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NUMERO 11 LA POESIA LIRICA NEL XXI SECOLO: TENSIONI, METAMORFOSI, RIDEFINIZIONI

Editoriale di Italo Testa 2

IL DIBATTITO FUOCHI TEORICI Giancarlo Alfano 6 Alberto Casadei 15 Massimo Gezzi 24 Paolo Giovannetti 32 Andrea Inglese 36 Gianluigi Simonetti 51 IN DIALOGO Alberto Bertoni 58 Roberto Galaverni 60 Guido Mazzoni 68 Durs Grnbein 80 SAGGI E INCURSIONI Vito M. Bonito 98 Paolo Febbraro 103 Antonio Loreto 105 Giampiero Marano 111 Salvatore Ritrovato 115 Giovanni Tuzet 121 Edoardo Zuccato 124 LIO NELLAVANGUARDIA: IL MULINO DI BAZZANO Daniela Rossi 127 Niva Lorenzini 129 Rosaria Lo Russo 133

GLI AUTORI I TRADOTTI John Ashbery tradotto da Damiano Abeni 136 Volker Braun tradotto da Peter Kammerer e Enrico Donaggio 140 Lina De Feira tradotta da Annelisa Addolorato 150 Jozefina Dautbegovic tradotta da Neval Berber 154 Michael Krger tradotto da Anna Maria Carpi 160 Ricardo Menndez Salmn tradotto da Matteo Lefvre 165 Denis Roche tradotto da Michele Zaffarano 172 Boris Ryij tradotto da Annelisa Alleva 177 Raoul Schrott tradotto da Riccarda Novello 186 LETTURE Vincenzo Bagnoli 195 Marco Balzano 198 Massimo Bocchiola 202 Gherardo Bortolotti 204 Anna Maria Carpi 207 Biagio Cepollaro 210 Renzo Favaron 214 Mario Fresa 218 Jacopo Galimberti 221 Amos Mattio 231 Antonio Prete 237 Gabriele Quartero 241 Michele Sovente 247 Bianca Tarozzi 255 Giacomo Trinci 260 Simone Zafferani 272

Editoriale LA MUTAZIONE LIRICA


Il numero 11 de L'Ulisse segna un'importante novit per la rivista, che approda al formato pdf e rende disponibile in questa veste l'intera serie delle prime dieci uscite. Mentre documentiamo il lavoro svolto nei primi quattro anni di vita del progetto, torniamo insieme a saggiarne l'incidenza sul presente con una inchiesta che, dopo i viaggi di scoperta nell'universo del teatro di poesia degli ultimi due numeri, investe ora La poesia lirica nel XXI secolo, rinnovando l'ambizione di fare di queste pagine un luogo dove la scrittura contemporanea nelle sue forme plurali possa incontrarsi con la riflessione critica. Se infatti la fine dell'era dello scontro delle poetiche ha avuto effetti liberatori, affrancando lo sguardo dalla tirannia dei programmi aprioristici e ricentrandolo sulla materialit dei testi, non altrettanta feconda stata tuttavia la ritirata generalizzata dei poeti italiani dal dibattito d'idee. Si pu reagire a questo declino con un rilancio, provando a confrontarsi intensamente su qualche idea forte, verificando se un reagente teorico pu produrre effetti imprevisti, se il lavoro sotto traccia degli ultimi decenni pu dar luogo a nuove emersioni? Di qui la sfida di misurarsi sulla lirica, un territorio ipso facto controverso, sul quale si sono disegnate molte delle divaricazioni che hanno segnato il discorso della poesia. Intervenendo attivamente su questo campo, ci siamo confrontati con alcune delle posizioni pi importanti espresse di recente dalla critica letteraria in dialogo con Alberto Bertoni, Guido Mazzoni e Roberto Galaverni e dalla poesia internazionale in dialogo con Durs Grnbein su lirica e soggettivit , chiamando un ampio ventaglio di poeti e critici di orientamenti differenti a prendere posizione. Per la sezione Fuochi teorici hanno risposto al nostro appello Giancarlo Alfano, Alberto Casadei, Paolo Giovannetti, Massimo Gezzi, Andrea Inglese, Gianluigi Simonetti; per la sezione Saggi e incursioni Vito Bonito, Paolo Febbraro, Antonio Loreto, Giampiero Marano, Salvatore Ritrovato, Giovanni Tuzet e Edoardo Zuccato; per la sezione l'i o dell'avanguardia Daniela Rossi, Niva Lorenzini e Rosaria Lo Russo. Alla parte saggistica della rivista si affiancano poi, come di consueto, i Tradotti, con una ricca scelta di traduzioni d'autore dal tedesco (Volker Braun, Michael Kruger, Raoul Schrott), dal francese (Denis Roche), dallo spagnolo (Lina de Feria, Ricardo Menndez Salmn), dall'inglese (John Ashbery), dal russo (Boris Ryzij) e dal serbo-croato (Jozefina Dautbegovic); e quindi le Letture, con un vasto campionamento di voci della poesia italiana contemporanea (Vincenzo Bagnoli, Marco Balzano, Massimo Bocchiola, Gherardo Bortolotti, Anna Maria Carpi, Biagio Cepollaro, Renzo Favaron, Mario Fresa, Jacopo Galimberti, Amos Mattio, Antonio Prete, Gabriele Quartero, Michele Sovente, Bianca Tarozzi, Giacomo Trinci, Simone Zafferani). Che ne dunque della lirica? Si esaurito il suo ciclo moderno e siamo forse entrati definitivamente in una fase post-lirica? Oppure la lirica sopravvive in maniere impreviste alle teorizzazioni della sua fine e le sue istanze si riaffacciano non come fenomeno residuale o reazionario, bens in forma mutante, ridefinendosi attorno a nuovi nuclei d'esperienza o inesperienza, lasciandosi avvertire anche dall'interno di pratiche di scrittura all'apparenza agli antipodi? Naturalmente queste domande chiamano in causa una serie di problemi di lunga durata, che hanno a che fare con la genesi stessa dell'idea di lirica, con la sua ridefinizione moderna e con la teoria dell'io poetico che vi si lega e non un caso se il dibattito si incrocia con le querelle su classico e romantico, moderno e postmoderno, e ancor pi significativamente con il problema dello statuto del soggetto. Ma l'interrogazione si innesta direttamente nella fenomenologia del presente e illumina molte prese di posizione esplicite o implicite nella poesia contemporanea. Se la lirica continua ad essere al centro di tensioni critiche e poetiche anche aspre, va tuttavia notato che le linee di frattura si disegnano nella nostra inchiesta trasversalmente, al di l degli steccati d'appartenenza, e in particolare oltre le dicotomie tra avanguardia e tradizione. Sembra cos essere in atto un processo di ridefinizioni, al cui interno non si tratta soltanto di confrontarsi sulla struttura concettuale della poesia lirica o sul problema se essa sia stata e continui ad essere il nucleo 2

fondamentale della poesia moderna; si tratta soprattutto di dare conto della metamorfosi che istanze liriche tutt'ora presenti stanno subendo nelle scritture e nelle societ contemporanee. In questo gioco di scomposizioni e ricomposizioni emergono per intersezione alcune linee di tendenza nella lettura della trasformazione in corso. Senza pretesa di catturare tutte le posizioni espresse, ma per amor di un dibattito che ci piace cos rilanciare, se ne potrebbero ricavare le seguenti tesi sulla mutazione lirica: l'istanza lirica non si lascia ridurre alla sua versione forte e permane anche dopo la crisi della soggettivit monologica e sicura di s propria della sua fase eroica; la poesia lirica ha quindi diverse accezioni ed un organismo ibrido, gi a livello enunciativo, che si scompone e ricompone diversamente nel tempo all'interno di mutati campi di forze, connettendosi a differenti figurazioni dell'io poetico; anche certe esperienze dell'avanguardia, se per un verso operavano una delocazione del soggetto poetico tradizionale, dall'altro esprimevano un movimento di continua formazione e deformazione del s poetante; la chiave interpretativa risolutamente post-lirica non sembra dunque adattarsi a porzioni significative della scrittura degli ultimi decenni; nella poesia contemporanea, in particolare, troviamo oggi all'opera individualit liriche lacerate e dislocate, che si esprimono nel non stare al passo, nel fallire, e intercettano cos la marginalit reale dei nostri io; in ci si esprimono nuove forme di soggettivit, gi prefigurate dalla lirica moderna pi radicale, che attingono al vissuto di grado zero di una singolarit inappartenente, ancorandosi all'esperienza biologica e alla corporeit, dando luogo ad un io poetico materialistico un corpo-psiche-lingua che oggettiva testualmente una tensione lirica in re; a ci si accompagna uno spostamento verso forme pi aperte della lirica e in generale dell'espressione poetica, un'opzione comunicativa spesso alla ricerca di modalit espressive situate, post-letterarie e post-rituali; in tal senso anche il movimento della poesia verso la prosa pu essere letto come una mutazione contrastiva, se non addirittura espansiva, dell'istanza lirica, piuttosto che nei termini di una sua inesorabile tendenza alla dissoluzione; la permanenza del momento lirico ha il suo momento oggettivo nella dialettica, tutt'ora irrisolta, del conflitto tra societ e individuo; a ci pu corrispondere sul piano teorico una consapevolezza, che sembra affermarsi su diversi fronti, della non-identit di poesia e linguaggio: come scriveva Adorno nel Discorso su lirica e societ, il linguaggio non va assolutizzato, come invece piacerebbe a varie delle teorie linguistiche ontologiche oggi correnti, quale voce dell'essere contro il soggetto lirico, perch la dove l'io si dimentica nella lingua tuttavia completamente presente; altrimenti la lingua, quale abracadabra sacro, cadrebbe in braccio alla reificazione. Italo Testa

IL DIBATTITO

Fuochi teorici

GIANCARLO ALFANO IL CORPO DELLA LINGUA. SOLUZIONI ANTI-LIRICHE DELLA POESIA CONTEMPORANEA ITALIANA
Nella sua articolata riflessione Sulla poesia moderna , Guido Mazzoni individua allaltezza dellet romantica lattraversamento della frontiera tra la lirica autobiografica trascendentale e la lirica autobiografica empirica. Mentre la prima raffreddava i riferimenti al vissuto del poeta per ricomporre tutti i frammenti in un unico disegno, il cui significato riscattava ogni caduta nellepisodico, la seconda riconosce un valore decisivo alle vite effimere dei soggetti che concede loro una libert confessoria, un pathos esistenziale, una seriet narcisistica inediti (PM 113). Giungendo verso la fine del suo lavoro, lo studioso incalza sugli effetti di questa trasformazione, collocabile tra la fine del Sette e linizio dellOttocento: Quando pi nulla frena lanarchia teorica del talento individuale, ogni testo rischia di dar voce alla tautologia di un io che esprime se stesso senza risultare rappresentativo (PM 216). Forte del quadro teorico fornito da Pierre Bourdieu, la ricostruzione di Mazzoni riflette sui rapporti che si sono via via stabiliti tra il campo letterario e linsieme delle forze presenti in ciascuna epoca storica. Linfluenza, come insegna il sociologo francese, non diretta, ma viene tradotta dalle istituzioni e dai protocolli specifici del mondo artistico. Tuttavia linfluenza esiste, ed in base a questo impatto che si determina il valore attribuito allarte, ossia, detto in altri termini, il suo mandato sociale. Qual il mandato sociale della poesia, oggi? Di che riconoscimento gode al livello pubblico, delle manifestazioni collettive? Che capacit di definire, di dare un senso a percorsi e destini individuali le si confida? La risposta semplice: la poesia non ha, oggi, mandato sociale. O meglio, la poesia in Italia non ha, oggi, mandato sociale. Non c pi un poeta che venga intervistato in quanto poeta. Non c un incontro televisivo che riconosca al poeta uno status valido in maniera autonoma. Lultima poesia che un pubblico ampio avr avuto modo di ascolt are sar stata probabilmente una piuttosto nota (anche perch replicata pi volte da Blob) parodia della poesia dedicata dal ministro Bondi a Sivio Berlusconi. La situazione del tutto diversa in altri paesi europei; e ancor pi diversa la situazione su scala globale: a partire dagli Stati Uniti dAmerica fino ad arrivare al mondo arabo e nord-africano dove la poesia e la lettura della poesia hanno ancora un profondo valore collettivo. Ci non significa che lItalia costituisca uneccezione, la solita an omalia in un mondo che invece sarebbe migliore e pi civile. Ci significa solamente che al discorso poetico non , in questa fase storica, attribuito un valore generale, collettivo. Sembrerebbe allora esserci una contraddizione tra il canone pi ampiamente condiviso della poesia italiana, quello scolastico, e la persistenza di nozioni e sentimenti legati a quei testi. E sembrerebbe ancor pi esserci una contraddizione tra la fortuna mediatica della lettura del testo canonico per eccellenza degli ultimi due secoli, la Commedia, anzi la Divina commedia di Dante, e la perdita di funzione sociale della poesia. Insomma, la poesia in Italia costituisce una sorta di valore inerte, di attivit priva di potenziale semantico. Una sia pur minima, non scientifica verifica della diffusione dellattivit poetica in Italia rivela per un dato del tutto opposto: nel nostro Paese si scrivono molti testi poetici, cui corrisponde una notevole richiesta di riconoscimento, e in certi casi anche di condivisione. La situazione gi fotografata alla fine degli anni Settanta dal titolo dellantologia di Berardinelli e Cordelli, secondo la quale Il pubblico della poesia corrispondeva, in buona sostanza, a quello dei produttori di poesia, sarebbe insomma giunta al suo culmine: solo chi scrive poesie legge poesia. Ma, se, come abbiamo visto, pochissimi leggono testi poetici, e se, daltra parte, tantissimi ne scrivono, ci vuol dire che la assoluta maggioranza di chi scrive poesia legge soltanto la propria poesia. La lirica autobiografica empirica riconosciuta si rivela allora il discorso autoreferenziale di un soggetto empirico, che, come conclude Mazzoni, privo di valore rappresentativo.

Questo il primo corno del problema. Ve n per un secondo, che non pu essere a mio avviso ignorato. Questo secondo corno non di natura sociologica, ma di natura estetica. Per essere pi precisi, questo secondo aspetto riguarda la funzione modellizzante di quello specifico prodotto estetico che la poesia. Perch se vero che non vi pi mandato sociale nei confronti della poesia contemporanea (e forse della letteratura tutta), anche vero che essa incrocia in almeno due casi istanze che nella nostra epoca sono profondamente sentite. Il primo caso riguarda la verit del linguaggio, lusura delle parole e delle formule, lambiguit del messaggio linguistico. Il secondo caso riguarda la dimensione corporea, e pi in generale il discorso sul vivente. La poesia, ridisponendo gli elementi linguistici secondo regole interne specifiche e in parte autonome rispetto al mutare dei paradigmi culturali, di fatto uno degli strumenti privilegiati per indagare intorno allo statuto aletico e ontologico del linguaggio. Essa smaschera gli impossibili dal momento che, per cos dire, li frequenta abitualmente. Ma soprattutto essa rimette in discussione le abitudini espressive, i tic, quel pacchetto di formule che ogni epoca predispone per, si sarebbe detto un tempo, il commercio quotidiano delle idee. Se forse eccessivo credere allesistenza di un morfema asseverativo che fungerebbe da commutatore vero/falso nel discorso quotidiano, come propose Harald Weinrich in Linguistica della menzogna , credo per si possa dire che tra i compiti sociali della letteratura proprio perch essa discorso menzognero per eccellenza, come ricord un volta per tutte Giorgio Manganelli c quello della messa in forma della menzogna sociale, la rappresentazione del discorso quotidiano come pratica di falsificazione: rappresentazione cui essa perviene attraverso quel procedimento noto sin dallinizio del Novecento come straniamento. Per quanto riguarda il secondo caso, si pu senzaltro dire che letica, la politica, leconomia, la filosofia e larte stanno tutti ruotando negli ultimi due o tre decenni intorno al tema del corpo. La ricerca archeologica di Michel Foucault ha anzi dimostrato che questo tema venuto organizzandosi in un tempo lungo che corre dalla met circa del s. XIX per esplodere con lesperienza della societ di massa, e insomma col periodo che decorre a partire dalla I Guerra mondiale. Ma esso ha davvero subito unimpennata nei nostri decenni, innanzitutto per il progresso tecnologico, che ha modificato nel profondo la percezione sociale di che cosa voglia dire vivente e di che cosa possa voler dire umano. La riscossa delle religioni, e della religione cattolica in particolare sul tema del vivente soltanto una delle grandi reazioni a un tale modificazione. Ebbene, il discorso poetico, in Italia come altrove, sembra aver reagito a questo movimento, non soltanto facendo assurgere il corpo a tema di numerosi componimenti in versi, ma avanzando una redistribuzione delle evidenze estetiche. Come Mario Perniola ha sottolineato sin dal suo fortunato libro sul Sex-appeal dellinorganico , e come Maurizio Ferraris ha spiegato tornando alletimo della parola estetica (per non fare che due tra i nomi di chi ha avviato una riflessione nuova), il sentire, inteso nel senso del percepire, la radice prima del vivente. Lorganizzazione del sentire diviene allora quanto distingue allinterno della grande comunit di ci che vive. Ora, si potr pencolare verso un allargamento di questa comunit, individuando forme di apparentamento (si vedano i fenomeni di animalizzazione e di animalit di cui ha parlato Paolo Trama), oppure insistere sugli aspetti di ibridazione (andando verso il cyborg e altri universi affini), ma resta il fatto che questa dimensione oramai avvertita come centrale nellesperienza della nostra contemporaneit. Ne consegue, nei termini proposti da Guido Mazzoni, che esiste un nuovo versante dellempiricit dellindividuo: al di l delle situazioni, affezioni, avventure storiche del mio animo, per ricordare la definizione di idillio fornita da Giacomo Leopardi, esiste pertanto un vissuto di grado zero, non ancora organizzato in storia, in racconto possibile, e dunque in costruzione della soggettivit, che consente di restituire al discorso poetico una forza generalizzante, se non forse universalizzante. Fare poesia a partire dai dati primi dellesperienza, e c io a partire dal fatto del percepire, significa affidarsi a una immaginazione corporea , cio a dire allo schema immaginario di come fatto e di come funziona un corpo umano in generale. Il che significa reintrodurre un antropomorfismo per cos dire di ritorno in unepoca che invece sembra aver rinunciato alle pretese umanistiche del primato del corpo umano. Daltra parte, rinunciare a ogni forma di organizzazione significa al 7

contrario abbandonarsi a un discorso che chiamerei della carne, il che implica una inevitabile declinazione in senso irrazionalistico. Questo rischio per esempio evidente nella filosofia di Gilles Deleuze e nelle pratiche estetiche che vi si rifanno, come avvert assai per tempo addirittura Andrea Zanzotto. Se innegabile che linsistenza sul divenire e sul passaggio offre il vantaggio di una liberazione dagli automatismi culturali della percezione e dal convenzionalismo che ne consegue in campo artistico (rimando alla discussione del celebre Art and illusion di Ernst Gombrich), mi sembra si possa dire che le scritture che conseguono da questo tipo di abbandono pongono seri problemi di tenuta della testualit, mostrandosi al limite indifferenti rispetto alle coordinate minime della coerenza e della coesione: un vissuto di grado zero, ridotto cio ai fatti minimi della percezione sembrerebbe infatti impedire unorganizzazione narrativa. Ci non vuole dire per che non siano possibili altre forme di rappresentazione, come per esempio ha fatto Andrea Raos in Le api migratori (2007) trasformando limmaginario legato alle manipolazioni genetiche in una riflessione sul destino dei rapporti tra individuo e societ nellepoca della riproduzione tecnica della vita (cosa ne , infatti, di un individuo geneticamente modificato rispetto alla stirpe cui dovrebbe appartenere?). O nel modo dellesperimento fenomenologico, come invece ha fatto Andrea Inglese in Prati/Pelouses, dove losservazione di spazi di verde urbano sottopone la consistenza del soggetto (in una via che risale alla poesia di Ponge) alla resistenza delle cose, la cui percezione organizza lo spazio osservato. Come in un esercizio da psicologia della Gestalt, le coordinate non sono leffetto di unoperazione culturale o tout court razionale, ma il movimento attivo/reattivo degli organi percettivi rispetto a una serie di ostacoli nei quali essi simbattono. Pu essere utile, prima di passare agli esempi a supporto di queste premesse, svolgere unultima riflessione intorno al rapporto che intercorre tra la ricerca sulluso menzognero del linguaggio e la centralit della dimensione corporea (o carnale). Intanto per quanto riguarda la selezione lessicale: parlare del corpo e delle percezioni sia che si declini in senso impressionistico facendo leva sul polo soggettivo sia che si declini in senso oggettivistico e semmai espressionistico proiettandosi sul polo oggettivo significa sempre individuare un vocabolario incentrato sulle sostanze, sui sostantivi (semmai sostantivando aggettivi: ipostatizzando impressioni). Una tale scelta ha inoltre una certa incidenza sulla sintassi, o perch riduce la realt al catalogo dei realia percepiti, o perch riorganizza la gerarchia che il soggetto stabilisce nel mondo esterno. Basti lesempio di Terminator, la celebre serie cinematografica che negli anni Novanta ha costituito a livello di massa uno dei modelli pi solidi di animazione dellinorganico: ebbene, la selezione della realt in base alla sua costituzione chimica non altro che la gerarchia impressionistica stabilita dal soggetto Terminator (Harold Schwarzenegger): la soggettiva sul robot restituisce allo spettatore una consistenza rappresentativa del suo corpo; noi sentiamo come lui, venendo sottoposti a unoperazione di straniamento, semplice e popolare quanto si vuole, ma profondamente efficace nel rendere credibile una tale prospettiva sul mondo. Questo esempio, diretta applicazione di un procedimento specificamente letterario un cui prototipo ottocentesco nel punto di vista del cavallo adottato da Tolstoj per descrivere una scena teatrale, mi permette di chiarire un punto per me decisivo: la nuova centralit del corpo nella poesia italiana non implica una rivoluzione di linguaggio; essa ha per permesso un profondo incontro della poesia con la cultura e ancor pi con la sensibilit contemporanea. Il linguaggio della poesia resta lo stesso, dal punto di vista dellarmamentario retorico, della gamma di opzioni formali, della consistenza lessicale che pu raggiungere. Insomma, tranne nel caso notato in precedenza che essa giunga alla dissoluzione della compagine testuale, il fatto del sentire non stravolge i parametri espressivi, semplicemente li ridispone, li riorganizza, pervenendo, tra laltro, a quella rottura delle consuetudini linguistiche che compito tra i principali del fatto artistico. La cosa tanto pi importante quando si pensi a un lavoro di analisi come quello realizzato per esempio da Andrea Afribo nella sua antologia dedicata alla Poesia contemporanea dal 1980 a oggi . Individuare una serie di fenomeni tipici della poesia di Patrizia Valduga riconducendoli a una grammatica nella sostanza ripetitiva e non innovativa leffetto inevitabile di ogni descrizione 8

grammaticale: le possibilit combinatorie, per quanto estese, sono numerate, tanto pi se collegate coerentemente a delle posizioni estetiche. La convivenza di lessico intellettuale e corporale, lo scorticamento del petrarchismo da parte di una grandinata di elementi antipetrarchisti, lesito di una scelta di centralit dellio non pi inteso quale soggetto portatore di una storia deccezione, ma come terreno di scontro di pulsioni (interne) e pressioni (esterne). Riprendendo la presentazione di Andrea Cortellessa alla voce dedicata alla poetessa nellantologia Parola plurale si pu allora osservare che riempiendo proprio il sonetto per antonomasia petrarchesco con lelenco, quasi in enumeraccin caotica , di materie afferenti allorganico pi insublimato (odore di maschili epidermidi, lor secrezioni, escrezioni contermini, viaggi spermatici andata e ritorno, visc eri e mucose), il soggetto termina col risultare una sorta di membrana sottoposta a un duplice flusso di sollecitazioni, il cui potere escoriante si rivela sul volto deturpato e financo straziato del portatore di pronome personale. Affine operazione antilirica ottenuta col potenziamento degli strumenti della lirica (mi pare questa la chiave della pi recente poesia italiana) possiamo leggere, oltre che nel lavoro di Valduga, anche in Tommaso Ottonieri, Gabriele Frasca, Giuliano Mesa e Valerio Magrelli. Si tratta di poeti che, pur molto diversi tra loro, hanno costruito negli ultimi tre decenni dei sistemi formali fortemente organici in cui vissuto e percepito sono elaborati di concerto. Nel caso dellultimo dei poeti che ho citato la riduzione della percezione allorgano oculare ha fatto acquisire al dettato poetico un tono razionale il cui modello primo pu farsi risalire alla scrittura di quelli che Giovanni Macchia chiam i moralisti classici, con predilezione per la soluzione aforistica (anche nel senso medico-chirurgico che soggiace a quella tradizione) e attenzione alla dimensione pubblica che ogni operazione scopica comporta. Il caso di Mesa propone invece, soprattutto in Quattro quaderni (2000), la riorganizzazione del puro evenire dentro una complessa griglia compositiva il cui evidente modello nella ricerca musicale del Novecento. I quaderni del titolo sono infatti sia le quattro parti in cui lopera suddivisa sia i quattro quaderni materiali in cui, dal 1995 al 1998, si sono depositati gli appunti da cui sono poi sorti i componimenti: tra il flusso del vivere e dello scrivere (testimoniato per ogni componimento da una sigla che rimanda al reperto filologico) e larchitettura del testo compiuto, che ripropone lo schema del quattro accorpand o e associando i singoli componimenti nelle diverse sezioni, si produce una tensione che restituisce listantaneo (lirruzione del vivere) senza annullarlo nellaneddotico, nella staticit del fatto compiuto. evidente anche qui, mi sembra, la centralit del corpo, che si presenta col suo contrassegno di improvviso, di fuori-del-tempo (cio di estraneo al tempo inteso come successione cronologica rappresentabile), e che trova nel nome di un autore, che ha quasi funzione araldica, la sua evidenza pi netta: cosa frammischia | cenere (sempre cenere) | e vento (sempre, da sempre) | se non il vuoto, Lucrezio, | il vuoto . Lucrezio, dunque, e la sua teoria del clinamen che perfezion latomismo di Democrito ed Epicureo sottraendo il mondo a ogni riduzione d eterministica: la composizione di atomi in caduta libera nel vuoto, e la conseguente formazione di corpi individui ma privi di ogni giustificazione necessaria appunto una delle declinazioni dei discorsi poetici che ruotano oggi intorno al corpo come centro della soggettivit. Tutto ci appare decisivo anche nel lavoro di Frasca: ancora una volta non solo in quanto tema, ma come assunto culturale profondo. Del resto, questo autore ha lungamente riflettuto in sede teorica e critica sulla percezione nellepoca del dispiegamento dei media elettrici e sul ruolo dellarte nel riposizionamento sensoriale (mi limito a ricordare il suo importante libro su La lettera che muore, pubblicato da Meltemi nel 2005). Non stupisce dunque che anche la sua produzione in ver si abbia riservato ampio spazio a questo aspetto, tanto da diventarne il principale strumenti di indagine sullo statuto della soggettivit allepoca della riproducibilit tecnica della vita. questo il fondale contro di cui Gabriele Frasca realizza la sua scenografia: un allestimento di maschere e simulacri in cui impossibile rinvenire lautentico, vano sforzarsi di trovare la midolla al di sotto della scorza. Ne vien fuori una scrittura anti-romantica, avversa a ogni ipotesi di espressione soggettiva, e per vocata a unintima frequentazione del pi incandescente vissuto, che trova una delle soluzioni pi efficaci nel tema che collega la scomparsa degli esseri umani alla loro persistenza per mezzo degli 9

apparati tecnologici e pi specificamente mediatici : questo lassunto della sezione fenomeni in fiera della raccolta Rive (2001), rassegna di individui vincolati alla dimensione mediale dello schermo televisivo, e questo quanto si legge anche in altri numerosi testi del poeta napoletano, come per esempio il quartetto billy mackenzie inserito nella ristampa riveduta di Rame (1999). Nellopera di Frasca la natura umana tutta sospesa tra opposti inconciliabilli, tra il movimento e la fissit, tra lunicit e la replica, dove sempre il primo termine del le coppie a mostrare la sua illusoriet, o evanescenza: cos che evanescenti finiscono col risultare i corpi dei soggetti raffigurati, destino cui non sfugge il soggetto poetico per eccellenza, lIo lirico. Si potrebbe risalire ad antenati illustri di questa posizione, e ritrovare in Arnaut Daniel e in Guido Cavalcanti alcuni elementi della costruzione fraschiana, ma conta di pi in questa sede ribadire che un simile discorso sulla tramatura corporea del soggetto significa porre laccento su una questione p olitica. Se il discorso sul sentire un infatti un discorso che pu condurre allatomizzazione sociale, alla riduzione degli individui dentro scatole percettive autonome e non comunicanti, perfettamente sigillate e compiute in se stesse, la scelta di parlare della riproduzione dei corpi (per via mediale e per via sessuata) comporta limmediata insistenza sul con-sentire, o, detto alla greca, sul compatire. Calandosi nella maglia percettiva del soggetto si prenda come esempio Slumberland (ancora in Rive) e linsonnia l descritta in soggettiva , la scrittura poetica trasferisce sul lettore la responsabilit di supportare (e cio incarnare) quella maglia, agendo (e cio compatendo) quelle percezioni. Su questa linea (ma ovviamente con procedure sue specifiche) muove anche Tommaso Ottonieri, che gi in un suo libro di critica letteraria ( La plastica della lingua , 2000) ha affermato che la figura dellesplosione sembra essersi allargata sulle zone di persistenza dellepos nellultima modernit. Se l ha descritto il rap come una sfera multiversa di scontri, voci in conflitto in cerca di contatto o addirittura di impatto, i testi raccolti in Contatto (2001) rivendicano la medesima descrizione di opera epica plurivoca. Epica in versi (e infatti rende omaggio alla Ballata di Rudi di Elio Pagliarani), lopera di Ottonieri innanzitutto racconto della terra (quella paterna di Avezzano), nel senso che d spazio a una voce che da sotto la terra sinfiltra nelle pieghe del territorio, tra i suoi scialbi frutti, le sue rovine industriali, il suo profilo descritto da antiche catastrofi geologiche. Il poeta realizza lo sforzo di dare voce a quella voce, lasciandosi impregnare dagli umori terrestri, dal distillato in cui si disfano i corpi. A partire da questo motivo di accensione vengono costruiti sia lo spazio lirico, per eccellenza individuale, sia la dimensione collettiva, plurima, della storia dei nostri anni (dalla Guerra del Golfo allo sfacelo balcanico, dalla violenza di Genova alla contaminazione dei suoli). Ma in entrambe le zone ha luogo la confusione di esterno e interno: che non solo lintrusione del primo nel secondo, come tipicamente nella modernit, ma una soluzione dei due in una sorta di spazio simultaneo e risonante: per il quale quindi, se un fremito del mondo di fuori si ripercuote dentro il corpo, un moto del mondo interiore viene accolto nello spazio cavo che il laffuri. Ottonieri riesce in questo modo a presentare lesperienza propria della nostra et, quella in cui lestensione corpo rea ha raggiunto limiti mai prima immaginati, dovendo nel contempo sottoporsi a una sorta di eviscerazione, di riduzione alla pura spoglia epiteliale e corticale. Ecco, in questo senso, Contatto (e adesso anche il romanzo Le strade che portano al Fcino , 2008) una delle pi impressionanti rappresentazioni di quanto Gilles Deleuze e Flix Guattari intendevano nel parlare di un corpo senza organi, ovvero del corpo allepoca del superamento degli organismi e del primato del divenire sullessere. Anche qui ci allontaniamo dunque da ogni ipotesi romantica, e anzi qui vien meno lidea stessa di una individualit riconoscibile (una voce, un carattere, una sigla stilistica), mentre il soggetto diventa il ricettacolo, o lospite, delle voci e degli stili che circolano nel mondo. Il soggetto del lavoro di Ottonieri si caratterizza allora per una protensione verso lesterno col quale, in unansia di rapporto, finisce col confondersi: corpo del mio corpo lo spazio che reclama altri contorni altro corpo cio corpi per far vero, ecco, il mio spazio.

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Se, come spiegava Merleau-Ponty (filosofo tornato centrale nella riflessione odierna), il corpo il mezzo per giungere al cuore delle cose, e se in un bel saggio Niva Lorenzini ha dimostrato come gi la ricerca di Amelia Rosselli e Antonio Porta mostrava labbandono di forme antropomorfe di corporeit in favore di soluzioni che andavano nella direzione del flusso di grumi linguistici (la prima) e della vibrazione audio-tattile di organizzazioni ritmiche inaudite (il secondo), occorre insistere sul legame tra corpo e linguaggio, e cos collegare i due aspetti presentati in apertura a queste pagine. Il velocissimo attraversamento dei casi appena presentati potrebbe gi in parte assolvere a questa funzione, ma mi pare proficuo affiancare in questo discorso, agli esempi dalla generazione dei nati negli anni Cinquanta, due autori pi anziani che, pur inassimilabili tra loro, presentano una convergenza interessante. Mi riferisco a Jolanda Insana, nata a Messina nel 1937 e poi trasferitasi a Roma, e Michele Sovente, dal 1948 stabilmente sistemato nellarea flegrea. Il poeta campano, soprattutto a partire da Cumae (1996), venuto proponendo unoperazione medianica di ingresso in un paesaggio tanto denso dal punto di vista culturale quanto profondo dal punto di vista della stratificazione linguistica e antropologica. Il progressivo passaggio dalla scrittura in lingua italiana alla composizione in latino (una sorta di latino rituale, ritmicamente risolto nella lunghezza del verso) e poi in un dialetto napoletano di matrice flegrea, ha raggiunto col recentissimo Bradisismo (2008) un apice di equipollenza tra le lingue per cui i versi, italiani latini e napoletani, sono impastati in unico suolo germinale che affonda le radici nel mistero delle sibille. Se in Allucinazioni visive (testo del 1978) si avvertiva la falla aperta nella realt ordinaria (Oggi di nuovo pare qualcosa / ci manchi, ci sia un buco nel pavimento / che cresce a vista docchio, si mettano in fuga / automaticamente spigoli di muro, orli / di tazze, profili di boccali), con lavvento della lingua latina, lingua-morta, autre, quella falla diviene apertura verso pi profonde dimensioni antropologiche. Lo mostra lincipit di Per specula, Non ego latine scripsi, / Lingua latina me scripsit (Non sono stato io a scrivere in latino. / la lingua latina che ha scritto me), dove il soggetto diviene tavoletta discrizione del linguaggio. Scrivere in una lingua morta un sortilegio; il poeta bricoleur leggi: scriba che raccatta / scarti latini. Proprio il titolo Bradisismo chiarisce ulteriormente questo aspetto alludendo a una sorta di scrittura automatica, in cui il soggetto haunted, invasato dal territorio in cui vive: e il territorio tellurico, vibratile, dotato di un movimento verticale ( questo il fenomeno vulcanico del bradisismo) che, a seconda del verso, volta a volta ne palesa e occulta la stratigrafia geologica e culturale. In questa zona, al confine tra alto e basso, vita delloggi e inabissame nto nel passato, il poeta registra, come lago di un sismografo, laffioramento dei i preziosi frammenti minerali di una lingua che tuttuno con la terra: ego scriba membratim / scintillantes latinos reperiens lapillos. Laffiorare delle profondit ctonie, o allinverso la discesa nel ventre della terra per ritornarne con la pietra focaia della lingua, stringe terra e lingua alla madre, e anzi alle Madri: la discesa nellAde essendo sempre, miticamente, contaminazione della terra e ingresso nel caos, ne llindistinta colluvie primordiale. Ecco perch al centro dellopera di Sovente sinstalla il Minotauro, prodotto del commercio sessuale interspecifico: perch la Storia tuttuno con la Natura, e il soggetto parla sempre una lingua non sua, come nello splendido Donna flegrea madre, dove alle radici antiche e allapertura della terra alle voci dacqua corrisponde la sua spaccatura in fenditure, in antri da cui emerge laltro: mea / sunt mea suspiria tui et vulnera (dove non si sa pi dire se i miei sospiri e le mie ferite non siano piuttosto quelle della madre, ossia della terra, ossia della lingua). Il soggetto poetico si colloca nel plasma dove germina il linguaggio, precipitando nel flusso sanguigno che sigla linstabilit, il permanente metamorfismo tellurico di uno spazio abitato. Ed qui che il lettore invitato ad allogarsi, per riconoscere la necessit di una poesia che non dimentica le ragioni della storia, ma sa denunciarne la dimensione allucinatoria, mentre le ruinas si trasformano in rimas, quelle rime che sono (come si legge In specu) rimae: fenditure, spaccature della terra. Nel 1980 Andrea Zanzotto ha pubblicato una breve riflessione dedicata a Vissuto poetico e corpo . Il poeta di Pieve di Soligo vi postula il rapporto necessario tra il testo e il vivente cui esso collegato 11

per supposta paternit; pi precisamente il testo si impadronirebbe di un corpo-psiche vivente, il quale a sua volta avrebbe una certa capacit di modificarlo. Utilizzando implicitamente alcuni concetti lacaniani, Zanzotto aggiunge che
il testo non mai nato abbastanza per potersi staccare dal corpo -psiche mediante il quale stato reso possibile, e del quale, forse, soltanto una proiezione, anzich una vera filiazione. A sua volta il corpo-psiche qualche cosa di spaventosamente scritto, inscritto, riscritto, scolpito, sbalzato, modellato, graffiato da un infinito insieme di elementi, in quel brodo generale, in quel plasma totale di cui non che un grumo o un ganglio.

