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Consiglio Superiore della Magistratura

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Incontro di studio sul tema: “Il codice delle assicurazioni private”
Roma, 12-14 marzo 2007

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Marco Rossetti

L’azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa


assicuratrice per la RCA e di altri soggetti legittimati.
La procedura stragiudiziale per la liquidazione dell’indennizzo.

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SOMMARIO: 1. Le azioni dirette nei confronti dell’assicuratore. Il dato
normativo. - 2. L’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del
responsabile. - 2.1. Le eccezioni opponibili. - 2.2. Il litisconsorzio
necessario. - 2.3. Le condizioni di proponibilità della domanda contro
l’assicuratore. - 2.4. Alcuni problemi posti dall’art. 145 cod. ass.. - 3.
L’azione diretta nei confronti dell’UCI. - 4. L’azione diretta nei confronti
dell’impresa designata. - 5. L’azione diretta del trasportato nei confronti
dell’assicuratore del proprio vettore. - 6. L’azione diretta della vittima nei
confronti del proprio assicuratore. - 6.1. L’ambito di applicazione. - 6.2. La
legittimazione passiva. - 7. L’azione diretta nei confronti del commissario
liquidatore dell’impresa in l.c.a.. - 8. L’azione diretta nei confronti del
mandatario per la liquidazione dei sinistri. - 9. La procedura stragiudiziale
di liquidazione del danno. - 9.1. Nelle ipotesi ordinarie. - 9.2. Nei casi di
indennizzo diretto.

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1. Le azioni dirette nei confronti dell’assicuratore. Il dato normativo.

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L’abrogata legge 24.12.1969 n. 990 attribuiva alla vittima di un sinistro
stradale tre diverse “azioni dirette”, aggiuntive a quella ordinaria che la
vittima poteva proporre nei confronti del responsabile ex artt. 2043-2054
c.c.:
(a) l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, nel
caso di sinistro causato da veicolo immatricolato ed assicurato in Italia
(art. 18 l. 24.12.1969 n. 990);
(b) l’azione diretta nei confronti dell’UCI, nell’ipotesi di sinistro causato da
veicolo immatricolato all’estero (art. 6, comma 7, lettera (c), l. 990/69);
(c) l’azione diretta nei confronti dell’impresa designata, nel caso di sinistro
causato da veicolo sconosciuto, non assicurato od assicurato con
impresa posta in l.c.a. (art. 19, comma 4, l. 990/69).
Tale quadro normativo è significativamente mutato per effetto dell’entrata
in vigore del codice delle assicurazioni private (d. lg. 7.9.2005 n. 209), il
quale prevede ora:
(a) l’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile, nel
caso di sinistro causato da veicolo immatricolato ed assicurato in Italia
(art. 144 cod. ass.);
(b) l’azione diretta nei confronti dell’UCI, nell’ipotesi di sinistro causato da
veicolo immatricolato all’estero (art. 126, comma 3, lettera (c), cod. ass.);
(c) l’azione diretta nei confronti dell’impresa designata, nel caso di sinistro
causato da veicolo circolante prohibente domino, sconosciuto, non
assicurato od assicurato con impresa posta in l.c.a. (art. 283 cod. ass.);
(d) l’azione diretta del trasportato nei confronti del proprio vettore (art. 141
cod. ass.);
(e) l’azione diretta della vittima nei confronti del proprio assicuratore della
r.c.a., nei casi in cui trova applicazione la procedura di indennizzo diretto
(art. 149 cod. ass.);
(f) l’azione diretta nei confronti del commissario liquidatore dell’impresa
del responsabile, posta in l.c.a., se autorizzato alla liquidazione dei sinistri
(art. 284 cod. ass.);

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(g) infine - ma, si anticipa, è ipotesi problematica - è parere di chi scrive
che debba ammettersi, in virtù di una interpretazione conforme al diritto
comunitario, una azione diretta anche nei confronti del mandatario per la
liquidazione dei sinistri, nel caso di sinistri avvenuti all’estero e la cui
vittima risieda in Italia (art. 152 cod. ass.).
Esaminiamo ora partitamente queste singole ipotesi, ponendo l’accento
principalmente sui problemi da esse posti.

2. L’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile.


I primi due commi dell’art. 144 cod. ass. riproducono l’art. 18 l. 990/69; il
terzo comma riproduce il primo periodo dell’art. 23 l. cit.; l’ultimo comma,
infine, riproduce l’art. 26, comma 1, l. 990/69. A parte la diversa
sistematica adottata dal codice rispetto alla legge 990, il contenuto
precettivo delle norme è rimasto sostanzialmente immutato.
Anche con riferimento all’azione diretta prevista dall’art. 144 cod. ass.
troveranno perciò verosimilmente applicazione alcuni princìpi ormai
consolidati in giurisprudenza, che vale la pena ricordare brevemente.
In primo luogo, quanto alla fonte dell’obbligazione dell’assicuratore del
responsabile, essa non è rappresentata dal fatto illecito, ma da una
complessa fattispecie alla cui integrazione concorrono l'illecito, il contratto
di assicurazione e la relazione diretta che la legge instaura tra il
danneggiato e l'assicuratore, estendendo al primo gli effetti del contratto
(Cass., 29-07-1983, n. 5218, in Assicurazioni, 1983, II, 2, 237, con nota di
GERI; Cass., 29-07-1983, n. 5219, in Dir. e pratica assic., 1983, 316;
dopo tali decisioni che costituirono le sentenze capostipite, nello stesso
senso si vedano Cass. 7.7.1999 n. 7019; Cass. 2.6.1992, n. 6694; Cass.
16.8.1988, n. 4950; Cass. 1.6.1995, n. 6128, in Assicurazioni, 1995, II, 2,
mass. 109; Cass. 3.5.1990, n. 3624; Cass. 28.11.1994, n. 10156, in Arch.
circolaz. 1995, 986).
È altresì pacifico in giurisprudenza che l’azione diretta si affianca, e non si
sostituisce a quella ordinaria ex art. 2054 c.c. (Cass. 12.2.1998, n. 1471;

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Cass. 13.3.1996, n. 2056; Cass. 1.6.1995, n. 6128, in Assicurazioni,
1995, II, 2, mass. 109; Cass. 10.5.1984, ibidem, 1984, II, 2, mass. 49), e
che pertanto il danneggiato può proporre cumulativamente le due azioni
(in tal senso, dopo alcuni iniziali contrasti, si vedano ex permultis Cass.
4.10.1996, n. 8717, in Assicurazioni, 1997, II, 2, mass. 18; Cass.
3.5.1990, n. 3624), e che l’obbligazione risarcitoria del danneggiante e
quella indennitaria del suo assicuratore sono legate da un vincolo di
solidarietà, ancorché atipico (c.d. solidarietà imperfetta o ad interesse
unisoggettivo).
Conseguenze di questa cumulabilità e del vincolo di solidarietà passiva,
per quanto atipico, trattandosi di obbligazioni solidali ad interesse
unisoggettivo, sono che:
(a) sul piano sostanziale deve riconoscersi effetto liberatorio al
pagamento effettuato da uno dei debitori (Cass. 28.11.1988, n. 6402;
Cass. 27.11.1982, n. 6428, in Riv. giur. circolaz. trasp. 1983, 279;
(b) l'azione esperita contro l'assicuratore contiene implicitamente la
domanda di accertamento della responsabilità del conducente e del
proprietario (Cass. 15.9.1982, n. 4887, in Resp. civ. prev. 1983, 448).

2.1. Le eccezioni opponibili.


Anche l’art. 145, comma 2, cod. ass. (come il previgente art. 18 l. 990/69)
statuisce che per l'intero massimale di polizza l'assicuratore non può
opporre al danneggiato, che agisce direttamente nei suoi confronti,
eccezioni derivanti dal contratto, né clausole che prevedano
l'eventuale contributo dell'assicurato al risarcimento del danno.
Per “eccezioni derivanti dal contratto” devono intendersi quelle relative
all'invalidità ed all'inefficacia del contratto, mentre restano estranee al
suddetto regime soltanto le ipotesi di nullità del contratto di assicurazione
e di inesistenza del rapporto assicurativo.
Sono state ritenute eccezioni inopponibili:

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(a) le eccezioni di annullabilità del contratto, come nel caso di
dichiarazioni inesatte o reticenti (art. 1892 e 1893 c.c.);
b) l'eccezione di aggravamento del rischio (art. 1898 c.c.), come nel caso
di trasporto anomalo (Cass. 20.2.1998, n. 1786; Cass. 14.3.1996, n.
2125);
c) l'eccezione di mancata denunzia di vizio della cosa (art. 1906 c.c.);
d) L'eccezione di inadempimento dell'obbligo di avviso e di salvataggio
(art. 1915 c.c.), ossia nel caso di circolazione di veicolo, la mancata
denunzia del sinistro, ferma restante la facoltà dell'assicuratore di rivalersi
sull'assicurato in ragione del pregiudizio sofferto;
e) l'eccezione di guida senza patente o di patente non regolare,
nell'ipotesi che la polizza subordini l'operatività della copertura
assicurativa al possesso da parte del conducente della patente richiesta
(Cass., sez. III, 03-12-2003, n. 18467, Arch. circolaz., 2004, 383; Cass.
26.5.1999 n. 5110; Cass. 20.2.1998, n. 1786; Cass. 18.1.1994, n. 382);
(f) l'eccezione di dolo, ossia che il fatto illecito ha carattere doloso (Cass.
18.2.1997, n. 1502);
g) l'eccezione del mancato pagamento del premio o della prima rata di
premio (art. 1901, 1o c.), se l'assicuratore ha rilasciato il certificato di
assicurazione ed il contrassegno (Cass. 24.5.1993, n. 5834; Cass.
11.11.1995, n. 11723);
h) la stipula del contratto da parte di impresa non autorizzata, in quanto
ciò non dà luogo a nullità o annullabilità del contratto, ma solo a
risoluzione ex nunc, su formale denuncia dell'interessato (Cass.
19.1.1995, n. 586);
i) l'inosservanza dell'art. 98 cod. strad. che impone la presenza a bordo di
autoveicoli con targa “prova” del titolare dell'autorizzazione a circolare
con la targa prova o di un suo dipendente, poiché non incide
sull'esistenza del rapporto assicurativo, salvo che tale circostanza risulti
prevista quale elemento essenziale della copertura assicurativa (A
Torino, 18.10.1982, in Riv. giur. circolaz. trasp. 1984, 692);

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l) lo stato di ebbrezza del conducente (P. Piazza Armerina, in Arch.
circolaz. 1978, 257);
m) la clausola che preveda l'eventuale contributo dell'assicurato al
risarcimento del danno;
n) la mancata esposizione del contrassegno da parte del veicolo
danneggiante, essendo prevista solo a tutela dell'affidamento del
danneggiato la disposizione del secondo comma di detto articolo secondo
la quale l'assicuratore è tenuto nei confronti dei terzi per il periodo di
tempo indicato nel certificato (Cass. 23.2.1998, n. 1944).
Sono, invece, state ritenute eccezioni opponibili:
a) L'inesistenza o nullità assoluta del contratto assicurativo, per
mancanza dei requisiti essenziali di cui all'art. 1325 c.c. (Cass.
17.10.1994, n. 8460);
b) l'inesistenza del rischio, che comporta la nullità del contratto (art. 1895
c.c., Cass. 17.10.1994, n. 8460 cit.), con esclusione dell'ipotesi del dolo;
c) il mancato pagamento delle rate del premio successive alla prima,
dopo il decorso del periodo di tolleranza, se l'assicurato non sia in
possesso del certificato (Cass. 6.6.1987, 4906);
d) il limite del massimale (Cass. 23.1.1987, n. 646; Cass. 4.9.1985, n.
4611, con onere della prova del limite del massimale a carico
dell'assicuratore);
e) nel caso di danno provocato da rimorchio, in movimento perché
agganciato alla motrice, l'assicuratore del solo rischio statico ben può
opporre l'inoperatività del contratto, in quanto non si tratta di un'eccezione
contrattuale, ma di inesistenza di garanzia connessa alla circolazione del
rimorchio (se il rimorchio viene agganciato alla motrice, diviene
componente di un unico veicolo a motore e perde la propria autonomia,
con la conseguenza che nei confronti del terzo danneggiato non risponde
l'assicuratore del solo rimorchio, non vertendosi in tema di limite della
responsabilità dell'assicuratore, ma di identificazione del veicolo il cui

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rischio è stato assicurato) (Cass. 18.12.1996, n. 11318; Cass. 25.7.1992,
n. 8972; Cass. 30.1.1992, n. 950;);
f) nel caso in cui trattasi non di responsabilità ex art. 2054 c.c., ma di
colpa professionale, quando il sinistro è provocato per cause ascrivibile al
soggetto che abbia effettuato la riparazione (Cass. 1.3.1983, n. 1538,
relativamente al caso del distacco di una ruota, mentre alla guida vi era il
meccanico che aveva provveduto a riparare la stessa);
g) la mancanza di copertura assicurativa, nel qual caso è onere del
danneggiato di provare, anche con testimoni, che tale danno si è
verificato nel periodo di copertura assicurativa indicato nel contrassegno
apposto sul veicolo investitore, ovvero nel periodo di tolleranza previsto
dall'art. 1901, c. 2o, c.c., oppure che, essendosi verificato il sinistro nel
periodo di sospensione assicurativa, ex art. 1901, c.c., il premio sia stato
pagato dall'assicurato anteriormente al sinistro (Cass. 25.5.1998, n. 5194;
Cass. 18.5.1999 n. 4803).
L'assicuratore, che non abbia potuto opporre al danneggiato che agisce
in via diretta, eccezioni derivanti dal contratto né le clausole di contributo
a carico dell'assicurato, ha diritto di rivalsa nei confronti dell'assicurato
nella misura in cui avrebbe avuto diritto contrattualmente di rifiutare o di
ridurre la propria prestazione.
In merito alla disciplina dell'azione di rivalsa, la giurisprudenza e la
dottrina hanno enucleato i seguenti principi:
a) l'azione di rivalsa è esperibile anche se il danneggiato sia stato
tacitato stragiudizialmente; se però l'assicurato non ha consentito al
pagamento o non sia stato fatto partecipe delle trattative, egli può
contrastare la domanda di rimborso dell'assicuratore con eccezioni sia in
ordine alla responsabilità sia in ordine all'ammontare del risarcimento
pagato (Cass. 27.1.1995, n. 981);
b) l'esercizio dell'azione di rivalsa si sostanzia in una vera e propria
domanda e non in una semplice eccezione, sicché non è proponibile per
la prima volta in appello (Cass. 24.7.1980, n. 4805);

