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La spiritualità di

Geremia attualità,
significato teologico
e peculiarità

Dario Coviello
04/09/2017

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Premessa: Geremia “profeta rifiutato” e il significato della spiritualità profetica
Tra gli esempi di spiritualità rappresentati dai vari autori biblici, il profeta Geremia si distingue in prima
battuta per l’ampiezza del libro che porta il suo nome, tra i più lunghi dell’Antico Testamento, ma in misura
ancora maggiore per le questioni che solleva in qualità di “profeta rifiutato”. Il messaggio che proclamava e la
sua persona stessa, come sappiamo, non furono accolti dai suoi contemporanei e «davanti al rifiuto della
persona del profeta e della sua predicazione, il suo ministero sembra perdere di efficacia, pare non raggiungere
il suo scopo, sembra risultare inutile».1 La vicenda di Geremia pone dunque la questione se è possibile che
dall’esperienza di Dio, bene assoluto, possa scaturire sofferenza e fallimento oppure, se l’apparente
contraddizione non indichi piuttosto la necessità di comprendere la spiritualità profetica e più in generale la
stessa relazione con Dio, in una prospettiva teologica capace di coglierne il differente significato.

Geremia, al pari degli altri profeti, è un idealista religioso che legge la storia di Israele, prototipo della
storia umana, alla luce di un piano divino, di una presenza e di un intervento di Dio nel mondo e nelle vicende
umane.2 Crisi o successo, sofferenza o gioia, per il profeta sono sempre in relazione alla fedeltà a Dio e
all’Alleanza.3 Una spiritualità che partendo dal singolo investe la nazione, la società e il mondo stesso, uscendo
dall’ esperienza di Dio privata e soggettiva. Del resto, se l’incomprensione e il rifiuto costituissero realmente
parte integrante di questa spiritualità, occorrerebbe comprendere se ciò implica la necessità di accettare la
marginalizzazione e l’irrilevanza politica e sociale della spiritualità stessa, dunque della relazione con Dio che
essa esprime. Per questo cercheremo il significato ultimo racchiuso nella spiritualità di Geremia, considerata
come archetipo della spiritualità profetica. Attraverso l’esperienza di Dio sperimentata da Geremia e il suo
difficile rapporto con la società, indagheremo se la spiritualità profetica ha una valenza e portata universale,
capaci di superare i limiti della relazione personale e della storia del popolo di Israele, divenendo un modello di
esperienza di Dio valido anche nel cristianesimo, capace di rispondere al bisogno di spiritualità dell’uomo post
moderno.

1. L’attualità della spiritualità di Geremia come responsabilità etica


Nella storia del cristianesimo di solito la spiritualità è stata associata a pratiche devozionali quali
preghiera e meditazione delle Scritture, attraverso cui i credenti mantengono la propria relazione con Dio,
valorizzando gli aspetti soggettivi, intimistici e contemplativi dell’esperienza religiosa. 4 Una concezione in
qualche modo conciliante anche nei confronti della visione secolarizzata della relazione tra uomo e Dio,
secondo cui la religione, sempre più circoscritta nell’ambito privato, sarebbe destinata a incidere sempre
meno nella società. Nelle ultime decadi il riemergere a livello globale di una spiritualità
pentecostale/carismatica rivolta ai diversi ambiti dell’esistenza, 5 ha contraddetto nei fatti questa
aspettativa, riproponendo la questione del ruolo della religione e della spiritualità nella società. 6

Anche in ambito teologico, dalla metà del secolo scorso e ancora di più a partire dagli anni ottanta,
si è sviluppata una crescente sensibilità nei confronti dei temi legati sia all’esperienza umana, alla

1 MARCO CECCARELLI, Il profeta rifiutato: Studio tematico del rifiuto del profeta nel libro di Geremia, Youcanprint Borè s.r.l., Lecce
20142, p. 11.

2 Cfr. GIOVANNI MAGNANI, Religione e religioni: dalla monolatria al monoteismo profetico, E.P.U.G, Roma 2001, pp. 570-574.

3 Cfr. LESLIE C. ALLEN, Jeremiah: A Commentary, Westminster John Knox Press, Louisville-Londra 2008, p. 1.

4 Cfr. ALISTER EDGAR MCGRATH, Christian Spirituality, An Introduction, Blackwell Publishing, Oxford-Maiden 1999, p. 10.

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condizione dell’uomo, sia all’esperienza dello Spirito riconosciuto presente nel mondo, oltre che nella
Chiesa. Una sommaria rassegna delle principali riflessioni sul tema potrebbe partire dalla ontologia
trascendentale di Karl Rhaner, che nell’indagare le nuove esigenze dell’uomo moderno esplora la relazione
tra fede e scienza, ragione e Spirito, per continuare nei primi anni settanta con il concetto di campo di forza
elaborato da Wolfhart Pannenberg in relazione all’azione dello Spirito, 7 per arrivare al cooperativismo tra
uomo e Spirito teorizzato da John Taylor, 8 fino alla “teologia realistica” di Michael Welker nei primi anni
novanta,9 unitamente alla riflessione pneumatica ed ecologica di Jürgen Moltmann. 10

Ognuna di queste teologie, nello scandagliare e porre in luce la natura del rapporto tra fede e
ragione, religione, società e scienza, ha mostrato un’attenzione crescente verso le questioni sociali, la
bioetica e l’ecologia. Nel fare questo allo stesso tempo, sebbene in modi diversi, le diverse riflessioni hanno
evidenziato una dimensione della spiritualità solo in apparenza nuova, quella della presenza e degli effetti
5 Nel 2006 Una ricerca condotta dal Pew Forum in 10 paesi calcolava oltre cinquecento milioni di pentecostali/carismatici nel
mondo, giunti nel 2017 a più di seicentosessanta milioni, secondo i dati raccolti dal Center for the Study of Global Christianity, del
Gordon-Conwell Theological Seminary, pubblicati sull’ International Bulletin of Mission Research. Cfr. PEW FORUM ON RELIGION
& PUBLIC LIFE, Spirit and Power: A 10-country Survey of Pentecostals, Pew Research Center, Washington 2006; TODD M. JOHNSON,
GINA A. ZURLO, ALBERT W. HICKMAN [et alii], Christianity 2017: Five Hundred Years of Protestant Christianity, «International Bulletin of
Mission Research», 2016, n. 1, p. 6.