Queste parole sembrano attagliarsi perfettamente al discorso quale abbiamo articolato sin qui. esiste infatti un corpo biologico e una sua immagine culturale, una sua nuova centralit nel sistema culturale della contemporaneit, per il quale esso non pi univocamente corpo proprio, ma ibridato, commisto con un intruso, una estraneit che impone una nuova, inaudita, ricomposizione identitaria del soggetto. Insomma, come dice Zanzotto, il corpo-psiche modellato da un insieme di elementi. Questo grumo o ganglio che il soggetto emerge dunque da una mota comune: dallimpasto del linguaggio. Si tratti della seriazione degli individui (biologici e testuali: mi permetto di rinviare alla voce che gli ho dedicato in Parola plurale) proposta da Frasca, o dellauscultazione delle proprie percezioni-sensazioni lungamente perseguita da Magrelli (fino allapice di Unheimlichkeit cui perviene Nel condominio di carne ), o dello stridore della carne e del sesso della Valduga, o ancora della vocazione allimpatto che anima il lavoro di Otton ieri, siamo in ogni caso allinterno di una medesima commistione di corpo e lingua, di scrittura del corpo e di lettura delle iscrizioni che compongono il corpo (per dirla con Jacques Lacan: Hyroglyphes de lhystrie, blasons de la phobie, labyrinthes de la Zwangneurose charmes de limpuissance, nigmes de linhibition, oracles de langoisse armes parlantes du caractre, sceaux de lauto punition, dguisements de la perversion). E lo stesso, per la via di un addensamento di valori mitici e antropologici, accade in Sovente, dove non esiste autonomia testuale n esiste, propriamente, identificabilit del soggetto (Non ego latine scripsi, / Lingua latina me scripsit). Il caso di Jolanda Insana ci permette di continuare nellindagine di questo rapporto tra corpo e lingua. Al di l del vissuto personale e, pi specificamente, del rapporto con la Sicilia nata, in questa poesia si dovr piuttosto parlare di un rapporto con la tradizione poetica occidentale (dai lirici greci allAntologia palatina ai maestr i del Novecento italiano) che transita attraverso il corpo linguistico agendo il corpo individuale, che innanzitutto corpo poetico, ossia tematizzato dalla poesia della Insana. Proviene da qua, io credo, il valore determinante che in essa assume una dimensione dialogica assai disponibile a diventare schermaglia teatrale. Si tratta di un aspetto presente sin da Sciarra amara , la prima raccolta del 1977: pupara sono | e faccio teatrino con due soli pupi | lei e lei | lei si chiama vita | e lei si chiama morte | la prima lei percosdire ha i coglioni | la seconda una fessicella | e quando avviene che compenetrazione succede | la vita muore addirittura di piacere. E la stessa disposizione ritroviamo nelle anticipazioni di La bestia clandestina, la prossima raccolta ancora inedita: (per voci asincrone) || tu non mi fermerai | lacqua scorre a precipizio | tu non darai nessun giudizio | il sole va per la sua strada | tu non mi farai violenza | alla prima alba brilla la rugiada | tu non mi sfamerai | la casa pronta allaccoglienza | e la porta accostata | non capisci non capisci niente tu | ma hai mangiato?. Un simile teatrino psichico innerva lopera di Insana anche perch ne attraversa lo strumento primo, ossia la lingua. Cos, da una parte, in un testo della fine degli anni settanta, troviamo la parodia (dunque ancora teatro) della tradizione illustre siciliana, con un Rosa molto bellissima che ricalca il rosa fresca aulentissima di Cielo dAlcamo (non a caso in un Contrasto); dallaltra, in La tagliola del disamore (2005) leggiamo che anche le parole si avviano al calvario | portando la croce | e morte escono dal dizionario . Dal corpo morto del deposito culturale (il dizionario) le parole giungono alla resurrezione (della carne) attraverso la fisica pronuncia del poeta, passando per la sua bocca (organo, peraltro, profondamente tematizzato in Insana). La poesia si presenta in questo modo come lesperienza nella quale corpo fisico e corpo linguistico interagiscono e si 12

confondono, sottoponendo il poeta, cio chi ne fa esperienza, a un ibridismo sostanziale. Poesia come fenomeno di parassitosi, osservava Zanzotto nel 1980, e Insana in Fendenti fonici (1982, ma i componimenti sono del 1978-1980) scrive che Alla poesia non c rimedio | chi ce lha se la gratta come rogna. Ma il processo di contaminazione tra corpo-psiche e corpo linguistico fornisce, come ogni veleno, anche lo strumento di cura. Il che non vuol dire che ci si possa sottrarre allibridismo, ma che esso sia la forma di quella cura che il versante pragmatico di una teoria che riconosce la parentela delle forme del vivente. Cos, se nel 1997, presentando Locchio dormiente, Giovanni Raboni ha potuto parlare di un onnicomprensivo poema tellurico e se Patrizia Valduga ha spiegato questo titolo associando locchio che nel sogno vede il teatrino che la mente [] fa con memoria e desiderio alla gemma innestata che dorme nella pianta per aprirsi a primavera, evidentemente qui uno dei centri ideologici e poetici pi profondi di tutto il lavoro della poetessa messinese, nella quale agisce, sommersa ma importante, la presenza del grande Lucrezio, il cui nome torna a ribadire lo abbiamo visto in Mesa la capacit della poesia di lavorare nel corpo della natura. Ed qui quanto ci consegna la poesia di Insana: il riconoscimento che nella turbolenza del pieno il corredo della natura | acido e infetto appare e dove non c battaglia | contro gli iniqui spurghi | non c virt di passione n vittoria, che come dire, ancora una volta, che attraverso il corpo del poeta, cio il corpo della poesia, passa lelaborazione fondamentale dellincontro tra individuo e lingua, individuo e storia. Superata la dimensione empirica, sganciato il soggetto dalla determinazione storica e sentimentale (ma senza perdere alcunch di sentimento), la pi recente poesia italiana ha individuato nel corpo il luogo di articolazione della soggettivit contemporanea, senza cedere alla tentazione dell informe, ma anche senza presupporre una consistenza precostituita d ellindividuo. Il corpo cos riconosciuto come un campo di tensione nel quale si giocano le forze della natura e della storia, gli orrori del capitalismo avanzato e la pressione degli umori: un conglomerato di materia e un fascio di energia nel quale cagliano le determinazioni del presente. Pur priva di un mandato sociale, larte verbale, proponendo un modello in cui stati psichici e configurazioni fisiche interagiscono, si oppone allusura delle parole (genetica, menoma) e ribadisce la centralit de lla dimensione corporea per impiantare un discorso sul vivente che sia libero da ogni presunzione antropomorfa.
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ALBERTO CASADEI POESIA, MENTE E REALT: QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL SECOLO APPENA INIZIATO
Dalla seconda met del XX secolo, e pi ancora dallinizio del XXI, quando la societ di massa entra nella fase della sempre pi rapida variazione dellofferta e del consumo di prodotti anche culturali, le riflessioni sul fare poetico si intersecano con una modifica delloggetto stesso. Per secoli, la poesia, specializzatasi in lirica a partire dal periodo romantico (con un percorso ben illustrato da Guido Mazzoni nel suo Sulla poesia moderna , Bologna, Il Mulino, 2005), aveva comunque goduto di uno status riconosciuto, a dispetto dallautorappresentazione dei poeti come marginali o reietti, e nonostante la loro larga propensione alloscurit, considerata da molti critici un tratto addirittura consustanziale allevoluzione del poetico. Viceversa , il ruolo di cantori dei sentimenti personali ed eventualmente di profeti dei movimenti in atto nelle societ (occidentali) viene occupato dai nuovi personaggi del mondo musicale: i cantautori, o comunque gli interpreti di testi che evochino i grandi temi della lirica senza alcun tipo di complicazione intellettualistica. Anzi, linsieme di testi, musica, voce e, non ultima, presenza scenico-televisiva, costituisce un incremento indiscutibile di efficacia comunicativa rispetto alla semplice trasmissione di componimenti scritti, oltretutto spesso difficilmente interpretabili. E come sostiene tra gli altri Jean-Luc Nancy, lascolto della lirica attuale sembrerebbe costituire una sua condizione intrinseca e fondativa. La difesa di una condizione altolocata (non alta in s) pot essere praticata sino a quando, sia a livello di mass media - soprattutto giornali - e di case editrici, sia a livello di istituzioni scolastiche, rimasero attive persone formatesi nel rispetto umanistico della lirica: persino le trasgressioni pi acri, come quelle delle neoavanguardie, potevano rientrare in un ambito accettabile di polemica fra diverse poetiche e ideologie letterarie. Ma con gli anni Ottanta del Novecento questa situazione si modificata radicalmente, portando in sostanza a cancellare ogni valore poetico stabilmente acquisito: il dato, incontestabile in Italia, in modi diversi vero per molti paesi occidentali, sebbene in parecchi casi restino segnali di un rilievo attribuito alla figura del poeta in s (i Poets Laureate ecc.), al di l delleffettivo seguito sociale. (Discorso diverso andrebbe fatto nei paesi emergenti, dove spesso i poeti rientrano fra gli intellettuali pi in vista, come vedremo meglio pi avanti). Tenere conto di questo quadro necessario per distinguere bene la prassi della poesia lirica degli ultimi decenni, di fatto spesso limitata a forme di narcisismo e di autoreferenzialit, dalla teoria o dalla riflessione (le poetiche), spesso addirittura esaltatorie rispetto alle potenzialit attribuite alla poesia in s. Su questo secondo versante, possiamo individuare almeno tre modalit di valorizzazione del poetico, su basi certo assai differenti, ma non prive di punti in comune. Le esporremo in breve per poi esplicitare gli elementi che potrebbero spingere a nuove considerazioni generali e specifiche. In primo luogo va presa in considerazione la svolta poetica nel pensiero di Heidegger. A prescindere dalle motivazioni interne, evidente la funzione di ricerca dell Originario che la lirica pu svolgere nel mondo fatto Tecnica. Fondamentale risulta, in questo senso, il concetto di Ereignis, ovvero la rivelazione rivelante, cio costituente e disvelante le cose nella loro verit [cfr. In cammino verso il linguaggio, tr. it. di A. Caracciolo, Milano, Mursia, 1990, p. 203]. Nell Ereignis, che raccoglie le linee del Dire originario e le disviluppa nella compagine del molteplice mostrare [], noi mortali dimoriamo lungo lintero corso della nostra vita [ ibid.]. Per comprendere questa vicinanza remota, occorre risalire al primum del Linguaggio, che Dimora dellEssere e modo dell Ereignis, modo manifestantesi come mlos. Se cos , ogni meditante pensare un poetare, ogni poetare un pensare: pensiero e poesia si coappartengono [ ivi, pp. 210-1]. Non necessario mettere in rilievo quanto di ri-mitizzazione si attui nelle riflessioni di Heidegger sulla poesia: daltronde ogni pensiero sulla realt sviluppa mitologie per superare i limiti cui giunto. Lobiezione che invece possiamo muovere allultimo Heidegger appunto il presupposto che 15

esista un Dire originario, ovvero che la poesia sia non una forma del pensiero, diciamo genetico biologico, ma la forma. Con la poesia non abbiamo rivelazioni: in ci, i saggi heideggeriani non fanno che risacralizzare la concezione pre-platonica del fare poetico. Viceversa, importante lidea che la poiesis nasca in una condizione ossimorica (vicinanza remota), ovvero, su altre basi interpretative, in una dimensione creativa straniata che fa sentire come non v incolante il realerazionale. Con queste ultime osservazioni si viene a toccare una seconda modalit interpretativa della poesia nel suo insieme, ovvero quella di tipo psicanalitico, che pu peraltro articolarsi in molti filoni: come manifestazione linguistico-retorica del ritorno del represso o come elaborazione degli archetipi indipendentemente dalla condizione storico-biografica dellautore - , o come lavoro di ricreazione stilistica autoriflessiva sul manque (mancanza, vuoto di senso) lacaniano, ecc. In generale, la poesia corrisponderebbe a movimenti inconsci che risultano per accertabili attraverso i giochi sui significanti, oppure attraverso limmaginario convocato nella costruzione testuale. Viene spesso proposto un confronto, quello con lopera di condensazione onirica, che per risulta significativo solo su basi analogiche (pi stringente di fatto il lavoro sul linguaggio evidenziabile nei motti di spirito, nei quali una figuralit retorica spesso veicola un significato non esprimibile per censure etiche o razionali). Il problema di fondo nelle interpretazioni psicanalitiche del poetico il presupposto che linconscio, questo oceano di cui conosciamo solo pochissime zone, condizioni materialmente la genesi del linguaggio lirico a causa di particolari turbamenti. Ora, chiaro che in molti casi la poesia costituisce un risarcimento di traumi, e comunque dobbiamo dare credito alla realt del mondo interiore, distinguendolo da quello fisico-materiale. Ma la limitazione dellattivit poetica a questo aspetto la riconduce necessariamente in ambiti patologici, quasi che, per spiegare le visioni dantesche o le metafore shakespeariane, dovessimo ricostruire eventi rimossi o repressi. Le patologie studiate a livello psicanalitico, indipendentemente dalle loro cause (ora soggette a interpretazioni quanto mai eterogenee), non generano di necessit opere darte, e in ogni caso tali opere devono superare soglie di complessit elaborativa molto alte per diventare significative (altrimenti, come spesso capita anche oggi, nel giudizio di valore prevalgono componenti emotive). Semmai, si potrebbe adesso affermare che le patologie in genere minano le differenze logiche e la visione pragmatica del reale, e quindi spostano il lavorio interno del cervello-mente (la lineetta prova a unire due entit ancora separate linguisticamente), facendo prevalere le potenzialit di creazione linguistica non esclusivamente sintattico-razionale. Veniamo cos a toccare il terzo e ultimo ambito in cui si maggiormente discusso, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, del fare poetico. Si tratta di quello linguistico-strutturalista o, pi in generale, semiotico, nel quale si a lungo lavorato sulle nozioni di Saussure e poi soprattutto di Jakobson. La teoria di una funzione poetica del linguaggio sembrata a lungo del tutto plausibile, tenendo conto di due assiomi: da un lato, che ogni aspetto del linguaggio deve ricondurre a una struttura, evidenziabile attraverso lopposizione degli elementi del sistema; dallaltro, che og ni linguaggio mira in primis a una comunicazione, e che ogni sua funzione deve in qualche misura rimandare a questo obiettivo prioritario. Ora, la poesia sembrerebbe non rispondere a tale esigenza, anzi punterebbe a una oscurit a-comunicativa, e in ogni caso sfuggirebbe alle regole valide per i discorsi standard: e proprio questa eccezionalit stata esaminata da Jakobson stesso e poi, sotto varie angolature, da Cohen, Greimas e, in particolare, da Riffaterre e Lotman, che hanno in sostanza affermato che un testo lirico ricomponeva gli elementi oppositivi evidenziabili nel linguaggio su basi inconsuete, a cominciare dalla connotazione degli elementi fonici in quanto tali. Si creava cos un doppio legame: ogni aspetto del testo poteva essere pertinente, dato che poteva rispettare oppure contraddire le norme strutturali del sistema. Implicitamente, se ogni testo artistico e in specie poetico, come afferm soprattutto Lotman, deve creare una sua struttura coerente, nella quale siano sintetizzati molti livelli gnoseologici, compresi quelli che dovrebbero condurre alla distruzione dei vincoli consueti, allora ogni aspetto di qualunque testo risulta riconducibile a uninterpretazione che lo giustifichi in ambito comunicativo. Ci provoca due conseguenze: la ben nota incapacit dello 16

strutturalismo e della semiotica di fornire, con i propri strumenti critici, un giudizio di valore, e la separatezza del testo da ogni componente storico-biografica, ovvero da ogni possibile ancoraggio fattuale. vero che su questi punti hanno lavorato, magari nella fase conclusiva della loro attivit, molti critici di matrice strutturalista: basti pensare ai vari studi di tipo estetico di un Genette, oppure ai tentativi di Lotman di inserire lopera darte in una semiosfera in grado di giustificare un legame con la storia e la vita. Tuttavia le loro considerazioni non sono risultate sufficienti a modificare il quadro critico precedente, e anzi i limiti dello strutturalismo sono stati ancor meglio evidenziati dalle teorie che hanno condotto alle estreme conseguenze i presupposti scientifici del sistema oppositivo ricostruttivo: basti pensare alle forme di decostruzionismo e alle derive della semiosi illimitata, che anche in ambito poetico hanno fornito numerose contro-interpretazioni (come quelle di de Man o di Derrida). Il punto essenziale comunque che, nella prospettiva strutturalista, il fare poetico si colloca allinterno del linguaggio in quanto insieme dotato di norme: le pu superare, ma per ricostruirle in altro modo, e comunque il senso ulteriore deriverebbe da una mera acquisizione di informazioni veicolate in modi inconsueti. Sono gi stati molti i correttivi a questa impostazione introdotti dai linguisti, e in particolare va ricordato lo spostamento di prospettiva proposto da Eugenio Coseriu, il quale ha sostenuto che non la focalizzazione sul messaggio in quanto tale costituisce il carattere specifico della funzione poetica del linguaggio, come voleva Jakobson, bens il fatto che i segni sono impiegati in tutte le loro potenzialit funzionali: nel linguaggio poetico deve dunque scorgersi il linguaggio nella sua piena funzionalit [E. Coseriu, Linguistica del testo , trad. it. Roma, Nis, 1997, p. 141]. Si tratta gi di un evidente cambiamento di valenza ma, a ben vedere, ancora allinterno di una logica di ascendenza strutturalista-funzionalista. Anche lintersezione di questa logica, nella sua massima apertura paradigmatica, con le forme della logica simmetrica, dominante nellinconscio secondo Matte Blanco, non riesce a spiegare i processi generativi di una poesia come, poniamo, Denk dir di Celan. Non esistono motivazioni linguistiche consce o inconsce che, in un rapporto di causa -effetto, giustifichino il risultato rispetto alle premesse individuabili. Dobbiamo quindi accettare levidenza che lopera poetica, ai suoi livelli pi alti, rimane tuttora una creazione non giustificabile sulla base delle teorie sopra indicate: di certo, essa esige un atto interpretativo, che non a caso stato al centro dellattenzione ermeneutica degli ultimi decenni, sulla scorta soprattutto delle teorie di Gadamer, Szondi, Jauss e Ricoeur. Tali teorie hanno contribuito, pur nella loro diversit, a focalizzare limportanza della ricezione dellopera poetica, che in effetti, come abbiamo gi segnalato, deve senzaltro essere collocata in un contesto storico e insieme su uno sfondo ermeneutico per comprenderne lefficacia (in questottica, la critica militante e quella accademica dovrebbero agire sempre sinergicamente in ogni atto interpr etativo, persino quando rivolto al passato). Ma il problema fondamentale che ora si deve cominciare ad affrontare la valenza del fare poetico in quanto manifestazione di un lavorio biologico (pre -razionale, emotivo, cognitivo ecc.) che non segue percorsi logico-razionali ma attinge a una sintesi profonda di elementi genetici ed esperienziali, che possono essere nati in ogni ambito della corporeit dellindividuo e che possono aver generato sinapsi impreviste in ogni ambito cerebro -mentale (e lo studio di tali ambiti ormai sempre pi praticato nei paesi di area angloamericana, grazie agli sviluppi della cognitive poetics, di cui qui si tiene implicitamente conto). Il punto non quindi quello di applicare teorie diverse rispetto alle varie sinora citate, che potrebbero comunque essere portatrici di assunti in parte condivisibili o reimpiegabili. Invece, sulla scorta delle ricerche in corso tra genetica e linguistica cognitiva (da impiegare non come modello, ripetendo un errore di molta critica di matrice strutturalista o psicanalitica, ma come indicazioni di metodo), indispensabile ipotizzare caratteristiche e potenzialit del poetico che in qualche misura giustifichino una riapertura di credito nei suoi confronti, facendolo considerare come una modalit di creazione di connessioni-sinapsi inedite, in virt di un lavorio cerebro-mentale e della sua risultanza linguistica a posteriori. dobbligo ricordare che su una strada simile a quella proposta ha cominciato a muoversi, in Italia, Giorgio 17

Manacorda soprattutto nel suo La poesia la forma della mente , Roma, De Donato-Lerici, 2002, saggio ricco di intuizioni, che sintetizzava una serie di studi precedenti di questo critico, e che per non poteva ancora tener conto degli sviluppi pi recenti nellambi to della linguistica cognitiva: per esempio, vi si ipotizzava un isomorfismo metaforico tra mente e poesia sulla scorta di affermazioni di saggi quali Sulla materia della mente di G.M. Edelman o Lerrore di Cartesio di A.R. Damasio, le quali risultano ora soprattutto relative alle neurobiologie, ma non immediatamente collegabili alla produzione di linguaggi ritmati e quindi di poesia. La spinta alla nuova considerazione della poiesis deriva anche da ulteriori elementi di tipo storicocontestuale, che dob biamo adesso delineare per comprendere meglio qual il campo di forze (alla Bourdieu) in cui si colloca la poesia attuale. I limiti della lirica, in quanto espressione del soggetto empirico, sono stati superati in numerosi modi, quasi sempre nel tentativo di ritrovare una condivisione esterna, cio socializzante, del testo creato da un singolo. Dopo la fase pi acuta del surrealismo, che ha in un certo senso portato allacme gli aspetti caratteristici della poesia moderna iuxta Friedrich (senza dimenticare ulteriori implicazioni linguistico-psicanalitiche che vi possibile cogliere), iniziata nei paesi occidentali una tendenza alla semplificazione e alla ricostruzione di una significativit su basi antiavanguardiste. Al di l dei riconoscimenti gi indicati nel capitolo precedente, il limite di buona parte del surrealismo, e di molte avanguardie del primo e soprattutto del secondo Novecento, pu essere ora indicato nella feticizzazione del linguaggio in quanto reificazione delle violenze inconsce e consce (o sociali): si potevano produrre testi importanti in ambito ribelle, e quindi tendenzialmente destruentes, ma si doveva poi compiere un salto volontaristico-ideologico per ricondurli a uninterpretabilit condivisa, riducendone di fatto la portata in quanto eccezioni. Viceversa, la minor complessit dei nuovi componimenti (inclusi quelli dei cantautori) spingeva verso un ritorno alla dicibilit, alla colloquialit, infine alla mimesi dei discorsi comuni e alla narrazione tout court. Questa tendenza, definita anche come un andare verso la prosa (formulazione che peraltro richiederebbe molte glosse), risulta prevalente persino in ambito strettamente lirico, sebbene non ne manchino di opposte (per esempio verso la poesia astratta, filosofica o di pensiero, iper-simbolista ecc.). A tale tendenza se ne sovrapposta unaltra, in parte gi ricordata, quella a far rinascere una presenza della voce: una propensione che Paul Zumthor prov a ricostruire partendo dai primordi aedici, per arrivare sino appunto al ritorno della poesia orale e musicata come fenomeno di massa. Il riflesso sulle opere dautore stato esaminato solo limitatamente, ma indubbio che il concepire il testo anche in funzione della lettura, della performance, della condivisione pi emotiva che intellettiva, stato per molti poeti una modalit poetica possibile e a volte prioritaria a cominciare dagli anni Cinquanta (i primi beat), e pi largamente dagli anni Settanta e Ottanta. Alla diminuzione di coerenza testuale stato spesso risposto, sin dagli anni Sessanta (ma soprattutto dalla fine del XX secolo), con un nuovo impiego di regole rigide, come la metrica canonica o comunque le forme chiuse. Questa sorta di neo -manierismo ha prodotto esiti efficaci quando usato consapevolmente per far scontrare materiali antipoetici con le convenzioni ormai sclerotizzate, e tuttavia necessarie per rimarcare una possibile poeticit. Perch in effetti una difficolt evidente dopo lequiparazione di ogni tipo di stile poetico (con la possibile convi venza di una figuralit massima oscura o minima prosastica) quella di distinguere una voce che sia definibile appunto come poetica: se ogni espressione linguistica realizzata dal proprio autore come poesia pu essere accettata in s e per s, viene a dissolversi non tanto laura, ormai del tutto svanita, quanto la significativit autonoma del discorso poetico, su cui tanto avevano insistito le teorie sopra segnalate. Il quadro appena delineato concerne in specie i paesi occidentali. Fra questi l Italia, che ha mantenuto nel Novecento una discreta importanza nel panorama della poesia lirica internazionale, si segnala appunto per la disgregazione delle forme connotate come tradizionali, fino ad allora decisive grazie alla rielaborazione che ne aveva proposto Montale nelle sue prime tre raccolte. Ma dopo che la pubblicazione della Bufera (1956) ebbe creato un simbolico spartiacque, hanno convissuto 18

numerose idee di poesia: la quale comunque poteva essere considerata il risultato di processi assai differenziati per esempio quelli di concrezione-destrutturazione, purificazione-semplificazione (che per miravano spesso a nascondere traumi abissali), creazione di un manierismo classicista o di un ipermanierismo lacaniano, realizzazione di forme di descrittivit-narrativit (ma spesso a contatto con ambiti onirici), ecc. Non sarebbe difficile affiancare a ciascuna di queste tendenze i nomi dei poeti contemporanei pi noti: salvo poi dover precisare ancora meglio il quadro, soprattutto a partire dagli anni Ottanta, momento di tracollo dellidea di poesia come bene condivisibile, ancora sostenuta almeno a livello scolastico e genericamente umanistico. Non questa la condizione della poesia in ogni parte del mondo. A parte il prestigio sociale tuttora riconosciuto in molti paesi dalla lunga tradizione poetica, come si accennato evidente il ruolo epicizzante che possono assumere i componimenti di autori che vivono o in contesti di incerta identit nazionale (per esempio quello antillano di Derek Walcott) o di forte necessit di coesione e di riflessione comune (per esempio nellIrlanda di Seamus Heaney; per altre considerazioni, a partire soprattutto da Auden, si veda anche il saggio di Alfonso Berardinelli Poesia e genere lirico. Vicende postmoderne, ora nel volume Poesia non poesia , Torino, Einaudi, 2008). Tale riflessione pu anche diventare esercizio letterario sui destini umani in contrapposizione a ogni banale riadattamento degli ideali romantici, adornianamente incompatibili con il mondo pensabile come Lager: non a caso, questo tipo di impiego della poesia frequente negli autori tedeschi che hanno vissuto direttamente o indirettamente le violenze e le lacerazioni del Nazismo e della Seconda guerra mondiale (ma il discorso si potrebbe ampliare a tutti gli stati che hanno subto un regime totalitario). I modi possono essere molto diversificati: basti pensare alla ricreazione biografica in Nach der Natur, lElementargedichte di Sebald che conduce la poesia verso il saggio esperienziale, oppure a Der Untergang der Titanic, la commedia (in senso dantesco) di Enzensberger nata dal montaggio di stili, codici, concezioni del mondo diverse, ma riconciliate grazie alla forza del continuo spostamento di focus, con un io che da lirico diventa epico, si spersonalizza nelle voci diffuse e nella chiacchiera sociale prima di ricomporsi come personaggio che potrebbe affondare con la nave simbolo del destino novecentesco. Questi o altri esiti notevolissimi della poesia attuale non eliminano per il problema della loro significativit in un contesto che subordina la verit della poesia a qualunque tipo di opinione comune (pseudo)scientifica, e che quindi ha di fatto delegittimato la componente conoscitiva sui generis del fare poetico, riducendola, anche quando essa incontestabile, a mero discorso personale. In generale, tentando di collocare in prospettiva quanto esaminato nelle parti precedenti, si pu affermare che la contestazione della razionalit logico-scientifica, bench posta in atto in modi diversi, stata un tratto comune a gran parte delle teorie e delle prassi poetiche a partire dagli archetipi del Simbolismo (Rimbaud e Mallarm), e sino allespandersi del Surrealismo in ambiti extra-artistici. Tali movimenti risultano per adesso limitati dalla loro incapacit di costruire una forma alternativa: il considerare poesia un estratto di elenco telefonico pu dapprima generare un effetto straniante nellorizzonte dattesa del lettore, ma non crea alcun patrimonio semantico, anche perch ci non mette in gioco nessun dato esperienziale che possa trasformarsi e ridonare un senso allazione poetica, e in specie alla sua creativit metaforica. Lazzeramento tanto delle convenzioni quanto delle potenzialit ricostruttive ha fatto s che loscurit densa diventa sse progressivamente opacit priva di significati condivisibili. Di qui la giustificazione delle posizioni critiche che facevano coincidere il massimo di oggettivazione para-scientifica con il massimo di arbitrariet interpretativa (ben pi difficile da sostenere credibilmente in rapporto alla narrativa, almeno sino ad alcune punte postmoderniste). La risposta piuttosto diffusa allimpasse appena citato risulta legata a una drastica riduzione della metaforicit, che nel corso della seconda met del XX secolo viene sostituita da elementi molto pi sottili di distanziamento rispetto al prosastico-referenziale: una ritmicit sommessa, un uso allusivo delle figure metrico-retoriche, ecc. I casi estremi di riscrittura manieristica di forme canoniche non cambiano il quadro di sostanziale diminuzione nelluso delle potenzialit poetiche via via riemerse a partire dalla svolta romantica. Si aggiunga che lautenticit dellio lirico, presupposto fondamentale 19

per la giustificazione del dire in modi poetici, stata revocata ormai definitivamente in dubbio con mezzi che risultano analoghi a quelli impiegati nel racconto di autofiction - per esempio luso dei tratti tipici di una voce teatralizzata, che mina con la sua carica di ironia -parodia la presunta nascita extrastorica del linguaggio poetico. Ma se adesso, dopo aver evidenziato le direttrici storico-sociologiche dellevoluzione della poiesis, volessimo uscire da esse per considerare le interpretazioni alternative, da quale assunto potremmo partire? Probabilmente sarebbe fruttuoso riprendere la nozione celaniana che vede nellopera un progetto esistenziale in cui il poeta modella la sua vita: potremmo cos considerare prima potenzialit della poesia attuale quella di essere in grado di impiegare linsieme delle c omponenti cerebro-mentali e culturali, nella loro reciproca interazione. La significativit di questa dimensione del fare poetico potr diventare tanto pi evidente quanto pi essa sar in grado di ricreare una metaforicit di fondo, che scaturisca da una condizione in senso lato genetica (nei nostri geni, ci dicono gli studiosi, sono conservati elementi che risalgono ai primordi dellumanit), ma poi assuma le componenti culturali (ovvero il patrimonio della tradizione): queste ultime, come vedremo meglio, vanno allora intese non come vincoli bens come condizioni necessarie per la creazione di discorsi che risultino dotati di semanticit pur sfuggendo alle regole di una lingua sintatticamente ordinata. Non si tratta quindi di distruggere, bens di generare (in senso proprio) una poiesis che sia esterna ma non estranea ai caratteri storici del campo di forze attuale, e che quindi non si limiti a mimare o a parodiare i linguaggi dominanti, bens li assuma e li rielabori sulla base della loro incidenza esistenziale. Il problema che simpone per il seguente: come far interagire il sapere poetico e quelli acclarati (scientifici), ovvero meno mitologici? E soprattutto: a quale fine? Se la poesia pu costituire, in un contesto secolarizzato, non il disvelame nto di una verit bens lintuizione di forme di conoscenza che si collochino oltre il mondo attuale, chiaro, come gi accennato, che essa non pu limitarsi a tradurre i pensieri gi formati, ma deve produrne altri che consentano interpretazioni distinte del reale, meno consolidate riguardo al certum e tuttavia emblematiche riguardo al verum. I grandi fari possono ancora essere considerati, persino in una cultura globalizzata, quegli autori che hanno creato una forma del reale significativa per una coll ettivit: lepica pre-storica - ma fondatrice di storia - di Omero o quella figurale di Dante, la metaforicit intrinseca di Shakespeare o la teatralizzazione allegorica di Baudelaire, il simbolismo divino di Hlderlin o quello esistenziale di Celan. Di certo, la nostra idea della Bellezza, ossia del quid che rappresenta una verifica del risultato artistico e in specie poetico, corrisponde ormai a un insieme pluristratificato, a una possibile sintesi di potenzialit gnoseologiche assai distanti. In effetti, la stratificazione pu essere considerata limmagine del nostro evolverci sulla terra: il passato -sommerso non viene cancellato, come tenderebbe a far credere lattuale ipertrofico sistema di comunicazione, ma pu riemergere, nel singolo in quanto rappresentante del genere, in modi non razionali. Loscurit, lo straniamento, laspetto perturbante rappresentano solo alcune possibili varianti di questa riemersione, cos come la funzione memoriale, su cui tanto si esercitata la poesia otto-novecentesca, non lunica a poter innescare un processo creativo, dato che la creativit deve seguire ormai vie sue proprie nella ricomposizione di elementi esistenziali, comunque essi siano percepiti. In modo ugualmente analogico, su un piano eminentemente comunicat ivo, si comportano anche gli scienziati che cercano di fornire una spiegazione riguardo a processi che attualmente si intuiscono ma non sono spiegabili: si veda, per esempio, la maniera in cui il gi citato neurologo e psicologo Vilayanur S. Ramachandran costretto a descrivere i fenomeni sinestetici, probabilmente essenziali anche per le arti, nel quarto capitolo del suo Che cosa sappiamo della mente? (trad. it. Milano, Mondadori, 2004). Sar allora utile risalire sino alla Scienza nova dove, sulla base della distinzione vichiana tra uso razionale e uso poetico del linguaggio, si individuano i motivi per cui il discorso scientifico non pu assumere toni mistici, e tuttavia pu far ricorso a quella che poi Peirce chiamer abduzione per costruire relazioni non note. Tra poesia e scienza non si dovrebbe dunque ipotizzare un passaggio dal fantasioso (o plurivoco) al dimostrabile (o univoco), bens da un pensiero derivante dalla biologia a uno derivante dalle sole funzioni razionali-pragmatiche. La forza 20

interpretativa di queste ultime indiscutibile, soprattutto perch capaci di trattare la realt come simbologia non equivoca, in primis mediante la matematica che il fondamento implicito di ogni scienza esatta. Ma proprio lindubbio rapporto di questultima con la musica, almeno in una sua dimensione, e quindi, indirettamente, con la poesia, dimostra che i legami tra queste modalit dellinterazione individuo -mondo sono assai pi complessi di quanto le teorie attuali ci riescano a indicare, bench non manchino importanti tentativi di confronto (basti pensare ai celebri e, per molti aspetti, ancora fondamentali Mente e natura di Gregory Bateson e Gdel, Escher, Bach di Douglas Hofstadter). Daltronde, pure il passaggio dal mythos al logos, cos come stato descritto fra Otto e Novecento dai maggiori studiosi della grecit, viene ormai sottoposto a profonde revisioni, sia sulla base, acquisita a partire da Dodds, della permanenza di forme di irrazionalit in tutte le epoche della cultura antica, sia per le nuove valenze che i due termini stanno assumendo grazie alle ricerche degli storici, dei linguisti e degli antropologi. Si parla sempre pi diffusamente di gradazioni nellorganizzazione del mondo visto come kaos, che imponeva forme interpretative solo parzialmente concettualizzate e astratte, ma non per questo meno efficaci nellindividuazione di possibili letture dei fenomeni esterni. Per tornare brevemente alle posizioni di Platone, grande fruitore-creatore di discorsi mitico-letterari, evidente che la distinzione netta fra poesia e filosofia non tocca, nello Ione come nel Fedro, il fondamento di verit che la poesia contiene: il problema il modo di esporla, che non risulta dialettizzabile, e dunque compatibile con il discorso filosofico, alla fine, ma solo alla fine, decisivo nella costruzione utopica di una Repubblica fondata su princpi condivisi. Potremmo affermare che Platone costretto a tener fuori i poeti dal suo Stato ideale, cos come poi Aristotele potr far ricadere nelle sue categorie solo alcuni aspetti del fare poetico. attivo in ci il punto di forza del sapere filosofico-scientifico, ovvero la sua capacit di astrazione e generalizzazione, che senza dubbio un processo tendenzialmente opposto a quello inclusivo e asistematico del sapere poetico. Tuttavia, ad altri filosofi greci come gli Stoici e gli Epicurei, che influirono non poco sullevoluzione di tutte le discipline pragmatiche, sembrava sostenibile che solo da una compresenza di piani cognitivi diversi pu derivare una corretta interpretazione del reale. Ora, su fondamenti diversi, potremmo affermare che la poiesis pu tornare a essere creazione su basi sincretiche, in grado di coinvolgere tutte le potenzialit cerebro-mentali. Da un altro punto di vista, le numerose riflessioni libere, ossia non inserite in un sistema di poetica vincolante, espresse dai poeti riguardo allo status della loro creativit possono certificare che il processo appena indicato stato in vario modo messo in atto nei tempi moderni, e semmai ricondotto alle dottrine psicanalitiche. Ci vale in particolare per Eliot che, in The modern mind (1933), risponde anticipatamente alle teorie linguistico-comunicative sulla poesia, notando che quanto viene espresso liricamente deriva da origini oscure, e comunque non esisteva prima che fosse creato il componimento. Sulla non esistenza si potrebbe discutere, ma certo che la forma poetica, di qualunque natura sia, costituisce comunque una separazione dal continuum biologico, dunque una creazione complessa, come pu esserlo, materialmente, un qualunque essere pluricellulare. Nella prospettiva qui indicata, peraltro, gli sconvolgimenti (il rimbaudiano drglement) e anche le successive ricomposizioni, ovvero le ricostruzioni di norme su nuove basi, come abbiamo visto solo apparentemente autonome, non possono essere considerati come fenomeni assoluti e caratterizzanti di ogni poesia. Anche la mistica della lirica in quanto oscurit, brevit, densit ecc., derivata dal Romanticismo e da Baudelaire, ma in forme diverse accettate da gran parte dei movimenti poetici otto-novecenteschi, deve essere considerata come una manifestazione delle potenzialit del poetico, ultimamente posta in crisi dalla necessit di garantire un dialogo nellepoca in cui al dilagare dellinformazione corrisponde unentropia dellinterpretazione autentica. Non pi solo nella condensazione lirica, nelleliminazione dei nessi prosastici che si colgono le potenzialit del fare poetico: e nemmeno, ovviamente, nelle operazioni contrarie. La nostra attuale (post)modernit, superate le opposizioni rigide (tradizione o rivoluzione, ragione o fede, cultura o natura, ecc.), in

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grado di accettare discorsi poetici che non mirano alla costituzione di unidentit monolitica, a un io rigidamente definito attraverso le sue parole. Piuttosto, testi fondati su un pensiero biologico (solo in parte coincidente con quello cosiddetto emotivo) possono ricorrere a tutte le forme poetiche sinora sperimentate, o anche accettare altri tipi di ritmicit e di creazione semantica, purch sia rispettato il principio che il risultato non n un vuoto e solipsistico scardinamento di ogni sapere condiviso, n un montaggio a freddo di pezzi o di sequenze altrimenti esprimibili in modi narrativi o saggistici o semplicemente descrittivi. Se si torna a parlare con insistenza di poesia filosofica, e addirittura si sostiene, con Wittgenstein, che la filosofia si dovrebbe comporre poeticamente, si dovr accettare che la poiesis una forma di discorso sulla realt in tutti i suoi possibili significati, a cominciare da quelli che si possono cogliere sotto la nostra dimensione interpersonale e interculturale odierna, magari attraversando molti strati di senso. Un discorso non slegato dalla biografia, ma a quella connesso attraverso la pi generale biologia. Un discorso non immediatamente interpretativo, ma tale da poter essere interpretato anche attraverso discipline gnoseologiche distinte, e tuttavia connesse con implicite sinapsi al fare poetico. La poiesis attuale potrebbe quindi aprirsi a una nuova comprensione del reale non contro ma in parallelo alla conoscenza razionale. Il lavorio profondo, sulla scorta e non al di fuori dei saperi condivisi, pu riuscire a incidere sulla configurazione dei nostri parametri disciplinari, le gabbie delle specializzazioni ormai inevitabili in campo socio-economico, e introiettate pure in quello scientifico. Non che sia la poesia a dover rifare il mondo: la sua utopia pu forse diventare ideologica, e tuttavia deve mantenere un fondamento esistenziale libero, per far s che la mescolanza di elementi assunti attraverso ogni tipo di esperienza biologica sia adatta a creare una forma sintetica. Il rapporto con le componenti genetiche, anteriori ma non incompatibili con la razionalit (come pu continuare ad apparire la musica, che dovr essere di nuovo posta a confronto con la poesia), deve quindi rispondere a uno Zeitgeist che spinge a collegare o a sovrapporre o a fondere elementi e strati prima tenuti distinti. Con questo non si vuole sostenere che forme di poesia classica o comunque non eversive rispetto ai codici linguistici comuni siano poco significative. Lelaborazione poetica ha saputo motivare prima sulla base aristotelico-oraziana della verosimiglianza, poi su quella delle tendenze antisimboliste (ossia contro loscurit precostituita), modalit che risultarono a lungo compatibili con uninterpretazione univoca della lettera. Del resto ancora Eliot auspicava un ritorno della poesia al linguaggio quotidiano, cercando in quell ambito la sua specificit ritmica e semantica. In questottica si pu certo affermare che molti stili semplici sono risultati importanti nella poesia del XX e dellinizio del XXI secolo: e si parlato addirittura di espugnazione della lirica tramite strategie prosastiche (Berardinelli). Tuttavia, il distanziamento rispetto allindividualismo lirico fonte di voluto obscurisme era significativo soprattutto quando era quello il codice dominante, mentre la tendenza desublimante ha condotto da ultimo a una sovrapposizione quasi totale fra discorso in versi e discorso in prosa, distinti soltanto da una musica del senso spesso ipotetica pi che percepibile. In effetti sono state eliminate alcune marche residue dellaura poetica, ma nello stesso tempo non sono stati attivati modi della poiesis che ne rappresentino un ripensamento profondo. Di qui deriva una conseguenza fondamentale. Diversamente da chi pensa che la poesia sia la forma della mente, e che il pensiero sia unicamente metaforico-emotivo, si ormai chiarito che le funzioni neurobiologiche e quelle linguistiche hanno diversi tipi di specializzazione, e comunque risultano pur sempre mediate da forme culturali in genere e letterarie in particolare. Cancellare lopera della tradizione vuol dire dimenticare che la grande poesia anche frutto della disciplina dei poeti, della capacit di sintetizzare nei versi la profondit del sentire e lampiezza della conoscenza. Non si tratta quindi di negare limportanza dellelaborazione formale di unopera poetica, quanto di ribadire che i presupposti di tale elaborazione non nascono in un ambito esclusivamente logico-razionale: come direbbe Wallace Stevens nel suo Langelo necessario , gli effetti dellanalogia e dellimmaginazione sono variegati, ma la meditazione pu condurre il poeta a creare opere che si collochino in the very 22

center of consciousness, nel centro esatto della coscienza, ovviamente da intendersi ora nel senso pi largo che stiamo cominciando a individuare.

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MASSIMO GEZZI PER UNA APOLOGIA DELLA LIRICA. ALCUNE APPROSSIMAZIONI


Talvolta, una piccola presa di distanza assai pi eversiva per il sistema di una ribellione radicale e infruttuosa. Slavoj iek

0.In queste pagine, scritte un po in fretta per LUlisse e largamente passibili di miglioramenti, vorrei tentare di spiegare perch ritengo che un certo tipo di lirica sia non solo un genere di poesia capace di descrivere con esattezza e senza velleitarismi il momento storico che stiamo attraversando, ma anche una forma utile per capirlo e per cercare, in qualche misura, di contestarlo. Mi rendo conto che la tesi suoni piuttosto paradossale. Prover ad argomentarla ricorrendo a diversi studi e materiali, che forse avrebbero avuto bisogno di una riflessione meno contratta di quella che sono riuscito ad elaborare qui. Mi riprometto di sviluppare queste approssimazioni in uno scritto di pi ampio respiro. 1.Lepilogo a cui tende il bel libro di Guido Mazzoni Sulla poesia moderna che, siccome le forme dellarte registrano la storia degli uomi ni con pi esattezza dei documenti (Adorno), il genere lirico, che meglio di ogni altro incarna la componente narcisistica dellindividualismo moderno, anche un gigantesco sintomo storico (1). Nel libro di Mazzoni, lirica vuol dire il genere egologico che prende compiuta coscienza di s tra seconda met del Settecento e linizio dellOttocento, quando si afferma la tripartizione dei generi letterari in epica, lirica e dramma, e contemporaneamente nasce lidea che la poesia moderna sia diversa da quella del passato (2). In questa tripartizione, che Goethe riteneva trans-storica e archetipica scambiando epica, lirica e dramma per Naturformen e che invece storica e dunque ricostruibile nella sua genesi, la lirica il genere dellespressione di s: espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo e ben sentito dalluomo, la definisce Leopardi nel celebre passo dello Zibaldone del 15 dicembre 1826 [4234-5], in cui viene acquisita e ratificata la tripartizione romantica. Questo massiccio spostamento dellattenzione dalla cosa fatta o da fare (il testo canonico) a colui che la fa (il creatore), e agli impulsi specifici che la determinano intesi come valore (3), caratterizza tutta lepoca romantica, e si prolunga fin dentro il XX secolo, per il quale Bernardelli, ricostruendo diacronicamente le variazioni dellidea di lirica dallantichit ai giorni nostri, parla di sostanziale permanenza della visione idealistico-romantica seguita, pi o meno dalla met del secolo, da parziali tentativi di superamento (4). Questi tentativi di superamento hanno riguardato sia lidea di lirica in s (nellaccezione romantico -hegeliana di espressione libera e schietta di qualunque affetto vivo), sia la centralit che questo genere ha guadagnato allinterno dello spazio letterario moderno negli ultimi due secoli (5). I tentativi di contestare lidea moderna di lirica in s non sono stati pochi: Ren Wellek, per esempio, ha cercato di minare alle fondamenta tale idea, sostenendo che lio lirico ha carattere finzionale e fittizio (6), negando cos a priori le condizioni di esistenza di qualsiasi Erlebnislyrik; prima di lui, Roman Jakobson aveva elaborato la celebre tipologia delle funzioni del linguaggio, secondo la quale la messa a punto ( Einstellung) rispetto al messaggio in quanto tale, cio laccento posto sul messaggio per se stesso, costituisce la funzione poetica (7). Nelle pagine di Jakobson, la concezione intransitiva o autotelica del linguaggio poetico solo attenuata dalla successiva specificazione che la lirica, in quanto genere orientato alla prima persona, intimamente legata alla funzione emotiva (e quindi espressiva) (8), perch in ogni caso la funzione poetica, secondo il linguista, resta dominante in tutti i generi poetici, lirico compreso; prima ancora, nella Nascita della tragedia , Nietzsche aveva negato che la lirica avesse un impianto soggettivo, sostenendo che il suo vero carattere, in quanto espressione simbolica dellebbrezza e del dolore dionisiaco che trascende il singolo individuo, prepersonale e panico (9). Per il discorso che vorrei tentare qui, ignorer questi autorevolissimi tentativi di contestazione dellidea moderna di lirica, e assumer che essa consista davvero nella definizione datane da Leopardi, con un 24

sostanziale correttivo, per: che essa non sia esclusivamente espressione di affetti ma, pi in generale, di pensieri, percezioni, idee, esperienze di un individuo reale che si prolunga in un io testuale. Mettendo direttamente e dichiaratamente in campo un io reale, allora, la lirica potrebbe essere davvero considerata come una delle arti che meglio illustrano i dilemmi dellidentit moderna (10). 2. Una delle accuse generali che vengono mosse pi spesso alla lirica dai suoi tenaci detrattori, spesso davanguardia, pr oprio quella di essere un genere egocentrico, egolatrico e dunque fondamentalmente evasivo, se non reazionario. Leggere una poesia lirica, come sapeva anche il Leopardi dello Zibaldone, rinfranca lanimo, lo rasserena, in qualche modo lo esalta. E questa sarebbe una reazione, una sorta di pillola indorata con il quale un potere ascoso tiene a bada i suoi sudditi, impedendo loro di esercitare il pensiero critico, e anzi sterilizzandolo sul nascere con un po di poesia, o con il sonno narcotico dei giusti. Che la lirica, nella sua accezione pura, sia un genere egocentrico assodato: Nessun altro genere, scrive Mazzoni chiarendo quale visione del mondo implichi la forma simbolica della poesia moderna, raffigura con tanta forza ed eloquenza lo stadio estremo dellindividualismo occidentale in tutti i suoi corollari: linappartenza interiore, il narcisismo, il rifiuto di trascendere i confini dellio, lidea che il senso della vita possa essere racchiuso in un momento di pienezza assoluta, lidea che il temp o quotidiano sia per lo pi ininteressante e vuoto (11). E ancora: Il nostro genere sembra ignorare le due forme in cui si manifesta la trascendenza del mondo rispetto allio: la presenza degli altri e lo scorrere del tempo (12). La catena sociale e quella cronologica, allinterno della lirica, sarebbero dunque interrotte, tranciate di netto, sicch ogni lirico sarebbe una sorta di re soliloquente, pago di esserci e convinto dellassolut centralit e autosufficienza della propria esperienza. Un re che l e varie posizioni davanguardia vorrebbero rovesciare a tutti i costi. 3. Chi volesse tentare unapologia della lirica potrebbe rispondere in due modi, piuttosto diversi tra loro. Per prima cosa, potrebbe affiancare a questa evidenza le ultime righe di una lettera del 1955 di Franco Fortini a Leo Spitzer, ultima tessera di uno scambio epistolare polemico generato da uno scritto di Fortini su Critica stilistica e storia del linguaggio in cui venivano discussi i limiti della critica stilistica. Spitzer, in una lettera precedente, rimproverava sostanzialmente Fortini di essere troppo ideologico, provocandolo cos: [...] non vedo perch le opere atemporali della poesia borghese dovrebbero essere sommerse da una critica casualistica, che ci aliena dalla poesi a che in certo modo non ha cause. Perch Platone era un arciconservatore in cose politiche, non si potrebbe gioire della poesia del Simposio?. Ed ecco la risposta di Fortini:
mi guardo bene dal credere che non dobba godere della poesia del Simposio perch Platone era un arciconservatore. Anzi: proprio perch riteniamo che larte e la poesia siano lespressione duna concezione del mondo legata ad una classe e ad un momento storico, crediamo sapere che esse non ne siano un mero riflesso passivo, e quindi siamo certi che la forza poetica di Platone la vince sulle sue stesse concezioni politiche. Crediamo insomma che la poesia non sia mai reazionaria o retrograda (13).