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c) tuttavia, se l'assicuratore, convenuto con azione diretta, faccia valere
contro l'assicurato, anch'esso convenuto, la rivalsa di cui all'art. 143 cod.
ass., introduce una pretesa strettamente connessa per comunanza di
titolo con quella avanzata dall'attore e riconducibile tra i mezzi di difesa
esperibili contro quest'ultima (Cass. 5.5.1980, n. 2940);
d) conseguentemente, la procura al difensore rilasciata dall'assicuratore
per contraddire in ordine alla domanda del danneggiato deve ritenersi
comprensiva del potere di proporre la domanda di rivalsa nei confronti
dell'assicurato (Cass. 5.5.1980, n. 2940, cit.);
e) nel caso di circolazione prohibente domino la domanda di rivalsa può
essere proposta solo contro il conducente e non contro il proprietario
(Cass. 19.10.1981, in Giust. civ. 1982, I, 64).
Controverso è il problema della legittimazione passiva rispetto
all’azione di rivalsa. Secondo un primo orientamento, maggioritario e più
risalente, l' “assicurato” nei confronti del quale l'assicuratore può
esercitare l'azione di rivalsa si identifica non solo nel contraente della
polizza, ma anche nel proprietario e/o conducente del veicolo
responsabile del sinistro, soggetto titolare dell'interesse assicurato (Cass.
8.3.1993, n. 2764, in Giust. civ. 1994, I, 2015).
Più di recente, invece, Cass., sez. III, 31-01-2006, n. 2130 ha ritenuto che
l’azione di rivalsa di cui alla norma qui in commento spetta
all’assicuratore esclusivamente nei confronti dell’assicurato e non nei
confronti del terzo conducente del veicolo (conforme Cass., sez. III, 29-
05-2003, n. 8622, in Dir. e giustizia, 2003, fasc. 25, 55).
Quest’ultimo orientamento tuttavia mi sembra palesemente erroneo, in
quanto non considera che l’ass. della r.c.a. è una assicurazione
ambulatoria, nella quale il titolare dell’interesse esposto al rischio (e cioè
l’ “assicurato”, in senso tecnico) è chiunque si ponga, col consenso del
proprietario, alla guida del veicolo.

2.2. Il litisconsorzio necessario.

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Nel giudizio promosso contro l’assicuratore del responsabile, ai sensi
dell’art. 144 cod. ass., è litisconsorte necessario il responsabile del
danno, tradizionalmente identificato nel proprietario del veicolo che ha
causato il danno.
La ratio di detto litisconsorzio è individuata nell'esigenza di assicurare che
l'esistenza della responsabilità sia accertata in contraddittorio con il
responsabile del danno, sicché essa non può ritenersi applicabile se non
quando, esperita dal danneggiante l'azione diretta per il risarcimento del
danno nei confronti dell'assicuratore ex art. 144 cod. ass., debba
procedersi nel relativo giudizio all'accertamento della responsabilità, la cui
esistenza costituisce il presupposto dell'obbligo incombente
all'assicuratore in forza del contratto di assicurazione (Cass. S.U.
15.10.1982, n. 5350, in Assicurazioni 1983, II, 2, 84, in Giust. civ. 1983, I,
148).
Mentre nel giudizio sull'an debeatur, promosso dal danneggiato contro
l'assicuratore della responsabilità civile, è sempre necessaria la
partecipazione al processo del responsabile del danno, nel giudizio sul
quantum, qualora questo si svolga separatamente dal giudizio sull'an
(perché instaurato successivamente alla pronuncia di condanna generica
dell'assicuratore e del responsabile al risarcimento) detta partecipazione
non è necessaria (Cass. 15.10.1982, n. 5350).
L’obbligo del litisconsorzio non sussiste ovviamente nel caso di azione
esperita contro il responsabile a norma dell'art. 2054 c.c. In questa
ipotesi la partecipazione al giudizio dell'assicuratore può avvenire ad
iniziativa dell'assicurato che lo chiami in causa a titolo di garanzia
impropria, a norma dell'art. 106 c.p.c., senza che sussista in assenza di
sua iniziativa, l'obbligo per il giudice di disporre l'integrazione del
contraddittorio a norma dell'art. 102 c.p.c. (Cass. 30.5.1995, n. 6074).
Il litisconsorzio necessario sussiste anche nel caso di domanda di
accertamento negativo dell'operatività della garanzia assicurativa
proposta dall'assicuratore, per cui tale domanda deve essere rivolta sia

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nei confronti del danneggiato che dell'assicurato (Cass. 19.10.1981 n.
5461).
Le conseguenze del suddetto litisconsorzio necessario sono che:
a) deve essere disposta l'integrazione del contraddittorio ex art. 331, nel
caso in cui la sentenza non sia stata impugnata nei confronti di tutti i
litisconsorti (Cass. 17.5.1986, n. 3277;
b) in caso di omesso adempimento di tale onere, deve essere dichiarata
l'inammissibilità dell'impugnazione (Cass. 29.5.1986, n. 3648);
c) il litisconsorte citato a seguito di ordine di integrazione del
contraddittorio, potrà effettuare l'impugnazione in via incidentale tardiva
ex art. 334 c.p.c.;
d) l'appello proposto dal solo assicuratore investe tutte le risultanze
processuali, con facoltà del giudice di decidere sulla responsabilità del
sinistro con accertamento valevole per tutte le parti, e quindi, anche nei
confronti dell'assicurato (Cass. 14.1.1987, n. 198);
e) l'impugnazione proposta da uno dei condebitori spiega i suoi effetti
anche nei confronti dell'altro condebitore (Cass. 20.8.1984, n. 4661).
Tuttavia se fu proposta l'azione ex art. 18 nei confronti dell'assicuratore e
contemporaneamente e cumulativamente l'azione ex art. 2054 nei
confronti del conducente e del proprietario dell'auto, il giudice d'appello
chiamato a pronunciare sulla nullità della sentenza impugnata
conseguente alla nullità insanabile della citazione nel giudizio di primo
grado del proprietario del veicolo, nel dichiarare detta nullità deve, in
conseguenza della non integrità del contraddittorio, rimettere al primo
giudice la causa promossa nei confronti dell'assicuratore e del
proprietario del veicolo e trattenere e decidere nel merito quella promossa
nei confronti del conducente, atteso che solo il proprietario del veicolo è
litisconsorte necessario nella azione diretta e che non è ipotizzabile, con
riferimento al giudizio di appello, un litisconsorzio necessario dipendente
dall'effettiva partecipazione anche del conducente del veicolo al giudizio
di primo grado (Cass. 24.2.1998, n. 1976; Cass. 26.4.1995, n. 4622).

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Egualmente, nel caso di confluenza nello stesso processo, dell'azione ex
art. 2054 c.c. nei confronti del responsabile del danno e della causa di
garanzia proposta da questi contro l'assicuratore, il danneggiato non è
parte del rapporto processuale relativamente a questa seconda causa e
non ha quindi interesse ad impugnare le statuizioni relative (Cass.
1.2.1995, n. 1134). Si ha in questo caso una semplice connessione di
causa, con litisconsorzio passivo facoltativo, per cui la sentenza
impugnata nei confronti di uno solo dei convenuti passa in giudicato per
l'altro, nei cui confronti non può essere modificata dal giudice d'appello
(Cass. 30.5.1995, n. 6074; Cass. 5.5.1987, n. 4684).

2.3. Le condizioni di proponibilità della domanda contro


l’assicuratore.
L’azione diretta nei confronti dell’assicuratore del responsabile è soggetta
all’onere di preventiva richiesta scritta di risarcimento all’assicuratore
stesso, e del decorso dello spatium deliberandi previsto dalla legge.
Tale onere è imposto dall’art. 145 cod. ass., il quale ha riprodotto , con
modificazioni, l’art. 22 l. 990/69. Le principali novità introdotte dal codice
sono:
(a) l’introduzione di un diverso termine, al cui decorso è subordinata la
procedibilità dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore, a seconda
del tipo di danni dei quali si chiede il risarcimento: 60 gg. nel caso di
sinistri con danni a cose, e 90 nel caso di sinistri con danni a persone;
(b) la previsione di un termine diverso a seconda che la domanda sia
proposta nei confronti di un assicuratore in bonis o dell’impresa
designata: nel primo caso il termine è di 60 gg. (anche per i danni a
persone); nel secondo caso sarà di sei mesi se il sinistro è stato causato
da persona assicurata con impresa posta in l.c.a., di 60 gg. in tutti gli altri
casi (art. 287 cod. ass.). Ne emerge un composito e non del tutto
razionale quadro, che per semplicità può essere riassunto nella seguente
tabella:

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Sinistro causato da Sinistro causato da Sinistro causato da
veicolo assicurato veicolo sconosciuto, veicolo assicurato
con impresa in non assicurato o con impresa in
bonis circolate l.c.a.
prohibente domino
Danni a cose 60 gg. 60 gg. 6 mesi
Danni a persone 90 gg. 60 gg. 6 mesi

Pacificamente la dottrina e la giurisprudenza ritengono che la funzione


della richiesta scritta consiste nel costituire in mora l'assicuratore, una
volta che sia decorso inutilmente il termine stabilito dalla legge. Quanto al
dies a quo di detto termine, esso non è costituito dalla data di spedizione
della raccomandata ma da quella di ricezione (Cass. 6.3.1982, n. 1423,
Cass. 8.2.1986 n. 809), dovendo essere libero lo spatium deliberandi in
favore dell'assicuratore.
Oltre tale funzione strettamente giuridica, la richiesta scritta ha anche
quella di politica giudiziaria di facilitare le procedure di risarcimento,
restringere il contenzioso ed evitare l'aggravamento dei costi di gestione
dei sinistri. Pertanto mentre il danneggiante è costituito in mora dalla data
del fatto illecito, l'assicuratore lo diventa soltanto dal momento dell'inutile
decorso dello spatium deliberandi dalla richiesta del danneggiante che
rende operante un'accessoria e coordinata obbligazione avente ad
oggetto, ai sensi dell'art. 1224 c.c., gli interessi moratori ed il maggior
danno costituito dalla sopravvenuta svalutazione monetaria (Cass.
27.5.1991 n. 5996; Cass. 28.5.1991 n. 6014).

2.4. Alcuni problemi posti dall’art. 145 cod. ass..


Mentre l'art. 22 l. 990/69 non stabiliva quali fossero gli elementi che la
richiesta doveva contenere per essere ritenuta completa, limitandosi a
stabilire che la richiesta deve essere effettuata con raccomandata con
ricevuta di ritorno, l’art. 145 cod. ass. prescrive che la richiesta abbia i
contenuti di cui agli artt. 148, 149 e 150, a seconda del sistema di
indennizzo applicabile.

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Un primo problema posto dalla nuova norma è quindi stabilire se possa
ritenersi improponibile l’azione diretta quando la richiesta scritta non
possegga i suddetti contenuti.
Riterrei che a tale quesito non possa darsi una risposta categorica.
Se infatti è vero, per un verso, che l’assicuratore ha l’obbligo di attivarsi
alla stregua dell’ordinaria diligenza professionale da lui esigibile (art.
1176, comma 2, c.c.) per accertare il danno e liquidare l’indennizzo, e
quindi non può sottrarsi a tale obbligo opponendo fiscali obiezioni sullo
scostamento tra il contenuto della richiesta concretamente inviata e
quello imposto dall’art. 148 cod. ass., per altro verso è altresì vero che il
danneggiato ha l’obbligo di uberrima bona fides nel corso delle trattative,
e non può limitarsi ad inviare all’assicuratore richieste del tutto generiche
e prove di adeguato corredato documentale, come tali assolutamente
insufficienti per la stima del danno (e ciò a mente dell’art. 1206 c.c., alla
stregua del quale il creditore deve compiere “quanto necessario” perché il
debitore possa adempiere).
Una adeguata soluzione al problema qui in esame mi sembra possa
raggiungersi muovendo dalla ratio dell’art. 145 cod. ass., che è quella - lo
si è detto - di favorire gli accordi stragiudiziali. Da ciò consegue che,
abbia o non abbia il danneggiato rispettato alla lettera le prescrizioni
dell’art. 148 cod. ass., la domanda sarà comunque procedibile se gli
elementi inviati erano comunque sufficienti, con l’uso dell’ordinaria
diligenza, per l’accertamento della responsabilità e la stima del danno.
Per contro, la domanda andrà dichiarata improcedibile se nella richiesta
scritta di risarcimento manchino gli elementi indispensabili per la stima
del danno. Così, ad esempio, riterrei non ostativa alla procedibilità della
domanda l’omessa indicazione, nella richiesta scritta di risarcimento, del
codice fiscale del danneggiato (purché la persona sia inequivocabilmente
individuabile attraverso i datai anagrafici), ovvero delle dichiarazioni dei
redditi, quando la vittima non abbia patito (e quindi non domandi) alcun
danno da perdita della capacità di guadagno.

