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DERRIDA Politiche dell'amicizia (1994) 1.

. Oligarchie: nominare, enumerare, censire L'indagine che Derrida si propone di fare parte proprio dal famoso detto attribuito ad Aristotele e pluricitato dalla tradizione successiva: O miei amici, non c' nessun amico. Questa formuletta sembra autocontraddittoria: se non ci sono amici a chi mi rivolgo? Questo favorisce l'impostazione che Derrida vuole dare al libro che, come si capisce sin dalla Prefazione, deve essere una ricerca che saggia il valore di un'amicizia che in occidente sempre stata garante di un ordine politico e che quindi si tradotta in Politiche dell'amicizia. La volont di Derrida di dimostrare la fragilit, i limiti e i confini di una simile concezione. Partendo da Montaigne, o ancor meglio dal Montaigne che cita Aristotele, dobbiamo tenere conto che prima di citare Aristotele Montaigne cita abbondantemente il Laelius de Amicitia di Cicerone. Cicerone, infatti, ci aiuta ad entrare nell'argomento quando parla di un'amicizia vera e sovrana che si differenzia da quella ordinaria e volgare: l'amicizia sovrana e vera determinata in prima battuta da un fattore numerico, bisogna essere in pochi ( quell'amicizia di pochi ancora oggi famosi). Fondamentalmente per stabilire se un'amicizia vera o no occorre innanzitutto fare un censimento. Cicerone parla del proprio amico nei termini di un exemplar, un esempio, il proprio doppio ideale nel quale ci si identifica. Quest'ultimo tratto mette l'amicizia alla prova del tempo: il legame cos forte da sconvolgere le consuete opposizioni (povero/ricco, Presente/assente, morto/vivo,ecc.) e da perpetuarsi anche dopo la morte. La vera amicizia sopravvive alla morte. Arriviamo perci ad Aristotele che pone l'amicizia al vaglio del proprio metro indagativo (che cosa l'amicizia? Si dice in uno o pi sensi?) assoggettando cos l'amico all'amicizia, il chi al che cosa. Prima di tutto l'essere amico una forma di amore che prevede una certa relazione tra chi ama e chi amato. Aristotele riconduce questi due stati all'atto e alla potenza e dice che l'atto meglio della potenza: l'amare meglio dell'essere amati. Perch? La logica stringente e tautologica a suo modo: l'atto preferibile perch necessit del sapere; infatti, possibile essere amato senza saperlo, ma impossibile amare senza il sapere. La scienza e il sapere si sa a priori coinvolta nell'amicizia. L'amico, prima di essere chi si ama, colui che ama prima di essere amato. Bisogna perci partire dall'amico-amante e non dall'amico-amato per sapere che cosa l'amicizia. L'essere amato si riduce, tutto sommato, ad un accidente. (Aporia del pensiero aristotelico: il Primo Motore atto puro, allora perch non ama ma oggetto di desiderio e di amore?). L'amicizia tale quando qualcosa di stabile (bebaios) che si sottopone alla prova del tempo e si spinge fino al proprio limite: non potrei amare d'amicizia senza sentirmi anticipatamente impegnato ad amare l'altro oltre la morte. L'amare riguarda il vivo, che pu continuare ad amare anche una cosa inanimata (l'essere amato infatti non richiede alcun tipo di attivit). La philia deve sopravvivere il proprio oggetto. Anzi la philia comincia proprio con la possibilit di sopravvivere. Sopravvivere qundi insieme l'essenza, l'origine e la possibilit dell'amicizia, l'atto in lutto dell'amare. Il tempo del sopravvivere d il tempo dell'amicizia. In questo contesto di intemporalit

Aristotele inscrive la amicizia prima: prima, per come si presenta secondo la logica e secondo il rango, prima secondo il senso e la gerarchia, prima perch in rapporto a essa che si determina ogni altra forma di amicizia. L'amicizia prima si basa sulla certezza e sulla fiducia che la trasforma in qualcosa di stabile (stabilit non naturale). Ma in quale condizione si pu sviluppare una simile amicizia? Chi sono questi amici il cui legame stabile e certo (basato sulla fiducia) va oltre il limite della temporalit? Prima di tutto: quanti devono essere questi amici? Pochi. Il numero basso prevede una scelta, un'elezione tra i molteplici possibili amici: si deve scegliere il migliore. Una certa aristocrazia in effetti compresa in questa aritmetica della scelta. L'amico deve essere buono, non solo in-s ma anche per-chi lo sceglie. Ma il legame che viene creandosi prevede una certa esclusivit, per cui non si pu amare essendo simultaneamente l'amico di tanti altri. Aristotele vieta di amare il numeroso, la folla: l'amicizia deve essere una cosa tra pochi (oligarchia), e questi pochi devono essere eletti perch sono i migliori (aristocrazia). Il problema , infatti, che non si pu essere in atto nei confronti di un grande gruppo, di una molteplicit indeterminata, di una folla. Sta in questi pochi concetti il divenir politico dell'amicizia, che si pone alle soglie del pensiero occidentale e di tutte le politiche dell'amicizia che si sono sviluppate. Derrida inizia a problematizzare su come questo concetto di democrazia si scontri con quello moderno di una democrazia basata sulla fraternit universale e sulla apertura indiscriminata all'altro. Non c' democrazia senza rispetto della singolarit o dell'alterit irriducibile, ma non c' neanche democrazia senza comunit degli amici, senza calcolo della maggioranza, senza soggetti identificabili, stabilizzabili, rappresentabili e uguali tra loro. Aristotele: amici miei, se volete avere amici, non abbiatene troppi. La quantificazione e la quantificabilit dell'amicizia: aritmetica dell'amicizia. L'amicizia prima esige un'uguaglianza di virt tra amici: essa fa della virt dell'altro la sua propria condizione. 2. Amare d'amicizia: forse il nome e l'avverbio. La famosa citazione tanto familiare ad Aristotele attira dietro di s un'infinit di citazioni. Tra queste assistiamo ad una sollevazione che la ribalta linguisticamente e gli conferisce una nuova e pi profonda denotazione. Stiamo parlando di Nietzsche e dell'aforisma 376 di Umano troppo Umano intitolato Degli Amici, che recita: E forse verr per ognuno anche un'ora pi lieta in cui dir: Amici, non ci sono amici! cos grid il saggio morente; Nemici, non ci sono nemici! grido io, il folle vivente. Derrida fa subito notare l'importanza del forse, che si lega alla follia e ad una costellazione di altri aforismi, che intenzione dell'autore mettere a sistema. Il forse ci mette prima di tutto in una prospettiva di instabilit e di inaffidabilit: le frontiere entro le quali era stata posta l'amicizia da parte di Aristotele e Platone sono sconvolte, rivoluzionate, gettate nel caos. Per pensare l'amicizia a cuore aperto, cio per pensarla in prossimit del suo contrario, bisogna pensare il forse, esssere cio capaci di dirlo e di farne, di questo dire, un evento: forse. Il forse di questo aforisma deve essere messo a sistema con il 214 del capitolo Le nostre virt di Al di l del Bene e del Male che parla dei filosofi del dopodomani. Questi filosofi che stanno per arrivare, prossimi, che sono molto pi spiriti liberi degli attuali pensatori liberi livellatori e esaltatori delle idee moderni. Il richiamo che Nietzsche fa a questi filosofi riletto nel senso di una (auto)teleiopoetica. Questi filosofi sono gufi in pieno giorno, coloro che sono in

