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Codice della

responsabilità civile
commentato

D.Lgs. 07-09-2005, n. 209, art. 144 - Azione diretta del danneggiato - L'azione diretta del
danneggiato nella R.c.a. dalla Legge 24.12.1969, n. 990 al Codice delle Assicurazioni Private

Bibliografia

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Considerazioni sulle recenti decisioni rese dalle S.U. della Cassazione sui limiti del massimale, in
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all’obbligo di assicurazione, in GI, 1972, I; BELLUSSI, Alcune riflessioni sugli articoli 18 e 23 della
legge 24 dicembre 1969, 990, in RGCir, 1977; BESSONE, Tutela aquilana del credito e responsabilità
per danni causati dalla temporanea invalidità del prestatore di lavoro, in GM, 1982, I; BIN (a cura
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comunitario, in RCP, 2009; BONVICINI, La responsabilità civile, Milano, 1973; CARTONI, La
condizione di procedibilità nelle controversie in materia di circolazione stradale, in RDPr, 2012, 1,
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danneggiante, in MGL, 1981; CANNIZZARO, Svalutazione monetaria interessi e spese negli indennizzi
per sinistri stradali e incidenza su massimali assicurati, in DPA, 1982; CRISCUOLO, La R.C. Auto
dopo la riforma delle Assicurazioni, Napoli, 2006; CROCITTO, Commentario al Codice delle
Assicurazioni private, Matelica, 2006; GALLONE (a cura di), Codice delle Assicurazioni, Bologna,
2006; ID., Il nesso causale nel danno derivante dalla circolazione dei veicoli a motore: profili di
diritto sostanziale, in TR, 1999; ID., Nullità della clausola contrattuale limitatrice del rischio e
applicabilità dell’art. 1419, 2° comma, c.c., in GI, 1998, IV; GALLONE, PETTI, Trattato
dell’assicurazione obbligatoria per la R.C.A., Torino, 2004; GENTILE, Assicurazione obbligatoria
R.C. per autoveicoli e natanti, Milano, 1971; ID., La legge sull’assicurazione obbligatoria R.C. dei
veicoli a motore e dei natanti, in RC, 1970; GIANNINI, MARTINI, RODOLFI, L’assicurazione
obbligatoria dei veicoli e dei natanti, Milano, 2003; GRIFFEY, La responsabilità civile derivante dalla
circolazione dei veicoli e dei natanti, Milano, 1995; IEVA, Problemi di «massimale»
nell’assicurazione obbligatoria nella responsabilità civile automobilistica, in RCP, 1981; LA SPINA,
La procedura di risarcimento diretto in materia di responsabilità civile automobilistica, in RC, 2006;
LA TORRE, Azione diretta e assicurazione, in A, 1971, I; MANDRIOLI, Termine dilatorio per far valere
un diritto in giudizio; condizioni dell’azione, presupposti processuali ed altre categorie, in RDC,
1983, I; ID., In tema di risarcimento per fatto illecito che determina l’inabilità temporanea del
lavoratore infortunato, in GI, 1977, I; MAZZON, Le procedure stragiudiziali per la liquidazione del
danno in RC auto, Milano 2016; POLETTI, La non obbligatorietà del risarcimento diretto: la nuova
procedura già al capolinea?, in RCP, 2009; RINALDI, Lesione del credito ed azione risarcitoria
diretta del datore di lavoro danneggiato, in RGU, 1999; SANNA, Risarcimento ultramassimale ed
interpretazione della domanda giudiziale, in DR, 2002; SCALFI, Spese, interessi e giustizia
nell’assicurazione obbligatoria della r.c. auto, in RCP, 1980; STANGHELLINI, I diritti del danneggiato
e le azioni di risarcimento nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, Milano, 1990;
TAMBURRINO, Infortunio non da lavoro, del lavoratore e sua risarcibilità a carico del terzo
responsabile a favore del lavoratore e del datore di lavoro, in MGL, 1979; TONINELLI, La deduzione
del limite del massimale e la sua prova da parte dell’assicuratore della responsabilità civile, prima

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e dopo la riforma del codice di rito, in AGCSS, 1999; VOCINO, Incognite processuali della legge 24
dicembre 1969, n. 990, in DPA, 1971.

Riferimenti normativi

art. 22, L. 24.12.1969, n. 990; art. 3, L. 26.2.1977, n. 39.

Sommario:1. L’azione diretta: evoluzione normativa e caratteri generali - 2. La legittimazione


attiva - 3. La legittimazione passiva - 4. Le limitazioni all’azione diretta - 5. L’alternativa
all’azione diretta: l’azione aquiliana ex art. 2054 c.c. Cumulabilità della stessa all’azione
diretta e solidarietà - 6. Differenze fra l’azione diretta e l’azione aquiliana: onere probatorio
sull’esistenza del contratto - 7. (Segue) Petitum e limite del massimale - 8. Il regime delle
eccezioni ed il diritto di rivalsa dell’assicuratore - 9. La proponibilità dell’azione diretta - 10.
Problemi di coordinamento tra l’art. 144, 1° co., l’art. 149 e l’art. 141 c. ass. priv. - 10.1.
Segue: il caso della c.d. “targa prova”

1. L’azione diretta: evoluzione normativa e caratteri generali


Nel 1969 il legislatore ha introdotto l’obbligo di assicurazione di responsabilità civile per i veicoli a
motore e per i natanti in vista della realizzazione, nel settore, di quelle esigenze di solidarietà sociale
alle quali l’art. 2 Cost. ha conferito rilevanza costituzionale (C. Cost., 29.3.1983, n. 77).

La legge speciale ha preferito, anziché ricorrere all’assicurazione contro i danni, servirsi dello
strumento dell’assicurazione di responsabilità civile di cui all’art. 1917 c.c., rendendola obbligatoria
ed apportando alcuni correttivi che, pur alterandone in parte la fisionomia in modo da costituire un
«nuovo sistema», valgono a garantire una tutela più rafforzata per la vittima (C. Cost., 1.3.1973, n.
24; C. civ., Sez. III, 21.6.2004, n. 11471; C. civ., Sez. III, 6.6.2002, n. 8216; C. civ., 29.7.1983, n.
5218).

Lo scopo dell’introduzione della responsabilità obbligatoria consisteva e consiste ancora oggi, non
solo nella salvaguardia del patrimonio del responsabile, come avviene in regime di assicurazione
volontaria, quanto, piuttosto, nel garantire comunque che un fenomeno socialmente rilevante, come
quello dei danni derivati dai sinistri stradali, riceva un’adeguata tutela in punto di risarcimento
(ANTINOZZI, La responsabilità, in DPA, 1984, 9).

La natura giuridica del rapporto si è, infatti, venuta a staccare dalla configurazione dell’assicurazione
volontaria per la responsabilità civile, assumendo una propria autonomia ed una diversa natura
(GENTILE, La legge sull’assicurazione obbligatoria R.C. dei veicoli a motore e dei natanti, in RC,
1970, 5). Il legislatore ha introdotto delle regole speciali, in deroga alle norme di diritto comune,
giustificate dalla ratio di un sistema diretto a garantire una tutela rapida e sicura per i danneggiati.
Se, infatti, si pone a raffronto l’istituto dell’assicurazione obbligatoria per la R.c.a. con quello
dell’assicurazione facoltativa avente lo stesso oggetto si evidenziano alcune notevoli differenze,
motivate dall’indicata finalità sociale.

Una delle più rilevanti è rappresentata proprio dalla concessione, a favore della vittima, dell’azione
diretta contro l’impresa assicuratrice del responsabile civile, ex art. 18, L. 24.12.1969, n. 990.

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Attualmente tale legge non è più in vigore in quanto abrogata e sostituita - con decorrenza dal
1.1.2006 - dal D.Lgs. 7.9.2005, n. 209, c.d. Codice delle Assicurazioni private. Trattasi di un Testo
Unico emanato allo scopo di riorganizzare in maniera organica le norme in materia di assicurazione.
La disposizione normativa mira, altresì, in particolare nell’ambito della R.c.a. - al contenimento dei
costi dei premi assicurativi: così, per fare un esempio, il terzo trasportato sul veicolo o natante,
qualunque sia il titolo del trasporto (quindi anche di cortesia), può esercitare l’azione diretta nei
confronti dell’assicuratore ex art. 18 della L. n. 990/1969, oggi trasfuso nell’art. 144 del Codice delle
assicurazione private emanato con D.Lgs. n. 209/2005 (T. Palermo, Sez. III, 21.9.2016). E T.
Palermo, Sez. III, 3.2.2017, a riguardo precisa che, alla luce della disposizione di cui all’art. 141,
D.Lgs. n. 209/2005 (c.d. codice delle assicurazioni) - che consente al terzo trasportato, qualunque sia
il titolo di trasporto di agire per il risarcimento del danno subito direttamente nei confronti della
società assicuratrice del veicolo sul quale si trovava al momento dell’incidente - la proponibilità
dell’azione che il terzo trasportato può esperire nei confronti dell’impresa assicuratrice del veicolo
su cui viaggiava, presuppone solamente la verificazione del sinistro e la causazione di un danno
(sia di tipo patrimoniale che non patrimoniale) patito dal terzo trasportato.

L’art. 144, 1° co., c. ass. priv. riproduce l’art. 18, L. 24.12.1969, n. 990. La norma in commento
prevede, infatti, che il danneggiato, per un sinistro causato dalla circolazione di un veicolo o di un
natante per i quali sussiste obbligo di assicurazione, abbia azione diretta per il risarcimento del danno
nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile, entro i limiti delle somme per le quali è stata
stipulata l’assicurazione.

L’azione diretta si ispira all’art. 1015 c.n., il quale stabilisce eccezionalmente che nella navigazione
aerea, per i danni a terzi sulla superficie, la vittima abbia azione diretta contro l’impresa assicuratrice
del vettore per il risarcimento di tutti i danni subiti.

Nell’assicurazione della responsabilità civile non obbligatoria, prevista dall’art. 1917 c.c.,
l’obbligazione dell’assicuratore al pagamento dell’indennizzo all’assicurato è, invece, distinta e
autonoma rispetto all’obbligazione risarcitoria che incombe sull’assicurato nei confronti del
danneggiato: quest’ultimo non ha, quindi, azione diretta contro la società assicuratrice, non
sussistendo alcun rapporto giuridico diretto e immediato tra la vittima e l’assicuratore (C. civ., Sez.
III, 26.07.2012, n. 13200; C. civ., Sez. III, 5.12.2011, n. 26019; C. civ., Sez. III, 18.4.2007, n. 9225;
C. civ., Sez. III, 8.3.2007, n. 5306; C. civ., Sez. III, 3.10.1996, n. 8650; C. civ., Sez. I, 26.3.1996, n.
2678; C. civ., 28.11.1994, n. 10156; T. Bari, Sez. III, 31.3.2006).