6 Circa la perdita di importanza della religione nella società si veda: BRYAN WILSON, La religione nel mondo contemporaneo, trad. it., Il
Mulino, Bologna 1996; SABINO ACQUAVIVA, L’eclissi del sacro nella civiltà industriale, Comunità, Milano 1961; HARVEY GALLAGHER
COX, La città secolare, Vallecchi, Firenze 1968. In merito al ritorno della religione nella sfera pubblica si veda: JOSÈ CASANOVA, Oltre
la secolarizzazione. Le religioni alla riconquista della sfera pubblica, trad. it., Il Mulino, Bologna 2000, p. 11; in merito al superamento del
paradigma della secolarizzazione dovuto alla crescita della spiritualità pentecostale-carismatica: cfr. HARVEY GALLAGHER COX, Fire
from the Heaven. the Rise of Pentecostal Spirituality and the Reshaping of Religion in the Twenty-First Century, Addison-Wesley, Reading
(Massachusset) 1995.

7 Rahner parte dalla considerazione che la rigida dogmaticità della teologia non è più in grado di rispondere ai mutati bisogni
dell’uomo moderno. Propone quindi una nuova impostazione che pone in relazione gli enunciati teologici con l’esperienza che
l’uomo ha di sé, invertendo il metodo della scolastica che da Dio arriva all’uomo, preferendo partire dalla condizione umana per
cercare come l’esperienza di fede risponda alle esigenze dell’uomo. Nel fare questo tuttavia Rahner è condizionato dal razionalismo
kantiano che ha necessità della finitezza umana per poter scorgere per antinomia la trascendenza infinita di Dio. La finitezza dello
spirito del mondo e dell’esperienza umana rimanda alla trascendenza di Dio, indispensabile “apriori” e all’infinitezza del Suo
amore. La redenzione con la salvezza sono di fatto trascendenti, frutto di questo amore che però si manifesta nella storia, dunque
nella immanenza della esperienza contingente dell’uomo. Da questa dialettica nascono le riflessioni di Rahner circa il rapporto tra
ragione e Spirito, trascendente e immanente, fede e scienza, attraverso cui esplora in che modo la religione entra nella storia,
uscendo da quello che per il teologo è il suo ambito di elezione, la trascendenza. Sul tema del rapporto tra fede e scienza in
particolare si veda: KARL RAHNER, Alcune riflessioni programmatiche in ID, Scienza e fede cristiana, Nuovi Saggi IX, trad. it., Paoline, Roma
1984, pp. 29-84. Pannenberg diversamente da Rahner parte da una idea della creato in cui è possibile e necessaria la presenza
trascendente di Dio che ne è il principio primo, con cui quindi ogni parte della creazione deve rimanere in relazione. Per spiegare
questa presenza ricorre al principio del campo di forze sviluppato in Fisica da Michael Faraday. Il principio fisico è associato al
concetto biblico di forza espresso dal termine ebraico Ruah, energia di cui non si conosce l’origine e invisibile, che si manifesta
soprattutto nel vento, ed è all’origine di tutta la vita (Sal 104, 29 Gb 34, 14-15) fin dal primo alito in Genesi (Gen 2,7). Anche nel
Nuovo Testamento, nota Pannenberg Dio non coincide con il Nous, astratto e trascendente, piuttosto col Pneuma, sia nella teologia
di Paolo (I Cor 2, 11; II Cor 3, 17) sia in quella Giovannea (Gv 4, 24). Non è correlato dunque al principio astratto ellenistico,
piuttosto al «principio vivificante cui tutte le creature devono la loro vita, moto e attività. Ciò vale in modo particolare per gli
animali ed i vegetali, e insieme ad essi per l'essere umano». Quindi per Pannenberg Dio si definisce quale fondo unificante del
cosmo, qualora inteso come creatore e redentore. A questo scopo la teologia può ricorrere al concetto di campo elaborato nella
fisica, per indicare la reale presenza di Dio in ogni singolo fenomeno intelligibile, mettendolo in relazione alle due variabili di spazio
e tempo che per Pannenberg diviene tempo orientato escatologicamente. Filosoficamente la temporalità resta ambivalente, può
condurre al compimento o alla distruzione, realizzare le aspettative o vederne il fallimento. In questo senso la nozione dei campi
forza della fisica consente a Pannenberg di teorizzare il campo medio tra i due estremi rappresentato dal “possibile”. È questa la
base che consente alla creazione di essere aperta al futuro, come compimento escatologico e generazione continua di nuovi eventi
nel presente. In questa potenza creatrice del futuro, inteso come campo del possibile, si concretizza la dinamica dello Spirito di Dio
nella creazione, che vivifica e rigenera. Cfr. WOLFHART PANNENBERG, Teologia Sistematica, II, trad. it., Queriniana, Brescia 1994, pp.
64-130. Sul tema si veda anche: FRANCO GIULIO BRAMBILLA , Antropologia Teologica in GIACOMO CANOBBIO, PIERO CODA (a cura di),
La teologia del XX secolo: Prospettive sistematiche, Città Nuova, Roma 2003, p.214. pp. 175-286 In particolare circa il rapporto tra teoria
dei campi di Faraday e azione dello Spirito in Pannenberg si veda: LUIGI ZADRA, Linguaggi dell'universo. Circolare, triadico, analogico, Il
Segno dei Gabrielli Editori, Negarine di S. Pietro in Cariano (Vr) 2005, pp. 231-233.

