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CAPITOLO 1

UNO SGUARDO SULLA VITA

DOMANDA: ILLUSTRARE LE GENERALITA’ SULLE CARATTERISTICHE FONDAMENTALI


DELLA MATERIA
VIVENTE

Gli esseri viventi che abitano il nostro pianeta condividono una serie di
caratteristiche che li
distinguono dalle cose non viventi. Queste caratteristiche comprendono
l’organizzazione,
crescita e sviluppo, metabolismo capace di autoregolarsi, movimento, capacità di
rispondere
agli stimoli, riproduzione e adattamenti ambientali. Organizzazione: possiamo
identificare
una gerarchia dell’organizzazione biologica. Tutti gli organismi viventi sono
altamente
organizzati, e sono costituiti da cellule. Alcune forme di vita più semplici come i
batteri, sono
unicellulari, costituite da una sola cellula, altre forme più complesse sono
formate da miliardi di
cellule. In questi organismi pluricellulari, i processi vitali dipendono dalle
funzioni coordinate
delle cellule che possono essere organizzate per formare tessuti, organi e apparati
organici.
Crescita e sviluppo: per crescita biologica si intende sia l’aumentare delle
dimensione delle
singole cellule sia del loro numero o entrambi.
La crescita di un organismo può essere uniforme, oppure maggiore in alcune parti,
cosicché le
proporzioni del corpo cambiano. Uno degli aspetti significativi del processo di
crescita è che
ogni parte dell’organismo continua a funzionare mentre cresce. Gli organismi
viventi con la
crescita si sviluppano. Metabolismo capace di autoregolarsi: in tutti gli organismi
viventi
avvengono reazioni chimiche e trasformazioni energetiche essenziali per il
nutrimento. Il
metabolismo è l’insieme delle attività chimiche dell’organismo che devono essere
accuratamente regolate per mantenere l’omeostasi, un stato di equilibrio interno.
Esempio:
quando la sostanza prodotta da alcune cellule è sufficiente, la sua produzione deve
cessare o
diminuire, al contrario quando è in carenza deve attivarsi per produrla. Questi
meccanismi
omeostatici sono sistemi di controllo che si autoregolano. Movimento: gli organismi
si
muovono interagendo con l’ambiente, allo stesso modo il materiale vivente che si
trova
all’interno della cellula è in continuo movimento.
In alcuni animali come le spugne, coralli e ostriche detti sessili, hanno stadi
larvali durante i
quali possono nuotare liberamente, ma divenuti adulti perdono la capacità di
muoversi da un
luogo all’altro. Pur rimanendo attaccati ad una superficie, utilizzano
estroflessioni della cellula
chiamate ciglia e flagelli per muovere l’acqua avvicinandosi così il nutrimento
necessario per il
loro organismo.
I vegetali non si muovono come gli animali, ma sono dotati ugualmente di movimento.
Ad
esempio orientano le foglie in direzione della luce.
Capacità di rispondere agli stimoli: tutte le forme di vita rispondono agli stimoli
cambiamenti fisici o chimici che avvengono nel loro ambiente interno o esterno.
Esempio:
l’occhio umano le cui cellule rispondono alla luce. Oppure nelle piante come la
Venere
acchiappamosche, capace di catturare gli insetti. Le foglie si piegano lungo l’asse
mediano,
emettono un profumo che attira gli insetti. La presenza dell’insetto sulla foglia,
rivelata dalla
peluria che la riveste, stimola la foglia a chiudersi. Non appena i bordi si
toccano i peli si
intrecciano e impediscono la fuga dell’insetto. Particolari enzimi lo uccidono e lo
digeriscono.

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Questa pianta cresce di solito in terreni poveri di azoto, gli insetti che mangia,
le permettono di
assimilare parte dell’azoto necessario per la crescita.
Riproduzione e adattamenti ambientali: asessuata (la prole è identica al genitore)
senza la
fusione dell’uovo e dello sperma per formare un uovo fecondato, esempio l’ameba, un
organismo unicellulare, che raggiunta una certa dimensione, si riproduce
dividendosi in due
parti uguali che vanno a formare due amebe nuove. Prima di dividersi l’ameba fa una
copia del
suo materiale ereditario (geni) e lo divide equamente tra le due cellule. Ciascuna
nuova ameba
è identica alla precedente tranne le dimensioni. La Riproduzione Sessuata avviene
nella
maggior parte dei vegetali e animali con la produzione di cellule specializzate,
uova e cellule
spermatiche, si uniscono per formare l’uovo fecondato dal quale sì svilupperà il
nuovo
organismo. La prole prodotta è il prodotto dell’interazione tra i geni forniti dal
padre e madre.
Tali variazioni genetiche sono alla base dei processi vitali dell’evoluzione e
dell’adattamento il
quale migliora la capacità di un organismo di sopravvivere in un particolare
ambiente, e può
essere di tipo strutturale, fisiologico, comportamentale oppure una combinazione di
questi.

Esempio di adattamento: le zebre, assumono una particolare posizione che permette


loro di
individuare i leoni e altri predatori. Le strisce servono per mimetizzarsi o per
proteggersi
visivamente dai predatori quando sono puntate a distanza.
Il loro stomaco si è adattato a cibarsi d’Erba, un adattamento che aiuta a
sopravvivere in caso
di cibo scarso. Un essere vivente per crescere, svilupparsi, muoversi, riprodursi,
deve ricevere
delle informazioni codificate sotto forma di sostanze chimiche o impulsi elettrici.
Nel 1953 James Watson e Francis Crick scoprirono la struttura dell’acido
desossiribonucleico (DNA). Questa sostanza chimica costituisce i geni, le unità di
base
dell’ereditarietà. Essi sono responsabile del controllo, dello sviluppo e del
funzionamento di
ciascun organo.
Il DNA contiene la ricetta per creare tutte le proteine (grosse molecole)
necessarie
all’organismo per determinare la struttura e la funzione delle cellule e dei
tessuti.
Logicamente le cellule nervose sono diverse da quelle muscolari perché hanno
proteine
diverse.
I meccanismi coinvolti nella segnalazione cellulare sono molto complessi, capire
come le cellule
comunicano tra di loro permette di scoprire nuovi metodi utilizzabili per liberare
farmaci
all’interno delle cellule per curare nuove patologie.
Gli ormoni sono messaggeri chimici in grado di trasmettere informazioni da una
parte all’altra
di un organismo. Possono indurre una cellula a secernere o produrre una particolare
proteina.
Gli animali hanno un sistema nervoso in grado di trasmettere informazioni sia
attraverso
impulsi elettrici, sia con molecole chiamate neurotrasmettitori. Il nostro sistema
nervoso
trasmette i segnali dai recettori sensoriali come gli occhi, le orecchie, al
cervello informando
dei cambiamenti che avvengono nell’ambiente esterno. La teoria dell’evoluzione, ci
spiega
come le popolazioni di organismi sono cambiate nel tempo. Ciascun organismo è il
prodotto di
complesse interazioni tra geni dei suoi antenati e le condizioni ambientali.
L’adattamento
ambientale è il risultato di processi evolutivi che avvengono in lunghi periodi e
coinvolgono
molte generazioni. Charles Darwin e Alfred Wallace furono i primi a portare
all’attenzione
generale la teoria dell’evoluzione basata sulla selezione naturale.
Darwin sintetizzò che le forme di vita sulla terra discendono attraverso varie
modifiche, da

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forme preesistenti. Egli basò la sua teoria sulle seguenti osservazioni:


Ogni membro di una specie (cioè un gruppo di organismi con struttura, funzioni e
comportamenti simili, che in natura si accoppiano solo tra loro) è diverso dagli
altri;
Nascono molti più organismi di quelli che sono in grado di sopravvivere fino alla
riproduzione;
Gli individui competono per sopravvivere, coloro che hanno più caratteristiche
vantaggiose potranno sopravvivere più facilmente rispetto agli altri;
Gli organismi che sopravvivono si riproducono e trasmettono le caratteristiche
vantaggiose alle loro proli e alle generazioni future.
Mentre Darwin non conosceva l’esistenza del DNA, e non poteva comprendere il
meccanismo
dell’ereditarietà, noi sappiamo che le diversità tra gli organismi viventi, sono il
risultato di geni
differenti che codificano ciascuna caratteristica.
Alla base di queste variazioni, ci sono mutazioni casuali, cioè cambiamenti di
natura chimica
nel DNA e possono essere ereditati.
Un altro aspetto fondamentale è quello dell’organizzazione biologica. I biologi
possono
studiare la cellula partendo dall’atomo e dalla molecola questo studio si chiama
riduzionismo.
Ogni livello di organizzazione ha proprietà emergenti, cioè caratteristiche non
presenti nei
livelli inferiori.

Esempio: le popolazioni hanno proprietà emergenti, come la densità, l’età media, i


tassi di
vita e di morte, mentre gli individui che formano una popolazione non possiedono
queste
caratteristiche.
Il livello chimico è il più piccolo livello di organizzazione e comprende gli atomi
e le molecole.

Esempio: due atomi di idrogeno si combinano con un atomo di ossigeno per formare
una
molecola di acqua. Sebbene formata da due tipi di atomi che sono gas, l’acqua è un
liquido,
ecco un esempio di proprietà emergente.
Diversi tipi di atomi possono associarsi tra loro per formare le cellule. Le sue
proprietà
emergenti la rendono la struttura di base e l’unità funzionale della vita. Ogni
cellula è
circondata da una membrana plasmatica che regola il passaggio dei materiali tra la
cellula e
l’ambiente circostante.
Tutte le cellule hanno al loro interno molecole che contengono il materiale
genetico e delle
strutture chiamate organuli capaci di svolgere funzioni altamente specializzate.
Conosciamo due differenti tipi di cellule: procariotiche come i batteri, tutti gli
altri organismi
sono formati da cellule eucariotiche che contengono una grande varietà di organuli
rivestiti
da una membrana incluso un nucleo che contiene il DNA.
Durante l’evoluzione gli organismi pluricellulari, si sono associati per formare i
tessuti, (negli
animali c’è’ quello muscolare e nervoso, mentre nei vegetali c’è l’epidermide), i
quali si
associano e formano organi (come il cuore e lo stomaco negli animali, radici e
foglie nelle
piante), che coordinati tra loro formano i sistemi come il sistema circolatorio e
digerente. Gli
organismi interagiscono fra loro formando popolazioni, che interagendo a loro volta
formano le
comunità, le quali possono essere composte da centinaia di tipi diversi di forme
viventi.
Una comunità insieme all’ambiente nel quale si trova è detta ecosistema, che può
essere
piccolo come una stagno o grande. L’insieme di tutti gli ecosistemi esistenti sulla
terra formano
la biosfera.

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La biosfera comprende tutto ciò che è abitato dagli organismi viventi –


l’atmosfera, l’idrosfera
(l’acqua in ogni sua forma) e la litosfera (la crosta terrestre).
Lo studio di come gli organismi di una comunità sono in relazione tra loro e con il
loro
l’ambiente è chiamato ecologia (dal greco oikos=casa).
La tassonomia è la scienza che studia la nomenclatura, e la classificazione di
tutti gli
organismi viventi. I biologi si chiamano tassonomisti. Il sistema per classificare
è stato
inventato dal botanico svedese Carlo Linneo nel XVIII secolo. L’unità di base per
la
classificazione è la specie. Quelle più strettamente correlate fra loro vengono
riunite in un
livello superiore di classificazione il genere.
Questo sistema ancora oggi valido se pur con qualche modifica, viene chiamato
binomiale,
perché a ciascuna specie assegna un nome doppio. La prima parte del nome indica il
genere
con la prima lettera maiuscola, la seconda parte il nome specifico con la prima
lettera in
minuscolo.
Il nome specifico della nostra specie è Homo sapiens (uomo saggio).
PROTISTI appartengono i protozoi le alghe e le muffe. Alcuni protisti si sono
adattati a
svolgere la fotosintesi, il processo nel quale l’energia luminosa è convertita in
energia chimica
di molecole di cibo.
FUNGHI composta da lieviti muffe e funghi e non sono fotosintetici, essi traggono
nutrienti
mediante la secrezione di enzimi digestivi e l’assorbimento di cibo predigerito.
VEGETALI sono organismi pluricellulari in grado di svolgere attività fotosintetica.
Comprendono sia le piante non vascolarizzate cioè i muschi, che quelle
vascolarizzate cioè
felci, conifere, piante da fiori.
Alcune caratteristiche dei vegetali sono: la cuticola, una copertura cerosa che
ricopre le
parti esposte all’aria, riducendo la perdita di acqua; gli stomi, piccole aperture
presenti nel
fusto e nella foglia che permettono lo scambio gassoso; i gametangi, organi che
proteggono le
cellule riproduttive in via di sviluppo.
ANIMALI organismi pluricellulari che devono mangiare altri organismi per trarne
nutrimento.
Ogni organismo per crescere e rimanere in vita necessita di energia, quindi ogni
organismo
assume costantemente nutrimento. Parte di questo viene utilizzato come carburante
per la
respirazione cellulare processo durante il quale l’energia immagazzinata nelle
molecole
viene rilasciata per essere utilizzata dalle cellule. Così come per gli individui
anche gli
ecosistemi dipendono da un continuo apporto di energia. L’ecosistema
autosufficiente è
costituito da tre tipi di organismi: produttori o autotrofi, consumatori o
eterotrofi, e
decompositori, e da un ambiente appropriato per la loro sopravvivenza.
Produttori o autotrofi sono piante, alghe e batteri che possono produrre il loro
cibo da
materiale grezzo, utilizzando la luce solare come fonte d’energia ed attuano la
fotosintesi dove
molecole complesse sono sintetizzate partendo da anidride carbonica e acqua.
L’energia
luminosa viene trasformata in energia chimica, e l’ossigeno è un sottoprodotto
finale della
fotosintesi.
Anidride carbonica + Acqua + Energia Zuccheri (cibo) + Ossigeno.
Consumatori o eterotrofi sono animali che dipendono dai produttori. Essi ricavano
energia
degradando le molecole di cibo prodotte durante la fotosintesi.
Zuccheri (e altre molecole di combustibile) + Ossigeno Anidride carbonica + Acqua +
Energia.
I consumatori contribuiscono all’equilibrio dell’ecosistema, perché producono
l’anidride

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carbonica necessaria ai produttori. Quindi sia produttori che consumatori


contribuiscono a
mantenere costante la miscela di gas atmosferici indispensabile per la vita.
Decompositori sono funghi e batteri cioè organismi eterotrofi che ottengono il
nutrimento
dalla degradazione delle sostanze di rifiuto o degli organismi morti rendendoli
riutilizzabili.
Se non esistessero i decompositori, le sostanze nutritive rimarrebbero intrappolate
negli
organismi morti e gli elementi necessari ai sistemi viventi si esaurirebbero
presto.
Diciamo che il mondo scientifico utilizza per le sue ricerche alcuni sistemi tra
cui:
il metodo scientifico che comporta una serie di passaggi ordinati, riconoscere i
problemi
sviluppare ipotesi (affermazioni verificabili) elaborare esperimenti.
il processo scientifico è investigativo, è influenzato da fattori culturali
storici e personali
dello scienziato stesso.
ragionamenti sistematici di tipo deduttivo e induttivo.
L’approccio ipotetico deduttivo inizia con delle informazioni chiamate premesse,
utilizza il
ragionamento deduttivo per verificare delle ipotesi.
Al contrario il ragionamento ipotetico induttivo parte da osservazioni specifiche
dalle quali si
cerca di estrarre delle conclusioni. Esempio: se sappiamo che i passerotti hanno le
ali, e sono
uccelli, e sappiamo che i pettirossi e le aquile hanno le ali e sono uccelli,
potremmo dedurre
che tutti gli uccelli hanno le ali. Purtroppo questo sistema è un po’ debole,
perché contiene più
informazioni rispetto ai fatti sui quali queste si basano.
Comunque qualsiasi ipotesi deve essere avvalorata da esperimenti controllati divisi
in gruppi
sperimentali e di controllo. Un gruppo sperimentale differisce da quello di
controllo solo per la
variabile che si sta studiando. Esempio: un esperimento condotto in modo
controllato
dimostra che il nucleo è essenziale per il corretto funzionamento della cellula.
Quando il
nucleo di un’ameba viene rimosso, l’ameba muore, l’ameba di controllo sottoposta ad
una
manipolazione simile (inserzione del microfago), ma senza rimozione del nucleo,
vive. Un
ipotesi diventa teoria quando è suffragata da molte osservazioni ed esperimenti.
Una teoria
ben fondata e verificata nel tempo diventa un principio. Il termine legge e’
talvolta usato per
un principio ritenuto di importanza basilare, come la legge di gravità.

CAPITOLO 2

ATOMI E MOLECOLE: BASE DELLA CHIMICA DELLA VITA

DOMANDA: Saper descrivere la composizione chimica della materia vivente

La materia chimica e i processi metabolici di tutti gli esseri viventi sono molto
simili tra loro. Le
leggi della fisica e della chimica valide per le cose non viventi sono valide anche
per i sistemi
viventi.
Gli organismi sono costituiti da sostanze semplici e di piccole dimensioni detti
composti
inorganici come l’acqua, gli acidi, le basi ed i sali, e da composti organici
generalmente più
complessi e di grandi dimensione contenenti atomi di carbonio.
Si definisce materia un qualche cosa che occupa uno spazio e ha una massa.
Attraverso la
chimica possiamo studiare la materia e gli elementi in essa contenuti. Gli elementi
sono gli
ingredienti necessari per formare la materia, sono sostanze che non possono essere
scisse in

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sostanze più semplici mediante reazioni chimiche. Si classificano secondo un


simbolo chimico,
di solito la prima o le prime due lettere del suo nome inglese o latino. Ossigeno
O, carbonio C.
Circa 25 dei 92 elementi naturali sono essenziali per la vita, ma quattro di questi
costituiscono
il 96% della materia vivente: carbonio (C), ossigeno (O), idrogeno (H), azoto (N).
Il rimanente 4% è costituito principalmente da fosforo (P), zolfo (S), calcio (Ca),
potassio (K) e
da altri elementi come iodio e rame sono detti elementi traccia in quanto presenti
in quantità
ridotta, ma altrettanto importanti per il buono stato di salute, esempio ne è lo
iodio, che nei
vertebrati è presente in un ormone prodotto dalla ghiandola della tiroide. Un
apporto di 0.15
mg è sufficiente per una normale attività della tiroide, ma la carenza comporta una
crescita
abnorme della ghiandola producendo una deformità nota come gozzo.
L’atomo è la più piccola unità dell’elemento che possiede le stesse caratteristiche
chimico-
fisiche dell’elemento stesso. I fisici hanno suddiviso l’atomo in più di un
centinaio di particelle,
dette subatomiche, ma solo tre sono di vero interesse: protoni, neutroni ed
elettroni. L’insieme
di protoni e neutroni formano il nucleo al centro dell’atomo. Gli elettroni si
muovono intorno al
nucleo con una velocità vicina a quella della luce.
Il protone è una particella che possiede carica positiva, il neutrone è neutro e
l’elettrone
possiede carica elettrica negativa. Nell’atomo neutro il numero di elettroni e
protoni è uguale.
Mentre per la presenza dei protoni il nucleo risulta essere di carica positiva ed è
per questo che
gli elettroni di carica opposta di sentono attratti.
Il numero atomico è il numero dei protoni contenuti in un atomo ed è indicato con
un
numero posto in basso a sinistra del simbolo dell’elemento. L’abbreviazione 1H
indica che in
qualsiasi atomo dell’elemento idrogeno c’è un solo protone nel nucleo. Quando non è
indicato il
numero degli elettroni di un atomo è equivalente al numero dei protoni, quindi
l’atomo è
elettricamente neutro. La tavola periodica riporta alcuni atomi biologicamente
importanti in
ordine di numero atomico, rappresentato secondo il modello di Bohr.
La massa è la quantità di materia contenuta nell’oggetto, il peso è la misura di
quanta massa
di quell’oggetto è soggetta alla forza di gravità, cioè, un’astronauta in un
veicolo spaziale è
senza peso, ma la sua massa è uguale a quella che avrebbe sulla terra. La massa di
una
particella subatomica è estremamente piccola per essere espressa in grammi o
microgrammi,
perciò le masse vengono espresse in uma (atomic mas unit) detta anche Dalton, in
onore del
suo inventore John Dalton nel 1800. In fatti un’uma è circa uguale alla massa di un
neutrone
che pesa 1.007 Dalton, o di un protone 1.009, mentre l’elettrone pesa 1/1800
rispetto agli altri
due.
La massa atomica di un elemento è un numero che indica quanto pesa quell’atomo. Si
ricava
sommando il n° dei protoni e neutroni presenti nel nucleo dell’atomo esprimendolo
in Dalton. Il
numero di massa atomica viene indicato in alto a sinistra del simbolo chimico.
Esempio:
scrivendo 1123 Na, si deduce che il sodio contiene 11 protoni, 12 neutroni e 11
elettroni.
Scrivendo 816 O si deduce che l’ossigeno ha nel suo nucleo 8 protoni e 8 neutroni,
ha numero
atomico 8 e massa 16.
L’atomo più semplice è quello dell’idrogeno 1H che possiede 1 protone, 1 elettrone
e nessun
neutrone.
Il peso atomico è il peso totale dell’atomo. Il peso totale dell’ NA e’ 23 Dalton.
La maggior parte degli elementi è costituita da atomi aventi diverso numero di
neutroni, perciò
massa diversa. Tali atomi si chiamano Isotipi. Gli isotopi di uno stesso elemento
hanno lo
stesso numero di protoni ed elettroni, mentre varia il numero di neutroni.
Consideriamo: i tre

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isotipi (dell’idrogeno comune 11 H), (deuterio 21 H), (trizio31 H), contengono


rispettivamente
0, 1 e 2 neutroni. La sua massa viene espressa come media delle masse dei suoi
isotopi. Ad
esempio, la massa dell’idrogeno non corrisponde a 1,0 uma, ma a 1.0079 uma, perchè
in
natura sono presenti piccole quantità di deuterio e trizio.
Oppure gli isotopi del carbonio con numero atomico 6, il più comune è il 126 C con
6 neutroni,
il 146 C con 8 neutroni, il 136 C che possiede 7 neutroni, e il 146 C, che ne ha 8.
Tutti gli
isotopi di un dato elemento hanno le stesse caratteristiche chimiche tranne alcuni
con un
eccessivo numero di neutroni sono instabili e tendono a rompersi o decadere verso
un isotopo
più stabile divenendo solitamente un elemento diverso. Sia 12 C, sia il 13C sono
isotopi stabili,
quindi il loro nucleo non tende a perdere particelle, al contrario il 14C e’
instabile e il suo
decadimento radioattivo produce la forma comune dell’azoto 714 N. Tali isotopi
vengono
definiti radioisotopi, in quanto decadendo emettono radiazioni (ciò comporta la
decomposizione di un neutrone e la formazione di un protone e di un elettrone
veloce emesso
dall’atomo sotto forma di radiazione e noto come particella B). Il decadimento
radioattivo può
essere rilevato attraverso la auto radiografia, in cui la radiazione provoca la
comparsa di
granuli di argento di colore scuro in una particolare lastra per raggi X.
Gli isotopi radioattivi hanno molteplici utilizzi; ad esempio gli scienziati lo
utilizzano per datare i
fossili, mentre nella medicina sono utilizzati sia per la diagnostica che per la
terapia.
Gli elettroni si muovono rapidamente in spazi tridimensionali detti orbitali
ciascuno può
ospitare max due elettroni. L’energia di un elettrone dipende dall’orbitale che
esso occupa.
Elettroni posti in orbitali con energie simili si dice che hanno lo stesso livello
energetico e
costituiscono un guscio elettronico. Elettroni che occupano gusci elettronici
distanti dal nucleo
hanno maggior energia di quelli che occupano i gusci vicino al nucleo, perché è
necessaria
energia per allontanare un elettrone carico negativamente dal nucleo che è carico
positivamente.
Gli elettroni più energetici noti come elettroni di valenza, occupano il guscio di
valenza più
esterno del modello di Bohr.
Un elettrone se riceve energia si può spostare verso un orbitale più esterno,
viceversa se cede
energia può scendere a un livello energetico più basso, più vicino al nucleo. Nella
fotosintesi,
ad esempio l’energia luminosa assorbita dalle molecole di clorofilla sposta gli
elettroni ad un
livello più alto.
Si parla quindi di livelli d’energia, e sono tre.
Il primo livello energetico presenta un solo orbitale che possiede forma sferica e
può
accogliere due elettroni.
Il secondo livello presenta quattro orbitali, uno sferico più grande del
precedente, e tre
orbitali a forma di otto e può ospitare al massimo otto elettroni, cioè due per
ogni orbitale.
Il terzo livello può contenere orbitali di forme più complesse.
Quindi le proprietà chimiche dell’atomo dipendono dal numero di elettroni presenti
nello strato
più esterno. Quando il guscio di valenza non è completo cioè non ha 8 elettroni
l’atomo tende a
cedere, acquistare o condividere elettroni per completare il guscio esterno.
Nella tavola periodica sono indicati i primi 18 elementi dall’idrogeno all’argon.
Sono disposti in
tre file orizzontali, o periodi disposti in modo sequenziale a seconda del loro
numero atomico.
Un atomo che possiede uno strato di valenza completo non è reattivo, quindi non
reagirà con
altri atomi con i quali verrà a contatto. L’elio, il neon e l’argon sono gli unici
elementi dei 18
mostrati nella tavola che possiedono il guscio di valenza completo e sono detti
inerti, poiché

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sono chimicamente stabili (non reattivi). Il cloro e il bromo che fanno parte degli
alogeni sono
molto reattivi, poiché i loro gusci di valenza possiedono 7 elettroni, e nelle
reazioni chimiche
tenderanno ad accettare un elettrone. Al contrario l’idrogeno, il sodio e il
potassio hanno un
unico elettrone di valenza che tenderanno a cedere, o a condividere con un altro
atomo. Tutti
gli altri atomi rappresentati nella tavola possiedono strati di valenza incompleti
per cui sono
chimicamente reattivi e attraverso il legame chimico formeranno molecole. Tutti gli
elettroni
hanno uguale massa e carica, ma si differenziano per la quantità di energia.
L’energia è la
capacità di compiere un lavoro.
Quando si combinano due atomi di ossigeno si forma una molecola di ossigeno, mentre
la
combinazione di atomi diversi forma un composto chimico. Ad esempio l’acqua è un
composto
chimico fatto da molecole che si formano quando due atomi di idrogeno reagiscono
con un
atomo di ossigeno. Le proprietà di un composto chimico possono essere diverse
rispetto alle
proprietà dei vari elementi che lo compongono: l’acqua a temperatura ambiente è
generalmente un liquido, mentre l’idrogeno ed ossigeno sono gas.
La formula chimica è il modo più semplice per descrivere la composizione chimica di
un
composto:
In una formula molecolare il numero a pedice specifica il numero reale di ogni
atomo in una
molecola. O2 indica che questa molecola è costituita da due atomi di ossigeno. Un
altro tipo di
formula è quella di struttura, che mostra in quale modo i due atomi di idrogeno si
legano
all’atomo dell’ossigeno H – O – H .
La massa di un composto è la somma delle masse atomiche (somma dei protoni e
neutroni)
degli atomi che compongono ogni molecola; quindi la massa molecolare dell’acqua,
H2O,
corrisponde a (2x1 uma) + (16 uma) =18 uma. La massa molecolare del glucosio
( C6H12O6)
corrisponde a (6x12 uma) + (12 x1 uma) + (6 x 16 uma) = 180 uma. La mole è la
quantità di
composto la cui massa in grammi è equivalente alla sua massa molecolare. Una mole
di
glucosio, ad esempio, ha una massa di 180 grammi. Il concetto di mole è utile
perché ci
permette di paragonare tra loro atomi e molecole di massa molto diversa. Questo
perché una
mole di ciascuna sostanza contiene sempre esattamente lo stesso numero di unità sia
che si
tratti di piccolo atomi che di grandi molecole. Il numero di unità in una mole,
pari a 6,02 x
1023, è noto come numero di Avogadro, dal nome del fisico italiano Amedeo Avogadro.
Così una mole (180 grammi) di glucosio contiene 6,02 x 1023 molecole esattamente
come una
mole ( 2 grammi) di idrogeno molecolare (H2).
Il concetto di mole permette di paragonare tra loro le soluzioni. Una soluzione 1
molare,
indicata come 1M, contiene 1 mole di una data sostanza sciolta in 1 litro di
soluzione. Possiamo
quindi confrontare un litro di una soluzione 1M di glucosio con 1 litro di una
soluzione 1M di
saccarosio (zucchero da tavola). Queste soluzioni differiscono per la massa dello
zucchero
disciolto (rispettivamente 180 e 340 grammi), ma entrambe contengono 6.02 x 1023
molecole
di zucchero.
Le equazioni chimiche descrivono le reazione chimiche, dove i reagenti (sostanze
che
partecipano alla reazione) vengono scritti a sinistra dell’equazione, mentre i
prodotti ( sostanze
che si formano nella reazione) vengono scritti a destra. La freccia significa
“produce” ed indica
la direzione nella quale la reazione tende a procedere.
Ad esempio 1 mole di glucosio, quando viene bruciata o metabolizzata, reagisce con
6 moli di
ossigeno per dare 6 moli di anidride carbonica e 6 moli di acqua.
Esempio: C6H12O6 + 6O2 6CO2 + 6H2O + Energia. Le reazioni possono procedere anche
in

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direzione inversa (verso sinistra). All’equilibrio le velocità di reazione nei due


sensi sono uguali,
quindi il sistema non può svolgere il lavoro, perché la differenza tra energia
liberata tra i
reagenti e i prodotti e zero. Le reazioni che possono andare in tutte e due i sensi
sono indicate
con una doppia freccia: CO2 + H2O H2CO3 anidride carbonica + acqua = acido
carbonico. In
questo esempio le frecce hanno lunghezze diverse perché all’equilibrio ci sono più
reagenti
(CO2 a H2O ) che prodotto (H2CO3).
Gli atomi di una molecola sono tenuti insieme da legami chimici. Ciascun legame
chimico
rappresenta un certa quantità di energia chimica potenziale. che e’ la quantità di
energia
posseduta dalla materia in funzione della sua altezza.
Esempio: l’energia potenziale contenuta in un bacino d’acqua può essere impiegata
per
alimentare un generatore posizionato a valle aprendo semplicemente i cancelli della
diga in
modo che l’acqua scorra a valle, ma l’acqua che si trova a valle possiede un
contenuto
energetico minore rispetto alla stessa in collina. Per ripristinare l’energia
potenziale è
necessario compiere un lavoro: riportare l’acqua nella diga contro la forza di
gravità.
L’energia di legame è l’energia necessaria per rompere quel legame. I due
principali tipi di
legame chimico sono quello covalente e quello ionico.

LEGAMI COVALENTI
Sono forti e stabili e si formano quando gli atomi condividono gli elettroni di
valenza formando
le molecole. Il legame covalente può essere semplice H - H, doppio O = O o triplo N
º N
apolare e polare.
Semplice Esempio: l’idrogeno: ogni atomo ha un solo elettrone, ma per completare il
suo
guscio di valenza ne sono necessari due. Gli atomi d’idrogeno hanno la stessa
capacità di
attrarre elettroni, quindi nessuno dei due dona un elettrone all’altro, ma li
condividono ruotano
intorno ad entrambe i nuclei tenendo uniti i due atomi. Così si è prodotta una
molecola di
idrogeno formata da due atomi di idrogeno tenuti insieme da un legame covalente,
rappresentata come H - H, dove la – rappresenta il legame covalente, cioè una
coppia di
elettroni in compartecipazione, ed è detta formula di struttura, cioè mostra la
disposizione
degli atomi. Si può abbreviare scrivendo H2 cioè una formula molecolare che indica
che la
molecola è formata da due atomi di idrogeno.
Altro esempio è l’atomo di carbonio che ha 4 elettroni disponibili per legami
covalenti, e li
condivide con gli elettroni di 4 atomi di idrogeno, formando una molecola di metano
CH4

H
|
H - C - H formula di struttura
|
H

Oppure un atomo di azoto con 5 elettroni nel suo guscio esterno, quindi con valenza
3,
condivide i suoi elettroni con tre atomi di idrogeno e forma l’ammoniaca NH3

H - N - H formula di struttura
|
H

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Le funzioni di una molecola dipendono dalla sua forma geometrica. Questa fa si che
all’interno di una molecola si abbia tra gli atomi la distanza ottimale per
controbilanciare la
repulsione dei doppietti elettronici. Quando 4 atomi di idrogeno si combinano con 1
atomo di
carbonio per formare una molecola di metano CH4, gli orbitali del guscio di valenza
del
carbonio vengono riarrangiati dando origine ad una struttura geometrica a tetraedro
con un
atomo di idrogeno ad ognuno dei 4 angoli.
Doppio: si ottiene quando due atomi mettono in partecipazione due coppie di
elettroni di
valenza.
Esempio: l’ossigeno che possiede 6 elettroni nel suo secondo strato di valenza e
necessita di 2
elettroni per completare lo strato di valenza, può formare una molecola mettendo in
compartecipazione due coppie di elettroni di valenza con un legame doppio.
Struttura di questamolecola O = O formula molecolare O2
Triplo: quando tre coppie di elettroni di valenza come nell’azoto 7N che possiede
cinque
elettroni di valenza, quindi due atomi di azoto si legheranno mettendo in
compartecipazione tre
coppie di elettroni di valenza formando una molecola di N2 con una struttura di N º
N
La capacità legante di un atomo è detta valenza dell’atomo. La valenza
dell’idrogeno è 1, quella
dell’ossigeno 8O è 2, quella dell’azoto 7N è 3. L’atomo di carbonio 6C possiede
quattro elettroni
di valenza, per cui la sua capacità di legame o valenza è 4.L’elettronegatività, è
la misura
dell’attrazione esercitata da un atomo sugli elettroni all’interno dei legami
chimici. Quanto più è
elettronegativo un atomo tanto più attira verso di sé gli elettroni di legame.

