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Seminario di Ermeneutica Filosofica Prof.

. Barale 24/9 In questo corso ci proponiamo due obiettivi: 1) familiarizzarci con un classico della filosofia, la Fenomenologia dello Spirito di Hegel, che essendo scritto in un linguaggio esoterico ha portato (verrebbe da dire oggi pi che mai) a radicali fraintendimenti; 2) proporci una discussione che impegna in unottica interdisciplinare i protagonisti meno effimeri della nostra cultura: filosofi e scienziati. Il terreno su cui il confronto si sviluppa quello delle scienze cognitive, dove scienziati di diversa formazione, psicologi, linguisti, filosofi ecc. perseguono, con forme ed esiti sempre pi convergenti, un progetto di naturalizzazione dellumano basato sul duplice assunto che un uomo non se non ci che fa, e che tutto ci che fa o potrebbe fare, ogni sua condotta passata e presente e futura qualcosa di interamente spiegabile in ragione della sua costituzione materiale, cio di processi di natura fisica nei quali quel dato fisico che egli stesso risulta coinvolto. Questo progetto di naturalizzazione dellumano ha un suo fascino innegabile. Potremmo contare sul costante supporto di prove sperimentali che esso stesso innesca e che al suo interno tendono a mantenersi e sulle straordinarie ricadute di ogni suo successo, anche parziale. Poich evidente che ogni spiegazione di tipo naturalistico delle nostre condotte potenzia le nostre capacit di esercitare su di esse forme di controllo in grado di anticipare o scongiurarne la possibilit. Eppure questo progetto affascinante sul quale stanno scommettendo governi nazionali e industrie multinazionali (ad es. la Volkswagen), tutti coloro che a uno sviluppo della nostra e loro sicurezza si trovano anche istituzionalmente preposti, incontra difficolt su cui ci autorizza a riflettere. La riduzione delle nostre condotte a processi di natura fisica da esse indissociabili e cono esse concomitanti pu ritenersi riuscita ogni qual volta ad essere in gioco e a dover essere spigate siano unicamente condotte di cui possibile pensare che altro non siano se non veicolo di informazioni di natura sensibile, e condotte di cui sia possibile pensare che in altro non consistano se non in calcoli basati su relazioni di tipo quantitativo tra grandezze date. In entrambi i casi, infatti, tutto ci che necessario ammettere sono processi di natura meccanica come quelli che ci vengono garantiti dalla costituzione del nostro organismo e che scopriamo puntualmente in atto ogni qual volta i nostri sensi ci trasmettono le informazioni di loro competenza e il nostro cervello compie allinterno dei propri circuiti neurali, in piena autonomia e per lo pi senza che ce ne rendiamo conto, operazioni che nullaltro si rivelano se non calcoli destinati unicamente a consentire una composizione unitaria delle informazioni che gli vengono trasmesse. Quel tipo di composizione e conseguente rappresentazione (la quale prende la forma di una configurazione cerebrale) che abbiamo imparato a chiamare sintesi, quanti sono stati abituati a pensare che non pi di questi due

siano i livelli di formazione delle nostre conoscenze e coincidono appunto con la capacit dei nostri sensi di produrre calcoli, sono fortemente tentati di concludere che la naturalizzazione di queste due facolt ci autorizzi a ritenere spiegabile su basi naturalistiche e, in definitiva, materialistiche lintero processo di formazione di cognizioni quali che siano, e ad escludere, pertanto, lesistenza di stati mentali che non siano in realt stati fisici e, per quanto pi direttamente ci riguarda, fisiologici. Questultimo passaggio sottintende la convinzione che anche quelli che tra gli stati tradizionalmente definiti mentali che conoscenze in senso stretto siamo stati educati a non considerare (emozioni e passioni, desideri e repulsioni) siano in realt interpretabili quali stati cognitivi, poich sono pur sempre un modo di elaborare informazioni che stiamo ricevendo. La nozione di stato cognitivo introdotta e fatta valere da quelle scienze che cognitive oggi si definiscono in questo senso pi ampia della nozione di stato conoscitivo che abbiamo ereditato dalla nostra tradizione gnoseologica. Il mio riferimento a quanti sono stati educati a pensare che altri livelli di formazione delle nostre conoscenze non si diano, se non quelli che coincidono con la capacit dei nostri sensi di assumere e trasmettere informazioni e con la capacit del nostro cervello di combinarle secondo un sistema di relazioni di tipo tanto estensionale quanto intensionale (cio relativo al contenuto rappresentativo) che di nullaltro che non sia la loro ampiezza avrebbe bisogno di tener conto, chiama in causa settori molto ampi e influenti della cultura filosofico scientifica dei nostri giorni. Chi conosce un po di storia della filosofia non ignora che la tesi che stiamo evocando, la tesi secondo cui una semplice ricezione di dati di natura sensibile su cui si baserebbero e un semplice calcolo logico delle relazioni tra essi possibili sarebbero tutto ci che la natura delle nostre conoscenze ci obbligherebbe a ritenere necessario alla loro formazione, quando ovviamente conoscenze in senso proprio si abbiano di mira, cio rappresentazioni riferibili a stati reali dellessere. Questa tesi stata sostenuta in et moderna dalla quasi generalit degli scienziati e da tutti quei filosofi che classifichiamo solitamente come empiristi, fino a diventare quasi un luogo comune delle maggiori epistemologie del 900. Fortemente influenzati dagli sviluppi e dagli affinamenti di cui la tesi in questione ha goduto nellambito di quellindirizzo di pensiero che va sotto il nome di neo-empirismo o empirismo logico (alcuni nomi: Carnap, Quine, ecc.) ancora oggi la tesi di riferimento di qui filosofi che si definiscono di indirizzo analitico. Il sottinteso gnoseologico che induce molti di loro a ritenere possibile una compiuta naturalizzazione di tutte le condizioni che ci consentono rappresentazioni veritiere o quanto meno sensate della realt a cui ci riferiamo. Non ho interesse per ora a contestare frontalmente questa tesi che non condivido. Le ragioni che ci consentiranno di considerarla troppo restrittiva e di sostenere che il percorso di formazione delle nostre conoscenze in ogni suo momento strutturalmente pi complesso di quanto arrivino a supporre le ricostruzioni di piano analitico. Arriveremo a scoprirle a poco a poco grazie