5
dello Spirito di Dio non solo nella chiesa ma in tutto il mondo, che si ricollega così alla prospettiva profetica
biblica. Nei profeti dell’Antico Testamento, come ci mostra Geremia, riscontriamo una forma di spiritualità
che comporta sia l’intervento di Dio nella storia sia un coinvolgimento attivo del profeta nelle vicende del
mondo e del popolo a cui si rivolgeva, chiamato ad agire in modo consono a mantenere l’Alleanza, la
relazione con Dio.11 Nella tradizione profetica quindi l’esperienza di Dio non si risolveva in una ricerca di
perfezionamento o di santificazione intesa come “crescita personale”, piuttosto si concretizzava anche in
una responsabilità etica, un impegno ad annunciare ed affermare la giustizia divina, la pace e la libertà
dall’oppressione, che ci spinge a ricercarla non solo per noi stessi o per il ristretto gruppo di persone di cui
siamo parte, ma per tutto il mondo. 12 Una prospettiva particolarmente presente in Geremia, designato da

8 La teologia di John Taylor è stata ispirata in parte dal relazionismo personalista di Martin Buber, secondo cui «L’uomo
diventa io a contatto con il tu», (MARTIN BUBER, Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo, Cinisello Balsamo -Mi- 1993, p. 79)
ossia la persona diviene tale solo attraverso il rapporto con gli altri, in quanto l’uomo non è sostanza ma “trama di
relazioni”. Buber si riaggancia così alla concezione della fenomenologia dello Spirito hegeliana, dove l’autocoscienza si
relaziona con la altre coscienze. L’esistenza umana quindi è essenzialmente dialogo che trova la sua compiutezza nella
relazione tra l’Io e Dio stesso. Ogni “Tu”, ogni altro è un punto di osservazione per scorgere il Tu eterno, perciò Dio lo si
può scoprire nel volto dell’altro, nella relazione, piuttosto che attraverso una conoscenza ontologica che lo rende un
“oggetto” della speculazione razionale. Cfr. MARTIN BUBER, L’Io e il Tu, trad. it., Bonomi, Pavia 1991. Oltre al pensiero di
Buber la teologia di Taylor è stata influenzata dalle tesi del biologo e genetista australiano, Louis Charles Birch che ebbero
particolare eco nel mondo protestante dopo il suo intervento all’assemblea del Consiglio Mondiale delle Chiese a Nairobi nel
1975. In quella occasione Birch paventava l’urgenza di una “società sostenibile”, alla luce della imponente crescita
democratica prevista, da realizzare grazie a una nuova sensibilità ecologica che doveva entrare a far parte della
evangelizzazione e del concetto stesso di salvezza. Cfr. BRUCE NICHOLLS, Nairobi 1975: a crisis of faith for the WCC,
«Themelios», 1976, n. 3, p. 74 Muovendo da queste premesse Taylor ha prospettato una crescita evolutiva del mondo in cui
l'operato dello Spirito è profondamente connesso alla cooperazione umana, e l'esperienza di Dio si sviluppa nell’ambito dei
rapporti interpersonali. Il risultato è una concezione dell’azione mediatrice dello Spirito equivalente ad una missione tesa a
contrastare diversi aspetti della società tecnologica moderna, che non favoriscono lo sviluppo della sensibilità e il
completamento della personalità umana. La teologia di Taylor inoltre reputa il battesimo nello Spirito una esperienza rivolta
a tutti i credenti, in grado di cambiare la prospettiva esistenziale. Cfr. BUBER, Il principio dialogico, op.cit., pp. 96, 111; JOHN
VERNON TAYLOR, Lo Spirito Mediatore. Lo Spirito Santo e la missione cristiana, trad. it., Queriniana, Brescia 1975.

9 Welker, allievo di Moltmann, elabora una teologia “dal basso” fondata sulla esperienzialità differenziata in relazione allo
Spirito, in quanto a suo avviso nelle esperienze dello Spirito «Dio fa risplendere la sua gioia attraverso lo specchio degli
uomini che egli ha creato, e lo fa risplendere a loro reciproco beneficio». Cfr. MICHAEL WELKER, Lo Spirito di Dio. Teologia
dello Spirito Santo, trad. it., Queriniana, Brescia 1995, p. 13. Si tratta di una dimensione collettiva e comunitaria dello Spirito
che Welker fa emergere attraverso l’analisi dei testi dell’Antico e del Nuovo Testamento, dai quali evince la forza trascinante
e trasformatrice dello Spirito definita dal teologo come un vero e proprio “campo di forza” che opera nel mondo, attraendo
altre persone attraverso l’azione della chiesa, spingendole a sperimentare nel presente ciò che i testi biblici narrano,
producendo al contempo effetti etici, ossia un cambiamento nei comportamenti che incide nella società oltre che sul singolo.
(Cfr. WELKER, Lo Spirito di Dio, op. cit., pp. 261-306).

10 Moltmann scorge sia nell’intero creato sia nelle singole creature la presenza di Dio attraverso il suo Spirito «Amante della
vita». Per il teologo di Tubinga «Lo Spirito è la presenza attiva di Dio stesso nel mondo, la presenza di Dio in persona», che
oltre a redimere rigenera, ricrea fin da subito sia l’uomo (con la nuova nascita in Cristo) sia la creazione, attraverso la Sua
presenza e azione costante nel mondo sofferente. Dio, non più il sovrano del tutto trascendente e indifferente del tomismo,
interviene e partecipa alla storia e alla sofferenza dell’uomo, anticipando allo stesso tempo il futuro escatologico promesso,
quando creerà nuovi cieli e nuova terra. L’uomo può relazionarsi con Dio tramite lo Spirito presente nella creazione, della
quale non è più il dominatore ma parte integrante e con la quale è chiamato a entrare in comunione. Si tratta di una visione
in cui la Spiritualità, intesa come modo con cui L’uomo attraverso l’esperienza dello Spirito si relaziona con Dio, esce dalla
dimensione individuale e privata, per investire la totalità dell’esperienza umana e del creato. Cfr. JÜRGEN MOLTMANN, Dio
nella creazione. Dottrina ecologica della creazione, Queriniana, Brescia 1992, pp.8; 123; ID, Lo Spirito della vita. Per una pneumatologia
integrale. Queriniana, Brescia 1994, pp. 19-22; 64-68.

11 Cfr. Ger 11, 6-8.

12 Cfr. PATRICIA G. KIRKPATRICK, The Biblical Prophets and Global Spirituality, «The Way», 1991, n. 72 (Supplement), p. 60.
pp. 60-69.