Il danneggiato non può far valere la sua pretesa nei confronti dell’impresa assicuratrice anche
nel caso in cui il responsabile del danno abbia chiamato in causa, per essere tenuto indenne
dalle conseguenze del fatto accaduto, il proprio istituto assicuratore: questo, pur essendo
obbligato al pagamento diretto dell’indennità in favore della vittima qualora l’assicurato lo abbia
richiesto ai sensi dell’art. 1917, 2° co., c.c., continua a rimanere estraneo al rapporto sostanziale che
intercorre tra danneggiato e assicurato, così come il danneggiato continua a rimanere estraneo al
rapporto tra assicurato e assicuratore (C. civ., Sez. III, 3.10.1996, n. 8650; C. civ., Sez. I, 26.3.1996,
n. 2678; C. civ., Sez. III, 28.11.1994, n. 10156; C. civ., Sez. I, 19.6.1987, n. 5376). Di conseguenza,
in tale ipotesi, il giudice deve limitare la condanna a favore del terzo al solo assicurato e, poi, decidere
sulla domanda di garanzia di costui contro il proprio assicuratore (C. civ., 14.11.1992, n. 12248). In
deroga al principio di diritto comune, il legislatore del 1969 ha introdotto una norma eccezionale che

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consente alla vittima l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile (C. civ.,
Sez. III, 20.4.2007, n. 9516).

La legge speciale ha creato, accanto al rapporto sorto dal fatto illecito fra il responsabile e il
danneggiato e da quello contrattuale operante tra il responsabile e l’assicuratore, un terzo rapporto
che, sul presupposto del primo e in attuazione del secondo, obbliga ex lege l’assicuratore verso il
danneggiato (GALLONE, Nullità della clausola contrattuale limitatrice del rischio e applicabilità
dell’art. 1419, 2° co., c.c., in GI, 1998, IV, 835).

Tale ultimo rapporto ha la sua fonte immediata nella legge che vincola in via diretta l’assicuratore nei
confronti della vittima (C. civ., Sez. III, 7.5.2009; C. civ., Sez. III, 24.1.2006, n. 1315; C. civ., Sez.
III, 5.9.2005, n. 17768; C. civ., Sez. III, 8.11.2004, n. 21279; C. civ., Sez. III, 22.1.1990, n. 319; C.
civ., Sez. III, 14.7.1986, n. 4538; C. civ., 5.7 1985, n. 4064). Quest’ultima, pur essendo estranea alla
conclusione del contratto, può agire direttamente, ex art. 144, nei confronti del primo. La legge
attribuisce al danneggiato una legittimazione straordinaria (C. civ., Sez. III, 28.5.2007, n. 12376).

L’obbligazione dell’impresa, in quanto corrispondente a quella dell’assicurato, ha la stessa natura di


obbligazione da fatto illecito e il suo oggetto deve essere determinato adeguando il risarcimento
all’integralità del danno arrecato.

Al contrario, una parte minoritaria della giurisprudenza, ritiene che la vittima sarebbe abilitata a
richiedere all’istituto assicuratore non già un risarcimento, bensì una prestazione che
rappresenterebbe l’indennizzo dovuto dall’assicuratore all’assicurato-responsabile civile, ex art. 1917
c.c. (C. civ., Sez. III, 23.4.1998, n. 4186; C. civ., 29.11.1985, n. 5947; C. civ., 11.10.1985, n. 4952).

Tale impostazione contrasta, però, con la chiara lettera degli artt. 144 e 145, 1° co., che fanno
riferimento al risarcimento del danno e non all’indennizzo. È stato, infatti, osservato in dottrina come
sia errato ritenere che l’assicuratore sia tenuto, verso il terzo danneggiato, alla medesima prestazione
dovuta al proprio assicurato: in realtà è tenuto a risarcire direttamente il danno provocato dalla sua
controparte contrattuale (STANGHELLINI, I diritti del danneggiato e le azioni di risarcimento
nell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile, Milano, 1990, 221).

L’orientamento minoritario finisce, inoltre, per ridurre il problema ad una mera questione
terminologica, visto che nelle stesse sentenze si legge come l’indennizzo dovuto dall’assicuratore al
danneggiato debba essere calcolato, nel quantum, proprio con riferimento al debito da risarcimento
per responsabilità extracontrattuale del danneggiato-assicurato (C. civ., Sez. III, 23.2.2001, n. 2691).
L’oggetto dell’obbligazione dell’assicuratore corrisponde, infatti, esattamente a quello
dell’obbligazione del danneggiante (C. civ., Sez. III, 20.3.2001, n. 4005).

2. La legittimazione attiva
Per quanto attiene alla legittimazione attiva, giova precisare come la stessa non competa
esclusivamente al proprietario del veicolo danneggiato o al soggetto che abbia materialmente
subito lesioni alla persona.

Visto che le norme del c. ass. priv. relative alla R.c.a., sono ispirate a fini specifici di tutela e garanzia
dei diritti lesi per effetto di eventi causalmente riconnessi alla circolazione stradale, il danneggiato

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da sinistro stradale non è solo la persona direttamente coinvolta nel sinistro, ma anche chi abbia
subito un danno che si trovi legato da un nesso eziologico con l’incidente, cioè che si presenti
come effetto normale e consequenziale del fatto illecito, ai sensi dell’art. 1223 c.c. Peraltro, nella
responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli sono risarcibili anche i danni mediati ed
indiretti, qualora sussista un nesso di causalità necessaria ed essi siano una conseguenza esclusiva del
fatto illecito e si presentino come un effetto normale del medesimo, rientrando nella serie delle
conseguenze normali ed ordinarie cui esso dà origine, in base al principio della cosiddetta regolarità
causale (C. civ., S.U., 1.7.2002, n. 9556; C. civ., Sez. III, 26.2.2003, n. 2888; C. civ., 20.8.1984, n.
4661; C. civ., 19.7.1982, n. 4236).

Relativamente ai danni a cose, secondo la giurisprudenza, è legittimato ad agire in giudizio


chiunque eserciti sul veicolo un potere anche soltanto materiale, in quanto però risenta dal
sinistro stradale un danno al suo patrimonio (C. civ., Sez. III, 13.4.2007, n. 8850; C. civ., Sez. III,
16.2.2006, n. 3436; C. civ., Sez. III, 10.4.1990, n. 3005; P. Catania, 10.1.1996; G.d.P. Foggia,
26.6.1998). Non vi è, infatti, secondo la Suprema Corte, necessaria identità fra il titolo al risarcimento
del danno ed il titolo giuridico del diritto di proprietà; di conseguenza, nel giudizio risarcitorio
promosso dal danneggiato non è necessario, ai fini della legittimazione attiva, provare l’esistenza di
quest’ultimo titolo, bastando la prova del danno (C. civ., 17.11.1981, n. 6103; C. civ., 25.3.1977, n.
1174; C. civ., 3.5.1976, n. 1569). Non è, però, legittimato ad agire il detentore che non abbia
provveduto in proprio a sostenere le spese per la riparazione della res (G.d.P. Gangi, 7.1.2000; G.d.P.
Foggia, 26.6.1998; G.d.P. Torino, 30.5.1996).

Risultano pertanto legittimati attivamente i detentori anche occasionali della cosa, e, quindi, il
conducente, il comodatario, nonché l’utilizzatore a titolo di leasing, sempre che abbiano subito
dal danno un effettivo depauperamento del loro patrimonio (C. civ., Sez. III, 1.7.2002, n. 9554; P.
Catania, 20.4.1995).

Per quanto invece attiene ai danni alla persona, secondo la Cassazione sono titolari dell’azione
risarcitoria anche i familiari della vittima di lesioni molto gravi, o i terzi a quest’ultimo legati
da particolari rapporti giuridici o affettivi, idonei a provocare, nelle loro distinte sfere, effetti
pregiudizievoli patrimoniali e non patrimoniali, pur sempre collegati con il fatto illecito quale fonte
genetica (C. pen., Sez. III, 21.9.2007, n. 38952; C. civ., Sez. III, 31.5.2003, n. 8827; C. civ., Sez. III,
26.2.2003, n. 2888; C. civ., Sez. III, 1.7.2002, n. 9556; C. civ., Sez. III, 7.1.1991, n. 60). È, quindi,
ammissibile la richiesta di risarcimento per la lesione dei cosiddetti diritti riflessi da parte di soggetti
diversi dalla vittima iniziale, quando la loro lesione sia eziologicamente collegata, in via diretta ed
immediata, con l’illecito (C. civ., Sez. III, 17.9.1996, n. 8305). Sono, ad esempio, risarcibili gli
esborsi sostenuti dal genitore per le lezioni private da impartire al figlio minore che, leso nella persona
per altrui colpa, non abbia potuto continuare a frequentare regolari e gratuiti corsi scolastici.

Anche in ipotesi di sinistro mortale, i congiunti della vittima, pur non essendo «direttamente»
coinvolti nel sinistro, ben possono esperire l’azione diretta contro l’assicuratore del responsabile,
non soltanto quali eredi della persona coinvolta ma anche iure proprio (GIANNINI, MARTINI,
RODOLFI, L’assicurazione obbligatoria dei veicoli e dei natanti, Milano, 2003, 155).

Secondo la giurisprudenza, al coniuge deve essere equiparato il convivente more uxorio (C. civ.,
Sez. III, 28.3.1994, n. 2988; T. Monza, Sez. I, 16.3.2006).

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Quest’ultimo ha diritto ad ottenere non solo il risarcimento del danno non patrimoniale, per un
patema analogo a quello che si ingenera nell’ambito della famiglia, ma anche del danno
patrimoniale per la perdita del contributo patrimoniale e personale apportato in vita, con carattere di
stabilità, dal convivente defunto (ALIBRANDI, Morte in sinistro stradale di convivente more uxorio e
problemi di risarcimento, in AGCSS, 1990, 3; ALPA, Responsabilità civile e danno. Lineamenti e
questioni, Bologna, 1991, 171).

A tal fine, il convivente ha l’onere di dimostrare una relazione caratterizzata da una comunanza di
vita e di affetti con vicendevole assistenza morale e materiale, non essendo sufficienti dei certificati
anagrafici, atti a provare soltanto la convivenza (C. civ., Sez. III, 29.4.2005, n. 8976).

L’azione diretta ex art. 144, è concessa anche al datore di lavoro che intenda ottenere il
risarcimento degli esborsi a titolo di retribuzione da lui effettuati in favore del dipendente, per
il periodo di inabilità temporanea conseguente alle lesioni riportate a seguito di un sinistro
stradale (C. civ., Sez. lav., 15.9.2003, n. 13549; C. civ., Sez. III, 21.10.1991, n. 11100; C. civ., Sez.
III, 21.10.1991, n. 11099; T. Monza, 12.2.2004).

Questo principio rappresenta una coerente applicazione della tutela aquiliana dei diritti di credito,
a fronte di un’erogazione retributiva a cui non è seguita la controprestazione (ALPA, Lesione del
credito del datore di lavoro per invalidità temporanea del dipendente provocata da terzi e area del
danno risarcibile, in GC, 1981, I, 811; BESSONE, Tutela aquilana del credito e responsabilità per
danni causati dalla temporanea invalidità del prestatore di lavoro, in GM, 1982, I, 1189;
CASTRONOVO, In attuazione della prestazione di lavoro e responsabilità del terzo danneggiante, in
MGL, 1981, 370; MANDRIOLI, In tema di risarcimento per fatto illecito che determina l’inabilità
temporanea del lavoratore infortunato, in GI, 1977, I, 2, 400).

In tale situazione esiste, infatti, un nesso eziologico tra l’evento lesivo che è derivato al diritto di
credito del datore di lavoro ed il pregiudizio economico costituito dalla mancanza delle prestazioni
lavorative. E ciò, anche se il lavoratore infortunato è stato sostituito senza difficoltà (C. civ., Sez. III,
25.6.1993, n. 7063; T. Spoleto, 21.1.1999).