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Un secondo problema posto dagli artt. 144-145 cod. ass. (ma già sorto
nel vigore della disciplina previgente) è se la richiesta dell’assicuratore di
ulteriori informazioni nel caso di domanda incompleta, ai sensi dell’art.
148, comma 5, cod. ass., comporti l’interruzione, oltre che dei termini per
la formulazione dell’offerta di cui ai commi 1 e 2 della norma ora citata,
anche l’interruzione del termine di 60 o 90 giorni per il promovimento
della azione diretta, di cui al comma 1 dell’art145 cod. ass..
A tale delicato problema, in assenza (sinora) di precedenti
giurisprudenziali, mi sembra debba darsi risposta affermativa.
Lo spatium deliberandi di cui all’art. 145, comma 1, cod. ass. è previsto
dalla legge al fine di consentire all’assicuratore di valutare se e quanto
offrire a titolo di indennizzo. Di tale termine l’assicuratore deve poter fruire
interamente, tanto è vero che se la richiesta è incompleta il termine per
l’offerta è differito: dunque la richiesta incompleta è inidonea a provocare
la mora debendi dell’assicuratore (art. 148, comma 5, cod. ass.).
Alla luce di tali considerazioni non mi sembra peregrino qualificare il
termine di cui all’art. 145 cit. come un termine di adempimento a favore
del debitore, imposto direttamente dalla legge: con la conseguenza che
prima della scadenza di tale termine il credito è inesigibile (in virtù del
principio secondo cui soltanto quod sine die debetur, statim debetur). Se,
dunque, il termine di cui all’art. 148, comma 1 e 2 cod. ass., è prorogato
per effetto della richiesta di chiarimenti avanzata dall’assicuratore dinanzi
ad una richiesta incompleta, il credito sarà inesigibile fino alla scadenza
del termine prorogato, e di conseguenza l’assicuratore non potrà essere
convenuto in giudizio. Pertanto mi pare possa concludersi nel senso che
la richiesta incompleta, là dove l’assicuratore si avvalga della facoltà di
chiedere integrazioni, produca l’effetto di differire il termine per il
promovimento dell’azione diretta di cui all’art. 145, comma 1, cod. ass..
Un terzo problema posto dal nuovo combinato disposto degli artt. 144 e
145 cod. ass. è se le nuove norme sulla procedibilità della domanda si
applichino ai giudizi introdotti dopo il 1°.1.2006 (data di entrata in vigore

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del codice delle assicurazioni), quando il sinsitro si sia verificato prima e
la richiesta scritta di risarcimento sia stata inoltrata nel vigore dell’art. 22 l.
990/69.
Tale problema è di agevole soluzione: infatti è pacifico, nella
giurisprudenza di legittimità, che le norme le quali impongono condizioni
di procedibilità della domanda sono disposizioni processuali, e come tali
soggette al principio tempus regit actum (Cass., sez. III, 07-02-2006, n.
2527; Cass., sez. III, 13-04-2000, n. 4803; Cass., sez. III, 04-11-1996, n.
9544). Pertanto il rispetto delle condizioni di procedibilità va accertato in
base alle norme vigenti al momento in cui la condizione di procedibilità è
stata (o doveva essere) osservata, e non al momento dell’introduzione
del giudizio, né a quello della sentenza.
Se, dunque, il danneggiato ha inviato, prima del 1°.1.2006, una richiesta
scritta di risarcimento difforme dai precetti di cui all’art. 148 cod. ass., ma
conforme a quelli di cui all’art. 22 l. 990/69, la domanda sarà procedibile,
anche se introdotta dopo il 1°.1.2006; non lo sarà, invece, se la richiesta
scritta difforme dal dettato dell’art. 148 cod. ass. sia pervenuta
all’assicuratore dopo l’entrata n vigore del codice, a nulla rilevando che il
sinistro si sia verificato in precedenza.

3. L’azione diretta nei confronti dell’UCI.


L’art. 126 cod. ass. ha riprodotto l’art. 6 l. 990/69 - per quanto qui rileva, e
cioè il promovimento dell’azione diretta nei confronti dell’UCI - senza
novità di rilievo, eccezion fatta per un “infortunio” nomopoietico in cui è
incorso il legislatore.
Il terzo comma dell’art. 126 cod. ass. stabilisce infatti che quando si cita
l’UCI in giudizio con l’azione diretta, il termine a comparire fissato nell’atto
di citazione dev’essere “aumentato del doppio, risultando perciò stabilito
in centottanta giorni per il giudizio di fronte al tribunale e in novanta giorni
per il giudizio di fronte al giudice di pace”.

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Tale norma è destinata a suscitare seri problemi tra gli interpreti, in
quanto per effetto delle modifiche apportate all’art. 163 bis c.p.c. dall'art.
2, comma 1, lettera (g), l. 28 dicembre 2005, n. 263, il termine a
comparire nei giudizi ordinari di cognizione è stato elevato a 90 giorni
dinanzi al tribunale, e 45 dinanzi al giudice di pace. Sicché, se si privilegia
la prima parte della disposizione qui in esame (“il termine a comparire
dev’essere aumentato del doppio”), tale termine dovrebbe essere di 270
giorni, mentre se si privilegia la seconda parte (“risultando perciò stabilito
in centottanta giorni”) il termine in questione dovrebbe continuare ad
essere di 180 giorni.
Non essendo tale problema superabile in base alla lettera della norma, la
soluzione preferibile mi sembra quella di ricorrere all’interpretazione
costituzionalmente orientata e ritenere perciò che il termine a comparire
nelle cause in cui sia convenuta l’UCI debba restare di 180 giorni, in
quanto tale interpretazione è la sola conforme al disposto dell’art. 111
cost., nella parte in cui prescrive che il processo debba avere una durata
“ragionevole”.
Problemi analoghi sono sorti dall’estensione del rito del lavoro alle
controversie in tema di sinistri stradali, disposta dall’art. 3 l. 21.2.2006 n.
102. Nel rito del lavoro, infatti, l’art. 415, comma 5, c.p.c., fissa in soli 30
giorni il termine a comparire, sicché sussiste un conflitto apparente di
norme tra quest’ultima disposizione e l’art. 126 cod. ass. Per risolvere tale
conflitto, mi sembra si debba muovere dal rilievo che le due norme
appena citate si pongono in rapporto di specialità reciproca, in quanto
hanno un nucleo comune (entrambe disciplinano l’azione di risarcimento
di danni da lesioni o da morte causati da veicoli immatricolati all’estero),
ed elementi di specialità: l’art. 3 l. 102/06 si applica anche nel caso di
danni causati da veicoli immatricolati in Italia, ai quali è inapplicabile l’art.
126 cod. ass.; e quest’ultimo si applica anche ai danni causati da natanti
ed ai danni a cose, ipotesi invece sottratte alla previsione dell’art. 3 l.
102/06. Di conseguenza, il conflitto apparente tra esse va risolto in base

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al principio del c.d. bilanciamento di valori, ovvero individuando la norma
assiologicamente prevalente sull’altra, in quanto espressione di valori
superiori (Guastini, Teoria e dogmatica delle fonti, Milano, 1998, 228 e
ss.). Pertanto, poiché la finalità dell’art. 126 cod. ass., e del più lungo
termine a comparire ivi previsto, è quella di consentire all’UCI di meglio
difendersi, mentre la finalità dell’art. 3 l. 102/06 è quella di apprestare una
più celere ed incisiva tutela a quelle vittime di sinistri stradali che abbiano
patito gravi lesioni personali o degli affetti, l’art. 3 l. 102/06 deve prevalere
sull’art. 126 cod. ass., e quindi la domanda di risarcimento del danno da
lesioni o da morte, quand’anche proposta nei confronti dell’UCI, sarà
soggetta alle previsioni dell’art. 415 c.p.c., ed il termine a comparire sarà
di soli 30 giorni (sia benevolmente consentito, sul punto, il rinvio a
Rossetti, Sinistri stradali e rito del lavoro, Milano, 2006, 219).

4. L’azione diretta nei confronti dell’impresa designata.


L’art. 283 cod. ass. non ha introdotto novità di rilievo con riferimento
all’ipotesi di sinistro causato da veicolo non assicurato, sconosciuto, od
assicurato con impresa in l.c.a., ove si eccettui l’incongruenza già
segnalata (rispetto all’art. 145 cod. ass.), consistita nell’avere previsto,
quale condizione di procedibilità dell’azione diretta nei confronti
dell’impresa designata il decorso di un termine di 60 gg. (anche per i
danni a persone), salvo che il veicolo sia stato causato da veicolo
assicurato con impresa posta in l.c.a., nel qual caso il termine suddetto è
di sei mesi (art. 287 cod. ass.).
Una novità assoluta è invece la previsione dell’intervento del fondo di
garanzia, per il tramite dell’impresa designata, nel caso di veicolo “posto
in circolazione contro la volontà del proprietario” o delle altre persone
chiamate ex lege a rispondere dei danni causati dalla circolazione (art.
283, comma 1, lettera (d), cod. ass.).
Con questa norma il legislatore parrebbe essersi avvalso della facoltà
concessagli dall’art. 2, comma 2, della Direttiva del Consiglio 30-12-1983,

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n. 84/5 (“Concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante
dalla circolazione di autoveicoli”), secondo cui nel caso di veicoli “rubati o
ottenuti con la violenza”, gli Stati membri possono prevedere che il fondo
di garanzia intervenga in luogo e vece dell'assicuratore. E tuttavia non
può non registrarsi un evidente iato tra la previsione comunitaria e quella
codicistica: la prima parla infatti di “veicoli rubati o ottenuti con la
violenza”, la seconda di “veicoli posti in circolazione contro la volontà del
proprietario”, il che ovviamente può avvenire anche in assenza di furto o
violenza.
Tuttavia la norma codicistica può essere interpretata in senso conforme al
diritto comunitario, ove si consideri che l’art. 122 cod. ass., il quale
prevede l’esonero dell’assicuratore del veicolo nel caso di circolazione
prohibente domino, stabilisce espressamente che l’assicurazione cessa a
partire dalle ore 24.00 del giorno in cui è stata presentata la denuncia agli
organi di polizia. Pertanto, leggendo unitariamente l’art. 2 Direttiva 84/5,
l’art. 122 e l’art. 283 cod. ass., deve concludersi che l’azione diretta nei
confronti del fondo va proposta non in qualunque ipotesi di circolazione
contro la volontà del proprietario, ma solo nei casi in cui la circolazione
sia frutto di furto o violenza.
Qualche incertezza l’art. 283 cod. ass. può far sorgere, nel caso di sinistri
causati da veicoli circolanti prohibente domino, anche per quanto attiene i
danni risarcibili. La legge prevede infatti (comma 2) che il risarcimento è
dovuto sia per i danni alla persona sia per i danni a cose, ma soltanto:
(a) ai terzi non trasportati;
(b) ai trasportati contro la propria volontà;
(c) ai trasportati inconsapevoli della circolazione illegale.
La lettera della norma lascia insoluti alcuni problemi, ed in particolare se
ai trasportati consapevoli della circolazione illegale spetti da parte del
Fondo solo il risarcimento del danno alla persona, anche il risarcimento

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del danno a cose, nei limiti di cui alla prima parte del secondo comma
dell’art. 283, oppure non spetti alcun risarcimento da parte del Fondo.
Quest’ultima sembrerebbe l’opinione preferibile in base alla lettera della
norma: la inconsapevolezza della circolazione illegale è infatti
presupposto per l’intervento del Fondo in favore del trasportato, e dunque
se manca la prima, non potrà avvenire il secondo.
E tuttavia non può negarsi che in tal modo si crea un pericoloso vuoto di
tutela: il terzo consapevole della circolazione illegale infatti non potrebbe
proporre l’azione diretta nei confronti di alcuno: non nei confronti
dell’impresa designata, perché lo esclude l’art. 283, comma 2, cod. ass.;
non nei confronti dell’assicuratore del vettore, perché lo esclude l’art. 122,
comma 3, cod. ass..
Questa conclusione è però insostenibile, perché in contrasto col diritto
comunitario. stabilisce, infatti, l’art. 1, comma 1, Direttiva Consiglio 14-05-
1990, n. 90/232 (“Relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante
dalla circolazione di autoveicoli”) che l'assicurazione obbligatoria della
r.c.a. deve coprire la responsabilità per i danni alla persona "di qualsiasi
passeggero, diverso dal conducente, derivanti dall'uso del veicolo”. Né.
ovviamente, la mera consapevolezza della circolazione illegale del
veicolo sembra costituire una giusta ragione per derogare a tale principio.
In prima approssimazione, riterrei che la soluzione preferibile sia quella di
disapplicare, per contrarietà insanabile col diritto comunitario, l’art. 283,
comma 2, ult. parte, cod. ass., secondo l’insegnamento della Corte di
giustizia (ex permultis, da ultimo, Corte giustizia Comunità europee, 22-
05-2003, n. 462/99, in Riv. dir. internaz. privato e proc., 2004, 748).

