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6) Registrare regole e regolarità della vita tribale, tutto ciò che è permanente e
fisso, delineare l’anatomia della cultura, descrivere la costituzione della loro
società. Queste cose, cristallizzate e fisse non sono mai formulate. Non vi è
codice di leggi scritte o espresse esplicitamente, l’intera tradizione tribale,
l’intera struttura della loro società è incorporata nell’essere umano. Nemmeno
qui le idee sono formulate in modo preciso. Obbediscono agli imperativi, alle
forze del codice tribale ma non lo comprendono, allo stesso modo in cui
obbediscono ai loro impulsi. Le regolarità nelle situazioni indigene sono il
risultato automatico dell’interazione fra le forze mentali della tradizione e le
condizioni materiali dell’ambiente. Ne è parte, vi si trova dentro, ma non ha
immagine dell’azione totale che ne risulta e non è in grado di formulare un
resoconto sulla sua organizzazione. Nella nostra società ogni organizzazione ha
i suoi membri intelligenti, negli indigeni nulla di tutto questo. Superare questa
difficoltà: raccogliere dati concreti offerti dall’esperienza e ricavare da solo le
conclusioni generali.
Non possiamo porgli domande astratte e generali, ma porgli come viene
trattato un determinato caso. “Come trattate o come punite un criminale?” Un
caso reale spingerà gli indigeni in un discussione impetuosa, espressioni di
8) Terzo ed ultimo obiettivo del lavoro sul terreno. Scheletro: schema della
costituzione tribale ed elementi culturali cristallizzati, carne e sangue: dati di
vita quotidiana e comportamento usuale, vi è ancora da registrare lo spirito.
Giudizi, opinioni, espressioni. Azione di vita familiare. Routine prescritta dalla
tradizione, modo in cui viene compiuta ed infine i commenti nella mente
indigena. Sentimenti, impulsi sono modellati e condizionati dalla cultura in cui
si trovano.
L’ambiente sociale e la cultura in cui si muovono li costringe a pensare in una
determinata maniera.
Terzo comandamento del lavoro sul terreno: scopri i modi tipici di pensare e di
sentire corrispondenti alle istituzioni e alla cultura di una data comunità e
formulare i risultati nella maniera più convincente. Citare testualmente le
affermazioni di importanza decisiva. Un passo importante può essere compiuto
dall’etnografo che acquisti la conoscenza del linguaggio. La traduzione privava
il testo delle sue caratteristiche significative: corpus inscriptionum.
L’osservazione partecipante
Si scontra con la realtà che intende studiare. Si può scomporre questa
situazione di base in due distinte: quelle che rientrano nel campo
dell’osservazione (il ricercatore è testimone), e quelle del campo
dell’interazione (il ricercatore è coattore).
Se le informazioni e le osservazioni sono registrate si trasformano in dati e
corpus. Se restano informali e latenti rientrano nell’ordine dell’impregnazione.
I dati e il corpus
Osservazione. Procedere a prendere appunti, organizza la conservazione di ciò
a cui ha assistito. Produrrà dei dati e costituirà dei corpus che saranno oggetto
di spoglio e trattati ulteriormente. Assumono la forma del taccuino, registra ciò
che sente e che vede. Solo quello che vi è scritto continuerà ad esistere sotto
forma di dato.
I dati non sono pezzi di realtà conservati tali quali (illusione positivista), non più
di quanto siano pure costruzioni del suo spirito e della sua responsabilità
(illusione soggettivista). I dati sono la trasformazione in tracce oggettivate di
pezzi di realtà come sono stati selezionati e percepiti dal ricercatore. Non si
deve sottovalutare l’intento empirico dell’antropologia. L’osservazione è la
prova del reale a cui è sottomessa una curiosità pre-programmata. La
competenza sta nel poter osservare ciò a cui non si è preparati e nell’essere in
grado di produrre i dati che l’obbligheranno a modificare le proprie ipotesi.
1. Una parte non trascurabile dei comportamenti, non è modificata dalla
presenza dell’antropologo, una delle dimensioni del saper fare è valutare qual
è. La presenza prolungata del ricercatore è il principale indice di riduzione dei
fattori di disturbo dovuti alla sua presenza;
2. Problema posto da quella parte di comportamenti dovuti alla presenza del
ricercatore, due soluzioni:
- Tentare di annullare questo cambiamento, eliminare ciò che l’osservatore
ha di esteriore. Da un lato si avrà l’endo-etnologia, o la formazione di
ricercatori indigeni, dall’altro la conversione;
- Trarne profitto. E’ il processo stesso di questa modificazione a diventare
oggetto di ricerca. Utilizzare la propria presenza in quanto ricercatore come
metodo d’indagine diventa una delle dimensioni del saper fare.
La posizione adatta di solito è a metà tra le due. Si pone all’interno del gruppo
in posizione di “straniero simpatizzante”. Integrazione relativa ma reale.
Ascoltare i dialoghi delle persone ha la stessa importanza dei dialoghi con
l’antropologo.
Costantemente immerso in relazioni verbali, non verbali, semplici, complesse.
Sposa le forme del dialogo ordinario.
Il taccuino non attiene né al diario personale, né al taccuino dell’esploratore,
ma alla strumentazione professionale di base. Sanjek “gli appunti sul campo
sono la fabbrica dell’antropologia”.
L’impregnazione
Osserva e interagisce senza prestarvi troppa attenzione, senza avere
l’impressione di lavorare, senza prendere appunti, né durante né dopo.
Vivendo osserva, e tali osservazioni vengono registrate nel suo inconscio. Non
si trasformano in corpus, non si scrivono nel quaderno di campo. Ruolo
importante nella familiarizzazione con la cultura locale, nella capacità di
decodificare senza prestare attenzione ai gesti di altri. Tutto ciò che accade al
di fuori delle ore di lavoro, è così che si impara a padroneggiare i codici di
buona creanza. Considerare il cervello come una scatola nera, non curarsi del
suo funzionamento.
