamente si assume S = 2 m2 ); poi, mantenendo S e l costanti, si vede come
variano i coefficienti adimensionali al variare di βa .
38
5. RICHIAMI DI AERODINAMICA
5.2. Forze aerodinamiche
A
ZZ
BO
39
Capitolo 6
Frenatura
A
Si consideri la Fig. 6.1, in cui sono mostrate tutte le forze agenti su un veicolo in salita su
una strada in rettilineo, in assenza di vento laterale. Il veicolo è modellato come un corpo
rigido in moto traslatorio. Con questa ipotesi si considerano nulli gli effetti delle sospensioni
(in termini di beccheggio della cassa) e si suppone che non vi sia diversità di comportamento
ZZ
fra i pneumatici destro e sinistro dello stesso asse, escludendo così rotazioni di imbardata.
BO
Figura 6.1: Forze agenti su un veicolo in moto su una strada con pendenza tan α (Rielaborato
da: [2])
La legge di moto per il veicolo considerato si scrive (si prende un asse x parallelo alla strada
e diretto come la velocità):
X
M ẍ = −Fx1 − Fx2 − Faer − M g sin α − fvi Fzi (6.1)
i
avendo indicato con Fx1 e Fx2 le forze frenanti applicate, rispettivamente,
P all’asse anteriore
1 2
e posteriore, con Faer = 2 ρA V SCx la resistenza aerodinamica e con i fvi Fzi la resistenza
all’avanzamento dovuta all’attrito volvente.
In particolare, se ammettiamo che il coefficiente d’attrito volvente sia uguale per tutte le
40
6. FRENATURA
6.1. Decelerazione costante
ruote: X X
fvi Fzi = fv Fzi
i i
ed esprimendo le forze frenanti per mezzo del coefficiente d’aderenza:
la (6.1) diviene:
A
La massa M è la massa traslante complessiva del veicolo (comprese quindi anche le ruote)
e non è la massa ridotta alla traslazione longitudinale; in altri termini le masse rotanti sono
direttamente rallentate dai freni e, dunque, non devono rientrare nel computo della massa
ridotta.
ZZ
6.1 Decelerazione costante
Supponiamo che il moto del veicolo sia uniformemente decelerato, ossia sia sottoposto a forze
frenanti costanti. Integrando l’equazione di moto possiamo ottenere un’espressione del tutto
generica dalla quale possiamo risalire al tempo o lo spazio percorso dal veicolo durante la
manovra di frenatura.
Sia dunque Ftot la forza totale (costante) agente sul veicolo. La precedente si modifica nella:
Ftot
ẍ =
BO
M
ossia:
dV Ftot
− = = ax (6.3)
dt M
Il tempo tf necessario a portare il veicolo dalla velocità V0 alla Vf si ottiene svolgendo
l’integrale:
ZVf Ztf
Ftot Ftot
dV = − dt ⇒ V0 − Vf = · tf = ax · tf
M M
V0 0
41
6. FRENATURA
6.1. Decelerazione costante
dx
V =−
dV Ftot
m
Integrando quest’ultima:
ZVf Zxf
Ftot
V dV = − dx
M
V0 x0
si perviene a:
A
=− (xf − x0 )
2 M
Lo spazio necessario per arrestare il veicolo dalla velocità V0 è quindi:
M V2 V02
sarr = · 0 = (6.5)
Ftot 2 2 · ax
ZZ
Dalla (6.5) risulta immediato che lo spazio necessario per arrestare un veicolo sottoposto ad
una decelerazione costante aumenta, a parità di decelerazione, con il quadrato della velocità da
cui si inizia a frenare.
Analizziamo adesso i singoli contributi delle forze agenti sul veicolo nell’equazione della
dinamica (6.2).
di aderenza longitudinale per il carico agente sulla ruota stessa, quindi la forza totale frenante
è data da:
X
Ff reni = µxi Fzi (6.6)
i
Supponendo che i coefficienti di aderenza siano uguali per ogni pneumatico (frenatura
ideale), la precedente diviene:
X
Ff reni = µx Fzi = µx M g (6.7)
i
La decelerazione che si può imporre al veicolo per la sola azione dei freni è quindi fornita
da:
Ff reni
ẍf reni = − = −µx g (6.8)
M
Quindi la massima decelerazione a cui può essere sottoposto il veicolo è direttamente pro-
porzionale al coefficiente di aderenza longitudinale µx . In altri termini, possiamo dire che la
massima forza longitudinale che le ruote possono esercitare è pari al prodotto del peso del
veicolo per il coefficiente di aderenza µx .
Il tempo di arresto e lo spazio di arresto in questo caso valgono rispettivamente:
42
6. FRENATURA
6.1. Decelerazione costante
V0 V02
tarr = sarr =
µx · g 2 · µx · g
Ftot = Ff reni + c · V 2
A
dove c = 12 · ρ · S · Cx .
L’equazione di moto diventa:
dV
−M · = Ff reni + c · V 2
dt
ZZ
da cui:
dV
−M · = dt
Ff reni + c · V 2
o anche:
V dV
−M · = V dt
Ff reni + c · V 2
Essendo:
BO
V dt = dx
si può ricavare lo spazio d’arresto integrando la precedente:
Zsarr Z0
V dV
dx = M ·
Ff reni + c · V 2
0 V0
ottenendo:
M Ff reni + cV02
sarr = · ln (6.9)
2c Ff reni
Le forze frenanti di natura aerodinamiche sono del tutto trascurabili nello studio della
dinamica della frenatura; infatti se si considera un veicolo che si muove con una velocità di
V = 40m/s (144km/h) la resistenza aerodinamica vale Faer = 600N che, confrontata con le
altre forze frenanti, (che, come visto, possono superare il peso del veicolo in condizioni di buona
aderenza: 8000 − 18000N ) risulta effettivamente trascurabile.
Per V = 20m/s = 76km/h le forze aerodinamiche Faer = 150N .
43
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
A
Fv
= −fv g
ẍ = − (6.11)
M
L’attrito di rotolamento è spesso trascurabile, essendo come ordine di grandezza equivalente
ad una decelerazione di 0, 01 g.
ZZ
6.1.4 Contributo della Pendenza della strada
La pendenza può dare ovviamente un contributo positivo o negativo alla forza frenante.
La componente della forza peso in direzione parallela a quella di avanzamento può essere
espressa come:
Fpend = M g sin α
Il contributo alla decelerazione dovuta alla sola pendenza (indicata con i = tan α) sarà dato
∗
da :
BO
ẍ = −gi (6.12)
Per cui l’effetto di una pendenza, ad esempio del 4%, è quello di decelerare o accelerare il
veicolo di 0, 04 g.
44
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
A
Figura 6.2: Modello del veicolo in frenatura (Fonte: [4])
angoli di sterzo di tutte le ruote siano nulli e che si muova in aria ferma, o meglio che sia
assente qualunque componente laterale del vento. Queste ipotesi equivalgono a dire che tutti
gli pneumatici si trovano in condizioni di frenatura pura, cioè con angoli di deriva tutti nulli.
Se si pensa di studiare una manovra di frenatura con forze frenanti costanti è possibile tra-
scurare i moti di beccheggio della carrozzeria; tali moti sono infatti localizzati nei primi istanti
di applicazione delle forze frenanti e implicano, comunque, rotazioni della cassa di pochi gradi;
per questo motivo l’altezza h del baricentro può essere ritenuta costante. Quest’ultima sempli-
ficazione equivale in sostanza a trascurare totalmente l’effetto delle sospensioni e a considerare
quindi il veicolo come un unico corpo rigido.
Supponiamo inoltre che le ruote di uno stesso assale si trovino nelle stesse condizioni di
aderenza, carico verticale e forze frenanti.
Con le ipotesi fatte ci siamo ricondotti a considerare un veicolo come un sistema piano in
moto rettilineo uniformemente ritardato.
Come abbiamo visto, possiamo trascurare in prima approssimazione anche il contributo
delle forze aerodinamiche e dell’attrito di rotolamento.
Le equazioni di moto per il veicolo si possono dunque scrivere:
mu̇ = − (X1 + X2 )
0 = Z 1 + Z2 − m · g (6.13)
0 = (X1 + X2 ) · h − Z1 · a + Z2 · b
45
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
Inoltre le forze frenanti sono limitate dal coefficiente µ secondo le seguenti disequazioni:
|X1 | 6 µ · Z1
(6.14)
|X2 | 6 µ · Z2
Nella (6.14) con µ abbiamo indicato un coefficiente d’aderenza fittizio, definito come rap-
porto tra la massima forza longitudinale ed il corrispondente carico verticale (è assunto indi-
pendente dal carico verticale) ed è uguale per tutte le ruote.
Alle (6.13) e (6.14) vanno aggiunte le condizioni di vincolo monolatero per la strada, ossia
le forze verticali che essa esercita sul veicolo devono essere dirette verso l’alto:
Z1 > 0
(6.15)
A
Z2 > 0
Osserviamo che le equazioni scritte rappresentano il comportamento del veicolo anche in
accelerazione semplicemente cambiando il segno alle forze longitudinali e applicando tali forze
solo all’asse motore.
ZZ
6.2.1 Trasferimento di carico
In condizioni di marcia uniforme (velocità costante), sui due assali gravano i cosiddetti carichi
statici W1 e W2 che dipendono solo dalla posizione del baricentro† :
b
W1 = mg ·
l (6.16)
a
W2 = mg ·
l
In frenatura (u̇ < 0) si ha un aumento ∆Z del carico sull’assale anteriore e una conseguente
BO
46
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
Figura 6.3: Carichi sui due assali in funzione dell’accelerazione longitudinale (Fonte: [4])
A
6.2.2 Decelerazione massima
La massima decelerazione si realizza quando tutte le ruote si trovano al limite di aderenza, cioè
quando:
X1 = µ · Z1
ZZ
(6.18)
X2 = µ · Z2
Sostituendo nelle equazioni d’equilibrio (6.13):
|u̇|max = µ · g (6.19)
La massima decelerazione non dipende quindi dalle caratteristiche dell’impianto frenante
che determinano invece la possibilità di realizzarla nelle varie condizioni di utilizzo.
La condizione d’incipiente ribaltamento in direzione longitudinale va messa in relazione con
la massima decelerazione realizzabile; infatti, perché si abbia il ribaltamento del veicolo dovrà
BO
sussistere la relazione:
a·g
|u̇| = 6 |u̇|max = µ · g
h
ossia:
a
6µ (6.20)
h
Dalla (6.20) si comprende che la condizione di incipiente ribaltamento in frenatura dipende
esclusivamente dalle caratteristiche geometriche e di massa del veicolo (posizione longitudinale
e altezza del baricentro) e dall’aderenza disponibile.
Nei normali autoveicoli, anche in condizioni d’elevata aderenza, tale disequazione non è mai
verificata, quindi le ruote iniziano a slittare prima che il veicolo si ribalti in senso longitudinale.
Inserendo le equazioni (6.17) e (6.19) nelle (6.18) si ottengono i valori delle forze frenanti
X1P e X2P in condizioni limite d’aderenza, cioè i massimi valori possibili con le date condizioni
di aderenza:
h
X1P = µ W1 + m µg
l
(6.21)
h
X2P = µ W2 − m µg
l
47
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
X1P Z1 b + µ·h
= P = (6.23)
A
X2P Z2 P a − µ·h
Tale rapporto indica come ripartire le forze frenanti fra i due assali in modo da raggiungere
contemporaneamente le condizioni limite ed ottenere quindi una frenatura ottimale.
Tali condizioni sono, di fatto, esclusivamente teoriche ed è quindi necessario studiare tutte
le possibili condizioni di frenatura di un veicolo.
ZZ
Supponiamo quindi di imporre una forza frenante e che l’altra assuma il valore massimo
compatibile con l’aderenza; supponiamo cioè che X2 sia nota e che X1 = µZ1 e sostituiamo
nell’equazione di moto (6.13):
!
W1 + hl · X2
X1 = µ · (6.24)
1 − hl · µ
In maniera del tutto analoga, fissiamo X1 e sia X2 = µZ2 ; si ottiene:
BO
!
W2 − hl · X1
X2 = µ · (6.25)
1 + hl · µ
Le (6.24) e (6.25) esprimono la forza al limite di aderenza, rispettivamente, sull’assale
anteriore e posteriore note che siano le forze frenanti sull’altro assale.
Come casi particolari si considerano la frenatura solo sull’asse anteriore (X2 = 0):
µ · W1
X10 =
1 − µ · hl
e solo sull’asse posteriore (X1 = 0):
µ · W2
X20 =
1 + µ · hl
Si può osservare che la forza frenante sull’assale anteriore è maggiore del prodotto tra il
coefficiente d’aderenza e il carico statico, mentre quella sull’assale posteriore è minore per
effetto del trasferimento di carico dal retrotreno all’avantreno.
Se sul piano di coordinate X1 e X2 tracciamo le due rette definite dalle equazioni (6.24) e
(6.25) si ottiene il grafico di Fig. 6.4.
48
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
A
Figura 6.4: Zona ammissibile delle possibili coppie di forze frenanti (Fonte: [4])
ZZ
La zona del piano delimitata dai due assi cartesiani e dalle due rette di cui sopra (in grigio)
delimita tutte le possibili coppie di forze frenanti per un dato coefficiente di aderenza µ (regione
ammissibile).