6
Dio come “profeta delle nazioni” e non solo del popolo di Israele, come era stato per gli altri profeti, tra cui
ad esempio Isaia.13

Nella religiosità post-moderna che affronta un mondo globalizzato, questa prospettiva appare
sorprendentemente attuale, nonostante la persistenza di alcune innegabili tendenze individualiste. Specie
nei Paesi occidentali maggiormente secolarizzati, la perdita di credibilità delle religioni istituzionali ha
favorito la nascita di una spiritualità esperienziale e soggettiva, che ha alimentato il sincretismo religioso. È
un misticismo per il quale gli individui, pur rimanendo estranei alle religioni tradizionali e alle loro
oggettivazioni metafisiche e dogmatiche, ne utilizzano gli universi simbolici e le credenze, mescolandoli con
quelli di altre tradizioni religiose, allo scopo di creare una religiosità personale. 14 Tuttavia, parallelamente a
queste derive individualiste, la globalizzazione e la nascita di una spiritualità globalizzata, di cui l’espansione
carismatico/pentecostale è un esempio eclatante, rendono indispensabile contestualizzare l’esperienza
spirituale nell’ambito del “villaggio globale”.

Per usare una prospettiva teologica, si tratta di richiamare la vicenda di Geremia per renderci conto di
come Dio, attraverso il Suo Spirito, nonostante il male e la sofferenza presenti nel mondo, si muova e operi in
tutta la creazione, uomo incluso. Tramite questa presa di coscienza il credente è chiamato a vivere l’esperienza
di Dio nell’orizzonte della creazione, di cui è parte e con la quale perciò deve rimanere in comunione,
preservandola. La spiritualità esce così dall’ambito dell’esperienza di fede individuale per investire il mondo, la
storia umana e la stessa creazione, nei confronti della quale l’uomo è responsabile davanti a Dio. 15 La teologia
come abbiamo visto, propone varie formule per realizzare una simile spiritualità, adatta al nuovo contesto
globalizzato. Alcuni sono arrivati a parlare di “Spiritualità ecumenica”, altri di “spiritualità della collaborazione”,
oppure di “democrazia spirituale”,16 tuttavia dietro ognuna di queste definizioni resta la consapevolezza che
perseguire una spiritualità individuale nel contesto globale non è più sufficiente, perché non è in grado di
affrontare i mali generati sia individualmente sia collettivamente dall’uomo. A queste esigenze può rispondere la
spiritualità profetica o per usare un termine più attuale, “carismatica”, presente sia nell’Antico sia nel Nuovo
Testamento.

Del resto i profeti biblici, spinti dallo Spirito denunciavano proprio questi limiti, additando le strutture
sociali e le istituzioni “peccaminose” come risultato di azioni individuali che trasgredivano l’Alleanza con Dio,
promuovendo un riesame della propria condizione e un ravvedimento. Il profeta Geremia sanziona in questo
modo uno dei figli del re Giosia, che si è fatto costruire la residenza estiva senza pagare gli operai: «Guai a colui
che costruisce la sua casa senza giustizia e le sue camere senza equità; che fa lavorare il prossimo per nulla, non
gli paga il suo salario e dice: "Mi costruirò una casa grande con camere spaziose al piano di sopra"[le case a due
piani erano quelle dei ricchi, in questo caso quella del re]. Egli vi fa delle finestre, la riveste di legno di cedro e la
dipinge di rosso!».17 A questa persona Geremia dice: «Tu regni forse perché hai la passione del cedro? Tuo padre
forse non mangiava e beveva? Però faceva ciò che è retto e giusto, e tutto gli andava bene. Egli giudicava la

13 Cfr. Ger 1, 4 e Is. 6, 9-10. Sul tema si veda: BENITO MARCONCINI, Le vocazioni Profetiche in ANTONIO BONORA (a cura di),
La spiritualità dell’AT, EDB, Bologna 1998, p. 397; GIANNI BARBIERO, Tu mi hai sedotto, Signore: Le confessioni di Geremia alla luce
dela sua vocazione profetica, GBP, Roma 2013, pp. 32- 33.

14 Cfr. PINO LUCÀ TROMBETTA , Il bricolage religioso: sincretismo e nuova religiosità, Edizioni Dedalo, Bari 2004, pp. 5-12.

15 Cfr. JÜRGEN MOLTMANN, Dio nella creazione. op. cit.,, pp. 26-27.

16 Si tratta delle posizioni rispettivamente di David Jenkins, del Dalai Lama e di Gwen Cashmore, Joan Puls. Cfr.
KIRKPATRICK, The Biblical, op. cit., p. 61.

17 Ger 22, 13-14.

7
causa del povero e del bisognoso, e tutto gli andava bene. Questo non significa forse conoscermi?», dice il
SIGNORE».18 Geremia, allo stesso modo di Osea che lo precede, utilizza Il termine "conoscere" per indicare la
profonda e intensa relazione con Dio, ossia la spiritualità.19 La fede unita all'amore manifesta la relazione con
Dio. L’esperienza di Dio nel senso inteso da Geremia e dagli altri profeti biblici, esprime la “conoscenza di Dio”
tramite la fedeltà e l’amore verso di Lui. Ciò implica che avere un rapporto con Dio, vivere in senso spirituale,
significa praticare la giustizia, cioè saper discernere ciò che è bene da ciò che non lo è. 20 La fede nel Dio
dell'Esodo, che ha ascoltato il grido del suo popolo sofferente e umiliato, richiede l’impegno a tutelare il diritto
del povero: «Ma se cambiate veramente le vostre vie e le vostre opere, se praticate sul serio la giustizia gli uni
verso gli altri, se non opprimete lo straniero, l'orfano e la vedova, se non spargete sangue innocente in questo
luogo, e non andate per vostra sciagura dietro ad altri dèi, io allora vi farò abitare in questo luogo, nel paese che
allora diedi ai vostri padri per sempre».21 Geremia qui identifica i poveri con gli orfani, la vedova e lo straniero
citati nel Deuteronomio dei quali Dio stesso si dichiara difensore.22

Nel “villaggio globale” contemporaneo di cui gli stessi credenti sono parte, le istanze di fede e giustizia
proclamate da Geremia e dalla spiritualità profetica che rappresenta, risultano attuali e necessarie. La spiritualità
implica per i cristiani saper comprendere in quale modo le loro azioni ad esempio supportano e sostengono le
strutture sociali che favoriscono la iniqua distribuzione delle ricchezze, che costringe alla povertà intere
popolazioni. Detto in prospettiva teologica si tratta di praticare la giustizia per poter rimanere in relazione con
Dio. Tuttavia una simile prospettiva pone, ora come ai tempi dell’Antico Testamento, il problema delle difficoltà
generate dal richiamo alle verità scritturali e alla necessità di rinnovamento spirituale necessari a raggiungere
l’obiettivo.23 A fronte di simili ostacoli la tentazione è considerare l’esperienza di Geremia e la stessa spiritualità
profetica superate dall’annuncio del messaggio cristiano, il cui fulcro in apparenza sembra essere la fede in Gesù,
piuttosto dell’impegno etico. Si ripropone la nota questione teologica di quale debba essere il rapporto tra fede
e opere, allo scopo di avere un’esperienza di Dio autentica.