I colloqui
La produzione di dati sulla base di discorsi con gli autoctoni sollecitati,
elemento centrale di ogni ricerca sul campo. Primo: osservazione partecipante
non permette di accedere a numerose informazioni necessarie alla ricerca, si
deve ricorrere agli attori locali. Secondo: gli attori sociali sono un elemento
fondamentale in ogni comprensione del sociale. Rendere conto del punto di
vista dell’attore è la grande ambizione dell’antropologo. Appunti e trascrizioni
di colloqui corrispondono alla parte più consistente dei corpus di dati
dell’antropologo. Si parla di politica del colloquio, modi di saper fare.
Consulenza e racconto
1. Consulenza. Invitato a dire ciò che pensa o conosce rispetto a
quell’argomento, si presuppone che rifletta un sapere comune e condiviso dagli
altri attori locali. E’ la sua competenza sulla società locale ad essere sollecitata.
Non significa sia un esperto.
2. Racconto. Il soggetto può essere sollecitato riguardo alla sua esperienza
personale. Raccontare questo o quel frammento della sua vita, di rendere conto
degli avvenimenti di cui egli è stato attore. Racconto in prima persona.
Sequenze di vita, racconti di episodi biografici delimitati.
Il colloquio e la durata
Un colloquio, è l’inizio di una serie di colloqui e relazioni. Non è incartamento
chiuso, ma pratica esperta, che si può sempre arricchire. Diversi colloqui con lo
stesso interlocutore sono modi per avvicinarsi alla modalità di conversazione.
I procedimenti di censimento
Si tratta di produrre sistematicamente dei dati intensivi in numero finito
(conteggi, inventari, nomenclature, piani, liste, genealogie).
E’ impegnandosi nella ricerca di dati empirici aventi un grado ragionevole di
sistematicità e di organizzazione che il ricercatore assume il distacco
necessario rispetto ai discorsi (degli altri) e alle impressioni (le proprie). La
raccolta di dati emici (dati discorsivi che intendono dare accesso alle
rappresentazioni autoctone degli attori) si combina con quelli etici (dati
costruiti con dispositivi di osservazione e misura).
Forniscono cifre, non si tratta più di ricerca qualitativa, ma di un certo
quantitativo intensivo su piccoli insiemi.
Le fonti scritte
Alcune sono raccolte prima della ricerca sul campo, in questo caso permettono
una familiarizzazione, l’elaborazione di ipotesi esplorative e di domande
particolari. Altre sono inscindibili dalla ricerca sul campo. Altre possono
costituire corpus autonomi, distinti e complementari a quelli della ricerca sul
campo.
Lo studio di casi
Fa convergere i quattro tipi di dati distinti intorno ad un’unica sequenza sociale,
circoscritta nello spazio e nel tempo. Intorno ad una situazione sociale
particolare, l’antropologo farà un confronto incrociato tra le due fonti.
La scuola di Manchester è stata la prima a fare uno studio di questo metodo.
Gli impieghi interpretativi e teorici dello studio dei casi sono molteplici. Alcuni
illustrano, altri descrivono e analizzano.
La triangolazione
E’ il principio di base di ogni inchiesta: le informazioni devono avere dei
riscontri, ogni informazione è da verificare.
Triangolazione semplice: si fa un confronto incrociato tra gli informatori, per
non essere prigioniero di un'unica fonte. Triangolazione complessa: si cerca di
analizzare la scelta di tali molteplici informatori, intende far variare gli
informatori in funzione del loro rapporto con il problema. Ricercare dei discorsi
in contrasto, rendere l’eterogeneità delle argomentazioni oggetto di studio,
strategia di studio sulla ricerca delle differenze significative.
Si giunge al concetto di “gruppo strategico” (aggregazione di individui che
hanno globalmente, di fronte ad uno stesso problema, uno stesso
L’iterazione
Procede per iterazione: per andate e ritorni. Iterazione concreta (l’inchiesta
procede in modo non lineare tra gli informatori e le informazioni) o di iterazione
astratta (la produzione di dati modifica la problematica che modifica la
produzione di dati che modifica la problematica).
I suoi interlocutori non sono scelti in anticipo con un metodo di selezione,
prendono posto secondo un continuo compromesso nei piani del ricercatore. Da
ogni colloquio nascono nuova piste, la dinamica dell’inchiesta crea il cammino.
La ricerca sul campo si adegua, non ha niente di lineare.
Iterazione astratta: va e vieni tra problematica e dati, interpretazioni e risultati.
L’esplicitazione interpretativa
Punto legato al precedente. Le interpretazioni e riformulazioni dell’oggetto di
ricerca si operano durante la produzione dei dati, sfocia spesso in una
contraddizione o paradosso. Presuppone una verbalizzazione continua,
un’autovalutazione continua.
Il diario del campo permette di ”fare il punto” e di ovviare alla mancanza di
dialogo scientifico nel corso di un’inchiesta che lo rende indispensabile. Può
essere un prodotto finito (tristi tropici) oppure un supporto dei processi
d’interpretazione legati alla produzione dei dati. Può essere assicurata dalla
redazione continua di schede interpretative, Strauss (memoring), accanto alla
produzione di dati (data collecting) e alla codificazione (coding).
La verbalizzazione può essere assicurata dal dialogo con un assistente di
ricerca, persona istruita proveniente dall’ambiente locale.
Lavoro di squadra: verbalizzazione e oggettivizzazione sono assicurate dalla
presenza di un dibattito nel cuore stesso del processo di ricerca empirica.