grado di sconvolgere le consuete opposizioni filosofiche e che capiscono la follia del ribaltamento nietzschiano. Nietzsche, infatti, sempre in Al di l del Bene e del Male ci dice che bisogna essere folli agli occhi dei metafisici aprendosi alla possibilit (forse) che una cosa possa nascere dal suo contrario. Cos l'amicizia dall'inimicizia. Questi filosofi dell'avvenire sono i filosofi a cui si rivolge Nietzsche: noi siamo innanzitutto, in quanto amici, amici della solitudine, e vi chiamiamo a condividere quel che non si condivide, la solitudine. Tutt'altri amici, amici inaccessibili, amici soli perch incomparabili e senza misura comune, senza reciprocit, senza uguaglianza. Senza orizzonit di riconoscenza o di riconoscimento, quindi. Senza parentela, senza porssimit, senza oikeites. Forse l'amicizia, se ce n', deve rendere diritto a ci che sembra impossibile. E questo legame tra Nietzsche e i filosofi dell'avvenire un legame che responsabilizza infinitamente sia l'uno che gli altri. Si solleva una responsabilit che ispira l'ostilit verso il gusto democratico e le moderne idee, per andare oltre all'attuale condizione assolutamente insufficiente, dove simili concetti sono nelle mani dei moderni livellatori. Nietzsche: io mi sento responsabile con loro (i nuovi pensatori che vengono), dunque responsabile davanti a noi che li annunciamo, dunque verso di noi che siamo gi quel che annunciamo e che dobbiamo vegliare su questo annuncio, dunque verso e davanti a voi che io chiamo a raggiungerci, davanti e verso me stesso che comprendo tutto questo e sono davanti a tutto questo: io, loro, noi, voi, ecc. (Derrida sottolinea dunque l'apertura verso tutti forse). Il forse ci che solleva il discorso verso e oltre il proprio limite, al di l di s stesso. Esso pi libero dello spirito libero, miglior democratico della folla di moderni democratici, aristocratico fra tutti i democratici, pi futuro e futurista del moderno. Ed ecco che arrivano i nuovi e veri spiriti liberi, i gufi in pieno giorno, l'amicizia senza amicizia degli amici della solitudine, il surplus del libro arbitrio: tutto ci spinto propulsivamente dal forse. Questo forse ci spinge al di l nella nostra ricerca sull'amicizia e sulle sue politche: finisce forse l'oikeites? In ogni caso ecco che gli amici cercano di riconoscersi senza conoscersi. Questa nuova amicizia perpetrata dagli amici della solitudine rompe i consueti paradigmi amicali e apre alla possibilit di una comunit senza comunit. Questo devono forgiare i nuovi filosofi utilizzando il linguaggio della follia. Questi amici del forse sono gli amici della verit, di tutta quella verit che contenuta nei numerosi forse. Questi filosofi amici della verit incominciano col denunciare una contraddizione fondamentale: la contraddizione che abita il concetto stesso di comunit e di comune. Perch il comune raro, e la misura comune una rarit per i rari. L'uguaglianza di questi amici della solitudine incalcolabile (si esce dall'aritmetica dell'amicizia oligarchica e aristocratica della tradizione aristotelica). Che pu farsene un democratico di questa amicizia, di questa verit e di questa contraddizione? I filosofi hanno finora amato le proprie verit e non la verit. Hanno lasciato che l'opinione regnasse sulla moltitudine. Ed cos che i forse di Nietzsche sono anche l'antidoto contro ogni dogmatismo, completamente cieco di fronte alla verit e rinchiuso tra le barriere della propria logica in cui le opposizioni non si sciolgono e le contraddizioni vengono oscurate. 3. Questa folle verit: il giusto nome di amicizia Derrida continua su Nietzsche tematizzando la contrapposizione tra il saggio morente/folle vivente e amico/nemico. Il detto di Aristotele una parola del

moribondo, di colui che destinato a morire si volge dalla parte dell'amicizia. La decadenza coinvolge questa scena da cripta. Il morente si rivolge a degli amici per dir loro che non ce n'; il vivente folle si rivolge ai nemici per dir loro che non ce n'. Sembra quasi che si debba aggiungere un ahim. Perch Nietzsche si dovrebbe lamentare della mancanza di nemici? La risposta sta sempre secondo Derrida in quel pericoloso forse che caratterizza a filosofia del folle e che abbatte le consuete distinzioni dei dogmatismo filosofici. Ancora Nietzsche calca la penna sulla distanza, sull'importanza della solitudine e del silenzio nell'amicizia, come se si trattasse di un rapporto pre-post-politico e indipendente dalla sfera della comunit. Un rapporto che si situa al di fuori dal gregge contemporaneo, laddove tutte le opposizioni cadono e le frontiere della familiarit si allargano cos tanto da accogliere lo straniero, il non familiare, il nemico. Ma pu Nietzsche predicare un tale tipo di amicizia che ricorda molto quella cristiana? Qui si tira in ballo la morale niezschiana, della quale bisogna brevemente ricordare che il cristianesimo l'incarnazione di quella morale del gregge che sta alla base della decandenza dell'uomo. L'amore per i propri nemici del cristianesimo fatto nell'ottica di accogliere, o meglio fagocitare, l'altro all'interno del gregge facendo cos scomparire la sua volont. In questo caso tocca al nemico. E questo viene fatto in vista di una ricompensa da ricevere post-mortem da Dio. Ma alla luce della morte di Dio che senso pu avere tutto ci? Ecco che il saggio diventa folle e all'amicizia si sostituisce l'inimicizia. Ecco che Nietzsche, paradossalmente, apre a un nuovo modello di amicizia, che non si basa pi su vincola di reciprocit forzata, di riconoscimento e sulla logica del dono, ma sull'opposto: sproporzione (abbattimento di ogni aritmetica dell'amicizia), disuguaglianza e mancanza di reciprocit. Il modello greco viene allo stesso tempo conservato e superato (pg. 79-80). Si critica il modello tradizionale dell'amicizia per il rispetto della distanza infinita senza la necessit della fusione nell'altro, dell'anima in due corpi. Una forma nuova di amicizia lasciata alla responsabilit dei filosofi dell'avvenire e deve passare attraverso la riconsiderazione della categoria del nemico. Oggi l'amico resterebbe pi presente, e pi fedele, in fondo, che sotto i tratti ingannatori, nella figura o nel simulacro dell'amico fedele. Ci sarebbe amicizia pi attenta, pi attenzione puntuale e premura nella tensione piena d'odio. Il nemico allora il mio miglior amico. Mi odia in nome dell'amicizia, un'amicizia inconscia o sublime. L'amicizia, un'amicizia superiore, ritorna con lui. Ci sarebbe una fedelt del nemico. Tutto questo caos rivoluzionario scatenato da quel forse che coinvolge ogni decisione (perch senza il forse che indica la possibilit di un avvenire) e svela le aporie di ogni decisionismo politico. Vediamo come pian piano Derrida si avvicini a Schmitt... [Nietzsche non fa altro che invocare gli amici nei suoi numerosi aforismi. A) amici che lo prendono per quello che e non per quello che non (cfr. Ecce Homo); B) Amici della verit, ovvero i filosofi dell'avvenire che eviteranno ogni dogmatismo e continueranno l'opera di Nietzsche; C) ma per continuare la sua opera devono in qualche modo tradirlo, devono essere suoi buoni allievi e dunque nemici di Nietzsche, non devono dargli l'assenso ma devono interpretarlo e superarlo]. 4. L'amico Fantasma L'aforisma di Nietzsche O miei nemici,... si presta anche ad una