2. L’isolamento di Geremia: l’etica della spiritualità profetica e il messaggio


cristiano
Dalla denuncia profetica non di rado è scaturito un isolamento difficile da sopportare. 24 Per
evitare questa emarginazione spesso la teologia ha spostato l’accento dagli “oracoli di giustizia”, dalla
denuncia delle ingiustizie, ossia dalla necessità di proclamare la giustizia, alla più accomodante

18 Ger 22, 15-16. Il profeta Amos invece, in un momento di benessere per Israele, denunciava con queste parole le
ingiustizie contro i poveri e l’idolatria (associando quindi oppressione dei deboli e infedeltà vero Dio che è il difensore dei
deboli): «Così parla l'Eterno: Per tre misfatti di Giuda, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Perché hanno sprezzato la legge
dell'Eterno e non hanno osservato i suoi statuti, e perché si sono lasciati sviare dai loro falsi dèi, dietro ai quali già i padri loro erano andati , […]
Così parla l'Eterno: Per tre misfatti d'Israele, anzi per quattro, io non revocherò la mia sentenza. Perché vendono il giusto per danaro, e il povero
se deve loro un paio di sandali; perché bramano veder la polvere della terra sul capo de' miseri, e violano il diritto degli umili […]». (Am 2, 4-7).

19 Si veda infra p. 11.

20 Cfr. Eb. 5, 14.

21 Cfr. Ger 7, 5-7; Lv 25, 35-38

22 In Deuteronomio infatti troviamo: «poiché il SIGNORE, il vostro Dio, è il Dio degli dèi, il Signore dei signori, il Dio
grande, forte e tremendo, che non ha riguardi personali e non accetta regali, che fa giustizia all'orfano e alla vedova, che ama
lo straniero e gli dà pane e vestito». Dt 10, 17-18.

23 Cfr. KIRKPATRICK, The Biblical, op. cit., p. 61.

24 Si veda ad esempio Ger. 20, 8-10.

8
proclamazione della salvezza e dell’amore di Dio, 25 dimenticando che l’amore e la giustizia divina
rappresentano due facce della stessa medaglia. Non è possibile avere un’esperienza di Dio senza
conoscerlo, cioè discernere ciò che è bene da ciò che è male, caratteristica essenziale del credente
maturo.26 Ignorando questo presupposto spesso si è aperta la strada a una spiritualità intimistica, slegata
dal contesto sociale. In merito alle innegabili difficoltà incontrate da chi si trova immerso nella
dimensione profetica Joshua Heschel ha affermato: «The situation of a person immersed in the prophets’
word is one of being exposed to a ceaseless shattering of indifference, and one needs a skull of stone to
remain callous to such blows».27 Tuttavia si potrebbe obiettare che non tutti sono chiamati ad essere
profeti, dunque a dover affrontare le problematiche legate a una forma si spiritualità così “radicale”.
Si tratta di un’obiezione a cui Gesù stesso ha risposto richiamando proprio una parola profetica,
quella di Isaia, per definire lo scopo della sua missione: «Lo Spirito del Signore è sopra di me […] Per
questo mi ha consacrato con l’unzione».28 Gesù, sia in qualità di Messia (dunque “unto del Signore”) sia di
re (l’unzione in Israele era associata anche all’investitura regale), manifesta il regno di Dio attraverso la
potenza dello Spirito. Grazie all’unzione divina, che lo qualifica per la missione affidatagli dal Padre, Gesù
porta “la buona novella” hai poveri, che nel Vangelo di Luca è descritta come la liberazione dei
prigionieri, donare la vista ai ciechi, mettere in libertà gli oppressi e proclamare “l’anno accettevole del
Signore”.29 Si tratta di un anno di grazia e di remissione, in cui le terre sono ridistribuite, le case restituite
ai rispettivi proprietari e soprattutto gli schiavi per debiti liberati. In sintesi il tempo in cui è ristabilito
l’ordine originario, un’anticipazione profetica di quello che accadrà nel regno di Dio, quando sarà
ristabilita la giustizia. Quindi Gesù, al pari di Geremia e dei profeti che lo hanno preceduto, non proclama
solo una liberazione dalla schiavitù del peccato ma anche dall’oppressione, dall’ingiustizia e dalla
mancanza di libertà. È questo il significato etico, oltre che spirituale ed escatologico, del messaggio
affidato da Cristo alla Chiesa e recepito sia dagli apostoli sia dalle prime comunità cristiane, come ci
testimoniano diversi brani del Nuovo Testamento. 30

Un anelito alla giustizia e uguaglianza sociale in linea con quello di Geremia e dei profeti
veterotestamentari, che nel tempo si è concretizzato in diverse correnti teologiche, tra le quali ad esempio il
“socialismo religioso” sostenuto da Christoph Blumhardt,31 il Social Gospel di Walter Rauschenbush32 o la
“Teologia della liberazione” di Paulo Freire.33 Accanto a queste correnti teologiche sono emersi movimenti di
risveglio in cui l’azione di rinnovamento dello Spirito e l’aspettativa escatologica del Regno di Dio si legavano alle
istanze di uguaglianza e di giustizia bibliche. L’espressione “La fede attiva nell’amore” ad esempio è stato il tema
del Risveglio tedesco nella metà del XIX secolo, caratterizzato dall’azione sociale attuata per rispondere agli
enormi problemi sociali e umani prodotti dalla Rivoluzione Industriale.34 Analogamente John Wesley, il
fondatore del Movimento di Santità nato pressoché nello stesso periodo nell’ambito del Metodismo, associava
la visione spirituale all’azione sociale. Oltre ad affermare la possibilità di una vita cristiana definitivamente
liberata dal peccato grazie all’azione santificatrice dello Spirito, Wesley si rivolgeva agli strati più poveri ed
emarginati della società, creando scuole per adulti e per ragazzi, oltre a consultori medici gratuiti per i poveri. 35

