Sei sulla pagina 1di 6

L’EMANCIPAZIONE E L’ISTRUZIONE

FEMMINILE IN RUSSIA
Il ruolo della donna nella società russa, è sempre stato
fortemente legato all’istruzione: già sotto il regno di Pietro il grande il problema
dell’educazione femminile era preso seriamente in considerazione. Le donne che riuscivano
ad ottenere una buona istruzione, erano in grado di diventare donne “moderne” e già il
‘700 è caratterizzato da numerose lotte per poter conquistare questo privilegio.

Pietro il Grande promosse l’istruzione femminile attraverso delle leggi: una delle più
importanti riguardava il divieto per gli uomini di sposare donne non istruite (che non
sapessero almeno leggere e scrivere) valorizzando in questo modo il ruolo della donna
acculturata come elemento necessario per una società che non fosse soltanto dominata
dagli uomini.

Erano in molti, però, che si opponevano allo sviluppo dell’istruzione femminile: se una
donna sapeva leggere, significava che era in grado di decifrare lettere e documenti segreti.
Questo veniva considerato un oltraggio ai costumi russi perché erano solamente gli uomini
che si dovevano occupare della burocrazia.

Caterina la Grande, si interessò ancora di più all’emancipazione ed all’istruzione femminile


(anche perché, essendo una donna, si sentiva coinvolta in prima persona). La zarina era
convinta che donne e mogli poco istruite, maleducate ed ignoranti avrebbero solamente
influito negativamente sulla società ed avrebbero ostacolato tutti i suoi sforzi per il bene
dei cittadini. Decise di creare un sistema di istituti femminili gestiti dallo Stato, in cui le
donne avrebbero potuto studiare ed istruirsi.

Grazie alla sovrana, nel 1764, venne fondato l'Istituto Smol’nyj per Nobili Fanciulle,
collocato inizialmente nel monastero Smol’nyj, alla periferia della città e successivamente
spostato in un apposito edificio nei primi anni del 1800.

L’istituto era stato creato (come indicava un decreto apposito) “per forgiare delle donne
istruite, che fossero buone madri e che potessero contribuire come membri migliori della
propria famiglia e della società”. L’imperatrice, conoscendo il basso grado di sviluppo della
società russa del tempo, credeva che fosse necessario allontanare le fanciulle in tenera età
dalla corruzione e dalla maleducazione degli ambienti domestici per reinserirle dopo la loro
formazione nobilitante. Lo statuto di questo ente fu distribuito in tutte le province e i nobili
potevano scegliere se far istruire le loro figlie oppure no. Il decreto prevedeva già la
formazione di duecento bambine.

Nel 1765 viene aperta una sezione dell’istituto anche per le ragazze di classe media.
Il programma di questo istituto, mirava a far acquisire alle donne una
grande quantità di nozioni e per questo era molto ampio: alle ragazze
erano insegnate almeno due lingue straniere (il francese e il tedesco)
e, facoltativamente, avrebbero potuto imparare anche l’italiano. In
modo più superficiale erano insegnate fisica, matematica,
astronomia, ballo e architettura, in modo da formarle in modo superficiale ma completo.

Le studentesse dovevano indossare una divisa: marrone in giovane età, blu scuro a metà
del loro percorso e bianca in età più avanzata. I colori più chiari stavano a simboleggiare la
crescente educazione mentre quelli più scuri erano pratici soprattutto per le più piccole.
All’esame finale, le sei migliori studentesse, ricevevano una coccarda con le iniziali della
zarina Caterina.

L’istituto era mirato all’istruzione di ragazze nobili che sarebbero diventate poi maestre ed
educatrici e prevedeva nove anni di studio: le bambine venivano inviate all’età di 5 anni in
questo collegio in cui erano mantenute in isolamento dalla propria famiglia. Il fatto che non
ci fossero influenze esterne (dato che non era possibile visitare spesso il collegio)
permetteva di formare donne russe totalmente nuove.

Jurij Lotman (semiologo russo) si interessò dell’argomento e pubblicò una serie di articoli
sull’istruzione delle donne in Russia. Sosteneva che l’istruzione delle donne fosse
essenziale e che, anche se meno sviluppata e diffusa, se ne potevano trovare tracce già
nell’antichità: a sostenere la sua tesi, ci sono alcune iscrizioni trovate su cortecce di betulla,
compiute da donne e risalenti ai tempi di Novgorod.

Il ruolo delle donne nella scienza russa, è sempre stato in secondo piano rispetto a quello
degli uomini, ci sono state però delle eccezioni, delle donne importanti che hanno
apportato grandi cambiamenti nella società.

Alla fine del 1800, le donne non avevano ancora completo accesso all’università e se si
volevano laureare, lo dovevano fare all’estero.