interpretazione politche, in particolare nella contemporaneit dove da pi parti si grida alla scomparsa del nemico. Con la caduta del muro di Berlino prima e dell' URRS poi, il soggetto occidentale vive l'assenza del proprio nemico e non sa come e dove collocarsi. Questo tira inevitabilmente in ballo Schmitt che in grado, in alcuni casi con originalit, di fare delle considerazioni filosofichepolitiche che, malgrado la loro reazionariet, possono essere interessanti ai fini della nostra indagine. Schmitt assume, infatti, come assioma della propria filosofia politica il fatto che senza un nemico non ci possa essere la politica, che dunque riposa sull'opposizione amico/nemico. E' facile intuire che una scomparsa del nemico porta alla scomparsa del politico e alla spoliticizzazione. La distinzione amico/nemico sottoposta poi a una ulteriore tematizzazione: il nemico in prima battuta il nemico pubblico. Il nemico pubblico colui che d vita alla possibilit concreta di una guerra. Bisogna stare perci attenti a distinguere il nemico pubblico necessario se si pensa in un orizzonte politicoe il nemico provato. Il primo hostis/polmios, il secondo inimicus/echthrs. Possiamo quindi essere amici privati di un nemico pubblico. Lo stesso insegnamento evangelico (Matteo 5,44; Luca 6,27) dell'amare i propri nemici recita diligite inimicos vestros: si tratta di nemici privati e non pubblici (secondo Schmitt si giustifica in questo senso la lotta della cristianit contro l'Islam sulla base dei Vangeli). Questa distinzione anche portata da Platone nella Repubblica (470) negli stessi termini: bisogna distinguere le guerre intestine, tra fratelli (stasis), da quelle esterne contro gli altri popoli (polemos). Guerra civile contrapposta a Polemos, inimicus contrapposto a hostis. Secondo Derrida una simile distinzione non pu essere giustificata dal testo platonico proprio perch poco dopo Platone aggiunge che i Greci dovrebbero comportarsi contro i nemici esterni cos come si comportano durante le guerre civili. Siamo infatti nel quinto libro, laddove la tematizzazione della giustizia passata ad un altro livello e si dice che lo stato ideale non si potr realizzare finch a governare non saranno i re-filosofi, gli unici in grado di sapere che cosa sia la giustizia e di guidare la citt giusta. Questo cenno a Platone, porta Derrida a considerare altri testi platonici che si muovono nella direzione di una politicizzazione dell'amicizia e che sollevano delle considerazioni interessanti anche per noi, che ci stiamo confrontando con il pensiero di Schmitt. Nel Menesseno abbiamo il discorso di Aspasia che elabora un rapporto per cui l'uguaglianza di natura (basata sull'eugenia, che altro non se non l'autoctonia) deve essere rispecchiata dall'uguaglianza della legge e fondare la democrazia fraterna. Nel discorso di Aspasia dobbiamo notare tre cose: A) il legame tra natura e legge necessario; ci che c' di buono nella nascita deve essere necessariamente rispecchiato dalla legge e fonda l'uguaglianza, la comunit, l'amicizia fra fratelli, ecc. Ma questa logica, secondo Derrida, non fa altro che far diventare obbligatoria una legge di natura ed naturale che si fondi su una latente xenofobia, che in questo caso sta alla base di una teorizzazione di una democrazia della fraternit (bisognerebbe chiedersi se questo fondamento scomparso nelle democrazie moderne, oppure no...) B) La fraternit che tiene legata in una morsa la distinzione che c' tra il nemico greco e il nemico barbaro fintanto che si avr memoria dei propri padri ben nati senza dimenticare il nostro patrimonio originario. Su questo legame obbligatorio tra verit, uguaglianza, libert riposa la politica greca, una politica che non assolutamente aperta ad alcun forse.

C) La democrazia che si presenta qui una democrazia che si differenzia dall'aristocrazia solamente in ragione del numero di coloro che devono essere consultati prima di prendere una decisione (ricorda la prospettiva aritmetica del primo capitolo): il potere nelle mani dei migliori che devono consultare la massa (plethos) prima di prendere una decisione. La nostra riflessione sull'amicizia passata regolarmente attraverso l'esperienza del lutto politico (es. la memoria dei padri fondano la fraternit dei greci). Esso sembra a Derrida costitutivo, insieme alla figura del fratello, del modello di amicizia greco e cristiano. E ancora un'altra volta l'esitazione sull'uso del termine democrazia che richiede una decostruzione per l'avvenire, dal momento che non possiamo ritenerci soddisfatti dalle cose fin qui notate: fallogocentrismo, omofilia, eugenia e autoctonia, uguaglianza civica fondata sull'uguaglianza di nascita, ecc. Ha senso parlare di democrazia oggi? Dicendo che il mantenimento di questo nome greco, democrazia, questione di contesto, di retorica o di strategia, persino di polemica, me riaffermare che questo nome durer il tempo necessario, ma non di pi, nel dire che le cose subiscono una singolare accelerazione per i tempi che corrono, non si cede necessariamente al cinismo o all'opportunismo dell'antidemocratico che nasconde il suo gioco. Tutto al contrario: si difende il diritto infinito alla questione, alla critica, alla decostruzione (non c' decostruzione senza democrazia, non c' democrazia senza decostruzione). Ma ritorniamo a Schmitt...

