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Tu non cercare, non è dato saperlo, quale a me, quale a te termine ultimo
gli dei abbiano dato, Leucono, e non tentare i calcoli babilonesi. Quant’è
meglio sopportare tutto ciò che accadrà, quale che esso sia! Sia che Giove
abbia assegnato molti inverni, sia che (abbia assegnato) come ultimo
(inverno) questo che ora fiacca contro le opposte scogliere il mar Tirreno:
sii saggia, filtra i vini e, poiché il Tempo è breve, riduci la luna speranza.
Mentre parliamo, il Tempo invidioso sarà già fuggito: cogli l’attimo il
meno possibile fiduciosa nel domani.
Con essa (Ode I, 11), in un dialogo con Leucono, invita la ragazza a non
confidare nel domani, a non cercare di capire ciò che va al di là delle sue
possibilità, vivendo invece a pieno il presente. Il poeta insiste sull’oscurità
e l’incertezza del domani, sulla precarietà dell’esistenza, riassumendo nella
sua locuzione i dettami della filosofia epicurea e della “teoria edonistica”,
ovvero esplica la necessità di vivere il presente dando importanza ad ogni
attimo senza interrogarsi sul futuro. Ed è forse questo tutto quello che si
può fare, si può vivere il tempo dando ad ogni attimo un significato, in
modo tale da renderlo imperituro. Ciò è però possibile solo se si accettano
quelle che sono le tappe fondamentali a cui ogni uomo deve
necessariamente andare incontro, come il momento della morte.
Maior pars mortalium, Pauline, de naturae malignitate conqueritur, quo
d in
exiguum aevi gignimur, quod haec tam velociter, tam rapide dati nobis t
emporis spatia decurrant, adeo ut exceptis admodum paucis ceteros in i
pso vitae apparatu vita destituat.
De brevitatae vitae I, 1
Nel dialogo egli spiega quale deve essere il retto rapporto dell’uomo con le
tre parti in cui tradizionalmente viene suddiviso il tempo, ovvero il
presente, il passato e il futuro. Egli afferma che il passato, rispetto
all’incerto futuro e al fuggevole presente, costituisce qualcosa di definitivo
ed immutabile. Tuttavia, osserva Seneca, solo il sapiente può rapportarsi
rettamente al passato dal momento che, avendo sempre impegnato il suo
tempo alla ricerca della verità e della saggezza, rievoca volentieri le azioni
virtuose che ha compiuto. Gli occupati, invece, ossia gli uomini
affaccendati nel perseguimento di azioni futili ed insensate, non hanno né
il tempo né la voglia di rievocare il passato e qualora si fermassero per un
istante a riflettere, si accorgerebbero con terrore di essersi affannati tanto
per non concludere nulla. Ma più che sul passato, Seneca si concentra
soprattutto sulla dimensione del presente, in sintonia con il pensiero stoico.
Al proposito il filosofo ribadisce:
«Non exiguum temporis habemus, sed multum perdimus. Satis longa vita
et in maximarum rerum consumationem large data est, si tota bene conl
ocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei
inpenditur, ultimā demum necessitate cogente quam ire non intelleximus
transisse sentimus. Ita est: non accipimus brevem vitam sed facimus»,
ossia «Non abbiamo poco tempo, ma molto ne perdiamo. È stata data una
vita abbastanza lunga per delle grandissime imprese, a patto che sia
investita tutta bene; ma quando scorre via tra il lusso e la trascuratezza,
quando la vita non è spesa in nessuna cosa buona, alla fine sotto la spinta
di una necessità, ci rendiamo conto che è trascorsa quella (vita) che non
capimmo
che stesse passando. È così: non è breve quella vita che riceviamo, ma noi
l’abbiamo resa breve (!,1)».