5. L’azione diretta del trasportato nei confronti dell’assicuratore del


proprio vettore.
L’art. 141 cod. ass. disciplina l’ipotesi di danni patiti dal terzo trasportato,
e costituisce una previsione del tutto nuova. La norma non distingue tra le

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varie ipotesi di trasporto, e dunque deve ritenersi applicabile sia nel caso
di trasporto di cortesia, sia nel caso di trasporto gratuito, sia nel caso di
trasporto oneroso.
L’art. 141 cod. ass. è forse una delle norme meno felici dell’intero codice
delle assicurazioni; sia per la tecnica con la quale è stato scritto, sia per il
contenuto, che nella migliore delle ipotesi è ambiguo, e nella peggiore
inutilmente peggiorativo rispetto all’attuale stato di cose.
Affinché sia ben chiaro questo concetto, è opportuno brevemente
ricordare di che tipo di tutela abbia goduto fino ad oggi, per diritto vivente,
il trasportato su un veicolo a motore, che in conseguenza di un sinistro
abbia patito danni alla persona.
Nel caso di sinistro stradale senza urto tra veicoli, il trasportato a
qualsiasi titolo poteva pretendere il risarcimento del danno, ex art. 2054,
comma 1, c.c., dal proprio vettore e dall’assicuratore della r.c.a. di
quest’ultimo.
Nel caso di sinistro stradale con scontro tra due o più veicoli, il trasportato
a qualsiasi titolo poteva pretendere l’intero risarcimento sia dal proprio
vettore, sia dai conducenti degli altri veicoli, invocando nei confronti di
ciascuno di essi la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054,
comma 1, c.c., e di conseguenza il beneficio della solidarietà di cui all’art.
2055 c.c. (ex permultis, Cass., sez. III, 20-04-2004, n. 7500, in Arch.
circolaz., 2004, 982; Cass., sez. III, 26-02-2004, n. 3868, in Arch.
circolaz., 2004, 742).
Fino all’entrata in vigore del codice, quindi, il terzo trasportato aveva
dinanzi a sé una nutrita platea di debitori solidali: i conducenti, i
proprietari ed i rispettivi assicuratori. La colpa di tutti costoro era
presunta.
L’art. 141 cod. ass. stabilisce ora in modo tranchante che il danno subito
dal trasportato “è risarcito dall’impresa di assicurazione del veicolo sul

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quale era a bordo [sic]1”, “a prescindere dall’accertamento della
responsabilità dei conducenti”, e “salva l’ipotesi di caso fortuito”. Il terzo
comma, altrettanto recisamente, afferma che “l’azione diretta avente ad
oggetto il risarcimento è esercitata nei confronti dell’impresa di
assicurazione del veicolo sul quale il danneggiato era a bordo”.
Il meccanismo previsto dalla norma, in sintesi, è il seguente: il terzo
danneggiato domanda il risarcimento del danno all’assicuratore del
vettore; quest’ultimo è tenuto al pagamento dell’indennizzo, salvo
recuperare l’importo pagato nei confronti dell’assicuratore del terzo
responsabile. Il trasportato non può agire nei confronti dell’assicuratore
del veicolo antagonista, se non quando il massimale dell’assicuratore del
vettore sia incapiente, e quello dell’assicuratore dell’altro corresponsabile
sia superiore al minimo di legge.
Il buon senso potrebbe indurre a ritenere che lo scopo avuto di mira dal
legislatore con tale norma sia stato quello di garantire in ogni caso il
risarcimento al trasportato, salva la rivalsa dell’assicuratore del vettore
nei confronti dell’effettivo responsabile. Non saprei dire se sia stata
davvero questa la finalità della norma; ma è certo che, per come essa è
stata scritta, tale finalità non può dirsi raggiunta.
Questi, in particolare, i problemi posti dalla norma in esame:
(a) se essa preveda una ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del
vettore;
(b) se essa deroghi al principio secondo cui il creditore di più debitori in
solido può convenirli tutti nel medesimo giudizio;
(c) in caso di risposta affermativa al quesito (b), se l’azione del
trasportato nei confronti dei corresponsabili diversi dal vettore sia esclusa
in toto, ovvero semplicemente improponibile se è stata proposta l’azione
diretta prevista dal comma 3 dell’art. 141 cod. ass..

1
Si noti la evidente sgrammaticatura, posto che l’espressione “a bordo” dovrebbe reggere la
preposizione “di”, e non “su”.

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Al primo quesito mi pare che si debba necessariamente dare risposta
negativa.
Il primo comma dell’art. 141 cod. ass. esordisce affermando che
l’assicuratore del vettore è tenuto ad indennizzare il terzo trasportato
“salva l’ipotesi di sinistro cagionato da caso fortuito”. Il caso fortuito,
secondo l’opinione condivisa dalla S.C. almeno da mezzo secolo,
comprende anche il fatto del terzo (Cass., sez. III, 27-01-2005, n. 1655,
inedita; Cass., sez. III, 30-03-2001, n. 4742, in Arch. civ., 2001, 977;
Cass., sez. III, 22-02-2000, n. 1971, in Foro it. Rep. 2000, Responsabilità
civile, n. 343). Pertanto la responsabilità dell’assicuratore del vettore è
esclusa sia quando il sinistro è dovuto a cause naturali, sia quando è
dovuto a colpa di altro conducente.
Dunque l’art. 141, comma 1, cod. ass. non può che essere interpretato
nel senso che l’assicuratore del vettore risponde nei confronti del
trasportato quando vi sia una colpa almeno concorrente, ancorché
presunta, del proprio assicurato. Ove, per contro, l’assicuratore dimostri
che il sinistro è dovuto interamente a responsabilità di altro conducente,
non sarà tenuto al risarcimento.
Vi è dunque una larvata contraddizione tra l’affermare che l’assicuratore
risponde “salvo il caso fortuito”, e l’aggiungere che tale responsabilità
“prescinde dall’accertamento della responsabilità di altri conducenti”. Il
caso fortuito, in materia di sinistri stradali, è infatti rappresentato proprio
dalla responsabilità di altri conducenti, e dunque non è affatto vero che la
condanna dell’assicuratore del vettore possa “prescindere” da tale
accertamento.
Il testo della norma pertanto va letto non nel senso che l’assicuratore del
vettore sia tenuto al pagamento “a prescindere” dall’accertamento della
responsabilità del conducente, ma piuttosto nel senso che quest’ultima
responsabilità si presume fino a che l’assicuratore non dimostri il caso
fortuito (ivi compresa la colpa del terzo).

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Ma se così è - e le regole dell’ermeneutica non consentono altre ipotesi -
la norma è sotto questo profilo del tutto inutile, perché già oggi in base al
combinato disposto dell’art. 2054, comma 1, c.c., l’assicuratore del
vettore è tenuto a rifondere il danno del trasportato, a meno che non provi
la colpa di un terzo.
Il secondo problema posto dalla norma è se essa deroghi o meno al
principio della solidarietà tra coautori di un fatto illecito, di cui all’art. 2055
c.c.. In virtù di tale norma, oggi il trasportato può convenire in giudizio
simultaneamente sia il vettore, sia il conducente e/o proprietario del
veicolo antagonista, sia i rispettivi assicuratori della r.c.a..
L’art. 141 cod. ass., per contro, afferma recisamente che “l’azione diretta
avente ad oggetto il risarcimento è esercitata nei confronti dell’impresa di
assicurazione del veicolo sul quale il danneggiato era a bordo al
momento del sinistro”, escludendo altre possibilità. L’impossibilità di
convenire in giudizio simultaneamente l’assicuratore del vettore e quello
del veicolo antagonista parrebbe indirettamente confermata dalla
previsione del comma 3, ultima parte, ove si stabilisce che “l’impresa di
assicurazione del responsabile civile [recte, del terzo responsabile] può
intervenire nel giudizio e può estromettere l’impresa di assicurazione del
veicolo [recte, del vettore], riconoscendo la responsabilità del proprio
assicurato”: dal che potrebbe affrettatamente desumersi che il legislatore
abbia inteso evitare la contemporanea pendenza di processi sia nei
confronti dell’assicuratore del vettore che nei confronti dell’assicuratore
dell’antagonista.
Una simile conclusione, pur indubbiamente autorizzata dal testo
normativo, non mi sembra però possa condividersi.
Ricordiamo che dalla verificazione di un sinsitro stradale la vittima diviene
creditore nell’ambito di due diversi rapporti giuridici: uno ex delicto col
danneggiante, l’altro ex lege con l’assicuratore di quest’ultimo. Limitare
l’azionabilità della pretesa al solo assicuratore del vettore significa

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sopprimere l’azionabilità di un diritto di credito ex delicto, e ciò porrebbe
seri problemi di conformità al dettato dell’art. 24 cost..
Inoltre, interpretando alla lettera l’art. 141 cod. ass., ne deriverebbe la
soppressione della solidarietà tra i coautori del fatto illecito, di cui all’art.
2055 c.c.. E’ tuttavia noto che la solidarietà tra più condebitori costituisce
un beneficio per il creditore, ed escluderla significherebbe creare un
conflitto tra il codice e la legge delega (l. 29.7.2003 n. 229). Quest’ultima
infatti, all’art. 4, comma 1, lettera (b), prevedeva quale criterio direttivo per
la redazione del codice la “tutela dei consumatori e, in generale, dei
contraenti più deboli (...), avendo riguardo anche alla correttezza (...) del
processo di liquidazione dei sinistri, compresi gli aspetti strutturali di tale
servizio”. Or bene, escludere il beneficio della solidarietà tra condebitori
non mi sembra una misura intesa a tutelare “consumatori e contraenti più
deboli”: riterrei pertanto non vietato dalla lettera, ed anzi consono alla
ratio della legge, interpretare l’art. 141, comma 1, cod. ass. come si
dicesse “l’assicuratore del vettore non può opporre al trasportato, ove
quest’ultimo gli domandi il risarcimento, altre eccezioni che il caso
fortuito”. Resta salva, però, la possibilità del danneggiato di domandare il
risarcimento anche (o solo) all’assicuratore del corresponsabile.
A questa conclusione non mi sembra osti il ricordato terzo comma dell’art.
141, ove si stabilisce che nella controversia pendente tra l’assicuratore
del vettore ed il trasportato danneggiato può intervenire l’assicuratore del
“responsabile civile”, che in questo caso “può estromettere [recte, “far
estromettere”] l’impresa di assicurazione del veicolo, riconoscendo la
responsabilità del proprio assicurato”.
Tale norma infatti non autorizza affatto a concludere che l’azione nei
confronti dell’assicuratore del vettore sia necessariamente alternativa
rispetto a quella nei confronti dell’assicuratore del terzo responsabile.
Si consideri, a questo riguardo, che in pratica non possono darsi che tre
possibilità: colpa esclusiva del vettore, colpa esclusiva del conducente il
veicolo antagonista, colpa concorrente di entrambi.

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Nel primo caso ovviamente il meccanismo dell’intervento e
dell’estromissione non può operare.
Nel secondo caso (colpa esclusiva del conducente il veicolo antagonista)
l’intervento e l’estromissione costituiscono applicazione del generale
principio di cui all’art. 108 c.p.c.: non v’è bisogno di coltivare il processo
nei confronti della parte il cui debito sia assunto da altri. In questo caso,
quindi, l’estromissione dell’assicuratore del vettore viene disposta non
perché non possano pendere contemporaneamente l’azione nei confronti
di questi e l’azione nei confronti di altri corresponsabili, ma
semplicemente perché la confessione di responsabilità da parte
dell’intervenuto rende superfluo l’accertamento della responsabilità
dell’originario convenuto.
Nel terzo caso (colpa concorrente) l’estromissione non potrà operare:
infatti, anche se ciascuno dei corresponsabili risponde per l’intero nei
confronti della vittima del danno (art. 2055 c.c.), l’art. 141 cit. subordina
l’estromissione al “riconoscimento della responsabilità” da parte
dell’interveniente. Pertanto, se quest’ultimo ammette solo una propria
corresponsabilità, viene meno uno dei presupposti applicativi della
norma.
Infine, una osservazione di diritto intertemporale. L’art. 141 cod. ass. è
entrato in vigore il 1°.1.2006, e non avrei dubbi che si tratti di norma
processuale, in quanto stabilisce quale sia il soggetto passivamente
legittimato rispetto alla pretesa risarcitoria del trasportato. Ne consegue
che essa dovrà essere applicabile a tutti i giudizi introdotti dopo il
1°.1.2006, in virtù del principio di cui all’art. 11 disp. prel. c.c.. (tempus
regit actum), a nulla rilevando che il sinsitro si sia verificato prima della
data appena indicata.

6. L’azione diretta della vittima nei confronti del proprio


assicuratore.

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Tutta nuova è la procedura del c.d. “indennizzo diretto” (art. 149 cod.
ass.). In virtù di essa, l’impresa che assicura la responsabilità civile della
vittima indennizzerà quest’ultima, salvo rivalsa nei confronti
dell’assicuratore del responsabile. La norma attribuisce perciò
all’assicuratore della vittima il ruolo di mandatario ex lege dell’impresa
assicuratrice del responsabile, con tutti gli obblighi e gli oneri gravanti su
quest’ultimo per quanto attiene alla misura della responsabilità.
L’eventuale azione per il risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 149,
comma 6, cod. ass., va proposta nei confronti dell’assicuratore della r.c.a.
della vittima. La stessa disposizione soggiunge che l'impresa di
assicurazione del responsabile “può chiedere di intervenire nel giudizio e
può estromettere l'altra impresa, riconoscendo la responsabilità del
proprio assicurato”.
Tale disposizione appare caratterizzata da una palese balbuzie giuridica.
Che vi fosse bisogno di una norma espressa per consentire
all’assicuratore del responsabile di intervenire nel giudizio tra il
danneggiato ed il proprio assicuratore è da escludere. L’assicuratore del
responsabile, in quanto soggetto sul quale grava il peso finale del
risarcimento, anche in assenza della norma in esame avrebbe comunque
avuto un sicuro interesse ex art. 100 c.p.c. ad intervenire nel giudizio. Ma
se la prima parte della norma è inutile, la seconda parte è ambigua, là
dove si legge che l’assicuratore del responsabile “può estromettere l’altra
impresa”. Il provvedimento di estromissione dal giudizio esige infatti
comunque un provvedimento del giudice, rimesso alla sua discrezionalità,
mentre il presente indicativo adottato nel comma 6 dell’art. 149 cod. ass.
parrebbe lasciare intendere che l’estromissione dipenda non da una
valutazione del giudice, ma dal fatto stesso che l’assicuratore del
responsabile sia intervenuto in giudizio.
Non meno ambigua è l’ultima parte della norma, dove si precisa che
l’assicuratore del responsabile può estromettere l’altra impresa
“riconoscendo la responsabilità del proprio assicurato”. Non è chiaro

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infatti se l’estromissione possa avvenire solo quando l’assicuratore del
responsabile, intervenendo, riconosca la totale responsabilità del proprio
assicurato, ovvero sia possibile anche quando l’interveniente riconosca
soltanto un concorso di colpa del proprio assicurato.