5. Dell'ostilit assoluta: la causa della filosofia e lo spettro del politico. Si riprende il pensiero di Schmitt tenendo conto della distinzione fondamentale che egli fa tra hostis e inimicus, tra polemos e stasis. Teniamo conto, inoltre, del fatto che Schmitt, per quanto sia piuttosto cauto nel parlare di politica utilizzando delle categorie psicologiche, considera i pensatori pessimisti della natura umana come i grandi maestri del pensiero politico (Hobbes, Machiavelli, ecc.). Abbiamo notato nel cap. 4 che la distinzione che Schmitt prova sostenere si esaurisce in una comune radice naturale; e lo abbiamo fatto leggendo con maggiore attenzione l'autore a cui Schmitt si richiama per giustificare la propria distinzione: Platone. Nella pratica, infatti, fa notare Derrida una simile distinzione tra conflitti non ha mai avuto luogo. Ed proprio questo uno dei primi punti deboli della logica del pensiero schmittiano, il fatto che continuamente si richiami alla concretezza, alla possibilit reale, senza rendersi conto che le categorie su cui egli fonda il proprio discorso sono assolutamente presupposte e si rivelano, in ultima battuta, puramente teoriche. Schmitt sostiene che solamente la politica pu insegnarci a pensare e a formalizzare che cosa sia il politico puro. E il politico riposa, secondo il nostro pensatore, sulla natura polemica dei concetti di cui facciamo uso. Questa natura polemica deve riposare su una distinzione tra amico e nemico: perch ci sia del politico, bisogna sapere chi chi, chi l'amico chi il nemico, e saperlo non nella forma di un sapere teorico, ma nella forma dell'identificazione pratica:

sapere consiste qui nel sapere identificare l'amico e il nemico. Scrive Schmitt ne Il concetto del politico (1932): In primo luogo, tutti i concetti, le espressioni e i termini politici hanno un senso polemico; essi hanno di mira una conflittualit concreta la cui logica ultima la configurazione amico-nemico, e diventano astrazioni senza vita se questa situazione viene meno. Quando il conflitto amico-nemico si interiorizza in seno allo stato (stasis) viene meno l'unit politica interna e rischia di essere minacciato quell'ordine statale su cui riposa la politica. Vediamo come il rapporto tra stato e politico sia un rapporto assolutamente circolare: lo stato presuppone il politico e se ne distingue logicamente; ma l'analisi del politico, strictu sensu, e del suo nucleo irriducibile, cio la configurazione amico/nemico, non pu non privilegiare, sin dall'inizio e come suo unico filo conduttore, la forma statale di questa configurazione: l'amico o il nemico come cittadini. Con la nascita del conflitto interno assistiamo al problema della pacificazione interna e alla nascita dei partita e della logica dell'inimicus/echthros. La guerra civile, una volta sottoposta ad analisi, si rivela allo stesso tempo paradossale e di buon senso: essa come una guerra tra due stati, lo stato indebolito e lo stato potenziale che pu nascere da questo conflitto. Ed proprio il conflitto politico (interno e esterno), la possibilit di una morte non naturale che si d nella lotta, di un assassinio non punito ma premiato, che determina la distinzione amico-nemico. A) infatti non c' amico senza quella possibilit della messa a morte che inaugura una comunit non naturale il concetto di amicizia non naturale ma politico. B) ci che pu dirsi del nemico non si pu pi dire dell'amico. C) quel che lega e oppone la coppia amico/nemico nella decisione di morte e nella messa a morte il politico. (Derrida ipotizza un'amicizia al-di-l del politico...) Vediamo come Schmitt abbia perci teorizzato una politica dell'ostilit assoluta, assolutamente depsicologizzata. Egli scrive: La guerra solo la realizzazione estrema dell'ostilit. Essa non ha bisogno di essere qualcosa di quotidiano o normale, e supporre di essere vista come qualcosa di ideale o di desiderabile: essa deve per restare, perch il concetto di nemico possa mantenere il suo significato. La realizzazione di questa possibilit reale una sua estrema radicalizzazione. La guerra ha un suo significato quando un evento, e in quanto tale eccezionale e pu essere decisiva. Oggi, se le guerre sono meno numerose sono pi eccezionali e accrescono la loro potenza. Inoltre, pi non c' guerra pi cresce l'ostilit: in un certo senso, pi la realt spoliticizzata pi politicizzante la potenza della possibilit reale della guerra. Per Schmitt un mondo in cui decade questa possibilit reale del conflitto si trasforma in un globo desertico in cui non c' distinzione tra amico e nemico. Oggi le guerre si combattono con mezzi sempre pi inumani e si tende alla ultima guerra finale dell'umanit che supera il politico attraverso l'annientamento del nemico. L'ostilit assoluta sarebbe la cosa della filosofia, la sua stessa causa...

6. Giuramento, congiura, fraternizzazione, o la questione armata. Tutto il pensiero occidentale, infatti, dimostra questa connessione che c' tra amicizia e filosofia. Il che significa che non c' amicizia senza filosofia, non c' filosofia senza phila. Il che significa che la filosofia intimamente politica, la produttrice del politico puro, e dunque dell'ostilit pura. La sua diffusione rappresenta una radicalizzazione e una rivoluzione del concetto del politico, e del nemico nella contemporaneit. Da Hegel (che teorizza il nemico come differenza etica da negare) a Marx, per arrivare fino a Lenin. Lenin si accingeva a sostituire al concetto classico del politico fondato nel XVIII e nel XIX secolo sullo stato di diritto delle genti europee e sulla guerra interstatale, una guerra rivoluzionaria dei partiti. La sua filosofia stabilisce un'estensione dell'ostilit assoluta. Chi il nemico? Il nemico di classe. Ma Lenin determina il nemico in maniera ancora troppo astratta e intellettuale. Dobbiamo aspettare Mao quale vero portatore di un radicamento tellurico dell'ostilit assoluta e vero rappresentante del nuovo modello di guerra: la guerra del partigiano. Il partigiano esce dal moderno: non si aspetta dal nemico nessun rispetto dei diritti convenzionali; non ha pi nemici nel senso classico del termine. Il miti del partigiano nazionale e autoctono posto al servizio di una politica comunista mondiale e trova il suo massimo rappresentante in Mao Tse-Tung (concretizzazione storica e filosofica dell'ostilit assoluta). Questa estensione dell'ostilit assoluta pu portare a delle guerre fratricide (es. lo scontro tra Tito e Mihajlovic che si ha in Jugoslavia)., e quindi ad un accrescimento dell'ostilit contro il connazionale. L'ostilit assoluta pu, dunque, convertire il nemico interno (inimicus) in nemico assoluto (hostis), la stasis in polemos. La guerra investe cos il fratello, l'amico originario fratello dell'alleanza stabilita secondo il giuramento di fraternit. Vediamo perci come la spoliticizzazione conduca ud una sovra-politicizzazione che si conclude nella tragedia del fratricidio, nella confusione tra amico assoluto e nemico assoluto. Ma questo accade perch Schmitt, per definire i concetti dialetticamente implicantisi l'un l'altro di amico e di nemico, ammette come presupposto fondamentale, come sintesi a priori, l'ostilit assoluta. Facendo cos, chiaro che nella diade amico-nemico, sar il secondo ad avere una posizione di maggior rilievo. Anche per Schmitt, come per il Platone del Liside, senza il nemico scomparirebbe anche l'amico. Dobbiamo per tenere conto che Platone considera come primario il lato familiare (economico) dell'amicizia sul finire del dialogo. Derrida si chiede se sia possibile un'amicizia anaeconomica: si apre la possibilit di una conclusione aporetica... Un'altra cosa da rimproverare a Schmitt la mancanza della figura della donna nella sua filosofia politica: addirittura quando parla della guerra partigiana non prende in considerazione le molteplici figure di donne partigiane che ci sono state. La guerra per Schmitt un'ostilit maschile, secolare, fatta di lotte tra uomini, e che arrivata, nei tempi recenti, ad investire gli stessi fratelli (e le sorelle?) e i vincoli che li legano. Anche Schmitt appartiene ai pensatori politici che mettono in atto una neutralizzazione fallogocentrica della differenza sessuale.