La costruzione di “descrittori”
Modo di praticare l’esplicitazione, attraverso la ricerca di dati ad hoc che
trasformano le interpretazioni rendendole osservabili. Si fissano dei mediatori
tra concetti interpretativi e corpus empirici. Costruire degli insiemi pertinenti di
dati qualitativi che consentano di confermare o smentire o di modificare le
proposizioni interpretative.
La saturazione
Ci si accorge presto quando su un problema decresce la produttività delle
osservazioni e dei colloqui. A ogni nuova sequenza si ottengono sempre meno
informazioni nuove.
La durata dipende dalle proprietà empiriche, cioè dalle caratteristiche del tema
di ricerca che il ricercatore si è dato in questa società locale.
Glasser e Strauss: ”quando non vengono trovati dati aggiuntivi con i quali il
sociologo possa sviluppare proprietà della categoria, vede e rivede casi simili, il
ricercatore acquisisce sicurezza che la ricerca sia satura”.
L’”incliccaggio”
L’inserimento del ricercatore nella società non si fa mai con la società nel suo
insieme, ma attraverso gruppi particolari. Il ricercatore spesso può essere
assimilato ad una “clique” (fazione locale), comporta due inconvenienti.
Diventare troppo la voce di un clique e di riprenderne i punti di vista, dall’altro
vedersi chiudere la porta in faccia dalle altre cliques. Il ricercatore dipende
dalle affinità e ostilità del suo interprete.
Rappresentazioni e rappresentatività
Linguaggio della rappresentatività, quando le testimonianze di alcune persone
sono presentate come se riflettessero una cultura. La ricerca sul campo parla di
rappresentazioni o di pratiche, non della rappresentatività delle
rappresentazioni o delle pratiche. Non si deve far dire all’inchiesta sul campo
più di quanto possa dire. Proporre una descrizione delle principali
rappresentazioni che i principali gruppi locali si fanno a proposito di un dato
problema. Permetterà di descrivere lo spazio delle diverse logiche d’azione o
delle diverse strategie messe in atto in un dato contesto.
Tra il 1422-1812 è prevalsa l’idea dell’origine egiziana degli zingari e della loro
discendenza diretta da Cus, figlio di Cam, figlio maledetto di Noé. Homo
cingaricus, discendente dal seme maledetto di Noè, risultano fondamentali per
capire l’attuale posizione dei rom all’interno dei gage.
Chi vuole fare ricerca sul campo deve convincersi che è impossibile stabilire il
confine tra soggetto e oggetto, “in una scienza in cui l’osservatore ha la stessa
natura del suo oggetto, l’osservatore stesso è una parte della sua
osservazione” (Strauss). Etnografia xoraxané marcata da un approccio
oggettivista, quella dei rom approccio etno-scientifico.
Approccio oggettivista: antropologia accademica, la realtà è la fuori, sta a te
scoprirla e scoprire le leggi. La realtà è sempre quella e non varia al variare
dell’osservatore.
Vivendo tra i xoraxané ha scoperto che avevano un sistema di parentela e
terminologie di parentela che non erano segnalati nei libri.
L’etnoscienza si rifà allo strutturalismo.
La loro presenza era legale. Diritto di voto (pochi lo fanno), adempire i doveri
come servizio militare (cercano l’evasione). Le attività di compravendita non
erano legalizzate perché i rom non avevano licenza (difficoltà burocratiche per
ottenerla e evasione di tasse).
Entrai nell’anello debole della comunità. Coppia madre-figlia. Poi accampato da
rom stranieri di passaggio al campo.
Poi avvicinato a Pita (anziano rom, intelligentissimo, in contrasto con famiglia
dominante).
Impossibile ricerca del tipo “chiedi questo e quello”, difficile ottenere
informazioni a domande dirette. I rom partono da piste di discorsi remote,
avvicinandosi all’argomento con moto spirale. La condizione dei neri-
nordamericani e degli zingari non è tanto diversa, immersi fra una popolazione
maggioritaria che li discrimina ma che tenta contemporaneamente di sfruttare
la loro forza-lavoro. Hanno entrambi creato forme di resistenza contro
l’annullamento culturale basate spesso su comportamenti di contrapposizione.
Ogni comportamento dell’”esterno” considerato come coercitivo viene
scoraggiato. Se il rom sa che lo chiami per fargli domande non verrà mai. Per
un gagio l’intensità della vita rom può essere uno stress psicologico. Mai
scattato foto e adoperato il registratore, situazione di immersione completa
non sentivo il bisogno.
L’ausilio minimo di tecnologia era dettato dal mio atteggiamento e-vadente.
Desiderio di immersione accompagnato dall’impossibilità di essere invisibile.
Volevo far scomparire il ricercatore e lasciare posto all’informatore, cercavo la
descrizione della realtà percepita dai rom.
Imparando la lingua e conoscendo il loro mondo avevo iniziato a toccare
“l’incommensurabilità della culture”, non significa intraducibilità.
Immersione evadente. La partecipazione al fuoco in una accampamento rom
pubblicizzava le relazioni vigneti. Xoraxané (ogni famiglia si accendeva il suo),
fra i rom era previsto un solo fuoco, la presenza di più fuochi segnalava
antipatie. Molto smaliziati nel tentativo di volersi integrare spesso accoglievano
dei gage.
Per entrare nella loro testa bisogna ricategorizzare il loro mondo. Combattevo
per l’acquisizione di una conoscenza che scompigliava i modelli cognitivi già
interiorizzati.
Il dominio cognitivo rom non opera in un mondo parallelo, ma nel tuo. Il “là” è
un “qui”, la mia vita tra i rom mi insegnava che nel mio mondo, c’erano più
mondi. Per questo è impossibile descrivere una differenza tra la mia esperienza
etnografica e la mia esperienza e basta.
L’esperienza etnografica per immersione ti salva dagli eccessi delle ipotesi
deduttive per lasciare spazio di manovra all’empiria deduttiva del quotidiano.