anche allaiuto di Hegel. Per ora pu essere conveniente prendere per buona la tesi che non condividiamo (come piace fare a noi filosofi dialettici sin dai tempi di Socrate) e mostrare quali difficolt incontra. Lasciamo che siano i suoi stessi sostenitori a ricordarcele. Premesso che il loro assunto gnoseologico, la loro idea di conoscenza, li induce a ritenere in linea di principio possibile una compiuta naturalizzazione dei nostri percorsi cognitivi, perch naturalizzabili hanno ragione di ritenere (su questo io sono daccordo) entrambi i livelli operativi che ritengono di dover ammettere, la capacit di assumere e trasmettere conoscenze di natura sensibile ecc., che naturalizzare questo complesso di operazioni, mostrare come e perch gli stati in quel modo operando vengono a prodursi possono essere riconosciuti come meramente fisiologici, e non rimandino ad alcunch di meta-fisiologico e pertanto di immateriale, che a una condizione mentale non riducibile ad una condizione corporea debba essere imputato, lascia aperta la questione di come possa essere naturalisticamente spiegato linsorgere di una condizione che stato nel senso di quello che possibile naturalizzare, stato nel senso in cui lo unemozione o unimpressione o unimmagine, difficile considerare perch di una condizione pi propriamente si tratta che accompagna il prodursi di stati diversi e, pi propriamente ancora, di una dimensione costante del loro prodursi. Stiamo parlando di quella dimensione dellessere in cui tutti gli stati in questione, per quanto naturalizzati o naturalizzabili, si prestano ad essere collocati, e che nella nostra tradizione culturale, in una tradizione che non soltanto quella delle filosofie cui siamo pi affezionati, ha preso il nome di coscienza. Da qui domani ripartiremo, da una nozione di coscienza con cui anche i filosofi analitici, anche quelli tra loro ancora pi legati al progetto di una compiuta naturalizzazione dei saperi, sono obbligati a misurarsi, e che scopriremo incompatibile col loro modo di porre il problema, col loro modo di porsi il problema ma che diavolo che cosa ?. Capire a quali difficolt vada incontro il modo ancora oggi pi corrente di chiedersi che cosa una coscienza , ci aiuter a capire meglio il percorso alternativo che la hegeliana Fenomenologia dello Spirito ha saputo proporci. 25/9 Dobbiamo confrontarci con il naturalismo cognitivo. Un testo col quale iniziare con questo confronto Naturalismo cognitivo. Per una teoria materialistica della mente di Sandro Nannini, che propone una radicale naturalizzazione dellumano, in cui riconosco uno degli indirizzi pi importanti del nostro tempo e con il quale ho ritenuto doveroso confrontarmi. necessario perci interloquire con Nannini. Nannini non tiene nascoste, con lealt, le difficolt a cui un simile progetto va incontro. Meritano di essere lette un paio di pagine del cap. 10 di questo libro intitolato coscienza e inconscio nellodierna filosofia della mente, dove si prende in esame i principali parametri con cui la filosofia moderna ha tracciato una linea tra fisico e mentale, condotte fisiche e condotte

che sembrano spiegabili solo come scatenate da qualcosa di altro dalla coscienza. Tra i parametri con cui si tentato di stabilire una linea di demarcazione Nannini ne ricorda due (i pi noti, dal momento che, come vedremo, Hegel verr trascurato): - il parametro offerto dalla identificazione cartesiana di mentale e coscienziale, cio dellassunto che quali che siano i processi di natura fisiologica che possono favorirlo, uno stato di conoscenza una condizione acquisibile sempre e solo nella prospettiva e nelle forme di un pensare in prima persona; - il parametro offerto dalla nozione brentaniana di intenzionalit. Senza sottovalutare limportanza del primo, consapevole com che lidentificazione cartesiana tra mente e coscienza ha avuto un successo enorme tra filosofi e psicologi successivi ed ancora largamente accettata tra molti di coloro che non accettano il dualismo cartesiano, concentra lattenzione sul secondo parametro. Questo si spiega col fatto col fatto che la teoria dellintenzionalit{ stata ripresa dallallievo di Brentano Husserl, e gioca un ruolo fondamentale per il contrasto messo in atto dalla fenomenologia contro ogni tentativo di naturalizzazione delle nostre condotte. Nannini ci parla del tema dellintenzionalit{ quale tratto distintivo tra le condotte consce e inconsce a pp. 192-193 (lettura di un passo tratto da queste due pagine). Non vi sar sfuggito il passo in cui intenzionalit e coscienza vengono identificate come i due scogli principali al tentativo di naturalizzazione dei nostri saperi e implicitamente si ammette che sono ancora forti. Non mancano ipotesi che possono aggirarli, ma mancano le prove chiare che permettano di rispondere alle giustificate obiezioni. Si deve riconoscere che tutti i tentativi compiuti di naturalizzare la coscienza presuppongono un suo preliminare depauperamento che persiste nello scorporamento di funzioni che alla coscienza sono state associate nellarco dellintera nostra tradizione culturale e che ciascuno di noi portato a riconoscere nella quotidianit, in ci che per lui essere cosciente significa. Ad essere scorporate, dissociate dalla condizione di un essere cosciente sono proprio le funzioni connesse con quella che definirei la struttura egologicointenzionale delle nostre esperienze. Quale tra le sue funzioni avessero incoraggiato Cartesio a identificare le condizioni dellessere cosciente co n la condizione di un essere pensante, e Brentano a riconoscere nellinsorgere di una coscienza il manifestarsi di una relazione col mondo che ci rivela costantemente diretti verso di esso, orientati rispetto a quanto pu in esso (nel nostro mondo) accadere. I naturalisti ci chiedono di dimenticarci di tutto questo, di ammettere preliminarmente che coscienza, io e intenzionalit{ mentali distinti, implementati mediante processi cerebrali differenti, e che il loro convergere verso un qualcosa di unitario sia unillusione (indispensabile per avere un coordinamento senso-motorio normale) creata dal nostro cervello, proprio com unillusione che al cinema vi siano davanti a noi persone vere che parlano, mentre sappiamo che limmagine sullo schermo e la voce che viene dagli altoparlanti sono fenomeni eterogenei prodotti in modo diverso da macchine diverse. Ma se ammettessimo questo, se accettassimo di pensare che le

condizioni originarie di fenomeni quali lintenzionalit{ e legoit{ vadano cercate e riconosciute ai livelli della nostra esperienza, o, come preferiscono i naturalisti, in luoghi della nostra attivit cerebrale in stati diversi da quelli che segnano la nascita di una qual si voglia forma di coscienza, che cosa resterebbe di ci che coscienza continuiamo non di meno a chiamare? Lunica funzione che continueremmo ad attribuirle sarebbe quella che le attribuiva anche Kant, quando notava che al di fuori di una coscienza in grado di coordinarle, le informazioni che i sensi ci trasmettono rischierebbero di risultare rapsodiche, dislocate su circuiti cerebrali che non ne consentirebbero unelaborazione incrociata. Diversamente da ci che pensava Kant il coordinamento di cui, anche nella versione minimalista teorizzata dai naturalisti, una coscienza si troverebbe garante, avverrebbe al di fuori di qual si voglia prospettiva unitaria, posto che lunica prospettiva unitaria potrebbe essere quella egologica di un pensare in prima persona, a cui Kant si riferiva risemantizzando lio penso cartesiano. Una prospettiva di cui si preliminarmente supposto che nasca in luoghi e da processi estranei a quelli che producono le condizioni di un essere cosciente. Al di fuori di una prospettiva unitaria lunica forma di coordinamento pensabile di quella che pu essere data da unassociazione e conseguente rappresentazione sincronica di dati che stiamo elaborando. Ed proprio questa la direzione in cui si muovono oggi quanti ritengono possibile una spieazione naturalistica del fenomeno che chiamiamo coscienza, la sua identificazione con uno stato fisiologico. Lipotesi pi plausibile considerata quella avanzata da F. Crick e C. Koch nellarticolo del 1990 Towards a neurobiological theory o consciousness. La loro tesi, suffragata successivamente dai contributi di un altro neurofisiologo (cfr. A. K. Engel, 2003; 2005), che le basi biologiche della comparsa di stati di coscienza possono essere riconosciute nella sincronizzazione di alcuni circuiti oscillanti a determinate frequenze e non altre. Questa definizione di coscienza che i naturalisti ci propongono per loro stessa ammissione unipotesi di lavoro segnata da limiti e difficolt{ che si avrebbe torto a definire occasionali perch ne sono la cornice istituzionale. Vorrei segnalarne un paio di queste difficolt. Cominciando da una anomalia su cui si deve riflettere. Naturalizzare luna o laltra espressione di ci che siamo, significa far coincidere il fenomeno, alla cui naturalizzazione si mira, con uno stato del nostro organismo riconoscibile una volta per tutte in una determinata configurazione del nostro cervello. Questo vale nella naturalizzazione di ogni evento cognitivo (emozioni e passioni, percezioni e immagini) nella misura in cui della sua natura di stato non si abbia ragione di dubitare. Dovrebbe pertanto valere anche per la naturalizzazione della coscienza, o, pi esattamente, di quanto di una coscienza resta quando da essa scorporiamo, ritenendole non pertinenti, non essenziali per una sua definizione, propriet{ quali lintenzionalit{ e la disposizione egologica. Ma nellapplicazione al fenomeno coscienza del canone epistemologico che regola la naturalizzazione di qual si voglia fenomeno possibile cogliere una anomalia indicativa, a mio parere, di una difficolt