In altri termini, ogni coppia di forze appartenente alla regione ammissibile dà origine ad
una frenatura del veicolo senza che si bocchi nessun assale. Oltre la retta superiore si bloccano
le ruote anteriori, mentre oltre la retta a destra si bloccano le ruote posteriori.
L’intersezione delle due rette individua il punto P di coordinate X1P , X2P (eq. (6.18)) in
BO
49
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
A
ZZ
Figura 6.5: Zona ammissibile al variare del coefficiente di aderenza (Fonte: [4])
La situazione è rappresentata in Fig. 6.5, dove sono raffigurate tre diverse zone ammissibili
per coefficienti d’aderenza crescenti µ1 < µ2 < µ3 : è evidente il non parallelismo delle rette che
delimitano la zona ammissibile nelle tre differenti condizioni d’aderenza.
Supponiamo di aver dimensionamento l’impianto frenante in modo da avere una frenatura
BO
ottima per µ = µ2 :
b + µ2 · h
X1 = · X2
a − µ2 · h
Se si è in condizioni di ridotta aderenza per µ = µ1 si esce attraverso la corrispondente zona
ammissibile attraverso il lato superiore (punto A), cioè le ruote anteriori si bloccano prima di
aver completamente utilizzato l’aderenza disponibile sulle ruote posteriori.
Se si è in condizioni di aderenza migliore (µ = µ3 ) si esce attraverso la corrispondente zona
ammissibile attraverso il lato di destra (punto B), cioè le ruote posteriori si bloccano prima di
aver completamente utilizzato l’aderenza disponibile sulle ruote anteriori.
Quindi, una variazione del coefficiente di aderenza rispetto a quello utilizzato per ripartire
le forze frenanti porta necessariamente ad una frenatura non ottimale (cioè non si riesce ad
ottenere la decelerazione massima possibile con quel coefficiente di aderenza, µ3 g o µ1 g).
50
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
Come detto, sia nel caso di ridotta aderenza (µ1 ) che d’aderenza maggiore (µ3 ) non si riesce
ad avere la frenatura ottimale (che corrisponderebbe a decelerazioni rispettivamente di µ1 g e
µ3 g): la retta per P2 non passa né per P1 né per P3 .
Nei due casi otteniamo invece una decelerazione pari rispettivamente a ε1 µ1 g e ε3 µ3 g, dove
con ε1 e ε3 abbiamo indicato l’efficienza della frenatura nelle due condizioni d’aderenza, definita
dalle seguenti relazioni:
b
ε1 = se µ1 < µ2 (6.27)
b + h (µ2 − µ1 )
a
ε3 = se µ3 > µ2 (6.28)
a + h (µ3 − µ2 )
A
6.2.6 Influenza della posizione del baricentro
La forma e le dimensioni della zona ammissibile di frenatura nel piano X1 − X2 dipendono
anche dalla posizione del baricentro del veicolo e dal rapporto hl (eq. (6.22)).
ZZ
BO
Figura 6.6: Zona ammissibile al variare della posizione del baricentro (arretramento) (Fonte: [4])
Gli spostamenti del baricentro sono dovuti, per esempio, alle condizioni di carico del veicolo.
A parità di coefficiente d’aderenza µ, la posizione del baricentro non influenza la decelera-
zione massima ottenibile essendo come visto (eq. (6.19)):
|u̇|max = µ · g
Pertanto il punto P d’intersezione delle due rette, al variare della posizione del baricentro,
si mantiene sulla retta a −45◦ , caratteristica per quell’aderenza µ e d’equazione:
51
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
Ancora una volta, se l’impianto frenante è stato dimensionato secondo la condizione indivi-
duata da P , una variazione della posizione del baricentro porta a condizioni di frenatura non
ottimali (punto A) in cui si ha il bloccaggio delle ruote anteriori (G è in questo caso in posizione
più arretrata§ ).
A
µP al valore µS come risulta dalla figura seguente.
ZZ
Figura 6.7: Aderenza longitudinale in funzione dello pseudoslittamento percentuale
• si perde il “potere direzionale” del pneumatico: quando la ruota è bloccata di fatto non
BO
funziona più come ruota, ma come un corpo che striscia sulla strada; il coefficiente di
aderenza laterale per pseudoslittamenti longitudinali prossimi ad 1 si riduce enormemente
(Fig. 6.8).
Figura 6.8: Aderenza longitudinale e laterale (per angolo di deriva costante)in funzione
dello pseudoslittamento percentuale
§
Infatti, se b diminuisce (cioè il baricentro arretra), dalla (6.16) si ha che anche il carico statico sull’anteriore
W1 diminuisce: la zona corrispondente al bloccaggio delle ruote anteriori si abbassa anch’essa perché anche il
limite di aderenza anteriore X1P si è abbassato (eq. (6.18)); quindi, il punto P̂ è sotto P .
52
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
A
torna in una condizione d’equilibrio stabile.
Si traccino le regioni ammissibili per vari valori di µ e delle condizioni di carico e per ciascuna
condizione si disegni il segmento a 45◦ relativo ad una certa efficienza della frenatura: in questo
modo, per ogni condizione di aderenza e di carico si definiscono dei triangoli che individuano
condizioni di frenatura accettabili, anche se non ottimali.
ZZ
L’impianto frenante dovrà fornire un legame tra le forze sull’asse posteriore e quello sull’asse
anteriore tale da attraversare tutti i triangoli e in modo da uscire sempre dalle varie regioni
ammissibili dalla parte alta (bloccaggio delle ruote anteriori).
BO
Se l’impianto frenante è stato dimensionato per mantenere un rapporto fisso tra la forze
frenanti anteriore X1 e posteriore X2 , cioè imponendo la relazione definita dall’equazione (6.26)
per un dato valore di aderenza, non si hanno in generale condizioni ottimali di frenatura per
tutte le possibili condizioni di aderenza e carico.
Quindi un primo metodo per proporzionare l’impianto frenante è quello di imporre che la
relazione tra forze anteriori e posteriori sia descritta da una spezzata, anziché da una retta
53
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
(Fig. 6.9); in pratica si impone che da un certo punto in poi le forze frenanti sull’asse posteriore
crescano meno di quelle sull’asse anteriore.
Questo tipo di proporzionamento assicura in genere il rispetto delle due condizioni di at-
traversamento di tutti i “triangoli” e di uscita dalle regioni ammissibili dalla parte “alta” al
variare delle condizioni di aderenza.
Ovviamente, non si può garantire in questo modo che per tutte le condizioni di aderenza
si abbia il massimo dell’efficienza della frenatura; infatti ciò richiederebbe di proporzionare
l’impianto secondo una legge parabolica, che definisce appunto la parabola che passa per tutti
i vertici delle regioni ammissibili.
Per tener conto dell’influenza del baricentro, il correttore di frenata dovrebbe essere sensibile
alla variazione di carico in modo da far variare la posizione del “ginocchio” della spezzata.
I metodi tradizionali per proporzionare l’impianto frenante fanno uso dei cosidetti limitatori
A
di presione, che ci accingiamo a descrivere brevemente.
Il funzionamento di questo dispositivo è molto semplice: per un certo valore della pressione
dell’impianto frenante e, quindi, della forza frenante esercitata, la reazione della molla non è più
sufficiente a tenere aperto il condotto dei freni posteriori; da questo valore in poi la pressione
sul condotto posteriore rimane costante, mentre può continuare a crescere quella nel condotto
anteriore (Fig. 6.11).
I correttori di frenata diventano meno importanti se il veicolo è dotato di sistemi attivi di fre-
natura. In questo caso il dimensionamento dell’impianto frenante viene fatto su considerazioni
di durata e riscaldamento, piu che sugli aspetti della ripartizione delle forze frenanti.
54
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
A
6.2.9 ABS (Antilock Braking System)
È un sistema che impedisce alle ruote di bloccarsi durante la frenata, conservandone quindi la
direzionalità (possibilità di sterzare la vettura) e che consente di ridurre gli spazi d’arresto nella
maggioranza dei casi, specie sui fondi scivolosi.
ZZ
BO
Prendiamo come riferimento la condizione di frenata di panico, che viene effettuata dal
conducente in presenza di un improvviso ostacolo, affondando con forza il pedale del freno; in
tali condizioni, molto spesso, la riduzioni degli spazi d’arresto ottenute con l’ABS non sarebbero
sufficienti ad evitare un incidente mentre, la possibilità di sterzare la vettura permette in molti
casi di schivare l’ostacolo.
Il risultato è ottenuto “modulando” la frenata, vale a dire con un sistema in grado di
percepire se una o più ruote stanno per bloccarsi e quindi di intervenire per ridurre la pressione
del fluido di lavoro e quindi la forza frenante sulla ruota che sta per bloccarsi. Occorre, quindi,
un sistema che misura la velocità di rotazione di ciascuna ruota, che la paragoni a quella
delle altre ruote e che intervenga sul freno. Concettualmente l’ABS ha originato molti sistemi
55
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
di controllo della trazione e ora anche della stabilità (ASC Automatic stability control, ESP
Electronic Stability Program, CBC Cornering Break Control ecc.).
A
ZZ
BO
Dal confronto delle velocità misurate, il sistema ABS è in grado di stimare per ciascun
pneumatico le condizioni di slittamento.
Per ottenere il massimo effetto frenante lo slittamento di ciascuna ruota dovrebbe essere
mantenuto in prossimità del valore di picco, che di solito si trova per slittamenti relativi del-
l’ordine del 15%. Peraltro le condizioni di massima manovrabilità laterali si hanno per valori
dello slittamento relativo prossimi a zero.
Si deve quindi accettare un compromesso tra le due esigenze e normalmente gli ABS
mantengono lo slittamento percentuale tra l’otto e il trenta percento.
56
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
A
Figura 6.14: Sensore di velocità
ZZ
(a) Velocità angolare delle ruote (b) Operazioni dell’ABS
e del veicolo
BO
57
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
A
ZZ
Figura 6.17: Funzionamento del BAS
In poche parole, se in caso di emergenza il pedale del freno non fosse pigiato con la necessaria
forza, il BAS, rivelando un innalzamento improvviso della pressione nell’impianto frenante,
BO
applica la pressione massima possibile istantaneamente. Ad occuparsi del non bloccaggio delle
ruote se n’occuperà l’ABS senza il quale il BAS non potrebbe esistere.
58
6. FRENATURA
6.2. Modello semplificato di veicolo in frenatura
automatica e separata dei freni (ovviamente senza bloccaggio), del motore e della trasmissione
impedisce perdite di stabilità della vettura in curva.
A
Figura 6.18: Schema di funzionamento dell’ESP
ZZ
Occorrono sensori d’assetto (di tecnica aeronautica) che comandano la centralina di funzio-
namento ABS, la quale, frenando opportunamente solo alcune ruote, ristabilisce il contatto col
terreno di tutte e quattro le ruote e impone un “momento d’imbardata” che recupera le perdite
di stabilità. I sensori aggiuntivi a quelli dell’impianto ABS riguardano l’angolo di sterzata, la
velocità d’imbardata e l’accelerazione traversale del retrotreno.
Storicamente, la Mercedes “classe A” è la prima vettura “media” ad essere equipaggiata
con ESP di serie, in conseguenze delle modifiche decise dopo i noti fatti connessi con il non
superamento, nel 1997, della “prova dell’alce”.
La centralina dell’ESP ha una potenzialità quattro volte superiore di quella di un ABS ed
BO
59
6. FRENATURA
6.3. Frenatura ideale: “parabola di frenatura”
In poche parole, la logica di funzionamento di tale dispositivo può essere così riassunta:
l’ESP, attraverso i suoi sensori, intuisce quali sono le intenzioni del pilota e se per varie ragioni
(scarsa aderenza, eccessiva velocità, ecc.) l’auto dovesse comportarsi in modo diverso, agendo
sui freni (e non solo, vedi sopra) ne correggerebbe il comportamento. Quindi in condizioni
critiche aiuta anche il conducente più inesperto a padroneggiare i comportamenti della propria
vettura.
Anche se stiamo guidando una vettura dotata di ESP ricordiamoci sempre che le leggi della
fisica regnano sovrane e quindi, se il fondo stradale è ghiacciato, nessun sistema al mondo può
consentire alla nostra autovettura di affrontare una curva a 100 km/h!
A
Sistema di sicurezza attiva per il controllo della dinamica di marcia messo a punto dalla Bosch in
collaborazione con la Mercedes. All’occorrenza ripristina la stabilità della vettura intervenendo
automaticamente su freni e acceleratore.
Mentre l’ABS e l’antipattinamento servono a eliminare gli slittamenti in senso longitudinale,
l’FDR entra in funzione per impedire gli slittamenti trasversali, ossia i fenomeni di sovrasterzo
ZZ
o sottosterzo che si innescano quando una o più ruote perdono aderenza. Se, per ipotesi, tutte e
quattro perdessero aderenza contemporaneamente, esso sarebbe inefficace perché, ovviamente,
non può rivoluzionare le leggi della fisica. La regolazione dinamica può, invece, correggere
efficacemente l’accenno di sbandata dovuto alla perdita d’aderenza di una ruota modificando
opportunamente la coppia sulle altre tre.