6.1. L’ambito di applicazione.


Il promovimento dell’azione diretta nei confronti dell’assicuratore della
vittima stessa è ovviamente subordinato alla sussistenza dei presupposti
per l’operatività del sistema dell’indennizzo diretto, che non sono pochi né
di agevole lettura.
L’ambito di applicazione della nuova disciplina risulta infatti dal combinato
disposto degli artt. 149, commi 1 e 2, cod. ass.; e dagli artt. 3 e 4 del
relativo regolamento di attuazione (d.p.r. 254/2006).
Si tratta di un ambito che incontra vari limiti, relativi:
(a) al tipo di sinistro;
(b) al tipo di veicoli coinvolti;
(c) alla condizione soggettiva del danneggiato;
(d) al tipo di danni dei quali si chiede l’indennizzo.
Può essere utile in questa sede spendere qualche parola su tali limiti, dai
quali dipende l’esperibilità dell’azione diretta.

(A) Limiti applicativi relativi al tipo di sinistro.


Per quanto attiene il tipo di sinistro, esso deve avere coinvolto due veicoli
soltanto (art. 149 cod. ass.). Ci si potrebbe chiedere se l’aggettivo
“soltanto” vada logicamente riferito al tipo di “enti” coinvolti nel sinsitro
(soltanto veicoli), ovvero al numero di essi (soltanto due). Nel primo caso,
l’indennizzo diretto non potrà trovare applicazione quando il veicolo abbia
coinvolto, oltre due veicoli, anche - ad es. - un velocipede od un pedone
(ad es., Tizio tampona Caio che, sull’abbrivio, investe un pedone in
procinto di attraversare la strada). Nel secondo caso, invece, quel che
rileva ai fini dell’applicabilità del sistema dell’indennizzo diretto è

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unicamente il coinvolgimento di veicoli a motore in numero non superiore
a due, quale che fosse il numero di altri “enti” coinvolti (pedoni, animali,
veicoli non a motore).
La prima soluzione appare tuttavia preferibile, per due ragioni. La prima è
che il sistema dell’indennizzo si fonda sul presupposto che ciascuno degli
assicuratori tenuto al pagamento (quello della vittima in prima battuta, e
quello del responsabile in via di rivalsa) abbiano assicurato almeno un
veicolo coinvolto nel sinistro, e che non vi siano altre “partite” di danno da
sistemare. Diversamente, infatti, il sistema si complicherebbe
paurosamente: se, ad es., si ammettesse la praticabilità dell’indennizzo
diretto anche se nel sinistro sia coinvolto un pedone, l’assicuratore del
responsabile si vedrebbe esposto a due azioni: l’una, in via diretta, da
parte del pedone danneggiato; l’altra, in via recuperatoria, da parte
dell’assicuratore dell’altro automobilista che abbia riportato danni, il che
impedirebbe la unitaria e contestuale definizione di ogni rapporto tra
danneggiati ed assicuratore del danneggiante.
La seconda ragione è che l’art. 140, comma 4, cod. ass. ha introdotto
l’obbligo del litisconsorzio necessario in tutti i sinistri con pluralità di
danneggiati, al fine di consentire il riparto del massimale in misura
proporzionale tra tutti, nel caso di incapienza. Se quindi fosse consentito
all’automobilista danneggiato invocare le norme sull’indennizzo diretto
anche quando in conseguenza del sinistro sia rimasto ferito - poniamo -
un pedone, nel giudizio promosso dal danneggiato contro il proprio
assicuratore dovrebbe essere chiamato anche il pedone, il quale però
non avrebbe azione nei confronti dell’assicuratore convenuto, ma solo nei
confronti dell’assicuratore del responsabile. Verrebbe quindi vulnerata in
tal caso la ratio sia delle norme sull’indennizzo diretto, sia di quelle sul
litisconsorzio necessario. Né varrebbe obiettare che l’art. 140, comma 4,
cod. ass. (norma assurda sotto più d’un profilo) potrebbe essere
salvificamente interpretato ritenendo che il litisconsorzio necessario
sussista solo nei casi di incapienza del massimale, che ben raramente

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possono verificarsi nell’ipotesi di danni con esiti micropermanenti. Rarità
non vuol dire infatti impossibilità, e non può in radice escludersi che una
modesta lesione personale possa causare un rilevante danno
patrimoniale da perdita del reddito, capace - unitamente agli altri danni
causati dal sinistro - di esaurire il massimale.
Il sinistro inoltre deve essere avvenuto in Italia (art. 1 regolamento). Nulla
rileva pertanto né che sia avvenuto tra veicoli immatricolati in Italia, né
che debitore e creditore siano ambedue italiani. Restano peraltro ferme le
norme di diritto internazionale privato, sicché l’indennizzo diretto non sarà
applicabile se l’obbligazione scaturita dal fatto illecito è soggetta alla
legge straniera.

(B) Limiti applicativi relativi al tipo di veicoli coinvolti.


Il sinistro deve avere coinvolto non più di due veicoli, immatricolati in
Italia, identificati ed “assicurati”.
Il requisito dell’immatricolazione in Italia, a fronte della scarna lettera della
legge, deve ritenersi prevalente sulla circostanza che il veicolo stazioni
abitualmente all’estero, o sia di proprietà di uno straniero, anche non
residente in Italia. Sempre che, ovviamente, l’obbligazione scaturita dal
fatto illecito sia soggetta alla legge italiana.
I veicoli coinvolti debbono altresì essere identificati: in mancanza di
ulteriori indicazioni, deve ritenersi che la procedura di indennizzo diretto si
applichi anche nel caso in cui l’identificazione del responsabile sia
successiva al sinistro.
I veicoli debbono essere inoltre “assicurati”, metafora antropomorfizzante
con la quale si intende esprimere il concetto che esista una polizza di
assicurazione, da chiunque stipulata, la quale copra la responsabilità
civile delle persone di cui all’art. 2054 c.c., scaturente dalla circolazione
del veicolo. Il veicolo deve ritenersi assicurato anche quando il contratto
sia scaduto, ma sia in corso il termine di proroga legale previsto dall’art.
1901 c.c..

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(C) Limiti applicativi relativi alla condizione dei danneggiati.
L’indennizzo diretto non può essere preteso da chiunque abbia patito un
danno in conseguenza del sinistro, ma solo da alcun categorie di
persone, individuate però in termini piuttosto problematici.
Secondo l’art. 149, comma 2, cod. ass., la disciplina in esame si applica
quando il danno sia lamentato dal conducente del veicolo coinvolto, dal
proprietario o dall’ “assicurato”, in questo caso limitatamente ai danni alle
cose trasportate.
Secondo l’art. 1, comma 1, reg. invece la procedura si applica soltanto ai
danni patiti dal proprietario o dal conducente.
La consueta frettolosità della tecnica normativa pone all’interprete vari
problemi, perché la formula della legge e quella del regolamento non
sono affatto sovrapponibili.
Nell’assicurazione r.c.a. “assicurato” è qualunque persona la cui
responsabilità possa restare ingaggiata in conseguenza di un sinistro
stradale, ai sensi dell’art. 2054 c.c.: dunque non solo proprietario e
conducente, ma anche l’acquirente con patto di riservato dominio,
l’usufruttuario e l’utilizzatore in leasing. Eppure queste categorie di
soggetti, stando alla legge, possono avvalersi della procedura di
indennizzo diretto solo per domandare il ristoro del danno alle cose
trasportate, ma non per domandare il risarcimento del danno patito in
conseguenza dell’avaria al veicolo (canoni inutilmente pagati, perdita di
profitto, ecc.), nemmeno - si badi bene - nell’ipotesi in cui il contratto o il
titolo del possesso ponga a loro carico la responsabilità per danni nei
confronti del proprietario (clausola, ad es., ricorrente nei confronti di
leasing).
Ancora più restrittiva è la previsione del regolamento, il quale esclude
dalla procedura di indennizzo diretto qualsiasi persona diversa da
conducente e proprietario.

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Questo scriteriato modo di scrivere testi normativi pone all’interprete due
problemi:
(a) se sia ragionevole e conforme a Costituzione l’esclusione
dall’indennizzo diretto per gli assicurati diversi dal proprietario, di cui
all’art. 2054, comma 3, c.c.;
(b) se sia legittimo il regolamento nella parte in cui esclude la procedura
di indennizzo diretto per i danni alle cose trasportate patiti dagli assicurati
diversi dal proprietario o dal conducente.
Ad ambedue i quesiti va a mio avviso data risposta negativa: al primo, in
quanto l’esclusione di alcune categorie di assicurati dal sistema
dell’indennizzo diretto non trova giustificazione alcuna, e parrebbe perciò
contrastare con l’art. 3 cost., sotto il profilo della ragionevolezza; al
secondo, in quanto - come già visto - non è consentito al regolamento
ridurre l’ambito di applicazione della legge.
In ogni caso, allo stato attuale della legislazione restano esclusi dalla
procedura dell’indennizzo diretto:
(a) i trasportati, a nulla rilevando che viaggiassero sul veicolo del
responsabile o s u quello antagonista;
(b) i pedoni, e più in generale tutti i terzi estranei alla circolazione del
veicolo;
(c) gli assicurati diversi dal proprietario e dal conducente, i quali possono
invocare la procedura in esame solo per ottenere il ristoro del danno alle
cose trasportate.

(D) Limiti applicativi relativi alla condizione dei danneggiati.


Il quarto limite applicativo dell’indennizzo diretto è rappresentato dal tipo,
dall’entità e dalla causa dei danni causati dal sinistro.
(α) Tipi di danni indennizzabili.
Per quanto attiene i danni alle cose, quelli al veicolo sono sempre
indennizzabili con la procedura in esame. Legittimato a chiederla sarà il
proprietario, anche se non sia lui il contraente della polizza.

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Per quanto attiene gli altri danni alle cose, la procedura è utilizzabile solo
per i danni alle cose trasportate, e solo se appartenenti al proprietario del
veicolo od al conducente. Così, per fare un esempio, l’indennizzo diretto
sarà utilizzabile se il conducente ha riportato la rottura dell’orologio, ma
non se per effetto del sinistro vengano danneggiate proprietà esterne
(porte basculanti, guard rail, muri perimetrali),siano esse appartenenti a
terzi o al proprietario del veicolo.
In sintesi, l’indennizzo diretto è applicabile:
- in caso di danno al veicolo, sempre;
- in caso di danni a cose esterne al veicolo, mai;
- in caso di danni a cose trasportate, solo se di proprietà dell’assicurato
(conducente, proprietario, utilizzatore in leasing, ecc.).
Per quanto attiene i danni alla persona, la procedura dell’indennizzo
diretto è utilizzabile se siano stati patiti dal conducente (sia egli il
proprietario o meno del veicolo).
Sia la legge, sia il regolamento nulla dicono in merito al danno
patrimoniale conseguente ad un danno biologico (ad es., perdita del
reddito, spese sanitarie). Riterrei tuttavia che tali categorie di danno
debbano farsi rientrare nella generale nozione di “danno alla persona” di
cui all’art. 149, comma 2, cod. ass.. Diversamente, infatti, si perverrebbe
all’assurdo che la vittima di lesioni con esiti micropermanenti dovrebbe
rivolgersi a due diversi debitori per ottenere il ristoro dall’uno del danno
biologico, e dall’altro del danno patrimoniale causato dall’invalidità:
conclusione in chiaro contrasto con la ratio dell’art. 149 cod. ass., che è
quella di agevolare ed accelerare la procedura risarcitoria. Del resto, se
davvero i danni patrimoniali conseguenti ad una lesione della salute
fossero esclusi dall’indennizzo diretto, non si giustificherebbe la
previsione di cui all’art. 6, comma 2, regolamento, il quale impone al
danneggiato di allegare alla richiesta di indennizzo l’indicazione del
proprio reddito.
(β) Entità dei danni indennizzabili.

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Per i danni alle cose non sono previsti limiti quantitativi; per i danni alla
persona invece la procedura dell’indennizzo diretto è applicabile se dal
sinistro siano derivati postumi permanenti non superiori al 9% della
complessiva validità dell’individuo. Dunque l’indennizzo diretto non si
applica ai sinistri che abbiano causato solo invalidità temporanea (di
qualunque durata), ovvero invalidità permanente superiore al 9%.
(γ) Eziologia del danno.
I danni alle cose sono indennizzabili con l’indennizzo diretto sia nel caso
in cui chi li lamenti non abbia avuto parte alcuna nella produzione
dell’evento, sia nel caso in cui vi sia stato concorso di colpa dei
conducenti coinvolti.
Per i danni alla persona si registra invece uno iato tra legge e
regolamento: per l’art. 149, comma 2, c.a. il danno alla persona del
conducente è indennizzabile con la procedura in esame se la vittima non
ne è stata responsabile. Per l’art. 5, comma 1, reg. invece la procedura
dell’indennizzo diretto è attivabile sia per i danni alle cose, sia peri danni
alle persone, anche nel caso di concorso di colpa.
Ora, che la limitazione dell’indennizzo diretto alle sole ipotesi di colpa
esclusiva fosse una norma assurda e foriera di gravi complicazioni non è
un mistero (in tutti i casi dubbi, il danneggiato per evitare sorprese
converrà in giudizio sia il proprio assicuratore, nell’ipotesi in cui il giudice
dovesse ritenere la colpa esclusiva dell’altro conducente; sia
l’assicuratore altrui, per l’ipotesi in cui il giudice dovesse ravvisare un
concorso di colpa). Tuttavia avrei seri dubbi che questa menda possa
essere eliminata con la fonte regolamentare. Come già detto e ripetuto,
l’art. 150 c.a. demandava al regolamento di attuazione la disciplina di
circoscritti e ben specifici profili (determinazione del grado di
corresponsabilità, forma della richiesta risarcitoria, modalità di
pagamento, risarcibilità dei “danni accessori”, cooperazione tra imprese),
ma non lo autorizzava affatto a ridurre od ampliare l’area di applicazione
dell’istituto, fissata dall’art. 149 c.a.. Pertanto, sebbene la norma

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regolamentare sia oggettivamente più ragionevole di quella di legge, essa
è illegittima, in quanto in contrasto con la fonte primaria.