Non voglio certo sostenere, con questo, che Fortini facesse il tifo per unastratta e irenica Poesia, a prescindere dal mondo prepoetico. lui stesso a precisare la questione un attimo dopo: ma questo non significa che non si debba valutare anche sociologicamente il mondo prepoetico, il materiale sentimentale ed ideologico dellau tore... (14). Eppure Fortini, e non solo in questo passo, ammette la possibilit che allinterno di unopera darte agisca una sorta di potere di negazione (15) che sfugge al controllo dello scrittore che lha realizzata, e ammette persino la possibilit dialettica che, in uno stesso autore, il pensiero della poesia non possa e in un certo senso non debba coincidere con il pensiero della prosa (16). Daltronde in Avanguardia e mediazione, il saggio in cui contesta radicalmente lefficacia e persino la ragion dessere della neoavanguardia, Fortini ricorda che il discorso poetico e artistico altro da quello pratico25

politico, e che il primo non negher o distrugger un bel nulla in quanto tale, in quanto discorso poetico e artistico, e che anzi tutte le sue tormentose e ironiche negazioni si comporranno in una forma, nella odiata e inevitabile opera (17). Non che la poesia e larte, allora, non servano a nulla, o peggio. che il potere di negazione di unopera di vera poesia imbocca un altro percorso, forse parallelo, forse addirittura inverso e contrario a quello immediatamente pratico: La funzione pratico-politica delle opere di poesia, la loro attitudine ad essere legislatrici del mondo, si d certamente ma al termine di un percorso diverso da quello del discorso pratico-politico (18). Ecco perch Fortini pu amare un verso cos antico e lirico come questo endecasillabo di Alfonso Gatto: Com spoglia la luna, quasi lalba (19), che avrebbe fatto e farebbe orrore a tanti neo- o neo-neoavanguardisti. 4. Il secondo modo di rispondere alla scomoda accusa di egoarchia e di autosufficienza consiste invece nel valutare la compattezza e il grado di validit delle categorie teoriche e delle formule impiegate per descrivere i fenomeni storici, categorie che a volte costringono necessariamente a qualche generalizzazione. Torniamo dunque a riflettere su cosa sia la lirica, e su cosa sia stata la lirica nel Novecento. noto, ad esempio, il giudizio di Alfonso Berardinelli: Questa della lirica moderna fondamentalmente antidiscorsiva e autoreferenziale stata [...] pi una leggenda ideologica, un mito teorico-polemico che una realt: perfino un lirico assoluto come Gottfried Benn alterna i rigori dello stile nominale e del monologismo astratto con le poesie ritratto, le poesie diaristiche e di invettiva (20). Daltronde, lequazione critica che accomuna poesia dellio tout court a poesia lirica in senso romantico, evocata soprattutto dai contestatori pi agguerriti e polemici della Neoavanguardia, ai miei occhi appare piuttosto fallace: non credo di dire una sciocchezza se sostengo che lio (poetico) di DAnnunzio ben diverso dallio (poetico) di Montale, o se noto che il personaggio che dice io allinterno di un testo di Magrelli profondamente diverso da quello che pronuncia lo stesso bisillabo, che so, in una poesia di Mussapi. Nel suo saggio Storia della lingua e critica letteraria (Per una diacronia delloggetto poetico in Montale), Luigi Blasucci recupera gli studi di Cesare De Lollis, Domenico Petrini e Alfredo Schiaffini sulla progressiva acquisizione di realt nel lessico della poesia italiana ottocentesca e novecentesca. Blasucci, nella prospettiva semantico-lessicale propria del suo saggio, discute se sia corretto parlare di sliricamento della poesia moderna, come proposto da Schiaffini sin dal titolo di un suo scritto (21). Riflettendo sulla storia poetica novecentesca, Blasucci sostiene che la visione di un processo di sliricamento come filo conduttore della poesia mo derna [...] mi trova [...] solo in parte consenziente: essa applicabile a momenti particolari della nostra poetica come la scapigliatura, il crepuscolarismo e ultimamente la neo-avanguardia, ma non allesperienza di autori come Saba, Ungaretti, Montale [...]. Il problema non infatti per costoro una rinuncia al lirico, ma ai mezzi tradizionali per ottenerlo. E conclude: fra i due termini manzoniani richiamati dallo Schiaffini per designare il processo della poesia moderna, sliricizzazione e diseroicizzazione, trovo tutto sommato pi proprio il secondo, in quanto legato a fattori semantici pi che tonali (22). Se prolunghiamo il discorso di Blasucci, o meglio lo trasliamo dal piano dalla lingua a quello dei temi della poesia (resta naturalmente da discutere quanto ampio possa essere lo scollamento tra i due piani), a me pare di poter dire che la lirica non si esaurisce, e non solo nel Novecento, nellespressione di affetti, come vuole il Leopardi dello Zibaldone. Credo che tutti siano concordi nel definire proprio lui, Leopardi, come uno straordinario poeta lirico: ebbene, se invece di leggere lidillio Alla luna si aprissero i Canti, che so, alla pagina del Canto notturno, ci si troverebbe davanti a una magnifica lirica, che parte s dagli affetti e dalle riflessioni di un io (debolmente schermato dalla maschera del pastore), ma che poi si dilata a comprendere il tempo profondo, si complica in una serie fittissima di interrogazioni, paragonando la vita del pastore a quella della luna e degli animali e ricostituendo cos la catena socio-cosmica, spingendosi infine a enunciare una verit generale, ovvero che la vita, non solo quella dellindividuo che dice io, probabilmente un male. Leopardi dunque un lirico, ma un lirico che pensa (virt che piaceva poco a Benedetto Croce), che non si limita a esprimere in versi i propri moti interiori o i propri ricordi dinfanzia, ma 26

ne interroga il significato entro la dimensione complessiva della propria vita e dellesistenza universale. Diremmo quasi, per riprendere i termini richiamati da Blasucci, che il suo io poetico sia bens lirico, ma (quasi sempre) diseroicizzato . 5. Veniamo ai giorni nostri. Lintroduzione allantologia pi seria della poesia italiana degli ultimi quarantanni, quella curata da Enrico Testa per Einaudi, disegna il diagramma del rapporto della poesia con lio dagli anni sessanta al Duemila. Se negli anni sessanta e soprattutto settanta si fa un gran parlare, in effetti, di riduzione o deriva, decentramento o disseminazione del soggetto (23), negli ultimi ventanni Testa individua una linea (o forse, meglio, un atteggiamento) che si potrebbe genericamente definire esistenziale, sospesa tra metafisica e nichilismo, di cui descrive le caratteristiche:
fedele alla sua radice terrena senza per tramutare il paesaggio umano in grigia insensatezza o il quotidiano in catalogo minimalista di piccoli fatti, ed sensibile ai richiami del trascendente che scorrono nelle relazioni senza per edificare su di essi una mitografia della verit e dellassoluto. Filo teso tra lessere e il nulla, si sofferma sui molteplici luoghi dellesistere con una disponibilit che, debitrice in pi punti della lezione dei maestri pi anziani, direttamente proporzionale alla fine della credenza nella centrali t dellio, allo straniamento del suo punto di vista, ad un impianto compositivo che assume in s narrazioni ellittiche, parole altrui, figure ben distinte, oggetti dinquietante familiarit, elementi animali e naturali che guardano, insistono, interrogano. (24)

Leggendo questo tipo di poesia, prosegue Testa, si ha limpressione che labituale distinzione tra lirico e antilirico, utile in passato, non sia pi qui produttiva: lio, quando presente, resta, nei casi citati, per lo pi autobiografico, empirico e anche familiare [...] ma non, per questo, intona il proprio discorso ad unegologia solipsistica. Non labile o flebile (ormai etichetta abusata o topos retorico) ma, piuttosto, attento a quanto lo circonda (25). Un io autobiografico e non labile ma non solipsistico, dunque; ben diverso, certo, da quello messo in campo nel rimessaggio antimoderno del discorso lirico (26) operato soprattutto da Conte e da Mussapi, ma non masochisticamente atterrito dal vedersi rispecchiato sulla pagina. Sfidando il titolo dellantologia di Testa, che assume la lirica sostanzialmente nellaccezione romantica, mi arrischierei a definirlo, ancora una volta, un io non tanto sliricizzato o dopo la lirica (dato che in fondo labituale distinzione tra lirico e antilirico [...] non pi produttiva), quanto del tutto diseroicizzato. Lequazione sanguinetiana di lirismo ed ermetismo, in questo senso, falsa: Sereni pu ancora essere definito un lirico, pur non essendo pi un ermetico. 6. Ma perch questo tipo di poesia, che ho cercato di definire lirica diseroicizzata, potrebbe ancora essere praticabile, forse oggi pi che nei decenni passati? Non semplice rispondere, perch si tratta di ravvivare limperativo etico di legittimare le proprie scelte estetiche, tenendo se mpre a mente il monito di Fortini sulla non immediata complanarit di discorso poetico-artistico e discorso politico-pratico, ma senza considerare questa posizione come una sorta di tranquillante che ci consenta di prolungare ad libitum il sonno dei giusti. Provo a farlo servendomi ancora dei lavori di Giuseppe Bernardelli e di Guido Mazzoni. Nella seconda parte del suo studio sulla lirica, Bernardelli illustra la specifica economia enunciativa che nella maggioranza dei casi caratterizza i testi percepiti come lirici dalla tradizione e dal senso comune. La specificit discorsiva dellintero genere lirico, sostiene lo studioso, si pu definire genericamente di natura enunciativa, ma pi precisamente di ordine pragmatico, concernente il particolare rapporto che si instaura fra i due poli del processo comunicativo (27). I due poli, ovviamente, sono lemittente del messaggio e il destinatario, ovvero semplificando lautore con la sua funzione testuale (lio poetico) e il lettore. Il discorso lirico co stituirebbe insomma una sorta di discorso in presenza e in scienza (ma destinato in definitiva a chi lontano e non sa). Trasformando in autobiografismo empirico lautobiografismo trascendentale tipico dellet 27

premoderna (28), nel testo lirico modern o lio che parla designa il suo contesto di locuzione e indica ci che lo circonda (29), come se un lettore, a prescindere dalla presenza di un eventuale tu testuale, abbia familiarit con quello stesso contesto e vedesse quello che egli vede: Il discorso svolto, insomma, un discorso che suppone (o finge) la presenza fisica del destinatario, il quale si trova invece, secondo ogni evidenza, a distanza (30). Rimando naturalmente al corposo studio di Bernardelli per la valutazione della tenuta di questa tesi quando si tenti, per esempio, di chiarire la differenza tra la specificit discorsiva del testo lirico e quella di un testo narrativo con un narratore autodiegetico (il testo narrativo, a differenza di quello lirico, sarebbe chiuso in s, perch nel momento della fruizione non richiederebbe altre determinazioni che quelle puramente linguistiche, che vengono offerte dal tessuto verbale interno al testo stesso (31)). Restiamo invece alla natura pragmatica del discorso aperto e in presenza del testo lirico, e assumiamola per buona. 7. A chi si rivolge uno che scrive lirica, oggi? A qualcuno, si spera sempre. Non, verosimilmente, a un pubblico reale, oggi che il pubblico non che una funzione del sistema, non possedendo pi alcuna autonomia reale di scelta ed essendo plasmato da quello che Charles Wright Mills individuava come il terzo modello di produzione culturale, posteriore a quello liberistico: un modello capitalistico a vocazione dirigistica, cio, che insieme ai beni culturali produce anche il loro mercato e i loro consumatori. Adorno, nella sua sociologia della musica, aveva perfettamente colto la capacit dellindustria culturale di erigere a giudici le sue vittime (32) e di creare il gusto e le abitudini dei consumatori, lasciando loro la preziosa illusione di essere liberi, unici, padroni dei loro valori, delle loro scelte, delle loro decisioni: era il fenomeno, quanto mai attivo, della pseudoindividualizzazione, che consisteva nellalimentare lillusione dellindividualismo e dellindipendenza offrendo preventivamente, come si dice, una variet per tutti i gusti (33). Non si scrive dunque per questo presente. Eppure si scrive sempre per qualcuno, forse davvero per quel popolo che manca di cui ha parlato Deleuze (34), e che per un giorno dovr essere e dovr garantire il dover essere (35). Ma come fare, dallinterno del genere che incarna per antonomasia quella che Cristopher Lasch ha chiamato La cultura del narcisismo (36), il cui primo comandamento consiste nellesprimere se stes si, dove esprimere se stessi non significa [...] raggiungere la piena autonomia dalle attese altrui, ma vedersi riconosciuto un diritto che il poeta premoderno non conosceva: il diritto allinappartenenza (37)? Com possibile fare spazio a quellistanza sovrapersonale, a quella vita pi che personale di cui parla ancora Deleuze, aderendo a un genere che invece pressuppone linterruzione della catena cronologica e di quella storico-sociale e che comunica, a un primo livello, lidea che la societ sia u n insieme di monadi separate e immerse in flusso di esperienza discontinuo (38)? La risposta, mi pare, passa per la consapevolezza non aggirabile che questa idea, in realt, un clamoroso abbaglio, perch ancora con Mazzoni lanalisi del territorio poetico moderno ci mostra come questi individui isolati che esprimono se stessi siano in realt preceduti, parlati e definiti dai sistemi di cui consapevolmente o inconsapevolmente fanno parte (39). Naturalmente i sistemi agiscono sulle monadi non solo allinterno del terriorio letterario, ma anche nel pi vasto campo pratico-politico, o ideologico. Slavoj iek, per esempio, ci va ricordando in questi anni che la critica delleconomia politica di Marx aveva dimostrato come il capitale generi una spettra lit tutta sua, dando vita a una violenza invisibile (40) e anonima che apparentemente nessuno commette, e che lascia agli individui lillusione della libert, e spesso pure del dissenso:
il destino dinteri strati della popolazione, a volte di Paesi inte ri, pu essere deciso dalla danza speculativa solipsitica del capitale, che insegue il suo obiettivo di profitto con beata indifferenza rispetto a come questo movimento incider sulla realt sociale. Questa la fondamentale violenza sistemica del capitalismo, che molto pi misteriosa della diretta violenza socio-ideologica pre-capitalista: questa violenza non pi attribuibile a individui in carne e ossa e alle loro cattive intenzioni; puramente oggettiva, sistemica, anonima. (41)

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Nel momento in cui scriviamo e cerchiamo di spiegare, per primo a noi stessi, cosa stiamo facendo e perch lo facciamo, dobbiamo dunque non dimenticare di essere ben imbrigliati in questa rete di sistemi che ci condiziona e ci trascende, pur essendo costruita, come aveva gi capito gi il Tristano di Leopardi, da tanti io. da qui dentro, se vogliamo ancora rispondere allimperativo etico di legittimare le nostre scelte estetiche (anche quando esse appaiono necessitate), che dobbiamo parlare. 8. Tentiamo finalmente di tirare tutte le fila. Scrivere poesia lirica significa scrivere una poesia solitamente comprensibile, destinata a qualcuno, scegliendo la modalit stilistica che stata ridefinita trobar leu, in contrapposizione a una versificazione consapevolmente opaca e oscura, clus. Significa dunque cercare, quasi evocare un lettore, anche quando questo lettore (questo popolo?) non c o non ci pu essere. Significa confidare in una possibile comunicazione, magari persino in una comunicazione non refrattaria a risposte emotive, di meraviglia. Se la teoria di Bernardelli buona, significa scegliere lunico genere che convoca pragmaticamente il lettore con un discorso aperto e in presenza, lo coinvolge sulla scena, lo interpella direttamente quasi in un dialogo, sia pure a senso unico. Ora, a questo ipotetico lettore in presenza, non va certamente consegnata una lirica crocianamente pura, dellemozione e del trasalimento interiore serenamente recollected in tranquillity, e neanche una poesia che si appaghi degli affari privati di chi la scrive, ma qualcosa di uguale e insieme di diverso. Mi servir di un ultimo passo di Fortini, per chiarire quel che intendo. In uno degli scritti pi mirabili di Verifica dei poteri, Fortini dichiarava la sua intenzione di voler apparire il pi astratto, il meno impegnato e impiegabile, il pi reazionario degli scrittori (42), ritenendo che, per il suo tempo, voler scrivere di industria, fabbriche, operai, lotte sindacali e politiche sia fiancheggiamento della conservazione. Oggi che abitiamo quella che iek definisce lera del cinismo, in cui lideologia pu permettersi di rivelare il segreto del proprio funzionamento (la sua idiozia costitutiva, che lideologia tradizionale, precinica, doveva mantenere segreta) senza nemmeno intaccare la propria efficienza (43), il verdetto di Fortini appare pi vero e pi perentorio che mai. Cosa fare, dunque, se qualcosa resta davvero da fare? Forse, in questa era cinica di violenza visibile e invisibile, occorre tornare, come raccomandava Fortini, a confondere le piste, le identit. Ad avvelenare i pozzi, facendosi candidi come volpi e astuti come colombe (44). Se si sceglie la poesia dellesperienza personale, capace di convocare sulla scena un lettore e persino di interpellarlo, bis ogna non dimenticarsi mai di dire la verit. Allinterno del genere pi egocentrico e intimistico, si potr allora rivolgere su di s lo specchio ustorio di Dorian Gray e rappresentarsi per quello che si : un io come tutti gli altri, con nessun privilegio ontologico e nessuna centralit cosmica; un io mortale e provvisorio, destinato a sparire nel nulla; un io immerso in una storia-sistema che forse lo trascende ma di sicuro lo comprende, rendendo per lo meno problematiche le sue proteste di innocenza. E il mezzo con cui quello che ho chiamato lirica diseroicizzata pu continuare a suggerire tutto questo (ossia la verit, se resta buono il monito di Auden per cui se si pu attribuire alla poesia [] uno scopo ulteriore, questo consiste nel disincantare e disintossicare, dicendo la verit (45)) quella strana miscela di reazioni che suscita nel lettore in presenza ogni grande lirica pensante che non voglia rinunciare a nulla: non a raccontare, persino con amore, lesperienza del mondo e degli altri ess eri umani, perch occorre essere consci dellunicit della vita, del valore del mondo e della positivit che saccompagna anche alla peggiore decadenza [...] se si vuole negare autenticamente la figura presente (46); non a trasmettere ancora il sentimento della meraviglia, perch Leopardi costruiva proprio sulla percezione stupita dellinfinito e del quotidiano pi trito (il canto dellartigian, la rana rimota alla campagna, quella loggia col...) il suo abbagliante e paradossale pensiero cosmico e materialistico; non a convocare il rigore etico del pensiero, che colloca queste esperienze su uno sfondo spazio-temporale preciso, rendendole, come sono, relative, discutibili. Dare voce allistanza sovrapersonale, alla vita pi che personale (Deleuze) allinterno di un genere egocentrato come la lirica significa, precisamente, avvelenare i pozzi, evocare un lettore 29

non per consolarlo ma per ri-dirgli la verit, nascondere insomma la lima fine dacciaio [...] nella pagnotta dellergastolano (47). Non sono sicuro di saperlo fare, ma quando scrivo cerco anche di ricordare a me stesso le istruzioni per fabbricare quella lima.

Note
(1) G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, Il Mulino, Bologna 2005, p. 214. (2) Ivi, pp. 76 ss. (3) G. Bernardelli, Il testo lirico. Logica e forma di un tipo letterario , Vita e Pensiero, Milano 2002, p. 70. (4) Ivi, p. 94. (5) Sui generi letterari come universali in re rappresentabili tramite uno schema mentale di tipo topografico cfr. G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, cit., pp. 29-34. (6) R. Wellek, Teoria dei generi letterari, lirica ed Elebnis, in Discriminazioni. Nuovi concetti di critica (1970), Massimiliano Boni Editore s.d., pp. 225-253, ricordato da Bernardelli, Il testo lirico, cit., p. 114n. (7) R. Jakobson, Linguistica e poetica, in Saggi di linguistica generale (1963). Cura e introduzione di Luigi Heilmann, Feltrinelli, Milano 2005, p. 189. (8) Ivi, p. 191. (9) La posizione di Nietzsche ricordata ancora da G. Bernardelli, Il testo lirico, cit., p. 91. (10) G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, cit., p. 215. (11) Ivi, p. 242. (12) Ivi, p. 240. (13) F. Fortini, Leggendo Spitzer, in Verifica dei poteri (1965), ora in Saggi ed epigrammi, Mondadori, I Meridiani, Milano 2003, pp. 199-216: 216. (14) Ibid. (15) Cfr. per esempio il saggio Avanguardia e mediazione, ivi, p. 94. (16) F. Fortini, Il passaggio della gioia , ivi, p. 277. (17) F. Fortini, Avanguardia e mediazione, ivi, p. 93. (18) Ibid. (19) F. Fortini, Breve secondo Novecento (1996), ora in Saggi ed epigrammi, cit., pp. 1129-1195: 1150. (20) A. Berardinelli, Poesia e genere lirico. Vicende postmoderne , in M.A. Grignani (a cura di), Genealogie della poesia nel secondo Novecento , Giornate di Studio, Siena, Certosa di Pontignano, 23-24-25 marzo 2001, numero monografico di Moderna, 2, III (2001), pp. 81-92: 82. (21) A. Schiaffini, Antilirismo del linguaggio nella poesia moderna , in Mercanti e poeti. Un Maestro , Milano-Napoli, Ricciardi 1969, pp. 132-151. (22) L. Blasucci, Storia della lingua e critica letteraria (Per una diacronia delloggetto poetico in Montale) (1997), ora in Gli oggetti di Montale, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 49-70: 50-51. (23) E. Testa (a cura di), Dopo la lirica, Einaudi, Torino 2005, p. XVI. (24) Ibid. (25) Ivi, p. XXIX. (26) Ivi, p. XXV. (27) G. Bernardelli, Il testo lirico, cit., p. 135. (28) Cfr. G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, cit., pp.113-114. (29) Si ricordi daltronde il celebre giudizio di Goethe, secondo cui tutta la poesia da considerarsi in una certa misura poesia doccasione (cfr. J.P. Eckermann, Colloqui con Goethe [1836-1848], UTET, Torino 1975, p. 85). (30) G. Bernardelli, Il testo lirico, cit., p. 135. (31) Ivi, p. 169. (32) T.W. Adorno, Minima moralia. Riflessioni sulla vita offesa (1951), Einaudi, Torino 1954, p. 195. (33) Cfr. A. Serravezza, Musica, filosofia e societ in Th. W. Adorno , Dedalo libri, Bari 1976, pp. 120 ss. (34) G. Deleuze, Critica e clinica (1993), Raffaello Cortina Editore, Milano 1996, p. 16. (35) G. Frasca, La lettera che muore, Meltemi, Roma 2005, p. 40. (36) Cfr. C. Lasch, La cultura del narcisismo (1979), Bompiani, Milano 1995. (37) G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, cit., p. 217. (38) Ivi, p. 240.

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(39) Ivi, p. 244. (40) Cfr. S. iek, La violenza invisibile (2007), Rizzoli, Milano 2007. (41) S. iek, La fragilit dellassoluto (2000), Transeuropa, Massa 2007, p. 22. (42) F. Fortini, Astuti come colombe, in Verifica dei poteri (1965), ora in Saggi ed epigrammi, cit., pp. 44-68: 67. (43) S. iek, Il Grande Altro. Nazionalismo, godimento, cultura di massa . A cura di M. Senaldi, Feltrinelli, Milano 1999, p. 56. (44) F. Fortini, Astuti come colombe, cit., p. 67. (45) W.H. Auden, La mano del tintore (1962), Adelphi, Milano 1999, p. 42. (46) F. Fortini. Avanguardia e mediazione, cit., p. 101. (47) F. Fortini, Astuti come colombe, cit., p. 68.

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PAOLO GIOVANNETTI IBRIDI DA SEMPRE. SOGGETTI LIRICI VS ENUNCIATORI NARRATIVI


1. A me sembra che quando si parla di io poetico, di soggettivit e soggetto nella (e della) poesia si faccia troppo spesso un tipo di errore che allontana dal vero problema in gioco. Per essere chiaro, espongo brevissimamente i principi elaborati dai cugini esperti di narrativa, di fronte a una questione almeno in parte analoga. Contrariamente a quanto crede il senso comune, la soggettivit ha un ruolo assolutamente centrale nel racconto, nella narrazione. Anzi, sempre stato fin troppo chiaro, da Platone e Aristotele in poi, che il problema di chi parla quello da cui si deve prendere le mosse quando ci si preoccupa di cose decisamente controverse come la diegesis e la mimesis: cio il raccontare-raccontare - in qualche modo puro - o il raccontare per interposta persona, interposto personaggio. Il nodo fondamentale, a ben vedere, che inscritta nella tradizione occidentale sempre e comunque la prassi di una voce, vale a dire di qualcosa come una persona, un soggetto, che parla: e che con la sua enunciazione primaria fonda latto stesso di narrare, la narrazione. Non se ne scappa, a ben vedere: la torsione a cui sottoposto lo stesso cinema (unarte in cui non parla e non enuncia proprio nessuno, e anzi in cui latto primario dellespressione sembra affidato a una macchina) spinge i teorici a cercare anche al suo interno forme di enunciazione narrativa, in qualche misura vocalizzata. Spesso, vero, si confondono autore e narratore, e nel cinema enunciare non significa parlare; ma persino certi equivoci hanno un senso, nel momento in cui suggeriscono la personalizzazione, purchessia, del discorso. insomma difficile sbarazzarsi del feticcio del poeta che parla. In definitiva: quando Grard Genette e il suo allievo Jean-Marie Schaeffer, avendo ben presenti le idee di mile Benveniste, teorizzano lazione regolativa della narration quale manifestazione pragmatica di un atto enunciativo, perimetrano un dominio che non pu che apparirci saldissimo. Il dominio appunto di tutto ci che, dalla barzelletta allepos, dalla novella alla telenovela, dalle ballate popolari al romanzo davanguardia, chiamiamo narrativa. Purtroppo, non possibile affermare qualcosa del genere a proposito della poesia, delluniverso della poesia. Non in alcun modo teorizzabile lesistenza di una particolare enunciazione linguistica, nel campo poetico, omologa a quella garantita dalla narration e dal soggetto, dallenunciatore, che essa mobilita. In effetti, gi nella Poetica di Aristotele la pregiudiziale mimetica su cui lintero ragionamento si fonda (lidea che larte della parola innanzi tutto imiti le azioni degli uomini) mette la lirica in una posizione non chiarissima. E poi, e soprattutto, il fatto stesso che per lo meno fino al XVIII secolo buona parte dei generi della parola scritta fosse in versi ha impedito di cogliere leventuale specificit del discorso che noi oggi diciamo poetico. Quando con la metrica - per fare pochissimi esempi - si racconta (poema epico e poi cavalleresco), si scrivono trattati scientifici (poesia didattica), si rappresentano commedie e tragedie (anche con lausilio della musica) e si stigmatizzano i comportamenti umani (poesia satirica), evidente che la nozione di poesia risulta fortemente annacquata. Solo la nicchia della lirica, che costituisce una parte limitata del sistema, malgrado la sua straordinaria fortuna e il suo altissimo prestigio in particolare tra XII e XVI secolo (dai trovatori, dico, al petrarchismo), pu essere considerata poesia nellaccezione odierna. Vero che le cose con il Sette-Ottocento cambiano: e nasce la poesia cosiddetta moderna, che in effetti impone, o sembra imporre, un paradigma soggettivo (su cui ha detto cose molto importanti, in Italia, Guido Mazzoni; non senza per qualche schematismo), capace in buona sostanza di arrivare sino ai giorni nostri. E anzi, quando di crisi dellio o del soggetto poetico si discorre, ci si riferisce proprio a quellio che nella poesia moderna parla, che dice della propria irrelata esperienza di solitudine e di sradicamento sociale. Unesperienza in questo senso tanto pi notevole, in quanto la lirica per realizzare il suo progetto deve prosperare sopra i cadaveri degli altri tipi di poesia. E il principio critico (o tassonomico?) in qualche modo ancora oggi attuale che tutte le forme di 32

discorso in versi debbano essere considerate poesia, tendenzialmente lirica (al punto che, come noto, anche i vari tipi di canzone sono di frequente ricondotti al genere poetico). Certo, dovr riprendere il tema. Ma quello che mi preme rilevare - ripeto - che in questo quadro non cogliamo davvero nulla che possa definirsi in senso forte enunciazione poetica, io poetante capace di implicare la stessa forza pragmatica dellenunciazione narrativa. Lio che nomina se stesso in versi non fa scattare quel tipo di innervamento testuale che ci consente di riconoscere come tale un discorso narrativo, in modo sostanzialmente indipendente da luoghi e tradizioni storiche. Non esiste, voglio dire, lazione linguistica del poetare; laddove quella del narrare con ogni evidenza s. E questo significa, io credo, che, a dispetto dei tentativi di unificazione euristica, la tradizione occidentale, quando dice poesia, poesia lirica e simili, dice cose molte diverse, in realt estremamente intricate e contaminate; e la voce che da quelle tradizioni parla a ben vedere condensa una tale variet di soggetti da non potere in alcun modo suggerire un convincente denominatore comune. La prova pi evidente di questa ibridazione originaria labbiamo tutti sotto gli occhi. Basta infatti pensare che il primo grande contributo italiano alla lirica moderna, lopera di Giacomo Leopardi, fonda il suo modo pi fortunato di fare poesia, lidillio, sul compromesso tra unidea antica, greca, di esperienza poetica e unaltra, viceversa moderna, legata a un genere, appunto quello dellidillio, che rappresenta un momento centralissimo del gusto poetico sette-ottocentesco - una volta detto preromantico. E lidillio, come ci ha insegnato anche Bachtin, un genere narrativo . Quando leggete lInfinito, dunque, ascoltate un io che fa molte cose, ma che certo, e forse innanzi tutto, racconta. Non diversamente, i padri del romanticismo inglese, in particolare Wordsworth, realizzavano le proprie nuove soggettivit poetiche mediante lincontro con una tradizione narrativa peculiarmente britannica: quella della ballata, della ballad, che un genere popolare e anzi proprio di consumo (i testi stampati delle ballate si vendevano per strada in forma di broadsides, secondo procedure che anticipano quelle della moderna industria culturale). Appunto: Lyrical Ballads significa lincontro fra uneredit antica, classica, e qualcosa di popolare e moderno, e insieme di narrativo. Lio va raccontato, in definitiva, ad opera del discorso in versi: tale il messaggio della migliore poesia romantica inglese. Anche perch, in modo nientaffatto paradossale, sin dalle origini della poesia moderna quel particolare soggetto, impuro e instabile, poteva celebrare il proprio matrimonio anche con la parte ritenuta avversa. La forma prosastica della poesia, la poesia che nega il verso, che ne fa a meno, unopzione talmente diffusa del Settecento al Duemila da non aver bisogno di commenti. Se non uno, per quasi scontato: che le enunciazioni prosastiche (o comunque estranee al verso) di un discorso detto poetico finiscono spesso per fondarsi su un incremento degli aspetti in senso forte lirici del dettato, per incrementare la retorica e lenfasi dellenunciazione, in qualche modo per compensare la scomparsa della marca di riconoscibilit in teoria pi agevole: quella del verso, appunto. Il poetico insomma nasce dalla contaminazione di modalit enunciative e persino di forme diverse, dallinterazione di parecchie e non facilmente delimitabili azioni linguistiche (si pensi al ruolo che atti come il lamento, lelogio, il rimpianto, la palinodia ecc. svolgono nella poesia di ogni tempo), tra le quali comunque quella del narrare occupa una posizione assai importante, quasi quanto lo ladozione di una certa forma, quella versificata. Solo la particolare storia di ogni tradizione, e a volte di una microtradizione, pu permetterci di cogliere che cos poesia; solo il raggruppamento contingente delle molte componenti in gioco permette di individuare la fisionomia di soggetti poetici, individui lirici suscettibili di descrizione. E, in ogni caso, mai si tratter di locutori forti come sono quelli che parlano dai generi della narrazione strettamente intesa. 2. Se ci che ho appena detto ha un minimo di senso, mi pare che quanto oggi chiamiamo uscita dalla lirica, crisi del soggetto enunciativo della poesia, dellio poetico, debba essere ricond otto a due delle anime fondamentali che da credere - abitano librido da noi detto voce poetica. E il 33

partitivo in questione (due delle) deve essere preso alla lettera: affronter punti nodali, che tuttavia non esauriscono la possibile scaletta del discorso. La prima forma di cancellazione del soggetto nasce in concomitanza con il tentativo mallarmeano di abolire, a ben vedere per eccesso di amore, i fondamenti apparentemente basilari del discorso poetico: il verso e la lingua poetica che ad esso si accompagna. In effetti, tutti i simbolismi (in Italia, tipicamente, lermetismo) teorizzano lesistenza di un linguaggio o parola pi profondi, nascosti, radicati nellinconscio del poeta ma anche in qualche modo nellinconscio collettivo, capaci di dire un assoluto dei significati mediante un uso assoluto delle forme. La lingua suprema a cui pensa Mallarm quella cui faticosamente alludiamo quando con i nostri limitati strumenti cerchiamo di fare poesia. E allora perch non provare ad approssimarci sempre pi ad essa con strumenti nuovi, capaci di perfezionare gli antichi? Tutte le avanguardie, a partire appunto dai simbolismi, in vari modi spingono in questa direzione: lautonomia delle forme poetiche deve essere assecondata non solo riformando o rivo luzionando dallinterno leredit formale del passato (il verso, il sistema di convenzioni riconducibili alle tradizioni linguistiche nazionali), ma anche spiazzando il locutore, forzando la sparizione del soggetto, che finisce per essere parlato dai linguaggi stessi da lui praticati. Non sto dicendo nulla di nuovo: una parte notevolissima dei discorsi sulla poesia da molti decenni in qua si fonda su presupposti di questo genere. Semmai, andr distinto il paradigma in senso stretto simbolista, magico e antistorico, da quello avanguardista: che spesso radica le proprie strategie in unanalisi delle contraddizioni epocali e sociali, e concepisce le proprie manipolazioni come una risposta alle ferite del presente. (Con i suoi molti fenomeni di continuit rispetto alla stagione della neoavanguardia, lItalia poetica degli ultimi quarantanni ha dato prova di una capacit davvero notevole di tenere viva una certa idea di linguaggio di ricerca: e insomma che grandi vecchi come Sanguineti e Balestrini siano ancora maestri vivi e ascoltati, cosa che in questo senso non deve stupire.) Andr semmai dichiarato che il linguaggio macchina o, simbolisticamente, linguaggio miracolo cui certe esperienze vogliono giungere in realt comporta un evidentissimo compromess o con modalit enunciative non linguistiche: chess, figurative, cinematografiche, musicali, sulle quali peraltro da sempre la critica si interrogata. Poesie che si fanno visive come quadri, che praticano il montaggio, che si scompongono in fonemi cantabili... La morte di un certo tipo di soggetto in realt porta al dialogo con altre specie di soggettivit, mutuate da sistemi segnici diversi. Ma son cose risapute, dicevo. A me invece pare meno noto, per di importanza forse superiore, che negli ultimi quarantanni abbia agito anche una seconda forma di messa in mora dellio analizzata in Italia in particolare da Enrico Testa , che si confronta con la crisi di quanto di narrativo esisteva sin dalle origini nella poesia (lirica) moderna. Un particolare che, in effetti, un certo manicheismo nello studio dei generi letterari ha trascurato lesistenza sin dallOttocento di una peculiare sintassi narrativa della poesia: di un suo scorciatissimo modo di raccontare, che tuttavia segue proprie regole, pi esattamente si fonda su norme cangianti nel tempo, in grado comunque di costituire provvisorie tradizioni. Ora, il fatto interessante, individuato da Testa nella poesia di molti autori italiani dapprima di terza generazione, ma poi divenuto patrimonio comune nel corso degli anni (per lo meno presso una couche che potremmo definire non -avanguardistica), che il soggetto lirico -narrativo ereditato dalla grande tradizione del Moderno va con il tempo indebolendosi. Va allontanandosi sempre pi dalle convenzioni che lo avevano generato, per smarrire la propria autorevolezza, la propria capacit di ricondurre la pluralit degli eventi a un minimo di plausibile verit diegetica. Facciamo un esempio, peraltro a me caro: nella poesia di Sereni, da Stella variabile, intitolata Il poggio
Quel che di qui si vede - mi sentite? - dal belvedere di non ritorno - ombre di campagne scale naturali e che rigoglio

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di acque che lampi che fiammate di colori che tavole imbandite quanto di voi qui si vede e non sapete quanto pi ci state.

opera un io in effetti narrante, che per ha perso contatto con il contenuto del proprio racconto, poich sa di essere collocato in una dimensione (in senso propriamente fantascientifico) diversa rispetto a quella della realt che evoca con le proprie parole. Il mondo di chi parla e quello di chi parlato tendenzialmente si separano, e forse non sono pi in grado di comunicare. Alcuni tipi di spaesamento, tra laltro, sono enfatizzati dal rapporto con i grandi modelli novecenteschi privilegiato da certi autori. Spesso del tutto rovesciato il topos montaliano del dialogo con lAssente , la vittoria della poesia sulla lontananza fisica e sulla crisi storica. Adesso, le voci che la poesia restituisce sono il segno di una sconfitta comunicativa. In altri termini: c qualcuno che parla, la sua parola udibile, ma la trama che ne discende composta solo di equivoci, di atti linguistici che non giungono a compimento, che lasciano in sospeso il senso. Ovviamente, matura qui (penso, tra i moltissimi esempi possibili, in particolare alla poesia di Giudici e magari dellultimo Caproni) la lezione di Samuel Beckett. Lo spiazzamento delle attese spazio-temporali pertinenti diviene quasi la norma. Lesempio per certi versi pi stupefacente, e proprio per questo poco capito dalla critica, offerto dal modo in cui Raboni racconta la guerra nelle prime due parti del suo Versi guerrieri e amorosi. Allinizio, una prosa disegna un paradossale spazio intermedio (un mondo virtuale) tra il 1940 e il presente; poi raccontata in versi la storia damore odierna dellautore reale, in qualche modo viva e storicamente riconoscibile, ma insieme la sua trama viene trasferita al tempo della Seconda guerra mondiale. Ne discende una crasi di temi e tempi: per cui il presente passato, e il passato presente, in modo continuamente reversibile. Ecco, a me sembra che certi cortocircuiti enunciativi e tematici stiano configurando in molti poeti doggi un problema di voce. Levidentissima crisi della propriet delle parole (chi dice che cosa quando e dove?) sfrutta intelligentemente il peccato originale, se cos si pu dire, della poesia lirica. Il suo eclettismo non gerarchizzato, privo di quel collante pragmatico - la narration, dicevo - capace di dare coerenza anche al romanzo (che il genere pi discontinuo della tradizione occidentale), le permette oggi di praticare spericolati paradossi che trasformano il locutore poetico in un vero e proprio fantasma, un lemure che agisce pi come una virtualit che non come un soggetto. Molti, magari appoggiandosi alla poesia neo -civile di Eugenio De Signoribus, vedono in questi fenomeni anche e magari soprattutto un fatto costruttivo, suscettibile di sviluppi: lutopia di una parola spossessata che, proprio per il suo svuot amento, favorisce lincontro disponibile con laltro, con le comunit dei senza parola. Altri, pensando alla deriva nichilistica dellultimo Caproni (cantore in fondo delluniversale inconsistenza e inesistenza), potrebbero additare viceversa una specie di dittatoriale ed epigrammatico monologismo: una volta esaurito, per ingorgo di equivoci, laltro, cio luniverso delle terze persone (e forse anche del tu), un io sempre pi svuotato ribatte appunto beckettianamente sulle ultime e necessarie parole che gli sono rimaste... Si tratta di uno spazio, poetico e concettuale, su cui varrebbe certo la pena di dire parecchio altro. Magari per coglierne meglio gli evidenti legami con i media elettronici e digitali: con il cinema in particolare, ma anche con la canzone e Internet (si rifletta su quanto di frammentario attraversa molta poesia postmontaliana, quasi a realizzare autentici effetti di montaggio). In un momento come questo in cui la poesia troppo spesso si trasforma in unideologica Poesia senza pi c ontenuti - mero gesto valoriale che autorizza se stesso -, chiedersi quali confini siano stati messi in crisi unazione utilissima. Nel mondo delle ibridazioni coatte, chi da sempre gioca con gli ibridi della propria enunciazione probabile che molto possa suggerire, almeno a chi abbia la pazienza di ascoltare.