Dubbi, invece, esistono circa l’ammissibilità dell’azione diretta da parte dell’assicuratore privato
che abbia indennizzato il proprio assicurato in base ad una polizza infortuni o ad una polizza
kasko, per i danni da quest’ultimo subiti in dipendenza di un sinistro stradale.

Secondo una parte della giurisprudenza, non è possibile ricomprendere nel concetto di danneggiato
anche il di lui assicuratore privato tenuto all’indennizzo per una polizza volontaria (C. civ., Sez. III,
27.6.1991, n. 7218).

Secondo altro orientamento, l’assicuratore privato del danneggiato, in presenza dei presupposti
dell’art. 1916 c.c. e delle condizioni di proponibilità indicate dall’art. 145, sarebbe legittimato ad
esperire l’azione risarcitoria ex art. 144 nei confronti dell’assicuratore del danneggiante (C. civ., S.U.,
12.11.1988, n. 6132; C. civ., 25.3.1995, n. 3570; T. Forlì, 24.2.1996).

In tal modo, il diritto risarcitorio maturato dal danneggiato nei confronti dell’assicuratore del
danneggiante costituirebbe per lo stesso un diritto patrimoniale disponibile e, in quanto tale,
esercitabile da chi al danneggiato succeda a titolo particolare, in virtù di un rapporto negoziale

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(GIANNINI, MARTINI, RODOLFI, 157). L’art. 127, 2° co., c. ass. priv., nel momento in cui afferma che
l’assicuratore è tenuto nei confronti dei terzi danneggiati, non individuerebbe una mera situazione di
diritto processuale ma una situazione di diritto sostanziale, nel cui ambito l’assicuratore del
danneggiante assumerebbe la veste di un obbligato di diritto sostanziale nei confronti diretti del
danneggiato.

Deve ritenersi definitivamente superato quell’indirizzo secondo il quale il legislatore avrebbe accolto,
pur se eccezionalmente, una nozione più ristretta di danneggiato, nel senso di persona solo
direttamente e, quindi, fisicamente, coinvolta in modo pregiudizievole nell’incidente stradale, nei casi
previsti dall’art. 19, l. ass. obbl. oggi confluito nell’art. art. 283, c. ass. priv. (cfr. par. 3, infra),
ove, al fine di contenere la garanzia ex lege, la l. ass. obbl. all’art. 21 con la dizione «per ogni persona
sinistrata» avrebbe inteso riferirsi al «soggetto individuo» che nel sinistro abbia subito danni alla
persona, e non anche a qualsiasi altro soggetto il quale, dall’altrui danno alla persona, abbia risentito
effetti patrimoniali negativi (C. civ., Sez. III, 4.4.2001, n. 4966; C. civ., Sez. III, 21.10.1991, n.
11099). Qualora, ad esempio, il danno abbia colpito un soggetto minorenne, il ristoro dell’invalidità
permanente riportata da quest’ultimo ed il rimborso delle spese mediche sopportate dall’esercente la
potestà genitoriale devono essere considerati unitariamente, quali riparazioni attinenti alla posizione
di una sola persona danneggiata (C. civ., Sez. III, 22.2.1988, n. 1831).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute per comporre il contrasto con altro
indirizzo giurisprudenziale, orientato nel senso che per “danneggiato” debba intendersi non solo la
vittima diretta del sinistro, ma ogni altro soggetto che abbia subito da esso un danno riflesso, quindi
anche le vittime secondarie. Conseguentemente, quando esse agiscano iure proprio e non iure
hereditario, il massimale deve essere conteggiato non cumulativamente per tutte, pur essendo solo
uno la vittima primaria, ma per ogni persona danneggiata (salvo il “massimale catastrofale”). (C. civ.,
Sez. III, 9.2.2005, n. 2653). Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte che si
sono espresso nel senso da ultimo riportato (C. civ., S.U., 1.7.2009, n. 15376; C. civ., Sez. III,
28.9.2012, n. 16520).

La questione, comunque, è rilevante solo per sinistri anteriori al D.P.R. 19.1.1933 e si deve
considerare superata, anche giusto il combinato degli artt. 283, 3° e 4° comma e 128, c. ass. priv.

3. La legittimazione passiva
Legittimata passiva, infatti, non è, sempre e solo, l’impresa assicuratrice del danneggiante, ma vi sono
una serie di ipotesi un cui l’azione diretta deve essere proposta contro l’impresa designata per il
territorio in cui il sinistro è avvenuto - quale mandataria del Fondo di garanzia per le vittime della
strada -, la cui disciplina si rinviene agli artt. 283 ss. c. ass. priv.

Rispetto all’art. 19, L. 24.12.1969, n. 990, il Legislatore del 2005 ha introdotto un ulteriore caso in
cui l’azione deve essere promossa contro il Fondo di Garanzia. Ci si riferisce alla circolazione del
veicolo prohibente domino.

Anteriormente alla riforma delle assicurazioni private l’azione era esperibile contro l’assicuratrice del
danneggiante, anche quando la circolazione del veicolo fosse avvenuta contro la volontà del
proprietario (C. civ., Sez. III, 21.5.1991, n. 5698; C. civ., Sez. III, 21.1.1987, n. 532; T. Bari, Sez. II,
9.11.2005).

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Codice della
responsabilità civile
commentato

Con l’introduzione del c. ass. priv. tale fattispecie è stata assimilata dall’art. 283, 1° co., lett. d
all’ipotesi di veicolo privo di assicurazione, cosicché, ancora una volta, il risarcimento dovrà essere
chiesto al Fondo di Garanzia Vittime della Strada. Secondo la dottrina, questo è possibile solo a
condizione che il proprietario abbia denunziato il fatto all’Autorità di pubblica sicurezza. Tale
interpretazione si fonda sul combinato degli artt. 122 e 283, c. ass. priv., nonché sulla sussidiarietà
della legittimazione passiva del Fondo di Garanzia (CRISCUOLO, La R.C. Auto dopo la riforma delle
Assicurazioni, Napoli, 2006, 11) (per una panoramica dottrinale in materia sia consentito rimandare
al commento sub art. 122, I soggetti beneficiari della garanzia assicurativa e il titolare dell’interesse
assicurato).

Ciò è il portato del carattere innovativo che l’art. 122, c. ass. priv. presenta rispetto alla formulazione
della norma corrispondente nel precedente sistema, cioè l’art. 1, L. n. 990/1969.

4. Le limitazioni all’azione diretta


L’art. 144, c. ass. priv., prevede che l’azione diretta sia concessa esclusivamente nel caso in cui
per il veicolo investitore vi sia l’obbligo di assicurazione (C. civ., Sez. III, 13.3.1996, n. 2056).
Tale principio vale anche per l’esperibilità dell’azione diretta nelle ipotesi di intervento del Fondo di
Garanzia per le vittime della strada, previste dall’art. 283, c. ass. priv. (C. civ., Sez. III, 26.8.1997, n.
7999; C. civ., Sez. III, 29.11.1995, n. 12395; C. civ., Sez. III, 25.7.1990, n. 7510; T. Roma,
20.3.1997).

È stata, ad esempio, esclusa l’esperibilità dell’azione diretta in riferimento ad un danno cagionato


dalla metropolitana, veicolo con guida di rotaie (T. Roma, 20.3.1997).

Ancora, i soggetti che abbiano subito un danno da un ciclomotore o da una macchina agricola
anteriormente al 1.10.1993, data in cui è divenuta per detti mezzi obbligatoria l’assicurazione per la
r.c.a., non possono servirsi dell’azione diretta. È, quindi, onere dell’attore provare che il veicolo
responsabile del sinistro rientri tra quelli soggetti all’assicurazione obbligatoria, a meno che tale
circostanza risulti implicitamente ammessa dall’assicuratore convenuto (C. civ., Sez. III, 27.11.2001,
n. 15030; C. civ., Sez. III, 21.4.1997, n. 3426; C. civ., Sez. III, 10.5.1996, n. 4434; C. civ., Sez. III,
27.12.1991, n. 13925; T. Roma, 2.4.1997).

Recentemente, la Suprema Corte ha però ammesso ai benefici dell’assicurazione obbligatoria anche


il danneggiato da sinistro stradale causato dalla circolazione di un ciclomotore per il quale,
anteriormente al 1.10.1993, era stata stipulata assicurazione volontaria (C. civ., Sez. III, 17.7.2002,
n. 10388, contra C. civ., Sez. III, 26.11.2003, n. 18053).

Il giudice di primo grado ha ritenuto che la vittima potesse esperire l’azione diretta. Secondo la
Cassazione questa pronuncia, emessa secondo equità dal giudice conciliatore, è immune da censure,
in quanto fondata sull’esigenza di evitare che il danneggiato resti esposto al rischio di non ottenere il
risarcimento e su quello che il responsabile civile, sebbene abbia concluso un contratto di
assicurazione, si trovi in concreto a non essere garantito (GALLONE, PETTI, Trattato
dell’assicurazione obbligatoria per la R.C.A., Torino, 2004).

Mentre nella circolazione dei veicoli a motore l’assicurazione obbligatoria copre la responsabilità
prevista dall’art. 2054 c.c. per i danni prodotti sia alle cose che alle persone, l’art. 123, c. ass.

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Codice della
responsabilità civile
commentato

priv., accorda tutela, nella navigazione dei natanti, esclusivamente per i danni subiti alle persone.
Di conseguenza, la vittima che abbia riportato danni alle cose, non essendo questi coperti
dall’assicurazione obbligatoria, non potrà agire ex art. 122, c. ass. priv. nei confronti dell’istituto
assicuratore del responsabile civile, né nei confronti del Fondo per le vittime della strada (C. civ.,
Sez. III, 18.6.2002, n. 8816; C. civ., Sez. III, 28.11.1994, n. 10156; T. Napoli, 25.3.2000).

Costante giurisprudenza ritiene, poi, che l’azione diretta sia proponibile soltanto nei confronti di
un’impresa assicuratrice autorizzata (C. civ., Sez. III, 30.6.1998, n. 6405; C. civ., Sez. III,
18.11.1997, n. 11444; C. civ., Sez. III, 12.1.1991, n. 255). Il sinistro cagionato da un veicolo coperto
da assicurazione stipulata con impresa non autorizzata deve, infatti, equipararsi ad un sinistro
cagionato da un mezzo sprovvisto di copertura. Di conseguenza, l’attore potrà agire, ex art. 144, nei
confronti dell’impresa designata a norma dell’art. 286, c. ass. priv.

Il danneggiato non può, inoltre, esperire l’azione diretta, se il sinistro sia avvenuto in un’area
privata non aperta al pubblico transito (C. civ., Sez. III, 21.4.1997, n. 3426; C. civ., Sez. III,
27.12.1991, n. 13925; T. Roma, 2.4.1997). E ciò, si badi bene, anche qualora il contratto assicurativo
preveda una clausola espressa di copertura anche per i sinistri verificatisi in aree private. Infatti, una
simile previsione pattizia non può che spiegare i suoi effetti esclusivamente tra assicurato e
assicuratore: solo questi sono legittimati a richiedere l’adempimento delle rispettive obbligazioni, a
norma dell’art. 1372 c.c. (C. civ., Sez. III, 15.4.1996, n. 3538; C. civ., Sez. III, 12.8.1995, n. 8846; C.
civ., Sez. III, 27.12.1991, n. 13925).