7. Colui che mi accompagna La perdita del nemico: ne va dell'amico, ne va del mondo, ne va della filosofia. Che fosse proprio questo il rammarico, la paura del folle vivente? Ritorniamo ad Aristotele. Diogene Laerzio ci riporta che alla domanda che cos' un amico? Aristotele avrebbe risposto Una sola anima alloggiata in due corpi. Questo modello dell'anima in due corpi ha una storia lunga e ci induce a delle riflessioni. Riprendiamo innanzitutto Montaigne. Egli descrive il modello di un'amicizia sovrana che caratterizza come un'amicizia fuori dall'ordinario e che supera in dignit e in potenza l'amicizia fraterna (fraternit naturale), l'amicizia erotica, l'amicizia ospitale, ecc. L'amicizia sovrana un'amicizia capace di indivisione, possibile solamente tra due persone che sono come un'anima in due corpi, essa totalizzante e trascende i vincoli politici per situarsi in una zona apolitica o transpolitica. Dobbiamo aggiungere che essa esiste a prescindere dal vincolo di reciprocit, dalla mutualit e dalla logica del dono, su cui sono fondate le amicizie ordinarie. A questo punto sorge spontanea una domanda: che il modello dell'amicizia sovrana descritto da Montaigne non sia una rottura, un superamento del modello della phila greca? Ma se da un lato questo senza dubbio vero, dobbiamo tener conto che il concetto di anima in due corpi nasce proprio dalla definizione economica di amicizia che si fonda sul conveniente (oikeiotes) data dal greco Aristotele. Il concetto dell'anima in due corpi stato per strappato ad Aristotele e cristianizzato da Agostino nel IV libro delle Confessioni. Agostino dapprima si sorprende di essere sopravvissuto all'amico morto e di vivere con mezza anima, e si pone il dilemma se sopravvivere in nome dell'altro oppure no. In secondo luogo notiamo che sia in Agostino che in Montaigne si scatena una sfida aritmetica all'aritmetica che infinitizza il soggetto, il quale vorrebbe moltiplicarsi all'infinito nel suo rapporto con l'altro. Infine, questa infinitizzazione converte in Dio il modello dell'amicizia fraterna (Agostino). Conclusione: l'amico deve essere amato in Dio; il nemico non deve essere amato in Dio, ma a causa di Dio. Dopo questo excursus, fondamentale ritornare ad Aristotele e chiarire il suo modello di amicizia nelle sue implicazioni etiche e politiche. Possiamo iniziare lavorando su una versione di ripiego del detto O amici, non ci sono amici!... 8. Ripieghi Nessuno, tra i tanti che hanno citato il famoso detto tanto familiare ad Aristotele, ha interpretato la omega iniziale come un dativo, ma tutti come un vocativo. Ripercorriamo un attimo questa tradizione proprio a partire da Montaigne.

Montaigne dice che l'amicizia sovrana si basa su una fiducia sconfinata nell'altro pi che in s stessi (fiducia eteronomica). L'unica maniera in cui si pu spiegare un simile tipo di amicizia perch era lui, perch ero io. Solo una volta ogni tre secoli possiamo trovare amicizie del genere. Montaigne cita Aristotele quando deve parlare delle amicizie ordinarie, dicendo che sono amicizie che si basano solamente sull'utile e sulla reciprocit per cui alla fine o amici, non c' nessun (vero) amico!. Ma per questa amicizia che si basa sull'eteronomia non egualitaria sorge il problema di una sua traduzione politica. Saggiata una prima interpretazione del modello vocativo il caso di esaminare i testi aristotelici (Etica Eudemia, Etica Nicomachea e Politica) con gli intenti che ci eravamo proposti. Aristotele distingue tre diversi tipi di amicizia: l'amicizia prima, basata sulla virt; l'amicizia erotica, basata sul piacere; l'amicizia politica, basata sull'utile. (Ciascuna di queste viene poi ridivisa in due forme, una secondo l'uguaglianza l'altra secondo la differenza). L'amicizia prima un modello di amicizia sovrana che potremmo definire prepolitico. Ma, secondo Derrida, dal momento che la sfera politica in Aristotele assolutamente connaturata alla natura umana (uomo come animale politico), questo modello di amicizia non pu non avere ricadute politiche. Infatti l'amicizia prima si basa sulla condivisione della virt, che, all'interno del disegno aristotelico, sembra poi essere fondamentale per la legge, la comunit e la convenzione. E sembra proprio che una tale concezione dell'amicizia sia salvaguardata dalla democrazia, che si fonda sulla condivisione comunitaria tra cittadini. Ma se voltiamo lo sguardo dall'altra parte troviamo un'amicizia chiamata politica. Che differenza c' tra questa e l'amicizia prima? Qual la differenza tra il modello politico dell'una e quello dell'altra? Aristotele chiama politica quella forma di amicizia che basata sull'utile e che fonda quei vincoli di reciprocit sulla quale basata la relazione tra cittadini. Ma se l'amicizia politica riguarda il lato pratico dell'etica aristotelica, l'amicizia prima riguarder quello propriamente teoretico, quell'altra forma di felicit che quella propria del sapiente e che consiste nella vita contemplativa (cfr. Etica Nicomachea, libro X). Questa vita contemplativa nella quale si muove l'uomo virtuoso, che vive al di fuori degli stretti vincoli della politica, tende a una felicit che puramente autarchica. Ma allora quest'uomo avr veramente bisogno di un amico? La risposta di Aristotele positiva, perch l'uomo che pratica la vita contemplativa comunque un animale politico, che per vive lontano dal mondo della politica, ma pur sempre all'interno della polis; di quella polis all'interno della quale sono possibili delle amicizie, molto rare, che si sollevano al di sopra delle amicizie ordinarie e che si basano sulla condivisione della virt (comunit dei sapienti???). Ma questo modello di amicizia prima, che lo stesso Aristotele descrive nei termini di un'anima in due corpi, rischia di contraddirsi nella sua stessa essenza. Perch? Perch l'uomo vorrebbe per il proprio amico il pi grande bene, un bene che si sollevi anche al di sopra della giustizia umana. L'uomo vede il proprio amico come un Dio. Sorge la contraddizione. Non si pu essere amici di un Dio perch : A) non c' pi rapporto di uguaglianza con un Dio; B) l'amicizia amore dell'umanit e non del divino; C) Dio non ha bisogno di amici perch bastevole di per s.