6.2. La legittimazione passiva.


Ulteriore problema posto dall’art. 149 cod. ass. è l’esatta interpretazione
dei commi 1 e 6, là dove si afferma che i danneggiati “devono” rivolgere
la richiesta di risarcimento al proprio assicuratore, e “possono” proporre
l’azione risarcitoria solo nei suoi confronti. Se interpretata alla lettera, la
norma parrebbe escludere la legittimazione passiva del danneggiante
rispetto alla pretesa creditoria della vittima. Essa, pertanto, appare di
dubbia legittimità costituzionale, là dove sottrae al creditore uno dei due
debitori solidali di cui disponeva nel sistema previgente (e cioè il
responsabile e l’assicuratore). Se invece si ritenesse che la norma
escluda la legittimazione passiva dell’assicuratore del responsabile solo
ove la vittima intenda esercitare l’azione diretta, la norma sarebbe inutile
e facilmente aggirabile: ed infatti se il danneggiato non volesse introdurre
un giudizio nei confronti del proprio assicuratore, potrebbe agevolmente
convenire in giudizio il responsabile ed attendere che sia questi a
chiamare in causa il proprio assicuratore della r.c.a., onde esserne
garantito.

7. L’azione diretta nei confronti del commissario liquidatore


dell’impresa in l.c.a..
Prima dell’entrata in vigore del codice delle assicurazioni la l.c.a.
dell’assicuratore del responsabile di un sinistro stradale poteva far
sorgere veri e propri rebus in merito all’individuazione del soggetto
legittimato passivamente rispetto all’azione diretta, che non sempre
coincideva col debitore sostanziale.
La legge prevedeva infatti quattro diverse tipologie di liquidazione coatta
amministrativa, che si distinguevano sotto vari profili (effetti sul contratto,
individuazione del soggetto legittimato a liquidare i sinistri, individuazione

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del soggetto legittimato passivamente a stare in giudizio, individuazione
del soggetto obbligato a dare esecuzione al giudicato).
Questi quattro tipi di l.c.a. erano:
(a) la l.c.a. pura e semplice, o “ordinaria”;
(b) la l.c.a. con autorizzazione del commissario liquidatore a liquidare i
sinistri;
(c) la l.c.a. con cessione del portafoglio disposta d’ufficio dal Ministro
dell’industria, contestualmente alla liquidazione stessa, ex art. 1 d.l.
26.9.1978 n. 576;
(d) la l.c.a. con cessione del portafoglio disposta volontariamente dal
commissario liquidatore, successivamente al provvedimento di
liquidazione, ex art. 11 d.l. 23.12.1976 n. 857.
Nel quadro sinottico che segue, sono riassunte le varie tipologie ed
indicate le relative fonti normative degli effetti in tema di r.c.a.:

Tipo di liquidazione Fonte normativa


Ordinaria Art. 19 l. 990/69
Con commissario liquidatore autorizzato Art. 9 d.l. 857/76
alla liquidazione dei sinistri
Con cessione del portafoglio disposta dal Art. 11 d.l. 857/76
commissario liquidatore o dal Comitato del
fondo di garanzia
Con cessione del portafoglio disposta Art. 1 d.l. 576/78
d’ufficio contestualmente alla l.c.a.

Legittimato passivo rispetto all’azione ordinaria era:


(a) nel caso di l.c.a. ordinaria, l’impresa designata;
(b) nel caso di l.c.a. con autorizzazione del commissario liquidatore a
liquidare i sinistri, l’impresa designata;
(c) nel caso di l.c.a. con cessione del portafoglio ex art. 11 l. 39/77,
l’impresa designata;
(d) nel caso di l.c.a. con cessione del portafoglio ex art. 1 d.l. 576/78,
l’impresa cessionaria.

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Il quadro è stato ora semplificato dal codice delle assicurazioni, il quale
ha abrogato la tipologia dell’impresa “cessionaria”, ed introdotto una sola
distinzione:
(a) se il commissario liquidatore è stato autorizzato a liquidare i sinistri,
questi sarà altresì legittimato passivo rispetto all’azione ordinaria del
danneggiato (art. 294 cod. ass.);
(b) in caso contrario, la legittimazione passiva resta in capo all’impresa
designata.

8. L’azione diretta nei confronti del mandatario per la liquidazione


dei sinistri.
Gli art. 151 e ss. cod. ass. costituiscono la trasfusione, con qualche
modifica, delle disposizioni di cui agli artt. 2 e ss. d. lg. 30 giugno 2003, n.
190 (recante “Attuazione della direttiva 2000/26/CE in materia di
assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di
autoveicoli, che modifica anche le direttive 73/239/CEE e 88/357/CEE).
Con tale d. lg., il legislatore ha dato attuazione alla c.d. Quarta Direttiva
assicurazione autoveicoli, dedicata alla liquidazione dei danni causati da
sinistri avvenuti in uno Stato membro dell'Unione Europea, diverso da
quello di residenza del danneggiato. Il sistema introdotto dalla dir.
2000/26, recepito dal d. lg. 190/03 e ora rifluito negli artt. 151 e ss. cod.
ass. obbliga ciascuna impresa “stabilita” (e cioè operante in regime di
stabilimento in un Paese dell’UE) a nominare in ciascuno degli altri Pesi
dell’UE un mandatario per la liquidazione dei sinistri, al quale i
danneggiati possono rivolgersi. La decisione di adottare la Direttiva
2000/26 sorse dal rilievo che il sistema degli Uffici Carta verde non
risolveva le difficoltà che la parte lesa poteva incontrare nel far valere i
suoi diritti in un paese diverso dal proprio, nei confronti di una controparte
ivi residente e di un'impresa di assicurazione autorizzata a operare in tale
paese (diritto straniero, lingua straniera, procedura di liquidazione
inconsueta per l'interessato e spesso di durata inammissibilmente lunga).

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Si è perciò ritenuto di consentire a ogni persona residente nell’UE,
danneggiata da un veicolo assicurato in altro paese dell’UE o in un paese
aderente al sistema della carta verde, di ottenere la liquidazione
dell’indennizzo “secondo modalità ad essa familiari” (XII “Considerando
Dir. 2000/26).
La disciplina sui “sinistri intracomunitari” di cui agli artt. 152 e ss. cod.
ass. presuppone che ricorrano congiuntamente i seguenti elementi di
fatto:
(a) la vittima risieda in un paese membro dell’UE;
(b) il danno sia stato causato da un veicolo che:
(b’) sia assicurato da impresa stabilita in un paese dell’UE diverso da
quello di residenza della vittima, ovvero da impresa avente sede in un
paese terzo aderente al sistema della carta verde (vedi supra, ***);
(b’’) sia abitualmente stazionante in un paese dell’UE diverso da quello di
residenza della vittima.
L’ultimo comma dell’art. 151 cod. ass. consente alla vittima di
promuovere l’azione per il risarcimento direttamente nei confronti
dell’assicuratore del responsabile. Ai sensi del combinato disposto
dell'articolo 11, paragrafo 2, e dell'articolo 9, paragrafo 1, lettera b), del
regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000,
concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e
l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, la parte lesa
può citare in giudizio l'assicuratore della responsabilità civile nello Stato
membro in cui essa è domiciliata. Tuttavia nella decisione della
controversia il giudice dovrà fare applicazione delle norme applicabili al
caso di specie in base ai criteri di collegamento dettati dalle norme di
diritto internazionale privato.
Il sistema di indennizzo per i sinistri avvenuti all’estero è completato dalla
previsione del “mandatario per la liquidazione dei sinistri”, che deve
essere obbligatoriamente nominato in ciascuno dei paesi dell’UE da ogni
impresa stabilita in un qualsiasi paese membro. La nomina è condizione

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per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio (art. 14, comma 1, lettera
(h), cod. ass.). Il mandatario per la liquidazione dei sinistri è un organo
rappresentativo dell’impresa assicuratrice, al quale la legge demanda il
compito di: (a) ricevere la richiesta di risarcimento; (b) istruire la pratica e
formulare l’offerta risarcitoria; (c) pagare l’indennizzo nel caso venga
accettato dalla vittima. Per svolgere tutte queste attività, il mandatario
deve avere il potere di rappresentare l’assicuratore: dunque gli atti da lui
compiuti sono tutti imputabili all’assicuratore preponente. Si tratta quindi
un mandato con rappresentanza.
La legge è piuttosto ambigua (anzi, reticente) sulla possibilità per la
vittima di convenire in giudizio direttamente il mandatario, in nome e per
conto dell’impresa preponente. Tale possibilità parrebbe esclusa dall’art.
153 cod. ass., il quale prevede che se il mandatario non fa l’offerta entro
tre mesi dalla richiesta di indennizzo, “il danneggiato può rivolgersi
all’Organismo di indennizzo italiano secondo quanto previsto all'articolo
298”. Riterrei tuttavia preferibile la soluzione opposta, e cioè che nel caso
in cui il mandatario nulla offra al danneggiato, ovvero formuli un’offerta
ritenuta incongrua, la vittima possa convenire il mandatario medesimo,
quale rappresentante dell’impresa assicuratrice, dinanzi al giudice
italiano, e per l’esattezza dinanzi al giudice del luogo di residenza o
domicilio della vittima stessa.
Tanto si desume, a mio avviso, da un reticolo normativo composto, in
primo luogo, dagli artt. 11, paragrafo 2, e 9 paragrafo 1, lettera b), del
regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000,
concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e
l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, secondo cui
nell’assicurazione della r.c.a. la parte lesa può citare in giudizio
l'assicuratore della responsabilità civile nello Stato membro in cui essa è
domiciliata; ed in secondo luogo dal XVI “Considerando” della Direttiva
2000/26 (c.d. Quarta direttiva auto, cui ha dato attuazione il d. lg. 190/03,
poi trasfuso nel cod. ass.), ove si stabilisce che “il mandatario per la

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liquidazione dei sinistri dovrebbe essere dotato di poteri sufficienti per
rappresentare l'impresa di assicurazione nei confronti delle persone che
hanno subito un danno in seguito a tali incidenti e per rappresentarla
dinanzi alle autorità nazionali e, se necessario, dinanzi ai tribunali”. In
tale contesto, la previsione di cui all’art. 153 cod. ass. va intesa come una
mera facoltà, e non un obbligo per la vittima: detto altrimenti, dinanzi alla
renitenza del mandatario, la vittima può alternativamente o chiedere il
risarcimento all’organismo di indennizzo, ovvero citare in giudizio il
mandatario, in nome e per conto dell’impresa del responsabile.

9. La procedura stragiudiziale di liquidazione del danno.


9.1. Nelle ipotesi ordinarie.
Modi e tempi per l’accertamento e la liquidazione stragiudiziali del danno
sono minuziosamente stabiliti dall’art. 148 cod. ass., il quale costituisce la
trasfusione nel cod. ass., con modificazioni, dell’art. 3 d. l. 857/76, conv.
nella l. 39/77, e poi più volte modificato: dall'art. 126, comma 2, lett. b),
D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 175; dall'art. 5, commi 1 e 7, L. 5 marzo 2001,
n. 57, dagli artt. 23, comma 2 e 26, commi 1 e 2, L. 12 dicembre 2002, n.
273).
L’art. 148 cod. ass., analogamente al previgente art. 3 d.l. 857/76,
prevede che la liquidazione stragiudiziale dell’indennizzo si articoli
attraverso tre fasi.
La prima fase è quella della richiesta di risarcimento da parte del
danneggiato. Essa è soggetta a regole parzialmente diverse, a seconda
che il sinistro abbia causato soltanto danni a cose, ovvero anche danni a
persone.
Regola comune è che la richiesta di risarcimento sia inviata ai sensi
dell'art. 145 cod. ass., e contenga l’indicazione del codice fiscale del
richiedente e delle modalità del sinistro. Ai sensi dell'art. 10 del d.p.r.
16.1.1981, n. 45, non abrogato dal cod. ass., la richiesta di
risarcimento deve essere indirizzata all'assicuratore presso l'ufficio

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incaricato della liquidazione ovvero presso l'agenzia presso la quale è
stato concluso il contratto o alla quale quest'ultimo è stato assegnato
ovvero presso la sede sociale.
Nel caso di danno a cose, alla richiesta va allegata la denunzia di
sinistro redatta utilizzando il modulo di cui all’art. 143 cod. ass., e devono
essere in essa indicati il luogo, i giorni e le ore in cui le cose danneggiate
sono disponibili per l'ispezione diretta ad accertare l'entità del danno. Il
principio è ribadito dall'art. 9 d.p.r. n. 45/81, che non è stato abrogato dal
cod. ass., il quale precisa che nella richiesta vanno indicati almeno 8
giorni, con l'indicazione delle relative ore lavorative, in cui le cose
danneggiate sono disponibili per la valutazione dei danni,
Nel caso di danno alle persone, la richiesta deve contenere invece i dati
relativi all'età, all'attività del danneggiato, al suo reddito, all'entità delle
lesioni subite, da attestazione medica comprovante l'avvenuta guarigione
con o senza postumi permanenti, nonché la dichiarazione che il
richiedente non ha diritto a prestazioni da parte di assicuratori sociali. La
norma tuttavia non può essere interpretata alla lettera nella parte in cui
esige l’allegazione del “certificato di guarigione”, giacché in caso di gravi
lesioni questa potrebbe verificarsi (o meglio, la stabilizzazione dei
postumi potrebbe avvenire) anche a distanza di anni dal sinistro, durante i
quali non si può certo lasciare la vittima priva dell’indennizzo.
Circa gli effetti dell’incompletezza della richiesta risarcitoria si veda supra,
§ 2.
Ricevuta la richiesta del danneggiato, l’assicuratore ha l’obbligo giuridico
di attivarsi per stimare i danni e liquidare l’indennizzo. Inizia così la
seconda fase del procedimento stragiudiziale, che ha ad oggetto
l’accertamento del danno e la formulazione dell’offerta. In questa fase si
richiede al danneggiato massima collaborazione con l’assicuratore, il
quale ovviamente non potrebbe mai stimare alcun danno alla persona
della vittima od a cose di sua proprietà, ove quest’ultima non metta se
stesso o le sue cose a disposizione dell’assicuratore. Molto