Immersione: con essa si è completamente all’interno o irrimediabilmente al di
fuori. La situazione e la natura del gruppo implicavano al partecipazione con
metodo.
Traduzione
Furono i balinesi a venirmi incontro, a convincermi che ciò che avevo scritto era
gusto.
“Teoria della traduzione” (balinese) collegata con “teoria del linguaggio e della
comunicazione” (avanzata da Davidson, elaborata da Rorty).
Queste due teorie hanno in comune che raccomandano di andare oltre le
parole, guardare al di là delle apparenze e delle infiorettature esteriori per
arrivare a ciò che conta davvero, cioè a quanto vi è di comune nelle esperienze
umane.
Rorty: “progresso morale nella direzione di una maggiore solidarietà umana,
vista come l’abilità di considerare un numero sempre maggiore di tradizionali
differenze come non importanti rispetto alla similarità che riguardano
sofferenza e umiliazione, la capacità di pensare a persone estremamente
diverse da noi, comprendendole nella sfera del noi.”
Sacerdote-guaritore balinese, nella differenza tra religioni: “completamente
diverse, perfettamente uguali”.
Risonanza e comprensione
Lontar (associazione votata allo studio dell’antica saggezza delle sacre
scritture): la loro idea di come avrei dovuto scrivere se volevo trasmettere al
mondo la comprensione di cosa fossero i balinesi. Dovevo creare la risonanza
fra il lettore e il mio testo.
Dovevo prima creare la risonanza in me stessa, con la gente e i problemi che
cercavo di comprendere. Favorisce l’empatia e la compassione. Senza non può
esserci compassione e vera conoscenza. Usare sia il sentimento sia il pensiero,
il più essenziale è il sentimento, senza quello si rimane invischiati nelle illusioni.
I balinesi non fanno differenza tra il feeling, il sentimento e il pensiero, ma li
considerano parte di uno stesso processo (keneh) tradotto come feeling-
pensiero. E’ possibile pensare senza il cuore?
Hanno il sospetto che gli occidentali pensano di poter pensare con il pensiero e
perciò pervenire ad una comprensione profonda e autentica, ”arrivare al cielo
con una corda corta”, basando la nostra ricerca su fondamenta che si sciolgono
Oltre le parole
Quello che occorre è porre attenzione a quello che la gente ha da dire e cercare
di trasmettere, non brancolare alla ricerca di risposte più ampie nei particolari
delle parole che hanno pronunciato.
Andare oltre le parole, due motivi. Primo: oltre le espressioni manifeste.
Prendere alla lettera ciò che la gente dice per pervenire alle loro intenzioni.
Secondo: esortazione ad una più ampia applicazione del discorso, come
modello o come metafora, per rappresentare tutte le interazioni sociali.
Passing theories
Incontrare una persona che appartiene ad una culture differente, come
procedere?
Elaborare un vocabolario adatto allo scopo. Ricorrere ad una serie di congetture
su cosa l’altra persona potrà fare in quelle circostanza. Lo stesso farebbe l’altra
persona rispetto a noi. Davidson lo definisce “passing theories” (teoria
provvisoria, momentanea, che si rimodella continuamente) riguardo ai rumori e
alle indiscrezioni prodotte da un essere umano. La teoria deve essere
costantemente corretta.
La visione di Davidson della comunicazione linguistica prescinde dall’immagine
delle differenti lingue come barriere fra persone e culture. Due comunità hanno
difficoltà ad andare d’accordo perché le parole che usano sono troppo difficili
da tradurre nella lingua dell’altro, equivale a dire che il comportamento degli
abitanti di una comunità è difficile da capire per quelli dell’altra comunità.
Imparare ad interessarsi
Costruire un’antropologia che sappia tenere conto delle sofferenze e delle gioie
della gente, così che nelle testimonianze non ci siano solo parole ma quello che
hanno veramente detto. Teoria che ci consenta di vedere la comunicazione
all’interno delle interrelazioni sociali e di mettere il non-detto e ciò che è ovvio
per il parlante al proprio posto, prima di focalizzarsi su concetti e su discorsi.
Falsa risonanza, ci si difende con il coscienzioso coinvolgimento giorno dopo
giorno. Condividere un mondo con gli altri significa occuparsene allo stesso
modo.
Dobbiamo immergerci in noi stessi per cercare un ponte fra noi e gli altri.
Perché operi la risonanza dobbiamo liberarci dai preconcetti: cioè pensare che
gli altri siano diversi da noi, che vadano conosciuti tramite la loro cultura e che
le loro parole rivelino mondi di vita diversi.
Cultura e nativi
Lasciare che si oda la loro voce. La ricerca del significato ci rende ciechi a ciò
che vivere significa realmente. Per tradurre da una cultura all’altra dobbiamo
essere pronti a rinunciare a un po’ di rigore logico sull’altare di una maggiore
solidarietà umana.
Secondo i balinesi il problema è che noi non abbiamo risonanza con loro, e non
perché non parliamo la loro lingua.
Risonanza e culture ci portano in direzioni differenti.
Significato e potere
Migliorare la padronanza di una lingua non migliora per forza la nostra
comprensione.
Chiudere il cerchio
“Quello che non possiamo dire è che i fatti siano indipendenti da ogni scelta
concettuale”.
I balinesi hanno un modo diverso dal nostro di mettere le emozioni in un
contesto. Invece di vederle come una risposta privata, percepivano l’emozione
come incorporata nelle situazioni sociali, un’emozione che poteva essere
esplorata con la valutazione di più fatti.
Andare oltre le parole e le espressioni: non sapere leggere significati più
profondi del comportamento apparente, ma prestare attenzione alle
preoccupazioni e intenzioni delle persone. È il modo per raggiungere l’altra
faccia delle parole dei concetti per apprezzare la loro rilevanza pan-umana.
basta leggere il suo diario per convincersi del suo scarso entusiasmo per la
pratica della partecipazione.