APOLARE: si stabilisce tra due atomi dello stesso elemento dove gli elettroni di
legame sono
condivisi in modo simmetrico e hanno uguale valore di elettronegatività come la
molecola
dell’ossigeno O2 formata da due atomi uguali, entrambe i nuclei attraggono gli
elettroni con la
stessa intensità. Anche il legame covalente presente nell’idrogeno è apolare. Anche
i legami del
metano sono apolari sebbene le coppie di atomi legati sono diversi, carbonio e
idrogeno non
differiscono sostanzialmente per la loro elettronegatività.
POLARE: si stabilisce tra atomi di elementi differenti, dove causa il loro
differente valore di
elettronegatività si ha un ineguale distribuzione di elettroni condivisi, quindi
gli elettroni di
legame sono più attratti dall’atomo più elettronegativo che presenterà polo
negativo mentre
l’atomo meno elettronegativo acquista carica positiva. Esempio: l’acqua, H2O dove
gli
elettroni condivisi, trascorrono molto più tempo vicino all’atomo dell’ossigeno
perché molto più
elettronegativo rispetto all’idrogeno e quindi l’atomo dell’ossigeno costituirà il
polo negativo
della molecola d’acqua, mentre i due nuclei di idrogeno formeranno il polo
positivo.
Legame ionico si forma tra gli atomi di due elementi differenti tra i quali e’
avvenuto uno
scambio di elettroni.
Esempio: di come si formano i legami ionici è l’attrazione degli ioni sodio e
cloro: un atomo di
sodio (11Na) possiede 11 elettroni con 1 elettrone di valenza; esso non può quindi
completare
il suo guscio più esterno acquistandone 7 perché avrebbe una carica negativa troppo
sbilanciata.
Quindi cede l’unico elettrone di valenza ad un atomo molto elettronegativo come il
cloro (17
Cl) che agisce da accettatore di elettroni, che possiede 17 elettroni di cui 7 di
valenza, che a
sua volta non li può cedere in quanto risulterebbe troppo positivo. Quando si
incontrano,
l’elettrone solitario del sodio viene trasferito all’atomo del cloro in modo tale
che entrambe gli

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atomi posseggono gli strati di valenza completi. L’elettrone che si è trasferito


tra i due atomi
trasporta carica negativa. Il sodio che ora si trova con 11 protoni e 10 elettroni,
possiede
carica netta positiva +1 NA+ L’atomo di cloro invece ha acquistato un elettrone e
quindi ha 17
protoni e 18 elettroni ha una carica netta negativa –1 CL.
Un atomo che possiede una carica viene detto ione. Se la carica è positiva si
chiama catione,
se negativa anione. Questi ioni si attraggono l’un l’altro grazie alle loro cariche
opposte e sono
tenuti insieme da questa attrazione elettrica propria dei legami ionici. Si
uniscono formando un
composto ionico, (come il cloruro di sodio, tipico composto binario cioè fatto da
due elementi,
dove quello più elettronegativo viene nominato per secondo con la desinenza uro),
Gli ioni hanno proprietà diverse da quelle dell’atomo. Ad esempio pur essendo il
cloro un
veleno, gli ioni cloruro sono essenziali nella conduzione dell’impulso nervoso
insieme agli ioni
sodio, potassio; così come gli ioni calcio nella contrazione muscolare.
I composti ionici vengono detti sali come il cloruro di sodio. Spesso si trovano in
natura sotto
forma di cristalli di varie forme e dimensioni. Un cristallo non è formato da
molecole nello
stesso senso di un composto covalente, quindi con dimensioni e atomi definiti, la
formula di un
composto ionico tipo NaCl indica il rapporto degli elementi in un cristallo. Non
tutti i sali
presentano un numero uguale di anioni e cationi, il composto ionico cloruro di
magnesio
(MgCl2 ) presenta due ioni di cloruro per ogni ione di magnesio. Il magnesio (12Mg)
deve
infatti perdere due elettroni esterni se vuole completare il suo strato di valenza.
Un atomo di
magnesio può così fornire due elettroni di valenza per due atomi di cloro.
Dopo aver perduto i due elettroni, il magnesio diventa un catione che possiede una
carica di
+2 (Mg2+).
In questo modo possiede 12 protoni e 10 elettroni diventa un catione che possiede
una carica
di +2 (Mg2+).
Non esiste una netta differenza tra legami covalenti e ionici. Diciamo che un
legame covalente
apolare (elettroni in compartecipazione e = elettronegatività), e un legame ionico
( scambio di
elettroni con cambio di polarità), sono i due opposti di un vasto arco di
situazioni, in cui gli
atomi condividono elettroni, e al centro di queste possibilità, possiamo collocare
il legame
covalente polare in cui gli elettroni sono condivisi non in modo uguale ( diverso
valore di
elettronegatività). Il composto ionico nella sua forma solida ha legame ionico
molto forte.
Tuttavia se posto in acqua si scioglie grazie all’elevato potere solvente
dell’acqua e alla sua
polarità.
Quando NaCl viene messo in acqua, le cariche parziali negative della molecola di
acqua
(presenti nella porzione dell’ossigeno), sono attratte dallo ione positivo del
sodio e tenderanno
a strapparlo al legame con lo ione cloruro. Mentre le cariche positive parziali
dell’acqua
(presenti nella porzione dell’idrogeno), sono attratte dagli ioni negativi CL- e
tenderanno a
separarli dal sodio: Quando NaCl si sarà sciolto, ciascun Na+ e Cl- sarà circondato
da molecole
di acqua da esso elettricamente attratto.

NaCl in H2O Na+ + CL

Una sostanza disciolta è detta soluto. Questo processo è noto come idratazione.
I legami a idrogeno si formano quando un atomo di idrogeno legato covalentemente ad
un
atomo molto elettronegativo viene attratto anche da un secondo atomo, anch’esso
elettronegativo, come l’azoto o l’ossigeno.

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Abbiamo già analizzato come l’acqua (molecola polare) legata covalentemente con
l’idrogeno,
porti alla distribuzione di una parziale carica negativa sull’ossigeno, e di una
parziale
sull’idrogeno.
Così succede nell’ammoniaca NH3 cioè l’atomo di azoto con parziale carica negativa
per la
presenza dell’idrogeno, si lega all’atomo dell’idrogeno dell’acqua che possiede
carica parziale
positiva. Il legame che si forma è a idrogeno, e si indica con una linea
tratteggiata.
Atomi elettronegativi. I legami a idrogeno sono di circa 20 volte più deboli
rispetto a quelli
covalenti, si rompono cioè più facilmente. I legami covalenti legano insieme atomi
nelle cellule,
ma è altrettanto importante il legame tra cellule dove possono aderire l’una
all’altra
temporaneamente attraverso legami deboli, compreso i legami a idrogeno. Cioè le
molecole si
associano rispondono e si separano. Esempio: una cellula nervosa del cervello
stimola una
cellula vicina liberando sostanze le cui molecole si legano a specifici recettori
alla superficie
della cellula ricevente. Se la molecola segnale si legasse con legami più forti
tipo covalenti, la
cellula ricevente continuerebbe a rispondere per molto tempo dopo che la cellula
trasmettitrice
ha cessato di inviare messaggi. Cioè il nostro cervello continuerebbe a percepire
il suono del
campanello per ore dopo la cessazione dell’informazione da parte delle cellule
nervose
sensoriali. La reazione redox o l’ossido- riduzione, si ottiene quando un elettrone
e la sua
energia, si trasferiscono da una sostanza all’altra. Fotosintesi e respirazione
cellulare sono
reazioni redox.
Esempio classico di ossido-riduzione è la ruggine. Nell’ossidazione un atomo, ione,
o molecola
perde elettroni, nella riduzione li acquista. In una reazione redox l’agente
ossidante accetta
uno o più elettroni riducendosi, l’agente riducente, cede uno o più elettroni
ossidandosi.
Nelle cellule viventi l’ossidazione comporta la perdita di un atomo di idrogeno, il
contrario
avviene per la riduzione.
L’ACQUA
Nei tessuti umani la sua percentuale è 20% ossa, 85% tessuti celebrali.
Le molecole d’acqua sono polari, hanno cioè cariche parziali positive e cariche
parziali negative.
Sono tenute insieme da legami a idrogeno. L’atomo di idrogeno di ogni singola
molecola
d’acqua con la sua carica parziale positiva, viene attratto dall’atomo di ossigeno
con parziale
carica negativa, della molecola vicina: si viene a formare così il legame a
idrogeno. Ciascuna
molecola d’acqua può legarsi a 4 molecole circostanti.
Le sostanze che interagiscono con l’acqua sono dette idrofile, quelle che
interagiscono con i
grassi idrofobe.
Le molecole d’acqua sono coesive, cioè hanno la tendenza ad attaccarsi le une con
le altre. Ciò
spiega come l’acqua possa bagnare le superfici.
Ha azione capillare, cioè la tendenza a risalire all’interno di tubi molto stretti
anche contro la
forza di gravità.
Tensione superficiale, grazie alla coesività delle molecole in superficie si
stringono formando
uno strato piuttosto resistente.
La caloria è l’unità di misura dell’energia termica (corrispondente a 4.184 joule)
ed è definita
come la quantità di calore necessaria per innalzare di un grado Celsius la
temperatura di un
grammo di acqua. L’acqua ha un grado di evaporazione alto. Sono necessari 540
calorie per
trasformare un grammo di acqua in un grammo di vapore d’acqua. Quando un campione
di
acqua viene riscaldato, alcune molecole si muovono più velocemente rispetto alle
altre e

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tendono ad abbandonare la fase liquida per entrare in quella di vapore, portando


con se anche
la loro energia termica, abbassando così la temperatura del campione. Così facciamo
noi
quando con il sudore dissipiamo l’eccesso di calore tramite la pelle.
L’acqua non si dissocia facilmente per dare ioni idrogeno (H+) e ioni idrossido
(OH-). La
concentrazione di ioni idrogeno e idrossido nell’acqua pura è uguale cioè 0,0000001
o 10-7
cioè neutra (ne acida, ne basica).
Un acido è una sostanza che in una soluzione si dissocia cedendo ioni H+ ed un
anione quindi
è un donatore di protoni.
Una base è una sostanza che in una soluzione si dissocia cedendo un ione OH- ed un
catione.
E’ un accettatore si protoni.
Il grado di acidità di una soluzione viene espresso in pH definito come il
logaritmo negativo (in
base 10) della concentrazione degli ioni idrogeno (espressa in moli/litro) pH =
-log 10 H +
La parentesi quadra indica la concentrazione di ioni idrogeno espressa in
moli/litro.
Le soluzioni acide con eccesso di ioni idrogeno hanno valori di pH inferiori a 7.
Tanto più è
acida una soluzione tanto è più basso è il valore si pH.
Le soluzioni basiche con eccesso di ioni idrossido hanno valori di pH maggiori di
7.
Il pH del sangue umano è circa 7,4 e deve essere mantenuto tale. Un aumento di
acidità causa
una disfunzione respiratoria, porterebbe ad uno stato di coma o persino la morte,
mentre una
alcalinità eccessiva porterebbe ad una estrema eccitabilità del sistema nervoso e
come
conseguenza le convulsioni.
Il tampone è una sostanza che ha il compito di opporsi alle variazioni di pH. E’
costituito da
una base debole e dal suo sale o un acido debole e il suo sale.
Un sale è un composto nel quale l’atomo di idrogeno dell’acido è stato rimpiazzato
da un altro
catione. Il cloruro di sodio, NaCl, è un composto nel quale lo ione idrogeno
dell’HCl è stato
sostituito dal catione Na+. Quando un sale, un acido, una base, vengono sciolti in
acqua, le
loro particelle cariche dissociate possono condurre corrente elettrica e si
chiamano elettroliti.
I principali cationi sono: sodio, potassio, calcio e magnesio, gli anioni sono:
cloruro, carbonato,
solfato e fosfato.

CAPITOLO 3

LA CHIMICA DELLA VITA: I COMPOSTI ORGANICI

DOMANDA: SAPER DESCRIVERE LE PROPRIETA’ CHIMICO-FISICHE E BIOLOGICHE


DEI CARBOIDRATI, LIPIDI, PROTEINE E ACIDI NUCLEICI

Carboidrati, lipidi, proteine e acidi nucleici (DNA RNA), fanno parte dei composti
organici
(costituiti da scheletri di atomi di carbonio) fondamentali per la vita degli
organismi.
Il carbonio è il componenti principale dei composti organici, poiché avendo 4
elettroni di
valenza può completare il suo guscio formando 4 legami covalenti.
I composti che hanno uguale formula molecolare, ma strutture e proprietà differenti
si
chiamano isomeri.
Ci sono quelli strutturali che differiscono per la disposizione covalente dei loro
atomi; quelli
geometrici differiscono per la disposizione spaziale dei loro atomi; gli
enantiometri che sono
speculari.

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Gli idrocarburi sono composti organici costituiti da carbonio e idrogeno e sono


apolari e
idrofobi.
La loro caratteristica è quella di poter cambiare uno o più atomi di idrogeno
legati allo
scheletro carbonioso con altri gruppi detti gruppi funzionali. Conoscendo il gruppo
presente nel
composto si può prevedere il comportamento chimico.
I gruppi sono: alcolico o ossidrilico – carbonilico – carbossilico – aminico –
fosfato – solfidrilico
– metilico (alcolico o ossidrilico R— OH ).
Esempio di cambiamento è l’etano un idrocarburo che alla temperatura ambiente è
allo stato
gassoso, ma sostituendo un idrogeno con un gruppo alcolico ne risulta l’alcol
etilico o etanolo
che si trova nelle bevande alcoliche.
carbonilico R—C=O costituito da un atomo di carbonio legato con doppio legame
covalente
all’ossigeno. Se il gruppo carbonilico è alla fine dello scheletro carbonioso si ha
un aldeide, se è
all’interno si forma un chetone.
Sia l’ossidrilico che il carbonilico sono entrambe polari perchè l’ossigeno
elettronegativo attrae
gli elettroni covalentemente.
carbossilico R—COOH costituito da un atomo di carbonio legato mediante un doppio
legame
covalente ad un atomo di ossigeno e da un legame covalente singolo ad un altro
atomo di
ossigeno che a sua volta lega un atomo di idrogeno.
I due atomi di ossigeno così vicini stabiliscono una condizione di polarità tanto
da strappare
all’atomo dell’idrogeno un elettrone ed essere rilasciato come ione idrogeno (H+).
Tale gruppo
può esistere nei due stati idrofili (ionico o polare). Sono debolmente acidi in
quanto solamente
una parte della molecola si ionizza.
Sono costituenti essenziali degli aminoacidi aminico R—NH2 costituito da un atomo
di azoto
legato covalentemente a due atomi di idrogeno.
E ‘debolmente basico e diventa carico positivamente quando accetta un ione idrogeno
(protone).
Il gruppo amminico è presente negli aminoacidi e acidi nucleici fosfato R—PO4H2 è
debolmente
acido e può rilasciare uno o due ioni idrogeno. Sono presenti negli acidi nucleici
e in alcuni
lipidi.
Solfidrilico R—SH è costituito da un atomo di zolfo legato covalentemente ad un
atomo di
idrogeno e lo si trova in molecole dette tioli.
metilico R—CH3 è apolare
I polimeri formati da composti organici di più monomeri, formano le macromolecole.
I 20 aminoacidi più comuni, sono monomeri che si legano per formare polimeri noti
come
proteine.
I polimeri possono essere degradati nei monomeri che li compongono mediante
idrolisi. Il
processo di sintesi mediante il quale questi monomeri vengono legati covalentemente
si
chiama condensazione.
Questo perché durante il processo viene eliminata una molecola d’acqua e si usa il
termine di
sintesi per disidratazione.

CARBOIDRATI
Gli zuccheri, amidi e cellulosa sono carboidrati.
I carboidrati contengono C, H ed O in un rapporto di un atomo di carbonio per due
di idrogeno
e uno di ossigeno, e sono idrofili.

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Gli zuccheri possono contenere: uno zucchero (monosaccaride), due zuccheri


(disaccaride) o
molti zuccheri (polisaccaridi).
Monosaccaride contengono da tre a sette atomi di carbonio. A ciascun atomo di
carbonio è
legato un gruppo alcolico tranne uno il quale a sua volta è legato mediante doppio
legame ad
un atomo di ossigeno per formare un gruppo carbonilico. Il ribosio e il
desossiribosio sono
pentosi, contengono cioè 5 atomi di carbonio e sono i componenti degli acidi
nucleici (DNA e
RNA). Il glucosio, il fruttosio il galattosio contengono 6 atomi di carbonio sono
detti esosi.
Il glucosio C 6H 12 O6 è il monosaccaride più importante nei processi vitali.
Durante la
respirazione cellulare le cellule rompono i legami della molecola di glucosio,
rilasciando
l’energia immagazzinata che può essere usata per il lavoro cellulare.
Disaccaride è costituito da due monosaccaridi legati l’uno all’altro mediante un
legame
glicosidico, che consiste di un ossigeno centrale legato covalentemente a due atomi
di
carbonio uno per anello.
Il saccarosio lo zucchero usato per dolcificare i cibi, è costituito da una unità
di glucosio ed
una di fruttosio. Il disaccaride può essere idrolizzato cioè rotto in due unità
monosaccaride per
aggiunta di una molecola d’acqua.
Polisaccaridi sono i carboidrati più abbondanti a cui appartengono: amidi,
glicogeno, e la
cellulosa.
Amidi sono la riserva dei vegetali che si accumulano sotto forma di granuli entro
organuli che
si chiamano plastidi. Quando serve energia la pianta può idrolizzare l’amido
rilasciando
glucosio.
Il glicogeno è la forma sotto la quale si accumula il glucosio negli animali, si
trova nel fegato
e nelle cellule muscolari.
La cellulosa è il componente principale delle pareti cellulari dei vegetali. E’ un
carboidrato
strutturale.
Il 50% del legno è costituito da cellulosa. Le pareti cellulari dei vegetali sono
circondate da uno
strato spesso di cellulosa. La cellulosa aiuta nella dieta l’intestino a funzionare
adeguatamente.
I carboidrati combinati con le proteine formano le glicoproteine (presenti sulla
superficie di
molte cellule), con i lipidi formano i glicolipidi che rivestono un ruolo
importante nelle
interazioni tra cellule.

I LIPIDI
I lipidi non sono definiti in base alla loro struttura, ma dal fatto che sono
solubili nei solventi
apolari (etere cloroformio) sono composti da C, H e O contengono meno ossigeno
rispetto al
carbonio e all’idrogeno e sono idrofobi (poco solubili in acqua). Sono importanti
carburanti
biologici e fungono da componenti strutturali delle membrane cellulari. I più
importanti sono: i
grassi neutri, i fosfolipidi, gli steroidi, i carotenoidi (pigmenti vegetali rossi
e gialli), e le cere.
Grassi neutri sono i più abbondanti negli essere viventi. Forniscono più del doppio
di energia
dei carboidrati. E’ costituito da glicerolo unito a 1,2 o 3 acidi grassi. Il
glicerolo è un alcol a tre
atomi di carbonio contenente tre gruppi ─OH. Un acido grasso è costituito da una
lunga
catena idrocarburica non ramificata alla cui estremità si trova un gruppo
carbossilico (─COOH).
Si dividono in saturi e insaturi.
I saturi contengono il maggior numero possibile di atomi di idrogeno.
Quelli insaturi possiedono una o più coppie di atomi di carbonio, quindi non sono
completamente saturati con l’idrogeno. Quando una molecola di glicerolo si combina
con un

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acido grasso si forma un monogliceride, se gli acidi sono due digliceride, se sono
tre
trigliceride.

FOSFOLIPIDI
Rappresentano una importante classe dei lipidi, quella dei lipidi anfipatici, le
cui molecole sono
caratterizzate dall’avere una estremità idrofila ed una idrofoba.
E’ composto da una molecola di glicerolo attaccata da un lato a due acidi grassi e
dall’altro a
un gruppo fosfato legato ad un composto organico come la colina. La parte della
molecola che
contiene acido grasso (coda) è idrofoba e insolubile in acqua, la parte costituita
dal glicerolo,
fosfato e dalla base organica (testa della molecola), invece è idrosolubile. Queste
proprietà
rendono queste molecole adatte a formare quelle strutture note come membrane
cellulari.

STEROIDI
Uno steroide è formato da atomi di carbonio disposti in 4 anelli uniti tra loro.
Tre anelli sono a
6 atomi di carbonio e il quarto è a cinque. Tra i più importanti steroidi
ricordiamo: il
colesterolo componente strutturale delle membrane cellulari animali, i sali biliari
emulsionano
i grassi presenti nell’intestino in modo tale da favorirne l’idrolisi per via
enzimatica, gli ormoni
sessuali e gli ormoni secreti dalla corteccia surrenale esempio il progesterone
ormone prodotto
dalla corteccia surrenale è un ormone sessuale femminile.

Carotenoidi (pigmenti vegetali rossi e gialli).


I pigmenti vegetali rossi e gialli detti carotenoidi, vengono classificati tra i
lipidi in quanto non
solubili in acqua e si trovano nelle cellule di tutte le piante.

PROTEINE
Le proteine sono sequenze polimeriche formate dall’unione di aminoacidi uniti tra
loro da
legame peptidico legame covalente che si stabilisce tra una porzione amminica e
quella
carbossilica di un altro aminoacido liberando acqua. Quando si combinano due
aminoacidi si
forma un dipeptide, una catena di aminoacidi formano un polipeptide.
Si definisce polipeptide una sequenza fino a 49 aminoacidi, oltre si definisce
proteina. Possono
essere assemblate fungendo così da componenti strutturali delle cellule e dei
tessuti. Sono la
struttura molecolare attraverso cui viene espresso il codice genetico sulla base
della
trasmissione del DNA.
Molti enzimi (molecole che accelerano di migliaia di volte le reazioni chimiche che
avvengono in
un organismo) sono proteine. Una cellula muscolare differisce dalle altre cellule
perché
contiene più proteine contrattili come l’actina e la miosina responsabile della sua
capacità di
contrarsi. La proteina emoglobina, che si trova nei globuli rossi, è specializzata
nel trasporto
dell’ossigeno.
Nelle proteine si trovano 20 tipi di aminoacidi. Quelli essenziali per l’uomo sono:
arginina,
fenilanina, istidina, leucina, lisina, metionina, treonina, triptofano, valina.
Nella molecola proteica si distinguono 4 livelli di organizzazione: struttura
primaria,
secondaria, terziaria, quaternaria.
Struttura primaria rappresenta la sequenza degli aminoacidi che costituiscono la
catena.
L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas ed impiegato nella cura del diabete.
E’ stata la
prima proteina di cui si è stata identificata l’esatta sequenza amminoacidica, ed è
composta da

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51 aminoacidi disposti su due catene ognuna con la sua struttura.


Struttura secondaria può essere a α-elica come le proteine fibrose della pelle,
unghie, capelli
che sono elastiche grazie ai legami a idrogeno che possono rompersi e rifarsi, o β-
planare a
foglietto ripiegato flessibile piuttosto che elastico.
Struttura terziaria è la forma complessiva assunta. E’ determinata da quattro
fattori che
implicano interazioni tra i gruppi: legami a idrogeno che si formano tra i gruppi,
attrazioni
ioniche, interazioni idrofobiche, legami covalenti noti come ponti disolfuro
(─S─S─), che legano
gli atomi di zolfo di due unità di cisteina.
Struttura quaternaria deriva dalla disposizione tridimensionale delle catene
polipeptidiche.
L’emoglobina la proteina dei globuli rossi responsabile del trasporto
dell’ossigeno, è un
esempio di proteina con struttura quaternaria è costituita da 574 aminoacidi
organizzati in 4
catene polipeptidiche, due catene a α-elica e due a β planare identiche.

ACIDI NUCLEICI
Gli acidi nucleici sono polimeri di nucleotidi costituiti da: uno zucchero a 5
atomi di carbonio
(ribosio o desossiribosio), un gruppo fosfato e una base azotata. La base azotata
può essere a
doppio anello come le purine o ad anello semplice come le pirimidiniche.
Gli acidi nucleici trasmettono l’informazione ereditaria e determinano quali
proteine debbano
essere sintetizzate dalla cellula. Ci sono due tipi di acidi nucleici: l’acido
ribonucleico (RNA)
e l’acido desossiribonucleico (DNA).
Sono così denominati per il pentoso (Riboso Desossiriboso).
Il DNA contiene le purine adenina e guanina (AG) e le pirimidiniche citosina e
timina (C T),
oltre allo zucchero desossiribosio ed al fosfato.
L’RNA contiene le purine adenina e guanina e le pirimidiniche citosina e uracile (C
U), oltre
allo zucchero ribosio ed al fosfato.
Le molecole degli acidi nucleici sono costituite da catene lineari di nucleotidi
uniti tra loro da un
legame fosfodiesterico costituito da un gruppo fosfato attaccato allo zucchero che
si lega
covalentemente allo zucchero del nucleotide adiacente.
Mentre l’RNA è generalmente composto da una catena nucleotidica, il DNA è composto
da due
catene nucleotidiche unite da legami a idrogeno ed avvolte l’una sull’altra a
formare una
doppia elica.
Alcuni nucleotidi svolgono un ruolo importante nei trasferimenti di energia.
L’adenosina tri
fosfato (ATP) costituita da adenina, ribosio e tre fosfati è la più importante
molecola
energetica della cellula.
L’ATP può trasferire un gruppo fosfato ad un’altra molecola, cedendo parte della
sua energia
chimica.
L’ATP può essere convertito in adenosina monofosfato ciclico (AMPc) grazie
all’enzima
adenilato ciclasi.
La nicotinamide adenindinucleotide (NAD+) svolge un ruolo importante nelle ossido-
riduzioni che avvengono all’interno delle cellule. Può esistere in forma ossidata
(NAD+) che si
trasforma nella forma ridotta in (NADH) quando accetta idrogeno.
Ogni base azotata andrà ad accoppiarsi in modo specifico: ADENINA-TIMINA GUANINA-
CITOSINA.
Questo perché deve essere garantita l’informazione trasmessa dal DNA in modo
corretto.
La funzione duplice del DNA: trasmettere l’informazione genetica e farla recepire
attraverso

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la sintesi delle proteine, trasmettere l’informazione genetica alle cellule figlie


motivo per cui è
costituito da un doppio filamento che srotolandosi da un lato viene copiato dal
mRNA quando
vuole fare le proteine, dall’altro viene trasmesso alle cellule figlie sulla scorta
dell’accoppiamento delle basi azotate a garanzia che le cellule figlie conterranno
le stesse
caratteristiche genetiche della cellula madre.

Le differenze tra DNA e RNA sono:


molecolarmente nello zucchero: desossiribosio DNA, e ribosio RNA
strutturalmente: 2 filamenti nel DNA 1 filamento nel RNA

CAPITOLO 5

LE MEMBRANE BIOLOGICHE

DOMANDA: Descrivere l’organizzazione delle cellule


La parte della biologia che studia la cellula è la citologia.
La cellula è l’unità strutturale e funzionale degli organismi viventi o in altri
termini il più
piccolo insieme di materia dotato di vita.
La scoperta delle cellule risale al XVІІ secolo con l’osservazione di un filamento
di sughero
con all’interno delle celle vuote che sono state chiamate cellule.
Dopo 200 anni si scoprì che tutte le piante e tutti gli animali si compongono di
cellule. Da qui si
formulò la teoria cellulare secondo cui:
tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule;
la cellula è l’unità strutturale e funzionale dei viventi;
ogni cellula deriva da altre cellule.
All’interno della cellula si verificano mutamenti continui come la concentrazione
salina, il pH, e
la temperatura. Attraverso l’omeostasi, (la tendenza a mantenere relativamente
costante
l’ambiente interno) e i suoi meccanismi omeostatici, cioè i processi che permettono
di
assolvere questo compito, deve lavorare continuamente per ripristinare le
condizioni
opportune.
Esistono due tipi di cellule: procariotiche ed eucariotiche.

Procariotiche
(prima del nucleo) sono tipiche dei batteri, e il DNA non è racchiuso all’interno
del nucleo, è
localizzato in una zona detta area nucleare o nucleoide che non è circondata da
membrana.
Sono cellule più piccole delle eucariotiche, sono circondate da membrana plasmatica
che
delimita il contenuto della cellula, e non ha tutti gli organuli della cellula
eucariotica. Il denso
materiale interno contiene ribosomi piccoli complessi di RNA e proteine in grado di
sintetizzare
polipeptidi, e granuli di deposito contenenti glicogeno, lipidi.

Eucariotiche
(vero nucleo) contengono almeno tre componenti fondamentali: il nucleo che contiene
il
materiale genetico (acido desossiribonucleico DNA), il citoplasma, e il tutto
racchiuso da una

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membrana plasmatica, un sottile involucro che la separa dall’esterno.

Il nucleo
è l’organulo più importante della cellula. Contiene il DNA le cui molecole
costituiscono i geni
che contengono in forma chimica le informazioni codificate per la produzione di
tutte le
proteine necessarie per la cellula.
Ha forma sferica o ovoidale. E’ formato da tre componenti: la membrana nucleare, la
cromatina, e uno o più nucleoli.
La membrana nucleare separa il nucleo dal citoplasma ed è formata da una doppia
membrana
a doppio strato lipidico che ad intervalli di 20-40 nm (10-9 metri) si fonde
formando i pori
nucleari che permettono il passaggio di materiali dal citoplasma al nucleo e
viceversa solo di
molecole specifiche.
La materia liquida interna al nucleo è il plasma nucleare composta da una soluzione
acquosa
contenente ioni, enzimi, ribosomi.
La cromatina è una sostanza dall’aspetto granulare composta da lunghe molecole di
DNA
associate a proteine: Durante la divisione cellulare la cromatina si spiralizza e
forma strutture a
forma di bastoncelli i cromosomi.
I nucleoli piccoli nuclei di forma tondeggiante. Qui avviene la sintesi dei diversi
tipi di RNA che
costituiscono i ribosomi. Le proteine necessarie per allestire i ribosomi sono
sintetizzate nel
citoplasma e sono poi importate nel nucleolo. Quindi l’RNA ribosomiale e le
proteine vengono
assemblate in subunità ribosomiali che escono dal nucleo attraverso i pori
nucleari.

Il citoplasma
è una porzione della cellula contenuta entro la membrana plasmatica e che circonda
il nucleo.
E’ composto dal citosol e numerose strutture citoplasmatiche detti organuli, per
mezzo dei
quali la cellula respira, digerisce e sintetizza molecole ed esercita tutte le
attività metaboliche
in modo mirato. Gli organuli sono: apparato di golgi, ciglia e flagelli,
citoscheletro,
lisosomi, mitocondri, perossisomi, reticolo, endoplasmatico, ribosomi, centrioli,
cloroplasti (fanno parte della cellula vegetale) vacuoli (fanno parte della cellula
vegetale)

APPARATO DI GOLGI
è un organulo citoplasmatico e ha tre funzioni:
prima funzione: contenimento ed evacuazione di vescicole proteiche garantendo alla
cellula la
massima efficacia nell’eliminazione di prodotti con il minimo sforzo, perché da una
micro
vescicola riesce ad espellere macrovescicole. E’ costituito da pile di sacche
membranose
appiattite. Ogni sacca ha uno spazio interno detto LUME. Ciascuna pila di vescicole
possiede 3
aree denominate superfici CIS e TRANS tra i quali si trova la regione MEDIALE. La
superficie
CIS è collocata vicino al nucleo e ha funzione di ricevere i materiali contenuti
nelle vescicole di
trasporto provenienti dal RE. La TRANS è vicina alla membrana plasmatica,
impacchetta le
molecole in vescicole che sono trasportate al di fuori del Golgi
seconda funzione: garantire la glicosilazione delle proteine ( cioè aggiungere
zuccheri alle
proteine), che significa costituire delle glicoproteine che hanno due funzioni:
andare a fare parte della membrana costituendo i pori;
rendere la cellula antigenica cioè quella glicoproteina caratterizza quella
cellula e solo
quella, quindi la rende riconoscibile e specifica nell’ambito dell’organismo.

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Esempio: l’organismo riconosce ciò che è SELF (proprio) da ciò che è NON SELF che
va
distrutto, come un battere o un organo trapiantato. Questo viene fatto sulla scorta
del
riconoscimento glicoproteico. In base alla struttura molecolare che si palesa al di
fuori della
cellula indipendentemente dalla membrana plasmatica la glicoproteina conferisce una
specificità di struttura a quella cellula.
terza funzione: ha il compito di allestire i lisosomi.

CITOSCHELETRO
è un organulo citoplasmatico costituito da tre tipi di fibre: microtubuli,
microfilamenti,
filamenti intermedi. Fornisce il supporto strutturale e serve per il trasporto di
materiali
all’interno della cellula e nella divisione cellulare.

I microtubuli
sono i filamenti più spessi del citoscheletro, hanno un Ø di circa 25 nm. Sono
coinvolti nel
movimento dei cromosomi durante la divisione cellulare. Sono costituiti da due
proteine la ά β
tubulina. Queste si combinano tra loro formando un dimero (si forma in seguito
all’associazione di due unità simili detti monomeri). Il microtubulo si allunga per
addizione di
dimeri di tubulina. Possiede una polarità e l’estremità si chiamano più e meno.
L’estremità più
si allunga più rapidamente.
Per espletare la funzione strutturale si devono ancorare ad altre parti della
cellula. Nelle cellule
che NON si stanno dividendo i microtubuli appaiano stendersi dalla regione detta
(MTOC),
centro di organizzazione dei microtubuli, di cui il principale è il centrosoma,
contenente due
strutture dette centrioli costituiti da 9 triplette di microtubuli disposte a
formare un cilindro
cavo.
Sono state individuate diverse proteine associate ai microtubuli (MAP), e
raggruppate in due
gruppi:
le MAP fibrose legano i microtubuli in modo da formare dei fasci che aiutano a
conferire
forma alla cellula, le proteine motore utilizzano l’energia contenuta nell’ATP per
generare
movimento. La proteina CHINESINA muove gli organuli verso l’estremità positiva dei
microtubuli, la DENEINA trasporta gli organuli nella direzione opposta. Questo è
detto
trasporto retrogrado.
I microtubuli costituiscono i principali componenti strutturali delle ciglia e
flagelli (strutture
specializzate ed utilizzate per i movimenti cellulari). Se la cellula possiede
poche appendici e
lunghe, vengono chiamate flagelli, se ne ha molte e corte, vengono chiamate ciglia.
Esempio:
negli animali, i flagelli sono presenti come code negli spermatozoi, e si muovono
come una
frusta esercitando una forza perpendicolare alla superficie della cellula. Le
ciglia sono presenti
sulla superficie delle cellule che rivestono i dotti interni dell’organismo (vie
aeree), e si
muovono come remi alternando il movimento ed esercitando una forza parallela alla
superficie
della cellula. Esempio ne sono le ciglia presenti nelle pareti delle tuba uterina
che con il loro
movimento asincrono trasportano l’ovulo in utero. Infatti la sindrome delle ciglia
immobili
si correla ad una infertilità.
Sia ciglia che flagelli hanno strutture simili, sono costituiti da steli di forma
cilindrica coperti da
membrana plasmatica. La parte interna dello stelo è costituita da un gruppo di 9
paia di
microtubuli disposti lungo la circonferenza e due microtubuli non appaiati al
centro. Questa
disposizione 9+2 è tipica di tutte le ciglia e flagelli degli eucarioti. Inoltre
ciascun ciglia e

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flagelli sono ancorati alla cellula mediante un corpo basale che ha 9 serie di 3
microtubuli
disposte in centro.