Per esempio, se l’auto scivola con l’avantreno verso l’esterno della curva, ossia sottosterza,
l’FDR interviene frenando la ruota posteriore interna in modo da riallineare la vettura. Il
sistema avverte la perdita di stabilità del veicolo grazie ad un sensore d’imbardata, in altre
parole un “captatore” in grado di rilevare la sbandata attorno all’asse verticale che passa per
BO
il baricentro dell’auto. Oltre a questo, l’FDR si avvale di tutta una serie di sensori che lo
informano sulla velocità delle ruote, sull’entità dell’accelerazione trasversale, della rotazione
del volante e, infine, sulla pressione esercitata sui pedali del freno e sull’acceleratore (carico
motore).
Per memorizzare nella centralina tutti questi dati e attuare, in un tempo brevissimo, le
eventuali azioni correttive, l’FDR necessita di una capacità di calcolo e di una memoria assai
elevata. Questa è di 48 kB, ossia quattro volte superiore a quella richiesta per il funzionamento
di un impianto ABS e il doppio di quella necessaria per un sistema antipattinamento.
60
6. FRENATURA
6.3. Frenatura ideale: “parabola di frenatura”
A
Figura 6.19: Forze agenti su un veicolo su strada in pendenza (Fonte: [3])
du
= µg
dt
L’ipotesi di frenatura ideale implica anche che, se i raggi di rotolamento sono tutti uguali,
i momenti applicati alle ruote sono proporzionali a Fzi .
Calcoliamo adesso le forze che le ruote devono esercitare per avere una frenatura ideale.
Per far ciò occorre calcolare le Fzi ; con riferimento alla Fig. 6.19, dall’equlibrio alla rotazione
rispetto, alternativamente, ai punti di applicazione delle Fz2 e Fz1 si ottiene:
m du
Fz1 = gb cos α − ghG sin α − hG
l dt
(6.32)
m du
Fz2 = ga cos α − ghG sin α + hG
l dt
Riscrivendo la (6.31):
du µFz1 + µFz2
= − g sin α
dt m
e sostituendovi le (6.32) si ottiene:
61
6. FRENATURA
6.3. Frenatura ideale: “parabola di frenatura”
mg
Fx1 = µ (b cos α − µhG )
l (6.33)
mg
Fx2 = µ (a cos α + µhG )
l
Eliminando µ dalla precedente, otteniamo:
2 a b
(Fx1 + Fx2 ) + mg cos α Fx1 − Fx2 =0 (6.34)
h h
La (6.34) è l’equazione di una parabola: nella fattispecie, è il luogo geometrico delle coppie
di forze Fx1 e Fx2 che danno luogo alla frenatura in condizioni ideali.
A
ZZ
BO
Figura 6.20: Frenatura in condizioni ideali: relazione fra Fx1 e Fx2 per un veicolo con baricentro
al centro del passo a = b, con baricentro arretrato a > b e con baricentro posto anteriormente al
centro del passo a < b. Grafico ottenuto per m = 1000 kg; l = 2, 4 m; hG = 0, 5 m, strada piana.
(Fonte: [3])
In Fig. 6.20 è riportata la parabola di frenatura per un tipico autoveicolo: solo il tratto con
valori negativi è d’interesse, in quanto corrisponde a frenatura con marcia in avanti.
La parabola in sostanza mi dice come ripartire la forza tra assale anteriore e assale posteriore
per ottenere una data decelerazione a prescindere da quale sia l’aderenza. Infatti, le “curve ad
accelerazione costante” sono le rette a −45◦ e posso pensare di riportare anche le rette di Fx1 in
funzione di Fx2 e viceversa per vari valori di µx1 e µx2 , ottenendo le curve a µx1 e µx2 costante.
La parabola la posso vedere come il luogo dei punti P che dà decelerazione massima al
variare dell’aderenza.
Come si è detto le relazioni che legano Fx1 e Fx2 , in altre parole Mf1 e Mf2 nelle condizioni
di frenatura ideale, dipendono dalla posizione del baricentro (a, b, h), dalla massa del veicolo e
quindi dalla condizione di carico dello stesso.
62
6. FRENATURA
6.3. Frenatura ideale: “parabola di frenatura”
A
Figura 6.21: Ingrandimento della zona utile del grafico di Fig. 6.20. Sono state tracciate anche
ZZ
le rette a µx1 e µx2 e a decelerazione costante (Fonte: [3])
BO
Figura 6.22: Diagrammi Mf2 (Mf1 ) in condizioni di frenatura ideale: (a) diagramma tipico
di vetture a trazione posteriore con rapporto hG /l basso; (b) diagramma tipico di vettura a
trazione anteriore di classe medio alta e con rapporto hG /l medio; (c) diagramma tipico di vetture
piccole a trazione anteriore, con ripartizione pesi vuoto/pieno squilibrata e con rapporto hG /l alto
(Fonte: [3])
63
6. FRENATURA
6.4. Ripartitore di frenatura
A
ZZ
Figura 6.23: Confronto fra i momenti frenanti all’avantreno e al retrotreno fra le condizioni di
frenatura ideale e quella in cui il rapporto Kf è costante. Nel caso illustrato il valore di µxP è
sufficientemente elevato da produrre lo slittamento oltre il punto A d’intersezione fra le due curve
(Fonte: [3])
BO
Sfruttando il grafico di Fig. 6.23, per ogni valore di decelerazione si può ottenere un valore
di Kf per il quale si ha una ripartizione ideale.
Se Kf è costante nel piano Mf1 e Mf2 , le caratteristica di ripartizione dell’impianto frenante
è una retta. Il punto A di intersezione tra la parabola e la retta da la condizione nelle quali
l’impianto funziona in maniera ideale (a sinistra di A).
64
Capitolo 7
A
Per procedere nello studio della dinamica longitudinale occorre conoscere, sostanzialmente, la
potenza necessaria e quella disponibile per il moto del veicolo. Mentre la prima di queste
potenze va intesa come la potenza resistente che occorre per mantenere il veicolo in moto in
determinate condizioni di pendenza, velocità, resistenze aerodinamiche e di rotolamento, la
ZZ
potenza disponibile altro non è che la potenza installata sul veicolo, cioè la potenza del motore
(a meno delle perdite negli ingranaggi della trasmissione).
Figura 7.1: Curva caratteristica di un tipico motore ad accensione comandata (Fonte: [3])
Si tratta di un grafico, ottenuto per via sperimentale, in cui viene plottata la potenza erogata
dal motore in funzione del regime di rotazione, per diversi gradi di ammissione: a pieno carico
(grado di ammissione γ pari a 1) si ottiene la curva superiore di figura, mentre a grado di
65
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.1. Caratteristica meccanica di un motore a combustione interna
ammissione nullo si individua la curva inferiore∗ ; ogni punto che giace nel piano compreso fra
le due curve rappresenta un punto di funzionamento parzializzato del motore.
Benché in uno studio delle prestazioni di un veicolo la caratteristica sperimentale del motore
sia generalmente disponibile, è molto più agevole, in uno studio di massima, ricondursi a una
espressione algebrica della potenza in piena ammissione:
3
X
i
Pm = Pmi ωm (7.1)
i=0
Pmax
A
Pm0 = 0 Pm3 = − 3
ωmax
Pmax Pmax
ZZ
Pm1 = Pm2 = 2
ωmax ωmax
Pmax Pmax
Pm1 = 0, 6 · Pm2 = 1, 4 · 2
ωmax ωmax
Pmax Pmax
Pm1 = 0, 87 · Pm2 = 1, 13 · 2
ωmax ωmax
In Fig. 7.1 sono mostrate anche le curve di potenza ottenute a parità di rendimento η: per
un motore ad accensione comandata, il rendimento risulta più alto in condizioni di funziona-
mento assai vicine alla coppia massima di piena ammissione e si riduce piuttosto rapidamente
∗
Si riconosce il tipico assorbimento di potenza che ha un motore ad accensione comandata qualo-
ra si parzializzi molto l’aspirazione: a questo comportamento è riconducibile il fenomeno del cosiddetto
“freno–motore”.
66
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.2. Dinamica longitudinale in piano
allontanandosi da esse. Questa riduzione è molto più limitata per un motore ad accensione per
compressione (Fig. 7.2).
Generalmente, si preferisce parlare, piuttosto che di rendimento, di consumo specifico di
combustibile definito dalla:
1
q= (7.4)
Hi · η
dove si è indicato con Hi il potere calorifico inferiore del combustibile: evidentemente, il con-
sumo specifico non è più un termine adimensionale come il rendimento ma ha l’unità di misura
di una massa per l’inverso di un’energia, ossia si misura in [kg/J] nel sistema SI.
A
ZZ
(a) Motore ad accensione (b) Motore ad accensione
comandata spontanea
Figura 7.2: Curve caratteristiche di due tipici motori con relative curve iso–consumo (Fonte: [3])
BO
Dai grafici che abbiamo fin qui mostrato appare evidente che si evidenziano distintamente le
curve di coppia e/o di potenza massime (a piena ammissione) e minime (ammissione nulla); per
valutare la coppia che si sviluppa con grado d’ammissione genrico γ si ipotizza una relazione
lineare del tipo:
67
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.2. Dinamica longitudinale in piano
A
• il modello di Coulomb, che porterà a considerare il sistema di Fig. 7.3 dotato di un solo
grado di libertà;
• le formule di Pacejka, per utilizzare le quali occorre considerare tre differenti gradi di
libertà del sistema.
ZZ
7.2.1 Modello di Coulomb (1 grado di libertà)
Supponiamo, appunto, che il contatto fra pneumatico e strada segua la legge di Coulomb. Si
può individuare una relazione cinematica fra le velocità angolari delle ruote e la velocità di
traslazione dell’intero veicolo:
ẋ
θ̇A = θ̇P = ωr = (7.6)
R
BO
in quanto, in questa formulazione, le ruote supposte rigide, il loro raggio di rotolamento R, cioè
le loro dimensioni, uguali e il loro moto avviene senza strisciamento con velocità angolare ωr .
Supporremo, senza perdere in generalità, che il nostro veicolo sia a trazione posteriore:
θ̇P θ̇P
ωm = = (7.7)
τ τc τ p
ove si è indicato con τc e τp il rapporto di trasmissione, rispettivamente, al cambio e al ponte
del differenziale.
Indicando con Wm , Wr , Wp , rispettivamente, le potenze motrice, resistente e perduta e con
Ec l’energia cinetica, si può scrivere il bilancio energetico del sistema di Fig. 7.3:
dEc
Wm + Wr + Wp = (7.8)
dt
La potenza motrice sarà quella fornita dal motore:
Wm = Pm = Mm ωm (7.9)
mentre per la potenza resistente si potrà scrivere:
1
Wr = Wrrot + Wraer = −2NP fv Rθ̇P − 2NA fv Rθ̇A − ρSCx ẋ2 ẋ (7.10)
2
68
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.2. Dinamica longitudinale in piano
A
Nell’espressione precedente al momento motore Mm è stato decurtata quella quota parte
che tiene conto dell’inerzia delle parti rotanti, ossia il momento Jm ω̇m che serve per accelerare
le suddette parti.
L’energia cinetica può essere scomposta in quella del motore:
1 2
ZZ
Ecm = Jm ωm
2
e in quella delle parti che stanno a valle della trasmissione† :
1 1
Ecu = M ẋ2 + 4Jr ωr2
2 2
Si può scrivere, allora:
dEc
= Jm ωm ω̇m + mẋẍ + 4Jr ωr ω̇r
dt
BO
1 ẋ ẍ ẋ ẍ
Mm ωm −(1 − η) (Mm − Jm ω̇m )−M gfv ẋ− ρSCx ẋ3 = Jm +mẋẍ+4Jr (7.15)
2 Rτc τp Rτc τp RR
ẍ = 0 ẋ = V = cost
†
È l’energia cinetica “utile”, ossia quella posseduta dalle ruote e dalla cassa del veicolo.
69
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.2. Dinamica longitudinale in piano
si può calcolare facilmente la coppia motrice che deve fornire il motore per mantenere il veicolo
in moto alla velocità V :
Rτc τp 1 2
M̄m = M gfv + ρSCx V (7.17)
η 2
e il grado di ammissione da dare al motore per sviluppare suddetta coppia:
A
ω̄m =
Rτc τp
Il modello utilizzato (e quindi la (7.16)) vale soltanto finché siamo in condizioni di aderenza.
Affinché si possa quindi sfruttare la (7.16) occorre verificare che sia soddisfatta la suddetta
condizione.
Per far ciò occorre prendere in considerazione le forze esterne‡ che agiscono sul veicolo
ZZ
(Fig. 7.4): si dovrà supporre che esso abbia un ulteriore grado di libertà per poter considerare
la perdita di aderenza di un asse.
BO
70
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.2. Dinamica longitudinale in piano
ẍ ẍ
θ̈A = θ̈P =
R R
avremo:
M g − 2NP
NA =
2
(7.20)
M g (a + u) + M ẍh1 + 12 ρSCx ẋ2 h2 + 4 JRr ẍ
NP =
2p
Occorre a questo punto aggiungere un’ulteriore equazione d’equilibrio per poter esplicitare
le forze longitudinali.
A
ZZ
Figura 7.5: Forze agenti sulle ruote anteriori (Fonte: [2])
BO
Per far ciò, si prenda in considerazione la Fig. 7.5, dove sono rappresentate le forze agenti
sulle ruote anteriori, comprese le componenti orizzontale e verticale delle reazioni che il telaio
scambia con le ruote stesse. Sarà:
TxA TxP
NA 6 fs NP 6 fs (7.22)
71
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.2. Dinamica longitudinale in piano
non sono più incognite le forze longitudinali TxA e TxP , le quali si suppongono ricavata da un
modesllo ad hoc (brush model o magic formula).
