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Falso sonetto di Franco Fortini
Falso sonetto
1951
tit.
Falso sonetto] DG Sonetto
1 spirito,] DG spirito
4 spenti,] DG spenti
5 lasciarmi ora] BO lasciarmi, ora
6 saranno, e soli, gli anni dei miei giorni] BO DG PE59 pochi anni ancora ormai andrò nel
giorno PE69 PE pochi anni ancora andrò così nel giorno
8 il vero] BO DG PE59 le cose
9 polvere.] BO polvere;
11 parole,] BO DG parole
13 so che anzi l’alba mi rechi. Ma il giorno] BO anzi l’alba ad ogni uomo levi eguali.
14 non le ritrova e non le riconosco] BO Non lasciarmi, remoto alito, solo DG non le ri-
trova, e non ti riconosco
* Le raccolte di Fortini si citano, salvo diversa indicazione, dalle edizioni seguenti e si abbrevia-
no così: DG = I destini generali, Roma-Caltanissetta, Sciascia, 1956; FV = Foglio di via, in Una volta per
sempre. Poesie 1938-1973,Torino, Einaudi, 1978, pp. 1-58, 357-62; PE = Poesia e errore, in Una volta per
sempre cit., pp. 59-198, 363-66; QM = Questo muro, in Una volta per sempre cit., pp. 271-352, 369-71;
1. Falso sonetto va a stampa con un pugno di altre poesie nel quarto qua-
derno di «Botteghe oscure», 1949; tuttavia resta poi escluso dalle plaquettes usci-
te alla macchia fra ’53 e ’55 (Sei poesie per Ruth e una per me, Una facile allegoria
e In una strada di Firenze) per figurare nei Destini generali (1956)1, più ampi e
sotto questo aspetto prelusivi alla ricapitolazione di Poesia ed errore, dove in pri-
ma edizione ’59 Fortini congloba tutto l’edito, compreso l’esordiale Foglio di
via. Importa anche notare subito nella cornice del testo, non senza qualche sor-
presa, due fatti che necessitano di interpretazione: il titolo si ribalta momenta-
neamente in Sonetto nei Destini generali; in Poesia ed errore e poi nelle ristampe
l’anno indicato in calce secondo prassi della raccolta – 1951 – risulta in effet-
ti posteriore alla sua prima comparsa in rivista (elemento nient’affatto secon-
dario, se altrove l’autore ha sentito il bisogno di avvertire: «quando nel titolo di
una composizione, o dopo la sua chiusa, si legge una data, tale indicazione è
intenzionale e vorrebbe essere intesa insieme ai versi», PS 109). Forse questa ra-
pida sequela di sillogi e date rivela già alcune prerogative del testo che qui si
vuole mettere a fuoco. Si sa che Fortini persegue alla sua opera poetica, con
crescente volontarismo, un tratto non di unitarietà ma sì di forte continuità,
com’è palmare nel caso dei componimenti che, adagiati in fine di una raccol-
ta, si riaffacciano identici nell’esergo della successiva, con aggancio per anadi-
plosi (La gioia avvenire, FV 58 e PE 61, L’ordine e il disordine, QM 352 e PS 3); e
per questa via si giunge all’audace ripresa incipitaria del primo testo di Foglio
di via nell’ultimo, appendici escluse, di Composita solvantur («E questo è il son-
no…» Come lo amavamo, il niente, CS 62-63), congedo testamentario e insieme
omaggio a una fedeltà, a un’identità nel mutamento, così che vengono a con-
giungersi alfa e omega del liber fortiniano. Posto che anche l’organamento in-
terno delle raccolte in sezioni procede attraverso giochi di rimandi e opposi-
zioni, spesso binarie2, mette conto considerare preliminarmente la varia collo-
cazione del testo nel corso della sua vicenda editoriale.