25 Cfr. Ibidem.

26 Vd. Supra nota 18.

27 ABRAHAM JOSHUA HESCHEL, The Prophets, Harper & Rowe, New York 1962, p xvi.

28 Lc 4, 18.

29 Cfr. Lc 4, 18-19.

9
Lo stesso pentecostalesimo, in buona misura frutto del movimento Holiness,36 in origine evidenziava la
responsabilità che comportava per i credenti il Battesimo nello Spirito. In particolare sottolineava come i
credenti, una volta ripieni della “potenza dall’alto” fossero chiamati a seguire l’esempio di Gesù, testimoniando
la realtà di una vita in cui, grazie all’opera dello Spirito, l’aspettativa del futuro Regno di Dio già inizia a
concretizzarsi nel presente. Gesù ha dimostrato che dove Dio governa si costituisce una nuova società, fondata
sui Suoi valori etici. Quindi le ingiustizie sono sanate, i poveri sperimentano la solidarietà perché i più ricchi
condividono equamente i loro beni, in modo che nessuno debba trovarsi in stato di bisogno.37 Non di rado simili
correnti teologiche e movimenti di risveglio, focalizzati sull’egualitarismo, la denuncia delle ingiustizie e l’azione
dello Spirito, hanno subito opposizioni ed emarginazioni, analogamente alla sorte di Geremia, lo sconfitto per
eccellenza, al punto da divenire modello di un altro illustre “perdente” della narrazione biblica, Gesù.

30 L’epistola di Giacomo ad esempio nel secondo capitolo afferma non solo che Dio ha scelto i poveri perché siano ricchi
“in fede ed eredi del regno”, ma precisa che la fede senza le opere a favore del fratello e della sorella in stato di bisogno è
sterile. (Gc 2: 5, 14-18). La conclusione del concilio di Gerusalemme, in cui si stabilì di non imporre alcuna norma della
legge musaica ai pagani convertiti al cristianesimo, se non quella di “ricordarsi dei poveri”, ribadisce un aspetto ben presente
nella legge mosaica e nelle prescrizioni levitiche (si veda Dt 15; 1-11; Le 25,1-7; 35-38) che ci conferma il nesso presente
nella chiesa delle origini tra l’aspetto etico e quello dottrinale. (Cfr. At 15, 1-35; Gal 2,10). Un insegnamento che la comunità
di Gerusalemme aveva ben recepito, stando al racconto di Luca in Atti, dove il gran numero di convertiti «era di un sol
cuore e di una sola anima» e spontaneamente ognuno, non reputando suo ciò che possedeva, lo condivideva. Di
conseguenza: «non vi era alcun bisognoso fra di loro, perché tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano e
portavano il ricavato delle cose vendute e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno, secondo il
suo particolare bisogno». La conversione, dunque l’esperienza spirituale, è legata anche qui a un atteggiamento etico, peraltro
non imposto ma spontaneo. Si tratta di una profonda comprensione del messaggio di Gesù destinato a incidere anche sul
piano sociale, comunitario, oltre che soggettivo e individuale. Cfr. Lc 4, 32-36. Tuttavia ciò non significa che il cristianesimo
proponga la povertà, piuttosto insegna l’uso delle ricchezze non per prevaricare gli altri, ma quale strumento di comunione.
Paolo lo scrive ai Corinzi, esortandoli a intervenire economicamente a favore dei fratelli bisognosi, consapevoli che :«Non si
tratta di mettere voi nel bisogno per dare sollievo agli altri, ma di seguire un principio di uguaglianza; nelle attuali
circostanze, la vostra abbondanza serve a supplire al loro bisogno, perché la loro abbondanza supplisca altresì al vostro
bisogno, affinché ci sia uguaglianza, secondo quel che è scritto: «Chi aveva raccolto molto non ne ebbe di troppo, e chi aveva raccolto
poco, non ne ebbe troppo poco». II Cor 8, 13-15. Il cristianesimo perciò non insegna la rinuncia alle ricchezze, ma all’uso distorto
del potere che ne deriva. Un’etica che traspare dall’episodio di Gesù col giovane ricco, a cui propone non la povertà fine a se
stessa, piuttosto di vendere i suoi beni e dare il ricavato ai poveri, cioè a chi non ha titolo per ricevere un simile dono. (Cfr.
Mt. 19, 16-22). Così è possibile seguire l’esempio dell’unico vero “buono”, Dio che non segue una giustizia “contrattuale”,
ossia dare semplicemente ad ognuno ciò che gli spetta, ma di amore. Dio sceglie liberamente di amare e donare sia la sua
grazia sia i propri beni, senza che l’uomo abbia alcun titolo per meritarli, come mostra la parabola dei lavoratori delle diverse
ore in Matteo (cfr. Mt. 20, 1-15).

31 Per una disamina del pensiero di Blumhardt in una prospettiva teologica protestante si veda. KARL BARTH, La Teologia
Protestante nel XIX secolo, II, La storia, trad. it., Jaca Book, Milano 1980, pp. 247- 258.

32 Cfr. STANLEY JAMES GRENZ, the Moral Quest: Foundations of Christian Ethics, InterVarsity Press, Westmont 2000, pp. 166-
168.

33 Cfr. PAULO FREIRE, Teoria e pratica della liberazione, trad. it., AVE, Roma 1974.

34 Cfr. AUGUST THOLUCK, The Spirituality of the German Awakening, Paulist Press, New York, p. 7.

35 Cfr. VINSON HAROLD SYNAN, The Holiness-Pentecostal Tradition: Charismatic Movements in the Twentieth Century, Eerdmans
Publishing, Grand Rapids 19972, pp. 4-8.

36 Per un approfondimento circa i rapporti tra Movimento Holiness e pentecostalesimo si veda: SYNAN, The Holiness-
Pentecostal, op. cit. pp. 143-165.