Ed ecco che il Dio direbbe ai propri amici: O (voi altri uomini) amici, non possibile nessuna amicizia per me!. L'uomo comune, invece: O amici, non possibile alcuna amicizia prima!. Se l'amicizia prima supera la prospettiva politica e si distacca dal modello dell'amicizia ordinaria (come in Montaigne), l'amicizia politica fondativa di una comunit , i cui vincoli tra gli uomini si basano sulla reciprocit e sono volti all'utile, come avviene in una famiglia. Essa sottointenderebbe allora il concetto di razza e di fratellanza naturale (per questa parte cfr. la Politica, libro I). Vediamo come nel modello dell'amicizia prima (sovrana) e di quella ordinaria (politica) Aristotele ricada all'interno del fallogocentrismo. Anzi, forse lui l'iniziatore di una simile tradizione che, malgrado le diffuse reinterpretazioni e i progressivi arricchimenti (vedi Agostino), rimasta legata ad un determinato modo di concepire il vincolo amicale e la sua traduzione politica. Che forse le insufficienze dell'attuali democrazie trovino qui le proprie radici? Derrida sembra suggerirlo (vedi ultimo capitolo). Accanto alla versione vocativa del detto familiare ad Aristotele, abbiamo scoperto una versione dativa (di ripiego...), che recita: A chi amici, nessun amico!. Colui che ha tanti, numerosi, troppi amici, non ha nessun vero amico. La massima suggerirebbe cos che la molteplicit va evitata e che bisogna ricercare la rarit (l'estrema rarit), correndo il rischio di non avere amici. La rarit, il piccolo numero, il giusto numero d la misura della vera amicizia, di quella secondo virt. Tradotto in termini politici essa avrebbe una valenza quasi demografica: oltre un certo numero non c' pi uno stato, ma una nazione, e ci porterebbe seri problemi per una democrazia che deve soddisfare il singolo come la comunit. La versione vocativa parla degli amici, pretende di rivolgersi a degli amici dicendo loro che non ci sono amici (contraddizione performativa), e comunica un drammatico bisogno di un altro tipo di amicizia, un'amicizia non ordinaria. (Tutta una tradizione, che la nostra, si rifatta a questa interpretazione di una frase che porta ad una naturalizzazione fraternizzante dell'amicizia e della democrazia che va a negare la libert: un noi che si contrappone ad un voi, verso il quale non c' la bench minima apertura; un vincolo di fraternit naturale che fondativo di un'uguaglianza fallogocentrica che non aperta al genere femminile; ecc.) La versione dativa parla, invece, agli amici. E' una dichiarazione che dice ci che . 9. In lingua d'uomo: la fraternit... Abbiamo visto sorgere un'amicizia di stampo greco-cristiano che si basa sull'infinita asimmetria e etereogeneit (trasformazione dell'amico in un Dio, infinita divisione dell'io: Aristotele, Agostino, Montaigne). Abbiamo bollato questo modello di amicizia come fallogocentrico e abbiamo visto le problematiche di una sua traduzione politica (fratellanza fallogocentrica). Adesso, per, dobbiamo confrontarci con un altro modello di amicizia: quello della fraternit rivoluzionaria. Il rimando alla rivoluzione francese: libert, uguaglianza, fraternit. Il modello delle moderne democrazie occidentali.

L'esempio che Derrida porta Michelet. Siamo sicuri che questo modello non ricada nelle identiche contraddizioni del modello greco-cristiano? Qui si parla di una fraternit terrena che tende a non escludere nessuno e che si rivolge a tutta l'umanit con la categoria di fraternit in senso proprio, ovvero quella fraternit universale e spirituale che si basa sul giuramento. (questa fraternit si oppone alla fraternit in senso stretto, quella propriamente naturale). Vediamo, per, sorgere un primo problema. La fraternit rivoluzionaria aperta al genere femminile? Seguendo Michelet, leggiamo che la donna non ancora pronta per questa amicizia: Lei riesce a scandire appena la parola sacra della nuova era, Fraternit, ma non la legge ancora. Questa logica del non ancora (che ritroveremo anche in Nietzsche) lascia una qualche speranza alla donna. Michelet, infatti, pronto a concedere alla donna un diritto al di l del diritto. La donna come la fraternit assoluta, le somiglia, come il diritto al di l del diritto, la giustizia al di l della giustizia: essa pi giusta del giusto, ma la giustizia che va al di l della giustizia distrugge la giustizia stessa e porta con s anche l'amicizia pura. (Iniziando una considerazione sull'essenza dell'amicizia, partendo dalle ambiguit implicite anche nel greco phila, Derrida tira in ballo Heidegger e, siccome costui era nazista, ne fa un confronto con Schmitt sottolineando punti di vicinanza e di distanza tra i due. Heidegger infatti parlando della filosofia prende la phila come il tratto erotizzante della domanda attorno all'essere. Questo tratto erotizzante proprio di una filosofia armonica, quale era quella presocratica. Che fine ha fatto oggi l'erotizzazione? Se ne andata con la filosofia socratica e poi con quella cristiana. Quest'ultima, in particolare, vista da Heidegger come una tappa preparatoria alla educazione delle passioni e alla psicologia. La metafisica cristiana infatti tutta basata su un'idea di soggettivit che cristianizza la phila greca: per i Greci non c' psicologia, non c' antropologia, non c' soggetto antropologico. Heidegger evoca l'amicizia in uno spazio che non pi quello della persona o del soggetto, n dell'anthropos oggetto dell'antropologia e della psicologia. Vediamo che Heidegger cerca come Schmitt di risalire al di qua di una determinazione puramente soggettuale o antropologica della coppia amiconemico. Anche Heidigger condivide con Schmitt l'inquietudine per la scomparsa della distinzione tra guerra e pace. La tragedia della spoliticizzazione per Heidegger un evento nichilista. Ma il discorso schmittiano, che vuole mantenere e restaurare a tutti i costi le tradizionali distinzioni onto-teologiche, sembrerebbe ad Heidegger sempre legato ad una metafisica post-cristiana della soggettivit). La questione della domanda, che abbiamo appena esaminato, tira in ballo la questione della risposta e della responsabilit. Quando si risponde, si risponde: A) di-s: questo implica l'unit del soggetto e, dunque, il nome proprio. Ad esempio, l'amicizia di Montaigne per La Botie prima di tutto l'amicizia per un nome proprio. B) all'altro: questa forse la pi originaria delle altre. Il rispondere a- suppone sempre l'altro nel rapporto a s, serba il senso di questa autorit asimmetrica sin nell'autonomia apparente pi interna e pi solitaria del quanto a s, del foro interiore e della coscienza morale gelosa della propria indipendenza altro nome per la libert. C)davanti a: si risponde all'altro in quanto istanza istituzionale > rispetto.