L’azione diretta è, invece, esperibile quando i veicoli siano in circolazione su un’area equiparabile ad
un area di uso pubblico, requisito che sussiste quando un’area, sebbene di proprietà privata, sia aperta
ad un numero indeterminato di persone (C. civ., Sez. III, 29.4.2004, n. 9003; A. Catania, Sez. II,
15.2.2006).

Secondo la giurisprudenza non rileva però il luogo ove si è verificato l’incidente ed il conseguente
danno, bensì la natura giuridica dell’«ambiente» ove è avvenuta la circolazione del veicolo che
ha causato il sinistro e prodotto il danno, potendosi il danno cagionato su area privata ricondurre
causalmente alla circolazione su strada pubblica (C. civ., Sez. III, 24.3.1999, n. 2791; C. civ., Sez.
III, 15.4.1996, n. 3538). È, pertanto, esperibile l’azione diretta relativamente ad un sinistro cagionato
dalla circolazione di un veicolo in un’area pubblica, anche se il conseguente danno si sia verificato in
area privata.

L’uso pubblico consiste nella concreta destinazione al transito abituale di veicoli e di pedoni che si
servono dell’area per passarvi uti cives e non uti singuli (C. civ., Sez. III, 15.4.1996, n. 3538).

È stata, ad esempio, esclusa (ma vedi infra, C. civ., Sez. III, 28.6.2018, n. 17017) dalla
giurisprudenza l’operatività della garanzia assicurativa per il sinistro avvenuto nella rampa di
accesso di un garage (C. civ., Sez. III, 3.4.2013, n. 8090), nel parcheggio interno di un aeroporto
riservato agli aeromobili ed agli altri veicoli di servizio (C. civ., Sez. III, 29.4.2004, n. 9003) in un
capannone industriale (T. Milano, 26.1.1995), nel cortile di una scuola (C. civ., Sez. III, 19.7.2000,
n. 9496), in una caserma (C. civ., Sez. III, 13.2.1998, n. 1561; A. Milano, 16.12.1988; P. Eboli,
11.12.1989), in un’autofficina (C. civ., Sez. III, 9.2.1998, n. 1321), in un cortile condominiale in
cui è permesso l’accesso ai soli veicoli di coloro che abitano negli edifici latistanti (C. civ., Sez. III,
21.4.1997, n. 3426; C. civ., Sez. III, 27.12.1991, n. 13925; T. Nocera Inferiore, 5.8.1998).

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Codice della
responsabilità civile
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È stata, invece, affermata l’esperibilità dell’azione diretta nell’ipotesi di incidente verificatosi in un


cantiere, area sì privata, ma il cui accesso è aperto ad un numero indeterminato di soggetti (C. civ.,
Sez. III, 27.10.2005, n. 20911).

L’art. 3, 2° co., lett. a) del D.M. 1.4.2008, n. 86 che equipara alle strade pubbliche «tutte le aree di
proprietà pubblica e privata aperte alla circolazione al pubblico» ha per così dire “codificato” la
giurisprudenza formatasi prima della sua emanazione che ha avuto il compito di delineare i concetti
di “circolazione” e “aree equiparate alle strade pubbliche”. Si veda, oggi, C. civ., Sez. III, 28.6.2018,
n. 17017, quando afferma che l'azione diretta nei confronti dell'assicuratore del responsabile spetta al
danneggiato quando il sinistro sia avvenuto in un'area che, sebbene privata, possa equipararsi alla
strada di uso pubblico, in quanto aperta ad un numero indeterminato di persone, che vi hanno accesso
giuridicamente lecito, pur se appartenenti ad una o più categorie specifiche e pur se l'accesso
avvenga per finalità peculiari e in particolari condizioni: il principio è stato affermato in
fattispecie relativa ad un cantiere, cui potevano accedere coloro che vi lavoravano e chi aveva
rapporti commerciali con l'impresa.

Sul punto sia consentito rimandare anche al commento dell’art. 122 I soggetti beneficiari della
garanzia assicurativa e il titolare dell’interesse assicurato.

5. L’alternativa all’azione diretta: l’azione aquiliana ex art. 2054 c.c.


Cumulabilità della stessa all’azione diretta e solidarietà
L’esclusione dell’azione diretta non preclude, però, alla vittima l’esercizio del diritto di agire in
giudizio «per la tutela dei propri diritti», garantito dall’art. 24 Cost. Il danneggiato può, infatti, agire
ex art. 2054 c.c. nei confronti del conducente e/o del proprietario del veicolo investitore, soggetti
legati tra loro da un vincolo di solidarietà passiva (C. civ., Sez. III, 28.5.2007, n. 12376; C. civ., Sez.
III, 5.12.2003, n. 18644; C. civ., Sez. III, 18.5.2001, n. 6824; C. civ., Sez. III, 24.4.2001, n. 6026; C.
civ., Sez. III, 10.8.1990, n. 8123).

Il legislatore del 1969 e successivamente quello del 2005 non hanno abrogato, né in modo espresso
né implicitamente, il dettato della norma codicistica (ANTINOZZI, L’azione per il risarcimento dei
danni causati dalla circolazione dei veicoli soggetti all’obbligo di assicurazione, in GI, 1972, I, 2,
490; LA TORRE, Azione diretta e assicurazione, in A, 1971, I, 526). Normalmente, la vittima è,
pertanto, titolare di due distinte azioni, entrambe di natura extracontrattuale, nascenti dal fatto
illecito di circolazione (BONVICINI, La responsabilità civile, Milano, 1973, 873).

Il principio è il medesimo che consente, nell’ipotesi in cui non sussista una valida o efficace polizza
RCA e tuttavia l’affidamento sulla sua sussistenza sia stato ingenerato dal rilascio di un certificato o
di un contrassegno assicurativo, al danneggiato di scegliere se esperire l’azione diretta, ex art. 18,
L. n. 990/1969 (ora art. 144, D.Lgs. n. 209/2005), nei confronti dell’assicuratore del responsabile,
facendo valere la situazione di apparenza indotta dal rilascio del certificato o del contrassegno,
oppure l’azione risarcitoria, ex art. 19, L. n. 990/1969 (ora art. 283, D.Lgs. n. 209/2005), nei
confronti dell’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, facendo valere
la situazione reale in ordine alla mancanza di copertura assicurativa (C. civ., Sez. III, 13.10.2017, n.
24069).

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Codice della
responsabilità civile
commentato

Il danneggiato può agire ex art. 2054 c.c. anche nelle ipotesi in cui non gli è preclusa l’azione diretta.
Peraltro, l’aver agito, sulla base della norma citata contro il responsabile civile, non impedisce alla
vittima del sinistro di esperire successivamente l’azione diretta verso l’assicurazione del primo (C.
civ., Sez. III, 28.5.2007, n. 12376).

Ove il danneggiato si avvalga dell’azione di cui all’art. 2054 c.c. nei confronti del responsabile civile,
senza citare l’assicuratore, questi non è litisconsorte necessario (C. civ., Sez. III, 14.6.2007, n. 13955).

Una parte minoritaria della dottrina esclude il cumulo tra le due azioni, delineando l’esistenza di un
concorso, regolato in modo tale che non il soddisfacimento del creditore, ma l’accoglimento di
un’azione estingue il diritto concorrente, realizzandosi, in tal modo, un concorso effettivo proprio e
non alternativo di diritti e, quindi, di azioni (BELLUSSI, Alcune riflessioni sugli articoli 18 e 23 della
legge 24 dicembre 1969, 990, in RGCir, 1977, 214; GENTILE, Assicurazione obbligatoria R.C. per
autoveicoli e natanti, Milano, 1971, 19; VOCINO, Incognite processuali della legge 24 dicembre 1969,
n. 990, in DPA, 1971, 205).

A ben vedere, però, l’esperimento dell’azione diretta contro l’assicuratore non impedisce al
danneggiato di poter agire cumulativamente anche contro il danneggiante, e ciò, si badi bene,
non soltanto in via sussidiaria nel caso di incapienza del massimale; d’altro canto, Trib. Treviso Sez.
I, 4.6.2015 precisa come, in caso di sinistri stradali, a fronte di un’azione avente ad oggetto un
risarcimento diretto, il responsabile civile possa essere ritenuto, quanto meno, un litisconsorte
facoltativo e ciò sia a mente dell’art. 144 del Codice delle Assicurazioni private (D.Lgs. n. 209 del
2005), sia dell’art. 2054 c.c.

Le due diverse azioni sono cumulabili dal punto di vista processuale, poiché le obbligazioni
sostanziali facenti capo a soggetti diversi (l’assicuratore e il responsabile del danno) sono tra loro
solidali (C. civ., Sez. I, 29.3.2000, n. 3785; C. civ., Sez. I, 10.8.1990, n. 8123; C. civ., Sez. III,
3.5.1990, n. 3634). Il debito indennitario ex lege del primo ed il debito aquiliano del secondo sono
legati, per l’intero ammontare del massimale, da un vincolo di solidarietà (C. civ., Sez. III,
5.12.2003, n. 18644; C. civ., Sez. III, 16.10.2001, n. 12612; C. civ., Sez. III, 18.5.2001, n. 6824), con
la conseguenza che come sul piano sostanziale deve riconoscersi effetto liberatorio al pagamento
effettuato da uno dei condebitori, così sul piano processuale deve riconoscersi la proponibilità
cumulativa delle due azioni (C. civ., Sez. III, 18.5.2001, n. 6824; C. civ., Sez. III, 1.6.1995, n. 6128;
C. civ., Sez. III, 28.11.1988, n. 6402).

Tra l’assicuratore e l’assicurato esiste, quindi, un rapporto di solidarietà c.d. atipica, visto che
il debito del primo deriva ex lege e trova limite nel massimale, mentre quello del secondo discende
ex delicto ed è illimitato (C. civ., Sez. III, 3.6.2002, n. 7993; C. civ., Sez. III, 4.10.1996, n. 8717). La
solidarietà è, peraltro, ad interesse unisoggettivo, e gli atti di costituzione in mora contro uno dei
debitori in solido hanno effetto anche riguardo all’altro debitore, ai sensi dell’art. 1310, 1° co., c.c.
(C. civ., Sez. III, 3.6.2002, n. 7993; C. civ., Sez. III, 18.5.2001, n. 6824; C. civ., Sez. III, 2.8.2000, n.
10115); si pensi anche, in argomento, a come, in tema di responsabilità derivante dalla circolazione
dei veicoli, l’impugnazione proposta dall’assicuratore in relazione alla misura del concorso di colpa
della vittima giovi anche al conducente non proprietario che non abbia, a sua volta, proposto analogo
gravame, in quanto tale soggetto riveste, ai sensi dell’art. 1904 c.c., la qualità di “assicurato”
unitamente al proprietario ed alle altre persone indicate dall’art. 2054, co. 3, c.c., sicché la sussistenza

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Codice della
responsabilità civile
commentato

e la misura della sua responsabilità costituiscono presupposto e limite di quella dell’assicuratore verso
il terzo danneggiato (C. civ. Sez. VI - 3 Ordinanza, n. 20766/15).