Dalla metà del ‘900 in poi, l’osservazione partecipante diventa la base della
ricerca etnografica.
Il termine Osservazione Partecipante è una contraddizione letterale:
l'osservazione implica il guardare un qualcosa di esterno, la partecipazione,
invece, comporta un coinvolgimento all'interno della situazione e, quindi, la
perdita della posizione di osservatore.
Per osservazione partecipante si intende la situazione di ricerca in cui
l’osservatore fa ogni sforzo per diventare un membro del gruppo che deve
studiare allo scopo di riuscire a provare le stesse sensazioni (e di raggiungere
così una comprensione non mediata) e per cercare di provocare il minimo di
distorsione e di cambiamento degli eventi e dei comportamenti.
Per cancellare dalla mente degli individui la consapevolezza di essere osservati
da un estraneo
1) eliminare la presenza dell’osservatore;
2) trasformare l’osservatore in una spia consumata
3) Lasciare dietro di sé ogni idea preconcetta → (relativismo culturale)
Proprio per questi motivi è frequente al pratica di andarsi a stabilire presso il
gruppo umano studiato per un lungo periodo di tempo, condividendo con loro
ogni aspetto della vita quotidiana e, al tempo stesso, mantenendo la doppia
immagine di osservatore e ospite.
Il problema resterà quello di riuscire a definire quali siano i criteri precisi per
l’attuazione del metodo scientifico, inoltre ci si interroga anche se sia poi così
vero che per comprendere un fenomeno occorra viverlo (in questo caso com'è
possibile studiare fenomeni quali la prostituzione o i crimini, o ancora, come la
mettiamo con un ginecologo di sesso maschile?).
Un altro problema, individuato da Bruce Jackson, è la posizione eticamente
incerta in cui può venirsi a trovare l'antropologo (come bisogna comportarsi
quando, a causa della fiducia accordata, vi viene affidato un segreto che
potrebbe fare del male a qualcuno?).
Dal momento che non si può osservare tutto, quali criteri selettivi bisogna
interpellare? Di fronte a questo dubbio, alcuni si rifugiano in una sorta di
empirismo ossessivo che costringe a guardare/toccare/ascoltare tutto e tutti
perché potrebbe contenere un “pezzo di cultura” fondamentale.
Questo metodo da un lato ha pretese di autenticità, per questo suo rifiuto di
mediazione e il bisogno di acquisire tutto in via diretta, ma dall'altro
l'applicazione radicale di queste tecniche di partecipazione avvolge la ricerca
etnografica e la isola da qualsiasi forma di misurazione con altre ricerche.
Handicap tecnico vistoso dell’osservazione partecipante consiste
nell’impossibilità di effettuare una qualsiasi forma di registrazione dei fenomeni
osservati, all’infuori di quanto è possibile depositare in memoria. → es: se ci
troviamo a fare ricerca in un pellegrinaggio e dobbiamo far credere agli altri
compagni di essere coinvolti in quello che stiamo facendo, non sarà opportuno
farsi vedere occupati a scrivere, fotografare o registrare e bisognerà quindi
rinviare di qualche giorno le annotazioni e rinunciando così alle impressioni
immediate che probabilmente dimenticheremo.
In realtà è quasi impossibile diventare un tutt’uno con l’indigeno. Lo slogan
let's go Native non ha mai funzionato, ma è figlio del relativismo estremo.
Inoltre la considerazione di estraneo non-partecipante presenta molti vantaggi
ai fini delle rilevazione etnografica: spesso certi argomenti scottanti vengono
affrontati più liberamente con un estraneo piuttosto che con un membro della
comunità.
Alcuni distinguono tra:
– forme di osservazione partecipante
– forme di osservazione passiva/non partecipante → a tal proposito
Morris Freilich ha proposto l'etichetta di Indigeno Marginale, partendo
dall’idea che una totale indigenizzazione non sia possibile, lo vede
oscillare tra un ruolo di indigeno e uno di indagine, caratteristica doppia
di appartenenza e estraneità.
Vantaggio →permette le forme di registrazione dei fenomeni dei singoli
casi, lo scopo evidente di osservare i fenomeni giustifica le sue
operazioni annotative/foto/filmati.
Alcuni casi, come feste e cerimonie, si prestano bene a questo metodo
osservativo in quanto la presenza di molte persone distoglie l'attenzione
dall'antropologo il quale non influenza così il comportamento delle
persone.
Al contrario, in una situazione intima e raccolta in cui l'azione è minima,
non riuscirà a non turbare la qualità dell'evento che sta osservando.
Per questo è meglio usare una via di mezzo, che preveda alcune forme di
colloquio, dove la presenza ineliminabile dell’estraneo osservatore si
trasforma almeno in interazione attiva ed esplicita.
3. Fenomeno osservato:
- naturale o ricostruito;
- nome descrittivo del fenomeno (es festa primaverile ecc);
- elementi relativi al tempo (giorno, notte, pause);
- interazione fra i partecipanti (incoraggiamento, accoglienza,
disapprovazione, esclusione);
- struttura e sequenze interne (ordine delle azioni, divisioni dell'azione,
stile delle azioni → voce, postura, gesti, emotività)
- eventuali collaboratori;
- tecniche documentarie (disegni, fotografie, appunti, registrazioni)
- eventuali situazioni di disagio (confusione, incomprensioni)
Ansie metodologiche
Il passaggio all’etnografia multi-situata potrebbe dare origine a tre distinte
ansie metodologiche derivanti da
– Constatazione dei limiti dell'etnografia
– Ridimensionamento del potere sul campo
– Perdita del subalterno
Una risposta è che il campo, nella forma in cui viene tradizionalmente percepito
e praticato (ovvero esperienza di ricerca sul terreno), è già multi-situato, il
campo copre siti di lavoro potenzialmente interconnessi (in quanto con
l'evolversi della progettazione della ricerca intervengono principi di selezione
che delimitano il campo effettivo dell'oggetto di studio).
ricerche per andare alla ricerca di uno spazio riconfigurato fatto di siti multipli
di produzione culturale.