I microfilamenti
chiamati anche filamenti di actina sono fibre flessibili e solide del Ø di 7 nm.
Ciascun
microfilamento è costituito da due molecole intrecciate di actina simile a perle.
Queste
molecole si legano l’una all’altra ed a altre proteine per formare fasci di fibre
che conferiscono
il supporto meccanico a diverse strutture cellulari. Nelle cellule muscolari
l’actina si associa
alla miosina per formare fibre in grado di permettere la contrazione. La
contrazione di un
anello di actina associata con miosina causa la costrizione della cellula per dare
origine a due
cellule figlie.

I filamenti intermedi
hanno un Ø di 8/10 nm. Sono costituiti da fibre polipeptidiche. Si pensa che
rendono più forte
il citoscheletro stabilizzando così la forma della cellula.

LISOSOMI
sono organuli citoplasmatici composti da piccole sacche piene di enzimi (molecole
che
accelerano le reazioni chimiche) digestivi disperse nel citoplasma. Gli enzimi
degradano le
molecole complesse e possono essere proteolitici, lipolitici o glicolitici.
All’interni dei lisosomi
sono stati identificati più di 40 enzimi diversi, la maggior parte è attiva in
condizioni di pH 5. I
lisosomi PRIMARI si formano per gemmazione dal complesso di Golgi. I loro enzimi
sono
sintetizzati nel RER, quando attraversano il LUME del RE, gli zuccheri si attaccano
alle molecole
identificandole. I lisosomi degradano i batteri o frammenti ingeriti dalle cellule
spazzino. Il
materiale è racchiuso in una vescicola che si genera dalla membrana plasmatica.
Uno o più lisosomi primari si fondono con queste vescicole contenenti il materiale
estraneo
formando una vescicola più grande detta lisosoma SECONDARIO. Infine potenti enzimi
intervengono degradando le molecole estranee.
L’apoptosi cioè la morte programmata della cellula, costituisce una parte normale
dello
sviluppo e del mantenimento della cellula. In alcune malattie genetiche umane, note
come
accumulo lisosomiale, mancano alcuni enzimi idrolitici che degradano i lipidi
provocando ad
esempio nelle cellule cerebrali il ritardo mentale e la morte.
Quando il lisosoma deve digerire una vecchia proteina, una aggressione esterna,
intervengono
i MACROFAGI strutture piene di granuli lisosomiali che incontra l’agente estraneo
si apre e
libera questi granuli di lisosomi, che si attivano quando vengono liberati che
contengono enzimi
forniti dall’ergastoplasma sulla base del DNA. Quindi i lisosomi sono pronti per
spandere
questo contenuto enzimatico atto ad aggredire e distruggere. I lisosomi sono quindi
organuli
che contengono enzimi litici che se sono all’interno della cellula sono inattivati,
la cui
attivazione non risiede nel loro interno altrimenti si autodistruggerebbero, ma è
una
conseguenza al rilascio degli enzimi stessi che richiede un pH acido.

MITOCONDRI
Sono organuli citoplasmatici nei quali avviene la respirazione cellulare, che
consiste in una
serie di reazioni che trasformano l’energia chimica presente nel cibo in ATP. E’
necessario
l’ossigeno e ha come prodotti finali anidride carbonica e acqua. (E’ la centrale
elettrica della

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cellula). I mitocondri sono più numerosi nelle cellule molto attive che richiedono
grandi
quantità di energia. Nella cellula epatica se ne possono trovare più di 1000.
Cambiano forma
molto rapidamente e si replicano per divisione.
Sono circondati da una doppia membrana (Il Mitocondrio deriva da una cellula
procariote che
è entrato nella cellula eucariote).
La membrana esterna è liscia e permette il passaggio di molecole di piccole
dimensioni.
La membrana interna è selettivamente permeabile, è ripiegata a formare
estroflessioni
chiamate creste che si ripiegano aumentando l’area superficiale dove avvengono le
reazioni
chimiche che trasformano l’energia chimica in ATP. La membrana contiene gli enzimi
e le
proteine necessarie per queste reazioni.

PEROSSISOMI
Sono organuli rivestiti da membrana. Contengono enzimi in grado di catalizzare le
reazioni
chimiche (cioè influenzano la reazione chimica senza essere consumati dalla
reazione stessa)
dove l’idrogeno è trasferito verso l’ossigeno formando un prodotto secondario il
PEROSSIDO
D’IDROGENO H2 O 2 che è tossico per la cellula. I perossisomi contengono l’enzima
catalasi
che è in grado di degradare il perossido d’idrogeno rendendolo innocuo. I
perossisomi si
trovano in tutte le cellule che immagazzinano o degradano lipidi. Nelle cellule
renali ed
epatiche detossificano l’etanolo che è l’alcol contenuto nelle bevande alcoliche.

RETICOLO ENDOPLASMATICO
Organulo citoplasmatico costituito da un insieme di cavità tubulari o vescicolari
riccamente
ramificate nel citoplasma e delimitata da membrana. Lo spazio interno che si viene
a creare è
chiamato LUME e nella maggioranza delle cellule da origine ad un unico
compartimento
interno. Il RE è in relazione in superficie con la membrana plasmatica, in
profondità con quelle
nucleari. Perché dal nucleo uscirà mRNA andrà sul ribosoma che determinerà la
catena
aminoacidica e formata la proteina uscirà fuori o resterà dentro.
E’ distinto in RE RUVIDO detto ergastoplasma (plasma elaboratore) e LISCIO.
Il RER appare tale per la presenza dei ribosomi sulla sua superficie.
Il RER ha il compito di elaborare proteine che gli arrivano dai ribosomi adesi alle
sue
membrane e indirizzare il loro destino. Potrebbe essere una proteina che deve
uscire dalla
cellula in modo esocrino, oppure andare a rimpiazzare proteine vecchie o denaturate
della
membrana plasmatica, oppure proteine che debbono rimanere nel citoplasma. Nello
specifico
rimanendo all’interno della cellula vanno all’interno dei lisosomi quindi saranno
enzimi.
Una struttura ricca di ergastoplasma è l’acino pancreatico; struttura base della
ghiandola
pancreatica. Il pancreas è una ghiandola che ha bisogno di secernere gli ormoni che
regolano
l’assunzione o la liberazione di glucosio (insulina e glucagone) e poi non poco
determinare la
produzione di elettroliti che riescono a tamponare l’acidità gastrica.
Un’altra zona dove si trova l’ergastoplasma sono le plasma cellule che elaboreranno
gli
anticorpi che avranno bisogno di un organulo che lavori a ritmo incessante perché
in caso di
infezione in atto un aggressione esterna deve essere pronto a buttare fuori quanto
più
possibile risposte anticorpali.
Il REL liscio è privo di ribosomi, ha due funzioni: sintetizzare ormoni steroidei
(come il
testosterone e lo troveremo nel testicolo), e la detossificazione cioè
l’eliminazione di tossine.
Lo troviamo nella cellula epatica si riempie di REL e non di RER perché non ha
bisogno di

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produrre proteine, ma bensì operare una detossificazione perché attraverso il


fegato passano
una serie di fasi del metabolismo e una serie di farmaci che vengono captati e
metabolizzati
dal fegato. Gli enzimi del REL delle ghiandole epatiche sono in grado di degradare
sostanze
chimiche tossiche come quelli cancerogene che vengono trasformati in composti
idrosolubili
che possono essere così escreti.

RIBOSOMI
Sono piccoli granuli costituiti da RNA e proteine alcuni attaccati alle membrane
del RE altri
liberi nel citoplasma. Contengono gli enzimi necessari per formare il legame
peptidico, sono
strutture per l’assemblaggio delle proteine.
Possiamo avere ribosomi adesi al RE deputati a produrre proteine che costituiscono
la
membrana stessa oppure dare proteine che arriveranno alla membrana plasmatica
oppure dare
proteine che andranno fuori dalla cellula.
Quelli liberi hanno una funzione più strutturale perché sono liberi di produrre
proteine e quindi
fare differenziare la cellula. Esempio di una cellula ricca di ribosomi liberi è
l’eritroblasto cioè
la cellula giovane del globulo rosso. Blasto si usa per indicare la giovinezza
della cellula,
clasto vecchio.
Quindi il ribosoma libero nell’eritroblasto ha la funzione di produrre proteina che
rimanga
all’interno della cellula. L’eritroblasto sarà ricchissimo di ribosomi liberi e non
di ergastoplasma,
perché non ha bisogno l’eritroblasto che deve maturare di fare proteine per la sua
membrana o
di buttarle fuori (questo giustificherebbe la presenza dell’ergastoplasma), ha
bisogno invece di
ribosomi che producono proteine che rimangano all’interno della cellula nella
fattispecie di
emoglobina il cui incremento di concentrazione equivale ad un incremento
maturativo.
L’eritroblasto prende la proteina si accumula si differenzia e diventa globulo
rosso.
La cellula vegetale possiede alcune strutture esclusive tra cui una parete
cellulare e organuli
quali i vacuoli e i plastidi. La maggior parte delle cellule vegetali è priva di
centrioli.

LA PARETE CELLULARE
è una struttura esterna alla membrana plasmatica ed è costituita da polisaccaridi
soprattutto
cellulosa.
Conferisce sostegno e forma alla cellula.

IL VACUOLO
è una cavità presente nelle piante e nei funghi nel quale si accumulano acqua,
prodotti di
rifiuto e sostanze nutritive. Sono paragonabili ai lisosomi della cellula animale.
La membrana
del vacuolo è detta TONOPLASTO. Il vacuolo svolge un ruolo importante nella
crescita e nello
sviluppo delle piante. La cellula vegetale cresce di dimensione soprattutto
attraverso l’aggiunta
d’acqua al vacuolo centrale formatosi dalla fusione di altri vacuoli. Nei protozoi
(dal latino primi
animali, organismi non pluricellulari simili agli animali, perché utilizzano come
modalità di
alimentazione l’ingestione del cibo), ci sono:
vacuoli nutritivi ripieni di cibo che si fondono con i lisosomi, per digerirlo;
vacuoli contrattili che permettono alla cellula di eliminare l’acqua in eccesso.

I PLASTIDI
Sono organuli avvolti da una doppia membrana, si sono formati partendo dai
PROPLASTIDI,

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organuli precursori che si trovano nelle cellule vegetali.


I plastidi sono distinti in: CLOROPLASTI – CROMOPLASTI – LEUCOPLASTI in base al
loro
colore.
I CLOROPLASTI trasformano l’energia luminosa in energia chimica mediante il
processo
fotosintetico, operato da un pigmento verde, la clorofilla a e b che si trova nelle
membrane
tilacoidali.
Sono strutture a forma di disco e come i mitocondri hanno un sistema di membrane
ripiegate.
Il liquido interno si chiama STROMA, che contiene gli enzimi necessari per la
produzione di
carboidrati da anidride carbonica e acqua, utilizzando l’energia solare. La
membrana interna si
può ripiegare all’interno per formare un insieme di membrane (sacche appiattite a
forma di
disco) dette TILACOIDI che si dispongono in pile dette GRANA.
Come i mitocondri anche i cloroplasti contengono ribosomi e un proprio DNA.
Contengono anche i CAROTENOIDI pigmenti giallo ed arancio in grado di assorbire la
luce.
I CROMOPLASTI contengono i pigmenti rosso-arancione che conferiscono a frutta e
fiori i loro
colori, attrattiva per gli animali impollinatori o dispersori di semi.
I LEUCOPLASTI sono privi di pigmento e quindi sono bianchi. Possiamo citare gli
AMILOPLASTI che immagazzinano amido nelle cellule esempio le patate.

La membrana plasmatica
è un involucro che separa fisicamente l’interno di una cellula dall’ambiente
esterno, regola
l’entrata e l’uscita di materiali. E’ una barriera dimensionale perché non fa
passare molecole
dal peso molecolare superiore ai 60.000 dalton e ionica perché all’interno e
all’esterno della
barriera si stabiliscono delle cariche negative. E ‘garanzia di tenuta cellulare di
forma non deve
riempirsi di schifezze, è una sorta di isolamento.
I principali costituenti sono: lipidi e proteine.
I lipidi sono di tre tipi: fosfolipdi, colesterolo e glicolipidi.
Un fosfolipide consiste in una molecola di glicerolo attaccata da un lato a due
acidi grassi
(coda idrofoba), e dall’altro lato un gruppo fosfato legato a un composto organico
come la
colina (testa idrofila). Le molecole con regioni idrofobe e idrofile distinte si
chiamano
molecole anfipatiche. Poiché una delle estremità di ciascun fosfolipide si combina
liberamente
con l’acqua, mentre quella opposta non lo fa, l’orientamento più favorevole assunto
da queste
molecole in acqua risulta essere una struttura a doppio strato. La parte idrofila
di ogni
molecola di fosfolipidi (la testa) si rivolge verso il citoplasma, e la parte
idrofoba (la coda) si
dispone verso l’interno del doppio strato. Gli acidi grassi costituiscono le code
dei fosfolipidi e
rendono la membrana fluida. Secondo il modello a mosaico fluido le membrane sono
costituite
da un doppio strato fosfolipidico fluido, nel quale sono incastrate varie proteine.
Non è un
modello statico perché le proteine cambiano continuamente posizione.
Affinché possa funzionare adeguatamente è necessario che i suoi lipidi siano in uno
stato di
fluidità ottimale. Se i lipidi sono troppo fluidi la membrana ne risulta
indebolita. Se lo strato
lipidico è troppo rigido risultano inibite alcune funzioni di membrana. A
temperature normali le
membrane cellulari sono fluide, mentre a basse temperature i movimenti delle catene
di acidi
grassi sono rallentati.
Il colesterolo ha la capacità di stabilizzare la fluidità della membrana. E
‘immerso nella
membrana e conferisce al doppio strato stabilità e resistenza.
I glicolipidi si trovano immersi nello strato esterno della membrana e regolano le
comunicazioni

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tra le cellule.
Le proteine (proteine di membrana) sono: o immerse nel doppio strato o sono
attaccate alla
sua superficie (alcune sono legate ai carboidrati e prendono il nome di
glicoproteine.
Ci sono le proteine estrinseche (o periferiche) inserite solo in uno dei due
strati, e quelle
intrinseche (o integrali) che sono completamente immerse nel doppio strato, le
regioni idrofile
si estendono fuori dalla cellula o nel citoplasma, mentre le regioni idrofobe
interagiscono con le
code dei fosfolipidi di membrana.
Le proteine di membrana sono suddivise in base alle funzioni svolte:
formare giunzioni tra cellule adiacenti;
attaccarsi agli elementi del citoscheletro (le interine sono in grado di legarsi
ai
microfilamenti che si trovano all’interno della cellula;
formare canali che permettono il passaggio selettivo di ioni o molecole;
formare pompe che richiede l’ATP per trasportare attivamente i soluti;
alcune proteine sono enzimi in grado di catalizzare reazioni che avvengono in
prossimità
della superficie cellulare;
recettori che agiscono nel riconoscimento cellulare.
Nella traduzione del segnale i recettori trasformano un segnale extracellualare in
intracellulare.
La molecola segnale si lega a un recettore sulla membrana plasmatici, questo
complesso
segnale-recettore attiva la proteina G che attiva a sua volta un enzima che
catalizza la
produzione di un secondo messaggero il AMP ciclico che attiva uno o più enzimi come
le
proteina-chinasi. Gli enzimi possono fosforilare le proteine che alterano le
attività della
cellula.
Le membrane cellulari sono selettivamente permeabili, cioè permettono il passaggio
solo di
alcune sostanze.
Il suo doppio strato lipidico costituisce una barriera invalicabile per le molecole
grosse, polari e
idrosolubili e degli ioni. Per le sue caratteristiche selettive riguardo il
passaggio di materiali, la
membrana plasmatica viene detta semipermeabile.
Il passaggio attraverso la membrana può avvenire attraverso il meccanismo della
DIFFUSIONE, che può essere: PASSIVA O FACILITATA.

PASSIVA è il movimento di sostanze in soluzione attraverso la membrana che non


richiede
dispendio d’energia per la cellula, sulla base del gradiente di concentrazione.
Cioè il flusso che
si determina da un compartimento all’altro intra e extra cellula, sulla base della
concentrazione
di quel composto da un compartimento all’altro. Il composto senza carica può
diffondere da un
compartimento ad alta concentrazione verso il compartimento a bassa concentrazione
sfruttando l’energia potenziale dovuta alla presenza del gradiente di
concentrazione. Mentre
per le molecole cariche elettricamente si osserva anche il gradiente
elettrochimico, cioè la
distribuzione delle cariche.
FACILITATA, perché esistono dei carriers (proteine vettrici), che prendono la
molecola la
portano sulla membrana, interagiscono con dei recettori che si aprono e la fanno
entrare.
Logicamente avendo una proteina vettrice per quella molecola è indice di
specificità d’ingresso.
Entra solo quella molecola. Un altro modo di diffusione facilitata è il canale: Il
bilayer viene
interrotto e passano le molecole ed è meno specifico.
L’osmosi è la diffusione dell’acqua attraverso la membrana. Il passaggio è
consentito per la
presenza di pori formati dall’assemblaggio di un certo numero di proteine
intrinseche. L’osmosi

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termina quando viene raggiunto l’equilibrio osmotico, cioè quando il flusso d’acqua
è uguale e
non vi è più un passaggio netto di molecole da un lato all’altro. Esempio di un
tubo ad U diviso
in due parti da una membrana attraverso la quale possono passare le molecole di
solvente, ma
non quelle di soluto. Nel lato sinistro viene posta una soluzione di acqua/soluto,
e a destra
acqua distillata.
A causa della differenza reale di concentrazione di acqua si verifica un movimento
netto di
molecole di acqua pura verso quella contenente acqua/soluto. Ne risulta che il
livello del fluido
dalla parte dell’acqua cala e cresce quello dell’acqua/soluto.
La pressione osmotica di una soluzione è la tendenza dell’acqua pura a muoversi
verso la
soluzione per osmosi. E’ possibile misurarla inserendo un pistone nel lato
contenente
acqua/soluto, e misurando quanta pressione si deve applicare per arrestare la
risalita del
liquido.
Una soluzione con un’alta concentrazione di soluto ha una bassa concentrazione di
acqua e
un’alta pressione osmotica, al contrario, una bassa concentrazione di soluto ha
un’alta
concentrazione di acqua e una bassa pressione osmotica.
Se una cellula viene immersa in un fluido avente la stessa pressione osmotica non
c’è nessun
movimento di molecole d’acqua in nessuna direzione; la cellula non si raggrinzisce
ne si gonfia.
Si dice che il fluido è isotonico.
Ipertonici, quando la concentrazione di soluto è maggiore nei liquidi circostanti
rispetto alla
concentrazione cellulare, e hanno una pressione osmotica più alta rispetto alle
cellule.
Ipotonici, quando la concentrazione di soluto è minore nei liquidi circostanti
rispetto alla
concentrazione cellulare e hanno una pressione osmotica più bassa rispetto alle
cellule.

TRASPORTO ATTIVO
Contro gradiente di concentrazione. Alla cellula serve quello che sta fuori, che
non passa
attraverso i pori, non ho la proteina vettrice, la vado a prendere spendendo
energia. L’energia
è data dalla molecola di ATP. La rottura del legame fosforico è pari a 7.3/kcal.
Rompo l’ATP e
produco ADP + P libero fosfato e faccio energia.
Il trasporto attivo è regolato da proteine di membrana chiamate pompe ATPasiche,
(pompa sodio potassio presente in tutte le cellule animali), che utilizzano
l’idrolisi
(scissione) dell’ATP per scambiare ioni sodio endocellulari con ioni potassio
extracellulari. Lo
scambio è sbilanciato: due ioni potassio entrano, e tre ioni sodio escono. Le pompe
servono a
mantenere una separazione di carica attraverso la membrana.
Ecco come funziona la pompa:
1) Tre ioni sodio si legano alla proteina di trasporto;
2) Un gruppo fosfato si trasferisce dall’ATP alla proteina di trasporto;
3) La proteina di trasporto subisce un cambiamento conformazionale e rilascia tre
ioni sodio
all’esterno della cellula.
4) Due ioni potassio si legano alla proteina di trasporto;
5) Il fosfato viene rilasciato;
6) La proteina di trasporto assume la sua forma originaria e i due ioni potassio
vengono
rilasciati all’interno della cellula.
Un’altra funzione delle pompe ioniche è quella di equilibrare la pressione osmotica
del
citoplasma a seconda dell’ambiente esterno. Se una cellula non è in grado di
controllare la
propria pressione osmotica interna, il suo contenuto diventerà ipertonico
(concentrazione di

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soluto maggiore rispetto all’esterno), e quindi entrerà acqua per osmosi causandone
il
rigonfiamento ed una possibile lisi.
Quindi controllando la distribuzione ionica attraverso la membrana, la cellula può
indirettamente controllare il movimento d’acqua, perché quando gli ioni vengono
pompati fuori
dalla cellula si perde acqua per osmosi.
Altre forme di trasporto utilizzate dalla cellula per introdurre o eliminare
sostanze come interi
batteri o macromolecole sono: l’endocitosi e l’esocitosi.
L’endocitosi è il trasporto di materiali all’interno della cellula per mezzo di
vescicole. Possiamo
avere diversi processi tra cui: la fagocitosi, pinocitosi e endocitosi mediata da
recettori.
Nella fagocitosi le cellule ingeriscono grandi particelle come i batteri o cibo. La
membrana
plasmatica circonda la particella che deve essere ingerita, formando intorno ad
essa un piccolo
vacuolo, che verrà strozzato e inglobato all’interno della cellula. I globuli
bianchi del sangue
usano questo sistema.
Nella pinocitosi la cellula introduce materiale liquido, che viene intrappolato da
vescicole o
pieghe della membrana plasmatica che si strozzano si staccano e si riversano nel
citoplasma. Il
liquido viene trasferito lentamente al citosol e le vescicole diventano sempre più
piccole fino a
scomparire.
Nell’endocitosi mediata da recettori molecole specifiche si combinano con le
proteine
recettoriali inglobate nella membrana plasmatica della cellula. Questa molecola che
si lega in
modo specifico al recettore si chiama ligando. I recettori sono concentrati in
fossette sulla
membrana plasmatica.
Queste fossette sono ricoperte da proteine le “clatrine” che si trovano appena
sotto la
membrana plasmatica. Dopo che il ligando si è legato al recettore la fossetta dà
origine per
endocitosi ad una vescicola ricoperta. Pochi secondi dopo il rivestimento si stacca
lasciando
libere nel citoplasma delle vescicole non ricoperte dette endosomi, che
generalmente forma
due vescicole, una contenente i recettori che vengono riportati sulla membrana per
essere
riciclati, e l’altra si fonde con il lisosoma e il loro contenuto una volta
digerito viene rilasciato
nel citosol. Ne è esempio il colesterolo.
L’esocitosi è il trasporto di materiali all’esterno della cellula. In pratica è
l’opposto
dell’endocitosi. Le sostanze che devono essere rimosse vengono racchiuse in una
vescicola che
si sposta fino alla periferia della cellula in modo da fondersi con la membrana
plasmatica e
rilasciare il proprio contenuto all’esterno.
Le cellule che sono a stretto contatto tra loro possono avere legami molto forti e
sono di tre
tipi:
Desmosomi, giunzioni serrate, giunzioni comunicanti.

Desmosomi: legame presente nelle cellule epiteliali come la pelle. Essi tengono
insieme le
cellule in un solo tratto come un punto di saldatura. Sono ancorati sulla parte
interna della
cellula ad un sistema di filamenti intermedi. Hanno funzione anti stress
prettamente meccanica
e le sostanze possono passare liberamente attraverso gli spazi tra le membrane
plasmatiche.

Giunzioni serrate: sono aree di connessione tra le membrane di cellule adiacenti.


Può essere
impedito il passaggio di alcune sostanze. Le cellule sono tenute insieme da
connessioni
proteiche.

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Giunzioni comunicanti: assomigliano al desmosoma perché non è continua, ma è più


stretta.
Queste giunzioni mettono in comunicazione il citoplasma di due cellule adiacenti
attraverso
delle proteine che formano dei pori dove si crea un passaggio. Le cellule del
pancreas sono
tenute insieme mediante giunzioni comunicanti in modo tale che se un gruppo di
cellule viene
stimolato a secernere l’insulina il segnale passa attraverso le giunzioni
assicurando così una
risposta coordinata.
Così come le cellule muscolari cardiache, in modo tale da garantire l’accoppiamento
del
segnale elettrico con la contrazione sincronizzata delle cellule.
Nella cellula vegetale invece, ci sono i plasmodesmi ,canali che attraversano le
pareti di
cellule adiacenti connettendone il citoplasma.

L’osservazione al microscopio (lettura)


Il microscopio ha due proprietà, l’ingrandimento e il potere risolutivo.
L’ingrandimento corrisponde al rapporto tra la dimensione dell’immagine vista al
microscopio e
le dimensioni effettive dell’oggetto.
Il potere risolutivo è la capacità di distinguere i più piccoli dettagli di una
immagine. E’ definita
come la distanza minima tra due punti alla quale questi possono essere distinti
l’uno dall’altro.
Il potere risolutivo dipende dalla qualità delle lenti e dalla lunghezza d’onda.
Quando la
lunghezza d’onda diminuisce la risoluzione aumenta.
Il microscopio può essere ottico o elettronico
Nell’ottico, la luce passa sia attraverso il campione che deve essere osservato,
sia attraverso
le lenti; così la luce rifratta dalle lenti ingrandisce l’immagine 1000 volte.
Il potere risolutivo è 500 volte.
La lunghezza d’onda va da 400 nm a 700 nm. Questo limita la risoluzione del
microscopio
ottico a dettagli non più piccoli di un Ø di una cellula batterica 1nm.
Il microscopio elettronico ME ha consentito di studiare l’ultra struttura
cellulare.
L’immagine si ingrandisce 250000 volte.
Ha potere risolutivo di 10.000 volte, perché utilizza radiazioni con lunghezze
d’onda di 0.1
0.2nm prodotte da un fascio di elettroni focalizzati da un elettromagnete.
Nel MET (microscopio elettronico a trasmissione) si devono preparare sezioni
ultrasottili
da 50 100 nm tagliando con una lama di vetro o di diamante le cellule. Il preparato
viene posto
su una piccola griglia metallica ed il fascio di elettroni dopo aver attraversato
il campione, cade
sulla lastra fotografica o sullo schermo fluorescente.
Nel MES (microscopio elettronico a scansione) il fascio di elettroni non passa
attraverso il
campione perché rivestito da un sottile strato d’oro. Quando il fascio elettronico
collide su vari
punti del campione, vengono emessi elettroni secondari che forniscono un immagine
tridimensionale del campione trasmessa su uno schermo televisivo. Diciamo che le
lenti dei ME
sono dei magneti che piegano il fascio elettronico.
I metodi usati per preparare la cellula alla microscopia elettronica, possono
alterare la loro
struttura.
Per poter conoscere la funzione effettiva degli organuli, è necessario purificare
le diverse parti
di cui è composta la cellula procedendo con il frazionamento cellulare.
Così facendo le cellule vengono rotte, e la miscela detta estratto cellulare viene
sottoposta alla
forza centrifuga utilizzando un apparecchio chiamato centrifuga. La forza
centrifuga separa
l’estratto in due frazioni: il pellet ed il supernatante.

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Il pellet contiene il materiale più pesante come il nucleo, il supernatante invece,


che si
stratifica sopra il pellet contiene le particelle più leggere. Il supernatante può
essere ancora
centrifugato a velocità più alte per ottenere un pellet che contiene i componenti
più pesanti
come i mitocondri e così via. I componenti cellulari presenti nei pellet se
risospesi possono
essere ulteriormente purificati per centrifugazione su gradiente di densità. In
questa procedura
il pellet risospeso è caricato su una soluzione di saccarosio e acqua. La
concentrazione del
saccarosio è più alta sul fondo della provetta e diminuisce gradualmente così da
essere più
bassa nella parte alta della provetta. Quindi a causa della diversa densità degli
organuli,
durante la centrifuga, ciascuno di essi migrerà e formerà una banda in una
posizione del
gradiente, dove la propria densità corrisponde a quella della soluzione di
saccarosio. Gli
organuli purificati vengono esaminati per determinare quali molecole possano
contenere.

CAPITOLO 6

ENERGIA E METABOLISMO

DOMANDA: SAPER ILLUSTRARE I PRINCIPI DELLA TERMODINAMICA APPLICATA AI


SISTEMI BIOLOGICI, DESCRIVENDO LE GENERALITA’ SULLA STRUTTURA E LE
FUNZIONI DEGLI ENZIMI

La termodinamica è la scienza che stabilisce i concetti fondamentali per lo studio


dei
trasferimenti energetici tra sistemi chimici o fisici sotto forma di scambio di
calore o lavoro. Il
sistema è un termine che fa riferimento all’oggetto studiato.
Il sistema chiuso non scambia ne energia ne materia con l’ambiente esterno; quello
aperto
scambia sia energia che materia con l’esterno.
Il primo principio della termodinamica afferma che l’energia non può essere né
creata né
distrutta, ma può essere trasferita o trasformata.
Il secondo principio della termodinamica afferma che quando l’energia viene
convertita da
una forma all’altra un po’ d’energia utilizzabile per compiere un lavoro viene
degradata in una
forma meno utilizzabile cioè il calore che si disperde nell’ambiente. Quindi la
quantità d’energia
dell’universo non diminuisce nel tempo, ma viene degradata in una forma meno
utilizzabile.
Questa energia meno utilizzabile è maggiormente diffusa e disorganizzata. La misura
di questo
disordine viene detto entropia (S). Le nostre cellule utilizzano il 40%
dell’energia, il 60%
viene ceduto all’ambiente come calore.
L’entalpia (H), è invece l’energia potenziale totale del sistema. O meglio: nel
corso delle
reazioni chimiche, alcuni legami si rompono e se ne formano di nuovi. Ciascun
legame ha una
quantità di energia di legame, definita come la quantità d’energia necessaria per
romperlo. La
somma di tutte le energie di legame di un sistema è equivalente alla sua energia
potenziale
nota come entalpia.
Entropia ed entalpia sono connesse tra loro da una terza forma di energia detta
energia libera
di GIBS (G) che rappresenta la quantità di energia di un sistema disponibile a
compiere un
lavoro.
Anche se l’energia totale di un sistema (G) non può essere misurata, tutti i
cambiamenti sono
indicati con l’equazione G = H – TS, in cui H è l’entalpia, T la temperatura
assoluta in gradi

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Kelvin (K = 0C + 273) e S l’entropia. Occorre ricordare che se la temperatura sale


si ha un
aumento del movimento casuale delle molecole e ciò contribuisce al disordine
moltiplicando
l’effetto dell’entropia. E’ utilizzata per prevedere se una reazione chimica
rilascerà o assorbirà
energia. L’equazione diventa: DG = DH – TDS (D lettera greca = delta).
L’entropia e l’energia libera sono inversamente correlate tra loro: quando
l’entropia aumenta,
l’energia libera diminuisce.
Le reazioni chimiche che permettono ad un organismo di svolgere le sue attività
come:
crescita, movimento, riproduzione, costituiscono tutte insieme il suo metabolismo.
Distinguiamo: l’anabolismo e il catabolismo.
Nell’anabolismo vengono sintetizzate molecole complesse partendo da sostanze più
semplici
esempio le proteine a partire dagli aminoacidi.
Nel catabolismo molecole grandi vengono scisse in molecole più piccole esempio la
degradazione dell’amido per formare il monosaccaride.
Le reazioni chimiche sono rappresentate da equazioni. A sx i reagenti, a dx i
prodotti.
Qualsiasi reazione chimica comporta una variazione di energia.
L’energia è definita la capacità di un corpo o di un sistema di compiere un lavoro,
cioè
produrre una variazione di stato o di moto della materia (tutto ciò che ha una
massa ed occupa
uno spazio).
L’energia può essere: energia cinetica associata al movimento, o energia potenziale
cioè
accumulata nei corpi in virtù della loro posizione in un campo di forze.
Si può esprimere l’energia in unità di lavoro (chilojoule kJ), oppure in unità
calorica
(chilocaloria (kcal). Una chilocaloria corrisponde a 4.184 chilojoule.
Possiamo distinguere le reazioni in esoergoniche e endoergoniche.
Nelle esoergoniche l’energia libera diminuisce (- DG) Avvengono spontaneamente. I
reagenti
possiedono più energia dei prodotti, quindi le reazioni avvengono spontaneamente e
l’energia
in eccesso viene liberata come calore.
Nelle endoergoniche l’energia libera aumenta (+ DG) I prodotti possiedono più
energia dei
reagenti, per cui le reazioni avvengono solo se si fornisce energia dall’esterno.
Le cellule spingono le reazioni endoergoniche accoppiandole a reazioni esoergoniche
formando
le reazioni accoppiate. Queste reazioni possono avvenire in siti diversi, quindi
occorrono
molecole specializzate nel trasporto di energia da una reazione esoergonica a una
endoergonica.
La cellula compie 3 tipi di lavoro: meccanico (contrazione muscolare), trasporto
(spinte di
sostanze attraverso la membrana contro la normale direzione), chimico (spinta di
reazioni
endoergoniche che spontaneamente non potrebbero avvenire come la sintesi di
polimeri
partendo da monomeri).
Ciò è affidato all’ATP l’adenosina tri fosfato, che viene immagazzinato all’interno
delle cellule.
L’ATP è un nucleotide formato da tre parti: una base azotata (adenina), uno
zucchero a
cinque atomi di carbonio (ribosio), e tre gruppi fosfati, che possono essere
attaccati e staccati
dando origine a molecole diverse.
Il gruppo fosfato può essere rotto per idrolisi (cioè rottura mediante acqua). E’
una reazione
esoergonica e causa la liberazione di 7,3 Kcal di energia per mole di ATP
idrolizzato.

ATP +H2O → ADP +P ΔG= -7,3 Kcal

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L’ATP può essere rigenerato partendo da ADP + P → ATP ΔG= +7,3 Kcal processo
endoergonico.
Ai gruppi fosfati è associata una quantità di energia elevata che viene liberata
quando questi
vengono scissi. Se perde due gruppi si trasforma in (AMP) adenosina monofosfato, se
ne perde
uno diventa (ADP) adenosina di fosfato e cede energia.
Le molecole di ADP e AMP possono essere trasformate in ATP ricevendo l’energia
necessaria
tramite la respirazione cellulare (cioè la combustione degli alimenti) e la
fotosintesi (cioè la
conversione di energia solare in energia chimica). Il trasporto dell’energia da
parte dell’ATP alle
molecole che devono reagire mediante il trasferimento di un residuo fosforico
dell’ATP si dice
fosforilazione.
L’energia può essere trasferita anche mediante la cessione di elettroni attraverso
l’ossido-
riduzione.
L’ossidazione è la perdita di uno o più elettroni e quindi energia.
La riduzione è l’acquisto di uno o più elettroni ed energia. Anche se il termine
inganna, si
riduce perché con l’aggiunta di elettroni con carica negativa riduce la carica
positiva.
L’ossidazione e la riduzione avvengono simultaneamente e sono dette Redox.
Uno degli accettatori di elettroni più frequente è il NAD+ una molecola con carica
netta + 1.
Quando si riduce acquista elettroni e diventa NADH + H+
Il NADP+ (nicotinammide adenina dinucleotide fosfato) è un accettatore di idrogeno
ma con un
gruppo fosfato in più. Quando il NADH cede elettroni, a qualche altra molecola cede
anche
l’energia.