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ANDREA INGLESE PER UNA CRITICA TELESCOPICA: GENERE LIRICO E SFONDI ANTROPOLOGICI
Voglio proporre una serie di riflessioni non troppo sistematiche, che hanno per almeno due tratti in comune. Si tratta di riflessioni orientate a formulare domande intorno a prospettive di ricerca gi avviate, che possono interessare lattuale discorso critico sulla poesia italiana. E tali riflessioni pretendono di porsi ai margini del discorso critico o, pi precisamente, tra il discorso critico e qualcosaltro. Ora questa posizione di margine giustificata da due ragioni, una teorica e laltra personale. Condivido, innanzitutto, lidea di Fortini che lo scopo della critica consiste nella implicazione di vari ordini di conoscenze in occasione e a proposito della conoscenza di un oggetto letterario (1). Una critica quindi che, secondo la parafrasi che ne fa Mengaldo, si pone come mediatrice, ma non fra opera, o autore, e lettori (), bens () fra il senso dell a prima e quello che il critico crede sapere in generale della societ, realt, mondo (2). Ci significa che il raggio dazione del critico abbraccia, sul versante specialistico, la strumentazione tipica dellanalisi dei testi letterari, ma su di un altro versante, consapevolmente dilettantesco, esso si apre sul mare magnum dei discorsi non letterari. Quanto alla ragione personale, essa riguarda la volont di non indossare fino in fondo i panni del critico, a tal punto da far dimenticare (e da dimenticare io stesso) la mia esperienza di poeta. La riflessione del poeta e del critico vanno spesso nello stesso verso, ma anche, a volte, in direzioni opposte. Anche questo fenomeno, che pu presentarsi nella forma della contraddizione interna o in quella del conflitto tra istanze distinte, credo possa dire qualcosa ai critici-critici. (O solamente alludere allopportunit di percorrere la via del saggio, inteso come attivit fondata sulla coesistenza di pi usi del linguaggio, quello letterario o metaforico-simbolico, quello scientifico o univoco, quello etico, quello persuasivo, eccetera (3). I Nelle pagine introduttive allantologia Dopo la lirica (2005), Enrico Testa tratteggia lo sfondo culturale sul quale, a partire dagli anni ottanta, deve essere letta la pi recente produzione poetica. E scrive: Sul piano culturale, gli ultimi anni sono contraddistinti () soprattutto dalla marginalit della poesia nelluniverso del consumo e dalla progressiva riduzione del prestigio del discorso letterario, incapace di sincronizzarsi col ritmo vorticoso del mutamento del costume e del sentire (4). La marginalit del genere poesia sul mercato editoriale, e soprattutto nellambito della distribuzione e della stessa organizzazione delle librerie, pone certo un problema al critico, ma di carattere minore. Il critico attuale, se vuole lavorare in modo rigoroso nellambito della poesia contemporanea, deve dimenticare facili punti di riferimento editoriali, e costruirsi con pazienza una mappa delle pubblicazioni minori di poeti che spesso minori non sono. Oltre a ci, egli dovr prima o poi, visto che oggi ancora riluttante a farlo, prendere sul serio la circolazione in rete della poesia, e le differenti forme di dialogo, dibattito e riflessione, a cui essa sta dando luogo. (Per uno strano fenomeno, la poesia che sembrerebbe destinata a sparire dalle librerie, in quanto merce culturale indesiderata, non richiesta, vive intensamente in rete, in tutte le forme possibili, dalla scrittura amatoriale a quella pi accorta ed elitaria. Ci significa che, bench difficilmente quantificabili, e di certo ridotti rispetto a quelli della narrativa, i lettori di poesia sussistono.) La questione del prestigio del genere invece pi decisiva, e non credo si possa ridurre a un semplice fenomeno di sociologia della letteratura. Anzi, proprio la sociologia della letteratura pu 36

mostrarci lambiguit di tale fenomeno e la necessit di indagarlo anche sotto ottiche diverse. Se ci riferiamo al significato corrente del termine prestigio, possiamo con cludere che la poesia non gode pi, n presso il grande pubblico popolare n presso quello pi ristretto dei ceti maggiormente colti, di quellalta considerazione e rispetto, di cui godeva in tempi passati. Ci si pu limitare a trarre la conclusione che il gusto del pubblico cambiato e che la societ, nelle sue forme di vita materiali e spirituali, si evoluta cos velocemente da rendere obsoleto un determinato genere letterario, o la letteratura nel suo insieme. In realt un tale discorso ci spinge al di fuori dei confini della poesia e della storia delle opere poetiche per porci domande sullo statuto del genere in quanto forma simbolica . In tale prospettiva, il genere letterario acquista prestigio, in quanto svolge una determinata funzione sociale alli nterno di una cultura data. Il compito di chiarire come e in che senso un genere svolga una funzione sociale compito della teoria dei generi e della storia della cultura. Guido Mazzoni, nel saggio Sulla poesia moderna (2005), si principalmente occupato di definire il genere lirica moderna in termini di forma simbolica e, di conseguenza, in termini di egemonia e declino di tale forma allinterno della cultura occidentale degli ultimi due secoli. Questa apertura telescopica, attenta alle connessioni tra studi sulla lunga durata dei fenomeni letterari e studi dei modelli culturali, permette di indagare a fondo, e nello stesso ambito di problemi, i tratti paradigmatici della poesia moderna e le ragioni della sua progressiva irrilevanza culturale. Uno dei meriti maggiori dello studio di Mazzoni stato quello di porre la questione della lirica moderna non esclusivamente sullo sfondo delle estetiche romantiche e simboliste, ma di considerare questultime, a loro volta, come espressioni di un sistema di valori e idee pi vasto, ossia lindividualismo inteso come ideologia specifica della modernit. Ci implica connettere la riflessione intorno al fenomeno letterario a studi che riguardano il modello culturale in cui esso sinserisce. Mazzoni fa riferimento a punti di vista filosofici, come quello di Charles Taylor e alla sua capitale definizione di espressivismo, alla storia delle idee di Cristopher Lasch e al suo concetto di narcisismo, alla sociologa dellarte Nathalie Heinich e alla sua analisi sullo statuto della singolarit nel mondo artistico. Questo lavoro di connessione conduce a delle formulazioni sintetiche, capaci di cogliere pienamente il carattere problematico della forma simbolica in questione: La poesia degli ultimi due secoli, il genere che meglio di ogni altro incarna la componente narcisistica dellindividualismo moderno, anche un gigantesco sintomo storico: evidentemente una parte della cultura contemporanea d per scontato che si possa dire una verit universale chiudendosi in s. (5) Questo giudizio in gran parte condivisibile, ma tende a fornire una visione unilaterale del rapporto che lega la lirica moderna allindividualismo. Considerare la lirica esclusivamente come sintomo di una fondamentale contraddizione insita nellideologia individualistica porta a obliare tutto quanto, invece, nelle concrete realizzazioni poetiche tende a costruire un segno, una figurazione consapevole della contraddizione, un modo di abitarla in termini non esclusivamente negativi o mistificanti. Io stesso ho parlato, anche se con riferimento soprattutto al genere romanzesco, di tentazioni del solipsismo proprie alla letteratura moderna, cos come ho analizzato la mitologia dellinteriorit che costituisce non di rado il presupposto ideologico di certa p rassi poetica (6). Ma questultima, appunto, in quanto azione, sfugge sempre alle imposizioni astratte del progetto o della dottrina estetica. Il genere lirico, quindi, offre nelle sue varie e concrete manifestazioni itinerari che lo pongono al di fuori di un orizzonte esclusivamente egocentrico e narcisistico. E questo non accade solo nella scrittura di coloro che pretendono consapevolmente di sfuggire alle leggi del genere, elaborando strategie antimoderne o antiliriche. In una descrizione pi dettagliata dei tratti paradigmatici del genere lirico, Mazzoni osserva:

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Interrotte la catena sociale e la catena cronologica, lio regredisce a schemi di pensiero narcisistici, nega lalterit del mondo o lo riduce ad argomento di un breve monologo in prima persona. Forma simbolica di unepoca che ha concesso agli individui una libert senza precedenti, il nostro genere comunica, a un primo livello, lidea che la societ sia un insieme di monadi separate e immerse in un flusso di esperienze discontinuo. (7)

Qui a mio parere si rischia di misconoscere una delle caratteristiche fondamentali della lirica moderna in alcune della sue pi alte manifestazioni: ossia proprio la percezione, e la restituzione, dellalterit del mondo, della sua radicale estraneit ai criteri di comprensione e descrizione della mente umana. Ora, proprio lesperienza che rende possibile una tale percezione connessa con la condizione di singolarit del soggetto. Estraneit del mondo e singolarit radicale costituiscono le due facce di una stessa esperienza, o se vogliamo di una stessa postura mentale, che a sua volta nutre di s la scrittura poetica e trova in essa una sua peculiare espressione. Non casuale, allora, che proprio Paul Celan, uno dei poeti che pi radicalmente hanno interpretato nella seconda met del Novecento il paradigma della lirica moderna, ci offra unillustrazione del nesso estraneit del mondo/singolarit dellio che ho richiamato. Si tratta di un brano tratto dal discorso proferito il 22 ottobre 1960 in occasione del conferimento del Premio Bchner. Celan formula ad un certo punto una definizione della poesia in termini che ci suonano familiari: E allora il poema sarebbe () linguaggio, diventato figura, di un singolo individuo e, nella sua pi intima sostanza, presenza e imminenza (8). Poche frasi dopo, ci troviamo di fronte a queste osservazioni: Il poema tende a un Altro, esso ne ha bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore. Lo va cercando; e vi si dedica. Ogni oggetto, essere umano, per il poema che proteso ve rso lAltro, una figura di questo Altro. Lattenzione che il poema cerca di porre a quanto gli si fa incontro, il suo acutissimo senso del dettaglio, del profilo, della struttura, del colore, ma anche dei palpiti e delle allusioni, tutto questo io credo non la conquista di un occhio in gara (o in concomitanza) con apparecchiature ogni giorno pi perfette: piuttosto un concentrarsi avendo ben presenti tutte le nostre date. Lattenzione mi concedano di riportare qui, dal saggio su Kafka di Walter Benjamin, una frase di Malebranche , Lattenzione la preghiera spontanea dellanima. Il poema tra quali condizionamenti! diventa lopera di qualcuno che tuttavia continua a usare i sensi, rivolto a tutto quanto appare integrandolo, apostrofandolo; diventa colloquio spesso un colloquio disperato. (9) Prima di inoltrarmi in un commento alle parole di Celan, opportuno un chiarimento preliminare. La sua lingua in prosa altrettanto densa e ardua di quella poetica, nonostante appaia di primo acchito pi avvicinabile. Il filosofo francese Philippe Lacoue-Labarthe ha dedicato un saggio molto bello allintero discorso di Celan e lo ha inserito nel volume La posie comme exprience (10). Anche lanalisi di Lacue-Labarthe sincentra sulle nozioni di estraneo (unheimlich) e di straniero (fremd), legandole a quella di voce singolare. La sua prospettiva rimane per strettamente legata, per ragioni ovviamente anche filologiche, al pensiero tedesco e a quello heideggeriano in particolare. A me interessa, invece, seguire una pista antropologica, a costo di sacrificare una ricchezza di richiami semantici che possibile identificare tra la parola del poeta e quella del filosofo, nellambito della lingua tedesca. Non solo, ma voglio mostrare come la riflession e di Celan non debba per forza giustificare solamente gli esiti espressivi di estrema oscurit, che sono tipici della sua poesia. Strade diverse possono muovere dalla medesima intersezione di estraneit del mondo e singolarit dellio. La condizione di singolarit, di solitudine senza appartenenza, costituisce una soglia estrema dellidentit, che coincide idealmente con lazzeramento o la sospensione di tutti gli aspetti del nostro essere legati a degli status di carattere sociale. La massima presenza a s dellindividuo, per, piuttosto che favorire un ripiegamento sui propri ricordi e le proprie fantasticherie, tende a 38

intensificare la percezione di quanto esiste al di fuori dellio, nella realt circostante. E la facolt chiave di questa esperienza appunto lattenzione. Ma lattenzione non qui modellata su attitudini e posture pratiche, legate al vivere sociale e alle funzioni che in esso variamente assumiamo. Si tratta di unattenzione senza orientamento e oggetto predeterminato. Non neppure un mon do, nel senso di totalit organizzata, quello che viene in primo piano, ma un manifestarsi anarchico di dettagli, di profili e rilievi. E a questo risveglio percettivo si accompagna lesigenza di dire ci che appare. Ma non si tratta di descrizioni o cronache, ma di colloqui, invocazioni, apostrofi. Ci che si tratta di cogliere la particolare apertura del soggetto nei confronti del mondo, una volta che egli sperimenta la sua condizione di singolarit. La soglia che in tale esperienza emerge non quella tra lio e se stesso, in una sorta di ripiegamento riflessivo ed egocentrico, ma quella tra lindividuo come membro di un ordine sociale e culturale e lindividuo come singolo, ossia come escluso da quellordine e intruso in un mondo pre-sociale e pre-culturale, anteriore alla rete dei significati condivisi dalla collettivit. (Con il termine singolarit ci riferiamo ad un polo estremo allinterno di un ideale spettro di identificazione, di cui una societ dispone nei confronti di un individuo che ne membro. Al polo opposto vi la perfetta equivalenza. In altri termini, ogni individuo pu essere riconosciuto e identificato a partire da due punti di vista estremi ed antitetici. Secondo luno, ogni individuo non che un esemplare umano equivalente a qu alsiasi altro, e come tale sempre sostituibile, in quanto ci che conta la funzione che svolge. Secondo laltro, ogni individuo unico nel suo genere, e quindi incomparabile rispetto ad ogni altro, oltre che insostituibile.) Sia chiaro che questo disc orso non deve essere ricondotto allambito della psicologia, ma semmai a qualcosa che potremmo definire lorizzonte trascendentale dellesperienza lirica nel mondo moderno. Ma neppure questa definizione esente da fraintendimenti. La derivazione di tale concetto dalla tradizione della fenomenologia husserliana potrebbe suggerire che sia possibile accedere alla struttura di una tale esperienza, indipendentemente dal testo poetico che ne costituisce lespressione. In realt, lesperienza non scindibile dalla sua espressione, cos come lipotesi di una sua configurazione trascendentale non verificabile che sul piano dei concreti e singolari esiti espressivi che ne costituiscono il compimento. Quello che insomma non dobbiamo fare considerare gli stati di coscienza come entit indipendenti dalle pratiche specifiche in cui essi vengono alla luce e producono senso. Tale precisazione permette di comprendere perch lesperienza di cui Celan ci ha parlato non sia una prerogativa del poeta. Noi possiamo rintrac ciarla in contesti diversi, come quello filosofico. Ma intrecciata alla pratica filosofica, una tale esperienza avr esiti espressivi e assumer valori semantici diversi. La descrizione di alcune esperienze fondamentali da parte di Heidegger, di Sartre, di Lvinas o di altri pensatori, mostra come la pratica filosofica si serva anchessa di esperienze incentrate sull esteriorit e sullestraneit nei confronti delluniverso sociale e culturale. Il terreno retorico che valorizza e orienta tali esperienze per quello della riflessione sullessere o sulle sue categorie. Insomma, se esiste una soglia che ci separa dai nostri ruoli e dispositivi sociali, inoltrandoci in una zona di inusuale coincidenza con noi stessi nella forma della singolarit, essa pu essere varcata provenendo da o ritornando verso pratiche diverse. Ma affinch vi sia attribuzione di senso e lavoro espressivo, lesperienza di cui abbiamo parlato deve prevedere un ritorno, ossia specifiche modalit di valorizzazione e recupero, che siano esse filosofiche, artistiche o letterarie. Pi in generale, questo discorso potrebbe svilupparsi in direzione di unantropologia sociale, che per via comparativa sappia confrontare forme simboliche che appartengono a societ molto diverse e lontane nel tempo. Il rapporto tra estraneit del mondo/singolarit dellio, che abbiamo riscontrato nellesperienza tipica della lirica moderna, potrebbe essere indagato in societ tradizionali e non individualistiche attraverso alcune esperienze legate al rito della festa (11). Determinate soglie dellesperienza umana sono rintracciabili in mondi culturali molto diversi, e di conseguenza il 39

significato che ad esse viene attribuito muta. Ci non ci impedisce, per, di riconoscere lesistenza di certe invarianti di carattere antropologico e di inserire studi letterari di lunga durata in una tale ottica. Torniamo ora a Celan e alla lettura che ho dato delle sue parole. Un ulteriore elemento di conferma, ci pu essere offerto dalla considerazione di due testi poetici. Ho scelto testi di due autori contemporanei, ma di et diverse e di lingue diverse. Il primo di Charles Simic, poeta di lingua inglese, nato a Belgrado e stabilitosi negli Stati Uniti; il secondo di Durs Grnbein, poeta tedesco. Leggiamo Un muro di Simic, presente nella raccolta Charons cosmology del 1977:
Questa la sola immagine che ne salta fuori. Un muro tutto solo, illuminato male, invitante, ma nessun senso della stanza, nemmeno un cenno del perch ricordo cos poco e tanto chiaramente: la mosca che osservavo le sue ali in dettaglio di un lucente turchese. Le zampe che, con mio divertimento, seguono una minuscola crepa leternit intorno a quel semplice evento. E nientaltro; e nessun luogo a cui tornare; e nessun altro, per quanto ne so, da controllare. (12)

Colui che parla appare solo, isolato, concentrato su se stesso: parla non di cose, ma di immagini, almeno nei due versi desordio. E quando il legame tra immagine e cosa viene stabilito, un muro che ci viene presentato, ossia un elemento separatore. Come dobbiamo interpretare, allora, ci che segue: le descrizioni e le riflessioni della voce poetante? Ci conducono nella zona oscura e regressiva del narcisismo, nelle immagini sregolate della fantasticheria privata, nellegocentrica concentrazion e intorno alla propria persona? No, ma neppure ci conducono verso la storia e le vicende umane. Siamo portati ad evocare un muro male illuminato, come tagliato fuori dal suo contesto architettonico, e su questo muro spiccano le ali di una mosca e la minuscola crepa su cui essa si muove. La figurazione costruita intorno ad unattenzione per il dettaglio, che nel contempo permette di cancellare ogni secondo piano e sfondo. Come dobbiamo considerare questa grigia triade di oggetti, il muro -mosca-crepa? Fungono nuovamente, come dice Mengaldo riguardo al correlativo oggettivo di Eliot e Montale, da araldici emblemi mentali, e sono abbandonati a una frammentariet e aleatoriet che riflette il decentramento del soggetto (13)? Se gli oggetti diventano emblemi mentali, ossia sono pretesto o supporto esteriore di significati interiori, allora non cosi che dobbiamo leggere il muro -mosca-crepa di Simic. Penso, ad esempio, a questi tre versi di Montale, tratti da Vasca (Ossi di seppia): Alcuno di noi tir un ciottolo / che ruppe la testa lucente / le molli parvenze sinfransero. Qui in effetti abbiamo una specifica variante dellegocentrismo lirico. Lio poetante, in effetti, possiede una certa dottrina sul mondo e nel flusso fenomenico predilige e trasceglie quegli eventi che di quella dottrina sono immagine, simbolo, emblema. La triade montaliana sasso -specchio dacqua-riflessi costruita secondo la logica di una favola filosofica, ossia di un sistema di significati che appartengono allio e 40

anzi ne definiscono il punto di vista sul mondo. Certo, in Montale il riassorbimento centripeto del mondo costantemente esposto al movimento inverso, centrifugo, di aderenza alla nuda esteriorit delle cose. Ma il lavoro poetico si costruisce proprio a partire da questo rischio, e la sfida accettata con la consapevolezza di imporre il proprio ordine mentale al caos fenomenico. In Simic prevale la nuda esteriorit del mondo al di fuori di ogni possibile figurazione emblematica. La mente trova nellesterno il suo limite. Ma poich la mente individuale sempre espressione di una mente sociale, portandosi dietro significati condivisi, ad arrestarsi alla superficie del muro lintera sfera dellumano, che quel muro ha da sempre inserito in una rete di relazioni e f unzioni. O, in altri termini, il muro si sganciato, fuoriuscito dalla mente sociale, dalla mappa di suoi saperi e di sue pratiche, e fronteggia lio poetante rinviandolo alla sua momentanea singolarit e inappartenenza. In realt il medesimo movimento pu essere visto in una duplice prospettiva: o lindividuo che, accedendo alla sua condizione di singolarit, scivola fuori dalla mente sociale, oppure sono gli oggetti che, affiorando come la radice sartriana, neutralizzano le coordinate di significazione usuali e comuni. Ma allinterno di questo regime di estraneit, si apre lo spazio per quello che Celan chiamava il colloquio, ossia la reiterata prova della nominazione e dellevocazione. Si tratta di una vera prova, di un cimento, poich noi nominiamo dabitudine le cose che non vediamo. Ora che invece le vediamo in bilico tra una massima prossimit e una massima lontananza, nella loro mostruosa e mirabile corporeit, non abbiamo le parole per nominarle e descriverle. E la vicenda della poesia non coincide con una compiuta nominazione, ma con una figurazione, ossia con la costruzione di un evento complesso. questevento, nel suo insieme, nella sua struttura retorica, ritmica e lessicale, che corrisponde alla nominazione delle cose. (E sintenda il termine corrispondere nel senso di contraccambiare, e non certo nel senso di rappresentare, somigliare a, eccetera. Ad un evento di visione io faccio corrispondere rispondo con un evento di dizione.) Nella chiusa la voce poetante, dopo aver indugiato sulla triade oggettuale, torna a soffermarsi sul soggetto, tentando di collocarlo in rapporto ai rilievi di mondo precedentemente emersi. Ma lesperienza dellestraneit non consente n rimandi metonimici, in grado di ricostruire una catena di oggetti e situazioni, n permette un ritorno verso una qualche patria interiore (And nothing else; and nowhere / To go back to;). Similmente, non vi sono rimandi ad esseri umani o viventi, di cui si tratterebbe di controllare o indagare la presenza o la stori a (And no one else / As far as I know to verify.). Non vi sono quindi ritorni possibili n sul fronte degli strumenti umani n su quello delle vicende umane. I dettagli rimangono sospesi e chiusi, uguali a loro stessi, senza dare adito a slanci verso ulteriori significazioni. Non si lasciano insomma integrare in nessun sistema, che sia quello delle riflessioni morali o delle visioni idiosincratiche. Leggiamo ora il testo di Durs Grnbein, tratto dalla raccolta del 1994 Falten und Fallen:
Questi gesti sono insensati, eppure uno stupore li tiene desti. Furia e minacce contro una mosca, rigido rispetto a capo chino ai morti e tutti i cenni e saluti a far dolce le prigionie solitarie: volendo divertente, o decoroso. Ma davanti allinerzia delle nuvole diventa tutto assurdo. Nessuno vede il clown mentre singanna. Hanno un colpo di sonno i testimoni, gli sfuggito un battere di palpebra, segni di dita divaricate, quando furbizia nel viavai dindizi scioglie la lingua. (14)

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La furia delle giustapposizioni di Grnbein, che agisce contro il principio di riconduzione alluno tipico dellanalogia, pone il lettore sempre di fronte a una tendenziale entropia delle immagini, senza che sia sempre possibile ricondurle ad una ben determinata logica interna. Ci nonostante riscontrabile nella prima parte del componimento quel movimento tra lio e il mondo che abbiamo gi visto in Simic. Per certi versi, esso appare ancora pi esplicito in questo testo. I gesti quotidiani, dal pi banale e istintivo lo scacciare la mosca al pi rituale e impersonale linchino nei confronti dei defunti sono resi assurdi dallinerzia delle nuvole. Larmatura delle consuetudini, ci che sorregge la nostra persona e le fornisce la propria coesione fatta di riflessi istintivi e gesti convenzionali, viene percepita nella sua radicale infondatezza e gratuit attraverso lintrusione del mondo, sotto forma di inerzia delle nuvole. Rovesciando gli attributi che una solida tradizione letteraria ha attribuito alla nuvola, emblema di leggerezza e soavit, Grnbein ce la presenta come lelemento morto, inassimilabile, definitivamente esteriore alla rete di abitudini che costituiscono il cosmo interiore della persona. Ma anche qui lirruzione del mondo nella sua esteriorit si accompagna alla condizione di singolarit dellindividuo. Una distanza interna si pone tra lio ed i propri ruoli, ed ci che ricorda la figura del clown intento allautoinganno. Il singolo, in quanto individuo sciolto e irrelato, non in realt nessuno. solo attraverso la recita sociale che pu assumere unidentit e divenire qualcuno. La chiusa della poesia, con quel riferimento a List che significa s furbizia ma anche stratagemma , induce a pensare ad un ritorno su di s del clown, ad un sopravvenire della finzione usuale che ristabilisce il fluire del discorso, ossia quel d ire senza vedere, quel dire per indizi e continui rimandi, laddove la visione della nuvola ha, in precedenza, imposto un momentaneo silenzio. II importante richiamare ora la questione da cui siamo partiti. Quale funzione universale pu avere un genere letterario che tende allespressione di una voce singolare? Com possibile che lespressione della singolarit possa interessare una molteplicit di esseri umani? Il primo passo in direzione di una riposta consistito nel mostrare come la condizione di singolarit non sfoci necessariamente nel ripiegamento solipsistico o narcisistico del s, ma al contrario conduca ad un incontro con il mondo nella sua radicale esteriorit. Questa constatazione, per altro, impone di ripensare meno unilateralmente il paradigma della lirica moderna, evitando cos di ampliare sempre di pi linventario delle eccezioni, dei controesempi, dei percorsi apparentemente secondari e divergenti. Andrebbe piuttosto riconosciuto che il paradigma stesso ad essere ambivalente, in quanto implica fin da subito una possibilit centrifuga oltre che centripeta, cos come le ragioni dellesteriorit oltre che quelle dellinteriorit, tenendo fissa comunque la condizione di singolarit dellindividuo. Per questo motivo, allora, la poesia di un autore come Francis Ponge non dovrebbe essere considerata come unanomalia, ma semmai come la forma pi tipica della lirica moderna, almeno nella sua accezione centrifuga. Consideriamo, ad esempio, queste righe tratte dagli scritti preparatori del componimento Il fico secco: Non so che cosa sia la poesia, ma so abbastanza bene che cos un fico (15). In un passo successivo, contenuto nel volume intitolato Come e perch un fico di parole, Ponge approfondisce proprio il rapporto tra scrittura ed esteriorit:
C nelluomo una facolt (non precisamente riconosciuta come tale) di cogliere che una cosa esiste proprio perch sar sempre non del tutto riducibile alla propria mente. () Che cos levidenza? la qualit di ci che so di ignorare e che ignorer sempre, la qualit di ci di cui dispera la mia mente e di cui il mio corpo sperimenta, ad ogni incontro, la meravigliosa e singolare, la singolare irriducibilit alla mente. Linquietante [cos dicono forse, ma no, per me piuttosto rassicurante (che d fiducia)] irriducibilit alla conoscenza (alla definizione). (16)

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Alcune pagine dopo, troviamo questa variante: Il riconoscimento (e lamore e la glorificazione) di questa esistenza delle cose (o anche degli esseri) cos varia, inattesa, imprevedibile, sacra (forse), indicibile (no, non indicibile), questa la funzione superiore della poesia: la cosa pi naturale del mondo (17). Ponge dunque esplicito: la dimensione natural e della poesia, di quellesperienza di scrittura che la poesia, implica un confronto con lesteriorit, ossia con lopacit materiale del mondo, opacit che mistero, residuo inconoscibile, privo di senso, inassimilabile a qualsiasi sistema umano di idee e valori. Ci detto, Ponge rifiuta di optare per atteggiamenti estremi: alla via mistica, del silenzio, a quella centripeta, della pronuncia oscura, egli antepone quella materialista e gioiosa, che fa leva sul corpo, sulle sue capacit di godimento, sulle sue sotterranee fratellanze con la carne del mondo. Il percorso da lui prediletto quello che va dallevidenza delloggetto, che coincide con il momento di massima estraneit, alla penetrazione nel linguaggio, come stratagemma per familiarizzarsi (in modo relativo) con loggetto. In altri termini, volendo semplificare, Ponge lavora a partire dallestraneit del mondo, ma non ne rimane ipnotizzato, n pare subire i disorientamenti pi radicali legati alla condizione di singolarit. Egli possiede una fiducia nel linguaggio ordinario e nel proprio corpo, che assai rara presso i maggiori poeti del Novecento. Ma tale fiducia nasce da un presupposto chiaro e radicale: il linguaggio non pu dire mai la verit sul mondo, n condurre ad un piena conoscenza di esso. Labisso tra nome e cosa assodato, e proprio per questo controproducente linsistenza e lenfasi con cui viene ogni volta rievocato. Quello che pi conta, allora, il compromesso che il lavoro poetico pu realizzare tra la familiarit della lingua duso e lestraneit degli oggetti esistenti. (Come scrive Ponge stesso, si tratta pi che di una conoscenza, di unassimilazione (18).) Quanto detto finora chiarisce perch la tentazione dellidioma radicale (19), che attraversa lintera produzione poetica di un Celan, sia in Ponge fin da subito neutralizzata. Questo passaggio per Ponge, mi permette di toccare un altro tema importante, quello della contiguit tra esperienza mistica ed esperienza poetica. Vale qui quanto detto in precedenza sulla contiguit tra una certa esperienza filosofica ed una certa esperienza poetica. Comparativamente, possiamo renderci conto che pratiche culturali diverse riposano su condizioni antropologiche fondamentali e comuni. Questa constatazione ha senso, per, nella prospettiva di una descrizione e comprensione delle differenze piuttosto che in quella di una teoria dellidentit. Neppure una critica della poesia telescopica, ossia interessata agli sfondi antropologici del genere, deve per forza affidarsi ad una teoria del soggetto umano, da cui dedurre svariate manifestazioni particolari. sufficiente riconoscere che lumanit si manifesta secondo differenti aspetti a partire da pratiche culturali diverse. quindi solo dalla descrizione e dal confronto di tali pratiche possiamo costruire una fisionomia multiforme dellessere umano, e rintracciare eventuali parentele, contiguit, ecc. Sui rapporti tra mistica pre-moderna e poesia moderna, Giorgio Agamben scriveva in un saggio introduttivo alle poesie di Juan de la Cruz:
la poesia moderna (cio dalla prima rivoluzione industriale in poi) andata frettolosamente percorrendo a ritroso lavventuroso cammino che aveva portato, attraverso un secolare processo di laicizzazione, dal rituale alla letteratura. Essa si cos posta con sempre maggior rigore come il luogo privilegiato, se non unico, dellesperienza teofanica dellAssoluto, giungendo a concepire se stessa come una tecnica per produrre epifanie, secondo la formula che Pound doveva compendiare nel modo pi preciso scrivendo che la grande arte serve a suscitare o a creare estasi. (20)

La riflessione di Agamben per certi versi incontestabile, ma forse andrebbe riformulata in maniera un po diversa. Oggi forse necessario chiedersi dove quel percorso a ritroso, di ri sacralizzazione dellesperienza letteraria, si sia fermato. Certo, necessario rintracciare le vestigia del sacro e del rito nella pratica poetica, cos come lombra della divinit e dellassoluto nelle estasi o epifanie 43

liriche, ma non ci si pu arrestar e ad una constatazione semplicemente negativa. Constatazione che invece Agamben sembra far sua, quando scrive che:
le labili epifanie alla cui evocazione il poeta moderno affida il proprio mestiere e la propria salvezza, sono cos () scongiurazione di un Inafferrabile () che si dissolve nellistante stesso in cui si mostra, nella disperata coscienza che lepifania poetica non ha in ultimo altro contenuto allinfuori di se stessa e del proprio inevitabile naufragio. (21)

Per Agamben, quindi, la poesia moderna si riduce ad una sorta di esperienza mistica amputata della sua correlativa e fondamentale teologia positiva. Di certo, per lungo tempo, lombra di questa teologia assente ha giocato un ruolo importante, in negativo, nellorganizzazione del paradigma lirico. In questottica, la scrittura poetica consiste nella raccolta delle tracce del divino, ossia di tutto quanto, nellesperienza profana, si presta a suggerire un altrove di senso, di verit, di essere, che non mai definitivamente avvicinabile per via dottrinaria e religiosa. (La parola poetica sopraggiunge dopo, quando i riti collettivi sono estinti, e cos il coro e la preghiera sprofondano nel silenzio. Essa destinata quindi, almeno in un primo momento, a constatare lassenza degli dei, ma rimanendo rivolta ad essi e attingendo la propria consistenza sonora dal loro silenzio. Lepifania lirica dunque una teofania inficiata da un effetto di definitivo e irrimediabile ritardo.) Eppure la posizione di un Ponge mostra la possibilit di una configurazione inedita di questo medesimo paradigma. Piuttosto che ripercorre a ritroso il processo di disincantamento del mondo, costituendo una sfera privilegiata la poesia lirica attraverso il recupero estetico di elementi sempre pi avulsi e frammentari che provengono da unormai remota esperienza del sacro, la poesia pu riconoscere, in assenza di teologie di riferimento, e quindi in assenza di fedi e credenze religiose, una forma ineliminabile di sacro. E lo pu fare in una prospettiva pienamente atea e materialista. Sacro, in questo senso, semplicemente lesistente, tutto ci che esiste, presentandosi nellevidenza di cui parla Ponge. Ma lesistente visto sotto il profilo della sua anteriorit non solo alla coscienza individuale, ma alla mente umana e alla sua rete di significati storici. Non pi necessario al poeta ricondurre questa esperienza ad un sistema mitico-rituale di carattere religioso, come accadeva nelle civilt pre-moderne. Neppure deve egli eternamente vivere nella nostalgia di tali sistemi. Che egli sia credente o meno, lesperienza dellanteriorit del mondo certo imparentata con le antiche esperienze del sacro. Solo che a differenza di queste, essa non riconducibile a forme di codificazione religiosa. (Neppure pu essere riassorbita, per, dalle codificazioni di tipo scientifico, che implicano mediazioni ben pi complesse di quelle offerte dalla dottrine teologiche.) E ci non il semplice sintomo di un assenza del divino, ma semmai una forma integralmente atea di percepire la sacralit del mondo. Qui il termine sacro dovrebbe cessare di identificare lambito di manifestazione di una qualche entit sovrannaturale, pi o meno antropomorfa, per definire tutto ci che percepibile come inassimilabile alla conoscenza umana, gratuito, infondato, al di fuori dei giochi di significazione, tremendamente estraneo, mirabilmente evidente. Questo sacro, per, per come percepito dal poeta, non pu sfuggire alle forme di codificazione religiosa solo per essere riassorbito poi in forme di codificazione filosofica. Levidenza di un filo derba se non si presta pi ad essere ricondotta ad un regime di senso legato al mondo creaturale, della creazione divina, ecc., neppure diventa lanticamera dellessere, o di qualche differenza ontol ogica di marca heideggeriana. Il filo derba, percepito nella prospettiva del sacro puramente poetico (non teologico n metafisico), finisce con il corrispondere alla sua ingiustificabile tautologia linguistica: il filo derba il filo derba. La tautol ogia, si ricordi la lezione del Tractatus di Wittgenstein, non unimmagine della realt, ossia non sta in alcuna relazione di rappresentazione con la realt. Essendo una proposizione priva di senso, la tautologia costituisce lequivalente linguistico di unesperienza dellestraneit radicale delloggetto. In tali circostanze, infatti, loggetto non rinvia n assomiglia a nulla, avendo perso di senso e di funzione. A partire da questa esperienza limite, il poeta pu lavorare per fornire una sua codificazione fragile e aperta di tale anteriorit del mondo alla mente umana. 44

Da qui si potrebbero avviare diversi e importanti filoni di ricerca. Non mi per possibile svilupparli ora, e mi limiter quindi a farne cenno. Tutta la riflessione sui caratteri antimimetici della poesia, che oggi continua ad essere trattata validamente da certi poeti (22), potrebbe acquistare ancor pi chiarezza, se si desse maggior spazio alla descrizione di specifiche forme di esperienza, oltre che ai procedimenti attraverso i quali il poeta giunge a distanziarsi dalla lingua duso e dalla lingua letteraria. Certo, lesperienza intrecciata ad una pratica di scrittura, cos come la sua dimensione passiva (levidenza dellesteriorit del mondo) complementare alla dimensione attiva, inerente al lavoro plastico, di figurazione linguistica. Ma questa distinzione non irrilevante. Essa ci permette di indicare unulteriore pista, quella relativa agli stati di coscienza. Il sacro che si manifesta nellesperienza poetica connesso ad una percezione intensificata del reale. (Riemerge qui il doppio binario, mai perfettamente sovrapponibile e coincidente, tra vedere e dire.) Il filo derba finalmente visto mostruoso, incollocabile, troppo, e simpone con linvadenza e linesauribilit di quei dettagli che si manifestano in certi stati alterati di coscienza a seguito dingestione di droghe o di pratiche spirituali specifiche. Il legame tra esperienza poetica, stati di coscienza, ed uso di droghe o esercizi spirituali specifici, tuttal tro che secondario per una critica che esplori i fondi antropologici del genere lirico (23). Il terzo punto che voglio segnalare quello relativo alla pratica poetica come pratica sociale sui generis nella quale si manifestano e celebrano peculiari modelli di soggettivit. Un individuo che impara a percepire la sua condizione di singolarit come lannuncio ogni volta rinnovato del mondo, nella sua totalit ingiustificabile e abnorme, di dono e maledizione, un individuo che istituisce, nel contempo, la sacralit della sua unica vita, o in altri termini, la percezione della nuda vita come opera darte. Ma lidentificazione tra vita e opera darte non avviene qui allinsegna del dandismo baudeleriano, che plasma stoicamente il proprio destino fin negli ultimi dettagli del vestiario. Siamo piuttosto prossimi alla visione di un Marcel Duchamp, che in unintervista affermava: Quindi, volendo, la mia arte sarebbe quella di vivere; ogni secondo, ogni respiro unopera che non iscritta da nessuna parte, che non n visuale n cerebrale. una sorta di euforia costante (24). Ci che larte sacralizza il carattere irripetibile degli istanti di ununica vita. Questo atteggiamento non ha nulla di banale, in quanto implica che lindividuo abbia accesso alla sua condizione di singolarit, si percepisca cio come unico e inconfondibile, senza aderire ad unidentit sovraindividuale n proiettarsi in una qualche forma di sopravvivenza dopo la morte. Solo cos egli in grado di realizzare una sorta di conversione spirituale, che gli permetta di concepire ogni istante della sua vita come un evento irripetibile. Una tale esperienza, nella vita comune delle persone, costantemente minimizzata se non programmaticamente occultata. La nostra identit costituita da un sovrapporsi di ruoli, e ad ognuno di questi ruoli corrispondono delle attitudini, degli schemi comportamentali, degli intrecci narrativi. Senza questo tessuto di narrazioni e questarmatura di schemi, patiremmo una costante e vertiginosa angoscia ogniqualvolt a fossimo costretti ad agire. La ripetibilit degli atti e dei significati costituisce limpalcatura del nostro vivere sociale, al di fuori della quale si apre un territorio disorientante e rischioso, minacciato dalla follia. E daltra parte, questo stes so territorio che pu essere percorso alla ricerca della singolarit dellunica vita e di ognuno dei suoi istanti. III Il destino della lirica moderna sembra indicare, dunque, unaltra via rispetto a quella incentrata sulla contraddizione dissolutiva tra spinte narcisistiche ed egocentriche, da un lato, e pretese alluniversalit, dallaltro. Universale, nelle societ individualistiche, la possibilit di accedere alla condizione di singolarit. Condizione ambigua e ambivalente, che pu essere variamente investita di senso e produrre euforia o, al contrario, profondi stati di angoscia se non addirittura rischi di disintegrazione dellidentit. Ma questa condizione permette anche un recupero, in una forma risolutamente atea, di un sacro inteso come soglia tra luniverso delle significazioni sociali e il suo fuori, il suo altro enigmatico e abnorme. Di questa articolazione tra estraneit del mondo e 45

singolarit dellio, il genere lirico ha costituito una delle sue esperienze privilegiate, facendo di essa il punto di passaggio cruciale per una lavoro di tipo espressivo compiuto attraverso la parola. La lirica moderna ha espresso per il semplice fatto di esistere una forte critica nei confronti delle forme di vita della societ borghese e capitalista. Di fronte a tutti i rischi connessi ai processi di burocratizzazione, omologazione, e controllo sociale, la poesia ha salvaguardato la condizione di singolarit come una sorgente fondamentale di valore e di senso. ( poi caratteristico della poesia, e della sua dimensione critica, che questa dinamica di valorizzazione del singolo si realizzi passando per una catastrofe dei significati sociali e condivisi.) Per questo mi pare tuttora pertinente, la concezione sostenuta da Auden in un saggio intitolato Il poeta e la polis:
Lo stile caratteristico della poesia moderna un tono intimo di voce, proprio di chi parla a tu per tu, e non gi rivolgendosi a un pubblico vasto: ogni volta che un poeta moderno alza la voce, suona falso. E il suo eroe caratteristico non il granduomo, o il ribelle romantico, entrambi autori di gesta straordinarie: luomo o la donna che in una qualunque situazione della vita, a dispetto di tutte le anonime pressioni della societ moderna, riesce ad acquisire e a conservare unindividualit. (25)

Questa esigenza di salvaguardare lindividualit tanto pi evidente in quanto correlata ad una fase specifica dellorganizzazione capitalistica del lavoro, quella taylorista. Marginale o meno rispetto ad altri generi letterari, la poesia post-romantica di cui ci parla Auden mantiene salda una sua funzione sociale almeno fin nella seconda met del secolo scorso. Essa infatti incarna una preoccupazione generale nei confronti di una triplice minaccia che il capitalismo nella sua versione taylorista presenta soprattutto tra gli anni Trenta e gli anni Sessanta: la minaccia della produzione standardizzata di oggetti (la scomparsa delloggetto singolare), la minaccia della massificazione degli esseri umani (la scomparsa dellapporto individuale nei processi lavorativi) e la minaccia della massificazione del pensiero (scomparsa delle opinioni divergenti e di minoranza). La forma poetica, dunque, in quanto ricerca di una frase singolare che corrisponda ad un evento singolare, possiede una sua ragion dessere politica, nonostante i suoi oggetti e temi siano prevalentemente impolitici. Poich, come Auden ci ricorda, nella sfera dellattenzione poetica entrano non le grandi verit n i gesti dimportanza pubblica, ma fatti socialmente invisibili, marg inali, o irrilevanti (26). la forma dellenunciazione poetica, caratterizzata come proveniente da una voce singolare, ad essere determinante in unottica politica. Per questo motivo, Auden conclude il suo saggio con queste parole:
Nella nostra epoca, anche la mera esecuzione di unopera darte di per se stessa azione politica. Finch esisteranno artisti dediti a fare quel che par loro o che ritengono di dover fare, anche se non niente di eccezionale e interessa solo un ristretto gruppo di persone, il governo trover in loro chi gli ricorda ci che ai governanti necessario ricordare, e cio che i governati sono persone con un volto, non numeri senza identit, e che lhomo laborans anche homo ludens. (27)