Valgono sempre le stesse relazioni trovate per l’equilibrio longitudinale:
1
−M ẍ − ρSCx ẋ2 + 2TxA + 2TxP = 0
2
e per l’equilibrio della ruota non motrice§ :
A
ZZ
Figura 7.6: Forze agenti sulle ruote posteriori (Fonte: [2])
A questo punto occorre aggiungere la condizione di equilibrio per le ruote motrici (Fig. 7.6):
deve essere presa in considerazione anche la coppia Cr trasmessa dai semiassi alle ruote:
BO
72
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.2. Dinamica longitudinale in piano
A
Per la potenza “utile”, ossia la potenza che è effettivamente disponibile alle ruote, avremo:
Wu = Cr θ̇P (7.26)
per quella motrice:
ZZ
Wm = Mm ωm (7.27)
per la potenza perduta:
θ̇P ωr
ωm = =
τ c τp τc τ p
si avrà in definitiva:
73
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.3. Calcolo delle prestazioni di un autoveicolo
ẋ − Rθ̇A ẋ − Rθ̇P
sA = sP = (7.32)
ẋ ẋ
Nel moto a regime possiamo porre:
ẍ = 0 θ̈A = 0 θ̈P = 0
A
M g (a + u) + 12 ρSCx V 2 h2
N̄ =
P
2p
N̄A = M g − 2N̄P
2 (7.33)
u
T̄xA = −N̄A
ZZ
R
1 2
−2
T̄x =
T̄xA + 2 ρSCx V
P
2
Le formule di Pacejka non sono facilmente invertibili, per cui non si può ricavare s diretta-
mente da T e N . Per questo, si dovrà valutare iterativamente:
TxA sA , N̄A 6
con > 0 piccolo a piacere. Una volta trovati sA (e sP ) si può porre:
BO
V V θ̇¯P
θ̇¯A = (1 − sA ) θ̇¯P = (1 − sP ) ω̄m =
R R τ
τ C̄m
C̄m = 2N̄P u + 2T̄xA M̄m =
η
Generalmente, per questo tipo di studio, data l’eccessiva complicazione del modello a tre gra-
di di libertà, si preferisce fare uso del modello di Coulomb, assicurandosi di essere in condizioni
lontane dalla perdita d’aderenza.
Per procedere allo studio di questi fenomeni occorre in primo luogo valutare la potenza
necessaria all’avanzamento di un veicolo.
74
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.3. Calcolo delle prestazioni di un autoveicolo
• La parte di peso verticale deve essere decurtata della portanza, che spinge verso l’alto;
La (7.34) può essere riscritta in forma differente, per mettere in risalto la dipendenza dalle
A
varie potenze della velocità:
R = A + BV 2 + CV 4 (7.35)
dove i termini moltiplicativi valgono:
ZZ
A = M g (f0 cos α + sin α)
1
B = ρS (Cx − f0 Cz ) + M gk cos α
2
1
C = − ρSCz k
2
Il termine C, che moltiplica la quarta potenza della velocità, dipende quindi dalla portanza
e dall’attrito di rotolamento: la sua influenza diventa significativa solo per macchine sportive.
A velocità di uso comune il termine di maggior rilevanza è la pendenza.
BO
Wr = RV = AV + BV 3 + CV 5 (7.36)
Wms + Wr + Wp = 0 (7.37)
La potenza resistente in salita è data da:
1
Wr = −2 (NA + NP ) fv V − ρSCx V 3 − M gV sin α (7.38)
2
Dall’equilibrio del veicolo in direzione perpendicolare al moto si ha:
2 (NA + NP ) = M g cos α
75
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.3. Calcolo delle prestazioni di un autoveicolo
A
Figura 7.8: Forze applicate a un veicolo in marcia su strada in pendenza (Fonte: [2])
ZZ
Per cui la (7.38) diventa:
1
Wr = −M g (fv cos α + sin α) V − ρSCx V 3 (7.39)
2
La potenza perduta nel moto a regime in salita vale:
Wp = − (1 − η) Wms (7.40)
La (7.37) diventa:
BO
1 1 3 1
Wms = M g (fv cos α + sin α) V + ρSCx V = − Wr (7.41)
η 2 η
Per pendenze stradali si ha:
cos α = 1
sin α = tan α = i
per cui avremo:
1 1 3
Wms = (fv + i) M gV + ρSCx V (7.42)
η 2
Quindi, la potenza richiesta per superare la pendenza i è la somma di un termine proporzio-
nale alla velocità e che aumenta al crescere della pendenza, e di un termine che dipende dalla
terza potenza della velocità ed è indipendente dalla pendenza. Perché l’autoveicolo proceda in
salita ad una certa velocità e con una certa pendenza, occorre che la potenza resa disponibile
dal motore Wm sia uguale o superiore alla potenza necessaria Wms .
In Fig. 7.9 si riportano le curve di potenza motrice e potenza necessaria all’avanzamento in
salita in funzione della velocità. La curva di potenza fornita (Wm = Wm (ωm ), con V = ωm Rτ )
è una caratteristica del motore.
Per valutare Wm in funzione di V c’è un fattore di scala Rτ : in scala logaritmica, la
moltiplicazione per un fattore di scala si traduce in una traslazione in direzione orizzontale
76
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.3. Calcolo delle prestazioni di un autoveicolo
A
Figura 7.9: Curve di potenza resa disponibile dal motore e necessaria all’avanzamento per le
diverse condizioni di pendenza e marcia inserita (Fonte: [2])
ZZ
della curva. Poiché il fattore di scala dipende dal rapporto di trasmissione, si avranno diverse
curve di potenza disponibile, al variare della marcia inserita, tutte corrispondenti a diverse
traslazioni in orizzontale (Fig. 7.10).
BO
Figura 7.10: Variazione delle curve di potenza massima del motore su scala logaritmica dovute
al rapporto di trasmissione e al rendimento (Fonte: [3])
Se le curve di potenza fornita e necessaria risultano tangenti (come avviene in Fig. 7.9 per
cambio in III marcia e pendenza pari a 0,15), si ottiene in ordinata la velocità che consente di
superare quella pendenza alla marcia impostata. Si ottiene una condizione di marcia instabile
in cui, a fronte di una piccola variazione della velocità, la vettura tende ad arrestarsi.
Pertanto, per poter considerare superabile una data pendenza, è necessario che per un dato
intervallo di velocità la curva della potenza disponibile sia al di sopra della curva della potenza
richiesta. Evidentemente, la curva di potenza disponibile che consente il superamento della
maggiore pendenza è quella più vicina all’asse delle potenze, che corrisponde al valore minimo
del rapporto di trasmissione al cambio che si ottiene con la I marcia innestata.
La condizione di moto a regime su strada piana costituisce un caso particolare del moto
77
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.3. Calcolo delle prestazioni di un autoveicolo
A
ZZ
Figura 7.11: Individuazione della massima velocità raggiungibile per un dato rapporto di
trasmissione e una data pendenza (Fonte: [2])
Si scrive l’equazione della rotazione dell’intero veicolo intorno al punto P di Fig. 7.8 (trazione
posteriore):
1
2Np p − M gh sin α − ρSCx V 2 hs − M g(a + u) cos α = 0 (7.43)
2
Trascurando:
la precedente diviene:
M g (hi + a)
2Np p − M ghi − M ga = 0 ⇒ Np = (7.44)
2p
L’equilibrio in direzione longitudinale comporta:
1
2TxA + 2TxP − ρSCx V 2 − M g sin α = 0 (7.45)
2
78
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.3. Calcolo delle prestazioni di un autoveicolo
Poiché le forze longitudinali sui pneumatici posteriori (motrici) sono maggiori di quelle sugli
anteriori (condotti), trascurando poi anche le resistenze aerodinamiche si ha:
2TxP = M gi (7.46)
Imponendo che le espressioni delle forze Np e Tx ottenute rispettino la condizione di aderenza:
Tx i
= a+ih
6 fs
NP p
si ottiene:
a/
p
A
i 6 fs = imax (7.47)
1 − fs h/p
La (7.47) fornisce il valore della massima pendenza superabile con aderenza fs a V = cost.
Svolgendo lo stesso procedimento per un veicolo a trazione anteriore, la pendenza massima
risulta:
ZZ
(p − a)/
p
i 6 fs = imax (7.48)
1 + fs h/p
Si tenga presente che la pendenza superabile da un veicolo a trazione anteriore è general-
mente inferiore rispetto a una trazione posteriore.
Infatti, la (7.48) rappresenta un numero minore rispetto alla (7.47), considerando che ha un
denominatore minore a fronte di un numeratore pressoché eguale (il baricentro generalmente
si trova in una posizione poco discoste dal centro longitudinale del veicolo, per cui b = p − a
BO
• si trascurano:
– le resistenze aerodinamiche;
– la potenza dovuta all’attrito di rotolamento;
– l’inerzia delle ruote JR ;
• l’inerzia del motore varia invece con il rapporto di trasmissione (in I marcia è dell’ordine
di M , nell’ultima marcia è circa 1/20M )
79
7. PRESTAZIONI DEL VEICOLO
7.3. Calcolo delle prestazioni di un autoveicolo
Otterremo:
ηMm
ẍ = ηJm
(7.50)
Rτ
+ Rτ M
Tale espressione fornisce il valore di accelerazione in funzione del rapporto di trasmissione.
Per trovare il τ per cui si ha il massimo dell’accelerazione si minimizza il denominatore:
∂ ηJm
+ Rτ M = 0
∂τ Rτ
ottenendo:
A
r
ηJm
τ= (7.51)
RM
1. Si sceglie il rapporto di trasmissione alla velocità più alta in modo da ottenere la massima
velocità su strada piana, corrispondente alla IV marcia (di solito si pone τC = 1 e si
definisce τP in modo da ottenere la condizione di cui sopra).
80
Parte II
A
ZZ
La dinamica laterale
BO
81
Capitolo 8
Sterzatura
A
8.1 Sterzatura cinematica
Si definisce sterzatura cinematica il moto di un veicolo su una traiettoria curva determinata
dal puro rotolamento delle ruote.
ZZ
Da questa definizione segue che, in condizioni di sterzatura cinematica, la velocità delle
ruote è contenuta nel loro piano medio e gli angoli di deriva sono tutti nulli, perciò le ruote non
possono esercitare forze trasversali per equilibrare la forza centrifuga dovuta alla traiettoria
curvilinea.
Quindi la sterzatura cinematica è una pura astrazione ed è possibile solo se la velocità sulla
traiettoria curva tende a zero.
BO
82
8. STERZATURA
8.1. Sterzatura cinematica
l l
tan δ1 = tan δ2 = (8.1)
t t
R1 − R1 +
2 2
Eliminando R1 dalle precedenti, si ottiene una relazione diretta fra gli angoli δ1 e δ2 , nota
come relazione di Ackermann:
t
cot δ2 − cot δ1 = (8.2)
l
Un dispositivo capace di rispettare pienamente la condizione (8.2) è il giunto di Ackermann
(Fig. 8.2).
A
ZZ
Figura 8.2: Giunto di Ackermann (vista dall’alto)
Infatti, per uno spostamento x dell’asse di comando, le due ruote ruotano di un angolo α
BO
83
8. STERZATURA
8.1. Sterzatura cinematica
A
s 2
l2 2
sin(δ − δ2 ) + sin(δ + δ1 ) = − 2 sin δ − cos(δ − δ2 ) cos(δ − δ1 ) (8.5)
l1
Per valutare di quanto ci si discosta dalla condizione di sterzatura cinematica si riporta
l’errore ∆δ2 = δ2 − δ2ACK rispetto a δ1 (Fig. 8.4): generalmente, si tende a preferire una
ZZ
situazione di compromesso, imponendo δ = 18◦ .
BO
Figura 8.4: Andamento qualitativo dell’errore commesso rispetto alla condizione di Ackermann
utilizzando un sistema di sterzo come quello di Fig. 8.3 (Fonte: [3])
84
8. STERZATURA
8.1. Sterzatura cinematica
• le deformazioni delle sospensioni inducono piccoli angoli che dipendono dalle forze scam-
biate in direzione verticale.
L’errore di sterzatura ha effetto su una maggiore usura delle ruote anteriori e sulla centratura
dello sterzo: il momento con cui lo sterzo reagisce deve aumentare gradualmente all’aumentare
dell’angolo di sterzatura che si può ottenere con una corretta geometria di Ackermann.
In definitiva, le condizioni di Ackermann al più minimizzano il consumo di battistrada, in
quanto realizzano le condizioni in cui nessuna ruota striscia.
A
il quale prevede che le ruote destre e sinistre si comportino allo stesso modo: il veicolo è, quindi,
ricondotto allo schema di un semplice biciclo (Fig. 8.5).
ZZ
BO
85
8. STERZATURA
8.2. Limite di slittamento e ribaltamento
l
R∼
= l cot δ ∼
=
δ
che può essere riscritta nella forma:
1 1
= (8.7)
Rδ l
La (8.7) definisce il guadagno della curvatura della traiettoria, che rappresenta il rapporto
fra la curvatura che percorre il veicolo e l’angolo di sterzo imposto: in condizioni di sterzatura
cinematica, detto rapporto rimane costante e uguale all’inverso del passo del veicolo.