GLI ENZIMI
Gli enzimi sono proteine funzionali (sono catalizzatori), che l’organismo utilizza
per
accelerare una reazione, senza essere consumati dalla reazione stessa. Una molecola
può
subire 20 o 30 trasformazioni prima di raggiungere la sua forma finale. La
temperatura
ottimale di lavoro è di circa 35-40o C. A basse temperature le reazioni sono lente,
alle alte
temperature le molecole aumentano la collisione, perché la conformazione viene
alterata a
causa della rottura dei legami a idrogeno responsabili della stabilità. Questo tipo
di
inattivazione è generalmente irreversibile, anche se l’enzima viene riportato a
basse
temperature. Il pH ottimale va da 6 a 8.
Tutte le reazioni necessitano di una energia di attivazione (EA ), che serve ad
innescare la
reazione, ed è la quantità di energia necessaria per rompere i legami chimici e
dare il via alla
reazione.
L’enzima abbassa l’energia di attivazione necessaria per avviare una reazione
chimica, quindi
un numero maggiore di molecole reagirà nell’unità di tempo e la reazione procederà
più
velocemente.
L’enzima è specifico, ha sistemi allosterici, cioè ha caratteristiche
conformazionali che gli
permettono di interagire con quel sito e solo quello detto substrato. Cioè il
substrato si inserirà
nel sito di legame dell’enzima chiamato sito attivo in modo identico a quello della
chiave nella
serratura ed è una garanzia per quella reazione.
I cofattori detti coenzimi, facilitano l’attività enzimatica.
Il lavoro dell’enzima deve poter essere inibito. L’inibizione può essere:
irreversibile o
reversibile.
L’inibizione reversibile può essere competitiva o non competitiva.

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Nella competitiva, l’inibitore compete con il substrato per il legame con il sito
attivo
dell’enzima. Ha struttura simile a quella del substrato, si incastra bene e può
interagire e non
danneggia.
Nella non competitiva l’inibitore si lega all’enzima in un sito diverso da quello
attivo,
alterando la forma impedendo al sito attivo di legarsi al substrato.
Nell’inibizione irreversibile l’inibitore inattiva in modo permanente un enzima.
Molti veleni e
metalli sono irreversibili. Alcuni tipi di gas nervino ad esempio inattivano
l’enzima
Acetilcolinesterasi che è fondamentale per il funzionamento di nervi e muscoli.

CAPITOLO 7

VIE METABOLICHE DI RILASCIO DELL’ENERGIA E SINTESI DELL’ATP

DOMANDA: DESCRIVERE LE BASI ENERGETICHE DELLA CONSERVAZIONE


DELL’ORGANIZZAZIONE CELLULARE ED IN PARTICOLARE MODO IL RUOLO E I
MECCANISMI DI SINTESI DELL’ATP IN CONDIZIONI DI AEROBIOSI ED
ANAEROBIOSI.

Attraverso il metabolismo (tutte le reazioni chimiche che permettono ad un


organismo di
svolgere le sue attività come: crescita, movimento, riproduzione), la cellula
ricava le sue basi
energetiche. La fonte primaria di energia per la cellula è quella accumulata come
energia
chimica nei legami del glucosio, che attraverso la respirazione cellulare sarà
utilizzata dalla
cellula. La respirazione cellulare è un processo redox, (di ossido riduzione) nel
quale gli
elettroni del glucosio (zucchero) che viene ossidato sono trasferiti all’ossigeno
che viene ridotto
e ha come prodotti di scarto anidride carbonica e acqua. Per ogni molecola di
glucosio ne sono
prodotte 36/38 di ATP. Questa modalità di sintesi dell’ATP viene chiamata
fosforilazione
ossidativa perché alimentata da trasferimento esorgonici di elettroni dalle
sostanze nutritive
all’ossigeno.
La respirazione può essere aerobica, o anaerobica.

AEROBIOSI
In questa forma di respirazione si utilizza ossigeno. Avviene in 4 fasi partendo da
una molecola
di glucosio si arriva all’accettatore finale che è l’ossigeno.

SISTEMA DI TRASPORTO DEGLI ELETTRONI E CHEMIOSMOSI


La Glicolisi avviene nel citoplasma, il resto all’interno dei mitocondri.
GLICOLISI: rottura dello zucchero. Avviene nel citoplasma in assenza di ossigeno.
Una
molecola di glucosio a 6 atomi di carbonio è trasformata in due molecole di
piruvato a 3 atomi
di carbonio con formazione di due molecole di ATP e due molecole di NADH.
Il glucosio è una molecola relativamente stabile, quindi non facile da rompere.
Si può suddividere la glicolisi in due step:
Nella prima fase c’è la fosforilazione di 2 gruppi fosfato che sono trasferiti
dall’ATP allo
zucchero che essendo ora meno stabile può essere scisso in due molecole di
gliceraldeide-3-
fosfato quindi c’è un investimento.

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GLUCOSIO + 2 ATP → 2 G3P + 2 ADP

Nella seconda fase il G3P viene trasformato in piruvato. Il G3P viene ossidato per
rimozione di
2 elettroni catturati dalla molecola trasportatrice NAD+ che si riduce e accetta
gli elettroni e
diventa NADH + H+
Visto che le molecole di gliceraldeide sono due avremo 2 NADH + H+
NAD+ + 2 H → NADH + H+
In due reazione che portano alla formazione di Piruvato si formano due molecole di
ATP tramite
fosforilazione a livello del substrato, con produzione di 4 ATP totali

2 G3P + 2 NAD+ + 4ADP → 2 piruvato + 2NADH + 4 ATP

Nella prima fase se si consumano 2 molecole di ATP (per rendere il glucosio meno
stabile),
nella seconda fase ne vengono prodotte 4. Quindi si ha un profitto energetico netto
di 2
molecole di ATP per ogni molecola di glucosio e 2 NADH.

FORMAZIONE DELL’ACETIL COENZIMA-A


Ciascuna molecole di piruvato nel mitocondrio si ossida e da luogo a una molecola
di acetato
che reagisce con il coenzima A per formare l’Acetil coenzima-A.
Per ciascuna molecola di piruvato convertita in acetil CoA si produce una molecola
di NADH.
Visto che le molecole di piruvato sono due avremo 2NADH.

CICLO DELL’ACIDO CITRICO O (CICLO DI CREBS)


Due gruppi di acetil CoA entrano nel ciclo per ogni molecola di glucosio.
Ciascun gruppo si combina con l’ossalacetato composto a 4 atomi di carbonio, per
formare il
citrato molecola a sei atomi di carbonio. Due molecole di anidride carbonica (CO2)
sono
rimosse dal citrato per rigenerare l’ossalacetato e permettere al ciclo di
ricominciare.
In questo processo l’energia è catturata in forma di 1 ATP, 3 NADH ed 1 FADH per
ciascun
gruppo.
Quindi 2ATP, 6 NADH, 2 FADH per ogni molecola di glucosio.

SISTEMA DI TRASPORTI DEGLI ELETTRONI E CHEMIOSMOSI


Tutti gli elettroni rimossi dalla molecola di glucosio durante la fase della
glicolisi, dalla
formazione dell’acetil CoA e dal ciclo dell’acido citrico, sono stati trasferiti
(come parte di atomi
di idrogeno) agli accettori primari NAD e FAD con formazione di NADH e FADH
ridotti. Questi
composti ridotti entrano ora nella catena di trasporto degli elettroni dove gli
elettroni e i loro
atomi di idrogeno vengono trasferiti da un accettore all’altro, con una serie di
reazioni redox
esoergoniche.
La catena di trasporto consiste in quattro gruppi di accettori il flavin
mononucleotide,
l’ubichinone e i citocromi di cui l’ultimo l’a3 passa 2 elettroni all’ossigeno che
è l’accettatore
finale riceve due elettroni riducendosi, e si combina con i protoni (ioni idrogeno)
per formare
acqua.
L’ossigeno molecolare è quindi l’accettatore finale della catena di trasporti degli
elettroni e ciò
spiega come mai un organismo che respira aerobicamente ha bisogno di ossigeno.

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Che cosa succede quando alle cellule aerobiche viene privato l’ossigeno? Se non c’è
ossigeno che accetta gli elettroni, l’ultimo citocromo resta bloccato con i suoi
elettroni. Il
blocco è trasferito in forma retrograda per tutto il sistema fino al NADH. Poiché
la fosforilazione
è accoppiata al trasporto degli elettroni, non viene più prodotto l’ATP attraverso
questa via.
Anche alcuni veleni tra cui il cianuro inibiscono la normale attività dei
citocromi.
Secondo il modello chemiosmotico parte dell’energia rilasciata quando gli elettroni
attraversano la catena di trasporto è infatti utilizzata per pompare i protoni (H+)
dalla matrice
mitocondriale interna (matrice) alla camera mitocondriale esterna (lo spazio
compreso
tra le due membrane mitocondriali) utilizzando 3 pompe protoniche localizzate in
tre dei 4
complessi di trasporto. L’accumulo di protoni determina un gradiente di
concentrazione che
diffonderà all’interno della matrice grazie a un canale ATP SINTASI una proteina
transmembrana. Il flusso di protoni attraverso i complessi dell’ATP sintasi
determina la
fosforilazione dell’ADP con produzione di ATP.
Il rendimento energetico complessivo della respirazione cellulare a partire da 1
molecola di
glucosio è di 38 molecole di ATP e precisamente:
2 ATP sono prodotti dalla glicolisi + 2 NADH
2 piruvirati producono 2 NADH nel ciclo di Crebs
2 molecole di Acetil producono 6 NADH + 2FADH + 2ATP
Quindi: 1 NADH (nicotinamide adenina dinucleotide) = 3 ATP

1 FADH (flavina adenina dinucleotide) = 2 ATP

L’efficienza complessiva della respirazione aerobica può essere calcolata


rapportando l’energia
libera sotto forma di ATP all’energia libera della molecola di glucosio.
Una mole di glucosio bruciata rilascia calore pari a 686 Kcal (2879,2 kJ).
L’energia dell’ATP è ÷
7,6 Kcal (31,8 kJ) e poiché si formano 36/38 molecole di ATP nella respirazione
aerobica,7,6 x
36=274 Kcal (1146,4 kJ). Quindi 274/686 = 40%. L’energia rimanente del glucosio è
rilasciata
come calore.

ANAEROBIOSI
Come nella respirazione aerobica gli elettroni sono trasferiti dal glucosio al NADH
e da qui
passano lungo la catena di trasporto degli elettroni che è accoppiata con la
sintesi di ATP.

L’accettatore finale
non è l’ossigeno molecolare, ma il NITRATO o il SOLFATO.
Alcuni batteri e funghi usano la fermentazione, un processo anaerobico che non
comprende
una catena di trasporto degli elettroni e perciò permette di produrre ATP solamente
mediante
fosforilazione a livello del substrato durante la glicolisi.
Le cellule di lievito sono anaerobi facoltativi, cioè svolgono la respirazione
aerobica quando è
disponibile l’ossigeno e passano alla fermentazione alcolica quando non c’è. Il
NADH prodotto
durante la glicolisi trasferisce gli atomi di idrogeno all’aceteldeide riducendola
ad alcol etilico.
Alcuni funghi e animali svolgono la fermentazione lattica nella quale gli atomi di
idrogeno del
NADH legandosi al piruvato danno origine come prodotto finale al lattato. L’80% del
lattato è
trasportato dalle cellule muscolari al fegato ed è utilizzato per sintetizzare
glucosio che può

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tornare alle cellule muscolari. Il restante 20% è metabolizzato dalle stesse


cellule quando
l’ossigeno sarà presente. Ed è per questo che dopo uno sforzo il respiro continua
ad essere
affannoso, perché l’ossigeno serve per ossidare il lattato.
Sia nella fermentazione alcolica che lattica si ha una resa di solo due molecole di
ATP.

CAPITOLO 9

DOMANDA: DESCRIVERE I PROCESSI DELLA MITOSI DELLA MEIOSI, DELLA DURATA


DELLE FASI E DELLA REGOLAZIONE DEL CICLO CELLULARE

MITOSI
La mitosi è un processo complesso che interessa il nucleo e assicura che ogni nuovo
nucleo
riceva lo stesso numero e gli stessi tipi di cromosomi che erano presenti nel
nucleo di origine.
Perché nell’ambito del DNA risiede la capacità di trasmettere l’informazione
genetica. Laddove
ci saranno delle interruzioni su questa linea ci saranno delle anomalie. I
portatori
dell’informazione genetica negli eucarioti sono i cromosomi contenuti nel nucleo
cellulare. Sono
costituiti da cromatina, di cui circa il 60% sono proteine e il 35% acido
desossiribonucleico
(DNA). Quando una cellula non è in divisione, la cromatina si trova sotto forma di
lunghi e
sottili filamenti parzialmente srotolati che aggregandosi le conferiscono un
aspetto granulare.
Al momento della divisione cellulare le fibre di cromatina si condensano e si
rendono visibili
come strutture distinte. Ogni cromosoma può contenere centinaia o anche migliaia di
geni
(unità di base del materiale genetico). Si pensa che nell’uomo ci siano
70.000/100.000 geni.
Nell’uomo la maggior parte delle cellule ha 46 cromosomi e non è il numero di
cromosomi che
rende ogni specie unica, ma piuttosto l’informazione specificata dai singoli geni
nei cromosomi.
Se una cellula dovesse ricevere un numero di cromosomi inferiore o superiore, a
causa di errori
nel processo di divisione cellulare, è possibile che la cellula figlia presenti
marcate anomalie e
sia incapace di sopravvivere. Quando le cellule raggiungono una certa dimensione
cioè si crea
una sproporzione tra superficie e volume, devono arrestare l’accrescimento o
dividersi.
Queste fasi possono essere descritte in termini di ciclo vitale della cellula o
ciclo cellulare che
è il periodo che va dall’inizio di una divisione all’inizio di quella successiva.
Il tempo necessario
per completare un ciclo cellulare è il tempo di generazione compreso fra le 8 e le
20 ore.
Il ciclo cellulare si caratterizza da 4 fasi di cui una rappresenta la finalità
della divisione che è la
fase M e per fare questo ci sono tre fasi di preparazione: G1 G2 S
La sequenza degli eventi nell’interfase è: fase G1 fase S fase G2. Le cellule che
non si
dividono, si arrestano prima dell’inizio della fase S in uno stadio chiamato G0 che
non fa parte
del ciclo cellulare.
Nella fase G1 il compito della cellula è quella di duplicare i componenti
citoplasmatici e il
raddoppiamento del volume citoplasmatico. Non c’è produzione di DNA.
FASE S di sintesi, abbiamo la duplicazione del DNA nucleare e altre proteine della
cromatina.
(Da una molecola di DNA si ottengono due molecole di DNA seguendo un modello semi
conservativo cioè non del tutto conservativo perché una conserva quella della madre
l’altra
deriva dall’accoppiamento delle basi azotate e viene copiato) Dando a ogni
filamento il termine
x avremo xx nella duplicazione xx xx e nelle divisione xx xx quindi da un corredo
diploide si
ritorna a un corredo diploide.

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Questa è la divisione mitotica.


Nella fase G2 vengono prodotte le strutture come il centriolo, il nucleo scheletro,
il centrosoma
che serviranno a fungere da corda per richiamare ai poli della cellula il corredo
cromosomico.
FASE G1 G2 sono intervalli. La G1 è posta tra la (M S) G2 è posta tra la S e la M.
Sono
caratterizzate dalla presenza del nucleo. Perché dovendosi formare la cellula se io
rompo il
nucleo in fase di duplicazione del citoplasma non si è ancora formata la struttura
tubulare, i
cromosomi non si sono ancora attaccati al fuso mitotico i miei cromosomi se ne
vanno in giro,
e la cellula non è ancora pronta per dare origine a due cellule figlie. Una volta
avvenuto il
raddoppiamento del citoplasma, degli organuli del DNA delle proteine, siamo in fase
fine G2, la
cellula è pronta a fare la fase M, quindi rompe il nucleo, si disgrega questa
struttura, il fuso
mitotico tiene ancorati i cromosomi, e a questo punto si romperà il nucleo perché
solo a
questo punto avremmo la garanzia che dalla rottura del nucleo usciranno fuori le
informazioni
genetica duplicata in forma corretta e le due cellule otterranno lo stesso corredo.
Nella FASE M c’è la dissoluzione del nucleo.
Le quattro fasi della mitosi (PRO ME AN TE)
PROFASE: si rompono i nucleoli e la cromatina si spiralizza dando origine ai
cromosomi
costituiti da filamenti paralleli i cromatidi uniti dal centromero, che a sua volta
contiene una
struttura chiamata cinetocore alla quale possono legarsi i microtubuli. Nel
citoplasma si forma
il fuso mitotico. I due centrioli si allontanano.
PROMETAFASE: l’involucro nucleare si frammenta.
METAFASE: i cromosomi sono allineati lungo il piano equatoriale della cellula. Le
fibre del
fuso mitotico si attaccano ai cinetocori dei cromosomi. In questa fase i cromosomi
vengono
fotografati e studiati perché sono ben ispessiti.
ANAFASE: i cromatidi si separano in corrispondenza del centromero e ciascuno migra
al
rispettivo polo. La divisione del citoplasma non è ancora avvenuta.
TELOFASE: c’è lo strozzamento della cellula e quindi la divisione. Si
ricostituiscono i nuclei e la
Citodieresi o citocinesi completa la divisione cellulare producendo due cellule
figlie identiche a
quelle parentali eccetto per le dimensioni. I cromosomi si decondensano
srotolandosi. I
microtubuli del fuso scompaiono e vengono visibili i nucleoli.
La citocinesi o citodieresi che inizia prima che la mitosi sia completata, consiste
nella divisione
del citoplasma della cellula per formare due cellule figlie.

MEIOSI
Processo in cui si realizzano la ricombinazione genetica e la divisione riduzionale
di una cellula
germinale immatura diploide a formare quattro gameti immaturi aploidi.
Quindi avremmo un processo riduzionale dove da una cellula diploide con 46
cromosomi si
formeranno 2 cellule aploidi con 23 cromosomi, e una seconda fase equazionale, dove
da
due cellule aploidi si formeranno 4 cellule aploidi
La meiosi si realizza nei testicoli e nelle ovaie.
Mentre la mitosi mantiene invariato il numero dei cromosomi, la meiosi lo riduce
alla metà.
Come risultato gli spermatozoi e le uova umane hanno serie aploidi di 23 cromosomi.
La
fecondazione ricostituisce la condizione diploide. La formazione di gameti e detta
gametogenesi.
Quella maschile (spermatogenesi) porta alla formazione di 4 spermi aploidi per
ciascuna

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cellula che va incontro a meiosi, quella femminile (ovogenesi) forma una singola
cellula uovo
per ogni cellula che entra in meiosi. Questo è determinato da un processo che
indirizza tutto il
citoplasma a solo uno dei 2 nuclei in ciascuna divisione meiotica. Alla fine della
prima divisione
meiotica un nucleo viene mantenuto, mentre l’altro detto il primo globulo polare è
espulso
dalla cellula che poi degenera. Alla fine della seconda divisione un nucleo diventa
il secondo
globulo polare mentre l’altro sopravvive.

In sintesi la meiosi
La meiosi comporta due divisioni nucleari e citoplasmatiche con produzione di
quattro cellule.
Nonostante le due divisioni il DNA e gli altri componenti dei cromosomi subiscono
una sola
Duplicazione.
Ognuna delle quattro cellule apolidi prodotte contiene 23 cromosomi cioè un
esemplare per
ogni coppia di omologhi.
L’informazione genetica viene mescolata e ogni cellula apolide contiene una
combinazione di
geni potenzialmente unica.
Le due divisioni sono: I II
Ognuna include: PROFASE METAFASE ANAFASE TELOFASE
Nella meiosi I i membri di ogni coppia di cromosomi omologhi prima si uniscono e
poi si
separano in due nuclei distinti.
Nella meiosi II i cromatidi di ciascun cromosoma omologo si separano e vengono
distribuiti ai
nuclei delle cellule figlie.
La Meiosi si conclude con la formazione di quattro cellule apolidi geneticamente
differenti.
PROFASE 1: i cromosomi omologhi formano le tetradi, delle giunzioni dove il
materiale
genetico può essere scambiato (crossing-over) mediante enzimi specifici che
permettono la
rottura e la ricongiunzione, producendo nuove combinazioni genetiche. Processo noto
come
ricombinazione genetica. L’involucro nucleare si frammenta.
METAFASE 1: le tetradi si allineano sul piano equatoriale e rimangono uniti nei
chiasmi (siti
dove è avvenuto il crossing-over)
ANAFASE 1: i cromosomi omologhi migrano ai poli opposti che ricevono sia quelli
materni che
paterni. I cromatidi fratelli rimangono uniti tramite il loro centromero.
TELOFASE 1: un solo cromosoma per ciascun paio di omologhi raggiunge ciascun polo.
Durante lo stadio simile all’interfase chiamato intercinesi (cioè quella che segue
la telofase I),
non c’è una fase S perché non c’è una ulteriore duplicazione cromosomica.
PROFASE II: è simile alla mitotica non c’è accoppiamento di cromosomi omologhi e
nessun
crossing-over.
METAFASE II: i cromosomi si allineano sul piano equatoriale in gruppi di due.
ANAFASE II: i cromatidi attaccati alle fibre del fuso mitotico tramite il loro
cinetocore si
separano e migrano ai poli opposti.
TELOFASE II: c’è un componente di ciascuna coppia di omologhi ad ogni polo e ogni
omologo
è un cromosoma monocromatico. L’involucro nucleare si ricostituisce.
La mitosi è una singola divisione durante la quale i cromatidi fratelli si separano
l’uno dall’altro
dando luogo alla fine a due cellule figlie diploidi identiche tra loro e alla
cellula madre.
La meiosi consiste di due divisioni Meiosi I riduzionale da una cellula diploide a
due cellule
aploide e Meiosi II: equazionale da due cellule aploide a 4 cellule aploide.
Durante la Meiosi I
si distinguono i cromosomi omologhi, mentre nella Meiosi II si distinguono i
cromatidi

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fratelli.

CAPITOLO 11

DNA: IL DEPOSITARIO DELL’INFORMAZIONE GENICA

DOMANDA: NELL’AMBITO DELLA STRUTTURA DEGLI ACIDI NUCLEICI ILLUSTRARE LE


CARATTERISTICHE GENERALI DEL DNA.
DESCRIVERE IL FLUSSO DELL’INFORMAZIONE GENETICA DA UNA GENERAZIONE
CELLULARE ALL’ALTRA E DESCRIVERE LA DUPLICAZIONE DEL DNA.
DESCRIVERE I VARI LIVELLI DI ORGANIZZAZIONE DEL DNA NELLA CELLULA.

Il DNA è un acido nucleico composto da nucleotidi formati da: uno zucchero a 5


atomi di
carbonio (desossiribosio), un gruppo fosfato e una base azotata. La base azotata
può essere
a doppio anello come le purine adenina e guanina (AG) o ad anello semplice come le
pirimidiniche citosina e timina (C T).
Il DNA è composto da due catene nucleotidiche unite da legami a idrogeno ed avvolte
l’una
sull’altra a formare una doppia elica paragonabile ad una scala, dove l’impalcatura
esterna è
data dall’alternanza dello zucchero e del gruppo fosfato legati da legame
fosfodiesterico e i
gradini interni dalle coppie di basi azotate unite da legami a idrogeno.
La struttura elicoidale presenta tre misure fondamentali: 0.34 nm è la distanza tra
le coppie
di basi, 3.4 nm è un giro dell’elica e comprende dieci basi, e 2 nm è la larghezza
dell’elica.
Poiché le due emieliche hanno andamento opposto, vengono definite antiparallele. A
ciascuna
estremità della molecola di DNA una emielica presenta un carbonio 5’ libero e
l’altra presenta
un carbonio 3’ libero.
Ogni base azotata andrà ad accoppiarsi in modo specifico: ADENINA-TIMINA formano
due
legami a idrogeno, la GUANINA-CITOSINA formano tre legami a idrogeno.
L’accoppiamento
è specifico perché deve essere garantita l’informazione trasmessa dal DNA in modo
corretto. La
funzione duplice del DNA: trasmettere l’informazione genetica e farla recepire
attraverso la
sintesi delle proteine, trasmettere l’informazione genetica alle cellule figlie
motivo per cui è
costituito da un doppio filamento che srotolandosi viene copiato dal mRNA quando
vuole fare
le proteine, oppure il filamento si duplica sulla scorta dell’accoppiamento delle
basi azotate a
garanzia che le cellule figlie conterranno le stesse caratteristiche genetiche
della cellula madre
seguendo un modello semi conservativo cioè costituite da un filamento parentale e
uno
completamente di nuova sintesi.
L’organizzazione del DNA è fondamentale per garantire che i filamenti non si
danneggino o si
aggroviglino.
Il DNA contenuto in una cellula aploide è pari a circa 3 x 109 paia di basi e se
venisse disteso
completamente raggiungerebbe la lunghezza di circa 1 metro.
E’ organizzato in strutture chiamate nucleosomi che fanno parte della cromatina e
formato da
proteine istoniche che sono basiche e cariche positivamente. Ogni nucleosoma
contiene otto
molecole di istoni attorno al quale si avvolgono 146 coppie di basi di nucleotidi.
Un altro segmento di DNA di circa 60 paia di nucleotidi (DNA linker o di
connessione) unisce
i grani nucleosomici.

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Queste fibre di 30 nm sono tenute insieme da un impalcatura di proteine non


istoniche
chiamata scaffold proteico.

LA REPLICAZIONE o DUPLICAZIONE
E’ un processo con cui le informazioni contenute nel DNA vengono fedelmente
copiate.
Lo svolgimento avviene grazie a enzimi chiamati DNA elicasi che camminando lungo
l’elica
separano i filamenti. Le proteine destabilizzatrici dell’elica si legano al DNA di
ogni singolo
filamento finché non è avvenuta la copiatura per evitare che si ricostituisca la
doppia elica.
Gli enzimi che catalizzano il legame fra i vari nucleotidi sono chiamati DNA
polimerasi, e sono
in grado di aggiungere nucleotidi solamente al terminale 3’ dove è presente un
gruppo
ossidrilico.
Vengono utilizzati nucleotidi o meglio nucleosidi trifosfato che sono simili
all’ATP. Quando i
nucleotidi vengono legati insieme due gruppi fosfato vengono eliminati.
Dopo che i filamenti sono separati viene sintetizzato un piccolo tratto di RNA
chiamato RNA
primer da un aggregato di proteine (primosoma) che include un enzima in grado di
iniziare
un nuovo filamento di RNA davanti ad un filamento di DNA.
Abbiamo detto che la sintesi del DNA può procedere solamente in direzione 5’ 3’ il
filamento
che viene copiato deve procedere in direzione 3’ 5’.
La duplicazione inizia in punto preciso della molecola del DNA chiamato origine
della
replicazione ed entrambe i filamenti vengono replicati contemporaneamente
all’interno di una
figura a Y chiamata
forca di replicazione. L’estremità 3’ di uno dei nuovi filamenti si allunga sempre
verso la
forca di replicazione e la sua sintesi procede in maniera continua e senza
interruzioni per cui
viene chiamato
filamento guida (leading strand).
Il terminale 3’ dell’altro filamento di nuova sintesi che viene chiamato filamento
in ritardo (
lagging strand) si allunga sempre nella direzione opposta all’avanzamento della
forca di
replicazione per cui deve necessariamente essere sintetizzato sotto forma di corti
frammenti di
DNA (circa 100 – 1000 nucleotidi) chiamati frammenti di Okazaki preceduto da RNA
primer.
Iniziato l’allungamento l’RNA primer viene degradato, i vuoti vengono riempiti con
nuovo DNA
ed i frammenti vengono assemblati dalla DNA ligasi.
Quando le due emieliche del DNA si separano, si formano due strutture a forcella
per cui la
molecola dal punto di origine viene replicata in entrambe le direzioni.

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CAPITOLO 12

RNA E SINTESI PROTEICA: L’ESPRESSIONE DELL’INFORMAZIONE GENICA

DOMANDA: ILLUSTRARE LE CARATTERISTICHE GENERALI DELL’RNA SAPENDO


DESCRIVERE IL FLUSSO DELL’INFORMAZIONE ALL’INTERNO DELLA CELLULA,
DIMOSTRANDO DI AVER COMPRESO I MECCANISMI DELLA TRASCRIZIONE DEL
CODICE GENETICO, DELLA SINTESI PROTEICA E DELLA REGOLAZIONE
DELL’ESPRESSIONE GENETICA.

L’RNA è un acido nucleico che funge da intermediario nel flusso dell’informazione


genetica tra
il DNA e le proteine. E’ composto da un singolo filamento, lo zucchero è il ribosio
che è simile
al desossiribosio, ma con un gruppo idrossilico in più. La base uracile sostituisce
la timina.
L’uracile come la timina è una pirimidina e può formare due legami a idrogeno con
l’adenina,
quindi uracile e adenina sono una coppia di basi complementari.
Una sequenza di tre basi consecutive chiamata codone specifica per un aminoacido ed
è
chiamato codice a triplette.
La sintesi delle proteine è composta da due step: TRASCRIZIONE E TRADUZIONE
TRASCRIZIONE
Quando un gene si esprime e codifica una proteina, l’informazione contenuta nel DNA
viene
copiata in un mRNA (messaggero) che trascrive la sequenza dei codoni.
I tipi più importanti di RNA che vengono trascritti dal DNA sono tre: l’RNA
ribosomiale
(rRNA), l’RNA di trasferimento (tRNA), e l’RNA messaggero (mRNA). La maggior parte
degli RNA è sintetizzata da RNA polimerasi DNA-dipendenti, enzimi presenti in quasi
tutte
le cellule.
L’RNA polimerasi inizia la trascrizione dopo essersi legata ad una sequenza di DNA
detta
promotore.
La terminazione della trascrizione come il suo inizio è controllata da una sequenza
di basi
specifiche.
Queste sequenze agiscono come segnali di stop per la RNA polimerasi.
L'RNA messaggero possiede alla sua estremità 5’ una sequenza leader non codificante
che
contiene segnali di riconoscimento per il legame con il ribosoma. La sequenza
leader è seguita
da sequenze codificanti che contengono gli effettivi messaggi per le proteine. Alla
fine di ogni
sequenza codificante vi è uno speciale codone di stop o di terminazione. I codoni
di stop UAA,
UGA, e UAG, non codificano per aminoacidi ma indicano invece la fine della
proteina.
Gli mRNA eucariotici vanno incontro ad una specifica modificazione post-
trascrizionale cioè a
un processo di maturazione prima che acquisisca la possibilità di essere
trasportato fuori dal
nucleo e di essere tradotto. Innanzitutto enzimi specifici aggiungono un cappuccio
(cap)
all’estremità 5’ della catena di mRNA. Si ritiene che l’aggiunta del cap protegga
l’mRNA dalla
degradazione da parte di alcuni enzimi. Una seconda modifica al messaggero si
verifica
all’estremità 3’ della molecola dove vicino all’estremità tre del RNA messaggero
completo si
trova una sequenza di basi che serve da segnale per l’aggiunta di una coda di molte
adenine,
nota col termine di coda poliadenilata o poli-A.
Entro un minuto dalla sintesi del trascritto, enzimi specifici nel nucleo
riconoscono questo

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segnale per la poliadenilazione e tagliano la molecola di mRNA nel sito


corrispondente.
La maggior parte dei geni eucariotici ha sequenze non continue. Dai geni vengono
trascritte
sequenze non codificanti (introni) e sequenze codificanti (esoni). Cioè troviamo
lunghe
sequenze di basi all’interno delle regioni codificanti del gene che non codificano
per aminoacidi
della proteina finale. Quando un gene contenente introni è trascritto, l’intero
gene viene
copiato in una lunga molecola di mRNA precursore o pre-mRNA che contiene sia esoni
che
introni. Per diventare un mRNA funzionale, è necessario che venga munito di
cappuccio e
coda poli-A, ma anche che siano rimossi gli introni e che siano uniti insieme gli
esoni, per
formare un messaggio continuo che codifica la proteina. Esempio di codone sull’mRNA
per
l’aminoacido metionina è 5’ – AUG – 3’ esso è trascritto dalla sequenza di basi del
DNA 3’ –TAC
– 5’ e l’anticodone corrispondente sul tRNA è 3’ – UAC –5’

TRADUZIONE
La traduzione rappresenta il processo di trasferimento dell’informazione genetica
perché
comporta la conversione di un codice a quattro basi azotate dell’acido nucleico ad
un alfabeto a
20 aminoacidi delle proteine. Questo compito è affidato agli RNA di trasferimento o
tRNA che
deve possedere:
Una regione che funga da sito di attacco per l’aminoacido;
Legarsi con l’aminoacido specifico tramite l’enzima aminoacil-tRNA sintetasi;
Legarsi al codone dell’mRNA con il proprio anticodone con il meccanismo della
complementarietà delle basi deve essere riconosciuto dai ribosomi.
La traduzione richiede l’intervento dei ribosomi costituiti da due subunità
contenenti proteine e
RNA Ribosomiale, rRNA, che mettono in contatto tra loro tutti i componenti
dell’apparato di
traduzione. I ribosomi si attaccano ad una estremità dell’mRNA e scorrendo lungo il
messaggero permettono ai tRNA di decifrare il messaggio. Uno dei ruoli del ribosoma
è di
mantenere nel corretto orientamento l’mRNA in modo che il codice genetico possa
essere letto
e possa formarsi il legame peptidico.
All’interno del ribosoma si trovano due siti di legame: A e P per le molecole di
tRNA.
Il sito A è quello di legame per l’aminoacil-tRNA, mentre il tRNA che porta la
catena
polipeptidica occupa il sito P.
La traduzione comporta una fase d’inizio, di allungamento e di terminazione.

FASE D’INIZIO
Il processo d’inizio richiede l’intervento di numerose proteine chiamate fattori
d’inizio, e
comincia con il posizionamento del primo complesso aminoacil-tRNA sul sito P della
subunità
inferiore del ribosoma. L’energia per il legame tra codone mRNA e anticodone del
tRNA è
fornita dal GTP (guanosin trifosfato un donatore di energia simile all’ATP). Il
codone per l’inizio
della sintesi proteica è AUG che codifica l’aminoacido metionina (anticodone UAC).
La
subunità maggiore si unisce poi al complesso e si viene a costituire il ribosoma
completo.
Il sito A può essere occupato dall’aminoacil-tRNA corrispondente al codone
successivo.