È quindi errato pensare che l'etnografia multi-situata si limiti ad aggiungere
una prospettiva periferica alla tradizionale prospettiva del subalterno.
Piuttosto questa prospettiva disegna un oggetto di studio nuovo, nella quale le
narrative situanti (resistenza e adattamento) si qualificano per l’ampliamento
del quadro etnografico di ricerca.
L'etnografia multi-situata non è neanche un diverso tipo di comparazione
controllata (metodo della pratica antropologica). In questa disciplina la
comparazione controllata convenzionale è multi-situata, ma opera su un piano
spaziale lineare.
Nelle discipline etnografiche multi-situate,la prospettiva comparativa si
sviluppa de facto come funzione della discontinuità e delle fratture dei piani di
movimento e di scoperta fra siti, quando si mappa l’oggetto di studio e si
devono porre le logiche di interrelazione, traduzione e associazione fra i diversi
siti. Nell’etnografia multi-situata la comparazione nasce quando si interroga
l’oggetto di studio che emerge. L’oggetto di studi è mobile e multi-situato. La
comparazione entra in gioco nell’atto della specificazione dell’etnografia.
Arene interdisciplinari e nuovi oggetti di studio
L’importante capitale teorico associato al postmodernismo è ricco di stimoli per
l’etnografia multi-situata. Questo capitale teorico non è la fonte immediata dei
termini in cui la ricerca etnografica multi-situata viene pensata e concepita. Dal
punto di vista intellettuale, è costituita nei termini di specifiche costruzioni e
discorsi che appaino all’interno di varie arene interdisciplinari che sono
altamente consapevoli di sé e si avvalgono dell’importante capitale teorico che
ispira il postmodernismo con l’obiettivo di riconfigurare le condizioni per lo
studio delle culture e delle società contemporanee.
Purtroppo esistono più concetti/visioni dell'etnografia multi-situata di quante
siano state le esperienze realizzate. Ad ogni modo, non c'è dubbio che
all'interno delle varie aree interdisciplinari le aree per la riconfigurazione degli
oggetti di studio futuri non vengono da eserrcizi teorici distaccati, ma da
ricerche in corso per le quali non si è ancora stabilito che forma dare alla
scrittura/pubblicazione dei risultati.
Un’area importante di studi è la ricerca sui media nella quale sono nati molti
generi di ricerca: su produzione (settore della tv, cinema) e ricezione, queste
due funzioni sono state messe in relazione nell’ambito di progetti di ricerca
individuale, rendendo in questo modo ancora più difficoltosa la traiettoria dei
modi della ricerca etnografica.
In antropologia c'è stato uno spostamento dal vecchio interesse per i film
etnografici verso il campo dello studio dei media indigeni. Questo spostamento
è stato favorito dagli studi etnografici e dalla partecipazione ai movimenti
indigenisti contemporanei interni agli stati nazione.
Il controllo dei mezzi di comunicazione di massa e il ruolo da attivisti indigeni
intesi come produttori di questi movimenti, hanno riorganizzato lo stazio nel
quale le etnografie di molti soggetti antropologici tradizionali possono
realizzarsi concretamente.
Lo Studio sociale e culturale della scienza e della tecnologia rappresenta
un'altra attenzione etnografica.
Invece nel lavoro antropologico svolto nell'ambito degli studi culturali prevale la
tendenza verso la ricerca multi-situata nelle seguenti aree:
Modalità di costruzione
Le forti visioni concettuali di spazi di ricerca multi-situati che sono state
influenti in antropologia non fungono anche da guida per disegnare una ricerca
che possa illustrare e rendere concrete queste visoni ed è per questo motivo
che c'è bisogno di una discussione delle questioni metodologiche.
La ricerca multi-situata è disegnata attorno a catene, filoni di luoghi particolari
nei quali si stabilisce una forma di presenza letterale con un’esplicita e
dichiarata logica di associazione o collegamento fra i siti che definiscono
l’oggetto della ricerca.
L'etnografia multi-situata definisce il proprio oggetti di studio servendosi di
varie modalità tecniche che si possono considerare pratiche di costruzione
dell’oggetto di studio per mezzo di movimenti con l’obiettivo di seguire un
fenomeno culturale complesso partendo da un’identità concettuale di base che,
mentre si lavora, si rivela contingente e flessibile.
Seguire la gente
Questa tecnica è il sistema più ovvio e convenzionale per realizzare ricerche
multi-situate e Argonauti del Pacifico di Malinowski ne è l'esempio più
rappresentativo.
Il procedimento si basa sul seguire i movimenti di un gruppo. L'esempio più
chiaro di questa modalità di ricerca sono gli studi sulla migrazione.
Seguire la cosa
Questo modo di costruzione di spazi di ricerca consiste nel tracciare la
circolazione attraverso diversi contesti di un oggetto di studio palesemente
materiale (denaro, doni, opere d’arte, ecc). Questo è l’approccio più comune
allo studio dei processi del sistema capitalistico mondiale.
Anche se non esiste alcuna etnografia associata agli studi sull'economia
politica capitalistica che abbia un approccio orientato alla cosa,è nata
comunque una quantità impressionante di ricerche incentrate su consumi e
merci. Sono ricerche pur non essendo multi-situate al livello del disegno della
ricerca, traggono ispirazione da uno spirito aperto, orientato agli oggetti
attraverso vari contesti.
La ricerca che fa più uso di questa tecnica sembra essere quella incentrata
sugli studi dei mondi contemporanei dell’arte e dell’estetica.