Un’espressione analoga può essere ricavata per l’angolo β di deriva del veicolo. Dalla Fig. 8.5
si ha:
A
b ∼ b
β = arctan √ = arctan (8.8)
2
R −b 2 R
Sfruttando la (8.7), sempre con l’ipotesi di piccoli angoli, otteniamo la relazione cercata:
ZZ
β b
= (8.9)
δ l
ceranno a slittare lateralmente oppure il veicolo può giungere a ribaltarsi. In questo paragrafo
si vuole valutare quando intervengono questi limiti.
La situazione è quella rappresentata in Fig. 8.6: il veicolo percorre in condizioni stazionarie
(V = cost) una strada piana con inclinazione laterale αt e curvatura di raggio costante R; si
trascurano le forze aerodinamiche lungo x ma non quelle dovute alla portanza; il veicolo non
si trova in condizioni di sterzatura cinematica, ma sono presenti su tutte le ruote i rispettivi
angoli di deriva, senza i quali non si potrebbero produrre le forze laterali necessarie al moto
curvilineo.
Si considera un sistema di riferimento Gηz, con asse η parallelo alla superficie stradale e
passante per il centro O0 di istantanea rotazione del veicolo: la Fy non giace su η, ma l’angolo
compreso fra gli assi η e y è tale da poter ammettere che Pηi = Fyi .
L’equilibrio alla traslazione in direzione η comporta:
V2 X X
m cos αt − mg sin αt = Pη i = Fyi (8.10)
R i i
mV 2 1
Fz = mg cos αt + sin αt − ρSCz V 2 (8.11)
R 2
Se supponiamo che il coefficiente d’aderenza sia lo stesso per tutte le ruote (µyi = µy ∀i),
possiamo scrivere:
86
8. STERZATURA
8.2. Limite di slittamento e ribaltamento
A
ZZ
Figura 8.6: Forze agenti su un veicolo che percorre una traiettoria curvilinea (Fonte: [3])
X X X
Fyi = µyi Fzi = µy Fzi = µy Fz
i i i
V2 V2 1 ρSCz V 2
− tan αt = µy · 1+ · tan αt − (8.12)
gR gR 2 mg cos αt
BO
Ponendo:
1 ρSCz V 2
M=
2 mg cos αt
la precedente diventa:
V2 tan αt + µy 1 − M V 2
= (8.13)
gR 1 − µy tan αt
che rappresenta il rapporto fra accelerazione centrifuga e accelerazione di gravità.
Il valore massimo di tale rapporto si ha in corrispondenza del valore di picco di µ:
tan αt + µyP 1 − M V 2
2
V
=g = gfs (8.14)
R max 1 − µyP tan αt
Al termine:
tan αt + µyP 1 − M V 2
fs = (8.15)
1 − µyP tan αt
si da il nome di fattore di slittamento.
87
8. STERZATURA
8.2. Limite di slittamento e ribaltamento
L’espressione (8.14) fornisce il valore massimo della velocità di percorrenza di una curva di
raggio R compatibilmente con l’aderenza disponibile: se si percorre una curva con una velocità
maggiore di quella definita da questa relazione, il veicolo inevitabilmente slitta lateralmente. Si
noti che la (8.14) è un’espressione indiretta; se si vuole un’espressione diretta della Vmax , dopo
alcuni passaggi avremo:
s
tan αt + µyP
Vmax = Rg ·
p
1 − µyP · (tan αt − RgM )
Se si trascurano i termini aerodinamici, dalle (8.14) e (8.15), si ottiene direttamente:
Rg ·
p p
Vmax = fs
A
Come già detto ad inizio del paragrafo, il limite alla velocità di percorrenza di una curva
dovuto all’aderenza dei pneumatici non è l’unico: infatti un ulteriore limitazione viene dal
pericolo di ribaltamento.
Le condizioni di ribaltamento imminente si hanno quando la risultante delle forze nel piano
yz cade fuori dal punto A della figura 8.6. Facendo l’equilibrio alla rotazione rispetto al punto
ZZ
A e considerando che sul pneumatico destro e sinistro agisca Fz /2 si ha:
mV 2 mV 2
1 1 2
h cos αt − mgh sin αt = mg cos αt + sin αt − ρSCz V t (8.16)
R 2 R 2
Dividendo per mg cos αt e riordinando:
t
· 1 − MV 2
V2 tan αt +
= 2h (8.17)
gR t
1− · tan αt
BO
2h
In analogia al caso precedente si definisce un fattore di ribaltamento come:
t
· 1 − MV 2
tan αt +
fr = 2h (8.18)
t
1− · tan αt
2h
per cui la (8.17) diviene:
V2
= gfr (8.19)
R max
In conclusione, il limite di percorrenza della curva sarà:
2
V
= g min (fs , fr ) (8.20)
R max
t
Generalmente, si verifica che µyP < , ossia fs < fr : questo significa che la vettura tenderà
2h
a slittare prima di ribaltarsi.
Occorre a questo punto fare alcune osservazioni: l’ipotesi che il coefficiente d’aderenza sia
uguale per tutte le ruote non è facilmente realizzabile nella realtà, ma l’ipotesi più restrittiva
88
8. STERZATURA
8.3. Sterzatura dinamica
t
Tabella 8.1: Valori tipici del rapporto
2h
t
2h
Autovettura 1.1 – 1.6
Veicolo commerciale 0.8 – 1.1
TIR o Autobus 0.4 – 0.8
è l’aver trascurato completamente l’effetto delle sospensioni, che hanno, invece, un’influenza
notevole nei fenomeni analizzati. Ad esse sono correlati, infatti, i trasferimenti di carico che
si hanno fra ruota esterna e interna alla curva, il moto di rollio cui è sottoposta la cassa del
A
veicolo (che porta a una diversa disposizione del baricentro) e tutta una serie di fenomeni
dinamici che potrebbero, a seguito, per esempio, di un’eccitazione come l’urto della ruota con
un marciapiede, portare il sistema vibrante telaio–sospensioni–ruote a condizioni di risonanza.
Le considerazioni svolte in questo paragrafo sono, comunque, utili per avere un quadro
d’insieme del problema.
ZZ
8.3 Sterzatura dinamica
L’autoveicolo viene considerato un corpo rigido avente tre gradi di libertà. Utilizzando il sistema
di riferimento di Fig. 8.7, si possono prendere come coordinate del sistema le coordinate X e
Y del baricentro e l’angolo di imbardata ψ fra gli assi “locale” x e “assoluto” X.
BO
Figura 8.7: Sistema di riferimento per lo studio della dinamica laterale del veicolo (Fonte: [3])
89
8. STERZATURA
8.3. Sterzatura dinamica
È noto che per passare dal sistema di riferimento assi corpo xyz al sistema assi inerziale∗
XY Z occorre moltiplicare le espressioni trovate nel primo sistema per la matrice di rotazione
R(ψ): poiché ψ non è piccolo, le espressioni ottenute non sono linearizzabili. Difatti, l’utilizzo
di questo modello è indirizzato alla risoluzione numerica del problema dinamico.
Avremo:
FX cos ψ − sin ψ Fx
= (8.22)
FY sin ψ cos ψ Fy
dove la matrice:
cos ψ − sin ψ
R (ψ) = (8.23)
sin ψ cos ψ
A
rappresenta la matrice di rotazione per passare dalle coordinate del sistema di riferimento
mobile xyz a quello fisso XY Z. Evidentemente, la matrice R gode di tutte le proprietà delle
matrici di rotazione; in particolare† :
RT = R−1
ZZ
Con riferimento alla Fig. 8.7 e dalla definizione (8.23) possiamo porre:
Ẋ u
= R (8.24)
Ẏ v
ossia:
(
Ẋ = u cos ψ − v sin ψ
(8.25)
Ẏ = u sin ψ + v cos ψ
BO
∗
Si noti che nei due sistemi di riferimento gli assi z e Z coincidono.
†
Dalla (8.23) basta verificare che RRT = I e ricordare che per definizione R−1 è tale che: RR−1 = I.
90
8. STERZATURA
8.3. Sterzatura dinamica
Osservando che:
−1 cos ψ sin ψ
R =
− sin ψ cos ψ
e premoltiplicando per essa il secondo membro della (8.27) dopo alcuni passaggi otteniamo:
u̇ − v ψ̇ cos ψ − v̇ − uψ̇ sin ψ
cos ψ sin ψ u̇ − ψ̇v
= (8.29)
− sin ψ cos ψ u̇ − v ψ̇ sin ψ + v̇ + uψ̇ cos ψ v̇ + ψ̇u
A
R = (8.30)
FY Fy
che, unita alla (8.28) e alla (8.29), porta a:
m u̇ − ψ̇v = Fx
ZZ
m v̇ + ψ̇u = Fy (8.31)
JZ ψ̈ = MZ
Le espressioni trovate, pur essendo ancora non lineari, sono, rispetto alle (8.21), più semplici
da scrivere e più facilmente linearizzabili.
Figura 8.8: Posizione e velocità dell’orma di contatto nel sistema di riferimento inerziale
(Fonte: [3])
91
8. STERZATURA
8.3. Sterzatura dinamica
Con riferimento alla Fig. 8.8, si può esprimere la velocità del centro Pi dell’orma dell’i-esima
ruota come:
u − ψ̇y
u
V~Pi = V~G + ψ̇~k ∧ (Pi − G) = + ψ̇~k ∧ xi~i + yi~j = i
(8.32)
v v + ψ̇xi
L’angolo βi fra la velocità del punto Pi e l’asse x è dato da:
!
vi v + ψ̇xi
βi = arctan = arctan (8.33)
ui u − ψ̇yi
mentre l’angolo di deriva αi da (δi è l’angolo di sterzo):
A
!
v + ψ̇xi
αi = βi − δi = arctan − δi (8.34)
u − ψ̇yi
Con riferimento alla Fig. 8.9, indicati con Fzi e ∆Fzi il carico totale e il trasferimento di
carico agenti sull’assale i-esimo, le forze agenti sulle ruote destra e sinistra dello stesso assale
valgono:
F
Fzis = zi + ∆Fzi
2 (8.35)
F
Fz = zi − ∆Fz
id i
2
L’equilibrio alla rotazione attorno all’asse x porta poi a:
X X
Fyi hG + ti ∆Fzi + Mxaer = 0 (8.36)
i i
92
8. STERZATURA
8.3. Sterzatura dinamica
A
k ktk ti
Figura 8.10: Forze al contatto ruota–suolo scomposte secondo gli assi corpo (a)) e secondo gli
assi pneumatico (b)) (Fonte: [3])
1
X X
m u̇ − ψ̇v = Fx ip
cos δi − Fyip sin δi − ρSCx V 2 − mg sin α
i i 2
X X 1
Fyip cos δi + ρSCy V 2 + mg sin αt
m v̇ + ψ̇u =
Fxip sin δi +
X2
i i (8.40)
X X X
J Z ψ̈ = Fx ip
x i sin δ i + Fy ip
x i cos δ i − Fx ip
y i cos δi + Fy ip
y i sin δi +
i i i i
1
X
+ Mzi + ρS C̃z V 2 l
i 2
Queste espressioni sono facilmente linearizzabili se si suppone che tutti gli angoli siano
piccoli: questa ipotesi è generalmente accettabile nelle normali condizioni di esercizio, laddove
non siano richieste alte prestazioni.
93
8. STERZATURA
8.3. Sterzatura dinamica
Quindi, se si suppone β ≈ 0:
(
u = V cos β ≈ V
(8.41)
v = V sin β ≈ V β
A
Se si considera solo la prima equazione del sistema (8.42) e si suppone che siano trascurabili
i termini δi ≈ 0 e rβ ≈ 0, si avrà:
1
mV̇ = Fxm + Fxnm − ρSCx V 2 (8.43)
2
avendo indicato con i termini Fxm e Fxnm , rispettivamente, la forza motrice (o frenante) e
ZZ
la forza non motrice esercitata sulle ruote folli. Se si suppone nota la legge V (t), si ottiene
immediatamente Fxm e Fxnm senza bisogno di conoscere le azioni agenti lungo y: ciò equivale a
dire che il comportamento longitudinale del veicolo non è influenzato da quello laterale.
Anche le espressioni degli angoli di deriva possono essere linearizzate. Dalle (8.33) e (8.34),
poiché ψ̇yi è assai più piccolo di V , si ha:
V β + rxi xi
βi = αi = β + r − δi (8.44)
V V
BO
δi = ki δ
94
8. STERZATURA
8.3. Sterzatura dinamica
la (8.45) diventa:
X X xi 1
Fy = Fxip ki δ − Ci β + r − ki δ + ρS(Cy ),β βV 2 + mg sin αt (8.47)
i i V 2
X
1 2
X r hX i
Fy = − Ci + ρSV (Cy ),β β − xi + ki Ci + Fxip δ + mg sin αt
i 2 i V i
A
(8.48)
Dalle espressioni (8.49) è evidente che, in generale, le derivate di stabilità non sono costanti,
ma dipendono dalla velocità.