Ora, posto che il nemico dellidentit indi viduale nelle democrazie capitalistiche del dopoguerra meno il governante che il detentore del potere economico, rimane da chiedersi se la rivendicazione della singolarit e dellhomo ludens sia da considerarsi ancora oggi come una forma di critica efficace. quanto si chiedono anche i sociologi Luc Boltanski e ve Chiapello in uno studio importante dedicato ai nuovi discorsi di legittimazione del capitalismo, nella sua fase pi recente e prospera. In Le nouvel esprit du capitalisme , i due autori sostengono che la riposta del capitalismo alle esigenze di autenticit di cui la lirica moderna senza dubbio una delle massime espressioni in campo artistico stata quella di recuperarle, rispondendo ad esse nella forma della mercificazione. In altri termini, la produzione nel corso degli anni Ottanta e Novanta, ha creato un mercato di beni differenziati ed autentici, ma ha anche invaso aspetti della vita rimasti fino ad 46

allora al di fuori della sfera commerciale. In sintesi, affermano Boltanski e Chiapel lo: Lofferta di beni e di relazioni umane autentiche in forma di merci era la sola possibilit di rispondere alla domanda dautenticit compatibile con lesigenza di accumulazione (28). opportuno a questo punto ritornare alla questione da cui ha presso le mosse la nostra riflessione. La perdita di prestigio del genere poetico in qualche modo legata al modo in cui il capitalismo ha accolto e trasformato in nuove merci le domande di autenticit? La richiesta di riconoscimento dellindividualit delle p ersone e della singolarit di certe esperienze ha trovato una provvisoria risposta in qualcosa di pi accessibile e di pi soddisfacente, almeno in tempi brevi, rispetto ai modelli di soggettivit proposti dai poeti e rispetto alle esperienze suscitate dalle loro opere? Mazzoni, nel sua saggio, lega la perdita di prestigio del genere lirico allemergere di un nuovo pubblico che possiede un capitale culturale non molto diverso da quello dei lettori di poesie e che si riconosce in unantropologia lirica diversa (29). Lantropologia lirica a cui pensa Mazzoni quella della canzone rock e pop, che crea dei soggetti lirici in grado di distinguersi da quelli poetici per due elementi essenziali: il rapporto con una cultura di nuovo tipo e la consapevolezza di possedere un solidissimo mandato sociale (30). Eppure questi soggetti lirici godono di grande popolarit in quanto riescono, attraverso un sistema di mediazioni assai articolato come quello dellindustria discografica, a produrre singolarit nella forma della merce (dal prodotto discografico, al video musicale, al concerto, ai vari gadget). E in questo processo di mercificazione, come lo stesso Mazzoni ricorda: limmagine stereotipata del poeta romantico, improponibile nellambito della letteratura colta, ricompare nelluniverso del rock (31). Ma va allora riconosciuto che proprio attraverso la musica rock che si generalizza un modello di soggettivit nato originariamente nellambito della lirica moderna. (E daltra parte alcune delle maggiori figure del rock hanno anche, e non episodicamente, scritto versi: da Bob Dylan a Jim Morrison, da Lou Reed a Patty Smith). Il passaggio del mandato sociale dai poeti ai cantanti rock presenta quindi un aspetto ambiguo. Il modello di soggettivit lirica, con le sue pretese di autenticit, si dimostrato a tal punto influente da essere recuperato allinterno del processo attuale di mercificazione, grazie al quale riprodotto su larga scala e in forme stereotipate. Questo fatto non indica per forza lesaurimento di quelle esigenze critiche nei confronti delle forme di vita capitalistiche che la lirica moderna ha espresso durante il secolo scorso. Semmai la poesia odierna deve fare nuovamente i conti con i rischi inerenti alla propria eredit storica, con la forza degli stereotipi che lei stessa ha suscitato, con la difficolt di coniugare unesigenza di autenticit in un mondo di simulacri. Di fronte ad una pi pervasiva e sottile mercificazione dellesperienza, la poesia costretta a praticare forme di esteriorit e di estraneit tanto nei confronti della lingua letteraria che della lingua comune, che non le consentono quellimmediata fruibilit che sembra oggi divenuta la caratteristica obbligata di qualsiasi oggetto estetico. Ma anche la prospettiva attraverso la quale la pratica poetica pu elaborare e dare significato alla condizione di singolarit che sta mutando. Nelluniverso attuale dellorganizzazione capitalistica del lavoro non ha pi senso enfatizzare le esperienze che segnano una rottura dei legami di appartenenza. Il modello di soggettivit flessibile, nomade, costantemente capace di rinnovarsi, di mutare ruolo e progetti, ha acquistato oggi uno straordinario prestigio, e non solo nella forma pi socialmente debole del lavoratore precario. Il precariato operaio e impiegatizio della fascia bassa e debole delluniverso lavorativo corrisponde alla flessibilit manageriale della fascia alta e privilegiata. Ma questo modello di soggettivit, come Boltanski e Chiapello mostrano bene nelle loro analisi, si afferma a partire dallinsolubile contraddizione tra lessere qualcuno (possedere una personalit non comune) e il possedere un alto grado di adattabilit (possedere una personalit fluida). In questo nuovo contesto, la poesia ha ancora tutte le opportunit per continuare ad esprimere il suo peculiare punto di vista critico. Innanzitutto, esplorando la singolarit non solo come occasione di 47

inappartenenza, ma anche e soprattutto come occasione di non progetto. Nel mondo connessionista dellattuale fase del capitalismo, il soggetto flessibile colui che esiste solo nella dimensione del progetto, della prova, della nuova connessione, della rinnovata identit. Egli teme linerzia e il radicamento, la sosta e la perdita di ritmo. Vorrebbe passare costantement e dal regime dellattivit lavorativa e funzionale al regime del puro godimento, intrapreso con la stesso piglio volontaristico attuato nel lavoro. Di fronte a questo modello estremamente esigente e di ardua realizzabilit, si aprono i pi diversi percorsi regressivi basati su fantasie di appartenenza, di radicamento, di isolamento stagno rispetto ai flussi di identit disponibili. Coniugando la prova cruciale della singolarit dellio e dellesteriorit del mondo, la poesia pu recuperare quellesperienza che non inscrivibile in alcun progetto, in alcuna identit funzionale seppur leggera, e dunque neppure in alcun fantasma di radicamento, che farebbe schermo con il suo corredo di immagini mitiche e stereotipate alla prossimit del mondo presente. Ma liberandoci periodicamente dal progetto, e dallesigenza di esistere costantemente in connessione, la poesia potrebbe liberarci anche dallimperativo di godimento, che ci attira verso sempre nuove forme di festa mercificata. Si perso dunque il prestigio della lirica moderna, ma con esso anche quella parte di illusione che il termine prestigio veicola. La poesia attuale, pi incerta di s, pi disincantata e diffidente, pu nondimeno battere itinerari che ne rafforzano la funzione sociale. Essa pu valorizzare una sfera dellesperienza e una pratica del linguaggio, che non sono stati ancora compiutamente assorbiti nelle forme di soggettivit promosse dal nuovo capitalismo, n lo potranno essere in futuro. Questa opportunit riposa per su un atteggiamento di fondo, che sappia intrecciare le esigenze estetiche con quelle etiche, la peculiarit dellarte dello scrivere con la pi universale dimensione pratica dellessere umano. Laddove, invece, la poesia concepita come una pratica la cui funzione sociale ormai esaurita, essa diviene gioco raffinato e iperletterario, dando vita a forme di riscrittura sempre pi consapevoli delle proprie virtualit formali. Daltro canto, sono sempre in agguato gli stereotipi fondati sui fantasmi desperienza: il peccato dingenuit che ignora il peso specifico dello scrivere nella figurazione di ci che accade. Ci significa che la scrittura, da strumento esplorativo dei possibili universi di senso di una certa esperienza, diviene un processo meccanico di riduzione della vita alla lingua poetica. Insomma, nellultimo decennio apparso sempre pi chiaro che i due scogli principali di un esercizio della pratica poetica che non voglia abdicare alla sua funzione sociale e critica sono quelli antitetici delliperletterariet e dellingenuit poetica. In questa situazione, la critica letteraria ha dimostrato quasi sempre di privilegiare senza riserve liperletterariet nelle sue varie forme manieriste, neometriche, citazioniste, ecc. Ci non stupisce, dal momento che si tratta di respingere latteggiamento ingenuo, che in qualche modo travisa il carattere specifico della pratica poetica. Ma daltra parte chiaro che per la critica giovane come per quella meno giovane, la celebrazione di poeti che esaltano i tratti specifici della corporazione pi confortevole che una valutazione intorno a forme di scrittura meno caratterizzate, e in definitiva pi innovative. E linnovazione di cui parlo, non qualcosa che si possa registrare ad una semplice ispezione grafica, metrica o lessicale della pagina scritta. Non di questa innovazione autosegnalantesi che qui si tratta, ma piuttosto di un diverso modo di mettere in figura lio e il mondo. Lunit di misura della riflessione critica, ancora una volta, dovrebbe essere la figurazione come processo che comporta una tensione tra lingua poetica e lingua non poetica, tra scrittura e mondo. Dei segnali ottimi comunque esistono, e ci vengono da due libri di poesia recenti di autori italiani, che mostrano di porsi al di fuori dellopzione dominante iperletterariet-ingenuit, conservando tutto il potenziale critico della lirica moderna e continuando ad innovare in termini di processi figurativi. Si tratto di due libri che andranno a lungo meditati, e che non sono comunque di facile assimilazione. Come succede oggi per i volumi di autori ormai affermati, Prossimamente 48

(Mondadori, 2004) di Giancarlo Majorino e Guerra (Mondadori, 2005) di Franco Buffoni hanno incontrato sulla stampa specialistica dei pareri positivi ed elogiativi. Dubito per che sia sufficientemente chiaro come questi due lavori costituiscano non solo dei prodotti poetici di qualit tra certi altri, ma abbiano la caratteristica rara di indicarci percorsi futuri, non ancora battuti, e straordinariamente fecondi per la sopravvivenza del genere poetico nel nuovo secolo. Non mia intenzione giustificare qui il mio giudizio, analizzando queste due opere. Mi riprometto di farlo altrove e alla luce degli sfondi antropologici che ho messo in luce attraverso questo mio intervento. Ma mi sembra giusto concludere la riflessione sulle persistenti ragioni dessere della poesia moderna, citando due autori italiani, i cui ultimi volumi di versi stanno proprio a dimostrare linsostituibilit di un lavoro espressivo di tipo poetico. Due autori, Majorino e Buffoni, che hanno mostrato di poter innovare ancora allinterno della forma poetica al di l di ogni tentazione manierista e di poter sfuggire ai vicoli ciechi dellegocentrismo e del narcisismo, mettendo in figura il mondo e la storia.
Note 1) Franco Fortini, Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, Il Saggiatore / EST, Milano, 1998, p. 163. 2) Pier Vincenzo Mengaldo, Giudizi di valore, Einaudi, Torino, 1999, p. 65. 3) Franco Fortini, Ventiquattro voci per un dizionario di lettere, cit., p. 163. 4) Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000, a cura di Enrico Testa, Einaudi, Torino, p. XIX. 5) Guido Mazzoni, Sulla poesia moderna, il Mulino, Bologna, 2005, p. 214. 6) Andrea Inglese, Leroe segreto. Il personaggio della modernit dalla conf essione al solipsismo , Dipartimento di linguistica e letteratura comparate dellUniversit di Cassino, 2003. In particolare, si veda il primo capitolo intitolato Espressivismo e modernit. I rapporti esistenti tra lideologia di unepoca, le sue formulazioni filosofiche ed estetiche, ed infine i generi letterari, come forme simboliche, sono estremamente ardui da analizzare, in quanto pongono un problema centrale, che quello del punto di vista esteriore a un dato modello culturale. Lo ricorda, ad esempio, Gabriele Frasca introducendo il suo saggio La lettera che muore: Occorrerebbe dunque che al ricercatore tipologico-culturale fosse dato di sottrarsi al flusso percettivo in cui si scioglie la sua stessa porzione di esperienza, per districarsi insomma da un modo di sentire cos tanto connaturato da apparire fatto non solo della sostanza della cultura ma addirittura dei ritmi biologici dellosservatore (Meltemi, Roma, 2005, p. 8.) 7) Ivi, p. 240. 8) Da Il meridiano, in Paul Celan, La verit della poesia, trad. it., Einaudi, Torino, 1993, p. 15. 9) Ivi., p. 16. 10) Philippe Lacue-Labarthe, La posie comme exprience, Christian Bourgois Editeur, Paris, 1986 e 1997. 11) Elementi di riflessione in tale senso si possono trovare nei lavori dellantropologo Jean Duvignaud. Indagando la natura della festa, come manifestazione collettiva di destrutturazione e ricomposizione dellordine sociale, lautore si pone il problema di definire alcune esperienze cruciali, ricondotte preliminarmente alla categoria di trance. Dal nostro punto di vista, potremmo definire la festa un accompagnamento collettivo a stati di singolarit. Per Duvignaud si tratta di una sospensione momentanea del funzionalismo sociale. E aggiunge: Ci che per lanalisi pi difficile da cogliere la natura di questi stati destrutturati, di queste zone dombra che la letteratura con maggior forza ha tentato di sperimentare. Qui non si tratta pi di segmenti di realt collettiva compresi nellesercizio del sacro, ma di rotture momentanee del corso delle cose e per la quali necessario definire una durata originale e una percezione originale dello spazio. In Jean Duvignaud, Le don du rien. Essai danthropologie de la fte, Stock, 1977, Paris, pp. 39-40, traduzione mia. 12) A Wall. Thats the only image / That turns up. // A wall all by itself, / Poorly lit, beckoning, / But no sense of the room, / Not even a hint / Of why it is I remember / So little and so clearly: // The fly a was watching, / The details of its wings / Glowing like turquoise. / Its feet, to my amusement / Following a minute crack - / An eternity / Around that simple event. // And nothing else; and nowhere / To go back to; / And no one else / As far as I know to verify. in Charles Simic, Hotel insomnia, a cura di Andrea Molesini, Adelphi, Milano, p. 40.

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13) Pier Vincenzo Mengaldo, Grande stile e lirica moderna, in La tradizione del Novecento, Vallecchi, Firenze, 1987, p. 11. 14) Wie viele Gesten sind sinnlos, und dennoch / Hlt ein Staunen sie wach. Wtend / Einer Fliege zu drohen, in steifer Andacht / Vor den Toten den Kopf zu senken, / Mit Gren und Winks sich die Einzelhaft / Zu versen, kann amsant / Oder anstndig sein. Vor der Trgheit / Der Wolken wird alles absurd. / Niemand sieht diesen Clown sich betrgen. / Den Zeugen, kurz eingenickt, / Ist der Lidschlag entgangen, der Hinweis / Gespreizter Finger, wenn List / Im Verkehr der Indizien die Zunge lst. in Duns Grnbein, A met partita, a cura di Anna Maria Carpi, Einaudi, Torino, 1999, p. 139. 15) Faccio riferimento al volume che raccoglie lintera serie di testi preparativi, varianti manoscritte e dattiloscritte, del componimento La figue (sche). Francis Ponge, Comment une figue de paroles et pourquoi, prsentation par Jean-Marie Gleize, Flammarion, Paris, 1977 et 1997, p. 77, traduzione mia. 16) Ivi, p. 81, traduzione mia. 17) Ivi, p. 101, traduzione mia. 18) Ivi, p. 102, traduzione mia. 19) importante distinguere il termine tecnico idioletto, che descrive un fenomeno esistente (linsieme degli usi linguistici personali di un dato individuo in un dato momento, secondo il Palazzi Folena), dal concetto che qui uso di idioma radicale che descrive unaspirazione impossibile, ossia quella di una lingua individuale. 20) In Juan de la Cruz, Poesia, introduzione traduzione di Giorgio Agamben, Einaudi, Torino, 1974, p. XI. 21) Ivi, p. XIII. 22) Penso in particolar modo a certe analisi di Marco Giovenale su quella che lui chiama scrittura rappresentazionale. La questione delle pi fondamentali, ed esigerebbe di essere pensata attraverso la definizione dellantinomia tra rappresentare e figurare. Nel concetto di rappresentazione c sempre lidea di unadeguazione conoscitiva tra loggetto rappresentato e ci che lo rappresenta. Nel concetto di figurazione prevalente la questione dellorganizzazione plastica, senza per questo dimenticare che ad essa precede qualcosa, loggetto da raffigurare, senza per questo ipotizzare possibili adeguamenti conoscitivi. Di Giovenale, si legga, tra gli altri, lintervento intit olato Dellopera disfatta sul sito GAMMM. 23) Lo studio di riferimento rimane ancor oggi Il testo drogato di Alberto Castoldi uscito per Einaudi nel 1994. Ma lo sguardo di Castoldi non oltrepassava gli anni Sessanta e la beat generation. Inoltre, lalteraz ione degli stati di coscienza era unicamente connessa alluso delle droghe. 24) Marcel Duchamp, Ingnieur du temps prsent. Entretiens avec Pierre Cabanne , Belfond, Paris, 1977, p. 126, traduzione mia. 25) Wystan Hugh Auden, La mano del tintore, trad. it. di Gabriella Fiori, Adelphi, Milano, p. 107. 26) Il paradosso delle societ moderne e individualiste che alcune delle questioni ultime, relative al senso globale di unesistenza, al rapporto con la natura, alle promesse di felicit individuale, al conf ronto con la morte, si manifestino nella sfera intima delle persone, non trovando adeguato supporto presso istituzioni specifiche. 27) Wystan Hugh Auden, La mano del tintore, cit., p. 113. 28) Luc Boltanski e ve Chiapello, Le nouvel esprit du capitalisme, Gallimard, Paris, 1999, p. 535, traduzione mia. 29) Guido Mazzoni, Sulla poesia moderna, cit., p. 236. 30) Ivi, p. 237. 31) Ibidem.

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GIANLUIGI SIMONETTI MITO DELLE ORIGINI, NEVROSI DELLA FINE


1. Da tempo la critica rappresenta la scena della poesia italiana contemporanea come un ambiente frantumato, caotico, privo di caratteri veramente unitari. Quasi tutte le analisi sistemiche disponibili insistono, abbastanza paradossalmente, sulla impossibilit di una efficace sistematizzazione; ne derivano, come noto, ricostruzioni in buona parte divergenti, che il confronto critico non riesce a coordinare. L'anarchia dei progetti stilistici e delle posizioni di poetica, di per s evidente, risalta in particolare se si pensa all'andamento relativamente ordinato che nel corso del Novecento aveva assunto la discussione sul rinnovamento del linguaggio poetico, e la relativa organicit con cui, fino agli anni Sessanta, venivano formulate le ipotesi di scuola - cos geometriche nei loro schemi binari, nelle opposizioni frontali che delineavano. Da circa trent'anni a questa parte, invece, predomina il disordine, sia sul piano delle proposte formali, sia su quello del confronto ermeneutico; l'immagine anceschiana della "stella esplosa" (1976), o ancor pi la formula di "effetto di deriva", proposta da Berardinelli ai tempi del Pubblico della poesia (1975), descrivono tanto la situazione presente quanto quella dei primi anni Settanta, per la quale furono coniate: dunque proprio la deriva plurale, la moltiplicazione delle traiettorie formali il segno unitario di questa lunga stagione di lirismo. E se la disponibilit illimitata delle poetiche e degli stili incarna un tratto di tutta la cultura letteraria postmoderna - non solo della poesia contemporanea - peraltro innegabile che proprio la scena della poesia italiana sembra interpretare quel pluralismo in modo particolarmente radicale, confuso e dispersivo. A mio parere, tale frammentazione pluralistica delle proposte solo in parte da ascrivere alle responsabilit di una diminuita autocoscienza storica degli 'addetti ai lavori': ovvero dei poeti, poco disposti a legittimare in pubblico le proprie scelte, e degli interpreti, a lungo disabituati a interrogarsi criticamente sui testi contemporanei (ma da qualche tempo la tendenza sembra invertirsi). La fase che si aperta circa trent'anni fa, e nella quale ancora ci troviamo, sembra segnata meno dall'esaurimento di una scuola, uno stile intellettuale o una teoria critica che da una condizione epistemologica specifica, una logica culturale che incoraggia l'eclettismo a ogni livello perch ha smesso di credere nella categoria del 'nuovo', surrogandola con il ricorso al 'neo'. Detto questo, se delle difficolt della versificazione che specificamente dobbiamo parlare, credo sia giusto soffermarsi su quello che sembra, in questa fase, il suo problema pi vasto e strutturale: al discorso sul declino della poesia nella societ e nel sistema della comunicazione si accompagna da qualche decennio, se non vedo male, un crescente sentimento di usura del linguaggio poetico (la formula di Walter Siti): un sospetto di vacuit, di debolezza, di inefficacia comunicativa che investe preliminarmente i generi della versificazione, e che non ha nulla a che vedere con la riuscita delle singole composizioni n con il valore degli autori che contano. Declino sociale della poesia e usura del linguaggio poetico, poesia come ghetto e poesia come gergo (Berardinelli) spiegano, insieme, la confusione attuale, autorizzano entrambe il ricorso una pluralit di rimedi. Ma mentre gli interpreti pi lucidi si interrogano sulle cause della sempre pi scarsa visibilit pubblica del genere, sulla perdita di una parte rilevante del suo capitale simbolico - Guido Mazzoni in modo particolarmente brillante e sistematico, nel suo Sulla poesia moderna - pu farsi strada la scandalosa idea che questa intervenuta condizione di marginalit imponga alla poesia, oltre a un suo peculiare punto di vista sul mondo, anche degli specifici limiti - per forzare i quali richiesto oggi al poeta uno sforzo creativo supplementare, un nuovo senso di responsabilit e forse una certa incoscienza. Che la poesia non faccia pi per noi, qui e ora, un pensiero difficile da accettare; preferiamo rassicurarci osservando che nel Novecento la poesia ha trovato spesso alimento dalla propria stessa negazione, dalla vergogna di s, dalla autocontestazione permanente. Eppure dobbiamo riconoscere che l'esperienza del decentramento della poesia nel sistema attuale delle arti non ci lascia illesi - c' qualcosa nell'aria che ci spinge a diffidare, preliminarmente, dell'importanza culturale delle raccolte di versi; un troppo o troppo poco che ci induce a differire l'acquisto e la 51

lettura; un pregiudizio, una distrazione, un fastidio attenuano il nostro impatto con una vicenda o uno stato d'animo raccontato in forma lirica. soprattutto questo disturbo preliminare d'ascolto il risvolto pi angoscioso della 'crisi' attuale della poesia, tale non solo nell'economia generale della cultura, ma anche nella sua ricerca di un rapporto di empatia col lettore comune, tentato da linguaggi artistici concorrenti. Composizioni belle o bellissime continuano a essere pubblicate, naturalmente, conservando intatta quella forza di rivelazione potente e insostituibile che appartiene al repertorio della grande poesia moderna, e in particolare a quello della lirica; ma per i poeti come per i lettori sempre pi difficile sottrarsi in prima battuta alla interferenza del cerimoniale, alla fatica dell'andare a capo, alle vischiosit della nuova poetic diction - quelle sedimentate nel passato remoto, ma anche quelle proposte dalla 'tradizione del nuovo': entrambe rese obsolete dalla prassi odierna della comunicazione. L'usura, in generale, pu nascere dall'uso prolungato del materiale, da una manutenzione insufficiente o da una scarsit di pezzi di ricambio; in effetti, mentre la narrativa italiana di fine secolo si liberava del fardello della letterariet, mandando al rogo la ricerca novecentesca sulla lingua del romanzo e ricominciando sostanzialmente da zero (o meglio, dal presente: dall'italiano parlato, dalle novit massmediatiche, eccetera), la poesia coeva, e soprattutto quella di istanza propriamente lirica, pur avvicinandosi alla lingua strumentale, non ha voluto e forse non ha potuto rinunciare fino in fondo alle sue abitudini stilistiche, al suo codice e soprattutto al suo punto di intonazione: ha rinviato il confronto con i nuovi linguaggi e i nuovi campi della conoscenza. Ne derivato, rispetto alla prosa narrativa, un grado maggiore di resistenza alla cultura mediatico-spettacolare, una ribadita estraneit al consumo e alla barbarie; ma anche una postura autodifensiva e ghettizzante, accentuata dalla tendenza, potenzialmente grave, a 'farsi parlare' dal proprio stesso gergo: cio di non avere molto da dire al di fuori di se stessa. Il sospetto pregiudiziale della cultura di massa verso l'impostazione formale e tradizionalmente umanistica della lingua sentita a priori come artificiale e pretenziosa - spiega come mai per i poeti esordienti sia sempre pi difficile trovare una intonazione credibile: la colpa non loro, ma della crescente insofferenza del pubblico verso un linguaggio ritualizzato, appesantito da ambizioni espressive troppo alte, impegnato a formulare (o a fingere di formulare) domande di senso eccessive, alle quali - ci piaccia ammetterlo o meno - siamo ormai disabituati. Schiacciate dall'antica responsabilit di essere 'poetiche', cio assolute e profonde, le parole della lirica faticano a venire a patti con un'epoca che cerca il sapere nella velocit e nella superficie: da una parte il pubblico - tutto il pubblico - comincia a svalutare, magari inconsciamente, la profondit, assuefatto a piaceri e obiettivi impoveriti, a contenuti di appagamento immediato, alla mescolanza di cultura e intrattenimento. Dall'altro la lirica stessa, in un contesto di questo tipo, fatica a credere fino in fondo allo status di genere esorbitante e speciale che la teoria romantica le aveva assegnato. La diffidenza dei lettori scatena, nei poeti meno solidi, o meno coraggiosi, la paura di sbagliare; quando la si sente irraggiungibile, la profondit pu essere semplicemente imitata; quando la si indovina inutile pu essere elusa. Non un caso che alcuni tra gli autori esordienti negli anni Ottanta e Novanta abbiano appunto cercato - e in qualche caso teorizzato - una fuga dalla lirica come parola assoluta e salto mortale: ieri Magrelli, oggi Marcoaldi sono esempi di una poesia che sceglie di essere 'tiepida', di tenersi lontana dal trauma. Ma se la lirica rinuncia alla sua arma migliore - alla sua intensit, alla sua incandescenza, al suo atteggiamento da "tutto o nulla" - allora che senso ha scrivere in versi? Tanto pi che anche la nozione avanguardistica di lirica come perpetua eversione linguistica va oggi sostanzialmente esaurita, sopravvivendo in forme solo contraddittorie - cio epigoniche. L'allentamento delle tensioni sperimentali rende sempre pi difficile imporre al lettore la qualit specifica e insostituibile dell'andare a capo: ormai al poeta implicitamente si chiede non tanto di "lavorare sul linguaggio", quanto di essere sincero, potente e credibile nonostante abbia scelto di esprimersi in versi: una vera e propria aporia, che teoricamente andrebbe superata nella messa a punto di una sorta di poesia senza letteratura , scritta in una ipotetica lingua naturale, in uno stile senza stile. Ma questa, come vedremo, non che una delle ipotesi attualmente in campo. Quando a una domanda stazionaria e forse insopprimibile di "situazioni" liriche - stati di eccezione dolorosi o felici, momenti di passione o crisi intellettuale, autoanalisi e autodescrizioni - si somma, da parte 52

del pubblico, la stanchezza verso il gergo e il tono offerti convenzionalmente dalla lirica stessa, il risultato - come ha spiegato Mazzoni - non pu essere che uno spostamento sociale di interesse dalla poesia alla canzone leggera: il "cosa" al fondo lo stesso, ma diverso il "come". In una fase del genere fisiologico che sia proprio la lirica di impianto pienamente soggettivistico a ritrovarsi particolarmente esposta ai rischi della desuetudine, della marginalit e dell'inconsistenza: non solo le sue parole, la sua sintassi e il suo respiro faticano per dismisura formale a integrarsi con quelle della comunicazione di massa; ma la gamma stessa degli stati d'animo, delle emozioni e degli oggetti che siamo abituati a esprimere in versi, pronunciata in quel modo, rischia di suonare insincera - mentre pu sembrare credibile nelle mani di un medium meno opaco e meno debilitato come il rock o il pop. Nonostante la qualit di molti libri di poesia italiani recenti, l'usura del linguaggio poetico e la perdita di prestigio sociale del genere aumentano fatalmente i rischi di una senescenza e quasi di un depotenziamento dei contenuti della poesia stessa. 2. I buoni poeti, oggi come ieri, sanno eludere i rischi dell'usura, se infischiano della marginalit sociale e non dubitano affatto della propria intonazione; quello che conta, in una prospettiva panoramica, per la risposta globale del sistema. Posta di fronte a una crisi di identit e di linguaggio, la poesia degli ultimi trent'anni ha reagito in modo complessivamente scomposto (anche se ricco, spesso interessante, e a volte perfino geniale): del resto l'eccesso di "libert stilistica" (Pasolini) di cui il genere da almeno un secolo era abituato a godere autorizzava appunto un notevole eclettismo formale, persino rinforzato dall'abitudine postmoderna, che nel frattempo si imponeva, di utilizzare il repertorio della tradizione con larghezza e disinvoltura. Non casuale che anche in poesia le cose cambino, o comincino a cambiare, quando la scena letteraria del nostro paese, nel corso degli anni Sessanta, ripensa il proprio rapporto con il passato culturale, allontanandosi da una percezione dialettica della storia: tutti i pi autorevoli profili di lirica contemporanea sono pi o meno concordi nel sottolineare l'importanza dei primi anni Settanta come crinale decisivo del Novecento poetico italiano. noto ad esempio che la pubblicazione simultanea, nel 1971, di libri come Satura o Trasumanar e organizzar sia stata interpretata da molti (per esempio da Berardinelli) come il sintomo non solo di una svolta prosastica e antilirica della nostra poesia, ma pi radicalmente come segno di un esaurimento delle sue canoniche tensioni all'assoluto: due tra i principali innovatori della versificazione del dopoguerra, tra loro antagonisti, certificano l'intervenuta impraticabilit dei territori lirici che avevano frequentato, smettono di sondarne i confini, si dedicano piuttosto al 'rovescio' della poesia. implicita in queste due "enormi sprezzature" (Cordelli) l'idea di una intervenuta impossibilit di sviluppare ulteriormente la forma lirica in quanto tale. Contemporaneamente, la ricerca degli autori della terza generazione, nati negli anni Dieci e giunti ormai alla piena maturit espressiva, si attestava su posture nobilmente riformiste: Sereni, Caproni, Luzi e Bertolucci trovano un loro magico equilibrio tra sublime e parlato, quotidiano e infinito, atonalit e lirismo, prospettiva monologica e pulsioni pluridiscorsive: una miscela di poesia e prosa all'origine di alcuni capolavori assoluti degli ultimi decenni ( Viaggio d'inverno, per restare nel 1971, non che un esempio), destinata per a privarsi di sostanziali sviluppi ulteriori, fino a proporsi come ultima vera 'scoperta' brevettata dal Novecento poetico italiano - insieme a quella, di segno opposto, firmata dalla Neoavanguardia. Al posto delle sintesi riformiste, il rifiuto rivoluzionario di ogni equilibrio stilistico e di ogni conciliazione formale, la guerra al soggettivismo e alle convenzioni della bellezza, la scelta al fondo mimetica di usare parole e ritmi impoetici per esprimere un mondo volgare e inautentico. Entrambe le posizioni conservano solide basi nella tradizione del Novecento (la generazione degli anni Ottanta e Montale da un lato, dall'altro le avanguardie storiche). Entrambe, a loro modo, rappresentano una exit strategy dai limiti toccati dalla lirica di impostazione romantica - fondata sulla centralit dell'io, sul valore dell'esperienza soggettiva, sul ricorso spontaneo al sublime. Entrambe, a Novecento concluso, continuano a fare proseliti, assecondando un abbrivio che dagli anni Settanta arriva fino al presente: si pensi da un lato ad autori come Raboni, o Bacchini, o Pusterla - dall'altro alla 'terza ondata', al gruppo 93, al postmodernismo critico. Ognuno pu farsi un'idea personale dei risultati ottenuti in questi ambiti, delle riuscite e dei fallimenti rimasti sul campo; al netto di ogni giudizio di valore 53

resta il fatto che le novit pi spiccate, negli ultimi trent'anni, provengono da esperienze diverse, da modi diversi di reagire alla svolta degli anni Settanta, alla fine del Novecento. 3. Posta di fronte a alla crisi di linguaggio della lirica moderna, la maggior parte degli autori italiani ha risposto sostanzialmente in due modi distinti - ciascuno dei quali responsabile di una variet di posizioni di poetica e di ricerca stilistica. Non due linee, quindi - sarebbe contraddittorio rispetto a tutto quanto detto fino ad ora - ma due diverse reazioni psicologiche alla minaccia di paralisi incombente sul ceto dei poeti. Davanti a una paventata fine della poesia del Novecento, si scelto di scavalcare il problema in due opposte direzioni: ponendosi rabbiosamente al di qua o al di l della storia stessa. La prima reazione stata di tipo euforico, ed consistita nel ripristino a diverso titolo del mito della lirica come emergenza emotiva, comunicazione spontanea antecedente a qualsiasi stilizzazione idea per cui in poesia sempre possibile, e anzi si deve, ricominciare ogni volta da zero. La lirica in particolare viene qui intesa come bisogno insopprimibile, sottratto al divenire storico. Si trattato di una risposta logica, quasi spontanea, di fronte al ritrarsi dei padri: un gesto di apertura contro i loro segnali di ripiegamento e chiusura; una affermazione infantile e regressiva contro un eccesso di consapevolezza iperletteraria e di autocoscienza critica. Naturale quindi che a un primo livello questo ricorso a idea una sorgiva di poesia, questo mito delle origini, abbia prodotto (specialmente alla fine degli anni Settanta) formule espressive volutamente semplici, dirette, elementari, assestate sul linguaggio parlato e su uno stile volutamente al risparmio; pochi tropi, sintassi facile, lessico vicino allo standard, metricit debole (la poesia selvaggia, quella del Movimento - ma in fondo anche l'esperienza apparentemente diversa di Scarto minimo). Spesso, un io narcisista e anarchico, che si denuda e si d fuoco in pubblico (Alda Merini, Attilio Lolini, Patrizia Cavalli). Nella stessa direzione, ma a un pi alto livello di anacronismo, c chi ha ricominciato a interpretare latto del poetare come valore assoluto, sacerdotale. Ha (ri)preso forma il disegno di una poesia ad alta voce, priva di inibizioni e immune dall'ironia, che punta dritta allestasi: tentativo ambizioso di liberarsi dei dubbi e delle troppe autocritiche attraverso un atto di fede nelle ragioni occulte e sciamaniche dellandare a capo. Un tipo di poesia che rifiuta la vergogna e si colloca dalla parte degli archetipi (Conte, Bellezza, Mussapi, Carifi); una scrittura che si vuole fuori dalla contingenza, ma che ha saputo fornire, in qualche caso, delle fotografie straordinariamente esatte della societ che storicamente l'ha prodotta: penso a Somiglianze di Milo De Angelis, forse il miglior ritratto letterario (non solo poetico) degli anni di piombo. La seconda reazione, di tipo disforico, emersa soprattutto a partire dagli anni Ottanta, e ha contrassegnato a lungo i Novanta. Essa prende atto della frattura intervenuta nella dialettica storica e induce molti poeti ad assumere un atteggiamento ed uno stile 'postumi' rispetto alla modernit; a usare la tradizione contro la tradizione, a testimoniare un lutto. Adoperando metaforicamente il vocabolario della psicanalisi, si potrebbe parlare di una specie di nevrosi della fine, incarnata in moduli spesso manieristici, comunque culturalmente sovrassaturi, agli antipodi dellantintellettualismo e dell'antiletterariet della posizione precedente. Qui non si cerca e non si finge limmediatezza, ma al contrario si valorizza con intenti di straniamento la mediazione culturale, il distacco, l'artificio: ad esempio si esalta il lato artigianale della versificazione, aumentando il tasso figurale, e specialmente il lavoro metrico e retorico (in qualche caso, la grana dialettale della lingua). Le regole stesse dellandare a capo sono desunte dalla tradizione letteraria, anche premoderna ma con effetto paradossalmente postmoderno. un ambito in cui prevalgono colori freddi, malinconici, spesso senili, anche se vi si sono riconosciuti, magari saltuariamente, non solo poeti effettivamente anziani (Giudici, Sanguineti, Zanzotto, Fortini, Raboni), ma anche generazioni pi giovani: Valduga, Held, Frasca, Nove; la corrente neometrica del Gruppo 93; fino a influenzare autori di recente esordio come Andrea Temporelli o Italo Testa. Se il mito delle origini prevede un risparmio eventualmente semiotico, ma non emotivo, la nevrosi della fine allude invece a un significato potentemente ironico, almeno in senso romantico. un atteggiamento che da noi ha prodotto versi inclini alla cupezza pi che al gioco letterario; le sue ambizioni sono state meno decorative che parodiche: come il recupero dei vincoli tradizionali non ostacola ma anzi consente 54

la loro violazione, cos la chiusura e lo splendore della forma si accompagna volentieri a referenti bassi e a significati polemici - antipoesia e poesia al quadrato mescolate insieme. 4. Mito delle origini e nevrosi della fine continuano ad agire sulla scena letteraria italiana. Continueranno a farlo, probabilmente, finch non si imporr un diverso paradigma storico, capace di ripensare la categoria di 'nuovo' e ricomporre una efficace, attendibile nozione di progresso nelle arti. Per adesso, il quadro delle proposte formali continua ad arricchirsi, ma la dialettica che le alimenta non sostanzialmente mutata. Vediamo all'opera da un lato uno sforzo di limatura delle parti consunte del gergo della lirica - verso quella "poesia senza letteratura", e quasi senza stile, di cui abbiamo parlato in precedenza; dall'altro si profila un ritrovato interesse per la retorica, i ferri del mestiere, le marche letterarie di generi non poetici e non monologici - alla ricerca di una rassicurante "riconoscibilit" della versificazione (Raboni), di una coerenza e di una organizzazione formali letterarie ma non incriminate. Apparentemente contrapposte, queste due tendenze sembrano incontrarsi in un punto decisivo: il tentato recupero di meccanismi di comunicazione e di interazione chiara con il pubblico - al riparo dall'usura e dall'opacit del linguaggio poetico, in un guscio di leggibilit che legittimi l'esistenza di chi sa o sente di scrivere in assenza di mandato. Chi si richiama in poesia a dispositivi retorici e schemi di genere lo fa spesso in modo reattivo, in polemica esplicita contro l'orizzonte discorsivo ristretto e megalomane della lirica moderna (nata appunto per trascendere le regole della retorica e per superare qualitativamente la mera dimensione del genere letterario): va inteso in questo quadro, io credo, il ricorso pi o meno sottile a modulazioni di tipo narrativo, drammaturgico o saggistico, l'apertura polifonica, la vena didattica e talvolta satirica che facile rinvenire in tanti libri di poesia italiani degli ultimi anni. Contro il sublime specialismo della lirica, questa poesia ambisce al diritto di poter parlare di tutto, a tutti; ad usare una variet di voci, punti di vista, categorie interpretative. Non solo molti esordienti hanno considerato normale collocarsi in questo spazio, sia pure in modi personali e variegati (Tarozzi, Carpi, Donati, Ruffilli, Riccardi, Ballerini; Albinati, Savinio, Bellocchio); anche altri autori provenienti da percorsi in senso stretto lirici hanno recentemente aderito a questo filone di ricerca, spostandosi in qualche caso dalla poesia breve al poema fluido, e finendo con lo scommettere sulla forza del libro piuttosto che sulla singola composizione: penso alle ultime cose di Buffoni, Viviani, Lamarque, De Signoribus, Bacchini, Magrelli; a Bocksten di Pusterla; perfino agli sviluppi recenti di Iolanda Insana e Patrizia Cavalli. In alcuni di questi autori la dignit comunicativa, la limpidezza e l'onest intellettuale sono ormai anteposte, almeno apparentemente, all'esigenza di concentrazione e alle accensioni del sublime (sebbene nella maggior parte di loro lo scatto verticale e i barlumi del lirismo trovino ancora posto negli anfratti del poema, nelle pause della narrazione o del monologo). Se non va verso il romanzo o il teatro, la poesia pu guardare agli schemi del rock, e cercare una nuova declinazione orale o interattiva che la liberi dalla prigione della pagina: da Beat a Nelle galassie oggi come oggi l'idea resta quella di succhiare energia da linguaggi sentiti come pi rapidi e pi autorevoli. In ogni caso si tratta di restituire al verso un suo valore d'uso - di farlo tornare leggibile, udibile, pronunciabile ad alta voce: particolarmente esemplare in proposito l'esperienza di un autore come Massimo Bocchiola, che oscilla tra una versificazione narrativa e una affabulatoria, di chiara matrice oraleggiante - senza mai rinunciare alla metrica tradizionale, perseguita quasi spontaneamente: tutto (racconto, discorso, letterariet 'istintiva') al servizio di una poetica realistica, di una franca dicibilit. Certo, nella prospettiva della nostra storia letteraria l'attuale apertura polifonica e poematica, la voracit onnicomprensiva, la ricerca su moduli narrativi o teatrali o canzonistici non rappresentano certo novit assolute - cos come non nuovo il tentativo di fiaccare con espedienti antilirici la tenace resistenza del soggettivismo di ascendenza romantica: basti pensare all'esperienza di Officina, al suo scommettere sul poemetto civile e su forme oggettive di versificazione. Proprio per questo, forse, gli sforzi attuali di allargare lo spazio della poesia annettendo terre di frontiera e periferie poco frequentate - per riprendere la metafora topografica suggerita da Mazzoni - risultano pi legati alla necessit di smobilitare il centro ormai malfamato della lirica che non a una genuina tensione sperimentale, a un progetto imperialista declinato su larga scala. Se i poemetti di Officina intendevano spiazzare un pubblico abituato al 55

frammentismo novecentista, le poetiche polifoniche di oggi cercano piuttosto un punto di incontro, una solidariet, un assenso del lettore - nel sogno di ricreare una dimensione comunitaria, una funzione pratica della poesia. Bisogna del resto riconoscere che le riflessioni e i racconti in versi della Tarozzi, o di Buffoni, per esempio, non sono certo meno belli di quelli di Roversi o di Leonetti, vecchi di cinquant'anni. N meno belli, n meno esemplari: niente come la fortuna attuale del racconto in versi o del poema inclusivo tradisce le pulsioni antiliriche da cui scossa oggi la scena italiana, la sua voglia di aggiornarsi, il desiderio diffuso di farla finita con un certo "io" e un certo linguaggio - la famosa 'crisi' che investe la poesia. Eppure resta attivo, eccome, l'altro polo della dialettica: quello, apparentemente arcaico, che continua a puntare sulla percezione lirica delle cose, la assume come natura o destino, e insiste a servirsene per saltare nel buio - sia pure correggendo quegli aspetti del lirismo convenzionale che la situazione presente rende intimidatori o magniloquenti, fuori luogo. Trovare un linguaggio capace di dire io, senza cedere all'invasione dell'io: il progetto poetico di Antonella Anedda rappresentativo dello sforzo generale in corso. E infatti, nonostante tutto, molti dei migliori poeti italiani contemporanei rimangono autori lirici, nell'accezione moderna del termine: concentrati in modo esclusivo su frammenti anche minimi di materiale autobiografico, attratti da forme brevi e sintetiche, disposti alla confessione e alla commozione pi sfrenate. Il prezzo che pagano per restare sulla scena una massiccia sottrazione degli elementi ornamentali del discorso: un voluto impoverimento del linguaggio, una semplificazione imposta soprattutto al metro e alla sintassi oltre naturalmente a un esibito indebolimento della voce in prima persona, del suo statuto e della sua posizione: siamo nell'orbita di quel processo di "sbiancamento" (Marchesini), "ammortizzazione" (Grignani) o "deflazione dell'io" (Testa) che peraltro rappresenta una delle poche costanti davvero significative, uno dei rari tratti unificanti del movimento della poesia degli ultimi trent'anni. Ma in questa area della produzione in versi anche il rapporto cruciale con i metasememi sembra in parte mutato: al posto della metafora simbolista o dell'analogia accecante troviamo volentieri il paragone esplicito o la similitudine (in Fiori, ad esempio, o in Zuccato): contro il gergo dell'oscurit, la ricerca di tropi disponibili all'interpretazione, particolarmente a loro agio nel fondo realistico e spoglio che spesso caratteristico di questa versificazione. Non siamo lontani dallo "stile semplice" descritto da Raffaella Scarpa: l'illusione di una lingua naturale, lessicalmente e sintatticamente piana, e di un registro e di un paesaggio quotidiani - tutto il contrario dell'eccitazione perenne del discorso promossa di consueto dalla lirica moderna. Senonch il nitore della rappresentazione viene alterato e acceso da sparsi elementi di disturbo: gli incroci dell'astratto col concreto (Anedda), l'uso improprio della deissi (De Angelis), la regressione del punto di vista (Benedetti), l'allure metafisica degli oggetti (Pusterla), l'impiego radicale dell'impersonalit (dal Bianco). La pronuncia chiara non che il contenitore rassicurante in cui ospitare la sopravvivenza di una logica pur sempre aberrante, assoluta, almeno in parte irrazionale; la chiave resta, come sempre, l'intensificazione dell'ordinario, per cui possono convivere momenti di discorso rasoterra, e improvvise aperture verticali. Mentre i poeti di ambizione inclusiva puntano a un allagamento tematico del discorso in versi, e a una cauta esibizione di strutture, per molti di questi nuovi lirici si tratta di scendere dal piedistallo della retorica e rimanere avvinghiati al nucleo privato della propria ispirazione, abbandonando tutta la zavorra delle convenzioni formali non necessarie: la gabbia della lingua personale, l'armonia precostituita dello stile, persino il vizio di andare a capo. Il ritmo di un autore come Umberto Fiori, ad esempio, nasce visibilmente dal respiro delle frasi di senso comune, dalla cadenza dell'italiano di base: non un desiderio di abbassamento prosastico, ma uno sforzo radicale di comunicazione oltre la forma, di discorso frontale e senza aloni. Pu leggersi in questo senso, forse, il ricorso sempre pi frequente agli inserti in prosa nei libri di poesia di questi anni: segno estremo del rapporto ambivalente che essi intrattengono con il genere che li contiene.

