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“ANTROPOLOGIA CULTURALE: NATURA E

METODI”

PROF.SSA ELVIRA MARTINI


Università Telematica Pegaso Antropologia culturale:
natura e metodi

Indice

1 OGGETTO DELL’ANTROPOLOGIA CULTURALE ---------------------------------------------------------------- 3


2 LA “NATURA” DELLA CULTURA -------------------------------------------------------------------------------------- 4
2.1. COMPLESSO DI MODELLI ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 4
2.2. OPERATIVITÀ ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 4
2.3. SELETTIVITÀ ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 5
2.4. DINAMICITÀ -------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6
2.5. DIFFERENZIAZIONE E STRATIFICAZIONE ----------------------------------------------------------------------------------------- 7
2.6. COMUNICAZIONE E CREATIVITÀ -------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
2.7. OLISMO ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
2.8. CONFINI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 9
3 LA RICERCA ANTROPOLOGICA -------------------------------------------------------------------------------------- 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 14

Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)

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La presente lezione antologizza il Capitolo 2 – Parte prima, “Oggetti e metodi

dell’antropologia culturale”, pp. 17-40, del testo di Ugo Fabietti, Elementi di Antropologia

culturale, Milano, Mondadori, 2015.

All’interno del testo sono presenti, altresì, riferimenti bibliografici e approfondimenti

specifici sul tema oggetto della lezione.

1 Oggetto dell’antropologia culturale


Nei pensieri, come negli atti, gli essere umani sono determinati, dal momento che per vivere

in messo ai loro simili devono adottare codici di comportamento, sia pratico sia mentale, che siano

riconoscibili e condivisi da altri. In questo senso la cultura può essere vista come un insieme di

codici comportamentali e ideazionali di un gruppo.

In altre parole, noi ci comportiamo, pensiamo e sentiamo in un modo piuttosto che in un

altro perché seguiamo determinati modelli di comportamento e di pensiero e non altri. In Europa ad

esempio la maggior parte della gente apprezza la carne bovina e suina ma certamente nn quella di

cane. I cinesi le apprezzano tutte e tre mentre per i musulmani è impensabile cibarsi di carne di cane

e se, osservanti, anche di quella di maiale, considerato un animale impuro. Questo banale esempio

serve a spiegare come modelli culturali diversi orientano comportamenti differenti.

Sulla base di queste brevi osservazioni si può affermare che oggetto dell’antropologia

culturale sono proprio le differenze e/o le affinità che intercorrono tra diverse culture, ossia i diversi

modi in cui i gruppi umani (che condividono certe idee e comportamenti) affrontano il mondo,

conoscendolo, interpretandolo, trasformandolo. In altre parole, l’oggetto di studio è il genere umano

e il suo essere produttore di cultura.

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2 La “natura” della cultura

2.1. Complesso di modelli


Ma qual è la natura della cultura?

In primo luogo potremmo definire la cultura come un complesso di modelli da seguire. È

possibile distinguerne due: modelli per e modelli di.

Modelli per: si tratta di modelli-guida per il comportamento e per il pensiero in contesti

culturali diversi (modelli introiettati grazie all’educazione ricevuta nei contesti di appartenenza)

Oltre ai modelli per fare qualcosa esistono anche modelli di qualcosa.

Modelli di: sono tutti quel modelli attraverso i quali noi pensiamo qualcosa, lo rendiamo

coerente con altre cose e poi lo consideriamo una rappresentazione di come sono o dovrebbero

essere le cose (una strategia di mercato o una composizione musicale).

Senza i modelli culturali per e di gli umani non sarebbero quello che sono. Chiaro al

riguardo il pensiero di Geertz: “[…] senza l’aiuto di modelli colturali l’uomo sarebbe

funzionalmente incompleto, […] una specie di mostro informe senza meta né capacità di

autocontrollo un caos di impulsi spasmodici e di vaghe emozioni” (1998, pp. 125-126).

2.2. Operatività
Per l’antropologo Bronislaw Malinowski (1884-1942), tra l’impulso a soddisfare un istinto

primario e la sua reale soddisfazione, gli esseri umani mettono la cultura; qualunque atto umano

finalizzato a uno scopo materiale o intellettuale è guidato dalla cultura. In questo senso la cultura è

operativa perché mette l’essere umano nella condizione di agire in relazione ai propri obiettivi,

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adattandosi si all’ambiente naturale che a quello sociale e culturale. Tutti siamo operativamente

predisposti ad affrontare il mondo fisico e quello morale che circonda.