Nei Destini generali, Falso sonetto fa serie con le altre composizioni a titolo
metrico, che costituiscono un filone breve ma facilmente riconoscibile entro la
LC = Il ladro di ciliege e altre versioni di poesia, Torino, Einaudi, 1982; PS = Paesaggio con serpente.Versi
1973-1983,Torino, Einaudi, 1984; OI = L’ospite ingrato primo e secondo, in Id., Saggi ed epigrammi, a cu-
ra e con un saggio introduttivo di L. Lenzini e uno scritto di R. Rossanda, Milano, Mondadori, 2003,
pp. 857-1127; VPD = Versi primi e distanti. 1937-1957, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1987; VS
= Versi scelti. 1939-1989,Torino, Einaudi, 1990; CS = Composita solvantur,Torino, Einaudi, 1994; PI =
Poesie inedite, a cura di P.V. Mengaldo,Torino, Einaudi, 1997.Altre sigle: BO = «Botteghe oscure», IV,
1949; PE59 = Poesia ed errore. 1937-1957, Milano, Feltrinelli, 1959; PE69 = Poesia e errore, Milano, Mon-
dadori, 1969. Il testo riprodotto rispecchia l’ultima redazione d’autore, quale compare in VS 69; in
calce è disposto il breve ma non trascurabile apparato evolutivo che si ottiene dal raffronto con le
precedenti edizioni del testo: BO 99-100, DG 43, PE59 149, PE69 99, PE 121 (non sono indicate le even-
tuali maiuscole di inizio verso; la data sottoscritta figura a partire da PE59). Anticipo qui, per gentile
concessione dei curatori, l’intervento letto al XXXII Convegno interuniversitario di Bressanone
«Contrafactum». Copia, imitazione, falso (8-11 luglio 2004). Ringrazio la dott.ssa Elisabetta Nencini del
Centro Studi Franco Fortini di Siena per la cortese consulenza, Andrea Afribo per i preziosi consi-
gli; a Fabio Magro devo lo spunto stesso di questo lavoro.
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misura non vasta della raccolta (nella prima sezione Canzone e Distici, adiacen-
ti e seguite a rincalzo da Metrica e biografia; nella seconda, oltre al nostro testo,
Quartine), e a queste mirerà dunque ad allinearlo il forzoso ritocco normaliz-
zante del titolo. Ma si osservi la sequenza iniziale della sezione II, entro cui Fal-
so sonetto viene a ricoprire la terza posizione: è la medesima sequenza iniziale,
fatta salva l’estromissione di Lettera, della sezione Altri versi in Foglio di via ’46
(Foglio di via, Lettera, La rosa sepolta, Sonetto), dove, a dispetto della perfetta iden-
tità di titolo qui raggiunta, il rapporto di opposizione (su cui torneremo) che si
intuisce intrattenga Sonetto di Foglio di via e Falso sonetto si esprime nel fatto che
il secondo scalza, per dir così, dalla sua sede naturale il primo. Nella forma pri-
mitiva ’59 di Poesia ed errore, organizzata secondo cogenti vincoli temporali (le
sezioni si intitolano 1937-1940, 1941-1945 ecc. e non prevedono deroghe alla
progressione cronologica), Falso sonetto si insedia in esordio della sezione 1951-
1953. Ma quanto cogenti questi vincoli, se la data che lo contrassegna discorda
per posticipazione, come s’è detto, da quella forse di composizione e certo di
prima stampa? Si potrebbe pensare, per economia d’ipotesi, che l’anno indica-
to sia quello di ultima rifinitura, date le varianti che intercorrono fra il testo
pubblicato in «Botteghe oscure» e quello dei Destini generali; ma ciò disdice il
fatto che altrove venga scrupolosamente indicata una doppia data (ad es. Arte
poetica, PE 85, Sestina a Firenze, PE 109-10), nonché la serie di correzioni, pur
minime, introdotte poi tra ’56 e ’59 (vd. sotto). L’eventualità di date erronee
non è del resto esclusa dall’autore: «Le date sono quelle che avevo segnate al
momento della redazione o che ho creduto di ricordare» (PE59 259); e qualche
sondaggio casuale lascia supporre piuttosto che Fortini, già al momento di or-
dinare il larghissimo regesto di presenze in Poesia ed errore ’59, non si limiti ad
annoverare neutralmente gli esiti della sua vena poetica, ma li solleciti a dispor-
si, almeno in taluni casi, secondo una parabola più netta e dotata di maggiore
forza storica: così ad esempio Per una raccolta di versi e Alla moglie, editi nel ’49
accanto a Falso sonetto sullo stesso quaderno di «Botteghe oscure». Il primo, al-
lorché viene incluso su Poesia ed errore ’59 col titolo mutato in Prefazione (PE59
126, ora VPD 67), reca in calce l’anno 1950, e si comprende che venga in tal
modo a precedere l’affine Per questa luce… (PE59 127), aperta su uno scenario
che è il medesimo della poesia antecedente: vie cittadine bagnate dal crepusco-
lo di un autunno prossimo all’inverno, ora osservate dai vetri di un interno do-
mestico (persino: «In questa luce […] finché sia giorno», Prefazione, vv. 7-9; «Per
questa luce che rimane», Per questa luce…, v. 1). Analogamente Alla moglie trova
spazio, una volta assegnato al 1950 e con titolo surrogato dall’incipit (Dove
sei…, PE59 137), accanto a Da poco mi sono… (PE59 135-36), col quale condivi-
de la dedicataria e la tecnica dialogica che alterna la voce del poeta a quella del-
l’amata; e si potrà anche scorgere in questo dittico la cellula germinale della sot-
tosezione Poesie per R. di Poesia e errore ’69, dove pure Dove sei… è tralasciato.