Espressioni analoghe si possono ottenere per i momenti d’imbardata. La terza delle (8.40)
viene linearizzata in:
BO
X X X X X 1
MZ = Fxip xi δi + Fyip xi − Fxip yi + Fyip yi δi + Mzi + ρS C̃z V 2 l (8.50)
i i i i i 2
P
Nella precedente il termine i Fyip yiPδi è generalmente trascurabile rispetto agli altri termini,
mentre, per quanto riguarda il termine i Fxip yi , il contributo delle forze frenanti o di trazione
è nullo perché dette forze per ruote dello stesso asse sono uguali, opposte e danno pertanto
momento nullo. L’unico termine che dà momento è quello dovuto al trasferimento di carico e
all’attrito di rotolamento (che, pur essendo piccolo, varia con il quadrato della velocità):
X X
ti ∆Fzi f0 + KV 2
Fxip yi = (8.51)
i i
Trascurando il momento aerodinamico nella (8.36), si ha:
X X
Fyi hG + ti ∆Fzi = 0 (8.52)
i i
che sostituita nella precedente porta a:
X X
Fyi hG f0 + KV 2
Fxip yi = (8.53)
i i
Se si linearizza anche l’espressione del momento di autoallineamento:
95
8. STERZATURA
8.3. Sterzatura dinamica
JZ ψ̈ = Nβ β + Nr r + Nδ δ + Mze (8.55)
in cui si sono definite le derivate di stabilità del momento come:
X h
2
i 1
N β = C i x i + (M z i
), α +h G f 0 + KV Ci + ρS(C̃y ),β V 2 l
2
i
1 X h
i
2 2 (8.56)
N r = C i x i + (M z i
),α x i + hG f0 + KV Ci x i
V i
h
X i
k C x − (M ), +F x − h f + KV 2 C
N =
δ i i i zi α xip i G 0 i
i
A
8.3.5 Equazioni di moto linearizzate
In definitiva, le espressioni finali delle equazioni di moto linearizzate sono:
mV β̇ + r + mV̇ β = Y β + Y r + Y δ + F
β r δ ye
(8.57)
ZZ
J ṙ = N β + N r + N δ + M
β r δ ze
Nel primo caso, qualora si ipotizzi che non vi siano (ovvero, siano trascurabili) né azioni
aerodinamiche, né trasferimento di carico, né interazione fra le forze longitudinali e trasversali,
si può mostrare che le derivate di stabilità sono costanti, qualora sia costante anche la velocità.
Figura 8.11: Forze agenti sul veicolo in condizioni di sterzatura: modello a bicicletta
96
8. STERZATURA
8.4. Comportamento direzionale a regime
ossia:
A
a b
mV β̇ + mV̇ + Ca + Cp β + mV + Ca V + Cp V r = Ca δ
(8.59)
a2 b2
J ṙ + (Ca a − Cp b) β + Ca + Cp
r = Ca aδ
V V
ZZ
Si può esprimere la precedente anche in forma matriciale. Posto:
β Ca
x= c=
r Ca a
a b
mV̇ + Ca + Cp mV + Ca + Cp
mV 0 V V
A = B =
0 JZ a2 b2
Ca a − Cp b Ca + Cp
V V
BO
si ha:
A ẋ + B x = c δ (8.60)
V = cost δ=0
97
8. STERZATURA
8.4. Comportamento direzionale a regime
A
ZZ
Figura 8.12: Sterzatura dinamica: modello a bicicletta
l
δ − αa + αp = (8.61)
R
Gli angoli di deriva in funzione delle forze trasversali sono espressi da:
Fya Fyp
αa = − αp = − (8.62)
Ca Cp
BO
In curva, le forze di contatto devono equilibrare solo la forza centrifuga del veicolo (Fig. 8.13):
mV 2 b mV 2 a
Fya = − Fyp = − (8.63)
R l R l
In definitiva, si avrà:
mV 2
l b a l
1 + KV 2
δ= + − = (8.64)
R Rl Ca Cp R
98
8. STERZATURA
8.4. Comportamento direzionale a regime
1 1 1
= · (8.66)
Rδ l 1 + KV 2
A
• K > 0: sottosterzante;
• K = 0: neutro;
• K < 0: sovrasterzante.
ZZ
Infatti, dall’espressione (8.66), per K > 0 il guadagno della curvatura diminuisce all’aumen-
tare di V , ossia l’angolo di sterzo δ che si deve impostare per percorrere una curva di raggio R
cresce al crescere della velocità di percorrenza della curva stessa: il veicolo dimostra, appunto,
un comportamento sottosterzante.
Viceversa, per K < 0, l’angolo di sterzo che si deve impostare per percorrere una da-
ta curva diminuisce all’aumentare della velocità di percorrenza della curva, ossia il veicolo è
sovrasterzante.
Si possano fare le precedenti considerazioni in termini di guadagno della curvatura di
BO
Per entrambe le tipologie di veicoli si individua una velocità “particolare”, dal diverso
significato fisico.
Si definisce velocità caratteristica di un veicolo sottosterzante la velocità alla quale l’ango-
lo di sterzo necessario per seguire una data traiettoria è il doppio dell’angolo di Ackermann
(ossia dell’angolo di sterzo che si deve dare per quella curvatura in condizione di sterzatura
cinematica): a questa velocità, il guadagno della traiettoria vale 1/2l.
Ponendo nella (8.66):
1 1
2
=
1 + KV 2
risulta:
99
8. STERZATURA
8.4. Comportamento direzionale a regime
r
1
Vcar = (8.67)
K
Per un veicolo sovrasterzante, si definisce velocità critica quella in corrispondenza della quale
il guadagno di curvatura tende ad infinito: è un condizione di instabilità, in quanto la vettura
tende a sterzare senza che sia applicato alcun angolo di sterzo δ.
Ricercando nella (8.66)
1
lim =∞
V →Vcrit Rδ
è sempre:
A
r
1
Vcrit = (8.68)
K
ZZ
BO
Si può ricercare un’espressione analoga alla (8.66) per il guadagno dell’angolo di deriva, che
risulta:
!
β b maV 2 1
= 1− (8.69)
δ l blCp 1 + KV 2
Si vuole ora capire come varia la traiettoria seguita del veicolo in funzione del suo compor-
tamento sovra o sottosterzante. Con riferimento alla Fig. 8.15, si considera un veicolo a due
ruote con il solo asse anteriore sterzante.
Per velocità tendenti a zero si è in condizioni di sterzatura cinematica: gli angoli di deriva
sono nulli e il veicolo si muove su una traiettoria curvilinea di centro O e raggio R.
Al crescere della velocità le ruote si muovono con angoli di deriva αa e αp crescenti.
Se gli angoli di deriva sono uguali αa = αp , l’angolo B Ô0 A continua a valere δ e quindi il
punto O0 si trova su una circonferenza passante per i punti di contatto A e B e il centro O di
100
8. STERZATURA
8.4. Comportamento direzionale a regime
A
ZZ
Figura 8.15: Comportamento di direzionale di un veicolo ad un asse sterzante: modello a
bicicletta (Fonte: [3])
Se invece αa > αp , il centro si sposta in O00 e ne segue che R00 > R: il veicolo è sottosterzante.
Viceversa, se αa < αp , O000 è il nuovo centro di istantanea rotazione e quindi R000 < R: il
veicolo è sovrasterzante.
101
8. STERZATURA
8.4. Comportamento direzionale a regime
Si definisce punto neutro il punto in cui si pensa applicata la risultante delle forze laterali
di deriva dei pneumatici con δ = 0 e r = 0.
Se si sfrutta il modello linearizzato, le forze di deriva sono date da:
Fya = −Ca β Fyp = −Cp β
e la coordinata del punto neutro risulta pertanto:
aCa − bCp
xN = (8.70)
Ca + Cp
Più in generale, per mezzo delle derivate di stabilità si può porre:
Fyβ = Yβ β My β = N β β
A
e la coordinate del punto neutro diventa:
Nβ
xN = (8.71)
Yβ
Si definisce poi margine statico il rapporto fra la coordinata del punto neutro e il passo del
ZZ
veicolo:
xN
Ms = (8.72)
l
In Tab. 8.2 sono riassunti i segni assunti dalle caratteristiche che definiscono il comporta-
mento direzionale del veicolo.
Tabella 8.2: Segni delle grandezze che definiscono il comportamento direzionale del veicolo
Comp. direz. K Ms xN |αa | − |αp |
BO
Sottosterzante ⊕ ⊕
Neutro 0 0 0 0
Sovrasterzante ⊕ ⊕
102
8. STERZATURA
8.4. Comportamento direzionale a regime
A
Figura 8.16: Variazione del margine statico per veicolo a trazione anteriore e a trazione posteriore
per diversi valori del µxp (Fonte: [3])
Figura 8.17: Influenza del trasferimento di carico sulla rigidezza di deriva (Fonte: [3])
Per limitare in parte questa situazione, si può pensare di introdurre una barra antirollio che,
aumentando la rigidezza dell’asse su cui è posta e incrementandone il trasferimento di carico,
ne riduce la rigidezza di deriva.
103
8. STERZATURA
8.5. Risposta a sollecitazioni esterne
A
La forza sull’assale è:
" #
1 ∂C ∂C
Fy = − αa − αc C + ∆Fz + αa + αc C − ∆Fz (8.75)
2 ∂Fz ∂Fz
ZZ
ossia:
∂C
Fy = C |αa | + αc ∆Fz (8.76)
∂Fz
Trascurando il trasferimento di carico, l’effetto della convergenza non è rilevante finché la
rigidezza rimane lineare.
Se però non si trascura il trasferimento di carico, la convergenza produce un aumento della
forza di deriva esercitata dall’assale interessato.
BO
104
8. STERZATURA
8.5. Risposta a sollecitazioni esterne
A
Figura 8.18: Guadagno della curvatura della traiettoria (Fonte: [3])
ZZ
∂ 1
=0 (8.78)
∂V Rδ V =V 0
Si pensi ora di avere un veicolo in marcia in rettilineo. A seguito dell’applicazione di
una forza laterale baricentrica, se il veicolo è neutro la traiettoria seguita (a regime, dopo il
transitorio immediatamente successivo all’applicazione della forza) sarà sempre rettilinea (ma
“deviata” rispetto a quella iniziale), mentre se il veicolo è sovra o sottosterzante le traiettorie
saranno curvilinee secondo lo schema di Fig. 8.19.
BO
Figura 8.19: Risposta ad una forza esterna applicata nel baricentro in direzione y: a) veicolo
neutro, b) sottosterzante, c) sovrasterzante (Fonte: [3])
105
Capitolo 9
Stabilità direzionale
A
Se a un veicolo in moto stazionario si impone una perturbazione, il suo moto si modifica e si
possono verificare i seguenti casi:
• stabilità non asintotica (stabilità statica): qualunque sia la perturbazione introdotta sul si-
ZZ
stema, esso continua a muoversi discostandosi di poco dalla condizione stazionaria rispetto
alla quale è stato perturbato, ma non ritorna in tale condizione;
• instabilità dinamica: esiste almeno una perturbazione a seguito della quale il sistema
compie oscillazioni intorno alla posizione di equilibrio o condizione di moto stazionario,
ma l’ampiezza delle oscillazioni aumenta nel tempo.
Nel seguito, lo studio della stabilità del veicolo verrà eseguito tenendo conto che:
Le equazioni del moto sono quelle già trovate in termini di derivate di stabilità:
a b
mV β̇ + mV̇ + Ca + Cp β + mV + Ca V + Cp V r = Ca δ
(9.1)
a2 b2
J ṙ + (Ca a − Cp b) β + Ca + Cp
r = Ca aδ
V V
Nell’ipotesi di moto stazionario (V̇ = 0) e comandi bloccati (δ = cost), definito il vettore di
stato:
β
x=
r
106
9. STABILITÀ DIREZIONALE
a b
Ca + Cp mV + Ca + Cp
mV 0 V V Ca
A = B = C=
0 J a2 b2 Ca a
Ca a − Cp b Ca + Cp
V V
Come noto, la soluzione del moto perturbato la si può esprimere come somma del moto
A
stazionario e di un termine xp indotto dalla perturbazione. La soluzione stazionaria si ottiene
facilmente ponendo:
Dalla teoria delle equazioni differenziali lineari a coefficienti costanti, l’integrale generale di
una equazione del secondo ordine è del tipo:
xp = x0 eλt
P λ2 + Qλ + R = 0
in cui:
P = mJV
Q = m Ca a2 + Cp b2 + J Ca + Cp
1h 2 2
i
R= Ca Cp a + b − mV Ca a − Cp b
V
Le soluzioni sono:
107
9. STABILITÀ DIREZIONALE
s 2
Q Q R
λ1,2 =− ± −
2P 2P P
Posto:
2
Q R
∆= −
2P P
si distinguono tre casi∗ :
√ .
1. R > 0, ∆ > 0 ⇒ Q > 2 P R = Qcrit . Si ottengono due soluzioni reali negative:
A
s
2
Q Q R
λ1 = − − − = −α1 ∈ R
2P 2P P
s
2
Q Q R
λ2 = − + − = −α2 ∈ R
2P 2P P
ZZ
Il sistema non oscilla e si dice che è asintoticamente stabile.
Nel moto di un veicolo i tre casi sopra presentati sono gli unici possibili: infatti, essendo
sempre P > 0 e Q > 0, l’instabilità dinamica non può esistere.
Nel caso di veicolo sottosterzante (K > 0), il coefficiente R è sempre positivo e dunque la
vettura risulta sempre stabile, indipendentemente dalla velocità di marcia.