Il metodo del “seguire la cosa” per la costruzione degli spazi di investigazione
risulta preminente nei più influenti lavori consapevolmente multi-situati
nell’arena degli studi scientifici e tecnologici.
Seguire la metafora
Quando l’oggetto della traccia si situa nell’ambito del discorso e delle forme di
pensiero, allora il progetto è legato dalla circolazione di segni, simboli e
metafore. Questo metodo prevede il tentativo di tracciare il radicamento a
livello sociale di associazioni che sono essenziali nell’uso parlato/scritto del
linguaggio e nei media a carattere visuale.
Questa modalità di elaborazione delle ricerche è efficace per unire fra loro
ambienti di produzione culturale in apparenza scollegati e per dare vita a
nuove visioni empiricamente argomentate di paesaggi sociali.
Seguire il conflitto
Trascendere la razza?
Il problema dei rapporti di potere ha bisogno di essere analizzato con
attenzione, dato che inevitabilmente sorgono interrogativi che riguardano la
definizione delle relazioni di potere. L'aggressione diretta di cui è stata vittima
l'antropologa l'ha fatta sentire senza potere,sola e minacciata. Nonostante ciò il
suo status sociale di antropologa bianca trasmetteva potere (diritto ad
investigare, partecipare, conoscere ed interpretare). Ma nonostante le
intenzioni non fossero quelle di spiare, ma solo di osservare e comprendere,
quella non era la circostanza adatta per farlo. Il fatto che l'antropologa desse
per scontato che avrebbe potuto partecipare al forum in quanto simpatizzante
con l'idea dell'emancipazione, andava associato ad una supposta invisibilità
bianca.
L’ingenua indignazione dei bianchi quando si trovano di fronte alla percezione
dei neri della semplice presenza dei bianchi come terrorismo è anch’essa una
forma di razzismo: è una mancanza di comprensione che nega all’altro la
possibilità di un proprio punto di vista. Infatti non esiste un punto di vista
oggettivo, ma ognuno parte da un proprio punto di vista.
La ricerca svolta dall'antropologa è stata svolta in un scenario istituzionale che
favoriva lo spazio per molti discorsi conflittuali e proprio come la gente li
presente non costituiva un tutto omogeneo, allo stesso modo, in quel contesto,
non era omogenea neanche la percezione ed il ruolo dell'antropologa stessa.
La maggior parte delle persone soggiornavano pochi giorni ed era per questo
impossibile stabilire un rapporto di fiducia indispensabile per avviare quel “teso
e tormentato dialogo”, visto anche che lo scenario di quell'incontro era
politicamente caldo. → La pelle bianca risalta come marchio di appartenenza
politica ed oscurava ogni aspetto della personalità dell'antropologa.
Ma durante quel lavoro, ci furono anche alcune possibilità di attraversare i
confini razziali, e per aprire un varco alla comprensione occorreva lasciare
spazio alla propria soggettività, non limitarsi a stare seduti ed ascoltare, bensì
tirare fuori opinioni. Prendere sul serio i propri interlocutori significa criticarli, e
viceversa farsi criticare, per questo motivo durante i numerosi colloqui con i
sostenitori del pan-africanismo (alcuni dei quali sfociavano in vere e proprie
discussioni politiche), il ruolo dell'antropologa non fu mai soltanto quello di
colei che stava svolgendo un'indagine, ma lei stessa divenne soggetto di
ricerca. Ciò la rese di nuovo visibile, solo che dietro l’etichetta dell’antropologa
c’era la persona.
La soluzione in questi casi non è solo l’iper-identificazione con gli altri, il “farsi
nativi”.
Riflettere sulla propria posizione e accettare la sua relatività non significa
perdere quella posizione. Dar voce a quella posizione è l’unico modo per
portare le persone con le quali si conversa a esprimere il proprio punto di vista.
Per raggiungere un radicale umanesimo non razziale è importante acquisire
consapevolezza delle diverse/contraddittorie posizioni.
I due mondi
Emigrare nel regno della malattia vuol dire costruirsi una cavità in un altro
mondo: muta la percezione della realtà, un senso di paura invade la coscienza,
nasce un senso di estraneità rispetto al mondo dei sani. Ci si sente diversi,
appartenenti ad un’altra dimensione, si è soli, non si condivide più con gli altri
la stessa percezione della realtà. Possono coesistere sensazioni che producono
sdoppiamento di natura traumatica fra il sé che ha tradito e quello che resiste.
Si parla del “sé malato” come il sé astratto di un altro, come se non ci
riguardasse.
La dimensione in cui si trova il malato e che lo accompagna per tutto il periodo
delle cure è una dimensione di liminalità (transizione, distacco da un mondo e
aggregazione ad un altro, crisi, in bilico tra un mondo perduto e uno da
guadagnare).
Anche il rapporto tra medico e paziente, come tutti i rapporti sociali, attraversa
diverse fasi.
Di solito il paternalismo si propone per primo ed il distacco può essere il
risultato della rottura del paternalismo al quale consegue poi una mancanza
della fiducia accordata dal medico al paziente. Quando sia paternalismo che
distacco falliscono (come metodi comunicativi), il rapporto medico-paziente si
inclina e nasce una situazione simile a quella del mobbing, e si addossa al
paziente il fallimento del rapporto.
Il Mobbing è socialmente definito come l'uso di una posizione di
sovraordinazione.
La Differenza tra mobbing-lavorativo e mobbing medico-paziente è la
dimensione temporale, infatti nel Mobbing-aziendale c'è una dimensione
quotidiana,mentre nel mobbing medico-paziente è assiste ad un'occasionalità
del rapporto. Questo tipo di mobbing sfugge all’osservazione, ed è incastonato
in una rete meno ampia di rapporti sociali, ciò è dovuto al fatto che nella nostra
società la consultazione e la cura avvengono in un contesto privatizzato e
individualistico ed il carattere sociale dell'incontro tra medico e paziente non è
subito palese, come accade invece con i riti pubblici di guarigione delle società
“primitive”.