La prima donna ad ottenere una laurea in medicina fu, nel 1867, Nadežda Suslova che si
era trasferita in Svizzera proprio al fine di studiare chirurgia e ginecologia.

Le donne russe guadagnarono posizione anche nella chimica grazie ad Anna Volkova,
Valentina Bogdanovskaya e Yulia Lermontova.

Campionessa di emancipazione e progresso fu la matematica, Sof'ja Vasil'evna


Kovalevskaja, la prima donna professore. La sua passione per lo studio e per la matematica
iniziò molto presto: all’età di otto anni prendeva già lezioni di matematica da un istitutore
privato. All’età di 18 anni si sposò (per convenienza) con Vladimir Kovalevskij, uno studente
con cui ebbe l’occasione di lasciare la Russia per proseguire gli studi universitari in
Germania.

La studentessa preparò tre tesi di dottorato per la sua laurea ma i risultati delle sue
ricerche furono così impressionanti che l’Università le conferì subito il titolo di Dottore in
Filosofia. Dopo la laurea ritornò in Russia, i suoi risultati non furono riconosciuti ma nel
1881 fu eletta come membro della Società Matematica di Mosca.

Dopo essere stata assunta all’università, il suo talento cominciò ad essere riconosciuto
(anche se molti erano scontenti del fatto che una donna fosse stata assunta in un posto che
era sempre stato visto come maschile. August Strindberg, un celebre poeta svedese, scrive
infatti “Sof'ja Kovalevskij dimostra, in modo lampante, come due più due fa quattro, che
una donna docente di matematica è una mostruosità, e come essa sia inutile, dannosa e
fuori luogo”) e fu invitata a fare parte dell’Accademia delle Scienze russa.

Dopo la morte del marito, decise di trasferirsi a Stoccolma con la figlia: lì ottenne la
cattedra di matematica e fu obbligata a sostenere lezioni in tedesco e svedese, visti i suoi
successi, non ebbe nessun problema ad imparare delle nuove lingue.

Purtroppo Sof'ja morì a 41 anni, colpita da un attacco di polmonite.

Nella seconda metà dell’ottocento, si svilupparono diversi movimenti popolari come il


Narodnaja Volja che mirava ad ottenere una democrazia abbattendo lo zarismo.

Nel 1881, fu organizzato un attentato ai danni dello zar Alessandro II: tra gli autori c’era
proprio una donna, Sof'ja Perovskaja che fu impiccata assieme agli altri attentatori
(indipendentemente dal fatto che fosse donna o meno).

Da questi movimenti, si svilupparono poi nel ‘900 i partiti dei socialisti rivoluzionari che
puntavano alla rivoluzione della classe contadina partendo dalla comunità rurale obščina.

Durante la rivoluzione di Ottobre, fu assunto un ruolo molto importante da gruppi di donne


che erano intenzionate a lottare per la loro emancipazione ed è proprio grazie all’Ottobre
Rosso che le lotte per l’indipendenza femminile hanno trovato quella spinta che era sempre
mancata. Molte donne assunsero ruoli importanti da dirigente e non furono solamente
infermiere o mogli di personaggi famosi.

Sostenitrici di questi ideali rivoluzionari furono molte donne cresciute in campagna tra cui
Caterina Brezkovskaja che, nonostante l’età avanzata (durante la rivoluzione del 1917 aveva
già più di 70 anni), continuò a lottare ed a sostenere i propri ideali, tanto che fu definita la
babuçka della rivoluzione.
Tra le file dei sostenitori bolscevichi, spunta una figura molto
importante: Aleksandra Kollontaj, donna molto coraggiosa e
intelligentissima che fu una delle maggiori teoriche femministe oltre
ad essere tra i massimi dirigenti del partito bolscevico. Fu commissario
del popolo per l’Assistenza Sociale, diventando, in questo modo, la
prima donna al mondo ministro del governo.

La donna, molto giovane (a 20 anni) si separò dal marito, mantenendo


però sempre il cognome dell’uomo.

La Kollontaj scrisse moltissimi saggi, articoli e libri in cui trattò dei problemi che
accomunavano tutte le donne dell’epoca. Opponendosi a Lenin, fu spedita in esilio
all’estero.

Nel 1918, Aleksandra Kollontaj, Nadezhda Krupskaya e altre loro compagne, organizzarono
il “Primo Congresso Nazionale delle Donne Lavoratrici e Contadine”. La Kollontaj e le sue
compagne volevano creare un movimento che non separasse gli ideali degli uomini da
quelli delle donne ma volevano forgiare un gruppo che riunisse tutti gli ideali socialisti.