La questione del rispetto ci porta a Kant. E' proprio Kant il filosofo del rispetto e della responsabilit nell'amicizia. Non ci pu essere amicizia senza rispetto, e dunque senza un certa distanza dall'altro. Questo rispetto amichevole proprio di una volont buona, ma non per questo essa si esaurisce nel rispetto puramente morale che tiene in conto solamente la legge morale. Kant, riprendendo il senso della frase aristotelica, dice di parlare dell'amicizia perfetta come di un'idea (ideale regolativo). Questa amicizia prevede due componenti: l'amore e il rispetto. Questa cosa pu a prima vista sembrare contraddittoria, poich l'amore una tendenza alla fusione e il rispetto alla distanza, ma Kant sbroglia la matassa paragonando l'insieme di amore e rispetto alla legge naturale universale dell'attrazione e della repulsione. Kant riconferma la tradizione interpretativa di Aristotele aggiungendo, per, l'imperativo della distanza: l'amicizia non pi fondata solamente sulla prossimit, la familiarit. L'amicizia perfetta designata da Kant si distingue sia dall'amicizia estetica basata sulla sensibilit sia da quella pragmatica il farsi carico dei fini degli altri uomini - . Kant sottolinea la necessit della negativit nell'amicizia: essa non deve essere dolce e tenera, un'assicurazione sociale, una mutua di reciproci vantaggi. L'eccesso di tenerezza porta inevitabilmente alla rottura: il troppo amore separa, interrompe, minaccia il legame sociale. Seguendo questa logica si scatena la contraddizione pi sorprendente: il nemico della morale l'eccesso di amore. Nel suo eccesso l'amore porta all'odio. L'amore il male e sono necessarie delle regole rigide che impediscano la rottura per una mancanza di moderazione nella familiarit e nell'amore. La vera amicizia molto rara e non possibile senza la possibilit dell'affidabilit assoluta, che si d nella confessione del segreto assoluto (ogni sorta di segreto, anche quello politico). Derrida fa a questo punto tre constatazioni: 1. non si sa bene che cosa sia il segreto, nemmeno Kant lo sa. Esso non nel suo fondo un oggetto di conoscenza. 2. il segreto prevede un numero n di amici pi uno: l'inizio dell'amicizia (sempre la stessa aritmetica). 3. Ogni tanto l'idea di un'amicizia morale pu prendere corpo nella storia: il cigno nero, che per Kant un fratello. Tutto questo,per, presuppone un'altra possibilit, la condizione di possibilit dell'amicizia stessa, quel che Kant chiama l'amico degli uomini. L'amico degli uomini ama la specie intera, ma a differenza del filantropo che si limita semplicemente ad amare gli uomini, egli lo fa guidato da un'idea, da un rigore razionale infinito. Ma qual quest'Idea? Quest'idea una rappresentazione intellettuale dell'uguaglianza tra gli uomini. L'uguaglianza necessaria, non c' mai, ma ci vuole. Il cosmopolitismo, la democrazia universale, la pace perpetua non avrebbero alcuna chanche di realizzarsi senza la presupposizione di un tale amico. Che un fratello. Il cigno nero un fratello, perch non pu apparire, per quanto raramente, se non a condizione di essere gi un amico degli uomini. Deve appartenere a quella specie cui appartiene l'amico degli uomini, che l'amico della specie tutta intera. Dev'essere il fratello di questi fratelli. Perch, nel momento in cui Kant giunge a

definire in tal modo, nel suo senso pi stretto, l'amico degli uomini, ci dice anche come ci si deve rappresentare il fenomeno di quest'idea di uguaglianza che obbliga: un padre e dei fratelli. Dei fratelli sottomessi e uguali. E gli uomini sono come fratelli, e il padre non un uomo: Come se ci rappresentassimo quali fratelli riuniti sotto un padre comune, che vuole la felicit di tutti. Con il padre non c' per amicizia, ma solo amore, perch l'amicizia vuole rispetto reciproco e uguale da entrambi le parti. L'amicizia possibile solo con dei fratelli. Kant non confonde la fratellanza naturale con la fratellanza in senso proprio, la fratellanza amicale. Il cigno nero un fratello, come i fratelli rivoluzionari, e ama i propri fratelli in relazione ad uno stesso padre. Tutto questo bisogna considerarlo all'interno di un orizzonte politico universale comune. Anche se questa fratellanza amicale diversa dalla fratellanza naturale, Kant fa un paragone con la famiglia naturale in cui il fratello occupa il posto dell'insostituibile. Anche con Kant ricadiamo all'interno del cosmofratrocentrismo fallogocentrico. Derrida, invece, vorrebbe andare oltre, verso la liberazione di tutti i diritti degli individui dalle loro ascendenze biologiche per un'uguaglianza dei diritti di tutti. E arriva puntuale anche la critica alla Francia e al suo mito della rivoluzione gallocentrica. La Francia la massima rappresentante non solo dell'Europa, ma anche dell'umanit. E' Victor Hugo che viene preso in considerazione come il mentore del gallocentrismo. Il 14 luglio del 1789 suonata l'ora dell'et virile, scrive. Parigi, accanto all'Atene del bello e alla Roma del Grande, il luogo della rivelazione rivoluzionaria, la Gerusalemme umana. In questo mito la Francia, aperta ad accogliere chiunque in nome della fratellanza, smette di essere una madre per diventare una dea, smette di essere una patria per diventare il mondo. Derrida chiaramente scettico nei confronti di questo mito, che si basa su un modello di amicizia assolutamente insufficiente e che non smette di generare aporie quando arriva il momento di una sua traduzione politica.