Per quanto attiene al rapporto di solidarietà, occorre precisare come non sia condizione tipica ed
essenziale delle obbligazioni solidali, avere la propria fonte nello stesso titolo. I nessi intercorrenti tra
il debito aquiliano del responsabile del danno e l’obbligazione indennitaria ex lege dell’assicuratore
presentano evidenti analogie strutturali con quelli, ad esempio, esistenti tra l’obbligazione del
fideiussore e il debito principale.

Discusso invece è il rapporto che intercorre tra il responsabile del danno ed il Fondo di garanzia
per le vittime della strada.

Secondo una parte della giurisprudenza, tra questi soggetti non sussisterebbe un rapporto di
solidarietà in quanto l’obbligazione del Fondo, avente natura risarcitoria e non indennitaria, sarebbe
sostitutiva di quella del responsabile (C. civ., Sez. III, 28.2.2002, n. 2963; C. civ., Sez. III, 11.1.2002,
n. 320; C. civ., Sez. III, 25.9.2000, n. 12671).

Secondo altro orientamento, l’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada
assumerebbe la stessa posizione giuridica del comune assicuratore, con relativi diritti e obblighi:
sussisterebbe, pertanto, un vincolo di solidarietà, ancorché atipico, anche tra il Fondo ed il
responsabile civile (C. civ., 6.11.2002, n. 15562; C. civ., 5.7.1989, n. 3207; T. Genova, 2.5.2001).

6. Differenze fra l’azione diretta e l’azione aquiliana: onere probatorio


sull’esistenza del contratto
Allorché si richiede la condanna in solido del responsabile del danno e del suo assicuratore per la
r.c.a., si propongono cumulativamente due diverse azioni: una è quella per responsabilità aquiliana
ex art. 2054 c.c., l’altra è quella prevista dall’art. 144, c. ass. priv., ovverosia l’azione diretta (C. civ.,
Sez. III, 28.2.2002, n. 2963; C. civ., Sez. I, 29.3.2000, n. 3785; C. civ., Sez. III, 12.2.1998, n. 1471).
Le due domande si trovano in un rapporto di connessione e di reciproca dipendenza: la controversia
si svolge in maniera unitaria tra i tre protagonisti del rapporto processuale (assicurato, assicuratore e
responsabile civile) e abbraccia inscindibilmente sia il rapporto di danno originato dall’illecito
dell’assicurato, sia il rapporto assicurativo (C. civ., Sez. III, 12.1.1999, n. 255; C. civ., Sez. III,
27.10.1998, n. 10693).

La domanda diretta al risarcimento del danno ex art. 144, c. ass. priv., è, comunque, diversa,
per natura, presupposti e caratteristiche, da quella che compete ex art. 2054 c.c.: sebbene anche
nell’azione diretta si debba accertare l’ingiustizia del danno sofferto dall’istante, cioè la colpa del
conducente del veicolo, elemento costitutivo di questa azione è l’esistenza e l’operatività del
contratto assicurativo. Inoltre, non bisogna dimenticare che il petitum deve essere contenuto entro
i limiti delle somme per le quali è stata stipulata l’assicurazione: il c.d. massimale. Ciò, data la natura
contrattuale riconosciuta all’azione diretta (CRISCUOLO, 80).

Relativamente all’esistenza e operatività del contratto, il danneggiato, a fronte dell’eventuale


eccezione, da parte della compagnia assicurativa, di mancanza della copertura all’epoca del
sinistro, ha l’onere di provare, anche a mezzo di prove testimoniali o indiziarie, quali le indicazioni
contenute nei verbali di polizia, che il danno lamentato si sia, invece, verificato nel periodo di

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Codice della
responsabilità civile
commentato

copertura indicato nel contrassegno esposto sul veicolo investitore, tenuto anche conto del periodo
di 15 giorni previsto dall’art. 1901, 2° co., c.c. (C. civ., Sez. III, 24.3.2006, n. 6635; C. civ., Sez. III,
21.11.2001, n. 14734; C. civ., Sez. III, 5.6.2001, n. 7588; C. civ., Sez. III, 24.4.2001, n. 6026; C. civ.,
Sez. III, 18.5.1999, n. 4803). Il rilascio del certificato assicurativo in data anteriore alla
verificazione dell’evento impegna inderogabilmente l’assicuratore nei confronti del terzo
danneggiato per il periodo di assicurazione riportato nel certificato stesso, indipendentemente
dal fatto che, per tale periodo, sia stato o meno pagato il relativo premio (C. civ., Sez. III,
1.7.2002, n. 9554; C. civ., Sez. III, 24.4.2001, n. 6026).

La vittima non ha, invece, l’onere di provare che il veicolo circolasse munito di contrassegno valido
al momento del sinistro, discendendo l’obbligo risarcitorio dall’effettiva esistenza del contratto (C.
civ., Sez. III, 23.2.1998, n. 1944).

7. (Segue) Petitum e limite del massimale


Per quanto invece attiene al petitum, occorre ricordare che il debito aquiliano dell’assicurato
discende ex delicto ed è illimitato, dando luogo ad un debito di valore, mentre quello
dell’assicuratore deriva ex lege e trova limite nella capienza del massimale, costituendo un debito
di valuta (C. civ., Sez. III, 10.6.2013, n. 14537; C. civ., Sez. III, 22.7.2005, n. 15391; C. civ., Sez.
III, 3.6.2002, n. 7993; A. Catania, Sez. II, 15.2.2006).

L’obbligazione risarcitoria dell’impresa è, quindi, normalmente contenuta nei limiti delle somme per
le quali è stata stipulata l’assicurazione.

Riguardo alla natura dell’eccezione della soglia del massimale, in dottrina si rileva come essa sia
prevalentemente qualificata come eccezione in senso stretto.

Sul punto non vi è uniformità in giurisprudenza, registrandosi pronunce che sposano tale
l’orientamento (C. civ., sez. III, 14.06.2006, n. 13754) e altre (che paiono rappresentare l’indirizzo
maggioritario) che se ne discostano, qualificandola come eccezione in senso lato. Una decisione della
Suprema Corte, in una controversia riguardante, appunto, la natura dell’eccezione del limite del
massimale e la sua tempestività, ha rilevato che le eccezioni in senso lato relative a diritti sostanziali
devono, comunque, essere state tempestivamente allegate nei termini processuali entro i quali nel
giudizio di primo grado si cristallizzano il thema probandum e decidendum (C. civ., sez. III,
22.6.2007, n. 14581). Una recente pronuncia non relativa a ipotesi di assicurazione per la R.c.a.,
ritenendo la deduzione del limite del massimale come mera allegazione giudica che non soggiace
«alle preclusioni connesse alla precisazione del thema decidendum» e neppure all’art. 346 c.p.c. (C.
civ., Sez. III, 17.5.2011, n. 10811).

Passando al regime dell’onere probatorio della soglia del massimale, incombe sull’assicuratore
provarne documentalmente, ex art. 1888 c.c., il limite convenzionalmente stabilito all’epoca della
conclusione del contratto di assicurazione, mediante la produzione della polizza (C. civ., Sez. III,
31.7.2006, n. 17459; C. civ., Sez. III, 5.12.2003, n. 18656; C. civ., Sez. III, 26.3.2003, n. 4485; C.
civ., Sez. III, 1.3.2001, n. 2991; C. civ., Sez. III, 29.9.1999, n. 10765; C. civ., Sez. III, 8.5.1998, n.
4677 contra C. civ., Sez. III, 17.5.2011, n. 10811, ma in fattispecie non attinente alla R.c.a.) o di altra
documentazione dalla quale evincere il contenuto del contratto (C. civ., Sez. III, 28.9.2012, n. 16541).

13
Codice della
responsabilità civile
commentato

Nelle fattispecie disciplinate dall’art. 283, c. ass. priv., il massimale nasce, per volontà di legge,
limitato (C. civ., 29.9.1999, n. 10765). Di conseguenza, in siffatta ipotesi, il limite del massimale,
non rappresentando un mero elemento impeditivo od estintivo, ma valendo a configurare e a
delimitare normativamente il diritto del danneggiato, deve presumersi noto al giudice, in base al
principio iura novit curia (C. civ., Sez. III, 23.2.2006, n. 4016; C. civ., Sez. III, 17.9.2005, n. 18440;
C. civ., Sez. III, 26.3.2003, n. 4485; C. civ., Sez. III, 1.3.2001, n. 2991; C. civ., Sez. III, 8.5.1998, n.
4677), gravando, però, sul danneggiato l’onere di provare la classe della vettura (C. civ., Sez. III,
1.10.2009, n. 21057).

Secondo altro orientamento, poiché il decreto che aggiorna gli importi dei massimali minimi di legge
integra un provvedimento formalmente e sostanzialmente amministrativo, e non un atto normativo,
sarà onere dell’impresa cessionaria o del Commissario Liquidatore produrre in giudizio il massimale
di polizza vigente all’epoca del sinistro (C. civ., Sez. III, 22.9.2000, n. 12525; C. civ., Sez. III,
29.9.1999, n. 10765; C. civ., Sez. III, 5.7.1999, n. 6933); qualora, il limite del massimale venga
eccepito dall’impresa designata intervenuta o chiamata in causa a seguito della sopravvenuta
liquidazione coatta amministrativa dell’impresa assicuratrice, allora opererà il principio iura novit
curia (C. civ., Sez. III, 8.5.1998, n. 4677).

Il problema attualmente pare superato, poiché la misura del massimale minimo è prevista dall’art.
128 c. ass. priv.

Il limite del massimale non è, comunque, invalicabile. Infatti, nell’ipotesi di colpevole ritardo
nell’adempimento sorge, sia a carico dell’assicuratore che del Fondo di garanzia per le vittime della
strada, una distinta ed ulteriore obbligazione produttiva di interessi moratori, con decorrenza
dalla data di costituzione in mora dell’assicuratore, coincidente con la scadenza dello spatium
deliberandi di cui all’art. 145, c. ass. priv. (C. civ., Sez. III, 24.1.2006, n. 1315; C. civ., Sez. III,
15.1.2003, n. 477; C. civ., Sez. III, 14.10.1997, n. 10026; C. civ., Sez. III, 20.8.1990, n. 8487).

Questa obbligazione rileva nel momento in cui sia divenuto liquido ed esigibile il debito
dell’assicurato nei confronti del danneggiato (C. civ., Sez. III, 23.2.2001, n. 2691; C. civ., Sez. III,
22.12.1998, n. 12780; C. civ., Sez. III, 2.12.1998, n. 12239).

Secondo la dottrina dominante e la costante giurisprudenza della Suprema Corte, il ritardo colpevole
nel pagamento da parte della società assicuratrice, c.d. mala gestio contrattuale, concreta un
autonomo fatto lesivo che fa sorgere un’obbligazione di natura accessoria, ulteriore ed
autonoma rispetto a quella prevista dall’art. 144, c. ass. priv., avente propria causa e proprio
oggetto (C. civ., Sez. III, 22.7.2005, n. 15391; C. civ., Sez. III, 13.12.2002, n. 17831; C. civ., Sez.
III, 27.2.2002, n. 2910; C. civ., Sez. III, 8.5.1998, n. 4677). L’obbligazione accessoria, a differenza
della prima, non incontra il limite del massimale ed ha come contenuto il pagamento degli interessi
di mora e del maggior danno, secondo la disciplina dell’art. 1224 c.c. (C. civ., Sez. III, 15.1.2003, n.
477; C. civ., Sez. III, 1.6.2001, n. 7437; C. civ., Sez. III, 18.5.2001, n. 6824). L’impresa può sottrarsi
dalla responsabilità per il ritardo, solo dimostrando che lo stesso è dipeso da causa a lei non imputabile
(C. civ., Sez. III, 18.5.2001, n. 6820; C. civ., Sez. III, 18.5.1999, n. 4801; C. civ., Sez. III, 12.10.1998,
n. 10090).