ALLUNGAMENTO
L’aggiunta di altri aminoacidi alla catena polipeptidica in formazione si chiama
fase di
allungamento.
L’aminoacido sul sito P viene rilasciato dal suo tRNA e viene legato all’aminoacil-
tRNA posto sul

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sito A. Questa reazione è spontanea. Richiede però un enzima chiamato peptidil


transferasi.
Questo catalizzatore è detto ribozima. Dopo che si è formato il legame peptidico la
molecola
di tRNA lascia il sito P. La catena polipeptidica sul sito A, viene traslocata sul
sito P, lasciando il
sito A libero per il prossimo complesso aminoacil-tRNA. Questo processo di
traslocazione
richiede energia che di nuovo è fornita dal GTP.

TERMINAZIONE
La sintesi termina quando fattori di rilascio riconoscono codoni di terminazione o
di stop alla
fine della sequenza codificante, che causa la dissociazione del ribosoma in due
subunità.
Una proteina di lunghezza media di circa 360 aminoacidi è sintetizzata in 18
secondi.

IL DESTINO DELLE PROTEINE


Legato ai ribosomi. Le proteine di secrezione hanno nella catena crescente una
sequenza
segnale che consente al ribosoma di attaccarsi a un sito recettoriale sulla
membrana del RE.
Quando il polipeptide crescente si inserisce attraverso la membrana del RE la
sequenza segnale
viene rimossa enzimaticamente. Al contrario se la molecola di mRNA non ha la
sequenza
segnale il ribosoma traduce una proteina che rimarrà nel citosol.

IL CODICE GENETICO
Il codice genetico è un sistema di corrispondenza tra le sequenze di nucleotidi del
DNA e le
sequenze di aminoacidi nelle proteine. Ciascuna combinazione di 3 nucleotidi del
DNA e mRNA
costituiscono un Codone o tripletta e codifica per un determinato aminoacido.
Essendo il DNA e l’mRNA costituiti da 4 differenti nucleotidi sono possibili 43 64
codoni diversi.
61 codoni specificano aminoacidi, e tre codoni servono come segnali di stop. Uno
stesso
aminoacido può essere perciò codificato da triplette diverse (degenerazione del
codice o
ridondanza. Il segnale d’inizio per la sintesi di tutte le proteine è il codone AUG
che specifica
l’aminoacido metionina.
Il codice genetico viene riferito alla molecola di mRNA.
La caratteristica più sorprendente del codice genetico è praticamente
l’universalità. Cioè sia
nella rosa che nell’uomo è uguale. Ciò suggerisce che tutti gli organismi
discendano da un
comune progenitore ancestrale. Le uniche eccezioni al codice standard sono
variazioni minime.
Un gene può essere definito come una sequenza di nucleotidi che porta
l’informazione
necessaria per produrre una specifica proteina od RNA, comprende sia sequenze
codificanti che
non possono andare incontro a cambiamenti dette mutazioni, che possono portare alla
completa distruzione della struttura di un cromosoma, o al cambiamento di una
singola coppia
di basi. Possono essere: mutazioni puntiforme come le mutazione missenso che
determineranno una proteina con una lunghezza normale, ma con la sostituzione di un
aminoacido, oppure mutazione non senso, che determina la conversione di un codone
che
codifica per un aminoacido in un codone di termine, e si ha una proteina tronca che
di solito
non è funzionale.
Mutazioni frameshift, dove l’inserzione o la delezione cioè l’aggiunta o la perdita
di una o
due coppie di basi inserite all’interno della molecola di DNA causa un’alterazione
della cornice
di lettura ed invariabilmente distrugge la funzione della proteina codificata da
quel gene poiché
cambia tutta la sequenza dei codoni a valle della mutazione.
Le mutazioni possono essere causate da errori nella replicazione del DNA, da agenti
fisici, quali

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i raggi x o gli ultravioletti oppure da mutageni chimici. Oppure causa elementi


genetici mobili
(Trasposoni) chiamati anche geni saltellanti che si spostano da una parte all’altra
del
cromosoma che non solo alterano le funzioni di alcuni geni, ma in alcune condizioni
possono
anche attivare geni normalmente inattivi. Alcuni danni possono essere riparati da
speciali
sistemi enzimatici.
Le mutazioni che avvengono nelle cellule somatiche non vengono trasmesse ai
discendenti.
Molti mutageni sono anche carcinogeni cioè agenti responsabili dell’insorgenza del
cancro.

CAPITOLO 13

REGOLAZIONE GENICA: IL CONTROLLO DELL’ESPRESSIONE DEI GENI

DOMANDA: REGOLAZIONE DELL’ESPRESSIONE GENETICA

Un gene può essere definito come una sequenza di nucleotidi che porta
l’informazione
necessaria per produrre una specifica proteina od RNA. Esso è completamente
espresso solo
quando è trascritto in mRNA , l’mRNA è tradotto in una proteina e la proteina
catalizza una
specifica reazione.
Il controllo dell’espressione genica è un processo essenziale di ogni organismo che
permette alla cellula di conservare energia producendo proteine solo quando e dove
richieste.
Nella cellula batterica questo meccanismo è affidato agli operoni.
L’operone è costituito da: geni strutturali, un promotore, un operatore, e un gene
regolatore.
I geni strutturali codificano gli enzimi batterici.
Il promotore è il sito in cui la RNA-polimerasi si lega al DNA prima di iniziare la
trascrizione.
L’operatore è situato tra il promotore e il primo gene strutturale e serve da sito
di legame per
una proteina regolatrice detta repressore.
Il gene regolatore che sta al di fuori dell’operone codifica la proteina
costituente il repressore e
determina se i geni strutturali vengono espressi o no.
Troviamo gli operoni inducibili come l’operone lattosio e reprimibili come
l’operone
triptofano.

OPERONE LATTOSIO ( Operone LAC ) INDUCIBILE


Il metabolismo del lattosio necessita di due enzimi: la β-galattosidasi che scinde
il
disaccaride lattosio in glucosio e galattosio, e la permeasi che interviene nel
trasporto del
lattosio all’interno della cellula batterica. La β-galattosidasi e la permeasi sono
codificati da due
geni strutturali contigui, Z e Y. Un terzo gene strutturale denominato A codifica
per l’enzima
transacetilasi che però non è richiesto per il metabolismo del lattosio.
I tre geni strutturali (Z,Y,A) sono trascritti in un’unica molecola di mRNA
policistronico,
quindi attraverso la regolazione della produzione di questo mRNA può essere
coordinata la
sintesi di tutti e tre gli enzimi dell’operone.
La chiave per l’espressione dell’operone sta nel repressore codificato dal gene I.
In assenza di lattosio i geni dell’operatore LAC sono inattivati dalla proteina
repressore che
legandosi all’operatore impedisce la trascrizione dei geni strutturali. In presenza
di lattosio la

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proteina repressore interagendo con esso cambia conformazione risultando non più in
grado di
legarsi all’operatore. La RNA polimerasi non incontra ostacoli e i geni LAC possono
essere
espressi.
Diciamo che i meccanismi di regolazione negativi reprimono la trascrizione quelli
positivi la
attivano.
L’operone LAC ha un ulteriore livello di controllo che agisce in modo che l’operone
rimanga
inattivo anche in presenza di lattosio, se è contemporaneamente presente il
glucosio. Ha come
protagonisti l’AMPc e una proteina denominata (CAP) attivatrice del catabolita.
Quando è il
glucosio è presente ad elevata concentrazione, il livello di AMPc è basso; man mano
che la
concentrazione del glucosio diminuisce si innalza quella di AMPc. L’AMPc forma un
complesso
con la proteina CAP che va a legarsi al promotore attivando i geni strutturali.
L’unione tra il complesso AMPc – CAP e il promotore fa in modo che quest’ultimo
assuma una
conformazione più favorevole all’interazione con la RNA polimerasi con una
conseguente
trascrizione più efficiente.
La proteina CAP differisce dai repressori lattosio e triptofano, in quanto può
controllare la
trascrizione di operoni i cui prodotti sono enzimi coinvolti in diverse via
metaboliche. Un gruppo
di operoni controllati da un solo gene regolatore di questo tipo viene considerato
un regulone.

REPRIMIBILE
In un operone reprimibile normalmente attivo il repressore è incapace di legarsi
all’operatore
e i geni strutturali che codificano gli enzimi sono attivi. Nel caso dell’operone
del triptofano le
cellule sono capaci di produrre questo aminoacido quando non è disponibile
nell’ambiente.
Quando c’è abbondante triptofano le molecole di triptofano agiscono come un
corepressore
legandosi con il repressore inattivo e variandone la forma in modo che possa
attaccarsi
all’operatore, impedendo la trascrizione dei geni strutturali. Perciò quando la
concentrazione
del triptofano è alta l’operone è represso impedendo la sovrapproduzione di
triptofano. Quando
la concentrazione è bassa la maggior parte del repressore rimane non-legata dal
corepressore
e perciò non riesce ad attaccarsi all’operatore. La trascrizione procede i geni
vengono trascritti
gli enzimi vengono sintetizzati e il prodotto finale necessario (triptofano) viene
fabbricato.
Mentre la biosintesi procede, il triptofano si accumula raggiungendo una
concentrazione alta
quanto basta per reprimere di nuovo l’operone.
La regolazione dell’espressione dei geni negli eucarioti non è regolata in sistemi
come gli
operoni.
Per il controllo della trascrizione sono importanti alcuni segmenti posti sul DNA
fra cui:
gli elementi posti a monte del promotore (UPE) e sembra che l’efficienza del
promotore
dipenda dal numero e tipo di UPE.
gli intensificatori (enhancer) che aumentano la velocità di sintesi. Velocità
influenzata da proteine regolatrici note come fattori di trascrizione e dal modo in
cui
il DNA è organizzato nei cromosomi.

I SITI D’INIZIO DELLA TRASCRIZIONE


Le cellule eucarioti contengono molto più DNA rispetto alle cellule procarioti e
molto di
questo DNA non si esprime mai. La maggior parte del DNA inespresso risiede tra i
geni, ma
parte di esso (sotto forma di introni) risiede all’interno delle regioni
codificanti dei geni. Gli
introni creano difficoltà durante il processing (maturazione) dei geni perché
devono essere

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rimossi, mentre i segmenti restanti cioè gli esoni vengono giuntati insieme
processo noto
come splicing=giuntura. Si ritiene che la presenza degli introni abbia aumentato la
velocità
di evoluzione facilitando la formazione di nuovi geni per mescolamento degli esoni.
L’espressione dei geni eucariotici è regolata principalmente a tre livelli:
A livello della trascrizione si determina se un gene verrà trascritto o no e con
che
frequenza;
Le proteine regolatrici dei geni, come il complesso recettore-testosterone, sono
capaci di legarsi a siti specifici del DNA e di regolare la velocità di
trascrizione di geni
vicini.
Come fa un eritrocito in sviluppo a sapere di dover trascrivere i geni per la
formazione dell’emoglobina e altre cellule ignorano questi geni?
Dipende dalla presenza di specifiche proteine regolatrici di quei geni.
Ogni cellula ha le proprie combinazioni esclusive di proteine regolatrici che
permette a quella
cellula di trascrivere un insieme esclusivo di geni.
Le cellule che rispondono al testosterone contengono una proteina detta recettore
per il
testosterone.
Normalmente il recettore risiede nel citoplasma di cellule bersaglio specifiche
comprendenti le
cellule dell’apparato riproduttore maschile. Quando la concentrazione ematica di
testosterone
aumenta molecole di ormoni diffondono penetrando nelle cellule, ma soltanto le
cellule sensibili
al testosterone contengono il recettore appropriato, e quindi soltanto queste
cellule sono
capaci di rispondere. Come il lattosio varia la forma del repressore LAC quando si
lega alla
proteina, una molecola di testosterone varia la forma del recettore per il
testosterone quando
si lega ad esso. Non più un recettore semplice, il complesso recettore-testosterone
diventa un
regolatore genico e si trasferisce dal citoplasma al nucleo dove si lega a siti
specifici sul DNA
attivando l’espressione dei geni vicini.

2 A livello della maturazione dell’RNA.


Quando un gene viene trascritto il trascritto di RNA si associa a particelle
contenenti sia RNA
che proteina.
Queste particelle hanno il compito di rimuovere le sequenze di introni e giuntare
le sequenze di
esoni “splicing nel senso di riunione di estremità tagliate“ per formare un mRNA
maturo
(maturazione o processing dell’RNA).
Per le proprietà catalitiche di questi RNA sono detti Ribozimi.

3 A livello della traduzione.


Si determina se un mRNA viene tradotto o no e per quanto tempo l’mRNA sopravvivrà.
In alcune situazioni gli mRNA vengono mascherati temporaneamente da proteine che
impediscono la traduzione.
Le cellule regolano anche la durata della vita degli mRNA proteggendoli dalla
degradazione
enzimatica, e quindi aumentando il numero di volte che può essere copiato.
La prolattina stabilizza gli mRNA che portano il messaggio per le proteine del
latte,
aumentando così la loro traduzione. La sospensione della produzione di prolattina
fa diminuire
la stabilità dell’mRNA che si deteriora rapidamente arrestando la produzione di
proteine del
latte.

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CAPITOLO 17

INTRODUZIONE AL CONCETTO DARWINIANO DI EVOLUZIONE

DOMANDA: DESCRIVERE LE GENERALITA’ DEI MECCANISMI DELL’EVOLUZIONE E LE


PROVE CHE LA SOSTENGONO.

L’evoluzione può essere definita come l’accumulo nel corso del tempo di cambiamenti
ereditabili all’interno di popolazioni. I tratti ereditabili sono quelli che
possono essere
trasmessi alla prole, e la popolazione è un gruppo di individui di una stessa
specie che vive
nella stessa area geografica nello stesso tempo.
Darwin 1809-1882 aveva elaborato un formidabile meccanismo dell’evoluzione, quello
della
selezione naturale che consiste in 4 osservazioni sulla natura:
Sovrapproduzione, variabilità, limiti alla crescita della popolazione o lotta per
l’esistenza,
Successo riproduttivo differenziale.
Sosteneva che gli individui trasmettevano i propri caratteri alla generazione
successiva, ma
non fu in grado di spiegare come. Durante gli anni 30/40 i biologi unirono i
principi della
genetica con la sua teoria così da sviluppare la teoria sintetica dell’evoluzione,
cioè le
mutazioni o cambiamenti nel DNA forniscono la variabilità genetica su cui la
selezione naturale
nel corso del tempo agisce.
Prove di evidenza scientifica a supporto dell’evoluzione sono i reperti fossili,
che testimoniano
l’esistenza di organismi passati. Possono essere datati attraverso gli isotopi
radioattivi detti
radioisotopi presenti in una roccia.
Prove molecolari a favore dell’evoluzione includono l’universalità del codice
genetico, la
conservazione di sequenze di aminoacidi nelle proteine, la sequenza di nucleotidi
nel
DNA.
Il codice genetico specifica una tripletta di tre nucleotidi per un particolare
codone che
codifica per un aminoacido in una catena polipeptidica.
L’universalità del codice genetico è una prova convincente che gli organismi sono
derivati da un
comune ancestrale. Quindi diciamo che l’essere vivente filogeneticamente più
prossimo agli
esseri umani è lo scimpanzé poiché il suo DNA ha la più bassa percentuale di
divergenza nella
sequenza esaminata.

CAPITOLO 19

SPECIAZIONE E MACROEVOLUZIONE

DOMANDA: ILLUSTRARE LA SPECIAZIONE E I CONCETTI DI MICRO E


MACROEVOLUZIONE

Una specie consiste di un gruppo di popolazioni i cui membri sono, in natura in


grado di
produrre prole fertile.
La speciazione è un fenomeno che si verifica quando una popolazione diventa
riproduttivamente isolata dagli altri membri della stessa specie. Si può verificare
in due modi:

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attraverso la speciazione allopatrica o simpatrica.


ALLOPATRICA: si verifica quando una popolazione diventa geograficamente separata
dal
resto della specie.
SIMPATRICA: quando una nuova specie può svilupparsi occupando la stessa regione
geografica della specie progenitrice.
La microevoluzione si occupa di cambiamenti che avvengono in tempi brevi
nell’ambito di
una specie.
La macroevoluzione si occupa di cambiamenti drammatici che avvengono in tempi
lunghi nel
corso dell’evoluzione. Questi cambiamenti fenotipici sono di così grande portata
che le
nuove specie che li presentano vengono assegnate a generi differenti o a categorie
tassonomiche superiori, come la differenziazione dei vertebrati dagli invertebrati
o
mammiferi dai rettili.
L’estinzione cioè la fine di una linea evolutiva, si verifica quando muore l’ultimo
rappresentante di una specie ed è permanente.
L’estinzione di massa più recente, verificatasi 65 milioni di anni fa, ha
comportato la
scomparsa dei Dinosauri.

CAPITOLO 23

VIRUS E BATTERI

DOMANDA: Conoscere le principali generalità su virus e batteri

VIRUS
Un virus è un’agente infettivo, che determina al suo ingresso nell’organismo
un’azione
patogena.
Cioè disequilibra la normale omeostasi (equilibrio dinamico) dell’organismo.
Il virione identifica l’entità virale matura, la forma attiva del virus.
Le caratteristiche che lo accomunano agli organismi viventi sono: replicazione e
materiale
genetico.
La differenza sta nell’incapacità di vita autonoma, infatti si parla di
parassitismo
intracellulare obbligato. Non avendo struttura cellulare, non hanno i meccanismi
enzimatici
ed energetici e quindi sono costretti ad albergare all’interno di una cellula
ospite.
Sono composti dal genoma (il DNA totale di una cellula) a DNA o RNA quindi un acido
nucleico
(che ha il compito di determinare i caratteri morfologici e funzionali della
cellula che viene
ospitato) ed è rivestito dal capside, un rivestimento proteico. L’insieme del
genoma e del
capside determina il nucleo capside. A volte si può trovare anche l’envelope
(pericapside),
una membrana che viene acquisita dal virus.
Questa membrana sarà quella responsabile delle interazioni tra cellula virale e le
membrane
cellulari dell’ospite.
I fagi sono i virus che infettano i batteri e si chiamano batteriofagi.
I viroidi sono agenti infettivi ancora più piccoli dei virus. Sono formati da un
filamento molto
corto di RNA ( 250-400 nucleotidi) senza copertura protettiva.
Il prione sembra essere costituito solo da una proteina e non hanno acidi nucleici.
Viene

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associato ad un gruppo di malattie degenerative del cervello ad esito letale. Sono


dette
encefalopatie spongiformi trasmissibili (TSE). Sembra che il cervello produca zone
vuote
simili a spugne.
La dimensione dei virus variano da 10 a 400 nm (10-9) e si osservano al microscopio
elettronico dove il potere risolutivo è nell’ambito dei nanometri.

CLASSIFICAZIONE
I virus vengono classificati sulla base del corredo genomico e possono contenere o
DNA o RNA,
mai entrambi.
In quelli a DNA, la sintesi del DNA e delle proteine virali è simile a quella che
la cellula ospite
normalmente attua per il suo proprio DNA e la propria sintesi proteica. In alcuni
virus a RNA,
chiamati retrovirus, la trascrizione avviene con l’aiuto di una DNA polimerasi RNA-
dipendente.
Questi virus a RNA, utilizzano un enzima chiamato trascrittasi inversa per
trascrivere il
genoma a RNA su un DNA complementare. Questo DNA viene integrato nel DNA
dell’ospite da
un enzima fornito dal virus. Le copie dell’RNA virale vengono sintetizzate quando
il tratto di
DNA virale incorporato viene trascritto. Il virus umano dell’immunodeficienza
(HIV), causa
dell’AIDS, è un retrovirus. Dopo che i geni virali sono stati trascritti, vengono
sintetizzate le
proteine strutturali virali. I virus possono infettare le cellule vegetali
attraverso insetti come
afidi e cavallette che si nutrono dei loro tessuti. Oppure possono essere trasmessi
anche da
semi infetti. Il virus può diffondersi passando attraverso i plasmodesmi
(connessioni
citoplasmatiche). I sintomi di un infezione virale includono la comparsa di
punteggiature sulle
foglie, sui fiori e sui frutti. Per molte di queste malattie non si conoscono
rimedi per cui è prassi
bruciarle.
Il ciclo riproduttivo virale può essere litico o temperato.
Nel ciclo litico il virus lisa la cellula ospite. I virus caratterizzati da un
ciclo litico sono detti
virulenti (letali).
Le fasi della replicazione sono cinque:
Aggancio: Il virus aderisce ai recettori posti sulla parete cellulare ospite;
Penetrazione: L’acido nucleico del virus viene introdotto attraverso la membrana
plasmatica nel citoplasma della cellula ospite;
Replicazione: Il genoma virale contiene tutte le informazioni necessarie per
produrre
nuovi virus. Il virus induce la cellula a sintetizzare gli elementi necessari alla
sua
replicazione;
Assemblaggio: I componenti virali neosintetizzati vengono assemblati per formare
nuovi virus;
Rilascio: I virus assemblati vengono liberati all’esterno. Generalmente gli
enzimi litici
degradano la cellula ospite.
Il tempo richiesto per la replicazione virale dalla adesione alla liberazione è di
30-35 minuti.
I virus temperati non sempre distruggono il loro ospite.
In un ciclo lisogenico il genoma virale si integra e viene replicato con il DNA
stesso dell’ospite.
Nel caso di alcuni virus batterici il DNA fagico viene integrato nel DNA del
batterio ospite. In
questo caso il virus viene definito profago. Quando il DNA batterico si replica,
anche il profago
si replica. Le cellule batteriche che contengono profagi vengono definite cellule
lisogeniche.
Le cellule batteriche contenenti alcuni tipi di virus temperati possono manifestare
nuove
proprietà.

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Evento definito: conversione lisogenica. Esempio: il batterio che provoca la


difterite.
Esistono due ceppi di questa specie, uno che produce la tossina che provoca la
difterite, l’altro
non la produce. Il batterio che produce la tossina contiene uno specifico fago
temperato.
Il tipo di proteine d’aggancio presenti sulla superficie di un virus determina
quale tipo di cellula
il virus può infettare. Gli adenovirus (sono circa 40 e provocano il mal di gola),
hanno fibre
che fuoriescono dal capside, si pensa per aiutare il virus ad aderire ai siti
recettoriali
complementari sulla superficie della cellula ospite. Altri virus, come quelli che
causano
l’herpes, l’influenza e la rabbia, sono circondati da un involucro lipoproteico con
delle
spine glicoproteiche proiettate all’esterno, che facilitano l’aggancio alla cellula
ospite. Il virus
del morbillo e i poxvirus possono infettare molti tipi di tessuti poiché le loro
proteine d’attacco
si combinano con i siti recettoriali di numerosi tipi cellulari.
Al contrario, i poliovirus possono aderire solo a certi tipi di cellule, per
esempio quelle
dell’apparato digerente.

BATTERI
I batteri sono tipici delle cellule procariote. Hanno vita autonoma perché hanno
DNA, RNA nelle
forme m e t, Enzimi e Ribosomi.
Non hanno ne organi citoplasmatici circondati da membrana, ne nucleo. Hanno invece
la parete
cellulare esterna alla membrana plasmatica detta peptidoglicano, che fornisce una
struttura
rigida che sostiene la cellula, ne mantiene la forma, previene la sua esplosione
per pressione
osmotica, ed ha in sede dei determinanti antigenici. La membrana plasmatica ha tre
funzioni:
da delimitazione cellulare al batterio garantendone gli scambi, produce energia
attraverso i mesosomi addetti alla respirazione, e regola il processo di divisione
cellulare. Il materiale genetico del batterio si trova nel citoplasma e non è
circondato da un
involucro nucleare. E’ costituito da una singola molecola di DNA circolare.
In aggiunta al DNA possiamo trovare i Plasmidi, piccole molecole circolari di DNA a
doppia
elica con il compito di dare maggior adesività al battere.
I batteri si riproducono asessualmente, in genere per scissione binaria, (un
processo
mediante il quale una cellula si divide in due cellule figlie simili) oppure per
gemmazione o
per frammentazione. Gemmazione: la cellula produce una protuberanza detta gemma che
cresce matura e si separa dalla cellula madre. Frammentazione: le pareti cellulari
si
accrescono all’interno della cellula, che viene scissa in numerose cellule di nuova
costituzione.
Lo scambio di materiali genetici avviene con tre meccanismi: trasformazione –
trasduzione – coniugazione.
Trasformazione: i frammenti di DNA rilasciati da una cellula sono assunti da
un’altra cellula.
Trasduzione: i geni sono trasportati da una cellula batterica ad un’altra tramite
un
Batteriofago.
Coniugazione: due cellule con polarità di accoppiamento diversa si uniscono e il
materiale
genetico si trasferisce da una all’altra.
Alcuni batteri hanno una capsula (che circonda la parete proteggendola
ulteriormente contro
la fagocitosi), che presenta il glicocalice, un rivestimento glicoproteico a cui si
devono le
caratteristiche di adesività e quindi di maggior potere patogeno.
Alcuni batteri posseggono centinaia di appendici pilifere note come pili, che
aiutano i batteri
ad aderire tra loro o alle cellule che infettano.
La maggior parte dei batteri si muove grazie alla presenza di flagelli rotanti. Il
loro numero e la

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loro posizione rappresentano un dato importante per la classificazione di alcune


specie
batteriche. Il flagello batterico non è costituito da microtubuli, ed è formato da
tre parti: il
corpo basale, l’uncino e un filamento singolo. Il corpo basale ancora il flagello
alla parete
cellulare tramite dei dischi appiattiti.
L’uncino unisce il corpo basale al lungo filamento.
Il corpo basale è il motore. Il batterio utilizza ATP per pompare protoni fuori
dalla cellula. La
diffusioni di questi protoni nella cellula dà energia al motore sostenendo il
movimento rotatorio
propulsivo del flagello. Così il flagello produce un movimento rotatorio che spinge
la cellula
come un’elica spinge una barca sull’acqua. Quando l’ambiente di un batterio diventa
sfavorevole, esempio secco, molte specie diventano dormienti, e formano cellule
dormienti,
estremamente durevoli chiamate endospore. Esse possono sopravvivere in ambienti
molto
secchi, caldi o ghiacciati o quando c’è scarsità di cibo. Possono sopravvivere
un’ora o più alla
bollitura o secoli al congelamento. Quando le condizioni ambientali saranno
nuovamente adatte
per la crescita, l’endospora germina diventando una cellula batterica attiva.
Il numero dei batteri presenti nel corpo umano è 700.000 miliardi, mentre il numero
di cellule
umane è 70.000 miliardi
Alcuni batteri producono esotossine, potenti veleni secreti dalla cellula quando
viene
distrutta. La tossina e non il battere è la responsabile della malattia.
Le endotossine non sono secrete dai patogeni, ma sono componenti della parete
cellulare dei
batteri gram-negativi. Colpiscono l’ospite solo quando vengono liberati, si legano
ai
macrofagi e li stimolano a liberare sostanze che causano la febbre.
Le case farmaceutiche ottengono la maggior parte degli antibiotici da tre gruppi di
microrganismi: gli attinomiceti, i gram-positivi e le muffe.
Il loro asse maggiore è compreso tra 0.5 e 20 micrometri (10-6), e si osservano al
microscopio
ottico dove il potere risolutivo è nell’ambito dei micrometri.
Sulla base delle caratteristiche di permeabilità della parete cellulare si possono
fare delle
colorazioni differenziali per lo studio dei batteri. Tale colorazione è detta Gram.
A seconda della
loro colorazione i batteri si classificano in gram-positivi e gram-negativi.

Come si fa la colorazione di Gram?


Attraverso l’impiego di una soluzione colorante solubile in acqua che è la cristal-
violetto con
aggiunta di soluzione di Lugol che colora di violetto il citoplasma di tutti i
batteri e si pone
dell’alcol che solubilizza (scioglie) il colorante. Se riesce ad entrare il
batterio sarà Gram-
negativo, se non riesce a passare il citoplasma rimane violetto e il batterio è
detto Gram-
positivo.
Successivamente si aggiunge una contro colorazione di fucsina che viene assunta
solo dai
Gram-negativi.
I batteri che assorbono e mantengono la colorazione al violetto di genziana sono
gram-positivi,
quelli che la perdono sono detti gram-negativi. La differenza tra i gram-positivi e
negativi
sta nel trattamento di alcune malattie.

CLASSIFICAZIONE
Secondo la forma sono tre: sferica, bastoncellare e spiralata.
Sferica: conosciuti come cocchi le cui cellule possono essere raggruppate a:
coppie=
diplococchi in lunghe catena =streptococchi a grappoli d’uva = stafilococchi.
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Bastoncelli: conosciuti come bacilli.


Spirale: sono i vibrioni, batteri corti a elica, gli spirilli più lunghi e rigidi e
le spirochete più
lunghe ma flessibili.
Secondo la classe: Archeobatteri ed Eubatteri.

Gli archeobatteri
Comprendono un gruppo di procarioti che produce gas metano a partire da semplici
forme
carboniose, non c’è peptidoglicano nella parete cellulare (una polimero complesso
formato da
due zuccheri (aminozuccheri)) legati a corti polipeptidi.
Si dividono in:
Metanogeni, che vivono in ambiente privo di ossigeno, negli acquitrini e sono
presenti
nel tubo digerente dell’uomo;
Alofili estremi, vivono in soluzioni sature di sali come le saline;
Termofili estremi, che crescono in ambienti caldi.
Gli eubatteri, anche detti batteri, comprendono tutti gli altri procarioti. La
parete cellulare
degli eubatteri è costituita da peptidoglicano.

I batteri sono autotrofi o eterotrofi.


Gli autotrofi sono sia fotosintetici che chemiosintetici, e sono capaci di produrre
le proprie
molecole organiche. Quelli fotosintetici traggono il loro nutrimento dalla luce,
quelli chemio
sintetici dall’ossidazione di composti inorganici.
Gli eterotrofi devono procurarsi i composti organici da altri organismi. La maggior
parte degli
eterotrofi sono saprofita, cioè traggono il nutrimento dalla materia prima morta.
Altri
traggono il nutrimento da organismi viventi danneggiandoli causando malattie.
La maggior parte dei batteri sia eterotrofi che autotrofi è aerobica, richiede
ossigeno per la
respirazione cellulare.
Alcuni batteri sono anaerobi facoltativi, cioè possono usare l’ossigeno per la
respirazione
cellulare se disponibile, ma conducono il metabolismo anaerobicamente.
Altri sono anaerobi obbligati e possono sostenere il metabolismo solo
anaerobicamente.

EUBATTERI CON PARETI GRAM- NEGATIVO


Il gruppo degli Enterobatteri include i decompositori, che vivono sui detriti
vegetali, e molte
specie nell’uomo come l’Escherichia coli che vive nel tratto digerente.
I vibrioni sono generalmente marini.
Gli azotobatteri vivono nel terreno.
Le Clamidie dipendono completamente dal loro ospite per l’ATP. Il tracoma, la
principale
causa della cecità nel mondo è causato da un ceppo di Clamidia.
Le Clamidie trasmesse per via sessuale sono la causa dell’infiammazione pelvica
nelle donne.
I Cianobatteri vivono negli stagni nelle piscine.

EUBATTERI CON PARETI GRAM- POSITIVO


Gli Attinomiceti numerosi antibiotici, derivano da loro.
Gli streptococchi si trovano nella bocca e nel tratto intestinale dell’uomo.
Provocano il mal di
gola, la carie dentale e una forma di polmonite.
Gli stafilococchi vivono normalmente nel naso e sulla pelle. Essi sono
opportunisti, cioè

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causano malattie solo se il sistema immunitario è depresso.


I Clostridi sono anaerobi. Provocano il botulismo, una forma di avvelenamento
alimentare
spesso letale, causata da cibi in scatola mal sterilizzati.
Le endospore resistenti al calore crescono e producono la tossina tra le più
potenti
conosciute.

CAPITOLO 39

CONTROLLO NERVOSO: I NEURONI

DOMANDA: DESCRIVERE LA STRUTTURA DELLE CELLULE DEL TESSUTO NERVOSO E LE


MODALITA’ DEL TRASPORTO DELL’INFORMAZIONE TRAMITE GLI IMPULSI ELETTRICI

Un tessuto consiste in un gruppo di cellule con caratteristiche simili che si


associano per
assolvere una o più funzioni. I tessuti sono classificati in: epiteliale,
connettivo, muscolare
e nervoso che è composto da neuroni e cellule gliali.
I neuroni sono cellule specializzate nella conduzione elettrochimica dell’impulso
nervoso o
potenziale d’azione.
Le cellule gliali sono di tre tipi: microgliali, astrociti, ed oligodendrociti, che
nutrono i
neuroni e lo isolano per aumentare la velocità di trasmissione.
Le cellule microgliali sono fagocitarie rimuovono i detriti cellulari.
Gli astrociti sono a forma di stella, alcune sono fagocitarie altre partecipano
alla regolazione
della concentrazione degli ioni potassio nei fluidi extracellulari dei tessuti
nervosi.
Gli oligodendrociti circondano i neuroni del SNC formando una guaina isolante
intorno ad
essi, costituita da mielina una sostanza lipidica e biancastra molto isolante
elettricamente che
permette una maggior velocità di trasmissione degli impulsi nervosi. Nella sclerosi
multipla, la
mielina si deteriora ad intervalli irregolari lungo gli assoni ed è rimpiazzata da
tessuto
cicatriziale. Tale deterioramento influisce sulla conduzione dell’impulso nervoso,
e chi ne è
vittima accusa perdita di coordinazione, tremori ed una paralisi completa o
parziale di alcune
parti del corpo.
Il neurone è l’unità funzionale del sistema nervoso. E’ composto da un corpo
cellulare, i
dendriti ed un assone.
Dal corpo cellulare o pirenoforo contenente il nucleo originano due prolungamenti
citoplasmatici i dendriti da un lato e un singolo assone dal lato opposto.
I dendriti sono corti e specializzati nella ricezione di stimoli e nell’invio di
messaggi al corpo
cellulare sotto forma di segnali elettrici.
L’assone può essere più lungo di un metro. Si può ramificare in diramazioni
chiamati assoni
collaterali. La sua funzione è quella di condurre l’impulso nervoso verso un altro
neurone o a
organi effettori come ghiandole o muscoli, attraverso giunzioni specializzate dette
sinapsi. Alla
sua terminazione distale l’assone si divide in un certo numero di rami terminali
ciascuno dei
quali si conclude con una terminazione sinaptica dalle quali vengono rilasciati i

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neurotrasmettitori, molecole che trasmettono il segnale, sono messaggeri chimici.