Meno facile, a tutta prima, reperire nessi che stringano ai componimenti circo-
stanti Falso sonetto, sicché è da credere che la postdatazione ne consenta soprat-
tutto il distacco dalla produzione poetica cui temporalmente appartiene, ben ri-
levato dalla sede inaugurale di sezione che gli è assegnata.
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bole spirito» ma «tenace» invocato in Falso sonetto: col nome di «fede» e «spe-
ranza» in Quartina (PE 132), dove con più forza l’accento cade sulla qualità di
resistenza («È un viso / esile, ma non cede», vv. 3-4), e in quanto presenza dei
morti, vinti e sommersi dalla storia ma revenants notturni nel sonno, in Piazza
degli Affari (PE 136-37: «i morti / i vinti che non hanno occhi né mente / gli
esangui che il gorgo vinceva / lucido sempre più in giù / e di gemiti esili ora
rigano / i sogni e qualche nostra voce», vv. 28-33). Il che, se per un verso con-
ferma il rilievo conferito a questo testo dalla posizione esordiale, per un altro
già ne fa intravedere un tratto caratteristico di maggiore indeterminazione e
chiusura che può ricevere luce dalla lettura in serie.
nella redazione dei Destini generali (cfr. vv. 1, 4, 11; ma vale la pena di ricorda-
re come per Fortini l’assenza di interpunzione equivalga in termini di princi-
pio ad oggettività di pronuncia, asciugata di ogni falsa vitalità espressiva che si
manifesta nei suggerimenti di tono, cfr. la Poetica in nuce di OI 962-63), per con-
siderare in ordine di stratificazione i tre luoghi sottoposti a mutamenti di so-
stanza (vv. 6, 8, 13-14). La modifica più larga e decisiva corregge il tiro della
clausola e cade già fra pubblicazione in rivista e prima inclusione in raccolta.
Il rifacimento («parole ancora dal fondo dei sonni / anzi l’alba ad ogni uomo
levi eguali. / Non lasciarmi, remoto alito, solo» → «parole ancora dal fondo dei
sonni / so che anzi l’alba mi rechi. Ma il giorno / non le ritrova, e non ti ri-
conosco») ottiene insieme di circoscrivere l’esperienza al soggetto, configuran-
do sull’asse paradigmatico del componimento osservato in diacronia quel pas-
saggio dalla collettività all’io che già si è notato sull’asse sintagmatico della se-
zione di raccolta, e di sostituire ai modi pateticamente mossi dell’allocuzione
il piano referto di un esito negativo. Nella sintassi, che muta di conserva, ven-
gono meno il sincronismo tra misura di verso e misura di frase e l’asindeto, sì
da annullare lo stacco, prima molto netto, della frase finale. Ma l’intervento in-
cide anche sulla tenuta complessiva del testo, obliterando in seconda battuta
ogni elemento ritornante che ne conferiva circolarità e marcatezza di chiusa:
«Non lasciarmi», v. 14, replica enfatica di «tu non lasciarmi», v. 5; «remoto ali-
to», v. 14, ad anello con l’iniziale «alito tenace», v. 1 (parziale compenso, torna
nel gioco rimico al v. 13 giorno del v. 6, con rima identica poi attenuata). E co-
sì vale per l’assetto prosodico, dove a un endecasillabo scandito su quattro ic-
tus, secondo figura costante del testo (in cinque tempi forse il v. 4), si avvicen-
da al v. 14 un endecasillabo giocato su due accenti forti di parola («non le ri-
tróva e non le riconósco»; eventualmente promovibile a ictus il non di 6a), con
esito di brusca chiusura e slegatura da quanto precede (meno scoperte ma af-
fini conseguenze si osservano anche sull’ordito delle rime, su cui più avanti).