Nel caso di veicolo
p sovrasterzante (K < 0), il coefficiente R è positivo solo al di sotto della
velocità critica ( 1/K) e la vettura risulta stabile solo a velocità inferiori alla velocità critica.
Quindi, al crescere della velocità, un veicolo sovrasterzante passa da una condizione stabile a
una instabile.
∗
Si indicheranno con α, α1 , α2 e ω generici numeri reali positivi.
108
9. STABILITÀ DIREZIONALE
1. K = 0: Qcrit = cost
A
Quindi, un veicolo sottosterzante al crescere della velocità può passare da una condizione
asintoticamente stabile ad asintoticamente stabile con oscillazione.
ZZ
BO
109
Capitolo 10
A
In questo capitolo si vuole mostrare un’altro tipo di approccio al problema della dinamica
laterale. Si ritroveranno molti dei risultati ottenuti nei precedenti capitoli, ma per giungere
ZZ
ad essi seguiremo una strada un po’ diversa.
F = Cα α (10.1)
L’andamento della curva dipende sostanzialmente, dal tipo di pneumatico, dal peso M g
agente sul pneumatico, dalle caratteristiche del fondo stradale e dalla pressione di gonfiaggio
p. Si può dimostrare che la deriva è funzione dei rapporti f /M g e M g/p, dove f è la forza che
agisce assialmente alla ruota.
110
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.2. Marcia in rettilineo
Si nota altre sì come M g abbia un effetto contrastante. L’esperienza infatti dimostra come
il carico M g possa avere sia un effetto stabilizzante che destabilizzante.
Nel nostro caso in cui il carico sui due assi è di solito inferiore a 5000 N, si è visto che ha
un effetto maggiormente stabilizzante.
Ci sono anche cause esterne che influenzano l’angolo di deriva, che sono:
A
Idealmente il baricentro si potrebbe pensare al centro dei due assi, cosi facendo si avrebbe una
distribuzione simmetrica del peso, ma in realtà non è cosi. Infatti, la posizione dei vari organi
(es: motore, cambio), fanno si che il baricentro sia spostato e quindi i due assi caricati in modo
diverso.
Tutto questo fa sì che ci siano diverse aderenze e, in presenza di una forza perturbante
trasversale, diverse deformazioni e angolo di deriva.
ZZ
Quindi i pneumatici più vicini al baricentro avranno maggior deriva, in quanto essa è
proporzionale all’intensità della forza trasversale.
Nel caso si abbia la trazione integrale le cose non cambiano: infatti, la potenza non è mai
ripartita al 50%. È comunque da sottolineare il fatto che la trazione integrale, offrendo la
possibilità di suddividere la coppia motrice o di decelerazione (freno motore), lascia ad ogni
ruota più forza a disposizione per contrastare le forze laterali (es: centrifuga, raffica di vento).
A questo punto si possono considerare gli effetti dei diversi angoli di deriva suddividendo
come abbiamo fatto tra traiettoria rettilinea e curvilinea.
• il conducente dopo la forza esterna mantenga almeno per un breve tempo lo sterzo nella
stessa posizione (con angolo di sterzata nullo);
111
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.2. Marcia in rettilineo
L’ultima ipotesi è necessaria in quanto nella realtà una tale perturbazione di carattere
aerodinamico genererebbe inevitabilmente un momento di imbardata.
Si possono distinguere allora tre casi (indicando con a e p gli angoli di deriva, rispettiva-
mente, anteriore e posteriore):
1. a = p ;
2. a > p ;
3. a < p .
10.2.1 Caso 1: a = p
A
Essendo uguali gli angoli di deriva, il veicolo subirà uno spostamento laterale verso la parte
della forza perturbatrice, quindi durante l’azione della forza il vettore velocità sarà inclina-
to esattamente dell’angolo di deriva, ma successivamente continuerà a mantenere la stessa
traiettoria.
Questa situazione non è molto pericolosa in quanto non c’è nessuna forza che si oppone al
ZZ
moto prestabilito.
BO
112
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.2. Marcia in rettilineo
A
Figura 10.2: Caso 2: a > p
ZZ
10.2.3 Caso 3: a < p
La deriva del retrotreno è maggiore dell’avantreno. La rotazione crea una forza centrifuga
concorde con la forza perturbatrice: in questo modo la deviazione compiuta viene esaltata e la
stabilità è maggiormente compromessa.
Questo è il caso più sfavorevole per la stabilità.
BO
In conclusione, si può notare che in fase di progetto si deve ricercare preferibilmente maggior
deriva sull’avantreno che sul retrotreno, in quanto in questo modo il controllo della vettura
risulta più “intuitivo” anche per un guidatore meno esperto.
113
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.3. Marcia in curva
A
Andiamo adesso a vedere nel caso di velocità sostenute come si comporta il mezzo.
Nel primo caso, si considerino gli angoli di deriva uguali sull’avantreno e sul retrotreno.
Andando a tracciare come prima le perpendicolari si nota come il centro di rotazione si
sposti leggermente in avanti ma il raggio di curvatura rimanga uguale.
In questo modo il veicolo ha un comportamento neutro.
ZZ
Nel secondo caso, gli angolo di deriva anteriori sono maggiori dei posteriori.
Questa volta tracciando le linee si vede chiaramente che il raggio di curvatura è aumentato
rispetto al neutro (il veicolo quindi tende a compiere una curva di raggio maggiore).
Nell’ultimo caso, con deriva maggiore nelle ruote posteriori, si vede che il raggio è diminuito
e quindi la traiettoria tende a “stringere”.
In base al comportamento del veicolo in curva, si può dire quindi che un veicolo è:
neutro: quando percorre una traiettoria con raggio di curvatura che corrisponde all’incirca
BO
114
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.4. Studio della dinamica del cornering
A
ZZ
Figura 10.4: Effetto della deriva dei pneumatici sulla marcia curvilinea
• barre anti-rollio;
• convergenza;
• campanatura;
115
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.4. Studio della dinamica del cornering
L
R
δ=
A
A questo valore di δ si dà talvolta il nome di angolo di Ackermann.
(10.2)
ZZ
Iniziamo intanto con l’applicare la seconda equazione di Newton al veicolo che si sta impe-
gnando in una curva (si osserva che in tutta la trattazione si suppone per semplicità di aver a
che fare con un modello cosiddetto “a bicicletta”):
X V2
Fi = Fa + Fp = M (10.3)
i R
dove:
• V è la velocità di avanzamento;
• R è il raggio di curvatura.
Adesso imponiamo che la sommatoria dei momenti rispetto al baricentro sia nulla (condi-
zione valida fino a che vi è abbastanza grip):
Fa b − Fp c = 0 (10.4)
che risolta in Fa :
c
Fa = Fp (10.5)
b
Sostituendo nella (10.3) si ha:
b V2
Fp = M (10.6)
L R
116
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.4. Studio della dinamica del cornering
Wa V 2
αa =
Cαa gr
(10.7)
Wp V 2
αp =
Cαp gr
avendo chiamato con Wa e con Wp rispettivamente il carico sull’assale anteriore e posteriore.
Dal semplice studio geometrico della precedente figura si ricava l’effettivo angolo di sterzata
delle ruote anteriori (che indicheremo con δ):
L
δ= + αa − αp (10.8)
R
A
Ed infine sostituendo dalle (10.7) si ricava l’angolo di sterzata in funzione degli angoli di
deriva:
V2
L Wa Wp
δ= + − (10.9)
R Cαa Cαp g ∗ R
ZZ
Si nota come attraverso queste equazioni si riesca a determinare l’angolo di sterzata attra-
verso il raggio
di curvatura
o l’accelerazione.
Wa Wp
Inoltre Cαa − Cαp i permette di determinare la direzione della sterzata. Ognuno dei due
termini è in proporzione al carico sull’asse anteriore o posteriore e alla rigidezza.
Questo termine viene generalmente chiamato grado di sottosterzo e viene indicato con la
lettera K. Le sue dimensioni sono [s2 /m deg] e indica “la quantità di angolo di deriva per ogni
g di forza centrifuga”.
Ognuno dei due termini di K viene detto angolo di conformità.
BO
Nonostante tali termini si riferiscano alla traiettoria curva si è visto che determina la risposta
del veicolo nel moto rettilineo in presenza di disturbi.
La precedente diviene quindi:
L V2
δ= +K (10.10)
R gR
Come è naturale pensare il segno del coefficiente K determina il comportamento neutro,
sottosterzante o sovrasterzante del veicolo.
Sottosterzo (Wa /Cαa > Wp /Cαp → K > 0 → αa > αp ): in questo caso la forza centrifuga ap-
plicata al centro di spinta “aprirà” maggiormente la deriva anteriore, e farà tendere come
già sappiamo a compiere al veicolo una traiettoria con raggio di curvatura maggiore. L’a-
nalisi da noi effettuata rispecchia esattamente tale supposizione: infatti, essendo K > 0,
aumenta l’angolo effettivo di sterzata δ, è per questo motivo che il pilota è costretto a
“stringere la curva”.
117
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.4. Studio della dinamica del cornering
Figura 10.6: Angolo di sterzo in funzione della velocità al variare del segno del coefficiente di
A
sottosterzo
Sovrasterzo (Wa /Cαa < Wp /Cαp → K < 0 → αa < αp ): a questo punto è intuitivo il caso del
sovrasterzo. La deriva è maggiore sulle ruote posteriori, il termine K è negativo e ciò
implica perché sia necessario “aprire la curva”. È opportuno ripetere ancora una volta
ZZ
come in fase di progetto si tenda a progettare il veicolo perché abbia un comportamento
sottosterzante proprio per l’innaturalezza da parte del pilota di compiere tale manovra.
Dall’analisi si nota anche come la velocità influenzi in modo maggiore l’effettivo angolo di
sterzata in quanto la forza centrifuga dipende dal quadrato della velocità (l’unico caso escluso
è il comportamento neutro dove l’angolo di sterzata rimane sempre L/R).
Per questo è importante affrontare le curve a moderate velocità, infatti aumentando la forza
centrifuga ed essendo costretti a stringere la virata, il grip a disposizione è sempre limitato.
Il livello di sottosterzo viene anche identificato dal valore della velocità caratteristica (Vcar ),
BO
che è la velocità necessaria per ottenere all’incirca un angolo di sterzata reale all’incirca doppio
dell’angolo di Ackerman:
r
g
Vcar = L (10.11)
K
Nel caso del sovrasterzo l’angolo di sterzo scende con il quadrato della velocità, e arriva a
zero ad una certa velocità detta velocità critica ∗ :
r
g
Vcrit = −L (10.12)
K
Ricordando che L è il passo della macchina si nota come un veicolo con passo maggiore
raggiunga la velocità critica solo ad un valore più alto.
Dall’analisi da noi effettuata sembra che progettando una vettura con carattere sottoster-
zante si siano risolti sostanzialmente i problemi di sicurezza, ma come tutti sappiamo la realtà
non è questa.
Infatti noi abbiamo supposto che la forza perturbatrice agisca esattamente nel centro di
massa. Nella maggioranza dei casi ovviamente non è cosi e la forza si potrà pensare spostata
di una certa distanza rispetto a G, il che comporterà una deriva maggiore, davanti o dietro.
∗
Non deve stupire il segno − sotto radice in quanto si ricorda che in tal caso K < 0.
118
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.4. Studio della dinamica del cornering
A
Questa è la spiegazione per cui lo stesso veicolo assume tutti e tre i comportamenti a seconda
della situazione in cui si trova.
Esisterà comunque un punto a una certa distanza dal baricentro che mi dia lo stesso angolo
di deriva sull’avantreno e sul retrotreno; questo punto è detto punto neutro di deriva (si ricorda
infatti che se αa e αp sono uguali si ha il comportamento neutro).
ZZ
La distanza dal baricentro da tale punto è chiamata margine statico.
Una delle caratteristiche più importanti di tale punto è la sua mobilità, si pensi infatti alle
continue frenate e accelerazioni; abbiamo già visto come la coppia di trazione ridistribuisca
diversamente il carico sugli assali e abbiamo visto che la deriva è proprio in funzione anche dei
carichi. Questi continui cambiamenti provocano inevitabilmente lo spostarsi del punto neutro
di deriva.
γg = γb + φ (10.13)
È importante sottolineare come l’angolo di campanatura influisca molto meno rispetto a
quello di deriva. Infatti per avere la stessa forza si ha bisogno di 4 − 5◦ del primo rispetto ad
uno solo del secondo.
Ripetendo i calcoli analitici molto simili ai precedenti ma tenendo di conto anche della
campanatura si arriva facilmente alla seguente:
Cγp ∂γp ∂φ V 2
L Wa Wp Cγa ∂γa
δ= + − + − (10.14)
R Cαa Cαp Cαa ∂φ Cαp ∂φ ∂ay gR
Dalla precedente si nota, ovviamente, la presenza dell’angolo di sottosterzo derivante dal-
l’angolo di deriva visto in precedenza ed in più la parte di angolo di sottosterzo derivante dalla
campanatura:
119
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.4. Studio della dinamica del cornering
A
Figura 10.8: Modello a bicicletta
Cγa ∂γa Cγ ∂γp ∂φ
ZZ
Kcamp = − p (10.15)
Cαa ∂φ Cαp ∂φ ∂ay
V2
Wa = Fya cos(αa + δ) + Fxa sin(αa + δ)
Rg
(10.16)
V2
Wp = Fyp cos(αp ) + Fxp sin(αp )
Rg
dove le Fy sono le forze perturbatrici e le Fx sono le forze di trazione.