37 MURRAY W. DEMPSTER, Evangelism, Social Concern, and the Kingdom of God, in MURRAY W. DEMPSTER, BYRON D.
KLAUS, DOUGLAS PETERSEN (a cura di), Called and Empowered: Global Mission in Pentecostal Perspective, Baker Academic, Grand
Rapids 1991, pp. 25-27.

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3. Il significato teologico e le peculiarità della spiritualità di Geremia
Il Vangelo di Matteo citando alcuni brani del Deutero-Isaia, 38 accosta Gesù all’immagine del
“servo sofferente” ispirata alla vicenda di Geremia. 39 Durante l’esilio di Babilonia l’anonimo autore del
Deutero-Isaia nel descrivere la figura di colui che salva, infatti ha come modello Geremia. Umiliato e
disprezzato, non reputato degno di credibilità nel suo ministero, familiare col patire e “uomo di dolori”
sembrava reietto da Dio. Invece dalle sue profezie, nate dalla personale sofferenza, prenderà vita una
discendenza.
Non diciamo che la sofferenza di Geremia sia stata già in
qualche modo vicaria o avesse avuto un senso espiatorio. Di ciò
non troviamo traccia alcuna nel libro di Geremia. Però, partendo
dal libro di Geremia, si può comprendere che, dopo la
catastrofe, nei canti del Servo di JHWH del deutero - Isaia, la
sofferenza vicaria ed espiatrice del Servo di JHWH abbia ricevuto
un senso salvifico. Si mette, così, in evidenza una linea che, dalla
sofferenza del profeta Geremia, porta a quella sostitutiva del
Servo di JHWH e, tramite lui, alla sofferenza espiatrice di Gesù
Cristo, che ha sofferto al posto degli altri. 40
Così per il Deutero-Isaia la spiritualità di Geremia diviene modello dell’azione di Dio, in cui si
scorge il contesto escatologico dell’intervento messianico di Dio nella storia. La sofferenza di Geremia
trova riscatto nella realizzazione della Nuova Alleanza che lui aveva profetizzato e Gesù compie. 41 E’
questa la vera novità del messaggio proclamato dal profeta di Anatot. Dio crea una nuova realtà, una
Nuova Alleanza, dunque una nuova relazione tra Dio e l’uomo di cui Geremia è il profeta. La sua
spiritualità, basata sulla grazia di Dio e non su adempimenti rituali ne è l’espressione, compresa la
sofferenza.42 Dio per creare questa nuova relazione deve distruggere ciò che è corrotto e ricostruirlo,
sradicare per poter piantare nuovamente, distruggere Gerusalemme e il Suo popolo per costruirlo e
dargli una nuova vita. La salvezza passa attraverso la morte. 43 Il significato del messaggio di Geremia
nell’Antico Testamento è l’anticipazione messianica più vicina al messaggio di Gesù, ma si tratta di un

38 Si tratta di quindici capitoli, (Is 40-55) attribuiti a un anonimo autore post-esilico, all’interno dei quali per la prima volta
Bernhard Duhm ha isolato nel 1892 i cosiddetti quattro canti del “servo sofferente”. Cfr. MARVIN A SWEENEY, On the Road to
Duhm: Isaiah in Nineteenth-Century Critical Scholarship in CLAIRE MATHEWS MCGINNIS, PATRICIA K. TULL (a cura di), "As Those Who
Are Taught": The Interpretation of Isaiah from the LXX to the SBL, Society for Biblical Literature, Atlanta 2006, pp. 243-261.

39 Si veda in merito: Matteo 2:16-18/Geremia 31:15; Matteo 8:17/Isaia 53:4-12; Matteo 26:62-63; 27:12-14/Isaia 53:7;
Matteo 27:57-60/Isaia 53:9. Per i riferimenti anche indiretti al Deutero-Isaia e alle profezie di Isaia in Matteo e una loro
analisi critica si veda: CARLO GINZBURG, Occhiacci di legno: nove riflessioni sulla distanza, Feltrinelli Editore, Milano 1998, pp. 100-
108. Circa l’identificazione di Geremia con il “servo sofferente” sia attraverso le corrispondenze tra i libro di Geremia e il
Deutero-Isaia sia in relazione alla storia e pensiero di Geremia si veda: KATHARINE JULIA DELL, The Suffering Servant of
Deutero-Isaiah, Jeremiah revisited in KATHARINE JULIA DELL, GRAHAM I. DAVIES, YEE VON KOH (a cura di), Genesis, Isaiah, and
Psalms: A Festschrift to Honour Professor John Emerton for His Eightieth Birthday, Brill, Leiden-Boston 2010, pp. 119-134.

40 CLAUS WESTERMANN, Profeta a prezzo della vita. Geremia, Marietti, Torino 1971, p. 113.

41 Gesù stesso secondo il Vangelo di Matteo durante l’ultima cena benedicendo il calice del vino fa riferimento alla “nuova
alleanza”. La Nuova Diodati così traduce il passo: «Poi prese il calice e rese grazie, e lo diede loro dicendo: “Bevetene
tutti, perché questo è il mio sangue, il sangue del nuovo patto che è sparso per molti per il perdono dei peccati”». Mt. 26, 27-
28.

42 E’ un concetto espresso ad esempio nel capitolo trenta di Geremia, dove il Signore afferma che guarirà la ferita
insanabile, il peccato dell’uomo, per il quale non c’è rimedio. Ecco perché la salvezza passa dalla morte, dalla impossibilità,
dalla frustrazione in senso anticipatorio ed escatologico di Geremia e del Cristo come pieno adempimento, tramite cui si può
manifestare la grazia di Dio. Cfr. Ger 30, 15-17.

43 Cfr. Ger 45,4; 18, 1-6; 7, 13-16.

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processo che causa sofferenza a Dio e coinvolge anche Geremia. 44 La sofferenza di Dio è provocata
dall’abbandono del Suo popolo che così facendo corre verso la propria rovina. 45 Il profeta è partecipe di
questo dolore,46 una costante presente in tutti i profeti, derivante dalla dicotomia tra Dio e gli uomini di
cui Il profeta è chiamato ad essere interprete, e partner di Dio, incaricato di trasferire anche
emotivamente il suo messaggio. 47 Si tratta di quello che Heschel chiama il pathos di Dio, la sua
partecipazione alla storia umana e lo rende non oggetto ma soggetto della profezia. 48 Allo stesso tempo
al profeta non semplice portavoce, emotivamente distaccato dal messaggio ma partner di Dio, è
domandato di vivere empaticamente questo pathos. Perciò Geremia soffre con Dio per la sorte del
popolo, in modo da poter trasmettere fino in fondo il senso del messaggio divino, legato al sentimento
oltre che al senso delle Sue parole.