inaggirabile perch imputabile a una vera e propria incompatibilit di principio tra il paradigma epistemologico che il naturalista si obbligato a far valere (il principio che tutto deve poter essere ricondotto ad uno stato fisicamente accettabile) e una forma di esistenza che alla sua identificazione con uno stato quale che sia resiste anche nella pi minimalista delle sue visioni. E infatti la naturalizzazione della coscienza evita in prima battuta una sua definizione che la dichiari identica alluno o allaltro stato del nostro cervello, alluna o allaltra delle sue innumerevoli configurazioni possibili, perch la relazione sincronica che quale sua essenza ci viene prospettata piuttosto un modo in cui stati diversi diventano luno con laltro coniugabili e, pertanto, coordinabili. Ma in una prospettiva naturalistica ogni tentativo di tenere distinto il modo in cui qualcosa da ci che di fatto o sarebbe (un wie da un was) destinato ad abortire. E infatti quel wie pu essere naturalisticamente pensato come un was, come uno stato di cose in cui la relazione sincronica che stiamo ipotizzando verrebbe ogni volta a contrastare. Della seconda difficolt parleremo nella prossima lezione, perch riguarda la nozione di intenzionalit, che la sua versione naturalistica ci obbliga a pensare quale propriet{ del nostro organismo dissociabile dallinsorgere in esso di una coscienza, e quella, tra le sue diverse accezioni possibili, quale tratto distintivo di una coscienza che siamo tenuti a pensare. Lo faremo tramite Hegel. 8/10 Allintroduzione della sua traduzione della Fenomenologia dello Spirito, Garelli mette al centro degli interessi di Hegel la riconciliazione (versoehnung) delluomo con una condizione storico-mondana che egli percepisce come dominante. Ci chiederemo come a una tale percezione di s sia pervenuto il protagonista di questopera, quelluomo delle cui inquietudini questopera si sta facendo carico e nelle cui difficolt ciascuno di noi si pu ancora riconoscere. La risposta a questa domanda pu essere data solamente dalla lettura filosofica di quelle vicende individuali e collettive che Hegel espone. Da una rilettura di questa storia della civilt che al lettore della Fenomenologia viene a lungo negata. La chiave per accedervi, infatti, ci viene consegnata solo nel primo dei tre capitoli conclusivi, che nella prospettiva sistematica di una interpretazione filosofica della storia effettivamente si muovono. Ma se vero com vero che la prospettiva sistematica in cui diventa possibile una interpretazione filosofica della storia la medesima che consente una comprensione unitaria delle diverse forme di sapere attraverso cui lesperienza di ogni uomo sembra condannata a passare (cfr. i primi cinque capitoli), oppure, come si dice oggi, delle strategie cognitive divergenti a cui si scopre costantemente vincolato chi di una propria identit ponga il problema, dobbiamo ammettere che anche la possibilit di una comprensione unitaria di quelle espressioni diverse dellumano resta per cos dire sospesa, differita nelle prime tappe di quel percorso di autocomprensione che Hegel fa coincidere con i primi cinque capitoli. Questo non significa che ogni

anticipazione degli ultimi tre capitoli, in particolare del sesto, debba esserci vietata; pu, anzi, rivelarsi opportuno, purch il nostro modo di anticipare conclusioni che non siamo in grado di trarre non ce le dia per acquisite (altrimenti si arriva ad una lettura dogmatica del testo). Lanticipazione pu essere utile quando si limita ad essere un segnavia allinterno di un percorso che comunque dialettico, con ci riconoscendosi sin dallinizio debitori di sottintesi che non in grado di tematizzare, di presupposti che stanno operando alle sue spalle e di cui non in grado di offrirci alcuna spiegazione frontale fin quando non avr dimostrato di discendere direttamente da questi. A due anticipazioni, pertanto, dobbiamo ricorrere. La prima riguarda il vero e proprio punto di partenza della hegeliana lettura della filosofica della storia, che interpretazione della grecit quale evento fondante della nostra tradizione culturale e quale dominio di forme di vita che mai Hegel ha cessato di considerare primarie. In quale senso cercheremo di capirlo. Pi esattamente cercheremo di capire perch da esse abbia ritenuto di dover partire nel momento in cui si posto il problema di capire in maniera diretta, tematica, che cosa la parola spirito significa. Ha cercato di farlo attraverso il racconto di unavventura di cui la realt{ che chiama Spirito sarebbe stata protagonista, e assumendo pertanto, a partire dal capitolo VI, un punto di vista che ha la pretesa di essere il suo e che non pi quello, fino a quel momento prevalente, di forme di coscienza ad esso debitrici, ma incapaci di tematizzarlo, di riconoscerlo quale orizzonte al di fuori del quale non potrebbero prodursi, e allinterno del quale stanno sempre procedendo. Si tentati di definirla una storia ideale, assumendo che ad esserne protagonisti non siano individui e comunit in essa coinvolti, ma forme di vita ci scopriamo partecipi e delle quali scopriamo che difficile definirle naturali, cio imposte dalla natura di qualcosa o di qualcuno. Lessenza e la logica delle forme di vita in questione sembrano piuttosto coincidere con quelle di una dimensione non naturale di cui le umane esistenze sono andate progressivamente arricchendosi e che Hegel ritiene di poter continuare a definire spirituale, a dispetto dei molti usi impropri che la parola Spirito ha sopportato e di una tradizione metafisica che rischia di condizionarne pesantemente la ricezione. forte la tentazione di definire storia ideale questavventura e di screditare pertanto come ideologico il suo tentativo che forme di vita non naturali e spirituali, pertanto, nella sua accezione del termine definibili, sono state e sono la cornice istituzionale (e istitutiva) di ci che chiamiamo storia. Una cornice che necessario ammettere affinch quel percorso che al modo di una storia ci raccontiamo e che con una nostra storia identifichiamo diventi in questi termini pensabile. Ad essere screditato come ideologico sarebbe un tentativo che rappresenta non un aspetto marginale, ma il centro nevralgico della filosofia hegeliana: il tentativo di stabilire un nesso essenziale, cio un nesso capace di legittimare una identit di principio tra una nozione di Spirito che ha saputo radicalmente rinnovare e una concezione della