Nonostante questa idea iniziale, il Congresso chiese al Partito Socialista di poter creare una
sezione che si occupasse solamente di gestire le donne e che fosse gestita dalle stesse. Le
donne sostenevano che questa sezione separata sarebbe servita solamente per ragioni
tecniche e si tenevano ben lontane dall’usare termini come “organizzazione femminista”.

Il neonato stato sovietico iniziò a smuoversi per un miglioramento, seppur minimo della
condizione della donna sia nella famiglia che nella società.

Nel 1919 fu quindi creato lo Zhenotdel, la sezione femminile del partito. Questa sezione si
occupava principalmente di creare iniziative femminili legate al partito, di promuovere la
partecipazione delle donne alla vita politica del Paese e di sconfiggere l’analfabetismo.

I bolscevichi approvarono la creazione di questa sezione perché in questo modo le donne


avrebbero supportato i soldati dell’armata rossa ma, soprattutto, perché temevano che se
non avessero acconsentito, le donne avrebbero creato dei movimenti rivoluzionari che
avrebbero danneggiato pesantemente lo stato.

Grazie all’azione della Kollontaj, le donne ottennero il diritto al voto, quello di essere elette,
il diritto all’istruzione, l’assistenza durante la maternità ma soprattutto un salario pari a
quello degli uomini.

I primi codici russi sul matrimonio e sulla famiglia furono pubblicati nel 1918 e nel 1926 e
costituirono per molto tempo un grande passo avanti non solo per la Russia ma per gran
parte del mondo. Il piano di emancipazione della donna russa, si rivelò però una delle
imprese più dure dello stato Russo.

La famiglia, fino ad allora, era sempre stata patriarcale (l’uomo era ritenuto il capo della
famiglia, l’unico che potesse prendere decisioni e gestire il nucleo familiare mentre la
donna doveva occuparsi solamente delle faccende di casa e dei figli, non era necessario che
fosse istruita perché comunque non avrebbe dovuto avere a che fare con documenti di
qualsiasi genere).

I decreti emanati dallo Stato, provocarono uno sconvolgimento nelle mentalità dei cittadini
che fino ad allora erano abituati ad una struttura familiare contadina in cui la donna
svolgeva le faccende di casa e non era neanche lontanamente sullo stesso piano dell’uomo.

Il percorso di emancipazione, infatti, non fu per niente facile da svolgere, fu molto


contestato e in molti cercarono di bloccarlo.

Nei primi anni del governo sovietico furono emanate molte leggi che condannavano la
discriminazione sessuale in ogni campo, sia sul posto di lavoro che in famiglia. Alle donne
furono date moltissime possibilità per intraprendere “nuove” carriere (nuove perché fino
ad allora erano sempre state riservate solamente agli uomini) ed alcune agevolazioni
permisero loro di conciliare il nuovo lavoro con la vita famigliare. Alcune donne furono
addirittura nominate come dirigenti di aziende.

Iniziarono ad essere concessi alle donne i permessi per la gravidanza e i posti di lavoro
furono messi a norma di sicurezza anche per le donne incinte.

Con le leggi del 1918 avevano conquistato il diritto al divorzio mentre con quelle del 1926
ottennero addirittura il permesso di abortire (cosa che prima non era neanche
lontanamente impensabile visto che la donna era sempre stata vista solamente come una
“macchina per fare figli”).

Un ruolo molto importante, lo svolsero le


commissioni femminili dei vari partiti (come la
Zhenotdel) che dal 1919 tentarono di coinvolgere
sempre di più le donne nella vita politica dello
Stato. Le attiviste dei vari movimenti viaggiavano
molto, soprattutto per diffondere le loro idee e
spesso trovarono riscontri positivi (anche se ancora
in fase di sviluppo) in varie parti dell’Asia centrale.

A questi anni (esattamente al 23 febbraio 1917,


secondo il calendario russo) sembrano risalire
anche le origini della festa della donna. Un freddo giorno dell’inverno 1917, un gruppo di
operaie sfilò a Pietrogrado per chiedere il rispetto dei loro diritti, la fine della guerra e pane
per i propri figli. Nonostante sulla costituzioni ci fossero numerosi leggi che garantivano alle
donne la possibilità di ottenere gli stessi lavori degli uomini, di poter partecipare alla guerra
e di poter frequentare l’università, spesso tutto ciò non si realizzò del tutto.

La società post-sovietica continua ad essere fortemente maschilista ma questo non sta a


significare che la donna non sia un elemento necessario per mandare avanti la società. Gli
uomini sono devastati dalla guerra, spesso sono alcolizzati e quindi non in grado di lavorare
e mantenere la propria famiglia: ecco che entrano in gioco le donne che rinnovano la loro
posizione curando i figli ma facendo anche più lavori e venendo così omaggiate l’8 marzo,
durante una festa che in Russia ha acquistato molto più valore che in tutto il resto del
mondo.

Potrebbero piacerti anche