Il profeta è chiamato a rispondere alla chiamata di Dio attraverso una sensibilità trascendentale
che assimila: «the prophets emotional life to the divine Being [it is] an assimilation of function not of
being».49 Il profeta, spiega André Neher, è nabì perchè consapevole di partecipare a una realtà diversa da
quella della sua vita: alla vita di Dio. 50 È l’azione di Dio che attraverso l’opera dello Spirito chiama il
profeta, come accade sempre nella relazione tra l’uomo e Dio, ma ognuno risponde alla chiamata in base
alla propria personalità. Isaia ad esempio risponde prontamente, accettando consapevolmente
l’opposizione dei suoi uditori. Geremia al contrario si mostra timoroso, a causa della giovane età e
preoccupato della solitudine che lo attende. 51 «Nella dialettica tra consapevolezza della propria elezione
che dovrebbe fugare ogni timore e presenza della paura che segnala un abbassamento di certezza circa la
propria vocazione, si intravede quella conflittualità che sfocerà nelle “confessioni” […]». 52 La paura
diviene una cifra dell’esperienza di Dio per Geremia consapevole che la sua parola ha un duplice effetto,
salvifico e condannatorio, essendo data per sradicare e demolire – edificare e piantare, a fronte della
quale Dio ribadisce la sua protezione, che tuttavia non sempre Geremia riesce a percepire. 53

Nella vita di Geremia, nella solitudine e nel rifiuto vissuto dall’uomo, nel timore delle reazioni
scatenate dalla sua parola profetica, tutto si lega alla presenza di Dio da cui il profeta si sente sia protetto
sia talvolta abbandonato. Geremia vive in continua tensione tra l’assimilazione all’essenza divina,
attraverso l’ispirazione che riceve tramite lo Spirito e la manifestazione della sua fragilità umana. Da un
lato l’azione dello Spirito, da cui nasce l’ispirazione profetica, gli conferma la presenza di Dio, dall’altro

44 Cfr. Ger 45, 4-5; cfr. WESTERMANN, Profeta a prezzo, op. cit., p. 111.

45 Cfr Ger. 2,12-13; 31-32; 8,4-7.13; 12,7-13; 15.5-9; 18,13-17.

46 Si veda ad esempio: Ger 4, 19; 8, 22.

47 ABRAHAM JOSHUA HESCHEL, The Prophets, Peabody Press, Baltimore 1999, pp. 23-24.

48 Cfr. HESCHEL, The Prophets, op. cit. p. 24.

49 Cfr. Ivi p. 26.

50 ANDRÉ NEHER, L'essenza del profetismo, trad. it., Marietti per Lampi di Stampa, Genova 1999, p. 81. Circa il significato del
termine nabì in ebraico e la problematica della sua traduzione in greco si veda ivi pp. 34-36.

51 Cfr. MARCONCINI, Le vocazioni, op. cit., p. 396.

52 Ivi p. 397.

53 Cfr. Ivi pp. 397-398.

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emerge nell’uomo Geremia il rifiuto della sofferenza e il timore della solitudine che ne che ne derivano. 54
Il timore nel profeta nasce inoltre dal sentire che il suo incontro con Dio avviene nel vuoto. Dio è
comparso di Sua iniziativa e all’improvviso nella sua vita, senza che l’avesse ricercato o fosse pronto a un
simile evento. Geremia non diviene profeta al termine di un cammino spirituale che lo ha condotto
all’illuminazione. Nessun profeta biblico vive una simile esperienza, dunque la relazione con Dio in
questo senso è sempre uno shock. 55 Anche quando il profeta accetta l’incontro con Dio e nella relazione
con Lui colma quel vuoto, non può fare nulla per suscitarne la presenza, evocarlo o ottenere una risposta.
Nel profetismo biblico e meglio ancora nella relazione con Dio, non esistono riti, pratiche magiche o
particolari forme di devozione capaci di obbligarlo a rispondere, come accade per le divinità di altre
religioni. Né la devozione né la sua intimità con il Signore possono assicurare a Geremia, come a qualsiasi
altro profeta o essere umano, la certezza del dialogo e della relazione con Dio. Il silenzio di Dio è una
costante della tradizione profetica biblica come della esperienza di fede del credente. 56

La spiritualità di Geremia perciò può trovare il proprio fondamento solo nella conoscenza di Dio
possibile non razionalmente o attraverso il rispetto della legge, piuttosto attraverso l’esperienza dello
Spirito che lo “ispira”. In questo modo la ruah dell’uomo, il suo spirito vitale, può incontrare la ruah di
Dio, anticipando ciò che si è realizzato con la pentecoste quando, con la discesa dello Spirito “sparso su
ogni carne”, si è adempiuta la profezia di Gioele. 57 Da quel momento, ciò che era riservato ai profeti è
diventato appannaggio dell’umanità e “tutta la terra è piena della conoscenza di Dio”. 58

54 In questo passo ad esempio emerge tutta la tensione tra la sensibilità alla chiamata e i suoi sentimenti umani che lo
portano a ribellarsi alla condizione di ingiustizia a cui è sottoposto a causa della sua missione: «Tu mi hai persuaso, o Eterno,
e io mi sono lasciato persuadere; tu sei più forte di me e hai vinto. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno; ognuno si
fa beffe di me. Poiché ogni volta che io parlo, grido e proclamo: "Violenza e saccheggio!". Sì, la parola dell'Eterno è per me
un motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Allora ho detto: “Non lo menzionerò più e non parlerò più nel suo
nome”. Ma la sua parola era nel mio cuore come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non
potevo». Ger. 20, 7-9. Circa il senso di abbandono invece si veda come esempio: Ger 15, 16-18.

55 Cfr. NEHER, L'essenza, op. cit., p. 84.

56 Cfr. Ibidem.

57 Cfr. Ivi p. 85; Cfr. At 2, 1-21.

58 Cfr. Is 11, 1-9.

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