La ricerca di un simile effetto per il verso conclusivo sarà espressamente di-
chiarata da Fortini per la propria versione del Lycidas di Milton: «l’ultimo ver-
so vorrebbe introdurre un mutamento atonale e una disarmonia senza nessu-
na eco» (LC IX); e qualcosa di simile si osserva nel precedente e per tanti versi
antitetico Sonetto (FV 43), pur misto di alessandrini ed endecasillabi, che chiu-
de su un «disarmonico» endecasillabo di 5a: «enórme érra, tésta di cáne, ai trí-
vi». Con ragioni di ulteriore asciuttezza espressiva si spiega la successiva rifini-
tura del v. 14 («ti riconosco» → «le riconosco»), che espunge infine l’unico re-
siduo grammaticale dell’originario tono vocativo. Al v. 6 si ripara poi, tra pri-
ma e seconda edizione di Poesia e errore, alla défaillance dei due avverbi tempo-
rali in consecuzione ridondante («ancora ormai andrò nel giorno» → «ancora an-
drò così nel giorno»), ma più deciso è l’intervento per l’antologia, che conse-
gue anch’esso effetti su vari piani. Quanto alla lettera del testo, si evita ogni
possibilità di intendere in senso spicciamente cronachistico-biografico – in un
testo scritto quarant’anni prima – la predizione dei «pochi» anni residui («ora
che intendo quanti / pochi anni ancora andrò così nel giorno» → «ora che in-
tendo quanti / saranno, e soli, gli anni dei miei giorni»), mentre si acquista al
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contempo altra densità e astrazione al dettato («gli anni dei miei giorni», a can-
nocchiale rovesciato:‘gli anni della mia vita’, agudeza che non disconviene alla
maniera del tardo Fortini)4. Quanto alla compaginazione metrica, si indeboli-
sce la rima identica, attestata a partire dai Destini generali, che allaccia a distan-
za i vv. 6 e 13 (giorno → giorni: giorno) e si mette la sordina sull’enjambement dei
vv. 5-6, che da sirrematico («quanti / pochi giorni») diventa – a seguire le ca-
tegorie di Menichetti – blandamente sintattico («quanti / saranno» ecc.). L’in-
tervento locale del v. 8, ancora fra ’59 e ’69, intende ovviare alla facile inde-
terminatezza della lezione primitiva, con netto rialzo tonale («le cose» → «il ve-
ro»), ma snuda anche un’opposizione fondamentale del testo, che si tende ades-
so fra titolo e variante.
È facile notare che la qualità di astrazione del testo sta in stretto rapporto con
la natura classica e per certi versi antisperimentale della lingua fortiniana. Ma
questa classicità, sempre notata dalla critica, varrà più che mai per il Falso sonet-
to, che saldamente si installa nel solco della tradizione poetica maggiore, desu-
mendone lessemi, sintagmi, giaciture ritmico-sintattiche. L’allocuzione incipita-
ria allo «spirito», ad esempio, è formalmente assimilabile a quella topica della tra-
dizione petrarchistica, dalla canzone allo «spirto gentil» (Rvf 53) in giù; e con
maggiore pertinenza si potrebbe forse rimandare al sonetto petrarchesco Spirto
felice che sì dolcemente (Rvf 352), nel quale, come qui, lo spirito reca parole all’io
(«et formavi i sospiri et le parole, / vive ch’anchor mi sonan ne la mente», vv. 7-
8, con parole-rima, ma sarà un caso, condivise dal nostro testo, vv. 2 e 11).Topi-
co è pure, fra Orazio e Petrarca, l’accostamento di polvere e ombra, vv. 7-8, ben-
ché qui fra le due si scavi una frattura (l’ombra essendo causa efficiente della pol-
verizzazione), laddove invece sarà appena il caso di notare che l’altra opposizio-
ne fra giorno e ombra, vv. 6-7, si instaura fin dall’incipit della sestina dantesca (Al
poco giorno e al gran cerchio d’ombra, Rime CI). La quale sestina predispone fra i ri-
manti anche erba (qui erbe, v. 4), lemma certo frequentissimo in Fortini, ma ar-
monico in questa fase soprattutto alla coeva Sestina a Firenze, vertice dell’ar-
cheologismo metrico fortiniano, in cui compare ancora in rima insieme ad al-
tro di dantesco5. E «visi spenti», v. 4, sembra discendere antifrasticamente dall’at-
tacco di Par. XXVI («Mentr’io dubbiava per lo viso spento […]»), dove la per-
dita di vista è procurata dall’eccesso di luce. Quanto al petrarchismo grave del
pieno Cinquecento, molto amato già dal giovane Fortini, si può avanzare il dub-
bio che il passo ai vv. 5-6, almeno in prima lezione («tu non lasciarmi ora che
intendo quanti / pochi anni»), risenta di suggestioni specificamente dellacasiane,
fra tema della brevitas vitae, inarcatura di verso in verso, e modalità sintattica del
disvelamento (si veda ad esempio l’avvio di Rime LXII: «Già lessi, e or conosco in
me, sì come», con analogo riflusso al verso seguente).