10.

Per la prima volta nella storia dell'umanit

Finora abbiamo letto una storia dell'amicizia e i suoi testi. Abbiamo letto una storia del fallogocentrismo. Una storia della fraternizzazione come umanizzazione. In questo storia abbiamo visto che non trova spazio la donna, che doppiamente esclusa: si esclude l'amicizia tra donne e l'amicizia eterosessuale tra uomo e donna. E questo accade da entrambi i lati di questa storia, sia quando si intenda l'amicizia fraterna come esterna alla politica (pre-politica, apolitica, transpolitica), sia quando si intenda l'amicizia fraterna come interna alla politica (la fraternit rivoluzionaria). Ma in questa storia abbiamo assistito al delinearsi di un modello alternativo che si manifesta come una rottura all'interno di questa storia: Nietzsche.

Qual la posizione di Nietzsche riguardo alla donna? Anche Nietzsche, come Michelet, si apre alla logica del non ancora, del finora, del per il momento. Nietzsche nello Zarathustra dice per tre volte che la donna non ancora capace di amicizia: 1) la donna non pu conoscere l'amicizia perch sia tiranna che schiava, quindi pu essere capace solo di amore, ma non di quell'amicizia che possibile solo tra pari; 2) se stanno cos le cose, la donna non pu avere n amico n nemico, perch estranea alla logica dell'amicizia ed capace solo di amore iniquo: Zarathustra dichiara qui la donna al di fuori dalla legge dell'umanit (ricaduta politica); 3) ma neppure l'uomo ancora uomo perch non sa essere abbastanza generoso (La donna non ancora capace di amicizia. Ma ditemi, voi uomini, chi di voi capace di amicizia?...). Il che significa che per Zarathustra uomo e donna sono uguali nell'avarizia. L'uomo, per essere veramente uomo, si deve aprire alla possibilit di dare al nemico quanto all'amico (logica del dono). Ma questa logica del dono non ha niente a che vedere con l'amore per il prossimo, anche per il proprio prossimo nemico. Zarathustra, infatti, non predica l'amore per il prossima, ma l'amore per il remoto, per il remoto futuro, per ci che deve arrivare ma che non ancora prossimamente vicino. La logica cristiana tutta basata sull'economia di una ricompensa divina. Il modello nietzschiano predica l'infinita asimmetria terrena (la morte di Dio) del dono. Il futuro ci che sta in remota lontananza sia la causa del tuo oggi; nel tuo amico devi amare il superuomo come causa del tuo oggi; nel tuo amico devi amare il superuomo come causa di te. Amici, non l'amore del prossimo vi consiglio: io vi consiglio l'amore del remoto. Notiamo allora tre cose: A) il dono dell'amico remoto questo mondo qui, finito e compiuto; B) il superuomo l'origine e la causa dell'uomo: l'amicizia perci propriamente umana solo se si lascia attraversare dal mito del superuomo; C)lo spettro dell'amico: si parla in ogni caso ad un amico non presente, ma in questo caso non l'amico del passato, ma l'amico a venire. Spettrale ci che deve arrivare e bisogno amarlo come tale. L'amico a venire, l'arrivante che viene da lontano, colui che di gran lunga e in lontananza bisogna amare, il superuomo. Questi canti di Zarathustra sono anche canti di lutto perch egli sta per andarsene, per separarsi e chiede di essere rinnegato. Abbiamo gi notato altrove quanto il modello dell'amicizia netzschiano sia alternativo rispetto alla tradizione greco-romana che passa attraverso la cristianizzazione e che pu trovare un proprio esempio in Montaigne. Nella nostra storia dell'amicizia che abbiamo consultato finora la categorie centrale quella del Chi, che nella sua storia ha lottato contro la rovina delle sue determinazioni: il soggetto, la persona, l'io, il familiare, la convenienza, la prossimit, il fratello. Da qui il rischio della rovina di una politica costruita su simili categorie. Questo modello vive dell'incubo della scomparsa e della morte dell'amico, tanto che oggi il testamento e l'amicizia sono ancora centrali nei nostri De Amicitia. Ed ecco ancora la rottura di Nietzsche a provocare: non ci vuole la memoria, ci

vuole l'oblio. Ci vuole un'amicizia senza reciprocit, senza legame, senza memoria, senza condivisione; una comunit senza comunit. Nietzsche per Derrida una sorta di primo decostruttore che evoca un senso di libert che per la tradizione fallogocentrica sconcertante. Sulla rottura nietzschiana si sono insinuati tutta una serie di filosofi, come Bataille e Blanchot. Seguiamo prorio Blanchot e ricavando tre linee di pensiero fondamentali: 1- andare al di l della comunit: l'amicizia porta al di l di ogni comunit e noi dobbiamo emanciparci da questa che ogni volta rischia di farci ritornare al mito del fratello. 2- la questione greca: Blanchot, pur nel suo distanziarsi dal modello dell'amicizia tradizionale, pensa sia necessario in un certo senso fare un elogio della phila greca. Essa rappresenta, comunque, il modello della tradizione, non pu essere lasciata da parte. Deve essere piuttosto arricchita, e ci pu esser fatto solo da ci che essa ha violentemente e per l'essenziale tentato di escludere (es. la doppia esclusione della donna). 3- la fraternit: Blanchot mostra un disprezzo totale nei confronti della fratellanza e di tutto ci che di cui essa sta alla base: la famiglia, la filiazione, la comunit, il popolo. Conclusione: Derrida specifica che egli non ha niente nei confronti della fraternit, ma che semplicemente non si mai smesso di chiedere che cosa si vuol dire quando si dice fratello. Questo libro, infatti, una sorta di prolegomena che si interroga sul linguaggio che abbiamo utilizzato finora e su quale politica si basata su di esso. E' perci possibile mettere in pratica una democrazia e pensarla sradicandovi quel che tutte queste figure dell'amicizia vi prescrivono di fraternit, ovvero di famiglia e di etnia androcentrata? La democrazia resta a venire, essa infinitamente perfettibile: non mai presente, ma sempre a venire. E' possibile aprire al vieni di una certa democrazia che non sia pi un insulto all'amicizia, che noi abbiamo cercato di pensare di l degli schemi omofraterni e fallogocentrici? Quando saremo pronti per un'esperienza della libert e dell'uguaglianza che si ponga in un confronto rispettoso con quell'amicizia, e che sia infine giusta, al di l del diritto, cio a misura della sua dismisura? O miei amici democratici...

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