Questa affermazione affonda le sue radici in quello che il sociologo francese Pierre

Bourdieu definisce come habitus: un sistema durevole di disposizioni, derivante dall’assimilazione

di modelli culturali e dalla loro riproduzione. Esso potrebbe essere definito come una sorta di

“ordine sociale incorporato”. L’habitus si ripercuote pertanto sulle pratiche degli agenti sociali, le

quali ne disegnano le “traiettorie”, i percorsi che gli individui scelgono di seguire tra i vari possibili.

L’habitus è quindi una struttura, strutturata e strutturante (Pierre Bourdieu)1.

2.3. Selettività
La cultura oltre a essere acquisita e tramandata subisce anche un processo di selezione.

Questo vuol dire che le generazioni successive ereditano i modelli culturali precedenti e ne

acquisiscono dei nuovi, in base alla propria esperienza del mondo in mutamento o per l’influenza

di modelli derivanti da altre culture

1
“Per il sociologo francese Bourdieu (1971), la scienza moderna è caratterizzata da un modo di pensare relazionale,
perché tutto ciò che esiste nel mondo sociale è fatto di relazioni: relazioni oggettive che esistono indipendentemente
dalle coscienze e dalle volontà individuali. Il sistema sociale coincide con un «campo di forze che si configura come
una rete – o una configurazione - di relazioni oggettive tra posizioni» (Bourdieu, Wacquant, 1992: 63) (i limiti del
campo sono posti dal campo stesso: i rapporti di forza che lo contraddistinguono dipendono dalla sua struttura). Le
posizioni condizionano gli agenti che le occupano e creano situazioni di potere nella struttura del campo. Quest’ultima
viene continuamente ridefinita dai rapporti di forza che intercorrono tra gli agenti, i quali attuano strategie a seconda del
capitale che hanno a disposizione e delle chance consentitegli dalle proprie risorse. Tre sono i concetti chiave su cui si
fonda la produzione dello studioso francese: habitus, campo e spazio sociale. Prendendo le distanze tanto dallo
strutturalismo che dal soggettivismo, Bourdieu riconosce tra il soggetto e la struttura un rapporto di interdipendenza
reciproca, che non limita l’agire a una pura reazione meccanica dettata da norme e modelli culturali propri
dell’ambiente, né al semplice risultato delle intenzioni coscienti e deliberate degli attori sociali. Il punto d’incontro tra
l’agire e la cultura è riconosciuto da Bourdieu nel concetto di habitus, relativamente a quelle continuità che si creano
nell’esperienza pratica della vita sociale e che delimitano, nei contesti sociali concreti, il campo delle effettive
possibilità di pensiero e azione. L’habitus è insieme “struttura strutturante e strutturata”: organizza le pratiche e la
percezione delle stesse. Il margine di libertà lasciato alle strategie d’azione dipende dalla struttura del campo
caratterizzato da un grado più o meno elevato di concentrazione del capitale. Il concetto di campo dà conto dell’insieme
di componenti strutturali, culturali e soggettive che interagiscono tra loro in un determinato contesto sociale, definendo
particolari forme di realtà sociali. L’autore sostiene la necessità di ricostruire le trame dei rapporti sociali interconnessi
facendo riferimento alla “causalità strutturata di una rete di fattori”, piuttosto che ricercarne la causa. La forma assunta
dalle molteplici relazioni interconnesse configura lo spazio sociale, come particolare ambito di relazioni” (Martini
2011).

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In ogni caso agisce un principio di selezione, o per accogliere nuovi modelli o per bloccare

modelli ritenuti incompatibili con quelli in atto.

Grazie al principio di selettività le culture rilevano il loro essere sistemi aperti i chiusi,

sebbene non esistano situazioni chiusura o apertura totale. Esistono, invece, sempre processi

selettivi preposti al controllo degli elementi (ereditati o acquisisti dall’esterno) che possono rivelarsi

utili o dannosi per una determinata cultura e quindi inclusi o esclusi dalla dinamica culturale. In

molti casi, come quelli che hanno dovuto subire le vittime dei colonizzatori, quando i modelli sono

stati imposti con forza e violenza si sono creati danni irreparabili per la cultura di coloro che li

hanno subiti.

2.4. Dinamicità
Le culture sono prodotti storici, ossia il risultato di incontri, cessioni, prestiti e selezioni. Si

tratta di processi di trasformazione che possono tradursi in cambiamenti sostanziali.