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opportunamente, pertanto, il comma 3 dell’art. 148 cod. ass. stabilisce
che se il danneggiato rifiutare gli accertamenti strettamente necessari alla
valutazione del danno alla persona da parte dell'impresa, i termini
concesso all’assicuratore per la formulazione dell’offerta sono sospesi; la
norma non dice fino a quando, ma deve ritenersi fino a che il danneggiato
non accetti di farsi visitare. Non si comprende, peraltro, perché mai la
sospensione dei termini è prevista se l’assicurato rifiuti di farsi visitare, e
non se rifiuti di mettere le cose danneggiate a disposizione
dell’assicuratore.
Accanto alla conseguenza espressamente prevista dall’art. 148, comma
3, cod. ass., il rifiuto della vittima di collaborare con l’assicuratore perché
questi possa stimare il danno può avere anche altre conseguenze:
secondo la giurisprudenza, infatti, la mancata collaborazione della vittima
costituisce una violazione del principio - desumibile dell’art. 1206 c.c. -
secondo cui il creditore deve comunque compiere quanto necessario
perché il debitore possa adempiere, con la conseguenza che in questo
caso non sono dovuti gli interessi compensativi sulla somma liquidata a
titolo di risarcimento del danno (in tal senso Trib. Milano, 27.11.1995, in
Assicurazioni 1997, II, 37; Trib Roma 19. 1991994, in Riv. giur. circolaz.
trasp. 1995, 346).
Dalla ricezione della richiesta, decorre per l’assicuratore un termine per
formulare l’offerta risarcitoria al danneggiato. Tale termine è di:
(a) 30 gg., nel caso di sinistri con soli danni a cose, le cui ,modalità siano
state riportate sul modulo dei denuncia sottoscritto da ambedue i
conducenti;
(b) 60 gg., nei casi di sinistri con danni a cose, quando non vi sia la
constatazione amichevole;
(c) 90 gg., nel caso di sinistri con danni a persone.
Se invece la richiesta è incompleta, l’assicuratore ha 30 gg. di tempo per
richiedere al danneggiato l’idonea integrazione; in questo caso i termini

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appena indicati decorrono ex novo dalla ricezione dell’integrazione
richiesta (art. 148, comma 5, cod. ass.).
Quando la richiesta è completa, ovvero una volta ricevuta l’integrazione,
l’assicuratore deve - nei termini sopra indicati - comunicare al
danneggiato se intende aderire alla sua richiesta oppure no: nel primo
caso offrendogli a titolo di risarcimento una somma «congrua» rispetto
all'entità del danno; nel secondo caso spiegando in modo analitico e
circostanziato i motivi per i quali ritiene di non poter fare alcuna offerta.
Si è ritenuto in giurisprudenza che qualora l'assicuratore comunichi
(motivando) di non ritenere di formulare offerta alcuna, il danneggiato può
promuovere il giudizio senza attendere il compimento dei sessanta giorni
assegnato all'assicuratore dall'(abrogato) art. 22 l. ass. r.c.a. (Trib.
Reggio Emilia 26.4.1985, in Resp. civ. prev. 1985, 447).
L'assicuratore può offrire e versare il risarcimento in base alla facoltà
concessagli dal secondo comma dell'art. 1917 c.c., anche senza aver
svolto i preventivi accertamenti ed a seguito di semplice richiesta da parte
del danneggiato (Cass. 25.7.1981, n. 4821, in Giust. civ. 1982, I, 482).
L’art. 148 cod. ass. non sembra coordinato con l’art. 287 cod. ass. (il
quale disciplina l’ipotesi di azione diretta promossa nei confronti
dell’impresa designata), così come il previgente art. 3 d.l. 857/76 non era
coordinato con l’art. 22 l. 990/69. Ed infatti mentre l’art. in esame fissa
all’assicuratore 90 gg. per formulare l’offerta risarcitoria nel caso di sinistri
con danni a persone, l’art. 287 cod. ass. fissa il termine che deve
intercorrere tra la richiesta di risarcimento e la notifica della citazione, ai
fini della procedibilità della domanda, in 60 giorni. Sicché ben potrebbe
accadere, stando alla lettera della legge, che possa essere convenuto in
giudizio un assicuratore che non sia ancora in mora.
Nel sistema previgente, l’identico contrasto tra gli artt. 22 l. 990/69 e 3 d.l.
85/76 aveva dato a luogo ad opinioni diverse: secondo un primo e
minoritario orientamento sarebbero state improcedibili tutte le domande
relative ai sinistri considerati nelle fattispecie previste dall'art. 3 l. n. 39/77,

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per i quali non fossero stati rispettati sia gli adempimenti di cui all'art. 3
cit. che quelli previsti dall'art. 22 l. ass. r.c.a. La seconda tesi propendeva
per una visione autonoma delle due norme. Infatti dal dato testuale
dell'art. 3 l. 39/77 non emerge né un obbligo né un onere per il
danneggiato di seguire la procedura ivi descritta, per cui le due procedure
operano su piani paralleli ed il riferimento che detto art. 3 fa all'art. 22 l.
ass. r.c.a. attiene non alla procedibilità della domanda, ma alla
presentazione della richiesta di risarcimento, per cui, mentre l'art. 22
regola una condizione di procedibilità, l'art. 3 disciplina una specifica
procedura rapida di risarcimento dei danni in sede stragiudiziale.
Questo secondo orientamento è stato seguito anche dalla giurisprudenza
(Cass. 7.6.1991, n. 6507, in Arch. circolaz. 1991, 745; A Torino,
22.2.1982, in Riv. giur. circolaz. trasp. 1984, 267; T Napoli, 22.8.1983, in
Riv. giur. circolaz. trasp. 1984, 702) che ha osservato che l'inosservanza
dell'onere di allegare alla richiesta di risarcimento dei danni da r.c.a. il
modulo debitamente compilato, prescritto dagli artt. 3 e 5 l. n. 39/77, non
è causa di improcedibilità della domanda giudiziale, perché
all'inosservanza delle predette disposizioni non può essere estesa la
sanzione di improcedibilità di cui all'art. 22 l. ass. r.c.a., per il caso di
inosservanza della domanda stragiudiziale di risarcimento, rispetto alla
quale le disposizioni dei citati artt. 3 e 5 non hanno funzione integrativa,
essendo piuttosto volute per gli altri effetti di ordine sostanziale dalle
stesse disposizioni indicati.
Una volta che l’assicuratore abbia formulato l'offerta risarcitoria possono
verificarsi tre ipotesi: la prima, secondo cui il danneggiato accetta
l'offerta stessa; la seconda, che prevede che il danneggiato rifiuti l'offerta
e la terza, in cui il danneggiato, entro trenta giorni dalla ricezione
dell'offerta, non faccia pervenire alcuna risposta. In tutte e tre le ipotesi
l'assicuratore è tenuto a corrispondere al danneggiato la somma offerta
nel termine di 15 giorni.

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Se il danneggiato accetta l'offerta, l'assicuratore è tenuto ad inviare la
somma al creditore entro quindici giorni dalla ricezione dell'accettazione.
Il pagamento può avvenire mediante invio di vaglia postale o di assegno
all'indirizzo indicato dal danneggiato nella denunzia di sinistro, ovvero
mediante accredito della somma su conto corrente (art. 12 d.p.r. n.
45/81).
Se il danneggiato rifiuta l'offerta l'assicuratore è tenuto parimenti a pagare
la somma entro 15 giorni dalla ricezione del rifiuto e l'ammontare
corrisposto verrà computato nella liquidazione definitiva del danno, ai
sensi dell'art. 145 c. 7 (Cass. 7.1.1987, n. 9, in Giust. civ. 1987, I, 1141;
Cass. 7.1.1987, n. 10, in Assicurazioni 1987, II, 2, 155). È consentito
all'assicuratore di mettere a disposizione la somma presso un'azienda di
credito (art. 13 d.p.r. n. 45/81).
La stessa cosa si verifica se il danneggiato non accetta né rifiuta l'offerta;
anche in tal caso l'assicuratore, nei quindici giorni successivi ai trenta
concessi per la risposta al danneggiato deve provvedere al pagamento
con le modalità predette. Qualora la somma sia stata messa a
disposizione del danneggiato presso un'azienda di credito, con
comunicazione del deposito al danneggiato, se questo non la ritiri entro
un anno, la somma può essere ritirata dall'assicuratore (art. 13 d.p.r. n.
45/81).
La dottrina ritiene che, se l'offerta è accettata, si è concluso un vero
contratto di transazione, che è la fonte dell'obbligo dell'assicuratore.
Se, invece, l'offerta dell'assicuratore non è accettata, la fonte
dell'obbligazione di quest'ultimo è costituita dalla legge e precisamente
dalla norma in esame. La tesi è condivisa dalla S.C. (7.1.1987, n. 10, in
Giur. it., 1988, I, 868) che ha ritenuto che nel momento in cui
l'assicuratore avanza l'offerta si viene a determinare il superamento della
prima fase della procedura prevista dall'art. 3 l. 39/77 (oggi trasfuso
nell’art. 145 cod. ass.) con la conseguenza che perdono di rilievo i
presupposti sulla base dei quali l'assicuratore ha avanzato l'offerta, ed in

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particolare non rilevano più le modalità prescritte per la richiesta iniziale
che dà l'avvio alla procedura.
Una volta che offerta ed accettazione siano intervenute derivano i
seguenti effetti giuridici:
a) il danneggiato (creditore) non ha più alcun onere di richiesta né di
intimazione o messa in mora;
b) l'assicuratore debitore deve senz'altro provvedere entro quindici giorni,
alla corresponsione della somma concordata;
c) in caso di inosservanza di detto termine e in conseguenza della mora
debendi, egli sarà tenuto altresì al pagamento degli interessi ed al
risarcimento di eventuali danni;
d) resta per di più soggetto ad una sanzione pecuniaria amministrativa
(ex art. 314 cod. ass.).
Il sistema previgente al cod. ass. prevedeva due ordini di condotte
sanzionabili a carico dell’assicuratore che non si attenesse alle previsioni
di legge in tema di offerta risarcitoria. Sanzioni erano previste sia nel caso
di violazione dei termini per le offerte od i pagamenti, sia nel caso di
offerta di una somma incongrua. Quest’ultima previsione è stata abrogata
dal cod. ass., che l’ha sostituita con l’assai più blanda misura dell’obbligo
per il giudice di trasmettere copia della sentenza all’Isvap.
Le sanzioni sono attualmente previste dall’art. 315 cod. ass., e sono
scaglionate secondo la gravità del ritardo, secondo quanto risulta dal
seguente quadro sinottico:
Condotta Sanzione
ritardo fino a 30 gg. da 300 a 900 €
ritardo fino a 60 gg. da 900 a 2.700 €
ritardo fino a 90 gg. da 2.700 a 5.400 €
ritardo fino a 120 gg. da 5.400 a 10.800 €
Ritardo nella formulazione dell’offerta
danni a cose: da
10.800 a 30.000 €
ritardo oltre 120 gg.
danni a persone: da
20.000 a 60.000 €
Ritardo nel pagamento della somma ritardo fino a 30 gg. da 300 a 900 €
offerta ritardo fino a 60 gg. da 900 a 2.700 €
ritardo fino a 90 gg. da 2.700 a 5.400 €

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ritardo fino a 120 gg. da 5.400 a 10.800 €
danni a cose: da
10.800 a 30.000 €
ritardo oltre 120 gg.
danni a persone: da
20.000 a 60.000 €
ritardo fino a 30 gg. da 300 a 900 €
ritardo fino a 60 gg. da 900 a 2.700 €
ritardo fino a 90 gg. da 2.700 a 5.400 €
ritardo fino a 120 gg. da 5.400 a 10.800 €
Omessa comunicazione del diniego danni a cose: da
dell’offerta 10.800 a 30.000 €
danni a persone: da
ritardo oltre 120 gg.
20.000 a 60.000 €
danni a persone: da
20.000 a 60.000 €

E’ prevista altresì la riduzione del 3% di tutte le sanzioni sopra indicate,


se l’assicuratore, pur formulando in ritardo l’offerta risarcitoria, provveda
contestualmente a pagare la somma offerta.
Di tali sanzioni risponde l’impresa, tranne nel caso in cui risulti che
l’illecito sia stato commesso da un dipendente o collaboratore
dell’impresa, con abuso dei doveri di ufficio e per trarne personale
vantaggio. In questa ipotesi, tuttavia, l’impresa risponde dell’illecito
amministrativo come responsabile civile, salva naturalmente la rivalsa
nei confronti dell’autore dell’illecito (art. 325 cod. ass.).