In genere l’assone è rivestito da mielina, prodotta dalle cellule di Schwann (un
tipo di cellula
gliali).
Queste cellule avvolgono l’assone in più strati formando una guaina mielinica che
non è
continua, ma regolarmente interrotta da punti scoperti i nodi di Ranvier. Migliaia
di assoni
tenuti insieme da tessuto connettivo formano il nervo. All’interno del SNC gli
assoni vengono
definiti tratti o vie al di fuori del SNC i corpi cellulari dei neuroni sono
raggruppati in ammassi
chiamati gangli.
Agli stimoli, cioè i cambiamenti interni/esterni percepiti dall’organismo i neuroni
forniscono le
risposte strutturate in quattro fasi: ricezione, trasmissione, integrazione ed
azione.
La ricezione, è il processo di rilevamento di uno stimolo svolto dai neuroni e
dagli organi di
senso specializzati come occhi e orecchie.
La trasmissione è il processo d’invio del messaggio all’interno di un neurone,
trasmesso da
un recettore al sistema nervoso centrale (SNC) che è costituito dall’encefalo e dal
midollo
spinale.
I neuroni che trasmettono l’informazione sono chiamati afferenti.
L’integrazione comprende lo smistamento e l’interpretazione delle informazioni
sensoriali che
arrivano e la determinazione delle risposte appropriate. I messaggi nervosi sono
trasmessi dal
(SNC) attraverso i neuroni efferenti agli effettori (muscoli o ghiandole). I
recettori sensoriali,
i neuroni afferenti ed efferenti sono parte del sistema nervoso periferico (SNP).
I neuroni trasmettono informazioni utilizzando segnali elettrici. La maggior parte
delle cellule
animali ha un differente potenziale elettrico ai due lati della membrana
plasmatica. Si dice che
la membrana plasmatica è polarizzata elettricamente intendendo che un lato o polo,
ha una
carica differente rispetto all’altro. Questa differenza di carica elettrica ai due
lati della
membrana è chiamato potenziale di membrana o potenziale a riposo, che si misura in
millivolt (mV). 1mV equivale a un millesimo di volt. Il voltaggio è quella forza
che permette il
movimento di particelle cariche tra due punti.
I neuroni hanno un potenziale a riposo di circa 70 mV che viene espresso come –70
mV, dato
che la superficie interna della membrana plasmatica è elettronegativa rispetto ai
fluidi
interstiziali.
Qual è la genesi del potenziale di membrana?
In un neurone a riposo c’è un leggero eccesso di ioni positivi all’esterno e un
eccesso di ioni
negativi all’interno.
La concentrazione degli ioni K+ dentro è circa dieci volte maggiore rispetto a
quella al di fuori
della cellula. Quella degli ioni Na+ è circa dieci volte maggiore fuori piuttosto
che all’interno
della cellula.
Questa distribuzione degli ioni ai due lati della membrana è possibile grazie:
all’azione di
pompe ioniche, sodio-potassio che ad ogni ciclo trasportano 3 ioni sodio
all’esterno
e 2 ioni potassio all’interno contro il loro gradiente di concentrazione.
Quindi spendendo energia alla diffusione passiva attraverso proteine di membrana
che formano
canali ionici selettivi cioè permettono il passaggio solo di un tipo di ione.
Le proteine costituenti il canale possono avere alcune regioni caricate
elettricamente che
funzionano come porte. Quando sono aperte il canale è attivo, quando sono chiuse ,
gli ioni
non possono attraversare la membrana.

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I neuroni hanno tre tipi di canali ionici: canali ionici passivi, voltaggio-
dipendenti,
chemio-dipendenti.
I Canali ionici passivi permettono il passaggio di un tipo specifico di ione come
il Na+ K+ Cl-
. In genere questi canali sono sempre aperti fluiscono seguendo il loro gradiente
di
concentrazione.
I Voltaggio-dipendenti sono mantenuti chiusi da una porta che si apre in risposta
ad un
cambiamento di voltaggio.
I Chemio-dipendenti si trovano principalmente sui dendriti e corpi cellulari.
Il canale ionico passivo più diffuso nelle membrane plasmatiche è quello per il
potassio, ed i
neuroni sono più permeabili al potassio che agli altri ioni. Gli ioni sodio sono
trasportati
attivamente fuori dal neurone, ma non possono rientrare facilmente; gli ioni
potassio
trasportati all’interno diffondono più facilmente all’esterno. La pompa sodio-
potassio
mantiene una concentrazione di ioni potassio maggiore all’interno della cellula
rispetto
all’esterno.
Gli ioni potassio diffondono all’esterno attraverso i canali passivi seguendo il
loro gradiente di
concentrazione. Grazie a questo efflusso di cariche positive verso l’esterno, la
cellula diviene
relativamente elettronegativa. Il potenziale di equilibrio si ottiene quando la
concentrazione
degli ioni potassio K+ che entrano nella cellula eguaglia quelli che da essa
escono. A questo
punto si è formato un potenziale a riposo di circa –70mV tra i due lati della
membrana.
Se uno stimolo elettrico, chimico o meccanico è forte, può alterare il potenziale a
riposo
aumentando la permeabilità al sodio dando vita al potenziale d’azione che viaggia
in modo
molto rapido lungo l’assone verso il terminale sinaptico. Quando il voltaggio
raggiunge il livello
di soglia a –55mV e lo supera le porte dei canali voltaggio-dipendenti del sodio si
aprono e gli
ioni sodio diffondono all’interno della cellula muovendosi da un distretto ad alta
concentrazione
ad uno a bassa concentrazione. Quando il potenziale d’azione viene innescato la
membrana del
neurone rapidamente raggiunge il valore di zero e lo supera fino a +35mV o più
raggiungendo
il picco. La depolarizzazione di membrana in un area induce l’apertura di canali
ionici
voltaggio-dipendenti adiacenti determinando un’onda di depolarizzazione che viaggia
lungo
tutta la lunghezza dell’assone. Quando il potenziale d’azione si è spostato di
alcuni mm lungo
l’assone, il punto della membrana sopra il quale è appena passato si ri-polarizza.
Successivamente le porte del sodio si chiudono e la membrana ridiventa impermeabile
al sodio.
Nei canali del potassio si apre la porta che permette agli ioni potassio di uscire
dal neurone.
Questa riduzione di ioni potassio riporta il lato interno della membrana al suo
valore
relativamente negativo, per cui la membrana risulta ri-polarizzata. Il meccanismo
di
depolarizzazione e ri-polarizzazione può avvenire in meno di un millisecondo. La
ridistribuzione del sodio e del potassio verso i livelli normali di concentrazione
richiede tempi
più lunghi. Le condizioni di riposo vengono ripristinate solo quando la pompa
sodio-potassio ha
attivamente trasportato all’esterno della cellula l’eccesso di sodio.
Durante il periodo di depolarizzazione la membrana è in uno stato di refrattarietà
assoluta non
può trasmettere nessun altro potenziale d’azione dovuto al fatto che i canali del
sodio
voltaggio-dipendenti sono inattivati. Quando un numero sufficiente di canali del
sodio sono
stati riportati allo stato iniziale, il neurone entra in uno stato di refrattarietà
relativa.
Durante questo periodo l’assone può trasmettere impulsi. La velocità varia a
seconda del tipo
di conduzione. Nella conduzione continua che avviene nei neuroni non mielinizzati,
la velocita’
è proporzionale al loro Ø, più è grosso maggiore sarà la velocità perché presentano
una

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resistenza minore al flusso di ioni che li attraversa.


Nella conduzione saltatoria, la mielina isola elettricamente l’assone in maniera
totale in tutti i
suoi punti tranne nei nodi di Ranvier, che infatti non sono mielinizzati. I canali
ionici voltaggio-
dipendenti per il sodio e potassio, sono concentrati in questi punti. Il movimento
degli ioni da e
per la cellula avviene solo in corrispondenza dei nodi. Il potenziale d’azione
salta da un nodo
all’altro. La sua velocità aumenta di 50 volte rispetto all’assone non
mielinizzato, in più richiede
meno energia perché la corrente fluisce solo a livello dei nodi e quindi minor
spostamento degli
ioni sodio-potassio, ciò significa che la pompa deve consumare meno ATP per
ristabilire le
condizioni di riposo dopo che l’impulso è passato.
I neuroni seguono la legge del tutto o nulla, perché o trasmettono un potenziale
d’azione
oppure non lo fanno. Le differenze nel livello di intensità delle sensazioni
percepite, dipende dal
numero di neuroni stimolati e dalla loro frequenza di scarica. Nel caso di una
bruciatura,
maggiore è il numero di recettori dolorifici stimolati, maggiore sarà il numero di
neuroni che
vengono depolarizzati.
L’aumento o la diminuzione di eccitabilità dei neuroni è influenzata da alcune
sostanze che
rendono la membrana più o meno permeabile al sodio. Esempio: gli ioni calcio si
legano alle
proteine di membrana che costituiscono i canali del sodio e grazie alla loro carica
positiva
influenzano il funzionamento dei canali aumentando il voltaggio necessario per
l’apertura delle
porte. Quando nella cellula c’è un eccesso di ioni calcio, i neuroni diventano meno
eccitabili e
più difficilmente generano potenziali d’azione, quando c’è una carenza le porte dei
canali ionici
per il sodio non si chiudono mai completamente dopo il passaggio del potenziale
d’azione. Il
risultato è che gli ioni sodio penetrano nella cellula rendendo meno negativo il
suo potenziale e
portando il neurone vicino alla soglia. Nei muscoli innervati da questi neuroni, si
generano degli
spasmi detti contrazioni tetaniche. Molti narcotici ed anestetici bloccano la
conduzione nervosa
come la cocaina, novocaina e lidocaina che influenzano l’attività dei canali
voltaggio-
dipendente per il sodio diminuendo la permeabilità della membrana a questo ione.
L’eccitabilità
può essere depressa non facendo trasmettere impulsi ai neuroni nella zona
anestetizzata.
Abbiamo detto che i neuroni comunicano con le altre cellule attraverso sinapsi. La
sinapsi tra
un neurone ed una cellula muscolare è detta giunzione neuromuscolare o placca
motrice. I
segnali che attraversano una sinapsi possono essere elettrici o chimici. Nelle
sinapsi
elettriche i neuroni pre e post-sinaptici sono molto vicini tra loro (entro 2 nm
(nanometri 10¯9
metri) e tra le loro membrane si formano le giunzioni comunicanti collegate tramite
una
proteina canale. Inoltre le sinapsi elettriche permettono il passaggio diretto di
ioni da una
cellula all’altra così l’impulso viene trasmesso molto più rapidamente.
La maggior parte delle sinapsi sono chimiche, dove le cellule pre e post-sinaptico
sono
separate da uno spazio sinaptico largo più di 20 nm. Quando il potenziale d’azione
raggiunge
un terminale assonico, non riesce a superare lo spazio, per cui il segnale
elettrico deve essere
trasformato in segnale chimico attraverso i neurotrasmettitori, cioè sostanze
chimiche che
possono portare al di là dello spazio sinaptico il segnale nervoso. Le sostanze che
si pensa
possano funzionare da neurotrasmettitori sono più di 40. Tra cui: l’Acetilcolina
rilasciata dai
neuroni motori attiva la contrazione muscolare. Le cellule che rilasciano questo
neurotrasmettitore sono detti neuroni colinergici.
Le amine biogene o catecolamine, di cui fanno parte la noradrenalina (rilasciata
dai
neuroni adrenergici), serotonina, dopamina, influenzano lo stato d’animo, una loro
alterazione può legarsi a gravi disturbi mentali tra cui la depressione, il deficit
di attenzione, e

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la schizofrenia. I farmaci antidepressivi che influenzano lo stato d’animo,


agiscono alterando il
livello di amino biogene nel cervello.
L’acido gamma-aminobutirrico (GABA) è un aminoacido che ha funzione inibitoria nel
cervello. La sua azione è amplificata da alcuni farmaci come i barbiturici
utilizzati nel
trattamento dell’ansia.
Gli oppioidi come encefalina e beta-endorfina bloccano la trasmissione del dolore.
L’Acetilcolina, le amine biogene, l’acido gamma-aminobutirrico (GABA) sono
neurotrasmettitori
dal basso peso molecolare e sono prodotti nei terminali sinaptici. I mitocondri
forniscono l’ATP
necessario per questa sintesi. Gli enzimi richiesti per la loro biosintesi sono
sintetizzati nel
corpo cellulare e trasportati lungo l’assone verso i terminali sinaptici.
I neurotrasmettitori con maggiore peso molecolare come gli oppioidi sono
sintetizzati
direttamente nel corpo cellulare e trasportati poi ai terminali sinaptici.
I neurotrasmettitori sono accumulati nei terminali sinaptici in piccole vescicole
circondate da
membrana dette vescicole sinaptiche. Ogni volta che un potenziale d’azione
raggiunge il
terminale sinaptico, il cambiamento di potenziale che ne risulta attiva dei canali
ionici per il
calcio e questi entrano nel terminale sinaptico promuovendo la fusione tra le
vescicole
sinaptiche e la membrana e tramite esocitosi il neurotrasmettitore viene rilasciato
nello spazio
sinaptico.
I neurotrasmettitori diffondono attraverso lo spazio sinaptico e si combinano con
specifici
recettori posizionati sul corpo cellulare o sui dendriti del neurone postsinaptico.
Questi recettori
sono dei canali ionici chemio-dipendenti chiamati canali ionici attivati da
ligando. Quando il
neurotrasmettitore, cioè il ligando si combina con il recettore, avviene l’apertura
del canale
ionico.
Ad esempio il recettore per l’acetilcolina è un canale permeabile sia al Na+ che al
K+
La serotonina opera attraverso un meccanismo differente induce la formazione di un
secondo
messaggero, che attiva una proteina G, che attiva un enzima l’adenilato ciclasi, la
cui
funzione è quella di convertire l’ATP in AMP ciclico (cAMP) che agisce da secondo
messaggero.
La funzione dell’AMP ciclico è quella di attivare una protein chinasi che a sua
volta fosforila una
proteina che induce la chiusura dei canali K+
Le amine biogene vengono attivamente trasportate all’interno dei terminali pre-
sinaptici
mediante un processo dal nome ricaptazione (reuptake). Molti farmaci agiscono
selettivamente inibendo il reuptake di un neurotrasmettitore. Molti antidepressivi
agiscono
inibendo il reuptake della serotonina, inducendo un aumento della sua
concentrazione nello
spazio sinaptico.
I recettori dei neurotrasmettitori inviano segnali eccitatori o inibitori.
L’acetilcolina eccita le
cellule muscolari scheletriche inducendo l’apertura di canali ionici per il sodio.
Ne consegue una
maggiore permeabilità delle fibre muscolari al sodio che porta alla contrazione
muscolare. Al
contrario l’acetilcolina ha un effetto inibitorio sul muscolo cardiaco ed induce
una riduzione
della frequenza cardiaca.
Quando i neurotrasmettitori si combinano con i recettori direttamente o
indirettamente
influenzano lo stato dei canali ionici e il potenziale di membrana può
depolarizzare o
iperpolarizzare.
Quando il cambiamento del potenziale di membrana è tale da portare il neurone
vicino al livello
di soglia è detto potenziale post-sinaptico eccitatorio (EPSP).
Il potenziale post-sinaptico inibitorio (IPSP) si ha quando avviene una

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iperpolarizzazione della membrana post-sinaptica. Questo processo allontana il


neurone dal
potenziale di soglia. (-80mV)
Ogni EPSP e IPSP è una risposta locale nella membrana di un neurone. Tali risposte
sono
chiamate potenziali graduali, a causa della loro variazione in ampiezza che dipende
dalla
forza dello stimolo applicato. Un EPSP in genere è troppo piccolo per generare da
solo un
potenziale d’azione. Il suo effetto è detto subliminale cioè sotto il livello di
soglia. Il
meccanismo di integrazione neurale è detto sommazione, cioè il fenomeno di
addizione e
sottrazione dei segnali che raggiungono la cellula.
La sommazione temporale avviene quando degli stimoli ripetuti inducono lo sviluppo
di
nuovi EPSP prima che i precedenti EPSP si siano esauriti. Attraverso la sommazione
di molti
EPSP il neurone può essere portato al livello di soglia.
Ciascun neurone può creare sinapsi con centinaia di altri neuroni. Nei vertebrati
più del 90%
dei neuroni è localizzato nel SNC e come risultato la maggior parte dei fenomeni di
integrazione avviene all’interno del cervello e del midollo spinale.
Il SNC contiene milioni di neuroni organizzati in reti neurali separate, e
all’interno di ciascuna
rete i neuroni sono disposti a formare specifici circuiti neurali come la
convergenza e la
divergenza.
Nella convergenza l’attività di un singolo neurone è controllata dai segnali che
convergono su
esso inviati da due o più neuroni pre-sinaptici. La convergenza è un importante
meccanismo
mediante il quale il SNC può integrare tutte le informazioni, di diversa
provenienza, che lo
raggiungono.
Nella divergenza un singolo neurone pre-sinaptico è in grado di stimolare molti
neuroni
postsinaptici.
Ciascun neurone pre-sinaptico può ramificare e fare sinapsi con più di 25000
neuroni
postsinaptici diversi. Un singolo neurone che trasmette un impulso dall’area
motoria del
cervello può fare sinapsi con centinaia di interneuroni del midollo spinale e
ognuno di questi
può a sua volta divergere così che centinaia di fibre muscolari possano essere
stimolate.
Il circuito riverberante molto importante nel mantenimento del ritmo respiratorio,
è
costituito da un assone collaterale del secondo neurone che torna a prendere
contatto con i
propri dendriti, e questo permette una autostimolazione da parte del neurone
stesso.

CAPITOLO 40

REGOLAZIONE NERVOSA: IL SISTEMA NERVOSO

Il sistema nervoso è composto da milioni di neuroni che lavorano in modo coordinato


per
produrre delle risposte adeguate agli stimoli provenienti dal mondo esterno. Il
sistema nervoso
dell’uomo si compone di due parti: il sistema nervoso centrale (SNC) e il sistema
nervoso
periferico (SNP).
Il sistema nervoso centrale comprende l’encefalo (racchiuso nella scatola cranica)
che
prosegue con il midollo spinale (racchiuso nel canale vertebrale all’interno della
colonna
vertebrale) ed è formato principalmente da neuroni associativi. Ricordiamo che il
sistema
nervoso è composto da neuroni sensoriali o afferenti che ricevono gli stimoli dai
recettori, da
neuroni associativi che elaborano il segnale proveniente da più neuroni sensoriali
per attivare

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una risposta, e neuroni motori o efferenti che ricevono la risposta e la


trasmettono agli
effettori.
I tre strati di tessuto connettivo, che proteggono sia l’encefalo che il midollo
sono le meningi.
Lo strato più esterno e resistente è detto dura madre, quello intermedio è detto
aracnoide,
mentre adesso al tessuto cerebrale e del midollo spinale si trova la pia madre. La
meningite
è una malattia nella quale questi tre strati vengono infettati e risultano
infiammati.
Il compito del SNC è quello di identificare, interpretare e integrare gli impulsi
che arrivano dai
neuroni sensoriali, generare una risposta adeguata e trasmetterla ai neuroni
efferenti.
Nelle fasi precoci dell’embriogenesi, l’encefalo e il midollo spinale si originano
da un singolo
tubo di tessuto, il tubo neurale. Nella parte anteriore il tubo si sviluppa
nell’encefalo.
Posteriormente da luogo al midollo spinale. Quando l’encefalo inizia a
differenziarsi divengono
evidenti tre rigonfiamenti: il prosencefalo, il mesencefalo e il rombencefalo.
Il rombencefalo si suddivide per formare il metencefalo e il mielencefalo.
Il metencefalo darà luogo al cervelletto e al ponte. Il cervelletto coordina
l’attività
muscolare ed è responsabile del tono muscolare della postura e dell’equilibrio. Una
lesione o la
rimozione del cervelletto comportano una insufficiente coordinazione motoria. Il
ponte collega
varie parti dell’encefalo.
Il mielencefalo darà luogo al midollo che contiene i centri vitali per l’organismo,
che regolano
la respirazione il battito cardiaco e la pressione sanguigna, e anche altri centri
che controllano i
riflessi e coordinano la deglutizione il tossire e vomitare. Il midollo il ponte e
il mesencefalo
costituiscono il tronco encefalico.
Il mesencefalo è formato dai collicoli superiori, centri implicati nella genesi di
riflessi visivi
come ad esempio la contrazione delle pupille, e dai collicoli inferiori nei quali
si formano
alcuni riflessi uditivi.
Il prosencefalo si suddivide per formare il telencefalo e il diencefalo.
Il telencefalo si sviluppa nel cervello, e da luogo ai bulbi olfattivi, strutture
importanti per il
senso chimico dell’olfatto, il senso più sviluppato dei vertebrati.
Il diencefalo si sviluppa nel talamo e nell’ipotalamo.
L’encefalo è formato dal cervello, che avvolge al centro il corpo calloso, il
talamo e l’ipotalamo
che si prolunga nell’ipofisi.
Il cervello è diviso in due emisferi cerebrali il destro e il sinistro fisicamente
collegati tra
loro dal corpo calloso. Un solco centrale attraversa trasversalmente ogni emisfero.
Questo
solco separa il lobo frontale da quello parietale. Le aree motorie primarie nel
lobo frontale
controllano i muscoli scheletrici. Le aree sensoriali primarie nel lobo parietale
ricevono
informazioni riguardanti il caldo, il freddo, il tatto e la pressione degli organi
di senso nella
pelle.
Il cervello è composto da materia bianca costituita da assoni mielinizzati, la
materia grigia
è presente nella corteccia cerebrale che costituisce lo strato superficiale del
cervello.
La sostanza grigia è composta dai corpi cellulari e dai dendriti dei neuroni. In
tutti i
mammiferi è presente il neopallio, un tipo di corteccia cerebrale nella quale si
integrano
funzioni sensoriali e motorie ed è responsabile di funzioni cognitive superiori
come ad esempio
l’apprendimento.
Nell’uomo il 90% della corteccia cerebrale è costituito da neopallio suddiviso in
sei strati
cellulari sovrapposti. La maggior parte dei fenomeni di integrazione che avvengono
nel sistema
nervoso ha luogo nella corteccia cerebrale. Esempio: sonno e veglia, emozioni e
elaborazioni

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delle informazioni.
La corteccia cerebrale umana è divisibile funzionalmente in tre aree: le aree
sensoriali che
ricevono i segnali che provengono dagli organi si senso, le aree motorie che
controllano i
movimenti volontari, le aree associative che mettono in connessione le aree
sensoriali e
motorie e che sono responsabili delle attività cognitive superiori come il
pensiero,
l’apprendimento, il linguaggio, la memoria, il giudizio, e la personalità. Inoltre
aree come i lobi
occipitali sono la sede dei centri della vita, quelli acustici sono nel temporale,
l’olfattiva e
gustativa nell’ippocampo.
Il talamo è il centro di smistamento dei messaggi motori e sensoriali. Tutti i
messaggi
sensoriali (tranne quelli olfattivi), passano attraverso il talamo prima di essere
smistati alle
aree sensoriali del cervello.
L’ipotalamo contiene i centri olfattivi, controlla le funzioni autonome collegando
il sistema
nervoso con quello endocrino. Controlla la temperatura, l’appetito e l’equilibrio
dei fluidi. E’
coinvolto in alcune risposte emozionali e sessuali.
Il midollo spinale è una via di transito per gli impulsi sensoriali, dalla
periferia verso
l’encefalo e per gli impulsi motori dall’encefalo verso la periferia. Dal midollo
spinale emergono
31 paia di nervi spinali ognuno provvisto di due radici. Il midollo spinale
tubulare si estende
dalla base dell’encefalo fino a livello della seconda vertebra lombare. E’ composto
da un canale
centrale circondato da un’area composta da materia grigia a forma di H. La materia
grigia è
composta da grandi ammassi di corpi cellulari, dendriti, assoni non mielinizzati,
cellule gliali e
vasi sanguigni ed è suddivisa in sezioni dette corna. La materia bianca che si
trova
all’esterno della materia grigia, è costituita da assoni mielinizzati raccolti in
fasci detti tratti o
vie. Il midollo spinale controlla molte attività riflesse.
Un’azione riflessa è una risposta motoria piuttosto fissa nella sua esecuzione che
viene
prodotta in risposta ad un semplice stimolo. La risposta è prevedibile ed
automatica, non
necessitando di pensiero cosciente. Molte attività corporee, come ad esempio il
respiro, sono
regolate da azioni riflesse.
Nel riflesso di evitamento per ottenere una risposta ad uno stimolo serve un
circuito
composto da tre soli neuroni. Supponiamo di toccare con una mano una superficie
calda: in
modo istantaneo e prima ancora di renderci conto in modo cosciente la mano si
ritrae. Qui il
messaggio è trasferito dal neurone sensoriale ad un neurone associativo ed infine
ad un
neurone motorio che convoglia l’informazione al gruppo di muscoli che rispondono
contraendosi e allontanando la mano dalla fonte di calore. Il midollo spinale è
plastico ed è
possibile modulare le sue risposte.
L’attività cerebrale può essere studiata misurando e registrando i potenziali
elettrici, anche
detti onde cerebrali generati da migliaia di neuroni. Questa attività si misura
attraverso un
Elettroencefalogramma (EEG). Le onde alfa si presentano con frequenza di circa 10
al
secondo e si presentano in condizioni di quiete e con gli occhi chiusi, le onde
beta compaiono
con gli occhi aperti sono più rapide e irregolari. Durante il sonno il cervello
emette onde con
minor frequenza e ampiezza maggiore e sono le onde delta. Pazienti epilettici
mostrano un
profilo anormale di onde. La localizzazione di un tumore cerebrale oppure la sede
di un danno
causata da un colpo alla testa a volte possono essere identificati rilevando onde
anomale.
Il sistema reticolare attivante (SRA) è definito come il sistema che induce il
risveglio,
riceve i messaggi dai neuroni del midollo spinale e di molte altre parti del
sistema nervoso e
comunica con la corteccia cerebrale tramite circuiti neurali. L’SRA sopporta la
coscienza un

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sistema cognitivo che produce consapevolezza delle sensazioni provate e delle


memorie
immagazzinate. Quando l’SRA bombarda la corteccia cerebrale con una grande quantità
di
stimoli ci si sente vigili e capaci di focalizzare l’attenzione su pensieri
specifici. Quando l’SRA
viene danneggiato il paziente passa in uno stato di coma profondo permanente.
Il sonno è una alterazione dello stato cosciente durante il quale si manifesta una
ridotta
attività elettrica della corteccia cerebrale e dal quale una persona può essere
risvegliata.
Vengono identificati due stadi all’interno del sonno: quello NON REM e quello REM.
REM
significa movimenti rapidi degli occhi. Durante il sonno NON REM anche detto sonno
normale il
tasso metabolico diminuisce, il respiro rallenta e la pressione corporea
diminuisce. Le onde in
questa fase sono le Delta. Una persona che sta dormendo entra in fase REM circa
ogni 90’.
In questo stadio che occupa circa un quarto del tempo totale speso per dormire, gli
occhi si
muovono piuttosto rapidamente sotto le palpebre che sono chiuse, ma che oscillano.
Le onde
cerebrali in questa fase sono le beta. Tutte le persone sognano specialmente nella
fase
REM.
Il sistema libico è un sistema attuativo dell’encefalo.
Il sistema libico influenza la componente emotiva dell’apprendimento, valuta le
ricompense ed
è importante nella motivazione. La stimolazione comporta un aumento dell’attività
generale,
cosa che può indurre un comportamento aggressivo o livelli estremi di rabbia.
L’apprendimento è una modificazione duratura del comportamento che si verifica a
seguito
dell’esperienza. Affinché l’apprendimento possa avvenire si devono ricordare le
esperienze
fatte. La memoria è la capacità di archiviare informazioni e recuperarle
all’occorrenza. Sono
distinguibili due tipi di memoria: quella a breve e a lungo termine. Quella a breve
ci
permette di riportare alla mente l’informazione solo per alcuni minuti, ad esempio
un numero
di telefono memorizzato velocemente; affinché venga consolidata come memoria a
lungo
termine sono necessari alcuni minuti. Se una persona subisce una commozione
cerebrale, la
memoria di ciò che è avvenuto immediatamente prima andrebbe persa. Questo fenomeno
è
noto come amnesia retrograda. Quando ci si dimentica qualcosa, non significa che la
memoria è stata persa, ma bensì che la si è cercata in modo inefficace.
Un metodo è quello di formare associazioni tra le informazioni. L’immagazzinamento
della
memoria a lungo termine può richiedere l’attivazione di un gene e la formazione di
nuovi
collegamenti sinaptici funzionali a lungo termine noti come potenziamento a lungo
termine
(PLT).
La sensibilizzazione è un fenomeno che si manifesta con un aumento della risposta a
seguito
della presentazione di uno stimolo non piacevole.
Il condizionamento classico è la forma di apprendimento nella quale viene formata
una
associazione tra alcune risposte comportamentali normalmente espresse in presenza
di uno
stimolo normale, detto stimolo incondizionato (SI), e un nuovo stimolo detto
condizionato
(SC). L’animale impara l’associazione ed in seguito la presentazione dello stimolo
condizionato
(SC) induce l’esecuzione della risposta comportamentale che adesso viene detta
condizionata
(RC).
L’effetto dell’esperienza cioè l’abilità di cambiare in risposta a stimoli
ambientali dimostra
l’esistenza della plasticità neuronale. La stimolazione precoce è un fattore
importante per lo
sviluppo sensoriale, motorio ed intellettivo dei bambini, ed è importante anche in
età avanzata
una continua stimolazione ambientale per mantenere lo status della corteccia
cerebrale.
Il sistema nervoso periferico è costituito dai recettori sensoriali (ad esempio
tattocettori,

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recettori visivi e acustici), e dai nervi afferenti ed efferenti tra cui quelli
craniali e spinali. Le
sue funzioni sono quelle di conduzione dei segnali. Questi sono trasportati dal
midollo spinale
verso gli organi periferici e viceversa. Il SNP si può dividere in: somatico e
autonomo.
Il somatico comprende i recettori che reagiscono ai cambiamenti esterni e agisce
sulla
muscolatura volontaria. Dal cervello emergono 12 paia di nervi craniali che
trasmettono
informazioni che riguardano i sensi dell’olfatto, vista, udito e gusto a partire da
specifici
recettori sensoriali. Emergono inoltre dalla corda spinale 31 paia di nervi
spinali: 8 paia
cervicali, 12 toracici, 5 lombari, 5 sacrali e 1 paio coccigei.
L’autonomo, aiuta a mantenere l’omeostasi nell’ambiente interno e agisce sulla
muscolatura
involontaria e sulle ghiandole. I neuroni afferenti e efferenti del sistema
autonomo sono
localizzati nei nervi craniali o spinali. La porzione efferente del sistema
autonomo si suddivide
nei sistemi simpatico e parasimpatico, entrambi innervano gli stessi organi, ma
producono
effetti opposti.
Il simpatico prepara il corpo a situazioni d’emergenza come accelerare il battito
cardiaco e la
frequenza respiratoria, provoca la vasocostrizione, mobilita le riserve di
glicogeno nel fegato.
Il parasimpatico rallenta il battito cardiaco, induce la vasodilatazione e stimola
l’attività
dell’apparato digerente. Molti farmaci hanno effetti sul sistema nervoso. Il 25% di
tutti i
farmaci prescritti è assunto al fine di alterare le condizioni psicologiche e nella
maggior parte
dei casi tutti i farmaci di cui si abusa hanno effetti sull’umore. L’assunzione
abituale può dar
luogo alla dipendenza psicologica, inducono alla tolleranza (assuefazione) dopo
numerosi
giorni o settimane. Ciò significa che la risposta al farmaco diminuisce e sono
necessarie
maggiori quantità per ottenere l’effetto desiderato.
La dipendenza da farmaco è un problema sociale. I meccanismi neurofisiologici per
la
dipendenza da farmaci coinvolgono una rete di neuroni che rilasciano dopamina
(neurotrasmettitori appartenenti alla classe delle amine-biogene che influenzano lo
stato
d’animo).

EFFETTI DI ALCUNI FARMACI USATI COMUNEMENTE

Ansiolitici
EFFETTO SULL’UMORE: sedativo inducono al sonno.
AZIONE SUL CORPO: si legano al complesso del Recettore GABA i canali del cloro si
aprono
causando la iperpolarizzazione.
EFFETTO COLLATERALE: sonnolenza.

Antipsicotici
EFFETTO SULL’UMORE: alleviano la schizofrenia, riducono i comportamenti aggressivi.
AZIONE SUL CORPO: bloccano i recettori della dopamina.
EFFETTO COLLATERALE: spasmi muscolari, andatura strascicata.

Anfetamine
EFFETTO SULL’UMORE: euforia.
AZIONE SUL CORPO: stimolano i rilascio di dopamina, dilatano le pupille, e
aumentano il
ritmo cardiaco e la pressione sanguigna.

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EFFETTO COLLATERALE: tolleranza, possibile dipendenza.

Analgesici narcotici
EFFETTO SULL’UMORE: euforia, effetto sedativo, alleviano il dolore.
AZIONE SUL CORPO: imitano le azioni delle endorfine, si legano ai recettori dei
narcotici.
EFFETTO COLLATERALE: reprimono la respirazione, restringono le pupille, alterano la
coordinazione, tolleranza dipendenza psicologica, assuefazione, convulsioni, morte
per
sovradosaggi.

Alcool
EFFETTO SULL’UMORE: euforia, rilassamento, libera dalle inibizioni.
AZIONE SUL CORPO: deprime il SNC, altera la vista, la capacità di giudizio, allunga
il tempo
di reazione.
EFFETTO COLLATERALE: dipendenza fisica, danni al pancreas, cirrosi epatica e danni
cerebrali.

CAPITOLO 41

RECETTORI SENSORIALI

I recettori sensoriali sono strutture che percepiscono informazioni circa i


cambiamenti
dell’ambiente interno o esterno. Sono formati da terminazioni nervose o da cellule
specializzate, in stretto contatto con i neuroni. Questi recettori trasducono
(convertono)
l’energia degli stimoli in segnali elettrici, che rappresentano il valore
informativo del sistema
nervoso.
I recettori sensoriali insieme con altri tipi di cellule costituiscono la complessa
famiglia degli
organi di senso: vista, udito, olfatto, gusto e tatto, in aggiunta ai 5 sensi, i
neurobiologi
riconoscono l’equilibrio come un vero senso.

PRIMA CLASSIFICAZIONE
Gli esterocettori ricevono stimoli dell’ambiente esterno.
I propriocettori sono presenti nelle fibre muscolari, nei tendini, e nelle
articolazioni e
permettono di percepire la posizione spaziale degli arti, della testa.
Gli intercettori sono posti all’interno degli organi e sono sensibili alle
variazioni di pH,
temperatura corporea e composizione chimica del sangue. Avvertiamo la loro azione
quando
percepiamo sensazioni quali sete, fame, nausea, dolore ed orgasmo.