storia che ha cercato di inaugurare. Alla tentazione di definire ideale e di screditare pertanto come ideologica la storia che ci racconta, Hegel oppone la sua convinzione che di una storia si tratti interamente leggibile nella filigrana di quella che anche i suoi avversari pi intransigenti (i positivisti) sono disposti ad ammettere come reale e sulla cui realt, o meglio sulla cui fattuale sussistenza (dasein), anche egli, come chiunque altro, ha riconosciuto. Sarebbe sbagliato attribuire ad Hegel una forma di idealismo fondata sullipotesi che reale sia soltanto qualcosa che reale sia soltanto qualcosa che potremmo unicamente pensare (Hegel non Platone!), mentre tutto ci che si presta ad essere osservato e descritto al modo di una cosa e di cui ci sembra difficile negare che qualcosa di fatto sia non sarebbe se non unapparenza ingannevole di cui dobbiamo semplicemente liberarci, di cui in nessun momento dovrebbe farsi carico lasciando che lo condizioni quel discorso filosofico che a quanto di unicamente intelligibile il sensibile nasconde sta mirando. Per Hegel quei fatti che filosofie di stampo platonico ci obbligherebbero a chiamare apparenze (o meglio parvenze) da cui fuggire, inganni da cui potremmo sottrarci solo volgendo loro le spalle, sono invece dati da cui siamo tenuti a partire e nei quali vanno cercate quelle condizioni di intelligenza che con ragioni non occasionali, non meramente contingenti del loro prodursi debbono poter coincidere. Cercarle in essi significa non abbandonarli, ma aprirli (in questo senso si pu parlare di filosofia come un dispiegare) a una considerazione di quanto di non fattuale, nel senso di quei fatti che essi stessi sono, stanno presupponendo. Lidea hegeliana di una storia dal doppio volto risulta pi chiara quando si tiene presente che ci sono in Hegel due modi molto differenti di riferirsi a qualcosa di cui si sta riconoscendo che in qualche modo si d e che reale pertanto ritenuto a considerare. La lingua che parla gli consente di avvalersi, a seconda dei casi, di aggettivi come real o reel o di un aggettivo dalla radice diversa come wirklich. Real o reel appartengono a una famiglia di voci verbali che ha il proprio centro nel sostantivo Realitaet e la propria radice nella parola latina res; mentre wirklich, cos come il sostantivo wirklicheit, hanno tuttaltra origine (alto-tedesca) e la radice in comune con il verbo wirken (anticamente werken, il quale rimanda a werke, opera). Ne consegue che reale nel senso di una Realitaet (cosalit), che sarebbe troppo idealistico negargli e che una forma di idealismo come quella di Hegel ci vieta di negargli, tutto ci che al modo di una res in grado di presentarsi, cio al modo do un fatto in s consistente e per s sussistente, e dunque in un modo che lo rende tendenzialmente indisponibile a svelarci i suoi segreti, a lasciar trasparire quei suoi presupposti che sta nascondendoci. Le condizioni che hanno dovuto darsi e che dobbiamo ammettere come operanti (wirklich) affinch la sua esistenza, il suo fattuale esserci, cessi di apparirci meramente occasionale e un suo significato non contingente diventi per noi disponibile. Delle condizioni di intelligenza cui ogni suo uso della parola Spirito rimanda, e che si ritiene la sola

in grado di offrirci una comprensione unitaria e metodica (sistematica) di tutto ci che stato ed , Hegel pensa che: a) debbano essere riconosciute immanenti (nei fatti) ai fatti di cui devono dar conto; b) non si prestino ad essere raccolte ed esaurite in una sequenza di tipo lineare e seriale; c) godano di una effettivit o effettualit (wirklicheit) che non quella dei fatti che ci aiutano a spiegare, ovvero di fatti al cui modo di presentarsi sia connaturata la pretesa di valere al modo di cose, cio di qualcosa di in s consistente e per s sussistente. Leffettivit{ o effettualit{ delle condizioni di intelligenza, che da semplici fatti muovendo il discorso filosofico dovrebbe far emergere, non assimilabile alla fatticit dei dati che quale proprio punto di partenza sta sottintendendo. Il tipo di realt di cui una condizione di intelligenza dovrebbe poter dar prova non la fatticit del dato che come tale ci chiede di essere recepito, ma leffettualit{ o effettivit{ di una forma di vita pi complessa a cui ogni dato di fatto che stia presupponendo deve il fatto stesso della propria esistenza. come dire: condizioni di intelligenza quali Hegel arrivato a concepirle hanno la pretesa di essere reali non nel senso di una Realitaet o fatticit che non potrebbero esibire, ma nel senso di una wirklicheit, di una operosit e incidenza che di un loro essere in atto ci danno la prova. A questo loro essere in atto dobbiamo poterci riferire anche in quelle lingue di matrice latina in cui il retaggio linguistico rappresentato dalla parola res e dai suoi derivati stato talmente dominante da impedire la nascita di modi proprio di designare ci che in modo diverso siamo tenuti a considerare. Non c in italiano e nelle altre lingue neo-latine un equivalente di wirklicheit che con altrettanta chiarezza ne esibisca la radice semantica, cio il significato pi profondo. Per indicare quellessere in atto di qualcosa, che in altro modo, non in quel suo attivo manifestarsi, potrebbe provare la propria effettualit, Giovanni Gentile si inventato il termine attuosit. difficile servirsene oggi, in un clima culturale che al gergo degli idealisti diventato, anche giustamente, insofferente. Quindi conviene accettare la traduzione con la parola effettualit, che sottolinea il tratto distintivo a cui le condizioni di intelligenza che reali stiamo dichiarando affidano lunica possibile della realt{ che stiamo loro attribuendo: la loro capacit{ di produrre effetti. Ma, dopo questa digressione necessaria, torniamo alla domanda che ci siamo posti a proposito del capitolo VI. La domanda era: perch quando ha ritenuto mature le condizioni per porre in maniera diretta (e non pi come nei primi cinque capitoli) il problema di quella realt che chiama Spirito, chiarendo quale significato quella parola abbia assunto per noi e possa ancora avere per noi, Hegel decide di ripartire dagli antichi Greci, e pi esattamente da una interpretazione della grecit quale