14
Codice della
responsabilità civile
commentato

Anche il danneggiato può eccepire il ritardo colpevole dell’assicuratore nel risarcire il danno:
c.d. mala gestio impropria, al fine di ottenere una somma superiore al limite del massimale (SANNA,
Risarcimento ultramassimale ed interpretazione della domanda giudiziale, in DR, 2002, 273).

Un orientamento dei giudici di legittimità ha addirittura ritenuto che il ritardo colpevole costituisca
un vero e proprio fatto illecito (C. civ., Sez. III, 6.7.2001, n. 9208; C. civ., Sez. III, 9.1.1998, n. 133).

Secondo un orientamento giurisprudenziale presupposto dell’accoglimento della domanda di


mala gestio sarebbe l’esistenza di una specifica e tempestiva richiesta del danneggiato o
dell’assicurato (C. civ., Sez. III, 30.1.2006, n. 1873; C. civ., Sez. III, 10.6.2005, n. 12311; C. civ.,
Sez. III, 18.5.2001, n. 6824; C. civ., Sez. III, 8.1.1999, n. 103; C. civ., Sez. III, 8.5.1998, n. 4677;
contra C. civ., Sez. III, 21.12.2004, n. 23697).

Qualora, invece, la vittima chieda, in primo grado, il risarcimento di tutti i danni derivati dal sinistro,
tale locuzione non potrebbe comprendere quelli conseguenti al colpevole ritardo dell’assicuratore,
fatto costitutivo diverso rispetto all’illecito del danneggiante (C. civ., Sez. III, 9.1.1998, n. 133; C.
civ., Sez. III, 24.2.1997, n. 1688). Secondo la Suprema Corte, una richiesta oltre il limite del
massimale è, infatti, nuova rispetto a quella posta nei suoi limiti, e soggiace alle relative preclusioni
processuali in primo ed in secondo grado (C. civ., Sez. III, 18.5.2001, n. 6824; C. civ., Sez. III,
24.2.1997, n. 1688; C. civ., Sez. III, 28.5.1996, n. 4910). Se proposta per la prima volta in appello è,
pertanto, inammissibile, e l’inammissibilità è rilevabile d’ufficio e non è sanata dall’acquiescenza
delle parti o dall’accettazione espressa del contraddittorio (C. civ., Sez. III, 17.1.2001, n. 585; C. civ.,
Sez. III, 8.5.1998, n. 4677). In tal caso, il giudice non può, dunque, pronunciare condanna oltre i limiti
del massimale (C. civ., Sez. III, 22.1.1999, n. 592; C. civ., Sez. III, 9.1.1998, n. 133; C. civ., Sez. III,
6.6.1997, n. 5076).

Altro indirizzo rappresentato dalla giurisprudenza più recente ritiene, invece, che il danneggiato che
invochi la mala gestio impropria non è tenuto a formulare un’esplicita domanda in tal senso, poiché
ricompresa nella richiesta di condannare l’assicuratore «all’integrale risarcimento del danno», mentre
l’assicurato, per poter ottenere la condanna di quest’ultimo oltre il massimale per mala gestio propria,
deve richiederla espressamente (C. civ., Sez. III, 28.6.2010, n. 15397).

Un’ulteriore ipotesi di responsabilità ultramassimale, dovuta alla negligenza dell’impresa


assicuratrice, si argomenta dall’art. 140, 2° co., c. ass. priv. e ricorre nel caso in cui, in presenza di
più soggetti danneggiati dal medesimo incidente, l’impresa non abbia provveduto a ricercarli ed
individuarli con l’ordinaria diligenza (C. civ., Sez. III, 2.12.1993, n. 11925).

8. Il regime delle eccezioni ed il diritto di rivalsa dell’assicuratore


Il tenore dell’art. 144, 2° co. - che vieta all’impresa assicuratrice di opporre al danneggiato eccezioni
derivanti dal contratto o clausole che prevedano l’eventuale contributo dell’assicurato - si fonda sulle
esigenze sociali sottese all’assicurazione obbligatoria, che altrimenti verrebbero facilmente eluse.

Sono, perciò, inopponibili la clausole che limitano la risarcibilità in caso di guida in stato di ebbrezza
- fermo restando il diritto di rivalsa dell’assicuratore verso l’assicurato (T. Gallarate, 16.9.2005) -, o
relative alla targa in prova, nonché le clausole di franchigia. Non può neppure essere eccepita la guida

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Codice della
responsabilità civile
commentato

con foglio rosa (C. civ., Sez. III, 7.10.2005, n. 19657). Sono, altresì, prive di effetto le eccezioni
relative all’annullabilità del contratto e alla mancata denuncia del vizio del veicolo.

Possono, invece, essere opposte le eccezioni di inesistenza e nullità del contratto, di inesistenza del
rischio, di mancato pagamento dei premi successivi al primo (art. 127, 2° co., c. ass. priv.); così, per
esempio, la Suprema Corte ha ritenuto opponibile al danneggiato l’eccezione di nullità del contratto
di assicurazione, quando si faccia riferimento ad un incidente già verificatosi (C. civ., 17.10.1994, n.
8460); si veda, però, a tal proposito, la recentissima C. civ. Sez. III, 11.4.2016, n. 6974, secondo cui,
nel caso di sinistro stradale causato da veicolo, il possesso di un certificato assicurativo, ad esso
relativo, formalmente valido, ma rilasciato dopo il sinistro e fraudolentemente retrodatato,
costituisce circostanza non opponibile al terzo danneggiato quando la falsità provenga dall’agente per
il tramite del quale è stato stipulato il contratto, potendo, tuttavia, l’assicuratore - una volta adempiuta
la propria obbligazione nei confronti del terzo - agire in rivalsa nei confronti dell’intermediario
infedele e in via di regresso nei confronti dell’assicurato. Le ragioni dell’assicuratore, nonostante la
generale inopponibilità al danneggiato delle eccezioni derivanti dal contratto, non restano sfornite di
tutela, poiché la seconda parte dell’art. 144, 2° co. prevede il diritto di rivalsa verso l’assicurato.

L’azione di rivalsa trova applicazione anche quando l’impresa assicuratrice abbia provveduto a
risarcire il danno in base alla semplice richiesta del danneggiato, senza il previo accertamento della
responsabilità dell’assicurato. Quest’ultimo, qualora non abbia acconsentito al pagamento o
partecipato alla transazione, potrà opporre tutte le eccezioni relative alla sua responsabilità e alla
misura del risarcimento (C. civ., Sez. III, 17.7.2003, n. 11065).

9. La proponibilità dell’azione diretta


Premesso che, nel caso in cui la vittima di un sinistro stradale proponga la domanda di risarcimento
nei confronti dell’assicuratore del responsabile dopo l’entrata in vigore del codice delle assicurazioni
(1° gennaio 2006) non è tenuto a reiterare la richiesta scritta di risarcimento con le nuove modalità
previste dagli artt. 145 e 148 del suddetto codice, se a tale adempimento abbia già provveduto nel
vigore dell’abrogata L. 24.12.1969, n. 990, con le modalità previste dall’art. 22 di tale legge (C. civ.
Sez. III, n. 9296/15), per quanto attiene alla proponibilità dell’azione diretta, occorre precisare che
l’art. 145, 1° co., c. ass. priv. ha sostituito l’art. 22, L. 24.12.1969, n. 990. Come in passato, la norma
subordina l’esercizio dell’azione del danneggiato, al decorso di un determinato lasso di tempo
dalla ricezione della r.a.r. con la quale viene richiesto il risarcimento del danno (MANDRIOLI,
Termine dilatorio per far valere un diritto in giudizio; condizioni dell’azione, presupposti processuali
ed altre categorie, in RDC, 1983, I, 14).

L’art. 145, 1° co., c. ass. priv. trova applicazione anche per i danni subiti dalle persone
trasportate e ciò sia che la responsabilità del danneggiante venga invocata a titolo
extracontrattuale, sia che venga fatta valere a titolo contrattuale (C. civ., 13.12.1982, n. 6847).

Il termine, a differenza di quanto previsto dall’articolo previgente, attualmente risulta duplice. Ove la
richiesta di risarcimenti riguardi i danni alle sole cose è di 60 giorni, nel caso investa anche i danni
alle persone è di 90 giorni, in adeguamento a quanto disposto dall’art. 145, c. ass. priv.

La norma ha così risolto il problema di coordinamento che aveva interessato l’art. 22, L. 24.12.1969,
n. 990 e l’art. 3, L. 26.2.1977, n. 39.

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Codice della
responsabilità civile
commentato

L’art. 294, 2° co., c. ass. priv., prevede un termine dilatorio di sei mesi nel caso di commissario
liquidatore.

I termini servono a garantire alla compagnia di assicurazione uno spatium deliberandi per
l’espletamento dei necessari accertamenti, e per valutare l’opportunità di pervenire ad un accordo con
il danneggiato. L’art. 145, persegue quindi la finalità di favorire un sollecito risarcimento in via
di composizione stragiudiziale, evitando spese improduttive di giudizio, che incidono
negativamente sulla gestione delle assicurazioni, e che gravano indirettamente sullo stesso assicurato,
con riflessi pregiudizievoli per l’intero settore del servizio assicurativo (C. civ., Sez. III, 22.3.2007,
n. 6960; C. Cost. 1.3.1973, n. 24).

Lo scopo è, pertanto, quello di limitare il gravoso contenzioso in materia e di prevenire


l’intempestiva litigiosità (STANGHELLINI, 210).

La disposizione citata fissa una condizione di proponibilità della domanda la cui sussistenza deve
essere accertata al momento dell’introduzione del giudizio, ed il cui adempimento si colloca in una
fase anteriore all’instaurazione del processo (C. civ., Sez. III, 8.1.1997, n. 59; C. civ., Sez. III,
14.4.1993, n. 4411). La fattispecie costituita dalla spedizione della raccomandata e dall’inutile
decorso del termine configura un presupposto processuale speciale, e non una condizione
dell’azione che possa verificarsi nel corso del giudizio (C. civ., 30.12.1981, n. 6782; C. civ.,
12.1.1981, n. 255). L’onere dell’invio della richiesta va, invece, osservato dalla vittima in corso di
giudizio, qualora il convenuto chiami terzi in causa e l’attore estenda la domanda risarcitoria nei loro
confronti (C. civ., Sez. III, 10.3.1994, n. 2313; C. civ., Sez. III, 13.10.1986, n. 5996; C. civ.,
27.10.1982, n. 5626).