La violenza si spiega nell'abolizione del vissuto del paziente, in contesti di
“somiglianza alla famiglia”, la punizione è il silenzio.
La differenza tra il mobbing tradizionale e quello degli ospedali sta nella qualità
del rapporto di potere: nel contesto aziendale si aliena la propria forza-lavoro,
in quello medico si aliena se stessi nella formula “mi metto nelle tue mani”.
formatosi su basi scientifiche (metà ‘800) che usava come forza terapeutica la
compassione umana.
Shorter sostiene che Il medico moderno godeva di fiducia incondizionata, il suo
potere derivava dal “salto sociale”, il paziente era disposto a mettersi
completamente nelle sue mani.
Questo senso di bionnipotenza declina con il medico “post-moderno” che
acquista poteri nuovi e autentici. Il paziente perde la fiducia a causa del ricorso
intensivo alla farmacoterapia, il medico diventa bio-medico interessato a
scoprire i danni all'interno del malato più che a capire il malato e per questo il
rapporto si inclina.
La bio-onnipotenza priva il malato di alcune certezze, prima fra tutte
l'incertezza della terapia.
Nonostante ciò, esiste una forte variabilità biologica e l'angoscia del medico
che tocca con mano la sua non-onnipotenza, il non poter guarire è
un’esperienza psicologica che può essere all’origine di comportamenti
problematici nelle relazioni con il paziente. Si pensa che il medico tenti di
controllare queste angosce stabilendo dei rapporti di potere con il malato, ma
di fatto con la malattia vissuta come nemico.
Il paziente può addossare al medico la colpa, o viceversa, più o meno
inconsciamente.
L'accusa di responsabilità è collegata al tema della colpa.
capire che il valore dell'uomo sano o malato va oltre il valore della salute o
della malattia e che la malattia può essere usata come strumento di
appropriazione/alienazione di sé, quindi come strumento di
liberazione/dominio.
Sherper-Hughes coniuga il termine di continuum di violenza per indicare una
serie di violenze che vanno da quelle esplose sulla scena pubblica fino alle
microviolenze di massa, alle violenze quotidiane e nascoste, passando ancora
per i genocidi invisibili che avvengono nelle istituzioni (scuole, ospedali,
prigioni). Questo coonium fa riferimento alla capacità umana di ridurre gli altri
allo status di non persone, includendo le varie forme di esclusione sociale,
disumanizzazione, spersonalizzazione.
L’empatia
Ridurre il paziente alla sua malattia impedisce la soggettività del malato e la
sua capacità di narrare (che fa parte della cura, nonostante non venga
riconosciuto da molti medici).
Studiosi di antropologia medica, evidenziano che narrare (ovvero collegare
immaginativamente esperienze ed eventi in un racconto denso di significato)
sia uno dei processi fondamentali negli sforzi personali e sociali per opporsi a
tale dissoluzione e alla ricostruzione del mondo,
situando la sofferenza nella storia, nelle relazioni sociali, ricostituendo un
ordine temprale dotato di senso.
È stato riscontarto che per un individuo/gruppo esprimere il proprio dolore può
suscitare un senso di liberazione e protezione rispetto all’ansia e alla
disperazione che accompagnano il malato. Questo bisogno di parlare è
giustificato dalla natura traumatica della malattia: le persone traumatizzate
raccontano e riraccontano l'evento facendolo diventare oggetto di una
memonia narrativa.
Il trauma ha una componente di irrisolto da completare e dotare di senso con la
narrazione. Narrare la propria storia è un’operazione volta a ricatturare il
passato.
La novità dei recenti studi nell'ambito dell'antropologia del corpo considera che
la malattia stessa aderisce ad una logica culturale del significato, è una realtà
simbolica costruita sulle pratiche narrative condivise dai sofferenti, le loro
famiglie i terapeuti.
Comprendere l’intersoggettività di paziente e guaritore è fondamentale,
l’intersoggettività è la fonte di forza per la cura.
La comunicazione (incontro fra medico e paziente) fa parte della cura, dato che
lo stato della mente è importante, il medico può aiutare il malato a potenziare
la sua capacità personale di recupero e guarigione.
È questo fattore “umanità” (che riconosce l’altro come “persona”), che si
intende quando si parla di empatia.
Qui il tema chiave è l’empatia. → generalmente sono proprio gli infermieri a
intuire che l'empatia fa parte della terapia, e sono proprio loro i primi a
lamentarsi delle regole che impongono loro di avere un rapporto informale con
i pazienti.
Nel mondo medico l’empatia ha un'importanza secondaria e viene vista con
disprezzo, quasi fosse un mostro sacro da cui tenersi lontani per evitare di
affogare in una comunicazione difficoltosa (nonostante l'empatia intesa come
vicinanza con gli altri è stata giudicata “la capacità morale più significativa
dell’uomo”).
Esistono due tipi di pazienti: quelli che chiedono tempo e un rapporto meno
superficiale, e pazienti che provengono da fasce sociali più disagiate e a cui va
bene l'assistenza loro offerta.
Bisogna chiedersi, se in questo caso i primi pazienti, quelli che chiedono
tempo, comportandosi cosi non tolgono tempo ai secondi, a coloro che non
chiedono nulla. Ed è una domanda lecita considerando che le disuguaglianze
nella salute in Occidente oggi dipendano anche nella qualità della cura a cui
alcuni hanno accesso e altri no.
Oggi è fondamentale un ripensamento del sociale che aiuti a passare dallo
spazio della regolamentazione, della punizione e della colpa, a quello del
conforto e del accoglienza (adottare quindi un atteggiamento più empatico).