evento fondante della nostra tradizione culturale, e dominio, ad esempio, di forme di esistenza in cui ci invita ad accogliere verit primarie e ineludibili, anche se in quella loro versione primitiva non pi riproponibili? Scopo di questa domanda favorire una delle due anticipazioni che ci siamo concessi per aiutarci ad impostare correttamente la lettura dei primi cinque capitoli. La prima anticipazione riguarda quella nozione di sostanza di cui Hegel si avvale per segnare i confini della forma di vita su cui ci invita a riflettere, in cui ci invita a ritrovare la pi primitiva espressione di quella maniera dessere che spirituale merita di essere definita. Di una forma di eticit a suo riguardo parla, che sostanziale dichiara. Abbiamo gi{ qualche buon motivo di pensare che di una nozione davvero centrale una parola come sostanza e i suoi derivati stiano ponendoci il problema, di una chiave interpretativa del progetto filosofico di Hegel a cui sar necessario ricorrere per cogliere non unicamente i singoli momenti, ma la direzione complessiva. quanto risultava anche dal passo della Prefazione letto la volta scorsa. Un passo in cui la nozione di sostanza interviene quale segnavia iniziale di un percorso che con la prospettiva sistematica di una Fenomenologia dello Spirito dovrebbe poter coincidere. Ricordiamolo quel passo, in cui si parla di una verit che ambisce ad essere quella di un Tutto in quanto tale operante (Il Vero il Tutto) e a proposito della quale, di una verit{ che tale pretesa avanza, si dice. secondo il mio modo di vedere Che cosa significa cogliere ed esprimere il vero come sostanza? E che cosa potr mai significare porsi nella posizione di poterlo cogliere e definire come soggetto? Notiamo che Das Wahre un sostantivo volutamente neutro, e quindi volutamente neutrale di fronte alla questione che si posta sin dai tempi di Platone quando della parola verit (die Warheit) ci si voglia servire, la questione se unica o molteplice debba essere considerata. Scegliere un sostantivo neutro ci consente di scansare, tenendolo per il momento in sospeso, lobbligo di stabilire se al singolare o al plurale larticolo determinativo che lo precede debba essere usato. La risposta hegeliana comincia tuttavia a delinearsi gi nelle pagine successive di questa prefazione, e dunque nellaffermazione che la insuperabile verit di un Tutto come tale operante (non come tale dato!) debbano potersi in ogni momento riferire le verit parziali e molteplici (inevitabilmente tali) con cui la nostra esperienza costantemente si confronta e alle quali si attiene quando sapere di un tutto a cui appartengono ancora non possa pretendersi. Detto questo riprendiamo la nostra caccia ai significati delle parole chiave di cui Hegel si serve. Cominciamo con la parola sostanza, il cui significato potremmo andare a cercare nella Scienza della Logica, ma correremmo il rischio di assumerla come se di una categoria (nel senso pi tradizionale) si trattasse. Volendo evitare questo rischio, conviene cercarne il significato laddove con una maniera di presentarsi delle cose alla loro natura imputabile si trova a

coincidere. Ecco allora limportanza di quelle pagine della Fenomenologia dello Spirito (capitolo VI, sezione A) in cui luso della parola sostanza associato al modo di prodursi di una realt su ogni altra prevalente e di ogni altra comprensiva quale pu essere ritenuta una forma di vita. Da una lettura della sezione A del capitolo VI cominceremo la prossima lezione. 15/10 Avendo scelto di iniziare la nostra lettura dal cap. VI, in cui la prospettiva propria di realt definibili come Spirito risulta per la prima volta acquisita allinizio del cap.VI: Lo Spirito. Avendo scelto di invertire lordine abituale di questopera scegliamo consapevolmente di presupporre una volta su cui dovremmo tornare, e di lasciare per il momento in sospeso le discussioni che ha suscitato e che riguardano anche il titolo inizialmente non previsto con cui lintera opera ci oggi nota. Di essa, di quellespressione Fenomenologia dello Spirito che compare solo quale sottotitolo e solo nella versione definitiva vi dir soltanto che della svolta che stiamo presupponendo il risultato. Un risultato sorprendente per lo stesso Hegel, che a Fenomenologia della mente o coscienza naturale e non Fenomenologia dello Spirito aveva inizialmente pensato (come fenomenologia mentis la annuncia agli amici nel 1806) e che al nuovo sottotitolo, alla nuova idea di una Fenomenologia in cui a rendersi per s stessa riconoscibile sarebbe lessenza stessa di ci che Spirito ( Geist) chiama, affida un messaggio tra i pi innovativi. Sarei tentato di dire il pi innovativo di quelli che ci ha lasciato. Fenomenologia dello Spirito alla fine il titolo di unopera non altrimenti interpretabile se non come un tentativo si stabilire lessenza ultima e irriducibile della realt{ che Spirito viene chiamata, non in quel modo in cui potremmo sperare di stabilirla se alla maniera di un ente si prestasse ad essere tematizzata (con un singolo atto di pensiero al quale essa unicamente mira), ma attraverso un percorso che si propone quale ricognizione sistematica di ogni apparizione o manifestazione ad essa attribuibile. Questo per significa suppore che lessenza che stiamo cercando di stabilire sia quella di una realt che nelle sue manifestazioni essenzialmente consiste. Solo ammettendo questo si giustifica la presunzione che il cammino di una sia comprensione compiuta possa coincidere con quello di una sua fenomenologia. La tesi che Spirito, nellaccezione hegeliana del termine, possa essere definita solo una realt la cui essenza debba essere riconosciuta in una condizione di manifestativit{. Questa tesi indissociabile dallidea di una comprensione dellessenza in questione che fenomenologica debba essere riconosciuta. Ma non c dubbio che a questa conclusione della sua grande opera del 1807, Hegel sia rimasto fedele anche quando in prospettive diverse da quella della sua primitiva acquisizione si trovato a ripensarla. Ne fa fede lesposizione del concetto di spirito che si trova nel par.383 dellEnciclopedia (1830), cio di unopera pubblicata per la prima volta nel 1817; in unopera la cui prospettiva non pi quella fenomenologica dellacquisizione di un sapere, ma quella didascalica di

una ricollocazione sistematica di quei saperi che un filosofo dovrebbe poter considerare acquisiti perch impliciti nel suo. Lettura par.383 (trad.it. di Benedetto Croce): la determinatezza dello spirito dunque la manifestazione. Esso non una qualsiasi determinatezza e contenuto di cui lestrinsecazione ed esteriorit sarebbe solo forma distinta. Non gi lo Spirito manifesta quella cosa, ma la sua determinatezza o contenuto questa rivelazione stessa. E come dire: Spirito non un qualche cosa che manifesta qualche cosa, perch come Spirito si presta ad essere legittimamente pensata solo quella condizione di manifestativit nel cui orizzonte ogni cosa in esso presente si sta manifestando. questo il significato che la parola Spirito assume in ogni suo uso hegeliano a partire da quel momento di una fenomenologica comprensione della sua essenza di cui Hegel ha ritenuto di potersi fare garante, avendone istituito la prospettiva, di un rinnovato uso filosofico del termine. Presupposto della svolta che lo consente la condizione di una coscienza emancipata dallillusione di potersi identificare con dati che naturali avrebbe il diritto di considerare se ad essi la ragione di ci che essa stessa potesse essere ricondotta. Sul modo in cui tale emancipazione avvenuta, sul percorso dialettico che con essa ha coinciso (cfr. i primi cinque capitoli) torneremo in seguito. Ma si dora deve essere chiaro che solo una coscienza emancipata dallillusione di una naturalit della propria essenza ha potuto affidare alla parola Spirito il compito di rappresentare anche la propria. Una sua essenza che di ogni sua possibile ragione potesse risultare comprensiva. La prima di quelle sue manifestazioni in cui una realt con le caratteristiche di quella che Spirito Hegel definisce arrivata a manifestarsi in prima persona, cio in una forma che alla sua essenza e non ad altro rimanda una forma di vita caratterizzata da un rapporto di immediata solidariet, di immediata identificazione del singolo con le leggi e i costumi della comunit a cui appartiene. la forma di vita che Hegel ritiene essersi realizzata nelle condizioni storiche dellantica polis e il cui tratto distintivo gli sembra quello di una Eticit che definisce sostanziale. una definizione che ci sar{ molto utile perch ci aiuter{ a ridefinire in unottica hegeliana una nozione decisiva come quella di sostanza e a capire meglio che quell obiettivo Hegel si posto quando ha conferito a questa sua opera i l titolo Fenomenologia dello Spirito che la verit di una sostanza in quanto tale ritenuta ha lo status di un soggetto in ragione del quale stiamo pensandola. Prima di entrare nel merito della descrizione a cui la presunta sostanziale eticit dei Greci ci presentata in queste pagine di porre laccento su quelle sue peculiarit che da descrizioni precedenti la differenziano, dobbiamo fermare la nostra attenzione su quanto gi in questa prima battuta stiamo sottintendendo. Sulla complessit strutturale che inevitabile attribuire a una forma di vita quale che sia nel momento in cui la si pensa quale forma in cui diventa manifesta lessenza di qualcosa la cui essenza quella di una manifestare. Ritenere che in