9.2. Nei casi di indennizzo diretto.


Gli artt. da 5 ad 8, e l’art. 11, del d.p.r. 254/06 disciplinano forma,
contenuto e termini della richiesta stragiudiziale di indennizzo che il
danneggiato deve inviare al proprio assicuratore, nonché forme e termini
dell’offerta che questi deve sottoporgli. Si tratta di disposizioni che
ricalcano in gran parte quelle dettate dall’art. 148 c.a., le quali ultime
resteranno comunque applicabili in via analogica per quanto non disposto
dal regolamento: così, non vi è dubbio che l’assicuratore anche nel
sistema dell’indennizzo diretto non potrà ritenersi in mora se il
danneggiato rifiuta di sottoporsi ai necessari accertamenti medico legali,

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ovvero si sottrae all’onere di consentire l’ispezione dei relitti o delle tracce
del sinistro.
Merita di essere segnalato che l’assicuratore della vittima, ove ritenga
non applicabile la procedura di indennizzo diretto (ad es., perché il danno
alla persona ha causato postumi permanenti superiori al 9%) ha l’obbligo
di darne avviso all’assicurato e, contestualmente, all’assicuratore del
responsabile, se a lui noto (art. 11 Reg.). La violazione di tale obbligo non
è espressamente sanzionata, ma poiché la comunicazione inviata
dall’assicuratore della vittima a quello del responsabile ha l’effetto di
costituire in mora quest’ultimo, ci si potrebbe chiedere se la colposa
omissione da parte dell’assicuratore dell’obbligo di avviso possa essere
idonea a far sorgere una sua responsabilità, nel caso di prescrizione del
diritto al risarcimento.
L’articolo 9 del regolamento sull’indennizzo diretto contiene, a mio modo
di vedere, l’aspetto più importante e più innovativo della nuova disciplina:
il danneggiato non viene più lasciato solo dinanzi al responsabile ed alle
(talora) complesse procedure di accertamento del danno e liquidazione
dell’indennizzo, ma gli si offre un consulente gratuito, il quale ha l’obbligo
giuridico di mettersi a disposizione del danneggiato ed assisterlo nella
procedura di indennizzo. E questo consulente gratuito è l’assicuratore
della vittima.
Si tratta di una norma che, se correttamente ed effettivamente applicata,
non potrà non comportare lo sconvolgimento di prassi ormai consolidate,
il superamento di mentalità vetuste, l’adozione di procedure di
composizione e prevenzione delle leggi profondamente diverse da quelle
diffusesi negli ultimi trent’anni. Mi sentirei anzi di aggiungere che dal
maggiore o minore ossequio che la prassi riserverà alla norma in esame
dipenderà buona parte del successo del nuovo istituto: una adesione
totale allo spirito della riforma potrà davvero accelerare i tempi del
risarcimento, ed evitare tanto sperequazioni quanto duplicazioni
risarcitorie; per contro, se l’ossequio alla disposizione in commento sarà

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soltanto formale tutto resterà come prima, ed il sistema dell’indennizzo
diretto si risolverà semplicemente in una modificazione del soggetto
passivo dell’obbligazione indennitaria.
L’art. 9, comma 1, reg. cit., stabilisce che “l'impresa, nell'adempimento
degli obblighi contrattuali di correttezza e buona fede, fornisce al
danneggiato ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire la
migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al
risarcimento del danno. Tali obblighi comprendono, in particolare, oltre a
quanto stabilito espressamente dal contratto, il supporto tecnico nella
compilazione della richiesta di risarcimento, anche ai fini della
quantificazione dei danni alle cose e ai veicoli, il suo controllo e
l'eventuale integrazione, l'illustrazione e la precisazione dei criteri di
responsabilità di cui all'allegato A”.
Si tratta dunque di una norma che pone a carico dell’assicuratore del
danneggiato una serie di obblighi. Di tali obblighi proviamo a stabilire:
(a) la natura;
(b) il contenuto;
(c) i soggetti su cui gravano;
(d) le conseguenze in caso di violazione.

(A) Natura dell’obbligo di assistenza.


L’obbligo di assistenza della vittima ha natura contrattuale, come si
desume dal richiamo ai doveri di correttezza e buona fede contenuto nel
primo comma dell’art. 9 reg. 254/06.
Tale previsione è del tutto conforme al “sistema” del diritto del contratto di
assicurazione. Si consideri infatti che il sistema dell’indennizzo diretto si
applica, come già visto, ai danni patiti:
- dal proprietario del veicolo;
- dal proprietario delle cose trasportate, se coincide col proprietario o col
conducente;

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- dal conducente, limitatamente ai danni alla persona od alle cose
trasportate.
Or bene, proprietario e conducente ovviamente possono anche essere
persone diverse dal contraente che ha stipulato la polizza; ma esse
rivestono necessariamente la qualifica di “assicurato”. Infatti, poiché la
polizza deve coprire la r.c. di cui all’art. 2054 c.c., e poiché in caso di
sinistro il proprietario ed il conducente sono presunti responsabili dalla
norma appena citata, essi sono sempre beneficiari in senso tecnico
dell’assicurazione, che perciò è necessariamente stipulata per conto di
chi spetta. In quanto tali, essi possono invocare i diritti scaturenti dal
contratto, tra i quali rientra ex art. 1374 c.c., dopo l’entrata in vigore del
cod. ass., anche quello ad essere assistiti e consigliati in caso di danno.
Da questa qualificazione dell’obbligo di assistenza discende che la
violazione di esso, da parte dell’assicuratore, costituisce un
inadempimento contrattuale, con quanto ne consegue: (a) sul piano del
riparto dell’onere della prova, che graverà sull’assicuratore ex art. 1218
c.c., e non sul danneggiato; (b) sul piano della prescrizione, che sarà
annuale ex art. 2952 c.c..

(B) Contenuto dell’obbligo di assistenza.


L’art. 9, comma 1, reg. 254/06 stabilisce che l’assicuratore della vittima
debba fornire a quest’ultima “ogni assistenza informativa e tecnica utile
per consentire la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione
del diritto al risarcimento del danno”. Aggiunge che tra questi obblighi
rientra l’assistenza nella compilazione della richiesta di risarcimento e
l'illustrazione dei criteri di riparto della responsabilità tra i conducenti.
In merito a tale previsione va subito detto che l’obbligo di assistenza
dell’assicuratore non può esaurirsi nella mera compilazione di un modulo,
e nella consegna di un altro modulo che illustri i criteri di riparto della
responsabilità.
Ciò per due motivi.

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La prima ragione è che l’elencazione degli obblighi di assistenza
contenuta nell’art. 9 cit. è solo esemplificativa e non tassativa, come si
desume dall’uso dell’espressione “in particolare”.
La seconda ragione è che la prima parte della disposizione richiama i
doveri di correttezza e buona fede, e non sarebbe conforme a buona fede
una assistenza limitata al minimo indispensabile.
L’espressione “ogni assistenza informativa e tecnica utile per consentire
la migliore prestazione del servizio e la piena realizzazione del diritto al
risarcimenti” va dunque intesa in senso ampio, quale sinonimo di
assistenza e consulenza a 360 gradi, il cui unico limite è di ordine
negativo: l’assicuratore non è tenuto a fornire le sole informazioni, e non
è tenuto ad eseguire le sole attività di assistenza, che non siano
necessarie per l’integrale risarcimento del danno.
Così, per fare qualche esempio, la nuova disposizione imporrà
all’assicuratore di:
(a) informare il danneggiato sui criteri di riparto della responsabilità tra lui
e l’altro conducente coinvolto;
(b) fare eseguire con solerzia una perizia sul veicolo o sulle altre cose
danneggiate, ed una visita medico legale sulla persona della vittima;
(c) spiegare alla vittima i criteri con i quali il consulente od il perito sono
pervenuti alle rispettive conclusioni;
(d) illustrare al danneggiato quali sono i pregiudizi al cui risarcimento ha
diritto (patrimoniale, biologico, morale, da ritardato adempimento);
(e) illustrare al danneggiato i criteri attraverso i quali le indicazioni
scaturite dalla consulenza medico legale o dalla perizia sulle cose
danneggiate sono state convertite in danaro;
(f) se necessario, illustrare al danneggiato le ragioni per le quali non sono
indennizzabili taluni dei danni da lui pure invocati;
(g) controllare che la richiesta di risarcimento predisposta dall’assicurato
sia completa e conforme alle prescrizioni di cui all’art. 6 reg. 254/06; da
ciò discende, quale ineludibile corollario, che l’assicuratore il quale riceva

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una richiesta di indennizzo diretto formulata in termini scorretti od
incompleti, ha un vero e proprio obbligo contrattuale di “educare” (nel
senso etimologico) il danneggiato, spiegandogli come vada integrata o
corretta la richiesta.
Né basta.
E’ noto che, in tema di responsabilità derivante da sinistri stradali, non
sempre e non ogni aspetto del danno sono pacifici ed oggettivamente
accertabili. Oltre la misura della responsabilità, può essere controverso
quale sia il grado di invalidità permanente residuato al sinistro, ovvero
quali siano stati la durata ed il grado dell’invalidità temporanea; si può
controvertere sulla spettanza del danno da fermo tecnico, sulla
personalizzazione del risarcimento del danno biologico, sulla misura del
saggio da applicare per la liquidazione del danno da ritardato
adempimento (c.d. interessi compensativi), sulla misura del reddito da
porre a base del calcolo del danno da perdita della capacità di guadagno,
e via dicendo.
In questi casi, deve escludersi che l’art. 9 reg. 254/06 imponga
all’assicuratore di compiere in poco tempo accertamenti, ovvero di
prendere decisioni in diritto, i quali spesso esigono tre o più gradi di
giudizio, quando se ne discuta in sede giurisdizionale. Nemmeno però
potrà ammettersi che l’assicuratore, dinanzi a situazioni oggettivamente
incerte, offra al danneggiato un indennizzo determinato con criteri oscuri,
senza informarlo delle possibili alternative e dei dubbi suscitati dal caso
concreto.
L’art. 9 cit. infatti impone all’assicuratore di prestare non un’assistenza
purchessia, ma un’assistenza finalizzata a garantire la piena
realizzazione del diritto al risarcimento del danno. Ora, una piena
realizzazione di tale diritto può effettivamente sussistere solo quando il
danneggiato, posto dinanzi ad una offerta transattiva, sia adeguatamente
informato dei criteri in base ai quali si sia pervenuti a formulare quella
offerta, ivi compresa la sussistenza di eventuali dubbi od incertezza circa

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l’esistenza o la risarcibilità di uno o più danni. Diversamente, il
danneggiato non potrebbe mai sapere se la somma che gli viene offerta
sia equa o meno, e non potrebbe mai esercitare liberamente e con
cognizione di causa la propria libertà negoziale di transigere la
controversia. Detto altrimenti, il danneggiato per effetto dell’art. 9 cit. ha
diritto ad un vero e proprio “consenso informato” su tutte le caratteristiche
dell’obbligazione risarcitoria gravante sul responsabile, ed anche sui
possibili rischi od incertezze di una eventuale lite giudiziaria. Quest’ultimo
tipo di informazioni, anzi, costituisce un elemento indefettibile del
pacchetto di informazioni cui il danneggiato ha diritto, perché non può
dirsi libera ed informata la scelta di accettare (o non accettare) la somma
offerta, quando l’assicurato non sia messo in grado di valutare i pro ed i
contra del ricorso alla giurisdizione.
Tutto questo vuol dire, per fare qualche esempio, che l’assicuratore
nell’ambito dell’assistenza di cui all’art. 9 reg. 254/06 dovrà:
- informare l’assicurato che la misura del danno biologico può essere
aumentata, se allega circostanze particolari, ai sensi dell’art. 140, comma
3, cod. ass.;
- informare l’assicurato che la liquidazione del danno c.d. da fermo
tecnico è oggetto di contrasti, per cui taluni giudici lo presumono ed altri
invece esigono la prova rigorosa di esso;
- informare l’assicurato che non esistono norme di legge sulla
liquidazione del danno non patrimoniale diverso da quello biologico, e che
dunque in un eventuale giudizio tale liquidazione può essere oscillante;
- informare l’assicurato che ha diritto al ristoro del danno da lucro
cessante per ritardato adempimento dell’obbligazione risarcitoria, da
liquidarsi applicando un saggio di interessi scelto in via equitativa, ed
applicato sulla credito risarcitorio via via rivalutato anno per anno.

(C) I soggetti tenuti a fornire l’assistenza.

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L’obbligo di assistenza grava sull’ “impresa”, secondo l’art. 9 reg. cit.. Si
tratta (l’ennesima) infelice ed atecnica espressione per designare
l’assicuratore del responsabile (società di capitali o mutua assicuratrice,
rispetto alla quale l’impresa è solo l’oggetto sociale), ma che comunque
non consente dubbi sull’individuazione del soggetto obbligato.
Ovviamente, l’assicuratore fornirà l’assistenza per mezzo di incaricati,
che potranno essere sia gli agenti, sia i liquidatori, sia persone delegate
ad hoc. In tutti i casi, la persona incaricata dell’assistenza adempirà un
obbligo contrattuale dell’assicuratore in nome e per conto di quest’ultimo,
e dunque del suo operato l’assicuratore stesso sarà sempre tenuto a
rispondere ex art. 1228 c.c.. Pertanto, nel caso di assistenza infedele o
carente, fornita da un agente, l’assicuratore risponderà dell’operato di
quest’ultimo, quand’anche si tratti di agente privo di potere
rappresentativo.

(D) Le conseguenze in caso di violazione dell’obbligo di assistenza.


L’obbligo di assistenza, come accennato, ha natura contrattuale.
L’inadempimento di esso pertanto costituisce un inadempimento, il quale
legittima l’avente diritto a chiedere:
(a) la condanna dell’assicuratore al risarcimento del danno, ex art. 1218
c.c.;
(b) nei casi più gravi, la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c..
L’assistenza in esame, come già visto, va fornita al fine di garantire la
piena realizzazione del diritto al risarcimento del danno, e cioè di un
credito. Di conseguenza l’inadempimento dell’obbligo di assistenza si
traduce di per sé in un danno da lesione del credito. Tale danno sussiste,
in particolare, quando il danneggiato (vuoi perché male informato, vuoi
perché mal consigliato, vuoi perché dolosamente indotto in errore)
accetta un indennizzo inferiore a quello che gli sarebbe ragionevolmente
spettato secondo diritto. Si è visto infatti che la quietanza rilasciata dal
danneggiato al proprio assicuratore ha effetto liberatorio anche nei

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confronti del responsabile (né potrebbe il danneggiato aggiungervi
clausole di salvezza, del tipo “resta salvo ogni diritto nei confronti del
responsabile”, o simili), e pertanto se il danneggiato sottovaluta il proprio
credito, a causa delle male arti o del mal talento del proprio assicuratore,
ed accetta un indennizzo ridotto, non potrà poi più invocare alcunché nei
confronti dell’effettivo responsabile del sinistro.

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