L’inadempimento dell’onere della preventiva richiesta di danni all’assicuratore, nonché il mancato


decorso di 60/90 giorni dalla ricezione della missiva stessa, sono cause di improponibilità della
domanda risarcitoria, rilevabili d’ufficio, anche in appello, e in assenza di una specifica
contestazione al riguardo (C. civ., Sez. III, 21.2.2003, n. 2655; C. civ., Sez. III, 23.11.2000, n.
15138; C. civ., Sez. III, 9.12.1993, n. 12148; G.d.P. Catania, Sez. II, 13.1.2007). È stato affermato
dalla Suprema Corte come sia consentito proporre per la prima volta l’eccezione anche nel corso del
giudizio di cassazione (C. civ., Sez. III, 16.2.2001, n. 2336; C. civ., Sez. III, 8.1.1997, n. 59). In tal
caso il ricorso viene ad assumere la funzione di stimolare l’esercizio del potere-dovere del giudice di
rilevare d’ufficio la denunciata insussistenza di una condizione di proponibilità dell’azione spiegata
dall’altra parte.

Nel senso della rilevabilità dell’improcedibilità della domanda in Cassazione si pone anche la dottrina
(GRIFFEY, La responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, Milano,
1995).

Tutto ciò, ovviamente, salva la preclusione derivante dalla formazione del giudicato interno
implicito sul punto, in presenza di una non impugnata espressa pronuncia dei giudici di merito (C.
civ., Sez. III, 23.11.2000, n. 15138; C. civ., Sez. III, 10.5.1996, n. 4434; C. civ., Sez. III, 1.6.1991, n.
6164).

L’art. 145, 1° co. ha natura di norma processuale in quanto regola, condizionandolo ad un determinato
adempimento, l’accesso al processo, e la sua corretta applicazione deve essere valutata con

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Codice della
responsabilità civile
commentato

riferimento alle norme sostanziali alle quali si ricollega. La violazione di queste ultime si risolve,
infatti, in una violazione della regola processuale che ad esse rinvia, con la conseguenza che è
proponibile il ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Giudice di Pace che, pronunciando
secondo equità, violi la regola imposta dall’art. 145, 1° co. (C. civ., Sez. III, 25.6.2002, n. 9236).

Nel periodo dei 60/90 giorni si manifesta un temporaneo difetto di giurisdizione nel quale il giudice
deve astenersi dal prendere in esame la domanda eventualmente proposta, poiché il titolare della
pretesa è carente del potere di promuovere il relativo giudizio civile (C. civ., Sez. III, 22.7.1991, n.
8168).

Trattandosi di condizione di proponibilità che spiega ed esaurisce i propri effetti sul terreno
processuale, il suo difetto preclude e ritarda la tutela giurisdizionale senza determinare la prematura
e definitiva estinzione del diritto medesimo (C. civ., 7.12.1987, n. 5803).

La norma costituisce un principio di ordine generale applicabile a tutte le azioni risarcitorie, e,


quindi, anche all’azione contro il solo responsabile civile, ai sensi dell’art. 2054 c.c. (C. civ., Sez.
III, 8.6.2007, n. 13537; C. civ., Sez. III, 1.12.1998, n. 12190; C. civ., Sez. III, 8.1.1997, n. 59). Il testo
dell’art. 145, 1° co. fa, infatti, riferimento, in modo generico, all’azione risarcitoria dei danni derivati
dalla circolazione dei veicoli soggetti ad assicurazione obbligatoria; di conseguenza la richiesta è
necessaria anche per l’azione aquiliana, vista la ratio della norma volta proprio a prevenire l’insorgere
di liti (C. Cost., 1.3.1973, n. 24).

Secondo una parte minoritaria della giurisprudenza, elaborata alla fine degli anni settanta, la richiesta
ex art. 145, 1° co. rappresenterebbe un vero e proprio atto di costituzione in mora, benché il codice
civile preveda all’art. 1219 c.c. che, in caso d’illecito, la mora sia automatica (C. civ., 20.11.1979, n.
6056; C. civ., 6.10.1979, n. 5179).

A ben vedere però, come è stato osservato in dottrina, la norma in commento non fissa un termine
d’adempimento, ma si limita a vietare le azioni nel detto termine, con la conseguenza che l’offerta
costituisce per le imprese assicurative, una mera facoltà e non un obbligo (CANNIZZARO, Svalutazione
monetaria interessi e spese negli indennizzi per sinistri stradali e incidenza su massimali assicurati,
in DPA, 1982, 27; IEVA, Problemi di «massimale» nell’assicurazione obbligatoria nella
responsabilità civile automobilistica, in RCP, 1981, 149; SCALFI, Spese, interessi e giustizia
nell’assicurazione obbligatoria della r.c. auto, in RCP, 1980, 72; STANGHELLINI, 209; ANTINOZZI,
Considerazioni sulle recenti decisioni rese dalle S.U. della Cassazione sui limiti del massimale, in
DPA, 1983, 345).

Partendo da queste fondate critiche le Sezioni Unite della Cassazione, in tre note decisioni
consecutive dei primi anni ottanta, ritennero che le formalità di cui all’art. 145, 1° co. costituiscano
un atto di costituzione in mora soltanto qualora ne posseggano un intuitivo contenuto minimo,
capace di consentire all’assicuratore, mediante l’impiego della dovuta diligenza, un’adeguata
valutazione del fondamento della pretesa nel termine dilatorio di adempimento fissato per legge
(C. civ., 29.7.1983, n. 5218; C. civ., 29.7.1983, n. 5219; C. civ., 29.7.1983, n. 5220).

Nel caso in cui la richiesta non possegga il «contenuto minimo», non può, quindi, rappresentare un
valido atto di costituzione in mora e ciò malgrado che la domanda giudiziale sia perfettamente
proponibile (GALLONE, PETTI).

18
Codice della
responsabilità civile
commentato

La funzione dell’art. 145, 1° co. è, quindi, esclusivamente processuale, quale condizione di


proponibilità dell’azione (GALLONE, PETTI).

È da notare che la riformulazione della norma citata, ha suscitato qualche perplessità in dottrina
relativamente alla possibilità di servirsi di mezzi alternativi, rispetto alla lettera raccomandata, per la
richiesta del risarcimento diretto. Questo perché il legislatore richiede che la raccomandata contenga
le indicazioni dettagliate previste dall’art. 148.

Nella vigenza dell’art. 22, L. 24.12.1969, n. 990 la Suprema Corte, ha affermato che la forma di
comunicazione per raccomandata con avviso di ricevimento non ha il carattere della esclusività, ma
rappresenta solo la predisposizione di uno dei mezzi idonei ad assicurare un minimo di garanzia,
affinché lo scopo di legge sia perseguito con il minor sacrificio del danneggiato ed il
contemperamento dei contrapposti interessi delle parti (C. civ., 8.8.1978, n. 3855).

Per assolvere l’onere di cui all’art. 22, sono, infatti, stati ammessi atti equipollenti a cui possa
attribuirsi data certa, come termine a quo per l’adempimento della prestazione dell’assicuratore. Sono
stati considerati dalla giurisprudenza idonei mezzi equipollenti: il telegramma (C. civ., 14.1.1980,
n. 296), la citazione nulla per inosservanza del termine di comparizione (T. Milano, 6.2.1979), il
ricorso per l’istruzione preventiva (C. civ., 8.8.1978, n. 3855; G.d.P. Pozzuoli, 8.5.1998),
l’intercorsa corrispondenza scritta con l’assicuratore dalla quale si ricavi con certezza il rispetto
del termine dilatorio (C. civ., Sez. III, 1.10.1999, n. 10896; C. civ., Sez. III, 25.1.1995, n. 844; C.
civ., 19.5.1983, n. 3455; A. Roma, Sez. III, 24.1.2006; A. Ancona, 30.10.1998), qualsiasi
documento, proveniente dall’assicuratore, dal quale si evinca che al medesimo è stata avanzata la
richiesta di risarcimento e che è stato rispettato il termine dilatorio (C. civ., 2.4.1980, n. 2133),
la convocazione del danneggiato, da parte dell’assicuratore, per comunicazioni inerenti al
sinistro (T. La Spezia, 27.4.1976), l’invio di una provvisionale da parte dell’assicuratore (C. civ.,
28.3.1994, n. 2988), o dell’offerta prevista dall’art. 3, L. 26.2.1977, n. 39 (T. Milano, 6.3.1980; G.
conc. Cefalù, 27.6.1996), e, addirittura, le semplici trattative verbali (C. civ., Sez. III, 4.2.1987, n.
1060; C. civ., Sez. III, 16.10.1986, n. 6068; C. civ., 16.1.1982, n. 277); recente, infine, la presa di
posizione della Suprema Corte secondo cui, in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità
civile derivante dalla circolazione di veicoli a motore, la condizione di proponibilità della domanda,
di cui all’art. 22 della L. 24.12.1969, n. 990 (“ratione temporis” applicabile), cioè la richiesta rivolta
all’assicuratore con raccomandata, non può essere assolta con mezzi equipollenti, quali il fax, se essi
non consentano di provare l’avvenuta ricezione da parte del destinatario (C. civ. Sez. III, n. 15749/15).

È escluso che l’atto di citazione il quale subordini la vocatio in ius al decorso del termine di sessanta
giorni sia idoneo strumento di adempimento dell’onere imposto dal Legislatore al danneggiato,
poiché la notifica dell’atto introduttivo del giudizio ha quale effetto la pendenza della lite e frustra di
fatto la ratio di deflazione del contenzioso alla quale la norma risponde (C. civ. 2.7.2010, n. 15733).

La dottrina rileva che molti degli equipollenti ritenuti ammissibili dalla giurisprudenza formatasi nel
vigore della l. ass. obbl. hanno un contenuto piuttosto generico e, quindi potrebbe esservi
un’incompatibilità rispetto al tenore dell’art. 148.

Sul tema si registrano due orientamenti. Uno più rigoroso e aderente al dettato letterale della norma
secondo cui se la richiesta di risarcimento non presenti gli elementi voluti dall’art. 148 non rileva che
il contenuto della raccomandata possa in concreto consentire di sottoporre un offerta al danneggiato

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(LA SPINA, La procedura di risarcimento diretto in materia di responsabilità civile automobilistica,


in RC, 2006). L’altro, meno restrittivo, preferisce effettuare un esame caso per caso, avendo a riguardo
la buona fede delle parti - che permea il c. ass. priv. - e la salvaguardia dello scopo della condizione
di procedibilità volta a prevenire la lite giudiziale: la domanda sarà procedibile qualora, pur non
contenendo tutti gli elementi voluti dall’art. 148, abbia consentito all’impresa di assicurazioni di
formulare l’offerta risarcitoria (CARTONI, La condizione di procedibilità nelle controversie in materia
di circolazione stradale, in RDPr, 2012, 1, 146).

In giurisprudenza si evidenzia che la mancata indicazione di elementi quali il codice fiscale o la


dichiarazione dei redditi, così come l’invio dei documenti medici in caso di danno biologico lieve
non precludono all’assicuratore di formulare un’offerta (T. Roma, 30.3.2010). Peraltro, anche quando
la denuncia non ricalchi il contenuto dell’art. 148 il giudizio deve ritenersi validamente instaurato, se
l’assicurazione non abbia invitato il danneggiato ad integrarla, dovendosi, quindi, ritenere completa
(T. Campobasso, 10.1.2013), ma la domanda giudiziale è improcedibile qualora la richiesta sia
«generica e carente in radice degli elementi e dei dati» indicati dall’art. 148 e l’assicuratore non è
tenuto a richiedere integrazioni, poiché l’obbligo di cui all’art. 148, 5° co., opera solo con riferimento
ad ipotesi di «incompletezza» relativa a «dati o documenti integrativi specifici la cui necessità di
acquisizione sorga» sulla scorta «di una cornice conoscitiva già completa» (T. Roma, 15.7.2010).