questa chiave ogni forma di vita debba essere pensata perch solo un pensiero che in questo modo la assuma in grado di darcene una comprensione allaltezza della sua natura di evento non naturale ma spirituale, e pertanto rispettosa del suo status di condizione di condizione di manifestativit in atto significa, infatti, riconoscerne una duplice dimensione. La dimensione di una condizione di manifestativit che starebbe direttamente (nel linguaggio hegeliano) per s stessa manifestandosi e la dimensione di una condizione di manifestativit che, in essa immersa e ad essa rivolta, starebbe manifestandola altrettanto direttamente o tematicamente. Questa seconda delle sue due dimensioni non pu essere pensata se non come inscritta nella prima e dipendente da quella, da una condizione di manifestativit che non potrebbe manifestarsi se anche nella condizione che la manifesta non stesse manifestandosi. Senza questa dipendenza che quanto sta manifestando non potremmo infatti interpretarla quale sua manifestazione, ma proprio Hegel ci ha insegnato (pensate alla dialettica servo-padrone) che nessun rapporto di dipendenza pu pretendersi univoco: non v dipendenza che non debba riconoscersi reciproca. Va da s che presupposto di una relazione che di una qualche dipendenza debba risultare significativa la reciproca irriducibilit dei due poli che a quella relazione concorrono e che attraverso di essa si rendono reciprocamente riconoscibili. Il significato di tutto questo risulta certamente pi chiaro quando alle due condizioni, che stiamo segnalando come costitutive della strutturale cmplessit di ogni forma di vita e sulla cui reciproca dipendenza per il riconoscimento di entrambi dovremmo fare conto, scegliamo di dare quei nomi che Hegel ritiene debbano essere i loro e, pertanto, a quanto abbiamo in questo contesto definito condizione di manifestativit che sta manifestandosi restituiamo il nome di Spirito. E a quanto abbiamo chiamato condizione di manifestativit che sta manifestandola restituiamo il nome di Coscienza. La prima di queste due condizioni di manifestativit, quella che scopriamo corrispondere agli usi hegeliani della parola Spirito, coincide con forme di vita che Hegel caratterizza come universali (universale, e non globale!) al punto che non di forme di vita ma di veri e propri mondi (greco, romano, ecc.) preferisce a loro riguardo parlare. La seconda delle due condizioni di manifestativit, quella che scopriamo corrispondere agli usi hegeliani della parola coscienza successivi al cap. VI, coincide, allopposto, con forme di vita caratterizzate come singolari. Quale forma di vita segnata da una sua irriducibile singolarit una coscienza si prospetta in tutti quei contesti fenomenologici che a una sua essenza eminentemente spirituale stanno rimandandoci e nei quali, pertanto, il riferimento a forme di consapevolezza ormai sottratte allillusione di una propria naturalit. Va da se che queste ultime forme di consapevolezza e, con esse, condizioni di manifestativit irriducibilmente vincolate alla singolarit di esperienze individuali devono ritenersi costantemente inscritte nelle prime, cio in quelle che universali vengono costantemente definite. Ma a questo punto

valgono due avvertimenti, il primo dei quali gi dato e riguarda il rapporto di dipendenza reciproca tra quelle forme di vita che segnano i confini di un mondo e le forme di coscienza in esse possibili. Il secondo, invece, riguarda il modo hegeliano di riferirsi alle prime, quel suo modo di riferirvisi che universali le definisce quali figure, e dunque quali manifestazioni strutturali e non unicamente contingenti della condizione di realt che chiama Spirito ci chiede di interpretarle. Voglio darvi qualche esempio di queste opzioni linguistiche che scoprirete costanti, non solo nella sezione A, ma nellarco dellintero capitolo VI e, per quanto riguarda la nozione di figura (Gestalt o Gestaltung) nellarco dellintero percorso fenomenologico. Da questultima vi propongo di iniziare perch lipotesi che non tutte le forme di un manifestarsi siano occasionali, cio imputabili interamente alle circostanze, irrinunciabile per qualunque approccio a un dato quale che sia che fenomenologico si pretenda. Irrinunciabile al punto che non improprio ritenerlo il centro nevralgico di una strategia filosofica che allessenza della condizione di realt che considera, e che Spirito nel nostro caso definisce, intende pervenire senza mai abbandonare il terreno di quelle sue apparizioni o manifestazioni in cui ritiene possibile risolverla. Un proposito come questo esige che alcune delle possibili manifestazioni dellessenza in questione si prestino ad essere concepite come non occasionali ma strutturali, cio suscettibili di coincidere con condizioni che non possono evitare di darsi e in cui levento su cui stiamo indagando, levento che chiamiamo Spirito, non pu evitare di prodursi e in cui effettivamente si produce secondo una logica che oggi definiremmo sistematica e che poi quella delle loro combinazioni possibili. Hegel parla di Gestalten o Gestaltungen a due livelli diversi della sua indagine fenomenologica, e le prime che considera sono figure interne a quei momenti della nostra vita spirituale che sono una coscienza, unautocoscienza e una ragione ancora prigioniera dellillusione di una propria naturalit. Le figure in cui questa illusione si traduce e riflette sono da Hegel indicate con espressioni come certezza sensibile, percezione, intelletto, concupiscenza, ecc. sul cui significato e sulla cui redimibilit torneremo pi avanti. Considerarle redimibili significa ammette che possano essere recuperate e che la loro funzione possa essere ridefinita laddove quali figure dello Spirito e non pi di una coscienza o autocoscienza naturalizzate sar possibili reinterpretarle. Figure dello Spirito sono quelle che Hegel ci presenta a partire dal capitolo VI sotto titoli come Eticit, Diritto, Moralit, ecc. Di esse dice (pg.293) che si distinguono dalle precedenti perch sono spiriti reali, realt effettive vere e proprie . Quanto al rapporto che ogni figura intrattiene con quelle che nella sua esposizione fenomenologica la precedono e la succedono, esso stabilito nelle pagine introduttive del capitolo VII, dove si torna a parlare delle figure della coscienza, del diverso ordine che la loro successione assume quando come figure dello spirito le si reinterpreta, e in questi termini si enuncia il pi generale