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In dialogo

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INTERVISTA AD ALBERTO BERTONI


ITALO TESTA. In Sulla poesia moderna Guido Mazzoni ha formulato una diagnosi molto precisa sulla poesia moderna, in base alla quale la lirica sarebbe oggi sottoposta ad un processo di revoca del mandato sociale e di marginalizzazione allinterno dellorganizzazione dei generi e della loro gerarchia. Come ti collochi rispetto ad una diagnosi del genere? ALBERTO BERTONI. Sono totalmente daccordo con Mazzoni. Il mandato sociale del poeta viene revocato a partire dai Fiori del male di Baudelaire e mai pi restituito, dentro la modernit: Carducci lo rinnova artificialmente, dentro un paese arretrato e appena riunificato come lItalia. La marginalizzazione della poesia dentro lorganizzazione dei generi un sintomo e un indice di difficolt ricettiva e percettiva, che si riflette sulla fruibilit commerciale del prodotto libro di poesia. Ma la necessit di poesia per converso confermata e rafforzata dalle pulsioni linguistiche infantili, che nella vita adulta hanno poi echi considerevoli dentro le pratiche enigmistiche intese come passatempo intelligente, nella centralit della canzone dentro le nostre vite (i-pod et similia), nellattrazione che proviamo per lorecchiabilit e la memorabilit dei jingles pubblicitari, degli slogan politici azzeccati o dei cori da stadio. I.T. Scartata lipotesi che la poesia lirica sia andata i ncontro ad una dissoluzione totale, ad una scomparsa definitiva, difficile negare che la lirica sia stata sottoposta ad un certo decentramento allinterno del campo letterario. interessante soffermarsi fenomenologicamente sugli effetti che questo decentramento ha avuto sulle regole del gioco linguistico della lirica. Nella poesia pi recente che rimane in qualche continuit con il genere lirico, quali metamorfosi dato avvertire a tuo avviso? A.B. Sospetto che non si tratti soltanto di fatti stilistico-letterari, ma pi ampiamente antropologici. Le rivoluzioni nel linguaggio della lirica, durante il Novecento, sono state molteplici: a partire dallimmaginazione senza fili dei Futuristi, per continuare con lirruzione dellintreccio tra mondo oggettivo e inconscio grazie a quel fondamentale (e davvero mondiale) motore di rinnovamento di tutti i linguaggi artistici che stato il Surrealismo (di cui ancora non si valuta appieno la vitalit e i cui intrecci e influssi sono stati studiati e percepiti solo in minima parte), per giungere infine alla fortissima e necessaria irruzione del prosastico, del quotidiano, dellinimmaginabile (o del barbarico, secondo la diagnosi di Adorno) dentro la poesia, dopo Auschwitz. La poesia pi recente quasi tutta lirica, secondo questo schema, che per a me pare desueto, da superare: la parte dellepica, con le dovute eccezioni (penso a Majorino, a Robaey e al Pietro Beltrami poeta), stata tutta conquistata gi molto tempo fa dal romanzo. I.T. In particolare la questione dellio lirico, se questa nozione ha ancora un senso, merita di essere toccata: la soggettivit che in essa si esprime come viene a modularsi? Nella poesia italiana degli ultimi decenni ha a tuo avviso senso parlare di un riposizionamento del soggetto lirico? A.B. Il soggetto lirico quello della societ che lo esprime: e nella societ attuale (almeno dentro il nostro Occidente globalizzato) agisce una contraddizione piuttosto radicale tra il nostro destino di individui-massa e una spinta incontrollata ed endemica al narcisismo. La poesia, lavorando anche sullintrospezione, una perfetta cartina di tornasole di questa linea di tensione: e anche per questo molto pi fragile ed esposta, rispetto agli altri generi. I.T. Alcune ipotesi critiche sulla poesia dagli anni sessanta in poi in particolare sulla terza generazione potrebbero essere lette nel senso di un nuovo radicamento topologico ed esperienziale del soggetto lirico cos ad esempio in Dopo la Poesia di Roberto Galaverni. A te pare che la nozione di esperienza possa continuare a giocare un qualche ruolo nellorganizzazione 58

cognitiva ed esistenziale della soggettivit lirica oppure pensi che la fine dellesperienza sia un processo irreversibile che investe lo stesso ripensamento d ellio lirico? A.B. Io attribuisco molta importanza allesperienza. Non potrei mai scrivere una poesia su un fatto, un rapporto, una persona, un paesaggio dei quali non abbia vissuto unesperienza diretta. N credo che chi scrive versi, in quanto individu o presumibilmente pi sensibile (certo non pi probo o pi buono) rispetto alla media dei suoi consimili, possa ambire a immergersi con piena credibilit nel punto di vista del reietto, del migrante, dello zingaro, del bimbo che sta per morire di fame di qui a qualche secondo in Africa o in Sudamerica: a trasporne quella lingua-balbuzie dorrore, penuria, malattia nel proprio lessico poetico correttamente organizzato. Tuttavia, oggi tutto molto mediato e spurio, compresa lesperienza. E allora si deve parlare anche di esperienza inconsapevole, istintiva: e tuttavia pur sempre sociale, condivisa con chi destinato, senza che tu lo sappia mentre componi, ad ascoltare o a leggere il tuo testo. Lesperienza del poeta sempre linguistica, dunque non del tutto soggettiva: e poi deve riuscire a far affiorare anche le scorie e le faglie del rimosso biografico, dellappena tratteggiato, dellabisso che spaventa quando ci accorgiamo di portarlo dentro di noi e di essere in qualche modo costretti dalletica stessa della scrittura a verbalizzarlo, ritmarlo e infine comunicarlo. I.T. Altre posizioni critiche sembrano puntare tutto sulla trasformazione dialogica della poesia, che in tal senso andrebbe oltre lopposizione tra lirica e anti -lirica, finendo per consumare interamente lelemento monologico, privato, la solitudine dellio lirico tradizionale (cos Enrico Testa nellintroduzione a Dopo la lirica). Come ti collochi rispetto a queste vie interpretative? A.B. Per rispondere seriamente a questa domanda, avrei bisogno dello spazio e del tempo di un saggio critico. Esiste certo qualche punto fermo: lio lirico tradizionale produce effetti oggi risibili (eppure riaffiora molto pi spesso di quanto non si creda); la dimensione dialogica, tanto nellimmissione necessaria di drammaturgia dentro il testo poetico quanto nella fisionomia necessariamente relativa e carnevalesca cui la parola poetica pu e deve essere sollecitata, oggi del tutto necessaria alla lingua profonda della poesia. Esempio eclatante di questa affermazione la carriera poetica di Eugenio De Signoribus, poeta assai monologico se lo si legge in superficie e invece profondamente, positivamente dialogico, se lo si intende nel complesso della sua opera, come conferma oggi ledizione garza ntiana di tutte le Poesie, dal 1976 al 2007. La sua una dialogicit spesso allusiva, scorciata, quasi mai trasparente sul piano degli enunciati, eppure profondamente plurale, multanime. I.T. Alcune ipotesi critiche sulla poesia degli ultimi decenni, descrivendo un processo di deliricizzazione che passa attraverso la torsione prosastica, teatrale sembrano puntare soprattutto su una linea neoclassica e comunicativa di uscita dal modernismo la funzione Auden per come la legge anche di recente Belardinelli in Poesia-non poesia. A tuo avviso il classicismo straniato una via di fuga effettiva dalla situazione lirica oppure una sua nuova e ri-configurazione? In altri termini, se in atto una qualche forma di trasmutazione della lirica, possiamo leggerlo anche alla luce di una qualche ricombinazione tra modernismo e classicismo? A.B. No, il classicismo in s, straniato o no e sotto qualunque spoglia si presenti, ha smesso di interessarmi e di coinvolgermi molto tempo fa, quando la terribile insegnante del Ginnasio mi impose di imparare a memoria, per intero, i Sepolcri di Foscolo: tre diottrie in meno e un retrogusto di radicale estraneit a quel lessico e a quella sintassi. Sono invece interessato (anche se non coinvolto in prima persona, come autore) al recupero delle forme metriche chiuse, soprattutto quando lo mettono in pratica poeti di qualit altissima quali Emilio Rentocchini e Patrizia Valduga. Ma i loro testi non li definirei propriamente classici.

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INTERVISTA A ROBERTO GALAVERNI


ITALO TESTA. Vorrei prendere le mosse da due affermazioni dal valore teorico e fortemente programmatico che fai ne Il poeta un cavaliere Jedi, quando sostieni che in letteratura puntare sulle ragioni del dentro, che sono sempre ragioni di accrescimento, lunica strada per dire qualcosa di efficace e persuasivo e in sostanza vitale sul fuori e ancora dove scrivi de la poesia come luogo non tanto di risoluzione quanto di tensione, di contrasto e di mediazione mai pacificata dellio e del noi, che poi la relazione vitalissima che viene lanciata in apertura della Commedia. La dialettica in sospensione tra dentro-fuori e io-noi sembra essere il punto di osservazione da cui guardi costantemente nei tuoi saggi al fenomeno della poesia nei suoi molteplici svolgimenti allinterno della tradizione poetica e a partire dal quale inquadri anche il problema della resistenza e della trasformazione dellio lirico. Lo stesso fatto che, nonostante il tuo empirismo poetico, non rinunci a parlare della poesia al singolare (Una difesa della poesia significativamente il sottotitolo del tuo libro), mi sembra intrecciarsi in modo singolare con ladozione di questa angolatura. Potremmo cos dire che la tua difesa della poesia anche una difesa della dimensione lirica della poesia e delle condizioni dinamiche che la rendono possibile? ROBERTO GALAVERNI. Credo che al fondo della struttura narrativa e rapsodica del libro, vi sia un preciso elemento teorico e speculativo. Almeno cos mi pare. Per questo parlo spesso di poesia al singolare. Non dunque per una reificazione a priori della poesia, che lascio a chi ha capito e apprezzato Heidegger pi di me, quanto per una semplice operazione di natura concettuale. Da questo punto di vista, nella mia Difesa della poesia esiste senzaltro una tensione interna tra il desiderio di concretezza e dindividualit, quello che tu chiami il mio empirismo poetico, e le ripetute uscite, diciamo cos, di natura teorica o assoluta. E questo perch la risposta concettuale riguardo alla conoscenza della poesia vorrebbe essere la poesia stessa, vale a dire, ogni volta, levidenza, lestrema determinazione fisica e di significato delle singole poesie. Come per un procedimento intellettuale curvo, convergente, che non si risolve in unidea ma in un evento di realt (poetica). Un libro sulla poesia che si realizza solo perch libro della poesia Alla sua base sta dunque un paradosso, unimpossibilit, una specie di vocazione tautologica. Proprio per questo, quello che avrei voluto parlo infatti dintenzioni, non di ri sultati che anche il mio pamphlet possedesse qualcosa di questa stessa evidenza e concretezza, di questa estrema individualit di presenza. E che di conseguenza tutte le componenti del libro, anche le affermazioni, i proclami e le risultanze pi generali, non potessero facilmente essere estratte (o astratte) e trasportate via, cio alienate, dalla sua stessa unit e necessit intrinseca. Dal suo, in sostanza, organismo. vero poi quanto tu dici riguardo alla centralit nel libro di due grandi questioni poetiche quali la relazione tra dentro e fuori e tra io e noi. Ma non credo che il punto di vista con cui vengono assunte sia legato alle vicende del cosiddetto io lirico pi che ad altre. Piuttosto, si trattato di riflettere su alcune questioni di poesia secondo me fondamentali, ma proprio per questo trasversali rispetto a quello o quel tipo particolare di attitudine poetica. Potrei anche riassumerle attraverso due domande, che sono poi tra i principali argumenta del libro. Cosa significa per un poeta mettere a fuoco il cosiddetto fuori, cio la propria visione del mondo e delle cose, comprese quelle della propria interiorit, attraverso lapprofondimento del dentro, cio delle ragioni espressive della poesia, quali anzitutto la lingua, le modalit di rappresentazione, la memoria profonda delle parole che scorre nella tradizione poetica? Detto altrimenti, qual la natura della strana interdipendenza tra questi due momenti, strana perch insieme alla necessit comporta un certo grado di libert e dauto nomia, un rompere la reazione a catena per stabilire invece una relazione a un livello insieme pi profondo e pi alto? Nel secondo caso, invece, mi sono chiesto se e in quali modi, attraverso quali procedimenti e intrecci reversibili la lingua della poesia riesca ad essere insieme una lingua individuale e una lingua che anche altro, di altri. Vedi, io penso che se in una poesia si realizza questa tensione o reazione vitale, se nella sua lingua vivono insieme queste due forze, allora una poesia sempre in qualche misura la prefigurazione, il sogno se vuoi, di un mondo perfetto, di una 60

possibilit perfetta desistenza di un uomo con gli altri uomini. Detto questo, non farei coincidere i termini della metafora dellio e del noi rispettivamente con il poeta lirico e con il poeta che lirico non . Sarebbe sbagliato. Esistono poeti con procedimenti espressivi e di rappresentazione totalmente estranei alla lirica, ma ciononostante del tutto incapaci dagganciare e di fare reagire la propria lingua al di l di se stessi. Penso per esempio a gran parte delle poesia della neoavanguardia, come poi dei tanti neo e neo-neoavanguardisti, che era cosa morta nel momento stesso in cui veniva scritta. Non si tratta certo di poesia lirica, tuttavia un trionfo di luoghi comuni, di solipsismi e di poetesi, di linguaggi di un ego meccanicamente sfrenato, esattamente come la lingua dei pi innamorati tra i poeti della cosiddetta parola innamorata. Nella realt delle cose, cio di una poesia, non c nessuna differenza. Nelluno come nellaltro caso, come in tutti i casi analoghi del resto, lincapacit di cavalcare nella lingua la relazione io -noi rende impossibile esprimere sia il noi sia lio, perch in quel sogno di un mondo perfetto che una poesia non si d luno senza laltro. Lio e il noi vengono allora surrogati appunto dai luoghi comuni, dalle frasi fatte, e che siano automatismi legati alla dimensione interiore o a quella esterna dal punto di vista della vitalit di una poesia davvero non cambia nulla, perch quel la vitalit comunque non c. I.T. In Dopo la poesia affronti da una prospettiva fenomenologica il problema di cosa sia avvenuto dopo il cedimento della diga della poesia, o in altri termini dopo quella oscurissima mutazione degli anni sessanta, per dir la con Montale, che allinterno del campo letterario avrebbe comportato la crisi del soggetto lirico trascendentale e del suo statuto elettivo e separato, e che in termini epocali comporterebbe lentrata nella temperie post -moderna. questo uno snodo che ha attirato lattenzione di altri critici e che si presta ad essere analizzato da diverse prospettive e entro differenti sezioni temporali. Penso ad esempio a Guido Mazzoni che in Sulla poesia moderna inquadra tale fenomeno in una prospettiva sociologica di lungo termine, che inizierebbe nella met del secolo XIX con la revoca del mandato sociale ai poeti lirici di cui parla Benjamin a proposito gi di Baudelaire: un processo di mutazione antropologica in conseguenza del quale la poesia lirica sarebbe stata sottoposta ad una progressiva marginalizzazione allinterno dellorganizzazione dei generi e della loro gerarchia, senza che per questo lelemento musale della lirica sia del tutto venuto meno allinterno della societ moderna come testimonierebbe il suo riassorbimento allinterno del nuovo lirismo di massa della canzone pop e rock, che non a caso inizia a dilagare proprio con gli anni sessanta. Come si rapporta la tua diagnosi per cos dire fenomenologica e interna delle trasformazioni dellio lirico c on le prospettive di lunga durata? Pensi che lindagine critica sulla poesia possa prescinderne, oppure anche le tue osservazioni sulla tensione verso una nuova antropologia presente in alcuni autori si legano ad una diagnosi circa i mutamenti socio-antropologici in corso? R.G. La critica letteraria che da un lato cos ancorata ai propri testi di riferimento, dallaltro qualcosa di assolutamente libero e strampalato; di totalmente empirico, per riprendere un termine che abbiamo gi usato. Quasi tutti i critici si servono della parola metodo soltanto per dire che in realt un metodo non esiste, e cos fare un po quello che vogliono. E infatti i critici bravi hanno modi diversissimi tra loro, esattamente come gli scrittori. Eliot diceva che per essere un bravo critico bisogna avere il senso dei fatti ed essere molto intelligenti. cos. Un poeta non deve per forza avere una particolare intelligenza, anche se, quando sia capace di metterla a frutto, certo meglio per la sua poesia che ne possieda parecchia. Un critico s. Bastano e non certo poco i due attributi indicati da Eliot. Davvero non ci vuole altro. Direi che scrivere la critica appassionante proprio per questo, perch in fondo si pu fare quello che si vuole, a partire dalla scelta dei propri autori. Guarda che davvero uninvenzione incredibile Altro che scientificit e rigore Ma chi? Da qualunque parte la si prenda non ci sono obblighi e procedimenti dovuti. Pretendere da un critico di parlare di questo o quel poeta, o di tenere pr esente questo o questaltro aspetto storico o culturale nella lettura di un testo, o magari di seguire un procedimento prestabilito, cosa non tanto diversa che chiedere a un poeta di parlare di cose che non sente e che non gli 61

importano nulla. Se lincon tro con un testo segue una procedura prevista, alla fine il fuoco non si accende mai. E questo vale anche per quelle che chiami le prospettive di lunga durata, che possono pi o meno essere tenute presenti da un critico, ma che di per se stesse non sono imprescindibili. Limportante, se qualcuno se ne serve, che risultino un potenziamento nella lettura di un testo, cosa che molto difficile, perch sono incredibilmente ingannevoli e infide, specie per il fatto che la storia finisce spesso per presentarsi come qualcosa che si auto-determina e che procede da sola viaggiando sopra le nostre teste, anzi sopra i nostri testi. Cos, per il solo gusto di accadere. Per quanto mi riguarda, rimango in genere perplesso e poco contento delle mie personali considerazioni sugli svolgimenti poetici di lungo o pi spesso medio termine. Non un caso che non vi ricorra di frequente. Ed sicuramente un mio limite. Dintelligenza, come detto prima. Ma che sento unimprecisione, o meglio una parzialit inevitabile in certi pronunciamenti miei, anzitutto sugli svolgimenti storici della poesia. Che pure ci sono stati, certo. un fatto noto, del resto. Se si guarda troppo analiticamente si finisce per sottrarre la cosa che sinterroga alle relazioni che le danno forma e proporzioni. E cos non si vede niente. Se invece si cavalca veloce si percorre anche una grande distanza, ma non si vede poi nulla della composizione del prato su cui si sta correndo. Lo dicevo prima, bisogna sapersi arrangiare. Che dire forse la mia perp lessit verso il grandangolo critico deriva dal fatto che sento la poesia un po come un animale preistorico che vive nel futuro ma stando nel proprio presente con le zampe allins. Non so bene cosa questo significhi, in verit, se non il fatto che con la poesia i conti non tornano mai del tutto. Non come si vorrebbe, almeno. Se poi mi chiedi delle trasformazioni profonde dellio lirico, o addirittura di una possibile mutazione antropologica, davvero non saprei dirti. S, in alcuni interventi raccolti in Dopo la poesia ho riflettuto sulle cose a cui fai riferimento, vale a dire sulle aperture e sui nuovi assetti del discorso poetico che nel secondo Novecento si sono accompagnati allapertura dellorizzonte epistemologico e al primato, peraltro in forme assolutamente variabili, dellidea di esperienza. Ma mi sono fermato qui, tanto pi riguardo a una possibile diagnosi circa i mutamenti socio -antropologici in corso o alla cosiddetta fine della poesia. Anche perch senza il famoso mandato sociale la cui pe rdita tutti lamentiamo, a me pare che la poesia finora abbia vissuto benissimo. Aggiungo anche che ho molti dubbi sulla reale consistenza di un mandato sociale dellartista anche per le epoche passate. Altra cosa semmai parlare di una centralit e unit della cultura, ma il mandato sociale dei poeti Dante lo aveva? Non credo proprio. Sarebbe come sostenere che stato esiliato non per ragioni politiche ma perch scriveva poesie. Come ci ha insegnato anche Pasolini, la poesia ha sempre almeno un po a che vedere con leresia. E la Commedia rappresenta uneresia proprio perch non rientra nello schema del mandato sociale. Anzi, personalmente credo che la poesia e pi in genere la creazione artistica, che sono intrise di societ, inizino comunque proprio l dove la formula sociale, con la catena di rappresentanza meccanica e passiva che impone, si rompe, non funziona pi. una fortuna, anzi fa parte proprio della loro forza, anche visionaria e utopica, che i poeti non possiedano un mandato sociale. Dimmi anche tu, Italo, che scrivi poesie: come poeta lo vorresti davvero il mandato sociale? I.T. Lipotesi critica che sostiene il tuo discorso in Dopo la poesia che la linea del depotenziamento poetico, inaugurata dallultimo Montale, dal Pasolini di Transumanar e organizzar e sui cui convergerebbero in fondo successivamente anche lavanguardismo crepuscolare di Sanguineti e letica milanese del quotidiano orizzontale una linea che comporterebbe una dissoluzione ironico-corrosiva dellIo e una risoluzione pur amente orizzontale e restrittiva del discorso poetico non sia n lunica via di fuga n la pi feconda prospettiva critica da cui guardare allevoluzione della poesia dei decenni successivi. Da questo punto di vista il lavoro della terza generazione la poesia dellautenticit di Bertolucci, Sereni, Caproni, Luzi e successivamente di Zanzotto inaugurerebbe quella che chiami linea della resistenza, nella misura in cui la terza generazione reagirebbe alla crisi dellIo trascendentale non attraverso lannullamento della lirica stessa e del suo soggetto, ma attraverso una mossa espansiva che, ancorandosi allio empirico e testimoniandolo sino in fondo, renderebbe pi elastica e 62

comprensiva la nozione stessa di lirica. Attraverso lapertura allesperienza, al luogo concreto, la terza generazione sembrerebbe riguadagnare alla poesia una nuova libert interiore, espandendone i confini espressivi e insieme rinvigorendo lio e inspessendo lelemento individuale. Perch a tuo avviso la lezione della terza generazione ha un valore esemplare che non si lascia storicizzare e relativizzare, come in fondo sostiene invece Enrico Testa quando assume che il cedimento della diga poetica ci avrebbe portato Dopo la lirica, e che in tal senso lesperienza della terza generazione sarebbe stata riassorbita nel main stream della linea del depotenziamento e della fine dellesperienza? R.G. Satura, Trasumanar e organizzar , Postkarten, le prime raccolte di Giudici sono libri importanti. Cos direi che il depotenziamento poetico non riguardi affatto Montale, Pasolini, Sanguineti e appunto Giudici, ma semmai tutta una zona epigonale della poesia del tardo Novecento che ha cercato in questi poeti una sorta di legittimazione per una pratica poetica legata esclusivamente a un certo tipo di temi, di lingua e di registri espressivi. Come se la poesia non potesse essere altro. Rispetto a questo, i poeti della terza generazione, specie nella parte centrale della loro vicenda poetica, tra anni Cinquanta e Sessanta, hanno seguito un percorso diverso, e Zanzotto con loro, anche se vero che certi elementi e percezioni comuni con i nomi ricordati pi sopra si possono riscontrare da parecchi punti di vista. Riguardo allantologia di Testa direi che sono molto daccordo con le sue analisi degli svolgimenti pi importanti della poesia italiana degli ultimi decenni, ma non lo sono quando poi questi vengono tutti compresi nella formula di dopo la lirica. Cos, penso che il titolo dellantologia, appunto Dopo la lirica, non renda ragione della complessit e qualit dei suoi stessi spunti critici. vero, la miglior parte della poesia italiana del secondo Novecento si muove in una direzione sicuramente nuova, aperta ad elementi tematici ed espressivi che la portano lontano da un certo assetto lirico, magari di lirica pura, stabilizzatosi nella prima parte del secolo (ma, anche qui, con quante e decisive differenze e possibilit diverse). Basta soltanto confrontare il Luzi ermetico con il Luzi degli anni Sessanta-Settanta. Non nemmeno pi un poeta che cambiato; un altro poeta. Dallavorio al magma. Non c meno distanza tra questi due Luzi che tra il Montale della Bufera e quello di Satura. Tutti questi nuovi orientamenti e risultati Testa riesce ad evidenziarli sicuramente molto bene, mettendo a frutto una sua gi lunga ricerca in questa direzione. Le componenti narrative e discorsive, il parlato e le formule colloquiali, le partiture drammatiche, loralit, la dislocazione del soggetto, la moltiplicazione delle voci, lirruzione della corporeit S pecie per i decenni pi vicini, si tratta forse del primo lavoro critico che riesce ad organizzare in modo coerente tutte queste linee, che sono senza dubbio le linee portanti della ricerca poetica secondo-novecentesca. Testa parte dai poeti della terza generazione, che intercetta in una fase poetica gi avanzata, cio dal 1960 in poi. E a questi fa seguire gli autori delle generazioni successive. A partire da queste coordinate cronologiche bisogna chiedersi: gli orientamenti, le caratteristiche, le priorit tematiche, le modalit espressive su cui si fonda la sua scelta antologica, gli consentono di catturare la parte pi cospicua, rilevante e originale degli svolgimenti della nostra poesia nel secondo Novecento? In sostanza, di comprendere nella propria scelta il meglio della poesia che si data negli ultimi decenni? La mia risposta s. Credo che anche alcuni poeti che ognuno di noi inevitabilmente trover esclusi, avrebbero comunque potuto essere compresi nellantologia a partire dagli stessi criteri su cui questa si fonda. I migliori poeti italiani dalla terza generazione ad oggi ci sono praticamente tutti, se si eccettua la stranezza dellassenza di Roversi e ancor pi di Pasolini, che davvero non riesco a comprendere, perch questi due poeti avrebbero come pochi portato acqua al mulino del percorso critico di Testa. Detto questo, quello che non mi trova daccordo, lo ripeto, linterpretazione complessiva in chiave anti -lirica degli svolgimenti poetici del periodo in questione. Personalmente, preferisco in molti casi parlare di unespansione o di uno spostamento dellistanza lirica, che entra in collisione con possibilit diverse come per un procedimento di condizionamento reciproco. Voglio dire che in certi autori, per esempio in Sereni, Zanzotto, Bertolucci, Raboni, lo stesso Luzi, anche se bisognerebbe poi distinguere caso per caso, proprio la persistenza o la presenza di una necessit lirica, spesso molto 63

forte, a mobilitare, ad arricchire e a rendere intrinsecamente drammatico il rispettivo discorso poetico. Quando in Dopo la poesia faccio uso di termini quali inclusivit o capacit della poesia alludo proprio a fenomeni di questa natura. C una coesistenza di elementi diversi che porta a una definizione pi mobile e aperta dellidea stessa di lirica. Se poi si pensa che dalla fine degli anni Sessanta anche in Italia viene praticato un certo tipo di confessional poetry, ora come monologo fortemente formalizzato, ora invece come eruzione ai limiti dellinformale, chiaro che anche per questa parte la componente lirica fortemente in causa. Lantologia di Testa, lo dico a suo merito, piena zeppa di poesie liriche o di poesie che sono anche liriche, o diversamente liriche e anche di autori che con la lirica hanno non poca confidenza. Quelli nominati pi sopra, ma anche Bellezza, Carifi, Conte, Anedda, Scataglini, De Angelis, Benzoni e altri con loro. Non a caso lantologia si apre con Ancora sulla strada di Zenna di Sereni, che rappresenta un monologo lirico di grande intensit, a partire proprio dal fatto che nasce ponendo in questione la sua stessa legittimit. E si chiude con una poesia almeno altrettanto lirica dellAnedda, Per un nuovo inverno , un compianto per la morte di Amelia Rosselli che ha come riferimento alcuni grandi modelli della tradizione lirica europea, primo fra tutti Per lAnno Nuovo, la poesia della Cvetaeva scritta in occasione della morte di Rilke (esiste al riguardo uno strepitoso commento di Brodskij). Insomma, un po questo che intendo. Nel secondo Novecento, acca nto a importanti negazioni e superamenti, in molti autori si d invece una dislocazione e una collisione del fuoco, detto proprio in senso ottico, della lirica con possibilit diverse. Una collisione per cui nessuno degli elementi in gioco rimane quello che era prima. Non pochi dei risultati pi alti della poesia italiana degli ultimi decenni credo che si trovino proprio in questo ambito della ricerca poetica. I.T. La tua lettura delle trasmutazioni della lirica si basa anche su di un particolare approcc io a quella tendenza verso la prosa di cui, pur non negandone levidenza, proponi una particolare lettura, usando come reagente critico un brano degli Immediati dintorni dove Sereni scrive che programmare una poesia figurativa, narrativa, costruttiva, n on significa nulla, specie se in opposizione di ipotesi letteraria a una poesia astratta, lirica, dilluminazione. La nuova inclinazione, nel dopo Montale, ad attingere massicciamente alla prosa non comporterebbe, nelle esperienze che sembri giudicare pi feconde, un annullamento della lirica nel vasto bacino della prosa e quindi dellio lirico nellalterit dialogica ma addirittura rifonderebbe, attraverso il confronto orizzontale, una nuova possibilit di altezza e intensit. Che tipo di scarto comporta questa lettura rispetto alla diagnosi sulla poesia verso la prosa espressa in modo pregnante da Alfonso Berardinelli? R.G. la stessa questione a cui facevo riferimento prima. Insomma, il rapporto della poesia con la prosa fondamentale almeno per tutto il Novecento, al di l delle singole risposte individuali. La prosa con tutto quello che questo significa: lingua, tono, temi, motivi, narrazione, modalit discorsive, spostamenti della voce, personaggi, e via dicendo. Anche certi risultati iper-lirici si possono intendere come una risposta una risposta per differenziazione e contrasto rispetto a una pressione di tale natura. Del resto la lingua della poesia fino a Pascoli era da secoli pressoch la stessa. Non era pi una lingua in relazione con la realt, una lingua capace di mettere a fuoco luomo e il mondo, ma una lingua poeticamente specializzata, una lingua -della-poesia a vocazione prevalentemente lirica. Lultimo che la fa fruttare in questo modo, cio come lingua -della-poesia, stato probabilmente Leopardi. Anche se la sua intensit poetica viene raggiunta proprio a partire da una percezione inedita della realt, perfino in anticipo sul suo stesso tempo, che determinava un sentimento profondo dellanacronismo e dellimpossibilit gravanti su quella lingua, intesa come la lingua della poesia tout court. Il linguaggio poetico leopardiano danza sul limite, nel senso che ha dentro di s qualcosa dirrimediabilmente consumato che lo rende gi un po un fantasma. Da questo punto di vista la posizione di Leopardi unica, perch questo poeta al contempo e indistintamente lultimo degli antichi e il primo dei moderni. Da Pascoli in poi le cose, a partire dalla lingua, cominciano a cambiare, anche molto velocemente. Significher certo qualcosa che 64

Mengaldo abbia posto in apertura dei suoi Poeti del Novecento la frase di De Sanctis in cui la prosa ammonisce la poesia dicendole: Tu sei una malattia!. Come dire che se c un qualche movimento complessivo della poesia contemporanea, da interpretarsi dentro a una storia secolare, qui davvero di lunga durata, questo sta anzitutto nella relazione feconda cio messa a frutto dalla poesia con la prosa. Ma questo non vuol dire poi che i poeti del Novecento siano necessariamente anti-lirici, o non lirici. S, certo, la prosasticit di Saba, loggettivit della metafisica montaliana, le parole -pietre e il canto assoluto di Ungaretti. Ma vero che Anceschi nella sua antologia aveva inteso tutti questi poeti come lirici nuovi. Dunque gi nella prima parte del secolo, la questione poesia-prosa, con forti ricadute sulla stessa idea di lirica, risulta del tutto aperta. Poi dal secondo dopoguerra, specie tra anni Sessanta e Settanta, il rapporto prosa-poesia subisce senza dubbio unaccelerazione, in certi casi anche con motivazioni piuttosto estrinseche, cio di superficie, tutte linguistiche (non di lingua), cio accademiche, istituzionali, piuttosto che di comprensione della realt. Mi sembra comunque molto indicativo della nuova inclinazione del rapporto poesia-prosa nel secondo Novecento, il fatto che Anceschi e Antonielli, al momento della riedizione nel 1962 della loro Lirica del Novecento , abbiano precisato in una nota che gli sviluppi pi recenti della poesia di Pasolini non erano stati inclusi nella nuova edizione dellantologia perch non conformi alla produzione poetica della prima met del secolo, ivi compresa quella dello stesso Pasolini. La prima edizione della Lirica del Novecento del 1953. Evidentemente la nuova e diversa poesia di Pasolini che si era affermata nel frattempo, e che veniva percepita come non conforme al canone lirico della prima parte del Novecento, era quella delle Ceneri di Gramsci, che sono del 1957. Per quanto riguarda poi il passaggio di Sereni che hai ricordato, si tratta in realt di una rivendicazione di libert; la libert per un poeta di scrivere delle cose che vuole nel modo che vuole, perch i suoi vincoli e il suo impegno non si misurano a partire dalladerenza o meno a indicazioni o a programmi estrinseci al suo lavoro, cio alla sua visione delle cose, al suo sentire ( proprio il verbo usato da Sereni) e al suo rapporto con la lingua. Per quanto riguarda invece il movimento che Berardinelli ha definito cos bene, perch nel modo pi semplice, come la poesia verso la prosa, negli ultimi decenni si determinato in modi molto diversi, con acquisti, perdite, intrecci e compensazioni assolutamente imprevedibili. Dunque, s, come dici, le nuove possibilit di altezza e dintensit, pensiamo solo a certe poesie di Stella variabile, o a Zanzotto, a quella che Gian Mario Villalta ha definito la sua costanza del vocativo. Ma pi che nuove, preferirei anche in questo caso la parola diverse, perch appunto diverso il rapporto instaurato con la prosa. Ma si tratta comunque di quegli specifici casi ed esiti di poesia. Per altri questa relazione ha risposto invece a unintenzione assolutamente diversa e in modi altrettanto diversi si realizzata. Montale, Pasolini, Giudici, Sanguineti, ma anche poeti pi vicini Rispetto a que sto, direi allora che Berardinelli guarda al verso (della poesia) che nel suo movimento verso la prosa diventa altro, qualcosa che non pi, appunto, un verso. A me interessa piuttosto il verso (della poesia) proprio l dove nel suo procedere verso la prosa attiva anche un movimento di reazione contraria che in qualche modo versus prosa. Insomma, Bringing It All Back Home come un pesce (la poesia) che si avvicina a un altro (la prosa) e ne mangia un pezzo. Il primo pesce rimane se stesso, ma sar un po diverso da prima, perch nella pancia adesso ha qualcosa dellaltro. Lho detto anche prima, ma la mia insistenza, anche teorica, su termini quali capacit, comprensione e inclusivit, si mossa anzitutto in questa direzione. Berardinelli molto affascinato dal cedimento, diciamo cos, della diga poetica, vale a dire di quelle prerogative formali, di lingua e di tono che tradizionalmente garantivano la riconoscibilit della poesia. Il Montale di Satura e il Pasolini di Trasumanar e organizzar si muovono per lui appunto in questa direzione. Sono, per certi versi, dei capostipiti. Per sua natura Berardinelli insofferente della fissit, delle cose che si ripetono, delle garanzie offerte dai codici prestabiliti; e ha un atteggiamento assolutamente non nostalgico verso la tradizione, verso il passato, perfino verso gli autori che ha amato e che continua ad amare. Cos, anche questi movimenti della poesia, o di quello che cos continuiamo a chiamare (lo dico perch a questo punto nasce anche un problema terminologico), rientrano in una sua riflessione pi ampia sulla natura dei generi, della letteratura e, pi generalmente, della scrittura in quanto tale. Quando Berardinelli 65

sostiene che la vera e migliore poesia del tardo Pasolini va trovata nei suoi articoli e interventi polemici sui quotidiani, oppure quando sottolinea limportanza fondamentale della componente saggistica e di riflessione in molte delle migliori scritture degli ultimi decenni, ecco, siamo esattamente nel cuore di quella che per lui la vera questione della letteratura contemporanea. In una tale prospettiva la poesia, che per tradizione il genere di tutti pi codificato, costituisce un reagente molto produttivo. La differenza potrebbe essere allora che pur guardando a procedimenti e fenomeni della stessa natura (il che significher pure qualcosa), io sono pi interessato agli acquisti e alle perdite, alle nuove curvature, formazioni e deformazioni della diga che in qualche suo modo tiene, sia contro sia grazie alla pressione del grande mare della prosa; Berardinelli, invece, guarda pi alla sua rottura in funzione di qualcosa di diverso che potrebbe nascere, e che forse gi nato, dalla combinazione e trasfusione delle tante acque diverse. Proprio per questo cos attento a certi autodaf poetici come quelli di Montale e Pasolini. Sa bene che le cose che nascono stanno nelle ceneri stesse delle cose che sembrano morire. Forse i nostri in fondo sono due sogni, con molti punti di tangenza e probabilmente entrambi sbagliati: quello di una poesia che cresce (trasformandosi) e quello di una poesia che si trasforma (crescendo). Sbagliati non quanto a splendore del sogno, quanto per lincapacit che ne pu derivare di riconoscere il significato di una parte delle cose che stanno accadendo. Se a volte mi pare che Berardinelli abbia aperto troppo il rubinetto dellacqua per seguire certe sue idee e attese, dallaltro spesso mi accorgo, e di questo ne sono sicuro, che personalmente ho fatto passare per il rubinetto solo quella parte dacqua che sentivo di poter riconoscere e il cui sapore, alla lettera, mi piaceva. Ma, forse, in una caso e nellaltro tutto ci inevitabile. Da qualche parte bisogna pur guardare e prendere. Chi guarda tutto in realt non vede e soprattutto non dice niente. I.T. Lidea che la terza generazione, invece di liquidarla, traghetti la poesia e quindi anche la lirica che continua a giocare un ruolo decisivo, seppur mutato, in questa linea nel postmoderno, si collega nel tuo lavoro allipotesi critica che negli anni Otta nta sia emersa una nuova ondata di poeti che avrebbe in qualche modo ereditato il testimone della terza generazione, assumendo in positivo quella poetica possibile per la postmodernit che serenianamente caratterizzi come una poetica dellesperienza aperta , della responsabilit individuale e dello splendore variabile. In tal senso nellintroduzione ai Nuovi poeti contemporanei parlavi per gli autori antologizzati Benzoni, DElia, Mussapi, Pagnanelli, Ceni, Scarabicchi, Valduga, Salvia, Pusterla, Rondoni, Fiori, Damiani, Villalta, Albinati, Anedda, Gibellini, Riccardi di una nuova fiducia nella poesia come luogo di definizione e illuminazione di una figura individuale. Ci varrebbe a contrastare la tesi critica del progressivo decentramento dellio, fat ta valere per la poesia degli anni settanta e oltre in diverse sedi critiche, a favore di una nuova centralit dellio, alla cui luce il ritorno della lirica nella poesia in lingua e in dialetto non andrebbe letto come mera sopravvivenza o mossa regressiva di ripiego, ma piuttosto come un segnale di rinnovamento e rigenerazione. Ti sembra che ci continui ad essere vero anche per la poesia italiana dei due decenni successivi e che leredit della terza generazione continui a farsi valere? E quali mutament i significativi ti sembra di poter osservare, in particolare per quanto riguarda il riposizionamento della lirica nella poesia pi recente? R.G. Mah quando ho cominciato a pensare lantologia, tra il 1993 e il 1994, la mia intenzione era quella di mettere in luce una gruppo di poeti che sentivo vicini e a cui ero piuttosto legato; s, poeti che per me e per qualche mio compagno di strada erano stati importanti dal punto di vista personale, ma anche indicativi di qualcosa di specifico che stava accadendo nella poesia italiana da una quindicina danni, e che non coincideva con le proposte e col modo dei poeti del pubblico della poesia gi da tempo ampiamente, perfino troppo, stabilizzati e storicizzati. La lirica di per s non centrava nulla. Piuttosto, mimportava testimoniare il valore della ricerca poetica di alcuni autori e definire qualche caratteristica pi o meno comune a questa generazione di poeti, fino a quel momento assolutamente dispersa, al limite dellinvisibilit. Tra le prime di queste, c era 66

sicuramente la riscoperta a partire dagli anni Ottanta di quelli che fino a quel punto erano maestri in ombra anzitutto i poeti della terza generazione, e poi Fortini, Giudici, Pasolini, Zanzotto , in quanto da almeno due decenni pressoch ignorati, prima dal vuoto mentale della neoavanguardia, poi dai pressappochismi e dalle soluzioni gratuite di molti poeti del pubblico della poesia. Pi generalmente, si pu dire che quel recupero rientrasse in un orientamento pi ampio al recupero dei classici e alla riabilitazione dellidea di tradizione, e insieme in una ripresa dinteresse per le questioni formali, la metrica, la capacit relazionale della lingua, ecc. Qualcuno ha visto in questa tendenza una reazione conservativa della nostra poesia, e questo giudizio pu anche avere qualche elemento di verit, ma soltanto mi pare per i poeti in cui questo rapporto con la tradizione poetica si risolto in modo pi superficiale e scontato. Piuttosto, vero che si trattato di una tendenza molto estesa, che ha coinvolto la maggior parte della poesia italiana degli ultimi tre decenni in modo trasversale rispetto alle generazioni. Basta pensare a Raboni, o alla conversione formale dei pi capaci tra i poeti del pubblico della poesia, ma anche, per esempio, a Sanguineti, che dalla met degli anni Settanta si assestato su registri poetici alquanto garbati, raggiungendo proprio a quel punto, in linea con la sua intrinseca natura crepuscolare, i suoi risultati migliori. Proprio cos, piove, mercoled, sono a Genova Dunque, a questo punto non parlerei tanto di centralit dellio, anche se certe esperienze di poesia possono senzaltro legittimare una definizione di questo tipo; quanto di un assetto meno anarchico e disperso, e viceversa di maggiore spessore e riconoscibilit del discorso poetico in quanto tale, con acquisti e perdite che andranno sempre valutati caso per caso, cio in relazione alla qualit di ogni singolo poeta. I.T. Infine vorrei soffermarmi meglio su quella linea pragmatica della poesia europea che stabilisce un rapporto utilitaristico con il codice della tradizione la linea Brecht-Auden, rappresentata da noi al meglio da Fortini, ma che passa gi attraverso certi lati di Montale e Pasolini che in Dopo la poesia distingui dalla linea dellautenticit della terza generazione cui attribuisci i risultati forse pi alti ma che a tuo avviso avrebbe un grande valore di resistenza poetica e soprattutto una forza notevole dapertura al futuro, una necessit dichiarativa e pragmatica in c ui non improbabile che risiedano molte delle possibilit per una poesia presente e futura. Come ti sembra che questa linea si faccia effettivamente sentire nella poesia degli ultimi decenni, eventualmente ibridandosi con altre tendenze? E quali sono le conseguenze per lespressione lirica contemporanea? R.G. Piuttosto che di linea parlerei di una possibilit di poesia; e comunque credo che nella poesia italiana contemporanea, delle ultime generazioni, intendo, sia praticamente irrilevante, perch mi pare che non ci sia un poeta che si muova realmente da quelle parti. Non nel senso che intendo, almeno, che non va confuso col puro e semplice neo-metricismo. Qualche tangenza possibile trovarla pi indietro: Fortini, Pasolini, specie quello di Trasumanar e organizzar, lultimo Montale (che non a caso interessava molto a Pasolini), Giudici, Raboni, Bandini. Mi pare che anche Andrea Gibellini nel saggio che qualche anno fa ha dedicato a Auden, riferendosi a possibili riscontri italiani del pragmatismo poetico audeniano, non si avvicinasse di pi nelle sue indicazioni. Certo sarebbe bello venire sconfessato dai fatti. Anzi, al riguardo la mia speranza proprio questa.