L’art. 145 1° co. c. ass. priv. ha peraltro, superato il vaglio della Corte Costituzionale, laddove è stato
censurato poiché “l’onere di conformazione della previa richiesta risarcitoria ex art. 145 ai contenuti
prescritti dall’art. 148” lederebbe la tutela della vittima del sinistro sul piano sostanziale e
processuale. La Consulta ha giudicato la questione infondata, giacché la ratio di tale disposizione
normativa “va ravvisata nella miglior tutela del danneggiato in funzione di una più tempestiva e
completa risposta risarcitoria” in asservimento della quale devono intendersi le prescrizioni formali
dell’art. 148 (C. Cost., 3.5.2012, n. 111). Grazie alla loro specificità, l’assicuratore non potrà
pretestuosamente opporre di non essere in grado di presentare un’offerta stragiudiziale.

Il problema della genericità del contenuto richiesto dall’art. 22 in rapporto all’art. 148 si pone anche
da un punto di vista di diritto intertemporale e ha trovato soluzioni contrastanti in giurisprudenza.

Secondo un primo orientamento, formatosi all’indomani dell’entrata in vigore del c. ass. priv., che ha
riguardo al momento della pendenza della lite ai fini dell’assoggettabilità al medesimo dei sinistri,
quando la richiesta stragiudiziale di risarcimento sia stata inviata nella vigenza della L. 24.12.1969,
n. 990, ma il relativo giudizio sia stato instaurato successivamente all’entrata in vigore del c. ass.
priv., essendo il procedimento assoggettato alle disposizioni del Testo Unico citato, esso dovrà
ritenersi improponibile, qualora la lettera di messa in mora non rispetti il dettato dell’art. 148 (T.
Napoli, 17.10.2006, in CorM, 2006, 12, 1389).

Altro filone giurisprudenziale ritiene che, per i sinistri verificatisi prima del 1.1.2006, la richiesta di
risarcimento, inviata e ricevuta prima di tale data, sia regolata dalla l. ass. obbl., in virtù del principio
tempus regit actum, anche se il giudizio sia stato azionato successivamente. Per i sinistri occorsi prima
o dopo tale data ma relativamente ai quali la domanda di risarcimento sia stata inviata e ricevuta
successivamente si applicherà il Testo Unico (T. Bari, 23.10.2008).

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Questo secondo indirizzo ha ricevuto l’avvallo della Suprema Corte la quale ha rilevato come la
richiesta di risarcimento in virtù del principo tempus regit actum non possa essere disciplinata
dallo ius superveniens (C. civ., 21.4.2011, n. 9140).

Tale soluzione alla questione era da tempo caldeggiata in dottrina (LIGUORI, La proponibilità della
domanda di risarcimento del danno tra vecchio e nuovo regime della R.c.a., in RC, 2007, 833).

Interessante rilevare, da ultimo, come Cass. civ. Sez. III, n. 7089/15 abbia voluto precisare che l’art.
22 della L. 24.12.1969, n. 990 (applicabile “ratione temporis”), ai sensi del quale l’azione per il
risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli a motore può essere proposta solo dopo
che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto il risarcimento del
danno all’assicuratore del danneggiante, non trova applicazione nell’ipotesi in cui il medesimo
assicuratore, convenuto in giudizio per l’integrale risarcimento, proceda alla chiamata in garanzia
impropria di un altro danneggiante (e del suo assicuratore) per sentirlo dichiarare corresponsabile dei
danni lamentati dall’attore, ai fini della ripartizione interna ex art. 2055 c.c. dell’obbligazione solidale,
atteso che tale domanda non estende l’oggetto dell’accertamento del giudice di merito.

10. Problemi di coordinamento tra l’art. 144, 1° co., l’art. 149 e l’art. 141 c. ass.
priv.
L’art. 144 1° co. c. ass. priv., peraltro, presenta problemi di coordinamento con l’art. 149. La prima
disposizione prevede che il danneggiato debba rivolgersi per il risarcimento del danno
all’assicurazione del responsabile civile, la seconda che debba rivolgersi alla propria.

I primi commentatori nell’immediatezza dell’entrata in vigore del c. ass. priv. ritenevano che l’art.
149 - che prevede l’indennizzo diretto - costituisse la regola, mentre l’art. 144 avesse natura di norma
di chiusura. Quest’ultima sarebbe applicabile in tutti i casi in cui il danneggiato non sia né il terzo
trasportato - poiché ex art. 141, c. ass. priv. tale soggetto deve domandare il risarcimento
all’assicuratore del veicolo su cui viaggiava - né uno dei soggetti contemplati dall’art. 149.

Ciò significa che l’azione diretta sarebbe esperibile da vittime di sinistri che siano: pedoni, conducenti
di veicolo non soggetti all’assicurazione o non assicurati sebbene in violazione alla legge, conducenti
non responsabili con lesioni lievi, conducenti co-responsabili. Si osserva, inoltre, che la dottrina
ritiene che l’art. 149 debba essere interpretato restrittivamente e cioè azionabile dal conducente che
non abbia avuto alcuna responsabilità nella causazione del sinistro. In caso contrario, si perverrebbe
all’assurdo di dover ricorrere in parte contro la propria assicurazione ed in parte contro quella del
danneggiante.

In merito è scaturito un ampio dibattito sopito dall’intervento della Corte Costituzionale che è
intervenuta, dapprima nel 2008, affermando che l’art. 149 non inibisce alla vittima di un sinistro di
esperire l’azione ex art. 2054 2° co., c.p.c. avverso il responsabile (C. Cost., 23.12.2008, n. 441). Nel
2009 la Consulta ha offerto una lettura costituzionalmente orientata della norma, sancendo il carattere
di ulteriorità e non di obbligatorietà della procedura del risarcimento diretto (C. Cost., 19.9.2009, n.
180).

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In dottrina tale statuizione è stata ritenuta pienamente rispondente ai principi del Diritto Comunitario
(BONA, La procedura di risarcimento diretto è soltanto un “ulteriore rimedio”: una soluzione
conforme al diritto comunitario, in RCP, 2009).

Altro autore ha evidenziato che la pronuncia in commento rischia di privare di effetto l’introduzione
della nuova procedura, poiché più facilmente il danneggiato privilegerà l’azione diretta dell’art. 144,
giacché nella procedura di risarcimento diretto è escluso il ristoro delle spese legali (POLETTI, La non
obbligatorietà del risarcimento diretto: la nuova procedura già al capolinea?, in RCP, 2009).

A un tanto s’aggiunga che, in materia di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per la
circolazione dei veicoli, nella procedura di risarcimento diretto di cui all’art. 149 del D.Lgs. 7
settembre 2005, n. 209, promossa dal danneggiato nei confronti del proprio assicuratore, sussiste
litisconsorzio necessario, analogamente a quanto previsto dall’art. 144, comma 3, del medesimo
decreto, nei confronti del danneggiante responsabile (C. civ., Sez. VI, 20.9.2017, n. 21896; contra,
T. Ancona, Sez. II, 1.6.2017, secondo cui, nel caso di azione ex art. 149, D.Lgs. 7 settembre 2005, n.
209 il responsabile del danno non è litisconsorte necessario, pertanto, laddove non evocato in
giudizio, non dovrà disporsi l'integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c.; al contrario, laddove
evocato non significa necessariamente che sia stata esercitata azione anche ex art. 2054 c.c. se dal
tenore delle deduzioni e dall'assenza di qualsivoglia richiesta di condanna ciò debba escludersi).

Anche nell’ambito del danno subito dal terzo trasportato lo strumento dell’art. 141 c. ass. priv. non è
obbligatorio (C. Cost., 13.6.2008, n. 205), ma costituisce anch’esso «un’ulteriore opzione» rispetto
all’art. 144 e all’art. 2054 c.c. che però se azionato inibisce la facoltà di evocare in giudizio il
responsabile civile (T. Roma, 30.3.2010). Secondo altra pronuncia «l’esercizio dell’azione di cui
all’art. 141 del D.Lgs. 209 del 2005 [...] non inibisce il contestuale esercizio della diversa, ma
comunque concorrente azione ex art. 144 del medesimo decreto, nonché della generale azione di
responsabilità di cui agli artt. 2043 e 2054 c.c.» (T. Roma, 21.9.2010). Trib. Cassino, 20.6.2016, a tal
proposito recentemente conferma come, in base a quanto disposto dall’art. 122, 2° co., del Codice
delle Assicurazioni, D.Lgs 209 del 2005, l’assicurazione comprenda la responsabilità per i danni alla
persona causati ai trasportati, qualunque sia il titolo in base al quale è effettuato il trasporto e come
la tutela del terzo trasportato sia massima nel successivo art. 141, laddove recita che, salva l’ipotesi
di sinistro cagionato da caso fortuito, il danno subito dal terzo trasportato è risarcito dall’impresa di
assicurazione del veicolo sul quale era a bordo al momento del sinistro entro il massimale minimo di
legge, fermo restando quanto previsto all’art. 140, a prescindere dall’accertamento della
responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti nel sinistro, fermo il diritto al risarcimento
dell’eventuale maggior danno nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile, se
il veicolo di quest’ultimo è coperto per un massimale superiore a quello minimo: per ottenere il
risarcimento, il terzo trasportato promuove, nei confronti dell’impresa assicuratrice del veicolo sul
quale era a bordo al momento del sinistro, la procedura di risarcimento prevista dall’art. 148 e, alla
luce di tale norma, dunque, la proponibilità dell’azione che il terzo trasportato può esperire nei
confronti dell’impresa assicuratrice del veicolo su cui viaggiava è subordinata, in primo luogo, alla
sussistenza di un danno (sia di tipo patrimoniale che non patrimoniale) e di un sinistro.

Si valuti, infine, Trib. Larino, 23.10.2015, secondo cui, nel giudizio avente ad oggetto l’azione di
risarcimento danni derivanti da sinistro stradale, proposta sia nei confronti dell’assicurazione del
danneggiato, ex artt. 145 e 149, D.Lgs. n. 209 del 2005, sia nei confronti del conducente del veicolo
antagonista, deve ritenersi valida la rinuncia, da parte dell’attore ed a seguito dell’eccepita nullità

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della domanda da parte dell’impresa di assicurazione, alla domanda svolta nei confronti del
responsabile contumace: ai fini dell’estinzione del processo, invero, il disposto di cui all’art. 306, co.
1, c.p.c. richiede l’accettazione della rinuncia agli atti del giudizio unicamente nel caso in cui, alla
data della rinuncia stessa, le controparti si siano già costituite, poiché l’interesse alla prosecuzione
del giudizio, essendo correlato alla domanda proposta in concreto dalla parte convenuta, presuppone
evidentemente la sua effettiva costituzione in giudizio.

10.1. Segue: il caso della c.d. “targa prova”


Nel giudizio promosso dal danneggiato contro l'assicuratore della targa prova, è litisconsorte
necessario, ai sensi dell'art. 144, D.Lgs. n. 209 del 2005 (ovvero dell'art. 23, L. n. 990 del 1969), il
titolare dell'autorizzazione a circolare con quest'ultima e non il proprietario del veicolo (così anche
C. civ., Sez. III, 29.5.2018, n. 13379).

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