principio alla luce dello Spirito: tali figure si differenziano nel tempo in maniere tali che le precedenti (pg.448). Resta ancora un chiarimento da fare circa il significato del termine universale. Da qui ricominceremo la prossima lezione. 5/11 Ripartiamo dalla lettura delle prime righe del capitolo VI, in cui si parla di quando la Ragione Spirito. Questa e altre definizioni preliminari della parola Spirito ci hanno obbligato a fare un passo indietro per esplicitare ci che implicitamente stavamo supponendo. Una nozione di Ragione che alla fine possa rivelarsi come Spirito e una certezza implicita in questa nozione di Ragione a proposito della quale siamo tenuti a chiederci quale verit stia celandoci e a chiederci quale significato della parola Spirito possa darcela. La Coscienza, fallito ogni tentativo di lasciare che a stabilirne lidentit{ fossero modalit{ desperienza (primi 3 capitoli) che si limitavano a presupporle e pervenuta infine alla tematizzazione di un proprio s, la identifica con quel potere di organizzazione mirata e deliberazione causata che Ragione aveva nel frattempo imparato a chiamare (cap. V). da questo significato di Ragione i percorsi hegeliani non potevano prescindere, ma il loro modo di richiamarlo lo arricchisce di connotazioni che la nostra idea di Ragione quale potere di organizzazione mirata e deliberazione causata non avrebbe potuto assumere se non fosse stata obbligata a misurarsi con le ambizioni di una coscienza impegnata ad esercitarlo e che nella propria capacit di garantirne un esercizio metodico ha ritenuto di poter trovare la prova di una prova essenza con esso identificabile. Della prospettiva di una coscienza siffatta abbiamo dovuto farci carico (nella lezione precedente) allo scopo di chiarire quali forme di razionalit ne supportino le ambizioni e di quali certezze abbiano potuto esserne veicolo. Siamo dunque tornati al capitolo V e abbiamo scoperto che la prospettiva di cui dovevamo farci carico quella istituita coltivata in et moderna da una tradizione filosofica di matrice cartesiana che idealismo viene da Hegel definita e quale forma di unilaterale scetticismo viene criticata. Nella prospettiva di un idealismo fedele ai propri iniziali assunti cartesiani e destinata a culminare in forme di trascendentalismo di stampo kantiano e fichtiano sono effetti maturati e si sono costantemente mantenuti tutti i tentativi di mostrare che la possibilit di comportamenti definibili come ragionevoli, perch in grado di far emergere la ragion dessere di ci che e di offrire una ragione per essere a ci che ancora non , nullaltro esige e nullaltro presuppone se non listituirsi di una coscienza allaltezza di una propria formale essenza. Cartesiano per definizione deve ritenersi un assunto come questo e tale da indicare una direzione, un cammino di ricerca che non poteva essere abbandonato senza rendere improbabile lipotesi che consentiva di formulare e invitava a coltivare, lipotesi che un potere come quello che gli veniva attribuito, la forma di esistenza che coscienza veniva contestualmente definita fosse non

semplice depositaria ma condizione originaria, e dunque condizione in grado di istituirlo e non unicamente di offrirne luna o laltra interpretazione possibile. Fedelt a una propria matrice significa fedelt ad assunti in essa impliciti e impegno ad esplicitarli e a farli valere. A una tale legge non potevano sfuggire i diversi tentativi di trovare una forma di coscienza di cui sia lecito pensare che non sia semplice depositaria ma condizione originaria dei poteri di cui dispone. Ci siamo allora chiesti di quali altri assunti impliciti in quello che alla loro matrice cartesiana rimanda abbiano dovuto farsi carico inconsapevolmente impegnandosi a esplicitarli e a farli valere, i tentativi in questione. Su uno di essi, che considera il pi importante, Hegel stesso ha richiamato la nostra attenzione scrivendo che la sola ragione tematizzabile nella prospettiva di un idealismo di matrice cartesiana quello che alla coscienza quale sua essenza dona la certezza di essere lequivalente ontologico di ogni realt possibile (cfr. pgg. 158 e 160). Di fronte a una tesi come questa ci siamo chiesti in quale delle sue possibili accezioni il potere di organizzazione mirata e deliberazione causata che abbiamo imparato a chiamare Ragione si presti ad essere veicolo come quella che ne ricava e di cui tenuta a farsi carico ogni coscienza che sua condizione originaria se ne ritenga. E a questa domanda abbiamo risposto che una ragione in grado di donarle una tale certezza potrebbe consistere solo in un insieme di procedure indistinguibili da una maniera in cui arriva ad essere tutto ci che in qualunque modo . Abbiamo cos scoperto che di procedure stavamo parlando e con esse di forme di razionalit il cui modello va cercato nella maniera di procedere delle moderne discipline naturalistiche. Da esse, da quei saperi che sono nati dalla rivoluzione scientifica, e da un loro modo di procedere che mira a far coincidere procedure razionali e processi naturali, hanno attinto la loro idea di razionalit quelle forme di idealismo che Hegel chiama in causa in queste pagine, perch solo a loro riguardo, solo quando il riferimento sia a forme di razionalit che con maniere di procedere si prestano a coincidere, diventa possibile pensare che nella costituzione naturale di un soggetto (che si costruisce attraverso lorganizzazione di livelli e forme di coscienza diverse) possono risultare inscritte quali articolazioni di una possibilit che essenzialmente gli appartiene e che per tutte quella di un discorso impegnato a garantire anzitutto e in ogni caso le condizioni di coerenza di cui ha bisogno, ove non voglia autodistruggersi; a una possibilit siffatta rimandano inevitabilmente quando di una loro essenza originaria ci si ponga il problema. A una possibilit che ci ha consentito di ricordare come fin dai tempi pi antichi (quando con la parola logos veniva indicata) sia stata chiamata a rappresentare quel potere che alla parola Ragione in ogni lingua moderna abbiamo imparato ad associare, e che nessuno mai potrebbe supporre in altro modo disponibile se non quale prerogativa dellente in grado di coglierla e farla valere in modo metodico e consapevole. Riflettendo su una natura eminentemente procedurale delle forme di razionalit che stato possibile supporre inscritte nella costituzione naturale di un soggetto, di quel su s alla

cui altezza una coscienza che di esso sia dovrebbe consentirgli di operare, con ci promuovendone un esercizio metodico e consapevole, e riflettendo altres sulle filosofiche implicazioni di unimpresa scientifica che ha mostrate indistinguibili dai processi di formazione della realt di cui danno conto, abbiamo capito perch forme di coscienza disposte ad appropriarsene, a riconoscerle quali principi costitutivi di una propria discorsiva essenza non abbiano potuto sottrarsi alla certezza che nulla possa essere che esse stesse non siano. Gi{ si detto che lespressione con cui a tale certezza si riferisce, Hegel la trae dalle pagine della Dottrina della scienza di Fichte dove la certezza di una identit di principio tra essere es essere coscienti presentata quale punto di arrivo di una tradizione filosofica da sempre impegnata a interrogarsi sul valore delle conoscenze cui possiamo intervenire e delle scelte che ci consentito fare, e punto darrivo dovremmo anche considerarla se solo potessimo pensare che la semplice certezza di unidentit{ di principio tra le realt con cui ci confrontiamo e i poteri a cui un tale confronto affidiamo sia sufficiente a garantirci un uso di tali poteri che sul terreno di ci che effettivamente o dovrebbe poter essere costantemente ci mantenga; ma Hegel convinto che la garanzia di un uso in questo senso ragionevole, in questo senso mirato e sensato dei poteri di cui disponiamo o, se preferite, di un loro uso allaltezza della vocazione ontologica che ci chiede di riconoscere in essi quella semplice certezza non sia in grado non sia in grado di darla e che per evitarne una fruizione meramente tautologica non punto darrivo ma punto di partenza debba essere considerata. Scoperta rispetto alla quale sarebbe sbagliato regredire, ma oltre la quale la verit di cui deve darci testimonianza deve essere ricercata. Tautologicit nel linguaggio hegeliano sinonimo di immediatezza e tautologiche pertanto siamo autorizzati a definire quelle espressioni e fruizione della certezza in questione sulla cui immediatezza di preferisce insistere, nella convinzione che quel loro limite che nellimpossibilit{ di un suo utilizzo non meramente tautologico consiste possa risultare cos pi chiaro. Cos nel terzo capoverso del capitolo V, pg. 158 si legge: presenza. La certezza di cui si parla e nella quale si esaurisce tutto ci che della propria ragionevolezza arriva a sapere una coscienza che ad essa non sappia rapportarsi se non con essa immediatamente identificandosi (io sono io) quella che Hegel trova emblematicamente rappresentata nel principio che la fichtiana Dottrina della scienza ci ha proposto di assumere quale punto di partenza di ogni autentico sapere. In quel principio (io sono io) la certezza in questione ha trovato la pi immediata di tutte le sue formulazioni possibili. Su di esse pertanto e sulle implicazioni in esse viventi di una immediatezza che ne diventa il tratto distintivo Hegel ci invita a riflettere osservando che un modo cos immediato di stabilire che ogni sua esperienza di qualcosa nullaltro sia per chi in prima persona la compie se non un modo di affermare e riconoscere una propria identit impedisce di attribuire alla dimensione oggettiva delle sue esperienze (a) quel significato che potrebbe avere per la coscienza, che