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INTERVISTA A GUIDO MAZZONI


ITALO TESTA. In che misura la diagnosi che formulavi in Sulla poesia moderna, in base alla quale la poesia sarebbe stata sottoposta, a partire da un certo momento storico, a un processo di revoca del mandato sociale, riguarda la lirica? Si pu distinguere tra poesia lirica e lirica intesa come unesigenza, un bisogno c ui pu essere data risposta con mezzi espressivi differenti rispetto a quelli della poesia? E come si lega tutto ci alla genealogia della forma moderna di soggettivit espressiva di cui parli nel tuo libro? GUIDO MAZZONI. Forse opportuno chiarire fin dallinizio il significato dei termini di cui ci stiamo servendo, a cominciare da quello centrale nel discorso la nozione di lirica. Questa categoria ha subito trasformazioni profondissime. Laccezione pi comune nel discorso poetico contemporaneo emerge tra la seconda met del Cinquecento e la seconda met del Settecento, quando nasce lidea che lo spazio letterario sia diviso in tre grandi generi: la narrativa, il dramma e, appunto, la lirica. In questa prospettiva, lirica ogni poesia in cui un io esprime un contenuto personale in una forma personale. Per la poetica antica, e per le poetiche classicistiche nate sul modello della letteratura greca e latina, la parola lirica aveva un significato pi ristretto: indicava la poesia cantata al suono della lirica e, per estensione, la poesia che si richiamava ai temi e ai metri che derivavano da quelli della poesia un tempo cantata al suono della lira. Il significato moderno della parola emerge a met del Cinquecento, ma diventa egemone solo in epoca romantica. Ora: non tutta la poesia moderna coincide con la lirica, ma indubitabile che la lirica sia il centro della poesia moderna. Allo stesso modo, indubitabile che la perdita di mandato sociale dello scrittore, che segna la storia della scrittura in versi da un secolo e mezzo almeno, valga a maggior ragione per il sottogenere lirico, perch questultimo esprime in forma pura quellindividualismo, quellegocentrismo, quellinesplicato bisogno di individualit, come dice Mallarm, che il fondo etico della forma di vita emersa negli ultimi secoli. In particolare, la lirica esprime bene la variante del soggettivismo che Charles Taylor chiama espressivismo, cio lideale etico per cui il senso della vita starebbe nella capacit in qualche modo nellobbli go di essere allaltezza della propria originalit, di esprimere la propria differenza soggettiva. A partire dallepoca romantica, lespressivismo diventa un ethos sempre pi condiviso dagli intellettuali; a partire dagli anni Sessanta, si diffonde fra l e masse in Occidente. La poesia moderna larte d lite che pi direttamente si lega a un simile bisogno, e la lirica il centro del sistema. Ne nasce una dialettica vertiginosa e senza conciliazione. Da un lato, unarte come la poesia moderna, e in particolare il sottogenere lirico, esprime qualcosa di profondo, che iscritto nella nostra condizione, irriducibile e incancellabile: qualcosa di cui abbiamo bisogno per il fatto di vivere qui ed ora e di essere fatti cos come siamo, di appartenere alla forma di vita che vige nella nostra epoca. Dallaltro, ci che avvicina gli individui formalmente, nei contenuti li allontana. Lesigenza autoespressiva che tutti condividiamo produce infatti una diffrazione infinita dei modi in cui ciascuno di noi esprime se stesso. Attraversate da moti centrifughi, le forme della poesia moderna diventano sempre pi frantumate al loro interno, sempre pi plurali. Ecco perch la scrittura in versi degli ultimi secoli risulta al tempo stesso straordinariamente rappresentativa della nostra condizione e perennemente in crisi. Molti scrivono, molti ambiscono ad esprimere se stessi, molti desiderano vedere la propria soggettivit riconosciuta in quanto soggettivit; pochi leggono, pochi sinteressano alle espressioni prodotte dagli altri, pochi escono dal proprio io, o dallio collettivo del piccolo gruppo cui si appartiene. Tutti scrivono poesie, nessuno compra i libri di poesie scritti dagli altri. Questa contraddizione, particolarmente vistosa negli ultimi decenni, era denunciata negli stessi termini gi da Foscolo: segno che si tratta di un fenomeno di media durata. Dunque la lirica moderna il centro della poesia moderna. Esprime unesigenza di soggettivit che universale, almeno da due secoli a questa parte. Unisce gli individui in quanto desiderio condiviso, ma li divide negli esiti; allo stesso modo, il bisogno di individualit, che al cuore della condizione moderna, avvicina le esigenze e disperde i modi in cui le esigenze si incarnano, giacch 68

il desiderio di esprimere se stessi si moltiplica, ma i mondi personali frutto di questa espressione si differenziano. Tutti noi vogliamo esprimere noi stessi, essere allaltezza della nostra originalit, vederci riconosciuti in quanto portatori di una soggettivit unica; allo stesso tempo, proprio perch tutti gli altri fanno la stessa cosa, non possiamo non dividerci. Da una simile dialettica non si esce. Essa descrive la nostra condizione e non attraversabile se non in virt di una metamorfosi epocale. I.T. Possiamo dunque affermare che, mentre diverse diagnosi della condizione tardo-moderna o postmoderna in teoria della letteratura partono dallassunto del decentramento del soggetto, ci cui assistiamo nella tua ricostruzione piuttosto un decentramento della poesia lirica come sistema espressivo che cattura la dimensione lirica della soggettivit moderna? In un certo senso tutto il tuo discorso fa perno sullidea che non vi per nulla un decentramento del soggetto ma che anzi la nostra societ sempre pi si incunea nella soggettivit. Il decentramento della poesia andrebbe a favore di altri mezzi espressivi che nondimeno vanno incontro ad una esigenza lirica del soggetto moderno. Come vedi questa tensione tra centratura soggettiva e decentramento poetico? G.M. Innanzitutto questo: la mia lettura della modernit in generale, e della modernit artistica in particolare, insiste sui fenomeni di medio e di lungo periodo. Io credo che i nostri problemi essenziali siano ancora quelli che emergono fra il romanticismo e il modernismo o, se si preferisce, tra Hegel e Nietzsche, tra Tocqueville e Weber. Nel frattempo le risposte si sono aggrovigliate, segmentate e dettagliate, ma i problemi di fondo sono rimasti gli stessi. In questo senso, ci che chiamiamo postmoderno solo lo stadio estremo di uno stato di cose che si fissa un secolo e mezzo prima. estremo perch ha bruciato tutte le risposte che la cultura moderna ha dato ai propri problemi, ma ancora uno stadio della modernit perch non ha cambiato i problemi di fondo. Le impalcature delledificio discorsivo che ancora ci contiene sorgono fra la fine del XVIII e il XIX secolo. Certo: nel frattempo ledificio si sfrangiato, si moltiplicato, ha perso linearit; nuove stanze si sono aperte dappertutto; forse abbiamo smarrito la mappa della costruzione - ma le fondamenta sono ancora quelle. Al centro di questa costruzione ci sono due eventi: lemergere di una soggettivit che si vuole autocentrata, che si vuole valore supremo, e la crisi endemica di tutti i valori collettivi, le trascendenze condivise, gli di. I due fenomeni, com ovvio, sono legati fra loro. Alla fine, lesigenza di soggettivit il pi tenace di tutti gli di, quello che non si lascia trascendere o negoziare. Gli individui moderni condividono un simile bisogno, ma non possono condividere la risposta al bisogno, il contenuto con cui riempire tale desiderio. Ecco perch, se osservati dallesterno, i mondi soggettivi si assomigliano: sono tutti diversi e, in ultima analisi, tutti seriali nella loro differenza. A questo proposito interessante riflettere su una simultaneit storica: lepoca che vede sorgere forme sempre pi soggettivistiche di arte la stessa che vede sorgere saperi sempre pi spersonalizzanti; lepoca che affina la rappresentazione delle vite contingenti e delle soggettivit individuali la stessa che produce un sapere come la statistica. Lemersione del romanzo moderno contemporanea allemersione del calcolo delle probabilit; lemersione della lirica moderna contemporanea allemersione della sociologia quantitativa. Da un lato, nascono pratiche e discorsi che lasciano parlare le singole persone nella loro differenza; dallaltro, nascono pratiche e discorsi che trattano le singole persone come identiche: come numeri, come ci che vertiginosamente sostituibile. Sono i due lati del mondo che da qualche secolo abitiamo. In mezzo vi sono tentativi raffinatissimi di conciliazione politica e culturale, che per non hanno prodotto alcun risultato stabile. In tal senso, la nostra soggettivit infinitamente centrale e infinitamente decentrata allo stesso tempo. un valore non negoziabile per noi, mentre per gli altri fungibile e seriale. I.T. Mi interessa capire meglio quali siano le conseguenze interne del decentramento della poesia lirica in particolare e della poesia moderna in generale in rapporto al sistema delle arti e allo spazio sociale. Se questa dislocazione della poesia lirica non coincide con una sua scomparsa, 69

allora diventa interessante chiedersi se il decentramento non abbia un qualche valore cognitivo euristico. Proprio in quanto si sposta verso il margine, la poesia, e in particolare il suo nucleo lirico, non potrebbe andare ad intercettare fenomeni e ad esprimere trasformazioni non afferrabili dal centro del sistema? Ti sembra che in tal senso la poesia contemporanea, in particolare negli ultimi decenni, porti in luce nuove figure dellio lirico? G.M. Questa domanda apre molti piani del discorso. Intendendo lidea di lirica moderna in senso ampio e tipologico, esistono scritture liriche in cui lio si rappresenta come centro del mondo ed esistono forme di lirismo in cui la persona dice io si mostra divisa, periferica, marginale. Quando si dice che la lirica in crisi o morta, si fa spesso riferimento a una nozione ristretta di lirica: la lirica come genere di un soggetto forte, sicuro di s, certo del proprio valore universale, monologico, monolinguistico. Questa visione parziale: si muove ancora nel solco di una lettura romantica e neoromantica; usa la categoria di lirica in un modo limitato e criptonormativo. Il fatto che poeti come Philip Larkin o Giovanni Giudici, per citare due scrittori quasi coetanei (Larkin nato nel 1922, Giudici nel 1924), abbiano lasciato straordinari esempi di poesia soggettiva fondati su un io autodenigratorio, autoironico, non li porta certo fuori dalla tradizione lirica. Nelle loro opere, la persona che dice io esprime il proprio decentramento rispetto alla realt ma rimane pur sempre il centro del testo. Negli ultimi decenni la poesia, in Italia e in Europa, ha espresso soggettivit liriche quasi sempre lacerate e dislocate. Cos facendo ha intercettato la marginalit reale dei nostri ego. Allo stesso tempo, mantenendo listanza lirica, ha conservato lio al centro del mondo testuale. In questo modo, si fatta carico di una contraddizione che nelle cose, esprimendo ci che non poteva essere espresso altrimenti. Arrivo alla seconda parte della tua domanda. Negli ultimi quarantanni lobbligo di vivere allaltezza della propria originalit diventato un ideale etico di massa. Parallelamente, lesigenza di lirismo, un tempo appannaggio di unarte di lite come la poesia moderna, entrata prepotentemente nella comunicazione di massa attraverso le canzoni pop e rock. Siccome coloro che gestiscono la soggettivit nella canzone le rockstar godono di un mandato sociale plebiscitario e si rivolgono a un pubblico diverso da quello della poesia, le prime persone che questo genere darte intercetta esprimono il bisogno di individualit in maniere di fferenti da quelle che troviamo espresse nella letteratura d lite. Ma non vorrei indugiare troppo sul tema. Molti lettori di Sulla poesia moderna si sono soffermati quasi esclusivamente sul confronto fra poesia e canzone che cerco di tracciare in un paragrafo dellultimo capitolo, come se il libro parlasse solo di quello. I.T. Prendendo spunto da quanto dici sulla canzone, mi sembra che uno dei temi che la poesia degli ultimi decenni eredita dalla cultura rock e pop una certa ossessione per il tema della corporeit. A tale proposito nel pensiero contemporaneo si confrontano a mio avviso due posizioni fondamentali: mentre una certa linea di lettura vede nell embodiment una via alla desoggettivizzazione, addirittura in senso post-organico e post-human, unaltra corrente, pi vicina allesperienza fenomenologica, lo legge piuttosto nei termini di una ri -centratura somatica del soggetto. A tuo avviso la centralit del corpo nella poesia di molti autori contemporanei in che senso agisce? Pensi che abbia a che fare con il processo di riposizionamento e mutazione del soggetto lirico? G.M. Sono assolutamente a favore della seconda lettura. La centralit del tema del corpo non comporta unuscita dal soggettivismo: tuttaltro. Il corpo ci che sempre mio, per parafrasare ci che Heidegger diceva della morte. Per quanto io possa lavorarci sopra, per quante protesi e dispositivi io possa sovrapporvi, ne ho uno e uno solo. la mia situazione, il mio essere situato. Non c nulla di pi egocentrico. Lossessione contemporanea per il corpo ha una data di nascita. coeva allinizio di ci che, con Pasolini, chiamiamo mutazione antropologica. Mi ha sempre stupito la coincidenza cronologica 70

di due osservazioni paradossali. La prima viene da Philip Larkin. Larkin ha scritto una poesia provocatoria, intitolata Annus mirabilis, che comincia cos: Sexual intercourse began/In nineteen sixty-three/(which was rather late for me) -/Between the end of the Chatterley ban/And the Beatles' first LP: i rapporti sessuali cominciarono/ nel millenovecentosessantatre/ (il che era piuttosto tardi per me)/ tra la fine del bando a Lady Chatterley/ e il primo LP dei Beatles. La seconda viene da Andy Wahrol, il quale diceva che la giovent nata nel 1964. Ora: lossessione contemp oranea per il corpo, come i sexual intercourses e la giovent, fa parte di quella straordinaria mutazione antropologica che lOccidente ha vissuto negli ultimi decenni. La metamorfosi ha molti piani. Uno di quelli decisivi il crollo, la frantumazione del Super-Io collettivo, degli interdetti che secoli, millenni di cultura avevano posto sulla dimensione dellEs, sui moti centrifughi delle passioni che portano in quella che Agostino chiamava la regio dissimilitudinis. In questo movimento non c nulla di anti-individualistico: si tratta anzi del trionfo dellindividualismo, della sua realizzazione nella forma pi potente. A tale proposito una delle diagnosi epocali pi lucide che abbia letto negli ultimi anni si trova nei romanzi di Michel Houellebecq, e soprattutto nel suo capolavoro, Le particelle elementari. Tra corpo e soggettivismo, corpo e individualismo, corpo ed espressivismo non c alcuna opposizione, ma piuttosto una perfetta congruenza. Mi viene in mente il significato che comunemente attribuiamo alla metafora del girare intorno al proprio ombelico. Di solito si dice, in modo dispregiativo: questa scrittura gira intorno al proprio ombelico, una scrittura che non esce da se stessa. Unimmagine simile ci d il senso di quanto il corpo sia connesso alla soggettivit. Nel nostro linguaggio comune la usiamo per indicare un radicamento eccessivo nellio: non uscire da se stessi significa restare attaccati al centro del proprio corpo, allomphalos. Ora: la metafora non ha pi ragione di essere usata spregiativamente nel momento in cui la cultura contemporanea ci dice che la dimensione del corpo e dellego per noi centrale e invalicabile. Parliamo di questo perch siamo anche questo. Non tocca agli artisti oltrepassare una simile dimensione con un gesto volontaristico. Larte, in quanto sismografo epocale, ha il dovere di dirci dove siamo situati: se oggi siamo situati nel corpo, se siamo situati nel nostro ego, allora larte deve girare intorno al proprio ombelico. Magari ci si pu augurare che non faccia solo questo, perch oltre lego ci sono i mondi infiniti che ci trascendono oggettivamente e oggettivamente ci ignorano; per legittimo, doveroso che faccia anche questo. I.T. Nella poesia italiana degli ultimi decenni ci sono autori che consideri in qualche modo emblematici di questa nuova centratura corporea del soggetto? G.M. Faccio il nome di due poeti ultralirici, di un lirismo fondato su una soggettivit divisa e dislocata, e al tempo stesso attenti alla dimensione corporea: Mario Benedetti e Antonella Anedda, peraltro coetanei. Sono poeti ipersoggettivi; raccontano schegge della loro vita; stanno al centro della scena testuale in quanto nomi propri. Ma le loro prime persone sono sempre lacerate e somatiche: lultimo libro di Anedda porta il corpo nel titolo stesso dellopera (Dal balcone del corpo); nelle opere di Benedetti la dimensione della fragilit, della malattia, della precariet fisica del nostro esserci sempre esibita. Abbiamo dunque una costellazione fatta di tre elementi: un io, una lacerazione interna, un corpo. Queste cose stanno perfettamente insieme e producono alcuni dei libri di poesia pi belli degli ultimi decenni. I.T. Viene in mente il titolo di un libro di Valerio Magrelli Nel condominio di carne che da un lato con la metafora condominiale fa pensare allaggregazione di molteplici elementi, se non a una pluralit impazzita, che potrebbe puntare ad una lettura dell embodiment nei termini della dissoluzione dellio, dallaltro non si congeda da quella dimensione autoptica e autocentrica della scrittura che segna i testi di Magrelli sin dallesordio. In che direzione punta a tuo avviso la poesia di Magrelli?

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G.M. Non ho citato Magrelli assieme a Benedetti e Anedda perch lelemento lirico tradizionale una soggettivit che entra nella scrittura carica di passioni esistenziali primarie - in Magrelli meno presente. Lio di Magrelli innanzitutto un osservatore, un anatomista, prima di essere una persona situata in un reticolo di passioni. Questottica analitica allontana la sua poesia dal lirismo tradizionale pi di quanto non facciano le scritture di Benedetti e di Anedda, che sono invece, da molti punti di vista, dei poeti lirici istintivi. Per tutto il resto (lelemento corporeo che diventa cos presente da incarnarsi in un libro, il fatto che questo elemento corporeo rimanga sempre ancorato alla dimensione di un io che parla di s) Magrelli sta dalla parte di Benedetti e Anedda. E anche per il valore dei risultati, ovviamente. I.T. Soffermiamoci ancora sulla fenomenologia dellio poetico contemporaneo. Dopo aver toccato il problema del corpo, vorrei ora affrontare una questione direttamente connessa, vale a dire quella dellesperienza. Nel dibattito critico italiano sulla letteratura il problema della fine dellesperienza stato di recente ripreso soprattutto in relazione alla questione del romanzo; per altri versi ipotesi di lettura della poesia contemporanea centrate sulla terza generazione penso alla prospettiva di Roberto Galaverni in Dopo la poesia sembrano andare in cerca di un nuovo radicamento esperienziale del soggetto lirico. Contrastando implicitamente la tesi della fine dellesperienza, sembra qui riaprirsi in poesia la possibilit per il soggetto poetico, che non comunque la riproposizione dellio lirico tradizionale, di un nuovo accesso alle fonti esperienziali. Tu pensi che la questione dellesperienza possa continuare a giocare un qualche ruolo nella organizzazione cognitiva ed esistenziale della soggettivit lirica oppure pensi che i processi di decentramento dellio, e la sua progressiva esposizione a fenomeni di oggettivazione e spersonalizzazione, disgreghino lesperienza quale terreno e trama della soggettivit? G.M. Lespressione crisi dellesperienza proviene da due celebri sagg i di Walter Benjamin, Il narratore. Considerazioni sullopera di Nicolai Leskov e Di alcuni motivi in Baudelaire . Benjamin distingue in realt fra due tipi di esperienza: unesperienza collettiva che si trasmette da individuo a individuo e unesperienza ra dicalmente soggettiva, un Erlebnis. La crisi di questultima uno degli argomenti del saggio su Baudelaire. Si tratta dunque di un fenomeno di media durata, e non strettamente contemporaneo. Ora: indubitabile che la poesia contemporanea sia attraversat a da un indebolimento dellErlebnis , essendo i nostri ego esposti ogni giorno alla percezione dalla propria irrilevanza, marginalit, serialit. Non credo per che questa crisi abbia cambiato i meccanismi profondi della lirica. (In generale, non credo a queste visioni apocalittiche del mondo moderno. Credo piuttosto a unapocalisse lenta: credo che la nostra forma di vita non stia finendo con un bang ma con un whimper, con un vagito o un piagnisteo, come diceva Eliot alla fine degli Hollow Men). Ora: lesperienza soggettiva continua ad essere il centro della scrittura poetica contemporanea anche quando lio esperisce la propria crisi, come si diceva prima. Il tema della propria vita sempre a disposizione del poeta moderno, nel 2008 come nel 1958 o nel 1908: il medium in cui la lirica moderna si muove. Fino a quando ci saranno vite che si concepiscono come ultime istanze di valore, questo materiale sar un tema interessante da mettere sulla carta o sul file. Continueranno ad esserci autobiografie, poesie liriche in cui si raccontano frammenti di esperienza soggettiva, come sempre accaduto nella letteratura degli ultimi secoli. E anche prima, sia pure in una forma differente. I.T. Nel ciclo della poesia italiana post-montaliana, quali sono a tuo avviso i momenti pi rilevanti per quanto riguarda la rimodulazione dellesperienza lirica? Secondo alcuni, poeti come Sereni, Caproni, Bertolucci, Zanzotto testimoniano una resistenza della poesia lirica rispetto ad altre tendenze antiliriche gi innescate in par te dallultimo Montale e continuate per altre vie. Come disegneresti la mappa della resistenza lirica?

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G.M. Nella tua domanda implicita una considerazione che occorre rendere esplicita a chi legge questo dialogo: il pi importante poeta italiano del XX secolo un lirico, Eugenio Montale. La prima generazione che viene dopo Montale, la generazione nata fra il 1911 e il 1924 (uso le date di nascita di Bertolucci e Giudici come frontiere simboliche), quella di coloro che hanno avuto fra i venti e i trentanni durante la Seconda Guerra Mondiale, pullula di poeti che si mantengono tenacemente attaccati a un nucleo lirico. Pensiamo al Bertolucci migliore, quello di Viaggio dinverno; pensiamo a Sereni (dopo Montale, il pi importante poeta strettamente lirico che la letteratura italiana abbia avuto nel secondo Novecento), a molte delle raccolte di Luzi, a Fortini, ai primi tre libri di Zanzotto, a Pasolini. Un nucleo tenacemente soggettivo resiste a tutti i dispositivi escogitati dalla poesia italiana del secondo Novecento per trascendere la prima persona: il poemetto, il ritorno a forme narrative, teatrali o saggistiche, lapertura plurilinguistica e sperimentale. Soffermiamoci sulle Ceneri di Gramsci di Pasolini, per esempio: sullo sforzo enorme di costruire una poesia pubblica che si situi in una periferia antilirica, sullironia di un destino poetico. Proprio i poemetti che si vogliono oggettivi (testi su qualcosa, su un tema pubblico, sulle periferie di Roma, ecc.) si rivelano alla fine solidamente imperniati sul personaggio che dice io. Qual il vero tema di un testo come Il pianto della scavatrice ? la citt di Roma, sono le classi subalterne, o non piuttosto lio che fa lesperienza della citt e delle classi subalterne? Suo malgrado, Pasolini riman e un poeta neoromantico, ipersoggettivo, anche quando si sforza di non esserlo. Dico questo pensando a una tesi sviluppata da Enrico Testa nellantologia Dopo la lirica. Secondo Enrico Testa, a partire dagli anni sessanta, vi sarebbe stata una crisi della lirica nella poesia italiana del Novecento. In autori come Sereni troveremmo un nuovo soggetto poetico, diviso, disgregato e ormai estraneo alla lirica. Per spiegare questa tesi, occorre innanzitutto distinguere un doppio uso delle parole lirica e lirismo. In un senso esteso, come ho detto, la lirica una delle tre grandi forme in cui lo spazio letterario moderno si divide, quella che raccoglie i testi nei quali un io enuncia contenuti personali in uno stile che si vuole personale. In un senso pi ristretto, invece, lirica quella poesia in cui un io stabile, solido, che si crede importante, enuncia, con sicurezza e integrit, contenuti che lo riguardano in modo esclusivo, con una dizione poetica tendenzialmente monologica e monolinguistica che riflesso di una centralit esistenziale. Se si attribuisce alla parola lirica questo secondo significato, la tesi di Enrico Testa mi sembra condivisibile; se invece si attribuisce alla parola lirica un significato esteso e tipologico, la sua tesi diventa in accettabile per me. Pochi poeti italiani del Novecento sono pi intimamente lirici di Sereni: dopo aver letto i suoi libri noi sappiamo lessenziale della sua vita. Se questo non un poeta lirico, che cos allora un poeta lirico? Occorre poi ricordare che la prima e decisiva rivoluzione poetica moderna in Italia non la compie la generazione che ha fra i venti e i trentanni durante la Seconda Guerra Mondiale, ma la generazione che ha fra i venti e i trentanni durante la Prima Guerra Mondiale, vale a dire quella nata negli anni Ottanta dellOttocento: Saba, Gozzano, Jahier, Govoni, Rebora, Palazzeschi, Campana, Sbarbaro, Ungaretti, ecc. la prima generazione che rompe con ci che chiamerei romanticismo lirico, cio con una poesia fondata su un soggetto integro, sicuro di s, convinto che le proprie vicende e passioni personali abbiano un significato immediatamente universale. Le novit che Testa attribuisce alla poesia della terza generazione si trovano gi nella poesia scritta dai poeti che esordiscono nei primi ventanni del secolo. I.T. Enrico Testa, nella sua lettura del processo di deliricizzazione che investirebbe la poesia italiana contemporanea, punta molto su ci che potremmo chiamare la trasformazione dialogica. Tramite limmissione di elementi teatrali, colloquiali, il nucleo monologico e autoreferenziale dellio lirico verrebbe dissolto assieme al suo elemento esperienziale la lezione della terza generazione in Dopo la lirica in un certo senso storicizzata e consegnata al passato. La trasformazione dialogica, consumando lelemento monologico, separato, distante dellio, finirebbe per esaurirne il nucleo lirico espressivo. Credi che limmissione sempre pi frequente di elementi dialogici e teatrali nella tessitura della poesia contemporanea vada effettivamente in tal senso?

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G.M. Io credo che un ampliamento di registro non possa essere scambiato con un superamento della lirica in generale. Si ritorna allambiguit terminologica di cui parlavamo prima: la categoria di lirica moderna pu essere usata in due accezioni, una allargata e di genere, una ristretta e di poetica. Se si prende per buona la prima, il fatto che lio sia lacerato o plurale o il fatto che la sua dizione sia plurilinguistica e pluridiscorsiva non basta a far uscire un testo dal genere lirico, almeno fino a quando la poesia in questione detta da un io che racconta la sua vita. Quando ci narra i suoi problemi con la moglie e i figli, Sanguineti , n pi n meno, un poeta lirico; quando scrive Laborintus, non lo . Francamente, nella poesia italiana degli ultimi quarantacinque anni non vedo alcuna metamorfosi cos radicale da giustificare la tesi di un superamento della lirica in quanto genere. I movimenti di cui parla Enrico Testa sono reali, ma non costituiscono una soglia storica cos netta, a mio modo di vedere. I.T. Un altro elemento che stato utilizzato a supporto della posizione post-lirica, la tesi descrittiva secondo la quale vi sarebbe nella poesia contemporanea una tendenza verso la prosa per riprendere la formula di Alfonso Berardinelli con la crescente immissione di elementi prosaici, che poi in certe linee nostrane, pensiamo a tutta la linea lombarda, diventa quasi il tratto caratterizzante e ideologico. Secondo te, effettivamente constatabile questa tendenza della poesia verso la prosa e come la interpreteresti? G.M. Anche Berardinelli descrive un fenomeno reale; ma ancora una volta non mi pare che limmissione della prosa basti a distruggere la lirica come genere. Non farei di questo passaggio una soglia epocale. Venendo alle manifestazioni pi recenti, mi pare che un tratto interessante della poesia strettamente contemporanea sia un modo nuovo di intrecciare scrittura in versi e scrittura in prosa allinterno dei libri di poesia. Prendo il termine prosa nel suo significato pi semplice e pi letterale: prosa ci che va a capo solo alla fine tipografica del rigo. In alcuni poeti italiani contemporanei le due misure si intrecciano con naturalezza, generando una sorta di nuova stagione del prosimetro. Penso ad esempio ad Antonella Anedda o a Stefano Dal Bianco. Probabilmente la prosa occupa il posto di ci che un tempo negli anni cinquanta e sessanta avrebbe preso la forma del poemetto: rappresenta il tentativo di allargare i confini di ci che si pu dire in versi. Oggi il poemetto sembra forse pi artificioso di quanto non sia interrompere la catena delle poesie immettendo una pagina di pura prosa. Ma questo fenomeno non riguarda soltanto la lirica in senso stretto. Negli ultimi anni mi pare che emerga, in una parte della poesia italiana, una scrittura che ha tratti post-rituali, post-letterari. Pensiamo ad esempio alla metamorfosi delle forme metriche che incontriamo in alcuni poeti degli ultimi anni. Forse difficile affrontare questo discorso adesso, perch siamo ancora in mezzo al cambiamento e non abbiamo la giusta prospettiva. I.T. La soggettivit espressiva moderna si costituisce liberandosi dalle norme e affermando il suo diritto di non appartenere. In tal senso la traiettoria in cui la lirica poesia si era accampata al centro dello spazio poetico era anche un processo di indebolimento della struttura normativa della poesia. Pensi che fenomeni recenti quali il neo-metricismo nella poesia contemporanea testimonino un tentativo di riconciliare questi due aspetti, di riattivare una dialettica tra i due lati, tentando di riaprire la via allesperienza soggettiva proprio attraverso loggettivazione formale? G.M. Secondo me, lelemento manieristico e teatrale che attraversa la tendenza neo -metrica non si concilia bene con la lirica in senso stretto. Dopo oltre un secolo di verso libero, chi dice io in sonetti regolari assume una maschera implicita o esplicita e converte la propria poesia in anacronismo, come recita una citazione goethiana che Raboni ha premesso a una delle sue ultime raccolte. Peraltro interessante che i poeti promotori del ritorno alle forme chiuse siano coetanei dei poeti che hanno interpretato la metrica in modo completamente diverso: in un modo post-letterario, per usare la categoria di prima. Si tratta di una formula del tutto parziale, ma non me ne viene una 74

migliore. Questi autori sono post-letterari nelluso della sintassi e della metrica, mentre il tasso di figuralit dei loro testi si mantiene spesso molto alto. Ma metro e figure di pensiero non stanno dalla stessa parte dello spettro stilistico: il primo pura convenzione, le seconde sono leffetto di uno straniamento personale; le prime rimandano alla tradizione, le seconde alla soggettivit lirica - al talento individuale, avrebbe detto Eliot. Penso ad Antonella Anedda e Mario Benedetti, che avevo nominato in precedenza. La posizione dellultimo Viviani, di Fiori, di Damiani o di Dal Bianco affine ma diversa, perch il tasso di figuralit della loro poesia provocatoriamente basso. (Nellopera di Dal Bianco, poi, incontriamo un uso ironico e controllato di una sapienza professionale, essendo Dal Bianco un metricista. Nel suo caso, ars est celare artem). Se si leggono le poesie di questi autori, ci si trova davanti ad una dizione che pu sembrare sintatticamente e metricamente troppo semplice se confrontata con ci che in precedenza definiva la poesia. Dallaltro lato, abbiamo poeti della stessa generazione Patrizia Valduga, Riccardo Held o Gabriele Frasca, per esempio che hanno sperimentato e continuano a sperimentare forme di scrittura neometrica di tipo manieristico, talvolta teatrale, spesso cariche di unimplicita metaletterariet. Due movimenti in direzioni differenti, dunque: da un lato la crisi apparente del rapporto con la tradizione; dallaltro un recupero quasi citazionista, quasi virgolettato della tradizione; da un lato, la ricerca di una nuova oltranza, di una nuova immediatezza post-rituale; dallaltro lesibizione teatrale o manieristica della poesia come anacronismo. Che cosa pu significare una simile apertura dello spettro dei possibili? Forse questo: sempre pi difficile che la tradizione letteraria ci appartenga spontaneamente; sempre pi difficile conservare un rapporto organico, non ingenuo n archeologico, col passato della poesia. Forse si formato un gradino che la generazione di Sereni e di Luzi non percepiva. Listituto metrico, in quanto pura convenzione, il primo sismografo di questo movimento. I.T. Soffermiamoci allora su questo gradino e cerchiamo di illuminare il movimento che lo ha prodotto. La condizione di non appartenenza immediata alla tradizione di cui parlavi pu darci qualche indicazione ulteriore sul presente della poesia e le sue tendenze principali? Questa soglia introduce una qualche soluzione di discontinuit allinterno del campo moderno della poesia? G.M. Siamo finiti a parlare di poesia strettamente contemporanea. A questo proposito, vorrei sviluppare una riflessione che considero preliminare a ogni discorso sul presente e sulle sue metamorfosi. Negli ultimi decenni diventato evidente che la concezione modernistica e avanguardistica della storia letteraria andata in crisi, e che le arti occidentali sono entrate in una fase post-storica. Una tesi simile risale alla prima met degli anni ottanta. stata sviluppata da Arthur Danto e da Hans Belting, indipendentemente luno dallaltro. Che cos unepoca post storica? Riflettendo sulle arti figurative, Danto e Belting constatavano che, a partire dagli anni Sessanta, lidea tipicamente modernista secondo la quale larte del presente animata (o devessere animata) dalla ricerca del nuovo diventata minoritaria o si dissolta. La struttura portante su cui si reggeva questo edificio teorico si trova riassunta esemplarmente in una frase icastica di Pound: nessuna buona poesia scritta in uno stile vecchio di ventanni. Una sentenza simile oggi difficilmente ripetibile. Se fino a qualche decennio fa esistevano grandi narrazioni capaci di stabilire ci che era allaltezza dei tempi, e di dichiarare superata una certa maniera o un certo tema, oggi la stessa idea di unaltezza dei tempi che discrimini tra le opere up to date e quelle che non lo sono si fatta del tutto problematica. Il panorama delle arti ci si apre davanti non come una sequenza progressiva di avanguardie e retroguardie, ma come una distesa sincronica di correnti e tendenze centrifughe o, in altre parole, come un enorme scaffale. Da trentanni a questa parte la poesia moderna entrata in una fase post-storica. diventato difficile tracciare delle linee. In una certa misura lo sempre stato; i contemporanei hanno sempre pensato che il loro presente fosse caotico. Mi pare per che il caos degli ultimi decenni vada avanti da troppo tempo per essere solo un fenomeno di sfondo. Nella poesia italiana la percezione di una 75

mancanza di telos si diffonde gi a met degli anni settanta: unantologia come Il pubblico della poesia, per esempio, attraversata da un sentimento post-storico, e Berardinelli stato il primo a riflettere sulla mutazione. Oggi molto difficile costruire una mappa della poesia contemporanea. Il nostro presente poetico ha un aspetto angosciosamente plurale, per citare Blanchot e il titolo di una nota antologia. Se pensiamo per esempio ai poeti nati fra la seconda met degli anni Quaranta e gli anni Cinquanta, ci si apre davanti un panorama sfrangiato che difficile narrare in modo unitario. Anche calcolando la miopia strutturale di noi contemporanei, incapaci di vedere linte ro perch accecati dal nostro stesso essere contemporanei, io credo che la diffrazione stia nelle cose. Questi autori appartengono a tante famiglie poetiche differenti, che raramente si incontrano e raramente si parlano. Chi saprebbe inserirli in una storia? Non un caso che i tentativi finora intrapresi abbiano adottato la dimensione della pluralit o siano falliti. Naturalmente di qui a venti o trentanni si former un canone, emergeranno dei vinti e dei vincitori, dei sopravvissuti e dei soccombenti. E tuttavia ci non cambier di una virgola il problema: il campo della poesia contemporanea continuer ad essere centrifugo, anarchico, anomico al proprio interno; e fra trentanni quelli che scriveranno si troveranno nella nostra stessa condizione di crisi permanente. Lepoca post -storica non discende da una semplice percezione, ma da un esaurimento oggettivo. Si tratta di un problema fondamentale per larte contemporanea, e non basterebbe un saggio per cominciare ad affrontarlo. Molto sommariamente, nello spazio di un colloquio, direi questo: con la crisi del classicismo premoderno e la nascita dellestetica delloriginalit, le arti occidentali sono state attraversate da una tensione oggettiva verso il nuovo, perch le strutture di senso sorte in epoca romantica hanno impiegato decenni per sviluppare i loro effetti. Ci accaduto in un arco di tempo che si estende dalla fine del Settecento allepoca delle avanguardie storiche e del pieno modernismo. Durante questepoca, delle possibilit del tutto nuove irr ompono nel territorio delle arti. Per rimanere nellambito della poesia, il crollo del linguaggio poetico tradizionale (quello che Wordsworth chiamava poetic diction), linvenzione del verso libero, la possibilit di scrivere frasi asintattiche, la liberazione della figuralit retorica di limiti del senso comune erano novit collettive e vincolanti: chi partecipava al campo della poesia moderna poteva accettarle o rifiutarle, ma non poteva ignorarle. Ci non vuol dire che i poeti in versi liberi abbiano scritto opere migliori dei poeti che usavano i versi tradizionali; vuol dire per che, nel momento in cui il verso libero si afferma, accade qualcosa che tutti i partecipanti al campo letterario percepiscono come inedito e inaggirabile, come qualcosa cui si deve reagire. La stessa cosa accade nel momento in cui va in crisi la mimesi nelle arti figurative o il sistema tonale nella musica. Si possono accogliere o rigettare queste novit, ma si ha il senso di assistere a un fenomeno vincolante. Il paradigma artistico cui oggettivamente si appartiene esplica, poco a poco, tutte le sue possibilit implicite, e chi scrive, chi dipinge, chi compone musica deve adeguarsi alla mutazione. Oggi non ci sono pi eventi artistici di questo tipo; il nostro foglio epocale pare interamente dispiegato. Siamo circondati da tante scritture potenzialmente nuove, ma la loro novit non mai inoppugnabile e fondante. Allo stesso modo, siamo circondati da tante scritture non innovative, ma la loro mancanza di novit non costituisce un problema per la maggior parte di noi. I.T. Nellepoca post-storica saltano molte dicotomie nette, come quelle tra avanguardia e retroguardia, centro e periferia, e aggiungerei anche la dicotomia tra lirica e antilirica, che in tempi diversi ha coinciso con le precedenti e da ultimo con lidentificazione dellantilirica con lavanguardia e della lirica con la retroguardia che si attarda in periferia. Vi sono peraltro diversi modi di accostarsi a ci che chiami epoca post-storica. Ad esempio Alfonso Berardinelli nel suo recente Poesia non poesia , prendendo le mosse dalla crisi del modernismo e dello storicismo progressivo ad essa connesso, interpreta la condizione post-storica quale epoca post-moderna della poesia. interessante in particolare il modo in cui Berardinelli sostiene come nelluscita dal modernismo diventino possibili modi inediti di rapportare tra loro elementi premoderni e elementi moderni. Auden sembra essere lesempio emblematico di un autore che sfugge ad ogni facile 76

dicotomia e attinge a suo piacimento dunque postmodernamente ora a elementi della tradizione premoderna ora ad elementi della tradizione moderna, con uno spirito libero dalle gabbie della linearit progressiva storicistica. Potremmo rivisitare lintera questione anche sot to letichetta del rapporto con il classico e del classicismo. Lentrata nella condizione post -storica loccasione per il presentarsi di forme di classicismo straniato lAuden di Berardinelli che rimescolano postmodernamente le carte tra antico e moderno? Oppure credi che le forme di classicismo che vedi allopera nella poesia del Novecento penso alla tua lettura di Montale nei termini di classicismo moderno non mettano in discussione la nostra appartenenza alla modernit? G.M. La tesi illustrata da Berardinelli interessante. Possiamo legarla al discorso di Danto e Belting e, prima ancora, alle riflessioni che uno scrittore come John Barth sviluppava, alla fine degli anni sessanta, in uno dei testi con cui si fa iniziare la riflessione sul postmoderno in letteratura, il saggio The Literature of Exhaustion (1967). Giustamente Berardinelli osserva che Auden, rispetto ai poeti modernisti (rispetto a Eliot, per esempio), agisce gi come un postmoderno. Almeno sino a Ash Wednesday (1930) Eliot si muove dentro un paradigma modernista; Auden, al contrario, recupera dal passato forme che i modernisti giudicavano tramontate. ( interessante riflettere anche su un atteggiamento come quello di Faulkner. Faulkner si comporta gi come un manierista rispetto al suo maestro Joyce, nel momento in cui sostiene che lo scrittore contemporaneo dovrebbe leggere lUlisse come il pastore protestante legge la Bibbia: con fede. come se Joyce avesse segnato i estremi limiti della sperimentazione e Faulkner, non sapendo andare oltre, accettasse di lavorare con ci che esiste gi. Nasce insomma la tradizione del moderno). Berardinelli ha ragione quando osserva che le questioni centrali del postmoderno nelle arti si affacciano sulla scena storica gi negli anni trenta, bench la mutazione venga percepita solo tre o quattro decenni dopo. Per me il postmodernismo non rappresenta unuscita dalla modernit, ma una fase estrema della modernit - una fase nella quale i problemi moderni sono ancora in piedi, ma vengono meno alcune grandi strategie di uscita. La crisi della novit legata alla crisi di una di queste utopie risolutive: non infatti difficile capire che il mito del progresso artistico era il riflesso, nella sfera estetica, dellidea che il domani custodisse un altro mondo possibile. La crisi della novit trasporta nellarte la sfiducia nel significato utopico del futuro: eventi inediti continuano ad accadere di continuo, nuovi stili nascono e muoiono, ma il loro potenziale di rottura viene depotenziato in partenza. La nostra cultura possiede un modello per pensare queste trasformazioni incessanti ma prive di peso: la moda. Noi sappiamo che i vestiti di qui a dieci anni saranno diversi da quelli che mettiamo oggi; per non ci aspettiamo da quei vestiti una discontinuit storica o ontologica rispetto ai vestiti che portiamo adesso. Assumere la moda come logica del mutamento culturale significa non credere pi che il mutamento culturale sia qualcosa di diverso dal mero avvicendamento di costumi. La componente utopica, palingenetica, che era presente nella ricerca artistica moderna, e pi in generale nella concezione moderna della storia, ormai scomparsa, come se tutte le carte fossero gi state date. Per cambiare lo stato delle cose, occorrerebbe una mutazione paragonabile a quella da cui nata, fra la fine del XVIII e il XIX secolo, la stagione della storia umana di cui stiamo attraversando il lungo crepuscolo. I.T. Quanto allesaurimento della tensione verso il nuovo, credi che il classicismo moderno sia una risposta, un adattamento a questa fase, oppure pu interpretare anche una diversa attitudine? E quali sono gli autori che a tuo avviso lo esprimono al meglio? G.M. La formula classicismo moderno riprende la definizione che Montale dava della poesia di Saba: un classicismo sui generis e paradossale, nato dopo la fine dei grandi canoni quasi per nostalgia di essi. Parlando di Saba, Montale implicitamente definiva anche la propria opera. Nei saggi raccolti in Forma e solitudine, e poi in un piccolo paragrafo di Sulla poesia moderna, ho cercato di definire il classicismo moderno come quella poetica che cerca di conciliare una visione 77

del mondo e dellio di tipo absolument moderne con alcuni atteggiamenti esistenziali e stilistici propri della grande tradizione del lirismo tragico premoderno e romantico. Mi riferisco all ethos che troviamo dispiegato nelle poesie di Montale, di Sereni e di Fortini: stare nel presente, ma saper calare queste esperienze assolutamente moderne di deiezione, alienazione, ripetizione dellesi stere, in forme e atteggiamenti che abbiano una compostezza, un decoro, una dignit imparentate con la grande tradizione lirica del passato, da Petrarca a Leopardi; essere i continuatori novecenteschi di un ethos antico, senza per cancellare il fatto che chi vive nel XX secolo e nel XXI secolo deve proporre un modello di soggettivit contemporaneo, e dunque render conto dello scialo di triti fatti, del vuoto che ci invade, per usare alcune delle pi famose formule montaliane. Il classicismo moderno, a differenza delle avanguardie, non cerca il nuovo per il nuovo: ha un atteggiamento riformista, non rivoluzionario. Mantiene una continuit dialettica col passato, nel quale ritrova dei valori: la decenza quotidiana (Montale), lurbano decoro (Sereni), il senso della forma, il controllo di s, ovvero alcune virt stoiche e umanistiche da contrapporre al caos della modernit. Il recupero della tradizione condotto con unintensit che di solito non troviamo nei movimenti propriamente postmoderni, che fanno del passato un uso ironico, leggero. Nel classicismo moderno c invece un elemento di pesantezza esistenziale, accompagnato da una seriet, da un lirismo tragico del tutto estranei all ethos postmoderno. I.T. Credi che il classicismo moderno sia una possibilit che nella poesia italiana si esaurisce dopo Montale, Sereni e Fortini, oppure pensi che vi siano poeti che continuino ad intercettarla? G.M. Mi pare che alcuni poeti stiano continuando ad intercettarla. Notti di pace occidentale di Anedda un notevolissimo esempio di classicismo moderno apparso alla fine del Novecento. Ma non farei del classicismo moderno una sorta di programma normativo. In unepoca post -storica bene che il vessillo delle poetiche resti basso. Bisogna imparare a vivere nell eclettismo e aspettarci di essere sorpresi da forme di poesia che non corrispondono a quella che sentiamo vicina. Occorre uscire dalla battaglia delle poetiche: se dovessi mettere insieme i poeti che mi interessano in questo momento, essi non formerebbero una tendenza unitaria. Molti confliggono tra loro. Negli ultimi due anni, Alberto Casadei e io, con la partecipazione attiva delleditore, abbiamo diretto la collana di poesia pubblicata da Luca Sossella. Nello scegliere gli autori da pubblicare, abbiamo adottato un atteggiamento programmaticamente relativistico, mettendo insieme poeti che stavano da parti opposte dello spazio poetico contemporaneo: Gian Mario Villalta e Gabriele Frasca, per esempio; o, fra gli stranieri, Michel Deguy e John Ashbery. I.T. Unultima questione a proposito dellepoca post -storica. Lazzeramento della storia sembra ad alcuni loccasione in cui pu riemergere uno zoccolo antropologico, uno strato fondamentale del nostro essere uomini. Non un caso la rinnovata fortuna su diversi versanti del naturalismo e dellantropologia filosofica. Ci avviene anche nel campo della teoria della letteratura e della poesia penso ad esempio ai saggi di Alberto Casadei e di Andrea Inglese che compaiono in questo numero de LUlisse, ma anche ad un tuo articolo su mimesi e romanzo apparso su Moderna nel 2005 con il tentativo di leggere in chiave quasi biologica o antropologica latto sintetico del poetare come qualcosa di radicato nella nostra natura. Credi che lepoca post -storica apra nuove strade in queste direzioni? G.M. una riflessione che occorre sicuramente sviluppare. Finora tu e io abbiamo parlato in termini storici, ma il gesto lirico, come si sa, non inizia con lepoca moderna. Basta pensare alla storia della parola: il termine lyrikoi compare in epoca alessandrina, fra il III e il II secolo a. C., per designare i nove poeti che componevano il canone dei lirici greci arcaici. molto probabile che la volont di portare frammenti della propria vita sulla pagina attraversi in qualche modo le culture. Ci che tu dicevi assolutamente vero. Una cultura post-storica che ha depotenziato le attese riposte sul futuro, e che possiede uno sviluppatissimo senso della relativit universale, accresciuto 78

dal contatto quotidiano con le altre culture, pu credere che sia possibile trascendere le singole tradizioni e cercare di vedere gli ipotetici fondamenti universali nascosti nei nostri gesti artistici e riflessivi. Resta da vedere se questo sia davvero possibile: se sia possibile uscire da llorizzonte che ci contiene. I.T. interessante osservare che Paul Celan a detta di molti il pi grande poeta lirico del Novecento europeo un poeta post-storico in pi di un senso. Celan colloca la lirica allaltezza della bancarotta della storia, dopo Auschwitz. Celan concepisce antropologicamente la lirica come progetto esistenziale. Questa dimensione poststorica e antropologico-esistenziale della lirica per collegata essenzialmente ad una tensione utopica che si d nonostante, o forse proprio in virt dellesaurimento nella fiducia storica nel nuovo, e che in Celan, cos come in Ingebor Bachmann, passa attraverso un ripensamento dialogico dellio che ne tiene ferma la dimensione lirica. Non pensi che si debba poter dar conto anche dellutopis mo della lirica? G.M. Se capisco bene, tu fai riferimento ad una lettura adorniana dellelemento utopico nascosto nel fatto stesso di esprimere se stessi dicendo io, e di desiderare che questa espressione di noi, questo trasporto di noi nella sfera pubblica, venga accolto da altri. I.T. A parte la lettura di Adorno, penso direttamente anche agli scritti poetologici dove Celan scrive che si pu fare poesia/lirica solo alla luce dellutopia. G.M. Che vi sia questo elemento nel gesto stesso della lirica vero. il desiderio che la nostra soggettivit venga accolta. Unimmagine dellutopia pu essere quella in cui tutti gli ego vengono accolti in quanto differenti e uguali, identici e non identici. Ma possiamo pensare che questo sia qualcosa di pi di un pio desiderio? Riusciamo ancora a difendere questa tensione verso lutopia e a farne qualcosa di pi di unillusione, di un bisogno cui non corrisponde alcunch di reale? Ci crediamo ancora? Crediamo ancora che questo desiderio di vedersi accolti in quanto soggetti portatori di una storia e di unesperienza, e nello stesso tempo di accogliere gli altri in quanto soggetti simili ma diversi, sia un ideale normativo? I.T. Il problema forse di capire se non sia un desiderio costitutivo per la lirica stessa. Forse con una descrizione dallesterno potremmo derubricarlo a pia illusione. E il poeta stesso consapevole che si tratta di un desiderio che non pu essere realizzato. Non si tratta di qualcosa in cui si debba credere o meno. Quella di Celan in fondo una descrizione interna della condizioni di possibilit della lirica: laffermazione che latto poetico consustanziale con la posizione di questo desiderio come qualcosa di inderogabile, seppur inappagabile. Inderogabile proprio perch inappagabile. Questo forse il problema. G.M. E come si risponde? I.T. Non lo so. Ma dallesterno una questione pi descrittiva che normativa. Nella lirica contemporanea continuiamo a constatare la presenza di questa luce utopica? Ad esempio Antonella Anedda non sarebbe il poeta che se non si muovesse in questa luce, se la sua poesia non ponesse la necessit inderogabile di un desiderio inappagabile. Pu darsi che vi siano poeti lirici che prescindono completamente da ci, che siano non solo integralmente post-storici ma anche postutopici? G.M. Sicuramente in certi poeti lirici la dimensione utopica costitutiva. Resta da capire se il genere funzioni cos. In generale, cerco di ritirare per quanto possibile lelemento utopico da ogni costruzione umana. Ma questo ci porterebbe lontano dal nostro discorso.