L’analisi metrica rileva come istituzionali della forma scansione tipografica
in strofe e omometria endecasillabica, ortodossa anche nel profilo ritmico (con
le avvertenze viste sopra per il v. 14). Restando alla prosodia, si noterà semmai
l'attacco tutto in levare per addensamento di parole sdrucciole («Débole spírito,
álito tenace / ch'ábiti […]»), serrate anche nella trama fonica (cfr. la serie atona
-ito, -ito, -iti). Il modulo è qui sfruttato a fondo, quasi a esibire dimostrativa-
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3. Perché «falso» dunque il sonetto che abbiamo sotto gli occhi? Almeno
per due ordini di ragioni. La prima, di natura formale, è del tutto evidente: la
distribuzione dei versi in quartine e in terzine basta a evocare nel lettore quel-
lo che Fortini ha chiamato in un importante saggio metrico lo «spettro» del
sonetto. Ora questo spettro sembra materializzarsi nella prima quartina ma per-
de poi progressivamente di consistenza con lo sfaldarsi del profilo rimico. Quel
che si credeva essere un ‘vero’ sonetto si rivela per ‘falso’, e il poeta, compli-
cando il gioco di attese e tradimenti, ne dà argutamente avviso nel titolo. Di
per sé niente di strano, e niente di più novecentesco, se è vero, come ha osser-
vato ancora il Fortini critico riguardo ai falsi endecasillabi di Luzi, che l’infra-
zione serve a sottolineare il carattere «‘stilistico’ e, perciò appunto, allusivo» del-
l’omaggio alla servitù metrica: come quelli anche Falso sonetto è un faux exprès8.
Del resto la procedura stessa seguita dal sonetto, con l’allentarsi progressivo del-
l’armatura rimica, non è nuova, e attraversa tutto il secolo passato, da Govoni
e Campana a Bandini e Raboni, anche nella variante estrema che prevede non
sfaldamento ma interruzione stessa del componimento, come nella Prova per un
sonetto di Zanzotto ma ad esempio già in Gatto (e forse anche le due quartine
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NOTE
1 Cfr. C. Fini, L. Lenzini, P. Mondelli, Indici per Fortini, con due contributi di F. Fortini, Fi-
Il «Falso vecchio». Connessioni intertestuali in una sezione di «Questo muro», in Per Franco Fortini. Con-
tributi e testimonianze sulla sua poesia, a cura di C. Fini, Padova, Liviana, 1980, pp. 87-112; E. Te-
sta, Il libro di poesia.Tipologie e analisi macrotestuali, Genova, Il Melangolo, 1983, pp. 134-39 (che
ne nega peraltro i caratteri propri del macrotesto); P.V. Mengaldo, «Questo muro» di Franco Forti-
ni [1996], in Id., La tradizione del Novecento. Quarta serie, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, pp.
291-96.
3 Sul passaggio da Poesia ed errore ’59 a Poesia e errore ’69 si vedano: G. Raboni, Ipotesi su una
ristampa [1969], in Id., Poesia degli anni sessanta, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 175-78; A. Be-
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rardinelli, Franco Fortini, Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 64; P. Sabbatino, Gli inverni di Fortini.