L’antropologo Georges Balandier parla di dialettica delle dinamica esterna e della dinamica

interna volendo dire che le culture si trasformano tanto secondo logiche proprie quanto secondo

logiche di provenienza esterna. E questo vuol dire allora che tutte le culture sono dinamiche: vi è

l’impossibilità per ognuna di esse di rimanere identica a se stessa.

Anche quando i modelli culturali tendono a conservarsi e mostrarsi resistenti al

cambiamento, quest’ultimo si produrrà sempre e comunque, in virtù del fatto che le culture sono

sempre sottoposte a influenze provenienti dall’esterno.

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2.5. Differenziazione e stratificazione


Le differenze non esistono solo tra le culture ma sono anche all’interno di una stessa cultura.

Nell’attuale società, sebbene la disuguaglianze di ceto si siano attenuate grazie al processo di

alfabetizzazione diffusa, i modelli culturali di riferimento risultano spesso molto differenti a

seconda del grado di istruzione, di opinione politica, di credo religioso, di ricchezza e potere.

In passato questi dislivelli interni di cultura erano molto evidenti, tanto che si parlava di

cultura colta (arti, scienze e lettere) e cultura popolare (i rituali delle feste paesane e tutto ciò che

ricadeva nella superstizione). Spesso poi sono gli interessi e quindi la cultura dei soggetti

socialmente più forti a prevalere per cui l’immagine che noi abbiamo delle culture è spesso quella

che i dominatori sono interessati a trasmettere (cultura come immagine dei soggetti socialmente più

forti).

Al riguardo, Gramsci distingueva tra cultura egemonica e cultura subalterna per

rappresentare situazioni in cui in cui una cultura, espressione di interessi dominanti, si impone a

un’altra all’interno della medesima società2.

2
Cultura: non è il contrapposto di “incultura” e non indica attività o prodotti intellettuali che sono più elevati. E’ il
complesso delle attività e dei prodotti intellettuali e manuali dell’uomo in società (Tylor, 1871). Non importa quali
siano le forme della cultura ed i suoi contenuti o il suo orientamento ed il suo grado di complessità, e nemmeno quale
sia la distanza dalla nostra società nella quale determinati comportamenti vengono giudicati veri, giusti, buoni o
“culturali”. Ignoranza e superstizione sono “cultura”: concepiscono anche loro un certo modo di pensare, di concepire la
vita ed il mondo. Tylor espresse per primo nel 1871 il concetto di “cultura “ in senso etno-antropologico. Il concetto
etno-antropologico di “cultura” è il risultato del superamento dell’atteggiamento di “etnocentrismo”. L’etnocentrismo
consiste nel considerare forme, contenuti e valori della propria cultura come unità di misura per la valutazione delle
culture altrui; così si ritiene positivo tutto ciò che rientra nei propri quadri mentali e negativo tutto ciò che risponde a
diversi modi di vedere il mondo.
Tali considerazioni valgono soprattutto nei confronti di società etnologiche o primitive, che appaiono come le più
lontane dai modi di vita delle società dette “superiori”. Una forma di etnocentrismo che spesso si sviluppa all’interno
delle società “superiori” è l’esclusivismo culturale: i comportamenti e i modi di pensare degli strati sociali subalterni
sono rigettati fuori dai confini della “cultura”, perché non conformi con gli atteggiamenti e i valori dei ceti dominanti e
“colti”. L’etnocentrismo rende impossibile lo studio scientifico delle culture “altre” a causa del venirsi a creare del pre-

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Roger Keesing parla di controllo culturale (i comportamenti che ci vengono mostrati come

ovvi e naturali e tipici sono di fatto le idee e i comportamenti di coloro che sono socialmente

prevalenti) e di distribuzione della cultura (il modo in cui il sapere è ripartito non solo tra i diversi

gruppi sociali ma anche tra individui appartenenti a generazioni diverse o a categorie sessuali

diverse).

2.6. Comunicazione e creatività


La dimensione comunicativa è centrale in qualunque processo di tipo culturale. Per esistere

come modelli operativi, i modelli devono essere largamente condivisi dai componenti del gruppo e

pertanto comunicabili. La condivisione implica che questi modelli devono essere riconosciuti come

facenti parte di un sistema di segni condiviso

Questi segni riconoscibili non costituiscono tuttavia un repertorio fisso e irripetibile. Essi

possono essere combinati in maniera innovativa, capaci quindi di creare nuovi significati. Infatti il

linguaggio umano ha la caratteristica di collocare le azoni e gli eventi nel tempo e nello spazio.