Con l’ipotesi di piccoli angoli, risolvendo αa e αp e sostituendo nella (10.8) si ottiene :
L Wa V 2 Wp V 2
R C Rg Cαp Rg
δ= + αa + (10.17)
Fx Fx Fx
1+ a 1+ a 1+ p
Cαa Cαa Cαp
D’altra parte:
1 1 Fx
1 ≈1− a
1 + CFxαa Fxa
1 + Cα Ca
a a
120
10. INSTABILITÀ DIREZIONALE: UN’ALTRA FORMULAZIONE
10.4. Studio della dinamica del cornering
L " !#
V2
R Wa Wp Wa Fxa Wp Fxp
δ= + − − − (10.18)
Fxa Cαa Cαp 2
Cαa Cα2p Rg
1+
Cαa
Come si può notare è composta da tre termini: il primo è l’angolo di Ackermann, ma
alterato da un fattore che dipende dalla forza di trazione anteriore, che se positiva (FWD)
aumenta l’angolo di sterzata, se negativa (RWD) lo diminuisce; il secondo termine non è altro
che il grado di sottosterzo relativo alla rigidità laterale; il terzo termine, invece, è influenzato
unicamente dalle forze di trazione e ovviamente varia in funzione dei tre tipi di trazione.
Ovviamente ci sono altri fattori che influenzano il grado di sottosterzo, di cui tralasciamo
la trattazione analitica: in particolare, il fattore più importante è dato dal rollio.
A
Infine, si ricorda che l’effettivo angolo di sterzo è dato semplicemente dalla somma dei vari
contributi che abbiamo esaminato.
ZZ
BO
121
Parte III
A
ZZ
La dinamica verticale
BO
122
Capitolo 11
Dinamica verticale
A
Il problema della dinamica verticale consiste nel determinare la risposta del veicolo (in termini
di moto vibratorio e di forze scambiate con la strada) indotto dalla geometria del fondo stradale
(o del binario per un veicolo ferroviario).
Di particolare interesse in questo senso è la presenza lungo la via di corsa di irregolarità
ZZ
dovute ad imperfezioni del fondo stradale che si generano sia durante la posa del fondo stesso sia
per effetto di cedimenti anelastici del terreno, fenomeno quest’ultimo che porta ad una crescita
dell’irregolarità con l’esercizio della via stradale/ferrata. La presenza di queste irregolarità ha
un effetto negativo nel comfort o nella sicurezza di marcia del veicolo.
Nello studio della dinamica verticale, perciò, si considerano le sospensioni, che hanno il
duplice effetto di:
• ripartire le forze scambiate fra terreno e cassa del veicolo (elementi elastici)
Si definisce:
massa non sospesa: tutto ciò che sta sotto le sospensioni (principalmente, le ruote).
Il rapporto tra queste due grandezze viene considerato come un indice di comfort.
La sospensione ideale è quella che è in grado di permettere i soli moti verticali fra ruota e
massa sospesa.
Un veicolo a quattro ruote ha in generale 10 gradi di libertà, che sono:
Le tre rotazioni di imbardata ψ (yaw), beccheggio ϑ (pitch) e rollio ϕ (roll) possono essere
anche viste come le rotazioni da dare al sistema assi suolo per ottenere il sistema assi corpo. In
particolare, gli angoli di imbardata, beccheggio e rollio sono considerati come rotazioni attorno
agli assi, rispettivamente, z, y e x.
123
11. DINAMICA VERTICALE
11.1. Angoli caratteristici del pneumatico
A
Poiché il risultato di una sequenza di rotazioni dipende dall’ordine con cui queste vengono
eseguite, si assume che queste vengano fatte in terna corrente (ogni rotazione viene esegui-
ta rispetto alla terna ottenuta con la precedente rotazione) secondo l’ordine Yaw–Pitch–Roll
(Fig. 11.1).
Da un punto di vista del cinematismo si parla di:
ZZ
sospensioni a ruote indipendenti: ogni sospensione è collegata alla vettura in maniera in-
dipendente (1 gdl libero)
sospensione ad assale rigido: le ruote dello stesso assale sono collegare tra loro (2 gdl liberi)
angolo di campanatura o camber: è l’angolo formato dal piano medio del pneumatico e
dalla verticale al terreno (Fig. 11.2). Riveste un ruolo primario nel massimizzare la
superficie di contatto.
angolo di convergenza: è l’angolo formato dei piani medi delle ruote rispetto alla direzione
di avanzamento (Fig. 11.3). La presenza di una convergenza positiva garantisce la stabilità
della traiettoria rettilinea.
angolo di incidenza del montante: è l’angolo formato dall’asse di sterzatura rispetto a una
direzione verticale passante per il centro dell’impronta (Fig. 11.4). La formazione di un
braccio a terra longitudinale crea un’azione “raddrizzante” della traiettoria, “richiaman-
do” lo sterzo ma rendendolo più “duro” alla risposta a basse velocità, con un incremento
delle perturbazioni che giungono su di esso.
124
11. DINAMICA VERTICALE
11.1. Angoli caratteristici del pneumatico
A
ZZ
Figura 11.2: Angolo di campanatura o camber
BO
125
11. DINAMICA VERTICALE
11.2. Analisi cinematica delle sospensioni
A
11.2 Analisi cinematica delle sospensioni
Si è già detto che una sospensione ideale dovrebbe far muovere la ruota rispetto alla cassa
nella sola direzione verticale. Nella pratica, i moti permessi sono determinati dalla geometria
ZZ
e quindi dalla cinematica della sospensione: ciascuno schema sospensivo avrà una cinematica
più o meno vicina a quella che abbiamo definita “ideale”.
Nello studio cinematico delle sospensioni si vuole, pertanto, capire come la geometria di
ciascuna sospensione determina la cinematica del moto ruota–cassa. Per far questo si studiano
le variazioni di campanatura (γ), angolo di sterzo (δ), carreggiata (t) a seguito di variazioni ∆z
dello scuotimento della sospensione e ∆ϕ di rollio della cassa.
Si definiscono pertanto scorrettezze del sistema sospensivo le derivate:
∂t ∂t ∂δ ∂δ ∂γ ∂γ
, , , , ,
BO
∂ϕ ∂z ∂ϕ ∂z ∂ϕ ∂z
Si danno le seguenti definizioni:
asse di rollio: asse d’istantanea rotazione∗ a rollio del veicolo.
centro di rollio (per asse): punto d’intersezione fra asse di rollio e piano verticale passante
per i punti di contatto delle due ruote.
Per ragioni di simmetria† , il centro di rollio sta sul piano di simmetria del veicolo.
Per come è definito, il centro di rollio è il centro di istantanea rotazione del corpo vettura
rispetto al suolo. La sua individuazione è fondamentale in quanto è il punto del corpo vettura
nel quale una forza laterale applicata non genera rotazione.
126
11. DINAMICA VERTICALE
11.3. Schemi di sospensioni tipiche
A
ZZ
Figura 11.6: Sospensione a quadrilateri articolati trasversali (Fonte: [3])
BO
Figura 11.7: Sospensione a quadrilateri articolati trasversali con assi cerniera a) non orizzontali
e b) non paralleli (Fonte: [3])
127
11. DINAMICA VERTICALE
11.4. Comfort e guidabilità
A
ZZ
Figura 11.10: Avantreno con sospensioni indipendenti di tipo Mc Pherson (Fonte: [3])
Lo studio del comfort e della guidabilità di un veicolo si avvale della teoria delle vibrazioni
di sistemi meccanici schematizzati per mezzo di corpi rigidi ed elementi elastici e smorzanti.
Questo tipo di approccio prevede la modellazione dell’intero veicolo in un sistema avente 1 o
più gradi di libertà e per il quale si studiano le vibrazioni indotte dalle irregolarità della strada.
Ci limiteremo a presentare due soli modelli.
128
11. DINAMICA VERTICALE
11.4. Comfort e guidabilità
Figura 11.11: Modello a 1 grado di libertà per lo studio della dinamica verticale
A
mz̈ + cż + kz = cḣ + k(h − mg)
Data la linearità del sistema la soluzione sarà anch’essa di tipo armonico:
(11.1)
ZZ
z(t) = z0 ejωt
=
h0 c2 ω 2 + (k − mω 2 )2
! (11.3)
−cmω 2
ϕ = arctan
k k − mω 2 + c2 ω 2
Introducendo i parametri adimensionali:
r
k
• ωn = : pulsazione naturale;
m
√
• ccr = 2 km: smorzamento critico;
c
• ξ= : smorzamento adimensionale;
ccr
ω
• ω∗ = : frequenza adimensionale,
ωn
si ha:
z0 1 + j2ξω ∗
= (11.4)
h0 1 − ω ∗ 2 + j2ξω ∗
129
11. DINAMICA VERTICALE
11.4. Comfort e guidabilità
A
ZZ
Figura 11.12: Diagramma di Bode del rapporto z0 /h0 (Rielaborato da: [3])
• per valori della pulsazione della forzante molto inferiori alla pulsazione propria del si-
stema, il rapporto z0 /h0 è prossimo ad 1, ossia l’ampiezza di vibrazione della massa m
risulta paragonabile all’ampiezza dell’irregolarità stradale: in tali condizioni, la massa
segue “rigidamente” il moto del punto di contatto, come se il veicolo non fosse dotato di
sospensioni;
• per valori della pulsazione della forzante prossimi alla pulsazione propria del veicolo, l’am-
piezza di oscillazione diviene molto elevata in rapporto a quella dell’irregolarità stradale e
tende a divenire infinita nella condizione di risonanza. Poiché la forzante è data in forma
di spostamenti, la sua pulsazione dipende in ultima analisi dalla velocità di avanzamento
del veicolo e dalla lunghezza d’onda dell’irregolarità: per una data lunghezza d’onda, è
possibile definire un particolare valore della velocità (Vcr = 2πλωr ) per la quale il veicolo
entra in risonanza;
• se la pulsazione della forzante è molto superiore alla pulsazione propria del sistema, l’am-
piezza di vibrazione del veicolo risulta inferiore all’ampiezza dell’irregolarità e tanto in-
feriore quanto maggiore è il valore del rapporto adimensionale. Da questo esame, si
evidenzia che la presenza della elasticità della sospensione rende il veicolo in grado di at-
tenuare la vibrazione impressa dalla strada al punto di contatto, a patto che la pulsazione
130
11. DINAMICA VERTICALE
11.4. Comfort e guidabilità
A
ZZ
Figura 11.13: Diagramma di Bode del rapporto z̈0 /h0 (Rielaborato da: [3])
propria del veicolo sia sufficientemente piccola rispetto a quella del moto impresso dalla
irregolarità stradale.
BO
Volendo ottimizzare il comfort dei passeggeri (ossia minimizzare le accelerazioni a cui questi
risultano esposti, a fronte di una data irregolarità stradale) un possibile criterio è quello di
cercare lo smorzamento c che porta ad un massimo relativo (o almeno punto di stazionarietà)
nel punto A di Fig. 11.12.
Derivando l’espressione di ω 2 hz00 rispetto a ω e imponendo che la derivata sia nulla in A si
ottiene:
r
km ccr
cott = = √ (11.5)
2 2 2
Poiché la componente dinamica della forza che i pneumatici esercitano sul suolo è:
Fz = c ż − ḣ + k (z − h) = −mz̈
il cott trovato minimizza anche la forza trasmessa al suolo e quindi anche il comportamento
direzionale.
Per la scelta della rigidezza della sospensione bisogna tener conto che:
131
11. DINAMICA VERTICALE
11.4. Comfort e guidabilità
• un valore troppo basso della pulsazione propria significa che il transitorio di oscillazione
innescato, ad esempio, dal superamento di un ostacolo localizzato si attenuerà in un tempo
elevato, peggiorando in questo modo il comfort dei passeggeri.
In generale per il dimensionamento della rigidezza si cerca di assicurare un buon effetto
filtrante tra 1 ÷ 1.5 Hz, campo di maggiore sensibilità del corpo umano. Di fatto, si cerca di
fare in modo che: r
ωn 1 k
fn = = ≈ 1 Hz
2π 2π m
A
cui si è indicato con m la massa sospesa sulla sospensione e con mn la massa non sospesa,
mentre P e cp sono, rispettivamente, la rigidezza e lo smorzamento del pneumatico.).
ZZ
BO
Figura 11.14: Modello a 2 gradi di libertà per lo studio della dinamica verticale (Fonte: [3])
132
11. DINAMICA VERTICALE
11.4. Comfort e guidabilità
A
Figura 11.15: Diagramma di Bode dei rapporti zs0 /h0 e zn0 /h0 (Rielaborato da: [3])
ZZ
BO
Figura 11.16: Diagramma di Bode dei rapporti z̈s0 /h0 e z̈n0 /h0 (Rielaborato da: [3])
In Figg.
p m 11.15 e 11.16 le risposte sono riportate in funzione della frequenza dimensionale
λ∗ = λ K .
Come nel caso precedente, si ottiene lo smorzamento ottimale rendendo minima l’accelera-
zione:
r s
Km kp + 2K
cott = (11.7)
2 kp
133
Bibliografia
A
Settembre 2002.
[6] Hans B. Pacejka. Tyre models for vehicle dynamics analysis. Vehicle System Dynamics, 21,
2002.
BO
134