SECONDA CLASSIFICAZIONE
A seconda degli stimoli ai quali rispondono i meccanorecettori rispondono ad una
stimolazione meccanica, tocco, pressione, gravità, stiramento e movimento.
I chemiocettori rispondono a particolari composti chimici.
I fotocettori sono sensibili all’energia luminosa.
I termocettori rispondono al caldo e al freddo.
I recettori sensoriali assorbono diversi tipi di energia e la trasformano
(conversione) in
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energia elettrica che serve ad instaurare un potenziale recettoriale, una


depolarizzazione o
iperpolarizzazione della membrana.
Ha tre funzioni:
Identifica uno stimolo proveniente dall’ambiente tramite assorbimento di energia;
Converte l’energia dello stimolo in energia elettrica, processo conosciuto come
trasduzione;
Produce un potenziale recettoriale che può essere in grado di trasmettere
l’informazione
al SNC tramite un potenziale d’azione.
La nostra abilità a distinguere gli stimoli dipende sia dagli stessi recettori
sensoriali, sia dal
cervello, perché le cellule di ogni recettore sono connesse con specifici neuroni
posti in
particolari aree cerebrali. Quando il recettore viene stimolato, origina un
messaggio
“codificato” composto da potenziali d’azione trasmessi lungo le fibre nervose. Tale
messaggio
sarà decodificato dal cervello.
Esempio: la differenza d’intensità sonora, dipende sia dal numero di neuroni che
trasmettono i
potenziali d’azione, sia dalla frequenza dei potenziali d’azione trasmessi da ogni
singolo
neurone.
Molti recettori non mantengono la stessa frequenza della risposta iniziale alla
stimolazione,
anche se quest’ultima rimane della stessa intensità. Con il passare del tempo la
frequenza dei
potenziali d’azione dei neuroni sensoriali diminuisce. Viene definita come
adattamento
sensoriale. Alcuni recettori come quelli del dolore e del freddo, si adattano così
lentamente
che continuano a generare potenziali d’azione per tutta la durata della
stimolazione e sono
chiamati recettori tonici.
Altri chiamati recettori fasici, si adattano più rapidamente permettendo di
ignorare uno
stimolo ripetitivo spiacevole o poco importante. Quando si indossano dei jeans
attillati, i
recettori di pressione avvertono una spiacevole sensazione, presto però gli stessi
recettori si
adattano e la sensazione di scomodità sparisce. In modo analogo noi ci adattiamo
velocemente
ad odori pungenti che aggrediscono i nostri sensi.
I meccanorecettori sono attivati quando la loro forma viene alterata da una forza
che li
comprime o li distende esempio ci avvertono della presenza di cibo nello stomaco,
di feci nel
retto, di urina nella vescica e del feto nell’utero. I meccanocettori più semplici
sono costituiti da
terminazioni nervose libere nella pelle, sensibili al tocco, alla pressione, ed al
dolore. Tre tipi di
meccanocettori hanno terminazioni che sono incapsulate: i corpuscoli di Meissner,
di
Ruffini, di Pacini.
I corpuscoli di Meissner sono sensibili al tocco leggero ed alla pressione e si
adattano
rapidamente.
I corpuscoli di Ruffini sono sensibili al tocco intenso e continuo e si adattano
molto
lentamente.
I corpuscoli di Pacini sono sensibili alla pressione profonda che causa un rapido
movimento
nel tessuto. Questo recettore è fasico (dinamico) cioè viene stimolato solo quando
si verifica
un movimento del tessuto.
I propriocettori sono meccanocettori che rispondono continuamente alla tensione ed
al
movimento dei muscoli e delle articolazioni.
I vertebrati hanno tre tipi di propriocettori: i fusi muscolari, che identificano
il movimento
muscolare; gli organi tendinei di Golgi, che identificano lo stiramento dei tendini
che legano
i muscoli alle ossa; i recettori articolari che identificano il movimento dei
legamenti.

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Sono tutti recettori sensoriali tonici (statici). Il potenziale recettoriale è


mantenuto fino al
termine della stimolazione e perciò i potenziali d’azione sono continui. Gli
impulsi provenienti
dai propriocettori sono importanti nell’assicurare le contrazioni coordinate di
muscoli diversi
che compiono un singolo movimento. Questo organi sono importanti anche nel
mantenimento
dell’equilibrio.
L’apparato vestibolare dell’orecchio dei vertebrati è responsabile del mantenimento
dell’equilibrio.
Quando pensiamo all’orecchio, ci riferiamo essenzialmente all’udito. In realtà la
sua funzione
nei vertebrati è quella di assicurare l’equilibrio. L’orecchio interno è formato da
un complicato
gruppo di sacche e canali, interconnessi, il cosiddetto labirinto, a sua volta
composto da un
labirinto membranoso circondato da un labirinto osseo. Il labirinto membranoso
consiste di
due camere a forma di sacco, il sacculo e l’otricolo, e di tre canali semicircolari
il tutto forma
l’apparato vestibolare. La distruzione di questi organi porta ad una perdita
considerevole
dell’equilibrio.
Nell’uomo l’equilibrio dipende, non solo dalle stimolazioni provenienti dagli
organi dell’orecchio
interno, ma anche dalla vista e da stimolazioni delle cellule sensibili alla
pressione che si
trovano nella pianta del piede.
Il sacculo e l’otricolo sono provvisti di indicatori gravitazionali che sono
presenti sotto forma
di piccoli sassolini di carbonato di calcio chiamati otoliti le cui cellule
sensoriali sono formate da
un gruppo di cellule pilifere circondate alle loro estremità da una cupola
gelatinosa. La
superficie presenta un unico lungo ciglio e diverse stereo ciglia più corte. La
forza di gravità
spinge gli otoliti a premere contro le stereo ciglia stimolandole a generare
impulsi che sono
trasmessi al cervello. Quando la testa viene fatta oscillare oppure è soggetta ad
un’accelerazione lineare gli otoliti esercitano una pressione sulle stereo ciglia
di differenti
cellule, deflettendogli. La deflessione delle ciglia verso il ciglio più lungo
depolarizza la
cellula pilifera. La deflessione nella direzione opposta iperpolarizza la cellula.
Quindi a seconda
della direzione del movimento le cellule pilifere rilasciano più o meno
neurotrasmettitore. Il
cervello interpreta questi messaggi e percepiamo la propria posizione relativa al
terreno
indipendentemente dalla posizione della propria testa. L’informazione riguardante i
movimenti
rotatori è generata dai tre canali semicircolari. Ogni canale ha al suo interno un
fluido che
scorre chiamato endolinfa. In ogni canale si trova un piccolo slargo a forma di
bulbo detto
ampolla dentro cui giace un raggruppamento di cellule pilifere chiamato cresta.
Dato che i tre
canali giacciono su tre piani differenti, il movimento rotatorio del capo in
qualsiasi direzione
causa la stimolazione di almeno uno dei canali. Gli esseri umani sono abituati a
spostamenti
orizzontali ma non verticali. Il movimento di una nave in un mare agitato o di un
ascensore,
stimola i canali semicircolari in maniera anomala e può causare la sensazione nota
come mal di
mare.
I recettori uditivi collocati nella coclea dell’orecchio interno contengono cellule
pilifere
meccanocettori che sono sensibili alle onde di pressione.
La coclea è un tubo a forma di spirale che rassomiglia alla conchiglia delle
lumache. E’ formata
da tre canali separati tra loro da sottili membrane, il canale vestibolare, il
canale timpanico
connessi tra loro all’apice della coclea e sono pieni di un fluido particolare
detto perilinfa. Il
canale cocleare è invece riempito con un fluido l’endolinfa e contiene l’organo
uditivo vero e
proprio cioè l’organo di Corti.
Le onde sonore presenti nell’aria, sono trasformate in onde di pressione nel fluido
cocleare.

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Nell’orecchio umano, le onde sonore passano attraverso il canale uditivo esterno e


stimolano la
membrana timpanica o timpano (la membrana che separa l’orecchio esterno
dall’orecchio
medio) a vibrare. Le vibrazioni sono trasmesse attraverso l’orecchio medio da tre
ossicini, il
martello, l’incudine, e la staffa così chiamati a causa del loro aspetto. Il
martello è in contatto
con il timpano e la staffa con la membrana che ricopre l’apertura dell’orecchio
interno,
chiamata finestra ovale.
Martello, incudine e staffa agiscono come tre leve con la funzione di amplificare
le vibrazioni,
che passano attraverso la finestra ovale e sono trasmesse al fluido del canale
vestibolare.
Dato che i liquidi non sono incomprimibili la finestra ovale non è in grado di
provocare un
movimento del fluido nel canale vestibolare in assenza di una valvola di scarico.
Tale valvola è
detta finestra circolare. L’onda trasmessa esercita una pressione sulle membrane
che
separano i tre dotti, si propaga nel canale timpanico e provoca un rigonfiamento
della finestra
circolare. I movimenti della membrana basale prodotti dalle vibrazioni provocano lo
strofinio
delle stereo ciglia dell’organo di Corti sulla membrana tettoia e questa
stimolazione genera un
impulso che giunge al nervo cocleare che trasmette gli impulsi al cervello.
I suoni differiscono in tonalità intensità e qualità. Il tono dipende dalla
frequenza delle onde
sonore espresse in hertz. Le alte frequenze sono rilevate dalle cellule pilifere
localizzate vicino
alla base della membrana basale, mentre le basse frequenze sono rilevate dalle
cellule pilifere
vicino all’apice della membrana basale. Il cervello riconosce una particolare
tonalità sonora in
base al gruppo di cellule pilifere che viene stimolato. L’orecchio umano riesce ad
interpretare
frequenze sonore tra i 20 e i 20.000 Hz, e suoni compresi tra i 1000 e 4000 Hz, ed
inoltre
confrontando l’energia delle onde sonore udibili con quella delle onde luminose
visibili, risulta
che il nostro orecchio è dieci volte più sensibile dell’occhio.
I chemiocettori sono associati con i sensi del gusto e dell’olfatto. Ci permettono
di rilevare le
sostanze chimiche contenute nel cibo, acqua e aria. Gli organi del gusto nei
mammiferi sono
costituiti dalle papille gustative collocate nella bocca e soprattutto sulla
superficie della lingua.
Normalmente si riconoscono quattro fondamentali tipi di gusto: dolce, amaro, salato
ed
aspro. Il sapore è il risultato della combinazione dei quattro tipi di gusti
fondamentali con
l’aggiunta di ulteriori stimoli quali l’odore, l’aspetto e la temperatura del cibo.
L’olfatto è una
componente del sapore perché gli odori passano facilmente dalla bocca alla cavità
nasale
attraverso le narici interne. Quando si ha il naso congestionato da un raffreddore
il cibo sembra
avere poco sapore. Le papille gustative non sono influenzate dal raffreddore, ma il
blocco del
canale nasale riduce notevolmente la recezione olfattiva.
Gli odori vengono recepiti a livello dell’epitelio nasale. Negli essere umani
l’epitelio olfattivo si
trova nella parete superiore della cavità nasale. Esso contiene circa 100 milioni
di cellule
olfattive. L’uomo può rilevare almeno 7 principali gruppi di odori: canfora,
muschio, floreale,
menta, etereo, pungente e putrido. Circa 1000 geni codificano per 1000 tipi di
recettori
olfattivi. Il 50% dei recettori olfattivi subisce l’adattamento in circa 1 secondo
dall’inizio della
stimolazione, quindi anche gli odori più pungenti e sgradevoli possono scomparire
dopo solo
pochi minuti.
I termocettori sono sensibili al calore. Negli esseri umani i cambiamenti della
temperatura
vengono avvertiti da almeno tre tipi di recettori: i recettori per il freddo, per
il caldo e per il
dolore. I termocettori presenti nell’ipotalamo individuano le variazioni interne di
temperatura e
ricevono ed integrano le informazioni provenienti dalla superficie corporea.
L’ipotalamo,
quindi attiva i meccanismi omeostatici che assicurano il mantenimento di una
temperatura

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corporea costante.
I fotocettori utilizzano dei pigmenti (rodopsine) per assorbire la luce. L’energia
luminosa, che
stimola una cellula recettoriale fotosensibile contenente questi pigmenti, genera
un
cambiamento chimico nelle molecole del pigmento stesso. Come conseguenza, la
cellula
recettoriale trasmette un impulso nervoso.

L’OCCHIO
Nell’occhio umano la luce entra attraverso la cornea, viene messa a fuoco dalla
lente e
produce un’immagine sulla retina. L’iride regola la quantità di luce che può
entrare. Un anello
muscolare liscio che appare blu, verde, grigio o marrone a seconda della quantità e
del tipo di
pigmento presente, è composta da due fasci di fibre muscolari antagonisti. Ogni
occhio
possiede sei muscoli che permettono il movimento nella sua globalità. I nervi
cranici innervano
i muscoli in modo tale da muovere entrambe gli occhi e farli focalizzare sullo
stesso punto.
La retina contiene le cellule fotocettrici (bastoncelli e coni): i bastoncelli 125
milioni che
funzionano alla luce debole e formano immagini in bianco e nero, ed i coni 6.5
milioni che
funzionano alla luce intensa e permettono la visione dei colori. La distinzione dei
colori dipende
da tre tipi di coni: rossi, verdi e blu. Ognuno contiene un foto pigmento.
L’assenza di uno o
più coni porta alla cecità ai colori.
Coni e bastoncelli si trovano nella Fovea. All’esterno della retina si trova lo
strato coroide
cellule riempite da un pigmento nero che assorbe la luce eccessiva e previene la
formazione di
un riflesso interno che potrebbe distorcere l’immagine. Il rivestimento esterno del
bulbo
oculare, chiamato sclera è uno strato spesso che protegge le strutture interne ed
aiuta a
mantenere la rigidità del bulbo stesso. Sulla superficie frontale dell’occhio
questo strato diventa
più sottile e viene chiamato cornea attraverso la quale la luce penetra. La lente
oculare è
una palla elastica e trasparente collocata subito dietro all’iride. Essa devia i
raggi luminosi
incidenti e li mette a fuoco sulla retina, aiutata dalla superficie curva della
cornea e dalle
proprietà rifrattive dei liquidi all’interno del bulbo oculare. La cavità anteriore
tra la cornea e la
lente è riempita da un liquido acquoso, l’umor acqueo.
La cavità posteriore tra la lente e la retina è riempita da un liquido più viscoso,
l’umor vitreo.
Entrambi i fluidi sono importanti nel mantenere la forma del bulbo oculare fornendo
una
pressione liquida interna. A livello del suo margine anteriore, il coroide è spesso
e forma il
corpo ciliare che consiste nei processi ciliari e del muscolo ciliare.
I processi ciliari sono ripiegamenti ghiandolari che secernono l’umor vitreo.
Il muscolo ciliare fornisce all’occhio la possibilità di correggere il fuoco per la
visione a breve
ed a lunga distanza cambiando la curvatura della lente. Per focalizzare oggetti
vicini, il muscolo
ciliare si contrae e la lente elastica assume una forma rotonda. Per oggetti
lontani il muscolo si
rilassa e la lente assume una forma appiattita (ovoidale). I più comuni disturbi
della visione
sono la miopia, l’astigmatismo e il presbitismo.
Nella miopia (scarsa visione alle lunghe distanze), il bulbo oculare è allungato, i
raggi luminosi
convergono in un punto davanti alla retina e divergono nuovamente quando giungono
su di
essa, determinando un’immagine non definita. Lenti concave correggono la miopia
spostando
la radiazione luminosa artificialmente a fuoco sulla retina.
Nel presbitismo (scarsa visione alle brevi distanze) il bulbo oculare è troppo
corto e la retina
troppo vicina alla lente. I raggi luminosi colpiscono la retina prima di avere
raggiunto la
convergenza formando nuovamente un’immagine distorta. Lenti convesse correggono il

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presbitismo facendo convergere i raggi luminosi un po’ più avanti a fuoco sulla
retina.
Nell’astigmatismo la cornea è incurvata in modo non simmetrico per cui i raggi
luminosi si
focalizzano su diversi piani. Una parte di raggi di luce passano sulla lente e
vengono messi a
fuoco sulla retina, altri passano in altre zone della lente e non vengono messi a
fuoco sulla
retina. Una lente cilindrica corregge piegando i raggi e li converge.
La retina possiede 5 tipi di neuroni: i fotorecettori (coni e bastoncelli), quelle
gangliari e le
amacrine.
Gli assoni delle cellule gangliari si uniscono formando il nervo ottico che
trasmette gli impulsi
nervosi al talamo che coinvolgerà l’area visiva delle corteccia cerebrale. I nervi
ottici sono
localizzati nella base dell’ipotalamo formando una struttura a forma di X, il
chiasma ottico.

CAPITOLO 42

TRASPORTO INTERNO

I sistemi circolatori sono specializzati nel trasporto di ossigeno, nutrienti,


ormoni, aiutano a
mantenere l’equilibrio idrico, a distribuire il calore metabolico all’interno del
corpo, a
mantenere costante la temperatura e il pH, rimuovendo i prodotti metabolici di
scarto. Il
sistema circolatorio umano è chiamato sistema cardiovascolare. Un grosso fattore di
rischio
per le malattie cardiovascolari è l’elevato livello di colesterolo e lipoproteine a
bassa densità
(LDL) nel sangue. Le lipoproteine ad alta densità (HDL) sembrano avere un ruolo
protettivo
rimuovendo l’eccesso di colesterolo dal sangue e dai tessuti. Il sistema
circolatorio chiuso
dei vertebrati comprende: il cuore, i vasi sanguigni, il sangue, la linfa, i vasi
linfatici ed
organi associati come il timo, la milza ed il fegato. I più piccoli vasi sanguigni,
i capillari,
hanno delle pareti molto sottili che permettono un rapido scambio di materiali tra
il sangue ed
il fluido interstiziale (fluido presente tra le cellule).
Nei vertebrati il sangue è costituito da un fluido giallastro detto plasma,
composto di acqua
per il 92%, proteine circa 7% ( fibrogeno, alfa, beta, gamma globulina, albumina) e
Sali in cui
sono sospese le cellule rosse del sangue, le bianche e le piastrine. Nell’uomo il
volume totale
di sangue circolatorio è circa l’8% del peso corporeo, circa 5,6 litri in una
persona che pesa 70
kg. Circa il 55% del sangue è rappresentato dal plasma, il rimanente 45% è
costituito dalle
cellule del sangue e dalle piastrine.
Gli eritrociti o globuli rossi sono cellule altamente specializzate per il
trasporto dell’ossigeno.
Nel sangue umano circolano circa 30 trilioni di eritrociti circa 5 milioni per μL
(microlitri 10-6).
Sono prodotti nel midollo osseo di certe ossa. Durante il loro sviluppo producono
grandi
quantità di emoglobina, il pigmento che trasporta ossigeno e che conferisce al
sangue dei
vertebrati il suo colore rosso. La sua vita media è 120 giorni. La produzione è
regolata
dall’eritropoietina che è liberata dai reni in risposta ad una diminuzione
dell’ossigeno.
L’anemia è un deficit di emoglobina (accompagnato spesso da una diminuzione del
numero
dei globuli rossi). Una persona anemica si lamenta spesso di un senso di stanchezza
e si
affatica facilmente.
Le cause possibili di anemia sono tre: perdita di sangue dovuta ad emorragia
esterna o
interna, diminuzione della produzione di emoglobina o di globuli rossi come
l’anemia
sideropenica, aumento del tasso di distribuzione degli eritrociti anemie emolitiche
come

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l’anemia a cellule falciformi.


I leucociti o globuli bianchi, sono cellule specializzate nella difesa
dell’organismo da batteri o
da altri microrganismi dannosi. Il sangue umano contiene 5 tipi di leucociti:
neutrofili,
eosinofili, basofili fanno parte dei leucociti granulari, linfociti e monociti
fanno parte dei
leucociti agranulari.
I neutrofili, che rappresentano la principale cellula fagocitaria del sangue, sono
specializzati
nell’ingestione dei batteri.
Gli eosinofili aumentano il numero durante le reazioni allergiche e durante le
infezioni
parassitarie.
I basofili contengono istamina, una sostanza che dilata i vasi sanguigni.
I linfociti sono specializzati nella produzione di anticorpi.
I monociti sono cellule più grandi tra i leucociti raggiungono 20 micrometri di
diametro. Dopo
aver circolato nel sangue per circa 24 ore, un monocita lascia il torrente
circolatorio e completa
il suo sviluppo nei tessuti dove aumenta di volume e diventa un macrofago, una
grossa
cellula spazzino. La leucemia è una forma di cancro in cui uno dei leucociti si
moltiplica
rapidamente all’interno del midollo osseo. Molte di queste cellule non maturano e
il loro
sovraffollamento impedisce lo sviluppo dei globuli rossi e delle piastrine,
determinando quindi
anemia e compromissione della coagulazione.
Una comune causa di morte nelle leucemie è l’emorragia interna, specialmente nel
cervello,
oppure le infezioni. Le leucemie acute hanno uno sviluppo rapido e sono
caratterizzate da un
grande numero di leucociti immaturi, mentre le leucemie croniche hanno uno sviluppo
più
graduale e sono caratterizzate da un grande numero di leucociti maturi.
Le piastrine composte dai trombociti, (piccoli frammenti di citoplasma) agiscono
nella
coagulazione del sangue. Sono circa 300.000 μL. Le piastrine non sono cellule
intere, ma
frammenti di citoplasma racchiusi da una membrana.
Quando un vaso sanguigno viene tagliato si contrae, riducendo quindi la perdita di
sangue.
Durante il processo di coagulazione la protrombina una proteina del plasma viene
trasformata
in trombina, che catalizza la trasformazione del fibrogeno, una proteina solubile
del plasma
nel sua forma insolubile la fibrina che producendo lunghi fili appiccicosi che
aderiscono alla
superficie danneggiata dei vasi sanguigni formano il tessuto del coagulo.
Il sistema circolatorio comprende tre tipi di vasi sanguigni: le arterie, i
capillari e le
vene.
Un’arteria trasporta il sangue lontano dal cuore verso gli altri tessuti. Quando
entra in un
organo si divide in ramificazioni chiamate arteriole che a loro volta conducono il
sangue in
piccolissimi capillari.
Dopo che il sangue ha attraversato tutto un organo, i capillari si fondono per
formare una
vena che trasporta indietro il sangue verso il cuore.
Le pareti dei vasi sanguigni sono composte di tre strati: il più interno chiamato
endotelio, quello di mezzo è costituito da tessuto connettivo e da cellule
muscolari lisce, e
l’esterno è costituito da un tessuto connettivo ricco di collagene e di fibre
elastiche.
Il considerevole spessore delle pareti delle arterie e delle vene impedisce il
passaggio
attraverso esso di gas e di metaboliti. Gli scambi di materiale avvengono tra il
sangue ed il
fluido interstiziale attraverso le pareti dei capillari. La rete dei capillari è
molto estesa tanto
che ad ogni cellula arriva un capillare.
La lunghezza totale di tutti i capillari è circa 60.000 miglia. Il muscolo liscio
delle pareti delle

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arteriole è in grado di contrarsi (vasocostrizione) o di rilassarsi


(vasodilatazione)
cambiando così il diametro delle arteriole. Durante gli sforzi muscolari le
arteriole all’interno
dei muscoli si dilatano facendo aumentare così la quantità di sangue che fluisce
all’interno delle
cellule muscolari.
Normalmente il fegato i reni e il cervello ricevono un’aliquota maggiore di sangue
rispetto agli
altri organi.

IL CUORE

Il cuore non è molto più grosso di un pugno e di peso inferiore a mezzo kg, è un
organo che
batte circa 2,5 miliardi di volte in una vita media pompando 300 milioni di litri
di sangue. È un
organo muscolare cavo, localizzato nella cavità toracica direttamente sotto lo
sterno avvolto
da una membrana di tessuto connettivo resistente: il pericardio. Tra la superficie
interna del
pericardio e quella esterna del cuore c’è una piccola cavità pericardica ripiena di
liquido che
riduce al minimo l’attrito ad ogni battito cardiaco. L’atrio e il ventricolo destro
sono separati
dall’atrio e dal ventricolo sinistro da una parete o setto. Per prevenire il flusso
a ritroso del
sangue, il cuore è provvisto di valvole che si chiudono automaticamente. La valvola
tra l’atrio
destro ed il ventricolo destro è chiamata valvola atrioventricolare (AV) destra,
conosciuta
come valvola tricuspide.
La valvola AV sinistra è detta anche valvola mitrale (o valvola bicuspide). Queste
valvole
sono come porte oscillanti che possono aprirsi solo in una direzione.
Le valvole semilunari, chiamate così per la loro forma a mezzaluna, controllano le
uscite del
cuore. La valvola semilunare tra il ventricolo sinistro e l’aorta è la valvola
aortica, quella tra il
ventricolo destro e l’arteria polmonare è la valvola polmonare. Ogni battito è
iniziato da un
pacemaker chiamato nodo senoatriale (SA), che è una piccola massa di muscolo
cardiaco
localizzato nella parete posteriore dell’atrio destro, vicino all’apertura di una
larga vena, la
vena cava superiore.
Il cuore batte circa 70 volte al minuto. Un battito completo impiega circa 0.8
secondi e viene
definito ciclo cardiaco. La sistole è la contrazione, la diastole è il periodo di
rilassamento. Si
può misurare il ritmo cardiaco ponendo un dito sopra l’arteria radiale del polso o
dell’arteria
carotidea del collo e contando le pulsazioni. Ogni volta che il ventricolo sinistro
pompa il
sangue nell’aorta, le pareti elastiche di questa si espandono per ricevere il
sangue. Questa
espansione mette in moto un’onda lungo l’aorta. Quando l’onda passa le pareti
elastiche della
arteria tornano alla loro forma normale.
Quando ascoltiamo il battito del cuore con uno stetoscopio si possono udire due
suoni prodotti
dalla chiusura delle valvole cardiache. Il primo suono cardiaco è causato dalla
chiusura delle
valvole AV (mitrale e tricuspide) e segna l’inizio della sistole ventricolare. E’
seguito da un
suono acuto forte e corto che segna la chiusura delle valvole semilunari e l’inizio
della diastole
ventricolare. La qualità di questi suoni è indice di stato di buona salute. Quando
le valvole
semilunari sono danneggiate si sente un rumore debole e sibilante. Tale disturbo è
conosciuto
come soffio cardiaco e può essere causato da qualsiasi condizione che impedisca
alle valvole
di chiudersi completamente permettendo così al sangue di refluire durante la
diastole.
Piazzando degli elettrodi sulla superficie corporea l’attività può essere
registrata attraverso
l’elettrocardiogramma (ECG).
La gittata cardiaca (CO) è il volume di sangue pompato dal ventricolo sinistro
nell’aorta in un

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minuto.
La gittata varia con i cambiamenti del volume sistolico e del ritmo cardiaco. Il
volume
sistolico dipende principalmente dal ritorno venoso cioè la quantità di sangue che
torna al
cuore dalle vene. In accordo con la legge del cuore di Starling, maggiore è la
quantità di
sangue che arriva al cuore dalle vene e maggiore è la quantità di sangue pompato
dal cuore.
Sebbene sia capace di battere in modo indipendente il suo ritmo in effetti è
attentamente
regolato dal sistema nervoso e dal sistema endocrino. I recettori sensoriali sono
sensibili ai
cambiamenti di pressione del sangue. Quando stimolati, mandano messaggi ai centri
cardiaci
nel midollo cerebrale. Questi centri mantengono il controllo su due serie di nervi
autonomi: i
nervi simpatici e parasimpatici che hanno effetti opposti sul ritmo cardiaco. I
nervi
parasimpatici rilasciano acetilcolina che rallenta il cuore, i nervi simpatici
rilasciano
noradrenalina che aumenta la velocità del ritmo cardiaco e la forza della
contrazione.
Durante lo stress le ghiandole surrenali liberano adrenalina e noradrenalina che
aumentano il
ritmo, come anche un’elevata temperatura corporea può aumentare di molto il ritmo
cardiaco.
Il ritmo diminuisce quando la temperatura si abbassa. Questo è il motivo per cui la
temperatura dei pazienti viene abbassata durante gli interventi chirurgici al
cuore.
La pressione sanguigna dipende dal flusso del sangue e dalla resistenza che esso
incontra.
La pressione sanguigna è la forza esercitata dal sangue sulle pareti dei vasi.
La resistenza è la resistenza al flusso causata dalla viscosità del sangue e dai
fenomeni di
attrito tra il sangue e le pareti dei vasi sanguigni. La pressione nelle arterie
aumenta durante la
sistole e diminuisce durante la diastole. Normalmente deve essere 120/80 millilitri
di
mercurio (mm Hg).
Il paziente può soffrire di pressione alta, ipertensione, dove c’è una resistenza
vascolare
specialmente nelle arteriose e nelle piccole arterie. La quantità di lavoro del
cuore aumenta
perché deve pompare contro questa maggiore resistenza. Come risultato il ventricolo
sinistro si
allarga e la sua funzione può incominciare a deteriorarsi. Fattori ereditari,
obesità ed
invecchiamento sono molto importanti nello sviluppo dell’ipertensione. Come si può
intuire la
pressione sanguigna è maggiore nelle grandi arterie, e diminuisce man mano che il
sangue si
allontana dal cuore. Quando il sangue entra nelle vene è veramente bassa quasi
vicina allo
zero. La velocità del flusso può essere mantenuta anche nelle vene a bassa
pressione perché
esse offrono bassa resistenza vasale. Il loro diametro è maggiore di quello delle
arterie e nelle
loro pareti c’è poca muscolatura liscia. Ogni volta che ci si alza da una posizione
orizzontale
avvengono dei cambiamenti di pressione. Quando la pressione diminuisce i nervi
simpatici
delle pareti vasali stimolano una vasocostrizione in modo che la pressione aumenti.
I
barorecettori presenti nelle pareti di alcune arterie e nella parete del cuore,
sono sensibili ai
cambiamenti della pressione sanguigna. Quando un aumento della pressione provoca lo
stiramento dei barorecettori vengono spediti degli impulsi ai centri cardiaci che
stimolano i
nervi parasimpatici che rallentano il cuore abbassando la pressione sanguigna.
Anche gli ormoni sono coinvolti nella regolazione della pressione del sangue. In
risposta alla
bassa i reni rilasciano renina. Questo enzima stimola la formazione di angiotensine
che sono
un gruppo di ormoni che agiscono come potenti vasocostrittori. Le angiotensine
aumentano
la sintesi e il rilascio di aldosterone, un ormone che aumenta la ritenzione di
ioni sodio da
parte dei reni il che si traduce in una maggior ritenzione di fluidi ed un
incremento nel volume
del sangue.
Una delle principali funzioni della circolazione è di portare ossigeno a tutte le
cellule del corpo.

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Il sangue viene caricato di ossigeno nei polmoni. I mammiferi hanno un doppio


circuito di vasi
sanguigni: la circolazione polmonare che collega cuore e polmoni e la circolazione
sistemica
che collega il cuore a tutti i tessuti del corpo.
La circolazione polmonare ossigena il sangue. Il sangue ritorna dai tessuti
all’atrio destro
del cuore parzialmente privato del suo contenuto di ossigeno. Questo sangue povero
di
ossigeno, ma ricco di anidride carbonica è pompato dal ventricolo destro nella
circolazione
polmonare. Appena esce dal cuore il largo tronco si ramifica per formare le due
arterie
polmonari una per ogni polmone. Queste sono le uniche arterie del corpo che
trasportano
sangue povero di ossigeno. Nei polmoni le arterie polmonari si ramificano in
capillari
polmonari che fanno pervenire il sangue a tutti gli alveoli dei polmoni. Quando il
sangue passa
attraverso i capillari polmonari l’anidride carbonica diffonde fuori il sangue
negli alveoli.
L’ossigeno diffonde dagli alveoli ai vasi sanguigni in modo che quando il sangue
entra nelle
vene polmonari per ritornare all’atrio sinistro al cuore, è carico di ossigeno. Le
vene polmonari
sono le uniche vene che trasportano sangue ricco di ossigeno. Riassumendo il flusso
del
sangue attraverso la circolazione polmonare: atrio dx, ventricolo dx, arterie
polmonari, capillari
polmonari (nei polmoni), vene polmonari, atrio sx.
La circolazione sistematica conduce il sangue ai tessuti. Il sangue che entra nella
circolazione sistematica è pompato dal ventricolo sinistro nell’aorta la più grande
delle arterie
del corpo. Le arterie si diramano dall’aorta portano il sangue in tutte le regioni
del corpo.
Alcune delle ramificazioni principali comprendono le arterie coronarie che portano
il sangue
alle pareti del cuore stesso, le arterie carotidi che portano il sangue al
cervello, le arterie
succlavie nella regione delle spalle, le arterie mesenteriche nell’intestino, le
arterie iliache
nelle gambe. Ognuna di queste arterie da luogo a vasi di volta in volta più
piccoli. Il flusso del
sangue arriva con il reticolo dei capillari all’interno di ogni tessuto od organo.
Il sangue
tornando da reticolo di capillari del cervello, passa attraverso le vene giugulari.
Il sangue
dalle spalle e dalle braccia è drenato nelle vene succlavie. Queste ed altre vene
si riuniscono a
formare una grossa vena che porta il sangue nell’atrio destro. Nell’uomo questa
vena è
chiamata vena cava superiore. Le vene renali dei reni, le iliache degli arti
inferiori, le
epatiche del fegato, confluiscono nella vena cava inferiore che porta il sangue
nell’atrio destro.
Esempio della circolazione del sangue attraverso il circuito sistematico: Atrio sx,
ventricolo sx,
aorta, arteria iliaca, piccole arterie della gamba, capillari della gamba, piccole
vene della
gamba, vena iliaca, vena cava inferiore, atrio dx.
Quattro arterie conducono il sangue al cervello: due arterie carotidi interne e due
arterie vertebrali.
Alla base del cervello ramificazioni di queste arterie formano un circuito
arterioso chiamato
circolo di Willis. Il sangue dal cervello ritorna alla vena cava superiore
attraverso le vene
giugulari interne situate ad entrambi i lati del collo.
Il sangue generalmente fluisce dalle arterie ai capillari alle vene al cuore.
Un’eccezione a
questa sequenza avviene nel sistema portale epatico, che porta il sangue ricco di
nutrienti al
fegato. Il sangue è portato al piccolo intestino con l’arteria mesenterica
superiore. Mentre
fluisce il sangue preleva glucosio, aminoacidi ed altri nutrienti. Passa quindi
nella vene
mesenterica e poi nella vena portale epatica. Invece di portare il sangue
direttamente al cuore
(come fa la maggior parte delle vene), la vena portale epatica conduce il sangue
ricco di
nutrienti al fegato. Da luogo quindi ad un esteso reticolo di sottili sinusoidi
epatici, le cellule
de fegato prelevano i nutrienti e li immagazzinano.