giudizio. Gruppi socio culturali diversi dal nostro possono essere studiati considerandoli come “relativi” e non
“assoluti”. In tali gruppi dobbiamo includere anche il nostro. Bisogna accettare che esiste una pluralità di culture. Qui si
pone il problema del rapporto tra concetti, atteggiamenti e valori della cultura di cui fa parte lo studioso (cultura
osservante) e concetti, atteggiamenti e valori della cultura studiata (cultura osservata). Relativismo culturale: rifiuto
dell’etnocentrismo e accettazione della pluralità delle culture. Il concetto di pluralità delle culture non deve trasformarsi
in un’ideologia, pena la propria negazione, cioè si può arrivare ad una visione acritica ed equiparata di tutte le culture,
col pericolo di arrivare a pensare che, visto che l’una vale l’altra, tanto vale chiudersi nella propria, magari tornando in
un etnocentrismo di proporzioni maggiori. Un altro errore in cui si può cadere è quello di pensare che, visto che ogni
cultura si misura dall’interno e e che noi siamo all’interno della nostra, non vi è possibilità di capire le culture altre.
L’esame interno a ciascuna cultura è solo un momento dell’indagine complessiva che deve integrare i risultati
dell’esame in quadri contestuali più ampi, dove l’equiparazione in linea di principio deve accompagnarsi al
riconoscimento delle differenze di fatto. Tratto da Cultura egemonica e culture subalterne, di A. M. Cirese e disponibile
su http://antropologia.forumcommunity.net/?t=12607776#entry105391873

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Questo coincide con la natura creativa della cultura che può essere espressa in due

caratteristiche: universalità semantica e produttività infinita.

Universalità semantica: tutte le lingue sono in grado di produrre informazioni relative a

eventi, qualità di cose, luoghi del presente, del passato e del futuro, vicini e lontani, reali e

immaginari (Greenberg 1968).

Produttività infinita: data una certa preposizione (“oggi piove”) nulla ci dice su che cosa

potrà seguire ad essa.

Un modo attraverso il quale la cultura si fa creativa è l’innovazione che per essere

culturalmente rilevante deve implicare la riorganizzazione delle espressioni collettive con

l’accettazione da parte del sistema di modelli culturali correnti3. Quando una società non è grado di

accogliere un’innovazione si parla di limiti alla creatività

2.7. Olismo
I modelli culturali con vivono di vita propria ma interagiscono con altri modelli dando luogo

a un complesso integrato. Per questo la cultura è definita olistica, cioè complessa e integrata,

formata da elementi che stanno in un rapporto di interdipendenza reciproca, anche se questo non

significa cultura chiusa o isolata.

2.8. Confini
Le culture non hanno confini netti. Hanno nuclei molto forti ma man mano che ci si

allontana da essi le cose tendono a confondersi e le differenze a scemare o intrecciarsi ad altre.

3
Con riferimento al concetto di innovazione socialmente condivisa, si rimanda a Martini E. (2001), Socializzare per
innovare. Il modello della Tripla Elica, Napoli, Loffredo.

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Con l’espansione del capitalismo e della globalizzazione nuovi fenomeni si sono creati nel

campo della cultura: un processo di incroci e mutuo arricchimento e di “inseminazione” fra forme

culturali precedentemente separate (Clifford, 1993; Canclini 1998).

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3 La ricerca antropologica

Il carattere olistico della cultura non obbliga a conoscerla nella sua totalità. Gli antropologi

infatti studiano solo alcuni aspetti di una determinata cultura ma al tempo stesso per poterlo fare

hanno bisogno di considerare il fenomeno in relazione a molti altri, estendendo la loro ricerca al di

là della sola dimensione locale (Appadurai 2001).

Le teorie elaborate dagli antropologi trovano senso solo in collegamento con la pratica della

ricerca sul campo o etnografia.

L’etnografia può tradursi come “l’antropologia che lavora sul campo”. Si tratta della

raccolta, enumerazione e descrizione di tutti i possibili dati utili alla conoscenza della cultura che si

intende studiare.

Il metodo utilizzato è simile a quello di altre scienze umane, come la sociologia ma con una

differenza: l’antropologo passa molto del suo tempo a stretto contatto con i soggetti della sua

ricerca, condivide stili di vita, comunica nella sua lingua o in una lingua conosciuta da entrambi,

prende parte alle loro attività quotidiane. L’esperienza della ricerca sul campo è fatta di continui

“vai e vieni” tra due mondi, quello dell’antropologo e quello dei popoli osservati. Questo “andare e

venire” è essenziale per la ricerca perché permette allo scienziato di considerare con distacco ciò

che pian piano si impara sulla cultura che si sta studiando.