sapendosi ad essa vincolata fosse disposta a riconoscere nelloggettivit{ che rivendica la pi generale forma di correlazione per essa possibile o anche (b) quel significato che ha mostrato di poter assumere per una coscienza di s che libera si scopre e viene pertanto definita nel momento in cui le si danno le condizioni per poterlo distinguere quel s che suo proprio pretende quale oggetto particolare che altrettanto particolare le si riveli (di come condizioni siffatte arrivino a prodursi si detto nel capitolo IV a proposito della dimensione intersoggettiva, in cui il riferimento a un proprio s diventa per una coscienza possibile). Nessuno di questi due significati delle parole Oggetto e Oggettivit pi disponibile per una coscienza che alla propria certezza di poter essere ogni realt unicamente si affidi, e pertanto a forme di razionalit che da una tale certezza si lascino unicamente guidare. Il solo significato che alla parola oggettivit in grado di attribuire una coscienza siffatta quello di un oggetto unico nei cui limiti ogni altro possibile risulta tematizzato, di ununica presenza reale in cui tutte le altre sono destinate a scomparire quando la sua prospettiva, la prospettiva di quella autocoscienza che sa di essere, sia quella di una coscienza che a un proprio s, a una propria identit esclusiva ritiene di poter condurre tutto ci che al modo di un altro s le si presenta forte della certezza di non essere nullaltro se non alterazioni di quel suo s, e dunque dio che essa stessa possa in definitiva pretendersi. Hegel non cos poco idealista da negare che in tale certezza si celi una verit e arriva addirittura ad affermare che di una verit si tratta con cui la coscienza, delle cui dinamiche ereditarie ci sta parlando, gi aveva dovuto misurarsi e di cui gi in qualche modo, in modo indiretto e informale, aveva dovuto prendere atto nel percorso che alla coscienza di non poter essere se non autocoscienza laveva condotta. un percorso che viene qui richiamato e che coincide coi primi quattro capitoli. Per ora limitiamoci che indiretto e informale stiamo definendo quel modo di assumere le verit che la riguardano di cui una coscienza resta prigioniera fino a quando di una loro fenomenologica evidenza si limita a dare atto, e che per una coscienza pervenuta alla consapevolezza di non poter essere coscienza consistito nel dover ammetter che una autocoscienza ogni realt{ non solamente per s, ma anche in s e nel dover contestualmente riconoscere che non pu pretendere di esserla se non in quanto mostra di poterla diventare. Questo dice ne proseguio: Lautocoscienza per ogni realt{ non solamente per s (Barale: nella propria ottica), ma anche in s (Barale: avendo riguardo a ci che la realt in s stessa), solo in quanto diviene questa realt stessa, o piuttosto si dimostra come tale. Essa si dimostra cos nel corso del cammino nel quale, dapprima, con il movimento dialettico dellavere-in-mente, del percepire e dellintelletto, lessere-altro dilegua come in s; e nel quale poi, con il movimento che passa attraverso lautonomia che passa attraverso lautonomia della coscienza nella relazione fra signoria e servit, attraverso il pensiero della libert, attraverso la liberazione scettica e la lotta per la liberazione assoluta della coscienza in s scissa, lessere-altro dilegua per lei stessa, in quanto

solamente per lei. Sono due i lato che qui sono entrati successivamente in scena: lessenza, ossia il vero, nel primo aveva per la coscienza la determinatezza dellessere; nellaltro, aveva quella di essere solamente per la coscienza medesima. Ma entrambi i lati si riducevano a ununica verit{: ci che , ossia lin s, soltanto nella misura in cui per la coscienza; e ci che per questultima, anche in s. (pg.158-159). Questa verit di cui si voluto qui ricordare attraverso quale cammino sia diventata fenomenologicamente evidente e sia pure solo al modo di unapparenza, o pi esattamente di unapparizione di cui si dovuto prendere atto, e non ancora di un fenomeno o evento delle cui immanenti ragioni ci si possa pretendere al tempo stesso consapevoli, una coscienza, che ancora non era venuta a capo e che oltre quella presa datto informale e indiretta non aveva saputo andare, ha finito per lasciarsela alle spalle (il cammino dei primi quattro capitoli), nel senso che non ha rinunciato alla pretesa di disporne, ma lha per cos dire decontestualizzata omettendo di tener conto delle condizioni che per poterla ritenere disponibile sarebbe ritenuta a soddisfare. La coscienza, che questa verit{, si lasciata alle spalle tale cammino, e lo ha dimenticato, allorch entra in scienza immediatamente come ragione; ossia: questa ragione che si fa avanti immediatamente si presenta soltanto come la certezza di quella verit. Cos, la ragione si limita ad assicurare di essere ogni realt, ma essa stessa non pu comprendere tutto ci concettualmente; infatti la comprensione concettuale di questa affermazione espressa con immediatezza consiste proprio in quel cammino che stato dimenticato. E allo stesso modo, per chi non ha percorso quel cammino, tale affermazione, quando sia udita in questa forma pura, risulta incomprensibile, ancorch questi possa ben farsene da s una figura concreta (pg.159). una verit di cui si ignora quale cammino presupponga una verit incomprensibile, perch le condizioni di intelligenza che le vengono sottratte sono precisamente quelle richieste da una sua comprensione che concettuale possa pretendersi, cio in grado di contestualizzarla, cio in grado di tener conto simultaneamente e unitariamente di tutto ci che al suo prodursi porta e che il suo prodursi comporta. Incomprensibile diventa ogni qual volta il nostro modo di assumerla o piuttosto di recepirla risulta in questo senso immediato, nel senso di una decontestualizzazione che la svuota di tutto ci che pu darne ragione, e offrire a ogni procedere, che ragionevole in ragione di essa voglia risultare, una disciplina che delle sue ragioni possa tener conto quando di una siffatta disciplina non possa esserci tramite una verit alla cui fenomenologica evidenza non ci voglia comunque sottrarre assume lo status di una certezza da cui nullaltro se non luna o laltra di rassicurazioni con essa compatibili possibile trarre. E quanto poco queste siano rassicuranti lo vedremo.

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