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Il sistema linfatico svolge tre importanti funzioni: raccogliere e rimandare il


fluido
interstiziale al sangue, difendere il corpo da organismi patogeni mediante i
meccanismi
immunitari, assorbire i lipidi dall’apparato digestivo. Il sistema linfatico
consiste di: vasi
linfatici che trasportano la linfa, un liquido acquoso chiaro formato da fluido
interstiziale, un
tessuto linfatico con grande numero di linfociti. Il tessuto linfatico è
organizzato in piccole
masse di tessuto chiamate linfonodi e linfonodali. Le tonsille, il timo e la milza
che sono
costituiti da tessuto linfatico fanno parte del sistema linfatico.
Le tonsille sono masse di tessuto linfatico situate sotto il rivestimento della
cavità orale e della
gola.
(Le tonsille faringee situate nella parte posteriore del naso, quando si ingrossano
vengono
definite adenoidi). Le tonsille servono a proteggere il sistema respiratorio da
infezioni da
parte di batteri che entrano attraverso la bocca o il naso. Sfortunatamente le
tonsille a volte
diventano esse stesse infette e devono essere rimosse chirurgicamente.

CAPITOLO 43
DIFESA INTERNA

DOMANDA: CONOSCERE I PRINCIPALI CONCETTI ALLA BASE DELLA DIFESA


IMMUNITARIA

La difesa immunitaria è quel meccanismo che l’organismo mette in atto per


proteggersi da
sostanze estranee, cioè non facenti parte dell’organismo.
Patogeno: crea malattia è tutto ciò che reca un alterazione della stabilità e
dell’equilibrio
organico.
I microrganismi come virus e batteri vengono definiti patogeni.
Antigene, è una molecola, una qualsiasi sostanza in grado di evocare una risposta
anticorpale.
Proteine, RNA, DNA sono antigeni. Esistono sostanze self (proprie) che l’organismo
è
stato abituato e predisposto a riconoscere e non attaccare e non self (non proprie)
che sono
le truppe nemiche verso le quali l’organismo mette in atto una serie di eserciti
che si
contraddistinguono per un diverso approccio nell’aggressione, ma con l’unica
finalità comune di
determinare l’allontanamento del patogeno.

L’immunologia è lo studio dei meccanismi specifici di difesa.


La risposta immune coinvolge il riconoscimento di molecole estranee ed una risposta
mirata
alla loro eliminazione.
Le cellule bianche (LINFOCITI) sono specializzati per attivare le risposte immuni.
Il sistema immunitario si determina perché a livello del midollo osseo c’è una
cellula
totipotente che potenzialmente può diventare qualsiasi cosa che ha il compito di
dare origine
a cellule del sistema immunocompetente.
Da questa cellula totipotente originano due linee:
Un precursore eritroide (si chiama precursore perché è un passaggio per arrivare
a
una cellula) che darà origine agli eritrociti (globuli rossi) che sono 5.000.000;
Una linea bianca che darà origine ai leucociti (globuli bianchi) che sono
5.000/6.000

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che si dirama ancora in mieloide e linfoide dalla linea mieloide si origineranno le


cellule che presiederanno l’immunità naturale, che sono i granulociti e monociti.
I granulociti (chiamati così perché composti da granuli che contengono lisosomi
dovranno
avere tanto ergastoplasma e Golgi perché dovranno fare le glicoproteine. Vengono
distinti
in: neutrofili – eusinofili – basofili.
I monociti macrofagi (sono le stesse cellule). Per monociti si intendono cellule
della linea
mieloide che circolano nel sangue. Quando c’è un’infiammazione, un batterio, il
monocita
circolante nel sangue periferico viene attratto in base alla secrezione di sostanze
chimiche nel
sito dell’infiammazione e diventa macrofago.
Le cellule sono diverse ma la funzione è unica cioè distruggere tutto ciò che è
riconosciuto
come estraneo, che significa distruzione anche dell’ambiente dove questo estraneo
si è
posizionato ed è tipico dell’immunità innata aspecifica.
Dalla linea linfoide si originano i linfociti distinti in T B e natural killer che
presiederanno
l’immunità acquisita, daranno una risposta immune specifica perché risponderanno
alla
presenza di un antigene e solo a quel tipo di antigene perché ogni linfocita viene
costruito
sulla base di uno ed un solo antigene.
Questa è garanzia di avere una potente risposta mirata senza che vi sia distruzione
del
contesto attorno all’infiammazione o all’infezione.
La rispettiva quota di globuli bianchi (conta leucocitaria) presente nell’organismo
è: granulociti
(neutrofili 45-75% eusinofili 1-5% basofili 0.5-1% ), linfociti 25-45%, monociti
macrofagi (2-
10%).
Le cellule del sistema immunitario secernono proteine regolatori dette CITOCHINE.
Si
dividono in tre gruppi: INTERFERONI, INTERLEUCHINE ed i FATTORI DI NECROSI
TUMORALE.
INTERFERONI: prodotti dai macrofagi e fibroblasti, inibiscono la replicazione
virale ed
attivano le cellule chiamate natural killer che hanno azione antivirale. Si usano
per il
trattamento di parecchie malattie come l’epatite B e C, le verruche genitali, un
tipo di leucemia
un tipo di sclerosi multipla e si sta cominciando ad usarlo contro le infezioni da
HIV e in alcuni
tipi di cancro.
INTERLEUCHINE: prodotte dai macrofagi e dai linfociti. Sono numerate secondo
l’ordine in
cui sono state scoperte. Durante l’infezione l’Interleuchina -1 (IL1), può regolare
il termostato
del corpo nell’ipotalamo dando luogo a febbre.
FATTORI DI NECROSI TUMORALE (TNF): secreti dai macrofagi e dai linfociti chiamati
cellule T.
Il TNF può uccidere le cellule tumorali facendo ben promettere in termini di
immunoterapia per
i pazienti malati di cancro. A volte le infezioni come la salmonella comportano il
rilascio di
quantità di TNF e di altre citochine che può portare a uno shock settico con febbre
altissima e
disfunzione del sistema circolatorio.
Il COMPLEMENTO, chiamato così perché completa l’azione di altri meccanismi di
difesa, è una
serie di proteine che si attivano a cascata fini a produrre molecole in grado di
lisare il
patogeno. Le proteine del complemento agiscono contro qualsiasi antigene.
Esse hanno quattro principali azioni:
Lisano la parete cellulare del patogeno;
Rivestono i patogeni rendendoli meno scivolosi in modo che i fagociti possano
fagocitarli
più facilmente;

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Attraggono le cellule bianche del sangue nel luogo d’infezione;


Aumentano l’infiammazione stimolando il rilascio di istamina e di altri composti
che
dilatano i vasi sanguigni ed incrementano la permeabilità capillare.

LA RISPOSTA IMMUNITARIA (infiammazione) è la reazione del corpo all’invasione di


patogeni o ad una lesione. L’infiammazione è regolata da proteine plasmatiche, da
citochine,
da sostanze rilasciate dalle piastrine, da determinate cellule bianche del sangue
(basofili) e
dalle MASTCELLULE, grandi cellule del tessuto connettivo ricche di granuli.
Le piastrine, i basofili e le mastcellule rilasciano istamina, che dilata i vasi
sanguigni nell’area
colpita ed aumentano la permeabilità capillare. Nella regione interessata aumenta
il flusso
ed arriva un gran numero di cellule fagocitarie come i neutrofili. L’aumento del
flusso rende la
pelle calda al tatto e si arrossa. I fagociti migrano fuori dai capillari e
penetrano nei tessuti
infetti. L’aumentata permeabilità permette agli anticorpi di uscire dal torrente
circolatorio ed
entrare nei tessuti. Quando il volume dei liquidi tissutali aumenta si forma un
edema (
gonfiore) che assieme ad alcune sostanze liberate dalle cellule danneggiate causa
il dolore.
Quindi le caratteristiche cliniche dell’infiammazione sono: calore, edema, dolore
ed
eventualmente arrossamento.
LA FEBBRE è un sintomo clinico della risposta infiammatoria. I macrofagi rilasciano
l’interleuchina-1 che regola il termostato del corpo nell’ipotalamo, dando come
risultato la
febbre.
Le prostaglandine (molecole che derivano dagli acidi grassi), sono coinvolte in
questo
meccanismo di regolazione. La febbre può uccidere alcuni patogeni, causa anche la
rottura dei
lisosomi distruggendo le cellule infettate dai virus. Promuove l’attività di alcuni
linfociti T e la
produzione di anticorpi e può aumentare la fagocitosi. Come risultato a breve
termine una
febbre non troppo elevata può aiutare a ripristinare le condizioni normali.
FUNZIONE DELL’INFIAMMAZIONE: è l’aumento della fagocitosi (processo utilizzato dai
globuli bianchi per ingerire). Un neutrofilo può fagocitare 20 o più batteri prima
di diventare
inattivo, un macrofago 1000.
I due tipi di risposta immune sono: specifiche e non specifiche.

NON SPECIFICHE
I meccanismi di difesa non specifici detti anche risposte innate, forniscono una
protezione
generale contro i patogeni. Impediscono l’entrata della maggior parte dei patogeni
nel corpo e
distruggono quelli che sono riusciti ad eludere le difese esterne. Ad esempio la
pelle
rappresenta una barriera per i patogeni che vengono a contatto con il corpo. Il
sudore e il sebo
contengono sostanze che distruggono alcuni tipi di batteri. Il lisozima un enzima
che si trova
anche nelle lacrime e in molti tessuti, attacca la parete di molti batteri gram-
positivi. I
microrganismi che entrano attraverso il cibo sono generalmente distrutti dalla
secrezione acida
ed enzimatica dello stomaco. I patogeni che entrano nell’organismo attraverso
l’aria inalata
possono essere trasportati all’esterno dai peli del naso o intrappolati nel muco
che riveste i
condotti respiratori e successivamente distrutti dai fagociti (cellule che
ingeriscono).

SPECIFICHE
I meccanismi di difesa specifici dette anche acquisite sono strutturati in modo
tale da
combattere macromolecole specifiche associate ad ogni patogeno. Uno dei principali

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meccanismi di difesa specifici è la produzione di anticorpi, proteine altamente


specifiche che
riconoscono e si legano con specifici antigeni. I meccanismi specifici comprendono
anche la
memoria immunitaria, cioè la capacità di rispondere efficacemente ad una seconda
invasione
di molecole estranee.
Appartengono ai meccanismi di difesa specifici: Immunità umorale o anticorpo-
mediata,
Immunità cellulo-mediata.
Nell’immunità umorale o anticorpo-mediata è quella risposta che l’organismo da
contro un
agente estraneo attraverso la produzione di anticorpi formando immunocomplessi
attivando
l’infiammazione.

Le cellule B o linfociti B sono responsabili.


Le cellule B maturano nel fegato fetale e nel midollo osseo adulto. Sono
geneticamente
programmate per codificare un recettore glicoproteico che si lega con uno specifico
tipo di
antigene. Quando la cellula B entra in contatto con l’antigene che si lega al suo
recettore, essa
diventa attiva e si divide rapidamente creando un clone di cellule identiche, che
si
differenziano in plasmacellule che sono specializzate nella produzione di
anticorpi. Una
plasmacellula può produrre più di 10 milioni di molecole di anticorpi all’ora.
Alcune cellule B attivate diventano cellule della memoria che continuano a produrre
piccole
quantità di anticorpi anche dopo che l’infezione si è risolta.
Nelle cellule della memoria viene attivato un gene della sopravvivenza che permette
loro di
prevenire la morte programmata che è nel destino delle cellule B.

COME SI ATTIVA LA CELLULA B


L’ attivazione delle cellule B coinvolge i macrofagi o le cellule dendritiche. I
macrofagi e
neutrofili fanno parte dei fagociti. Quando un macrofago (cellula spazzino)
ingerisce un
batterio, digerisce la maggior parte, ma non tutti degli antigeni batterici. I
frammenti degli
antigeni estranei associati con un certo tipo di molecole proprie (MHC, classe II)
vengono
esposti sulla superficie del macrofago,
che può essere descritto come una cellula che presenta l’antigene (APC) che espone
cioè gli
antigeni batterici sulla sua superficie. Quando un APC entra in contatto con la
cellula T Helper,
che possiede i recettori complementari, si mettono in moto meccanismi chimici come
la
secrezione di citochine. La cellula T Helper interagisce con la cellula B che
espone lo stesso
complesso. La cellula B si ingrossa e si divide formando cloni di cellule. Alcune
si
differenziano in plasmacellule formando gli anticorpi che lasceranno la cellula e
attraverso la
linfa e il sangue arriveranno all’area dell’infiammazione. Gli anticorpi formeranno
dei complessi
con il patogeno, che scateneranno un processo che porterà alla distruzione del
patogeno, altre
diventeranno cellule B della memoria.
L’MHC è il complesso maggiore di istocompatibilità cioè un gruppo di proteine di
membrana,
conosciute come antigeni, capaci di distinguere il self dal non self. Questi
antigeni sono
codificati da un gruppo di geni che hanno all’interno molteplici alleli per ogni
locus (qualche
volta più di 40 alleli per uno stesso gene). Come risultato le proteine di
superficie sono in
genere differenti per ogni individuo, a parte i gemelli. Per cui l’MHC da un
impronta digitale
biochimica.
L’MHC è diviso in tre gruppi di geni che codificano differenti gruppi di proteine
che differiscono
per la loro distribuzione nei tessuti e per la loro struttura chimica:

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MHC classe I: sono antigeni presenti nelle cellule nucleate. Si combinano con gli
antigeni estranei prodotti all’interno delle cellule (virus) formando un complesso
molecolare che viene esposto sulla superficie cellulare. Questo complesso antigene
MHC-antigene estraneo, viene riconosciuto dalle cellule T citotossiche.
MHC classe II: sono antigeni presenti sulla superficie delle cellule B, dei
macrofagi e le
cellule dendritiche (cellule presenti nella milza e nei linfonodi). Si combinano
con i
frammenti di proteine che sono penetrate nella cellula tramite fonti estranee come
i
batteri e sono state degradate. Questo complesso antigene MHC-antigene estraneo,
viene riconosciuto dalle cellule T helper.
MHC classe III: le proteine di questa classe comprendono i componenti del sistema
del complemento.

CHE COS’E’ UN ANTICORPO


Gli anticorpi sono proteine altamente specifiche chiamate immunoglobuline (Ig), che
sono
prodotte in risposta ad un preciso antigene.
Hanno due funzioni: si combinano con l’antigene con l’obiettivo di formare degli
immuno-
complessi cioè l’unione tra un antigene e un anticorpo e attivano i processi che
distruggono
l’antigene che lega.
L’anticorpo non distrugge direttamente l’antigene che lega. Un anticorpo è una
molecola che
presenta in genere una struttura formata da quattro catene, due pesanti identiche e
due
leggere identiche, in ognuna delle quali vi è una parte costante che si impianta
nei tessuti e si
chiama Fc e una variabile che si chiama Fab che ha una specifica sequenza
amminoacidica per
ogni tipo di antigene che lega che si chiama epitopo o determinante antigenico.
Normalmente un antigene ha molti determinanti antigenici sulla sua superficie e
possono
differire l’uno dall’altro in modo tale che diversi anticorpi possano combinarsi
con un singolo
antigene.
Questa forma permette all’anticorpo di legarsi con due molecole antigeniche e
formare il
complesso antigene-anticorpo.
Gli anticorpi o immunoglobuline sono raggruppati in cinque classi: IgG, IgM, IgA,
IgD, IgE.
Nell’uomo il 75% degli anticorpi appartiene alla classe IgG.
Le IgG e le IgM agiscono nella difesa verso patogeni trasportati dal sangue,
inclusi virus e
batteri, stimolando i macrofagi a attivano il complemento. Le IgM hanno una
struttura
pentamerica a 5 braccia sono la prima linea di difesa dell’organismo, in grado di
legare
massimamente gli antigeni e quindi garantire soprattutto nella fase iniziale della
malattia, una
grossa risposta.
Le IgA sono presenti nel muco, nelle lacrime, nella saliva nel latte sono secrete
nel tubo
digerente, nelle vie respiratorie, urinarie e riproduttive. Combattono virus e
batteri che
possono ledere la superficie epiteliale. Agiscono contro i patogeni inalati o
ingeriti. Hanno una
struttura dimerica a due braccia.
Le IgD sono presenti sulla superficie delle cellule B e le aiutano ad attivarsi.
Le IgE si combinano con le mastcellule, cellule del tessuto connettivo che
contengono
istamina responsabile di molti sintomi allergici.
Immunità cellulo-mediata definita così perché mediata dai linfociti T.
Le cellule T e i macrofagi sono responsabili dell’immunità cellulo-mediata.
Le cellule T derivano dalle cellule staminali del midollo osseo, migrano verso i
tessuti linfatici,

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e si fermano nel timo per completare il loro differenziamento. Solo le cellule che
possiedono
recettori specifici sono selezionate per dividersi, le altre che reagiscono con
antigeni self, vanno
incontro ad apoptosi. Solo il 10% di cellule T lasceranno il timo per arrivare ai
tessuti linfatici o
per dare una risposta immunitaria nei tessuti infetti. Le cellule T si dividono in
T citotossiche
(agiscono direttamente lisando l’estraneo), che con il loro marcatore CD8
riconoscono e
distruggono cellule che hanno antigeni estranei sulla loro superficie tipo virus e
cellule
cancerogene, e T helper (hanno il compito di produrre molecole che si chiamano
linfochine
che potenzieranno macrofagi e granulociti), conosciute come cellule CD4 che
producono
sostanze che amplificano la risposta immunitaria.

COME SI ATTIVA LA CELLULA T


Quando un macrofago (cellula spazzino) ingerisce un virus, digerisce la maggior
parte, ma non
tutti degli antigeni batterici. I frammenti degli antigeni estranei associati con
un certo tipo di
molecole proprie (MHC, classe I) vengono esposti sulla superficie del macrofago,
che può
essere descritto come una cellula che presenta l’antigene (APC) che espone cioè gli
antigeni
virali sulla sua superficie.
Quando un APC entra in contatto con la cellula T Helper che possiede i recettori
complementari si mettono in moto meccanismi chimici come la secrezione di
citochine. La
cellula T Helper interagisce con la cellula T che espone lo stesso complesso. La
cellula T
attivata aumenta di volume e origina un clone di cellule helper, citotossiche, e
memoria. Le
cellule T citotossiche lasciano quindi i linfonodi si recano verso l’area infetta,
rilasciano
proteine in grado di degradare la cellula infetta. Mentre le T Helper e i macrofagi
secernono
interleuchine che attirano un gran numero di macrofagi nell’area infetta.
Immunità attiva può essere indotta artificialmente o naturalmente. Naturalmente con
il
contagio esempio varicella, morbillo, e artificialmente con il vaccino cioè tramite
immunizzazione.
Il vaccino è una sostanza che viene ingerita o iniettata contenente i responsabili
della malattia
infettiva, però in forma meno virulenta.
Immunità passiva è una condizione temporanea, dove gli anticorpi sono stati forniti
da un
altro organismo. Esempio: le donne in gravidanza trasmettono una naturale immunità
passiva
al feto in via di sviluppo producendo anticorpi IgG per esso, che passano
attraverso la
placenta. Oppure i bimbi che vengono allattati al seno ricevono le IgA con il latte
materno.
In una risposta allergica, un allergene può stimolare la produzione di IgE, che si
legano con i
recettori dei mastociti che liberano istamina ed altre sostanze che causano i
sintomi
dell’allergia, come l’infiammazione.
Le cellule NK e le T citotossiche sembrano quelle più impegnate contro le cellule
tumorali.
Il mal funzionamento del sistema immunitario può portare a malattie autoimmuni
(dove i
linfociti sono autoreattivi cioè in grado di agire contro tessuti propri) o
immunodeficienze
(condizione che aumenta la suscettibilità alle infezioni).
La sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), è causata da un retrovirus noto
come virus dell’immunodeficienza umana (HIV). Esso danneggia il sistema immunitario
distruggendo le cellule T Helper. La capacità di resistere alle infezioni è
gravemente
compromessa.

CARATTERISTICHE

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Le caratteristiche della risposta immunitaria qualora sia immunitaria acquisita


sono:
Specificità perché è solo per quel tipo di antigene;
Diversità ogni linfocita è specifico per un antigene e solo per quello;
Memoria si ricorda di quel tipo di antigene per cui è stato costruito;
Autolimitazione perché nel momento in cui sono stati eliminati i patogeni non
deve più
funzionare;
Discriminare self da non self.
Gli invertebrati hanno la capacità di riconoscere tra sé e non sé. Danno risposte
immunitarie
non specifiche come la fagocitosi e la risposta infiammatoria.
Nelle malattie autoimmuni l’organismo reagisce contro se stesso perché non
riconosce il self
dal non self.

CAPITOLO 47

REGOLAZIONE ENDOCRINA

DOMANDA: ILLUSTRARE LE GENERALITA’ SULLA CLASSIFICAZIONE, SULLA


SECREZIONE E SULLA FUNZIONE DEGLI ORMONI NELL’AMBITO DEL PIU’ AMPIO
CONCETTO DI RECEZIONE E TRASDUZIONE DEI SEGNALI INTERCELLULARI.

Il sistema endocrino consiste in ghiandole endocrine (non hanno dotti), cellule e


tessuti che
secernono ormoni definiti messaggeri chimici in grado si trasmettere informazioni
da una parte
all’altra di uno stesso organismo. Vengono secreti nel fluido interstiziale o nel
sangue e
trasportati dal sangue. Si legano a recettori su o all’interno di tessuti
bersaglio.
Possono distinguersi 4 categorie:
derivati degli acidi grassi ( prostaglandine sintetizzate partendo dall’acido
arachidonico);
steroidi (la corteccia surrenale i testicoli le ovaie la placenta secernono
ormoni steroidei
partendo dal colesterolo;
derivati degli aminoacidi (ormoni tiroidei e l’epinefrina sono sintetizzati
partendo
dall’aminoacido tirosina e iodio);
peptidi o proteine (sono idrosolubili come l’ormone antidiuretico ADH e glucagone
e
insulina).
La maggior parte degli ormoni è idrofila e non entra nelle cellule bersaglio.
Utilizzano la
trasduzione del segnale cioè si legano a recettori ( che sono dei trasduttori)
sulla membrana
plasmatica ed il segnale extracellulare viene convertito in segnale intracellulare
che influenza la
cellula bersaglio.

ORMONE PANCREATICO GLUCAGONE


Quando il glucagone si lega a un recettore per il glucagone situato sulla
superficie della
membrana plasmatica, l’ormone modifica la forma del recettore. Questo evento di
legame
attiva una proteina G visto che si lega al GTP (guanosin 3fosfato) un trasportatore
d’energia,
che attiva un enzima situato sulla superficie interna della membrana detto
adenilato ciclasi
(nello specifico la proteina Gs attiva, mentre la G1 inibisce l’adenilato ciclasi),
che converte

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l’ATP in AMP ciclico (cAPM) un secondo messaggero (l’energia per fare questo è
fornita dal GTP
che viene idrolizzato (cioè la scissione di una molecola causa addizione di acqua)
in GDP. Il
cAMP diffonde nel citoplasma dove attiva le proteinchinasi enzimi in grado di
fosforilare
(aggiungere fosfati) ad una proteina che cambia la sua funzione e scatena una serie
di
reazioni.
Quando il glucagone si lega ad un epatocito (cellula del fegato) determinando la
sintesi di
cAMP la protein-chinasi attivata attiva un enzima che scinde il glicogeno in
glucosio. Di
conseguenza la secrezione di glucosio fa aumentare la glicemia. L’intervento di due
messaggeri (un ormone e il cAMP) amplificano il segnale iniziale. Il legame di una
molecola di
glucagone a livello della superficie cellulare promuove la sintesi di migliaia di
molecole di cAMP
all’interno della cellula. Quindi una piccola concentrazione ematica di ormone è
capace di
produrre una risposta rapida e massiva all’interno di una cellula bersaglio.
L’incremento di
cAMP è temporaneo, ed è inattivato da enzimi conosciuti come fosfodiesterasi che lo
convertono in AMP.

ORMONE STEROIDEO
Questo ormone agisce in modo diverso. E’ idrofobo e diffonde attraverso la membrana
dove si
lega a una specifica molecola recettrice citoplasmatica. Poi il complesso
recettore-ormone entra
nel nucleo e si attacca a un sito specifico sul cromosoma. L’attaccamento attiva
quei geni che
sono responsabili della modificazione indotta dall’ormone come i geni necessari per
la
costruzione del fusto di un pelo per opera di un follicolo pilifero precedentemente
dormiente
sulla guancia di un adolescente.

CAPITOLO 48

LA RIPRODUZIONE
DOMANDA: DESCRIVERE I MECCANISMI DELLA RIPRODUZIONE

La riproduzione è il processo con cui vengono generati nuovi discendenti e può


essere
asessuale e sessuale.
Nella asessuale, un singolo individuo produce tramite un processo di scissione,
frammentazione, o gemmazione due o più individui figli che mostrano le sue stesse
caratteristiche.
La riproduzione sessuale si ottiene con l’unione di uno spermatozoo e di una
cellula uovo.
Molti animali acquatici effettuano la fecondazione esterna nella quale i gameti si
incontrano
all’esterno del corpo. I due partner di regola emettono simultaneamente uova e
spermatozoi
direttamente nell’ambiente acquatico.
Nella fecondazione interna il maschio generalmente rilascia gli spermatozoi
direttamente
all’interno delle vie genitali.
L’ermafroditismo è una forma di riproduzione sessuale nella quale un singolo
individuo
produce sia uova che spermatozoi.

RIPRODUZIONE UMANA

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IL MASCHIO PRODUCE SPERMATOZOI, LA DONNA CELLULE UOVO E PROVVEDE ALLO


SVILUPPO DELL’EMBRIONE.

UOMO
Nell’uomo il processo di formazione degli spermatozoi ovvero la spermatogenesi
avviene in
due organi definiti gonadi o testicoli e più precisamente all’interno di una
complessa rete di
strutture tubulari definite tubuli seminiferi presenti in ciascun testicolo. La
spermatogenesi
ha inizio da cellule indifferenziate, gli spermatogoni, cellula ancora diploidi che
si dividono
ripetutamente per mitosi e aumentano di numero. Un certo numero di spermatogoni
aumenta
di dimensioni e si trasforma in spermatociti primari che iniziano il processo di
meiosi e sono
sempre diploidi.
Ogni spermatocita primario va incontro a una prima divisione meiotica e produce due
spermatociti secondari aploidi. Alla seconda divisione meiotica da ogni
spermatocita secondario
derivano due spermatidi. In definitiva da ogni spermatocita primario si originano
quattro
spermatidi aploidi e attraverso una serie di modifiche morfologiche si trasformano
in
spermatozoi maturi.
Lo spermatozoo maturo consiste di una testa, un tratto intermedio e un flagello. La
testa è
formata dal nucleo e da una porzione detta acrosoma che produce enzimi che
consentono allo
spermatozoo di penetrare all’interno della cellula uovo. I mitocondri forniscono
l’energia
necessaria al movimento del flagello.
Gli spermatozoi umani non possono svilupparsi alla normale temperatura corporea,
infatti due
mesi prima della nascita discendono nello scroto, che serve come struttura di
raffreddamento e
mantiene gli spermatozoi a circa 20 C di temperatura al sotto di quella corporea.
Dopo aver completato la maturazione gli spermatozoi vengono immagazzinati
nell’epididimo
e nei vasi deferenti. Durante l’eiaculazione, gli spermatozoi passano dai vasi
deferenti nel
corto dotto eiaculatore e confluiscono nell’uretra, (condotto impari che a seconda
delle
circostanze può trasportare urina o sperma e si prolunga attraverso il pene fino
all’esterno del
corpo).
Oltre ai testicoli ci sono tre strutture ghiandolari che aggiungono il loro secreto
al seme e sono:
le vescichette seminali contribuiscono per il 60% del volume totale del seme che
contiene
fruttosio fonte d’energia per gli spermatozoi, la prostata il cui secreto è di pH
alcalino che
riesce a bilanciare l’acidità dei residui di urina presenti nell’uretra e le
ghiandole bulbo
uretrali. E’ accertato che il loro secreto contiene spermatozoi rilasciati in
anticipo rispetto
all’eiaculazione massiva e sembra rappresentare uno dei fattori della mediocre
affidabilità del
metodo di controllo delle nascite tramite la retrazione del pene dalla vagina prima
dell’orgasmo.
Nella fase di eiaculazione vengono emessi circa 3.5 ml di sperma o liquido
seminale,
contenente circa 200 milioni di spermatozoi. Con meno di 35 milioni/ml le
possibilità di
fecondare sono scarse, sotto i 20 milioni/ml si considera sterile.

LA REGOLAZIONE ORMONALE DELL’ATTIVITA’ RIPRODUTTIVA MASCHILE


Coinvolge: ipotalamo, ipofisi e testicoli. L’ipotalamo comincia a produrre uno
specifico
ormone definito fattore di rilascio delle gonadotropine (GnRH) che stimola
l’ipofisi
anteriore a produrre l’ormone follicolo-stimolante (FSH) e l’ormone lutienizzante
(LH).
Questi due ormoni inducono i testicoli a produrre testosterone e stimolano la
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spermatogenesi. Il testosterone rappresenta il principale ormone androgeno


(qualsiasi
ormone in grado di stimolare e mantenere i caratteri sessuali maschili).

DONNA
Al pari delle gonadi maschile, le ovaie producono sia gameti che ormoni sessuali.
Il processo di maturazione della cellula uovo viene definito ovogenesi. Nelle ovaie
le cellule
sessuali immature sono definite ovogoni. Nel corso dello sviluppo embrionale
aumentano di
dimensioni e si trasformano in ovociti primari che sono ancora diploidi. Un ovocita
primario
circondato di cellule follicolari costituisce il follicolo ovarico.
Con l’inizio della pubertà di regola ogni mese un follicolo riprende la maturazione
in risposta
allo stimolo dell’FSH secreto dall’ipofisi anteriore. Quando il follicolo cresce,
l’ovocita primario
va incontro alla prima divisione meiotica e forma due cellule di differente
grandezza cioè
l’ovocita secondario e un globulo polare che potrà a sua volta dividersi e produrre
due globuli
polari destinati a degenerare.
Al momento dell’ovulazione, l’uovo (in fase di ovocita secondario) viene espulso
attraverso la
parete dell’ovaia e cade nella cavità pelvica. La parte di follicolo che rimane
nell’ovaia si
trasforma in corpo luteo, una struttura ghiandolare transitoria che produce
estrogeni
(qualsiasi sostanza in grado di influire sullo sviluppo e il mantenimento dei
caratteri sessuali) e
progesterone (ormone steroideo responsabile della preparazione alla gravidanza
degli organi
riproduttivi femminili e nel mantenimento dell’utero in condizioni necessarie per
lo sviluppo
dell’embrione.
Dopo l’ovulazione, l’ovocita secondario entra nell’ovidotto dove può essere
fecondato e va
incontro alla seconda divisione meiotica, ma si blocca in metafase fino al momento
in cui
eventualmente si verificherà la fecondazione. Se ciò accade la meiosi procede e da
luogo a una
cellula uovo e un secondo globulo polare, che serve unicamente a realizzare il
dimezzamento
del corredo cromosomico.
Successivamente le contrazioni peristaltiche della parete muscolare della tuba e il
movimento
cigliare favoriscono il movimento dell’ovocita verso l’utero. L’utero è un organo
dalle
dimensioni di un pugno è provvisto di muscolatura liscia e di una mucosa,
l’endometrio, che
si ispessisce mensilmente in preparazione a una possibile gravidanza. Se l’ovocita
viene
fecondato, l’embrione appena formatosi viene trasportato nell’utero e si annida
nell’endometrio. Qui esso cresce e si sviluppa, nutrito e ossigenato da vasi
sanguigni materni.
Se la fecondazione non si realizza, l’endometrio degenera e viene eliminato nel
corso di un
processo definito mestruazione.

LA REGOLAZIONE ORMONALE DELL’ATTIVITA’ RIPRODUTTIVA FEMMINILE


La regolazione ormonale dell’attività riproduttiva femminile coinvolge: ipotalamo,
ipofisi e
ovaie. Il primo giorno del ciclo mestruale corrisponde al primo giorno delle
mestruazioni.
L’ovulazione si verifica al 14° gg di un tipico ciclo di 28 gg. Durante la fase
preovulatoria
del ciclo l’ormone GnRH prodotto dall’ipotalamo induce l’ipofisi a secernere FSH
che stimola
lo sviluppo del follicolo ovarico.
Quest’ultimo rilascia estrogeni che stimolano l’accrescimento dell’endometrio e
segnalano
all’ipofisi di produrre LH che a sua volta stimola l’ovulazione.
Durante la fase post ovulatoria, l’LH stimola lo sviluppo del corpo luteo che
secerne
estrogeni e progesterone che determinano la preparazione finale dell’utero a una
eventuale

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gravidanza. Durante la fase post ovulatoria, gli estrogeni inibiscono il rilascio


di GnRH, FSH,
LH.
Se l’ovocita secondario viene fecondato inizia lo sviluppo e il giovane embrione si
annida nella
parete dell’utero; le membrane che si formano attorno all’embrione producono
gonadotropina corionica umana (hCG), un ormone che mantiene in attività il corpo
luteo.
Se la fecondazione non avviene il corpo luteo degenera, la concentrazione di
estrogeni e
progesterone nel sangue si abbassa e si verifica la mestruazione.
Mestruazioni: fenomeno fisiologico ciclico consistente in un versamento
dell’endometrio
uterino e caratterizzato da sanguinamento vaginale della durata di 3/7 gg che si
ripete
regolarmente ogni 28gg. Parte dalla pubertà con il menarca (le prime mestruazioni),
si
interrompe con la gravidanza e termina con la menopausa.
Per confronto: nel maschio ogni spermatocita primario produce quattro spermatozoi,
nella
femmina da ogni ovocita primario si ottiene soltanto una cellula uovo matura e tre
globuli
polari.
L’ormone steroideo è qualsiasi composto organico prodotto e secreto da una
ghiandola
endocrina e trasportato in circolo sanguigno ad un organo bersaglio su cui agisce
modificandone la funzione e generalmente stimolandone l’attività.
I principali ormoni steroidei maschili sono gli androgeni il più importante è il
testosterone.
Sono prodotti nel testicolo e determinano lo sviluppo delle caratteristiche
primarie (apparato
riproduttore i dotti i genitali esterni e la produzione di spermatozoi) e
secondarie che sono
collegate alla mascolinità (la profondità della voce, i peli facciali e ascellari e
la notevole
massa muscolare).
Il testosterone ha attività anabolizzante nei confronti delle proteine.
Sia la produzione di androgeni sia la maturazione degli spermi rappresentano
processi
controllati dall’ipotalamo e dagli ormoni dell’adenoipofisi.

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