In questo contesto l’osservazione partecipante diventa il principia strumento per la raccolta

dei dati: essa permette di considerare con un certo distacco (osservazione) l’esperienza condivisa

dell’ antropologo con gli appartenenti a una cultura diversa dalla sua (partecipazione)4.

4
L’osservazione insieme all’intervista, è lo strumento principale con cui vengono condotte le indagini statistiche
qualitative. La ricerca qualitativa può essere utile per rispondere a numerosi interrogativi e le categorie che si possono
usare sono almeno cinque (Colombo 2004, p. 84):

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Il ruolo svolto dall’osservatore riguarda la sua legittimazione agli occhi di coloro che sono

osservati. Esso può essere di due tipi (Colombo 2004, p. 82-83):

a) coperto dal segreto - rende possibile l’osservazione senza destare reazioni negli

osservati; risulta utile nelle prime fasi della ricerca quando si vogliono stringere legami

di fiducia con gli informatori (garanzia da parte dei gatekeepers, membri del gruppo

studiato che permettono l’accesso e garantiscono per la presenza del ricercatore)

b) aperto - membro dello stesso gruppo, ha un accesso privilegiato; ruolo attivo, partecipa

alle attività del gruppo (tranne quelle illegali); posizione periferica, osserva e interagisce

con il gruppo senza partecipare alle attività.

Esistono tre strategie che un osservatore può impiegare per ridurre al minimo la possibilità

di raccogliere informazioni che risultino errate:

1. adottare un atteggiamento sospettoso e spassionato di fronte ai racconti degli intervistati,

contraddicendo le affermazioni se necessario;

2. controllare con altri informatori le affermazioni degli intervistati chiedendo loro di

raccontare la personale esperienza, rispetto ad un dato evento;

3. consultare sempre altre fonti, come giornali, fascicoli giudiziari, ecc…

I ricercatori che entrano in contatto con popolazioni differenti devono mettere in atto una

sorta di negoziazione anche politica con gli appartenenti a quella cultura. La dimensione etnografica

conferisce all’antropologia una particolarità unica tra le scienze umane, perché fa di questa

1. prospettiva fenomenologica, riguarda le motivazioni profonde degli attori e le emozioni connesse allo svolgimento si
particolari azioni;
2. etnografia, riguarda la descrizione dei valori, delle credenze, delle pratiche e i modi socialmente organizzati con cui
gli attori sociali affrontano determinati problemi;
3. grounded theory, utilizzata per lo studio delle organizzazioni, si interroga sui processi con cui emergono particolari
modi comportamentali;
4. etnometodologia e analisi del discorso, riguarda le forme dell’interazione verbale e della costruzione del senso
comune;
5. cultural studies, utilizzati per analizzare i fenomeni legati alla cultura di massa, hanno come oggetto sostanziale di
studio la fruizione del mezzo mediatico.

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disciplina un sapere che si fonda sullo studio dei contesti socio-culturali specifici e basato su

esperienze dirette.

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Bibliografia

 Appadurai A. (2001), Modernità in polvere, Maltemi Roma (ed. or. 1996).

 Bourdieu P. (1971) Champ du pouvoir, champ intellectuel et habitus de classe.

Scolies, 1, pp. 7-26 (trad. it. Campo del potere e campo intellettuale. Roma:

Manifestolibri, 2002).

 Bourdieu P., Wacquant L. j. D. (1992), An Invitation to Reflexive sociology,

Cambridge, Polity.

 Canclini N. (1998), Culture ibride. Strategie per entrare e uscire dalla modernità,

Milano, Guerrini e Associati (ed. or. 1990).

 Cirese A. M. (1973), Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi

sul mondo popolare tradizionale. Seconda edizione accresciuta. Palermo, Palumbo.

 Clifford J. (1993), I frutti puri impazziscono. Etnografia, letteratura e arte nel XX

secolo, Torino, Bollati (ed. or. 1988).

 Colombo A. (2004), La ricerca qualitativa, in Selmini R. (2004) (a cura di), La

sicurezza urbana, Bologna, il Mulino, pp. 79-90.

 Fabietti U. (2015), Oggetti e metodi dell’antropologia culturale, in Elementi di

antropologia culturale, Milano, Mondadori, pp. 17-40.

 Greenberg J. (1968), Anthropological Linguistics. An Introduction, New York,

Randon House.

 Martini E. (2011), Socializzare per innovare. Il modello della tripla elica, Napoli,

Loffredo.

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