Il rischio dell’errore nella cultura e nella poesia, Foggia, Bastogi, 1982, pp. 143-86.
4 Non è impossibile che sulla variante agisca direttamente il ricordo di Góngora, De la bre-
vedad engañosa de la vida, sonetto ben intonato al fortiniano e con analoga contrapposizione: «Mal
te perdonarán a ti las horas, / las horas que limando están los días, / los días que royendo están
los años», vv. 12-14.
5 Cfr. C. Calenda, Di alcune incidenze dantesche in Franco Fortini [1984], in Id., Appartenenze
metriche ed esegesi. Dante, Cavalcanti, Guittone, Napoli, Bibliopolis, 1995, p. 147; sul dantismo di
Fortini vd. anche S. Carrai, Un «souhait» di Fortini: «La buona voglia», «L’ospite ingrato», IV-V,
2001-2, pp. 357-62.
6 Cfr. F. Fortini, Metrica e libertà [1957], in Id., Saggi italiani, Milano, Garzanti, 1987, pp. 332-
33. Ma il ricorso a due o più proparossitoni in un verso è tipico del primo Fortini, sia pure in
forme meno accese: «Un fiore d’erba / d’aliti cauti anima le pietre» (Sestina a Firenze, PE 109, vv.
5-6), «gli esangui che il gorgo vinceva / lucido sempre più in giù / e di gemiti esili ora rigano / i
sogni e qualche nostra voce […]» (Piazza degli Affari, PE 137, vv. 30-33), «ai voli esili e ripidi dei
rami» (Metrica e biografia, PE 173, v. 2), «canali, aliti d’auto, voli e fulmini» (Cisalpina, PE 179, v. 9);
dove si vede come la figura si ripresenti in un contesto già notato per la sua parentela tematica
con Falso sonetto e nel congegno metrico della sestina (ed ecco, molti anni dopo, nella versione
Da Shakespeare, pseudosonetto elisabettiano a schema 14 + 2: «animo di rivolgersi e resistere», PS 77,
v. 14). Sullo stilema sembra verosimile l’influsso di Montale, su cui P.V. Mengaldo, Da D’An-
nunzio a Montale [1966], in Id., La tradizione del Novecento. Prima serie,Torino, Bollati Boringhie-
ri, 1996, pp. 70-71.
7 Riprendo e integro qua e là le osservazioni sullo schema di Falso sonetto già svolte da P.V.
Mengaldo, Un aspetto della metrica di Fortini [1996], in Id., La tradizione del Novecento. Quarta serie
cit., p. 275.
8 F. Fortini, Verso libero e metrica nuova [1958], in Id., Saggi italiani cit., p. 342.
9 Cfr. di Govoni Dialogo delle rondini tornate col poeta (finale del poeta) in Fuochi d’artifizio
(ABAB CDCD E’’FE’’ FXX; in corsivo assonanze e consonanze), di Campana Poesia facile in Quader-
no (ABBA CDDC AXE FEF), di Bandini Mure San Michele in In modo lampante (ABABCD CDXX XEEX),
di Raboni Da qualche anno cerco di invecchiare in Quare tristis (ABBA CDDC EFFE X’’X’’); per gli in-
terrotti cfr. di Gatto Il giogo in Isola (ABAB CDCD EFE), Naufragio in Morto ai paesi (ABAB CDCD EFF),
di Zanzotto Prova per un sonetto in IX Ecloghe (ABAB C). Ricavo le schede dal Repertorio metrico del
sonetto novecentesco di prossima pubblicazione, a cura di E. Benzi, P. Benzoni, F. Magro, C.E. Rog-
gia, F. Romanini e di chi scrive.
10 Cfr. ancora, qui e avanti, Mengaldo, Un aspetto della metrica cit., pp. 274-76.
11 Altri sonetti epistolari potranno eventualmente emergere dalle corrispondenze private
dell’autore: uno indirizzato a Giovanna Gronda è pubblicato ora ne «L’ospite ingrato», III, 2000,
p. 343; un altro caso è osservato da N.Tonelli, Aspetti del sonetto contemporaneo, Pisa, ETS, 2000, p.
21 (e vd. le pp. 18-19).
12 Fortini, Metrica e libertà cit., p. 334.
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