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INTERVISTA A DURS GRNBEIN ANATOMIA DELLIO Un dialogo su lirica e soggettivit


ITALO TESTA. In unintervista di qualche tempo fa lei affermava che la lirica la forma pi soggettiva della letteratura. E i segni del tempo vanno di nuovo in direzione del neosoggettivismo1. Questa forma soggettiva di espressione non contiene forse un momento di oggettivit, nella misura in cui corrisponde alle figure dello spirito del tempo? E come si rappresenta la relazione tra costellazione storica e soggettivit espressiva della lirica? DURS GRNBEIN. Questa , per cos dire, la trappola hegeliana. Il soggetto assoluto sarebbe insieme il rappresentante, lincarnazione dello spirito assoluto del tempo. Da questa trappola ci si divincola solo se si riconosce che qui solo questione di fallire, non funzionare, non stare al passo: per esempio il fatto che io non stia al passo con gli ultimissimi risultati della rivoluzione di Internet. Proprio in quanto fallisco come co-esecutore di ogni tecnica, in quanto non ce la faccio, perdo terreno, rimango in una certa misura un soggetto. Oggi si pu ancora rimanere un soggetto quasi solo quia absurdum: in quanto non si sempre up to date. Ma questa la forma negativa, e la soggettivit oggi non pu essere espressa solo negativamente come incapacit di stare al passo, in tutti i campi soprattutto nella tecnologizzazione mediatica con uno sviluppo incredibile, probabilmente senza paragoni nella storia umana. Per tornare al nostro tema, credo che naturalmente la poesia sia ancora il pi intimo dialogo delluomo con se stesso. Per qui non del tutto chiaro chi sia questo s. Nel mio caso pu trattarsi di un dialogo con se stessi sullintossicazione: il problema sempre scoprire si no a che punto si contaminati dal tempo, dallambiente, soprattutto dalle idee del tempo. In questa misura corretta la tesi per cui il soggetto non mai puro. E dovremmo fermarci qui, perch non ci dato fare molti passi avanti. Ma questo un punto molto importante. Non vi affatto quella contrapposizione ideale per cui da un lato starebbero la societ, la modernit, lo spirito del tempo, e dallaltro starei io, in quanto singolo, con la mia verit. Questa non una verit ma solo uno strumento. I.T. Questa soggettivit dunque percepisce qualcosa del suo tempo. G.M. Certamente: non affatto questione di ignoranza. Piuttosto: bisogna leggere tutti i giornali, guardare tutti i programmi televisivi, consumare tut to, parlare con tutti e in questo a ffaccendarsi di qua e di l imbattersi in un fondo dostinazione. I.T. Gi nel suo primo libro, Zona grigia, mattina2, lei ha scritto poesie monologiche. Unintonazione fortemente monologica sembra contrassegnare tutti i suoi lavori. Si potrebbe descrivere tutta la sua produzione come lirica monologica? E qual il legame di questa poetica con il monologismo di Gottfried Benn? D.G. Da molti anni osservo in me stesso un movimento verso una dimensione dialogica. Ma credo che la poesia, quando si inizia a scrivere, cominci probabilmente da un monologo. Gi lespressione poesie monologiche lindizio che si tratta di una posizione provvisoria, che la condizione propria di tale stadio debba essere superata. Gi da diversi anni molte mie poesie, pi o meno apertamente, si rivolgono a un partner dialogico, talvolta direttamente a conoscenti, talvolta ad autori morti, talvolta, e questo il lato pi segreto, a sconosciuti nel futuro. Cos assume spessore anche laspetto
1 Peter-Huchel-Preis 1995. Durs Grnbein. Texte-Dokumente-Materialen, Elster, Baden-Baden, Zrich 1998, p. 48. Si veda anche il saggio-intervista Durs Grnbein im Gesprch mit Heinz-Norbert Jokks, Dumont, Kln 2001. 2 Cfr. D. Grnbein, Grauzone Morgens, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1988.

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drammatico allinterno della poesia, perch solo per questa via pu crescere la tensione. Credo che alla poesia lirica sia inerente la presenza di un interlocutore: anche nel pi amaro colloquio con se stessi vi sempre un interlocutore, laltro di se stessi, o il Dio perduto, come sempre. Vi sempre qualcuno con cui si dialoga e mai un monologo puro. Vi sono, naturalmente, possibilit di aprire la poesia, una sensibilit per la moltiplicazione della propria voce che in atto gi da tempo nella mia opera. Poesie di ruolo, dove parlo con la voce di qualcuno totalmente diverso, per esempio un antico romano. Interi cicli in cui molteplici voci differenti animano le righe, come di regola in un coro drammatico. Tutto ci costituisce una differenza rispetto alla poesia di Benn. Il quale esprime con molta forza lidea di una poesia monologica, dunque di una poesia che non si rivolge a nessuno che stia allesterno: una poesia che si chiude in se stessa e che, in quanto lirica plastica, se ne sta l, in s compiuta come un oggetto. Io non sarei cos radicale. Credo che le poesie puramente monologiche siano lespressione di una crisi: una crisi della poesia. Nascono quando non vi pi un fuori, nessun interlocutore dialogico per il poeta, non vi sono pi dei, non vi pi una societ o la societ per il poeta profondamente estraniata. Questo io che parla diventa allora lultima posizione su cui il poeta ripiega. In ci si esprime un momento di verit ma anche di crisi, una crisi sociologica. I.T. Nella sua poesia per il tu lirico sembra a volte pi una figura del soliloquio che un tu in carne e ossa, unalterit effettiva. Nella lirica dialogica del dopoguerra penso a Celan la relazione io-tu sembrava il luogo dincontro con unalterit radicale. La Sprachhoffnung, molto importante anche per Ingeborg Bachmann e che oggi troviamo in unautrice come Barbara Khler 3 ha fatto della relazione io-tu il luogo eventuale dellutopia. Crede che la crisi dellutopia, cui oggi assistiamo, possa avere qualcosa a che fare con la disintegrazione dellintersoggettivit? D.G. La relazione tra la perdita dellutopia e lo scomparire dellintersoggettivit non va vista in una prospettiva troppo ristretta. Questo solo il penultimo capitolo di una storia pi ampia, preceduto da molti altri passaggi. Un capitolo di molto antecedente la crisi della preghiera; una crisi dellintersoggettivit era gi in atto perch, molto prima che fossero state formulate e prendessero la scena le utopie sociali, non vi era pi preghiera. Credo che Celan esprimesse delle preghier e ipotetiche: nella sua poesia la relazione io-tu, o la cosiddetta intersoggettivit, quella di una preghiera vana. Non so se Celan si riferisse effettivamente a un altro tu, a un interlocutore esterno, a un altro poeta concreto che era esistito prima di lui. C naturalmente il dialogo con Mandelstam e con Zvetajeva. Ma cose del genere si trovano in molti altri poeti del ventesimo secolo, me compreso. Si dovrebbe qualificare meglio questo tu prima di farne il tema di una teo ria. Quale tu si intende? Dio? Lamico? Lo scrittore che ci fa da modello? la societ dei poeti morti che circonda un autore oppure un qualche uomo del futuro, nel senso, come ha sostenuto Kleist, che si scrive per qualcuno che deve ancora nascere? Questo tu nella lirica spe sso molto cangiante, ha diverse sfaccettature e non univoco: cos pu facilmente sembrare che sia solo un io camuffato. davvero estremamente difficile riuscire a trovare, attraverso la giungla della falsa vicinanza, per cos dire, un altro tu. Per esempio lidea dellinterlocutore dialogico nella poesia non coincide con quella dellinterlocutore pi prossimo pi o meno se ne ha sempre uno, almeno da quando luomo vive in gruppi familiari; lo si trova anche tra i conoscenti, e tuttavia spesso proprio in queste cerchie il pi distante il pi prossimo. Credo che la lirica eserciti da sempre una legittima difesa contro la vicinanza coatta cui la societ ci costringe. La societ costringe alla vicinanza attraverso la sovrappopolazione, per mezzo dei dispositivi di educazione che, mentre cresciamo, ci gettano in mezzo a migliaia di esperienze estranee. Certamente casuale in quale famiglia, classe scolastica o compagnia si capiti; casuale in quale ambiente di studio o di lavoro ci si formi e cos via. Noi tutti siamo, per cos dire, delle arbitrarie esemplificazioni sociologiche. E credo che la poesia sia anche
3 Cfr. B. Khler, Deutsches Roulette, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991.

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un mezzo per opporre qualcosa a questa vicinanza costrittiva. Si tratta naturalmente dellelemento pi intimo ed espressivo. Dapprima funziona proprio come un diario: nella maggior parte dei diari allinizio prende avvio una sorta di dialogo apparente con se stesso da parte del diarista, ma successivamente anche con diversi interlocutori immaginari. Credo che questo sia sempre, in generale, il punto di partenza per la poesia. I.T. interessante osservare, a margine, che questa polisemia del tu, dellintersoggettivit, non costitutiva solo per la poesia, ma si pu riscontrare anche nella filosofia del dialogo, si pensi a Mead, Buber, Lwith,Lvinas, Theunissen, Habermas, tutti autori presso i quali il tu in questione assume sfumature piuttosto differenti, essendo talvolta linterlocutore concreto, talvolta un altro generalizzato, spesso una controfigura teologica. D.G. Esattamente. In un autore come Lvinas tale ambiguit portata allestremo. Molto pi chiara era la consistenza del tu di Buber, da sempre modellato su Dio. I.T. Sebbene una dose di ambiguit permanga anche al fondo di autori, come Habermas, che in apparenza tematizzano la relazione io-tu in una chiave decisamente sociologica. Non difficile trovare tracce, perlomeno sullo sfondo, nella stessa sostanza comunicativa dellinterazione, dello sfondo utopico di una intersoggettivit teologica. D.G. Habermas cerca di mettere fuori gioco la teologia per mezzo della nozione di secolarizzazione, traducendo la relazione io-tu in un evento immanente: un evento comunicativo puramente immanente. Credo che la maggior parte dei versi lirici in realt si protenda immediatamente oltre questo fine, consistendo piuttosto in un boicottaggio della comunicazione. Il plusvalore psicologico, leccesso denergia proprio di un verso incastrato in una poesia, dipende dalla sua capacit di raggiungere unaltezza tale da saltare oltre la situazione dialogica immediata, quindi oltre tutte le possibilit di inscenare dialoghi di cui la societ dispone, si tratti di dialoghi educativi, processuali, di interviste giornalistiche, e cos via. Forme che spesso mettono in opera dialoghi veramente apparenti, come succede nelle interviste sui media: la poesia va oltre tutto ci ed veramente una reazione allespansione della falsa dialogicit. I.T. Non si pu non pensare qui ad Adorno, allidea che la lirica sia une sperienza di negativit che, boicottando la comunicazione, ne denuncia la falsit. E questo ci riconduce al problema dellutopia. Nel famoso discorso del 1957 su Lirica e societ4 Adorno ha colto nella soggettivit della lirica lespressione di una negativit di una relazione negativa con il mondo storico che contiene sempre un momento utopico, una promessa di felicit. Nella sua opera poetica si possono trovare molti rimandi ironici alla bancarotta dellutopia, spesso legati alla esperienza diretta del fallimento della Ddr: nella poesia Lettera al poeta morto, lei parla di unutopia / pietrificata in Bitterfeld o in Karl-Marx-Stadt5, mentre in Vita brevis scrive LUtopia per esempio Che dopo Moro abita isole deserte 6. Crede forse che il fallimento storico del socialismo reale privi la poesia di ogni forza utopica oppure il fenomeno pi intricato? D.G. Non credo, a meno di non ridurre la letteratura alle idee sociali. un problema di grande importanza. Ammesso che tutte le utopie sociali siano veramente fallite, cosa che oggi non sappiamo: sempre possibile che si tengano nascoste nelle pieghe della societ. Per esempio legittimo pensare che il cosiddetto capitalismo neo-liberale porter alla luce utopie del tutto nuove,
4 Cfr. T. W. Adorno, Note per la letteratura. 1943-1961, trad. it. di E. De Angelis, Einaudi, Torino 1979, pp. 46-64. 5 Cfr. D. Grnbein, Brief an den toten Dichter, in Nach den Satiren, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1999, p. 61: ein Utopia / Steingeworden in Bitterfeld oder Karl-Marx Strae. 6 D. Grnbein, Vita brevis, ibidem, p. 117 (Utopia zum Beispiel Seit Morus spielt das auf rauhen In seln), trad. it. in D. Grnbein, A met partita, a cura di A. M. Carpi, Einaudi, Torino,1999, p. 257.

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che devono ancora sorgere. Ma non credo che la poesia abbia un legame primario con tutto questo. Credo che la poesia sia quasi realmente laltro, anche laltro dellaltro, anche laltro dellutopia sociale. fallito solo quel legame di breve termine, per cui la poesia si era quasi lasciata legare alle utopie sociali; come quando si presentata, in modo diretto, come poesia del comunismo sovietico o di qualche altra visione del mondo propria del ventesimo secolo. Molti hanno percorso queste strade, ma vi sono anche posizioni pi solitarie, che tuttavia erano possibili solo sulla base di una speranza in una rivoluzione di sinistra. Questa escursione familiare della poesia andata a finir male, ed vero che tale fallimento ha gettato nella spazzatura molte biografie, ha alimentato molte tragedie. Per, per fare un esempio, gi una posizione moderna nella lirica del Novecento, quale quella di Mandelstam, non si lascia mai risolvere completamente in una qualche forma di utopia sociale. Al contrario, Mandelstam per me uno dei primi esempi dei sacrifici assurdi che il processo sociale ha richiesto nella poesia. Concretamente ci significa che la biografia di Mandelstam diventata in qualche modo, per me, uno degli argomenti pi importanti con tro lideologia repressiva della conciliazione propria del comunismo sovietico. Mandelstam diventato per me il teste principale contro il bolscevismo, e per questo non provo alcun sentimento elegiaco per il socialismo reale, ma solo sarcasmo per il suo fallimento. Questo fallimento lo avverto come una sottile vendetta. Sono falliti i dittatori, i dittatori delleducazione, i torturatori, le soldatesche fallita la repressione come parte dellu topia, non la speranza. I.T. In tal senso la sua posizione si approssima a quella di Adorno, per il quale il momento utopico custodito nella negativit. D.G. Naturalmente! Ho avvertito molto presto questa vicinanza. Ma c anche dellaltro. Da subito, per un riflesso quasi archeologico, ho tentato di risalire allorigine: anche il pensiero utopico sempre un pensiero storico! E non c nessuna utopia classica che possa essere accettata. Si tratti di Campanella, Moro, della stessa utopia antica sebbene vi siano eccezioni, forse Jan Bishof, con la sua fantasia giambica dellisola in quasi tutti i casi, insomma, non vi alcun modello utopico che non operi attraverso esclusione, repressione, rigido ordinamento, selezione. Ogni utopia gi da sempre un modello paranoico di comportamento sociale di protesta. Ogni utopia funziona sempre tramite sacrifici, esclusioni, magari anche solo di una minoranza esigua. Il pensiero utopico, non importa se di sinistra o di destra, quindi dalla prospettiva della poesia, il cui unico ideale quello dellindividuo assoluto il nemico: completamente indifferente, lo ripeto, se si tratti di utopie di destra o di sinistra. I.T. Alla luce di questo discorso come dovremmo leggere le molte citazioni da Walter Benjamin che costellano i suoi scritti? Langelo della storia, che procede con le spalle al futuro, compare gi molto presto, nella poesia Tu, solo: Tu, solo con la storia alle / spalle, futuro / gi dire troppo7. Pi tardi la stessa figura ricompare come Angelo di Alzheim: Alzheimer: questo sar il nome ultimo / del terrore? Lo sai, angelo infermo, / che ci che accade a posteriori storia8. Crede che anche langelo di Benjamin sia esso stesso complice delle conseguenze sinistre del pensiero utopico? E quale ruolo gioca la filosofia di Benjamin nella sua poesia? D.G. Langelo di Benjamin di nuovo una figura cangiante: ha un vo lto teologico ma anche un volto realmente storico. Nellimmagine dellangelo importante per me soprattutto la pointe che pi o meno suona: Ci che chiamiamo il progresso9. Questa la formula-chiave: qui si nasconde gi in Benjamin un sarcasmo e un dub bio profondo verso lidea del progresso. sempre un
7 D. Grnbein, Du, allein, in Grauzone Morgens, cit., p. 53 (Du, allein mit der Geschicthe im / Rcken, Zukunft ist / schon zuviel gesagt), trad. it. in D. Grnbein, A met partita, cit., p. 27. 8 D. Grnbein, Alzheimer Engel, in Nach den Satiren, cit., p. 90 (Alzheimer: heit so das Ende der Schrecken? / Kranker Engel, du weit, was geschieht / ist Geschichte, danach), trad. it. ibidem, p. 255. 9 Cfr. W. Benjamin, Tesi sulla filosofia della storia, in Angelus Novus, a cura di R. Solmi, Einaudi, Torino 1982, p. 82.

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progresso ci che getta macerie ai nostri piedi. La speranza sempre un fallire. Nei casi migliori una dialettica in un eterno stato di sospensione. Andando oltre Benjamin possiamo dire che da una visione del mondo nasce sempre qualcosa daltro, mai nulla di migliore. Dal punto di vista della storia umana non c alcun miglioramento, solo uninfinita catena di cambiamenti e innovazioni. Ma possiamo riconoscere tale situazione solo perch vi sono delle vette, per esempio nella storia dellarte, dellarchitettura, e talvolta, qua e l, anche della vita sociale. Per alcuni, pochi na turalmente, vi gi stato una sorta di paradiso sulla terra, con tutti i beni e i lussi a disposizione. Il meglio, visto puntualmente, gi sempre stato e sempre di nuovo scompare. Sarcasmo, in una parola. Nella storia umana vi sono state epoche che hanno costruito il paradiso per alcuni e linferno per altri. E ovunque ora stiamo andando, per noi tutti vi un inferno. I.T. solo sarcasmo? Non c anche una sofferenza, la sofferenza irredenta del passato? Una sorta di mutazione dellutopia, ben visibile, in Be njamin, in una speranza di redenzione del passato, delle speranze, delle esistenze e delle biografie perdute? Una qualche forma di dialettica dellilluminismo, che lasci ancora qualcosa di aperto per il futuro? Il sarcasmo che lei esprime esclude completamente ogni tipo di progresso? D.G. Possiamo anche dire che lutopia dovrebbe consistere in questo, che vi sia pri ma o poi una societ in cui ciascun uomo abbia le migliori opportunit di sviluppo, indipendentemente dalla sua provenienza, dal suo colore di pelle, o dalla sua religione, e che le possa realizzare in massimo grado, senza che ci vada a scapito degli altri. una domanda aperta se tale condizione possa essere realizzata al cento per cento per tutti. Tuttavia la nostalgia di una tale condizione probabilmente condivisa da tutti, tranne forse dai fascisti i quali ritengono che, per organizzare la felicit di un determinato gruppo, abbiamo bisogno dellinfelicit di qualche altro gruppo o dalle societ schiavistiche del passato. Ma sostanzialmente non vi pi alcun contrasto in materia. Oggi nessuno vuole pi societ schiaviste, nessuno vorrebbe il ter zo mondo tutti vorrebbero che a ciascuno andasse bene, ma ci sono idee differenti sul cammino che ci potrebbe condurre sin l. Si potrebbe discutere a lungo se, proprio per il fatto che a noi va gi cos bene, ad altri debba necessariamente andare male, se siamo colpevoli per la miseria degli altri. Queste domande rimangono aperte. E sono profondamente radicate nella spinta che muove Benjamin. Si tratta naturalmente di un forte impulso alla compassione, uno degli elementi che confluiscono nella teologia: giacch alla fine questo impulso alla compassione pu essere conservato nellimmediato, in apparenza, solo religiosamente. I.T. Nel suo secondo libro, Lezione sulla base cranica, lei ha posto in relazione lutopia realizzata del socialismo reale con il nome di Hegel: Torna in te poesia, il muro di Berlino ora aperto. / Pena dellattendere, noia nel paese angusto di Hegel. / Tutto finito, come il ferreo tacere Heil Stalin10. In un altro testo, Necrologio di una citt proibita , scrive a proposito della Ddr: Si educava con le botte, le fiabe, le menzogne / il risultato era: filosofi, o tanti clown per cattiveria11. E sulla dialettica, nel Ritratto dellartista come giovane cane di confine: La dialettica non nientaltro che fedelt canina; / fiuto per lumore della Voce del padrone12. La dialettica sembra qui equiparata al dominio. Pensa veramente questo di Hegel? Si ritiene forse un artista antidialettico?

10 D. Grnbein, Sieben Telegramme. 12/11/89, in Schdelbasislektion, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991, p. 61: Komm zu dir Gedicht, Berlins Mauer ist offen jetzt. / Wehleid des Wartens, Langweile in Hegels Schmalland. / Vorbei wie das sthlerne Schweigen Heil Stalin. 11 D. Grnbein, Nachruf auf eine verbotene Stadt, ibidem, p. 118 (Erzogen war durch Schlge, Mrchen, Lgen, / was Philosophen machte oder Clowns aus Bosheit), trad. it. in D. Grnbein, A met partita, cit., p. 93. 12 D. Grnbein, Portrait des Knstlers als junger Grenzhund. 3 , ibidem, p. 97: Ist Dialektik nichts als Hundetreue; / Sinn fr die Stimmung in his masters Voice.

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D.G. Per tutta lepoca della Ddr si tentato di utilizzare la dialettica, principalmente la filosofia della storia, per giustificare lintero sistema sociale. Naturalmente il ruolo che Hegel giocava in questa faccenda era triviale: si trattava di uno Hegel banalizzato, non del vero Hegel. Hegel serviva come giustificazione: si trattava di quello Hegel che Marx avrebbe fatto poggiare non pi sulla testa ma sui piedi. Ho sempre detto che per me sarebbe pi interessante uno Hegel che poggi sulla testa piuttosto che sui piedi. In questa luce devono essere intesi i miei attacchi a Hegel: non si tratta del filosofo, ma della marionetta di Hegel che stata portata in giro nel socialismo reale. Non sono affatto un antidialettico, al contrario: al fondo si tratta sempre di battere la dialettica con la dialettica, di trovare una dialettica che funzioni ancora meglio. I.T. Una dialettica negativa D.G. Ma si tratta sempre di dialettica. Tutto il resto condannato allu nilateralit. Per questo non ho mai capito come si sia potuto sostenere che Foucault abbia superato la dialettica. Non mi mai sembrata una cosa sensata. I.T. qualcosa che si pu ben vedere nei saggi tardi, a una lettura attenta intensamente legati alla posizione della scuola di Francoforte. In un saggio sullilluminismo Foucault ha chiaramente affermato che il suo programma identico a quello della Dialettica dellilluminismo 13. Non un programma antidialettico, ma piuttosto un tentativo di ricostruire in modo pi adeguato la relazione tra potere e dialettica. Ma passiamo a un altro tema che vorrei affrontare nel corso di quest a discussione. Sotto linflusso del cosiddetto secondo Heidegger si intravista nel linguaggio unofferta poetica e ontologica per uscire dal circolo negativo e senza speranza della soggettivit. Nella sua poesia invece mi sembra di trovare una forma di Sprachskepsis, di scetticismo nel e verso il linguaggio, espresso per esempio nel testo I segni vuoti. 3: Da allora una parola una parola,/ nientaltro. Da quel preciso giorno,/ da quella notte che rose il cervello./ Qualcosa si spezz, niente di nuovo pot pi avere inizio. Bassa marea14. In Inframince lei scrive anche: La lingua va in rovina, indigerita, marcisce come pupille / [] / Il male sta nella radice delle frasi, al fondo / dellidioma e dello stile 15. Uno scetticismo linguistico legato a una concezione materialistica della lingua, molto distante dalla spiritualizzazione ontologica propria di Heidegger. Non si sente quindi anche lei in cammino verso il linguaggio? Nel brano in prosa posto in apertura della traduzione italiana delle sue poesie, ora anche nel diario Il primo anno, si parla del bambino sarcastico, che cerca di scorgere, con gli occhi spalancati, qualche ultima radura 16: forse un rimando ironico alla Lichtung di heideggeriana? Cosa pensa della filosofia del linguaggio di Heidegger e dellinflusso che essa ha esercitato sulla lirica di lingua tedesca? D.G. In generale Heidegger per me il filosofo che ha imparato dai poeti. E ora la domanda: che cosa si pu imparare da Heidegger a sua volta? Consideriamo il caso di Hlderlin e di Heidegger, il quale inizia con una esegesi di Hlderlin e di qui sviluppa la sua filosofia del linguaggio. Che significato avrebbe tutto questo per la poesia? Perch non rivolgersi direttamente a Hlderlin? E, nel
13 Cfr. M. Foucault, Illuminismo e critica, trad. it. a cura di P. Napoli, Donzelli, Roma 1997, pp. 33-78. 14 D. Grnbein, Die Leeren Zeichen. 3, in Schdelbasislektion, cit., p. 71 (Seit damals ist ein Wort ein Wort,/ sonst nichts. Seit diesem einen Tag / und dieser Nacht, die am Gehirn fra./ Etwas brach ab und etwas neues / Kann nicht beginnen seither. Ebbe), trad. it. in D. Grnbein, A met partita, cit., p. 47. 15 D. Grnbein, Posthume Innenstimmen. Inframince, ibidem, p. 16: Sprache zerfllt, unverdaut, sie verwest wie Pupillen ,/ [] / Das bel liegt an der Wurzel der Stzte, am Grund/der Idiome und Stile. 16 D. Grnbein, 5. Februar. Das Sarkastische Kind , in Das erste Jahr. Berliner Aufzeichnungen, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2001, p. 20 (mit weit aufgerissenen Augen nach letzen Lichtungen Ausschau hlt), trad. it. parziale (modificata) di F. Stelzer, 5 Febbraio. Il bambino sarcastico, in D. Grnbein, Il primo anno. Appunti berlinesi, Einaudi, Torino 2004, p. 17.

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caso dellontologia, perch non tor nare direttamente ai pensatori antichi, a Eraclito, Parmenide, Plotino? La filosofia di Heidegger, con il suo tentativo di tirar fuori scintille filosofiche dalle pietre miliari della lingua tedesca, per qualche ragione non mi ha mai effettivamente influenzato molto. Ho letto alcune cose ma senza che esercitassero un immediato influsso sulla mia scrittura. Tra laltro non mi mai piaciuto il modo in cui Heidegger gioca con gli elementi della lingua tedesca, per esempio con i verbi, in cui cerca di trovare categorie nascoste, del tipo der Staudamm, das Stauwerk ist ein Gestell, es stellt den Fluss, e cos via. A mio avviso si tratta, gi solo in base a considerazioni estetiche, di pensieri inconsistenti: un gioco che funziona molto bene ma che non conduce a nulla. Se avessi modo di riscoprirle, suppongo che di Heidegger potrebbero interessarmi di pi lontologia e la filosofia della temporalit. Ma per ora non c alcun rapporto diretto. Sicuramente vero che io in qualche modo ho un approccio materialistico alla lingua. Ma per me la lingua il sostrato del corpo, mentre il corpo piuttosto la materia. Perci non v nulla nelle parole che prima non sia stato nel corpo, anche nei sensi, ma soprattutto nel corpo come unit fisiologica. Nel corpo come in un reservoir per tutti i processi: nel corpo che sempre il corpo mortale, il corpo che va in rovina e che dalla nascita alla morte vive in uno stato fondamentale di tensione. Tutto ci si ritrova sempre di nuovo nella lingua, e questa partecipazione al la lingua per me lelemento decisivo. Non penso quindi a un qualche genere di realismo rappresentativo. Non credo affatto che il linguaggio rappresenti realisticamente il mondo: la lingua piuttosto una delle funzioni del corpo. I.T. Parlerebbe dunque di una funzione espressiva del linguaggio? D.G. La lingua non ha una natura impressiva, interiore, impressionistica: porta invece ad espressione la dimensione nascosta del corpo. I.T. Non si corre cos il rischio di spiritualizzare alla fine il linguaggio, o di ontologizzarlo come in Heidegger? In che senso per lei la lingua non un semplice mezzo despressione bens ha una funzione costitutiva, sebbene materialistica in un certo senso? D.G. Trovo che lespressione la parola psyche sia illuminante, sebbene non nel senso di Sigmund Freud bens in quello dellantica rappre sentazione della psyche. La parola , per cos dire, la farfalla che sta per lelemento psichico e che vola via, posandosi sulle cose, e cos le anima: e quindi torna di nuovo al parlante. E la differenza sta nellessere in grado di assorbire una quantit di energia. Ad esempio si legge un verso di una poesia di trecento anni fa e questo ha un immediato effetto energetico sul corpo, mentre lannuncio di un giornale ci lascia compl etamente freddi. Potrebbero essere quasi le stesse parole: si tratta ora di comprendere dove stia la differenza, sebbene si tratti delle stesse parole. Qui torniamo esattamente alla poesia. La differenza per me sta nei meccanismi della poesia, la quale discorso metrico, poich traspone le immagini, le parole, i suoni entro uno stato fondamentale di tensione, che nei casi migliori unico. Le poesie sono serbatoi di energia psichica che viaggiano attraverso il tempo. E in molti di questi voli, per tornare a usare limmagine di prima, la farfalla passa davanti a molti uomini e finisce per posarsi di nuovo su qualcun altro, quasi sullanima. Ma per tornare ora a Heidegger, ci che ho studiato in modo pi sistematico la sua esegesi di Hlderlin: ho anche le registrazioni di Heidegger che legge Hlderlin. Sono molto impressionanti perch a me, come poeta, chiaro che per Heidegger si trattava di una forma di ufficio religioso. Per altro verso, quando Heidegger legge Hlderlin si tratta regolarmente di cavare qua e l dai versi una filosofia gi ben strutturata e solida. Ma non sono sicuro che non si tratti di un abuso, perch Hlderlin non affatto un pensatore sistematico. I.T. In fondo molte interpretazione filosofiche di Hlderlin tentano proprio di tramutare i suoi frammenti e le sue opere poetiche in una forma di pensiero sistematico. 86

D.G. La triade Hlderlin, Schelling, Hegel: sicuramente c stato un tempo in cui tutti e tre andavano nella stessa classe. La spaccatura di questa triade storicamente molto interessante: uno diventa un filosofo sistematico, lal tro un filosofo della natura e il terzo un poeta panteista o forse ancor meglio, in opposizione a Goethe, il poeta del politeismo disperso. Il centro della poesia di Hlderlin diventa allora la fede che gli antichi dei potrebbero eventualmente ancora vivere intorno a noi. Che essi muovano e vivifichino la natura e che vi sia un ordine: un ordine del giorno, un ordine dei sessi, un ordine della famiglia, un ordine della vita sociale cos come di quella naturale; e che il poeta sia destinano a vedere, contemplare e cele brare nelle sue parole questordine. I timbri scuri vengono fuori quando Hlderlin si accorge che questordine ideale della natura e del divino distrutto. Lo Hlderlin che ha avuto il pi grande influsso sul moderno anche sullespressionismo quello tragico, lo Hlderlin elegiaco che coglie ormai soltanto ombre serali. interessante invece che nellesegesi di Heidegger vi sia lo Hlderlin ancora integro: H eidegger in effetti affascinato dallo Hlderlin che celebra la vita agreste compiuta, o che canta la patria e i paesaggi intatti. Credo che Brot und Wein sia per Heidegger una poesia di estrema importanza, proprio perch qui lintero cosmo di un ordine sociale e naturale, come immagine ideale, ha trovato la sua forma e insieme il suo respiro17. Il verso lungo di Hlderlin ha veramente, in questo caso, unenorme funzione armonizzante. come se Hlderlin desse respiro al paesaggio. In questa unit vedo una forma di utopia riuscita dellordine naturale e sociale. I.T. Ma prendere solo questo lato di Hlderlin, lideale integro, lasciando ca dere il resto, il lato oscuro, dimidiato, finisce per essere una positivizzazione della sua visione, una perdita della forza poetica di Hlderlin. D.G. Certamente. Nellesegesi di Heidegger viene rimosso lo Hlderlin di Hlfte des Lebens, dunque lo Hlderlin delle immagini infrante del mondo, delle statue infrante degli dei, del freddo che spira sul mondo, lo Hld erlin che vede paesaggi dellera glaciale 18. Vi poi un problema che in generale proprio della concezione heideggeriana dellarte. C un suo famoso sag gio, su Van Gogh e le scarpe contadine, che ha irritato moltissimo Adorno, il quale vi ha visto unid ealizzazione dellarte indigente in un certo senso quasi dellarte povera e della vita povera come la forma di vita pi pura. Heidegger celebra Van Gogh come pittore non estraniato e, altrettanto, Hlderlin come poeta non estraniato. Dal mio punto di vista questo un disconoscimento di Hlderlin, che per me appartiene chiaramente alla schiera dei poeti che continuano a fallire. Glorificazione della povert, della vita rustica, paesana, contadina, del Dasein agricolo contro quello industriale: Heidegger sul piede di guerra contro la vera modernit industrializzata, e di conseguenza anche contro tutte le forme darte che stanno al passo con questa. Perci egli abusa, a mio avviso. anche di Hlderlin, facendone un argomento contro il moderno: quanto pi Hlderlin, tanto meno Benn, giusto per fare un esempio. Ma questa ideologia dellarte, una raffinata ideologia dellarte, unideologia ontologizzata dellarte, come sempre in Heidegger. Unideologia difficile da distinguere e che probabilmente, anche se non per tutti vale lo stesso, deve essere soltanto criticata, prendendosi la responsabilit, come nel caso di Adorno, di denunciarla co me gergo dellautenticit. Osservo per che Heidegger ha conosciuto in Europa una enorme renaissance, a mio avviso a partire dalla Francia, poi ch in Francia si ha lidea che i tedeschi abbiano intenzionalmente rimosso Heidegger e si siano sbarazzati del passato: ma in verit anche in Germania ci sono sempre stati nuovi interpreti di Heidegger. Con questo vorrei per chiudere con Heidegger, anche perch, quando si scrive di lingua tedesca, Heidegger non del tutto comprensibile.

17 Cfr. F. Hlderlin, Brot und Wein Pane e vino, in Le liriche, a cura di E. Mandruzzato, Adelphi, Milano 1993, pp. 518-529. 18 Cfr. F. Hlderlin, Hlfte des Lebens A met del vivere, ibidem, pp. 568-569.

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I.T. Nella poesia di lingua tedesca vi sono comunque anche autori penso per esempio a Ingeborg Bachmann che si sono confrontati criticamente con le prospettive heideggeriane sul dialogo, il linguaggio e la poesia, assumendone alcuni aspetti in una linea non positivizzante, non ideologica. Cosa pensa di Ingeborg Bachmann? Per lei stata importante la sua opera poetica? D.G. Direi proprio di no, come anche nel caso di Celan. Il primo Celan mi ha sempre appassionato: quello che scrive in strofe classiche e in rima, ma gi con un tono del tutto proprio, leggermente trasognato: ma questo lo Celan che nessuno vuole conoscere. Lo Celan dei neologismi, di Sprachgitter (1959) e Atemwende (1967), non ha avuto alcun effetto immediato su di me19. Ad ogni modo su di me hanno avuto un grosso influsso alcuni autori che hanno dato forma alla poesia di Celan: certi poeti russi del ventesi mo secolo, quali Mandelstam che stato sempre molto importante per me Zvetajeva, Achmatova, e anche Blok. I.T. Nel suo atteggiamento verso Celan e Bachmann non c forse una punta di reazione tedesca a due autori che nel dopoguerra, soprattutto al di fuori della Germania, hanno avuto grande fortuna, superiore per esempio a quella di Benn? D.G. La Bachmann non mi ha mai entusiasmato come poetessa: la trovo spesso troppo sloganistica. Il suo un tipo di poesia argomentativa, tuttavia in una variante pi gradevole di quella di molti lirici tedeschi occidentali del dopoguerra. Ho sempre trovato insostenibile la lirica politicizzata degli anni cinquanta e sessanta senza fare nomi che per me non ha avuto alcun significato. La poesia abusata come pamphlet, slogan, editoriale, feuilletton . La stessa Bachmann ha preso posizioni forti contro questo andazzo, che per successivamente sono state disattese a causa della sua condizione esistenziale di donna. Rispetto molto il suo impegno, ma proprio come donna la Bachmann ha cercato di inserirsi di forza nella tonalit ufficiale della poesia dellepoca. La poesia afferma se stessa, la poesia argomenta coraggiosamente, la poesia avanza a testa alta : espressioni e atteggiamenti linguistici di questo genere mi hanno sempre dato fastidio. Mentre naturalmente Celan mi affascina, in primo luogo per la sua ermetizzazione del discorso, la sua cifra enigmatica: per la sua immane ostinazione nello scavarsi la terra sotto i piedi e quindi nello sviluppare delle radici sotterranee. Questo Celan per me sempre un oggetto di grande fascinazione ma non immediatamente in senso tecnico, come un residuo di apprendistato. Ma filosoficamente, e nel senso dellindividuo assoluto, del poeta, ho sempre rispettato Celan. Al contrario, nella Bachmann ho trovato sempre troppo spirito del tempo, troppa vanit e troppa psicologia e nevrosi privata: la trovo una poetessa nevrotica. I.T. Tuttavia nella seconda e ultima raccolta poetica della Bachmann, Anrufung des Groen Bren (1956), si trova un cammino in direzione di una regolarizzazione del verso, un processo di classicizzazione della lirica che intervenuto anche nel suo percorso poetico 20. D.G. Certamente in Anrufung des Groen Bren vi sono tentativi metrici, pi che nel suo primo libro: ma questo non cambia molto per il mio giudizio. I.T. Veniamo allora a un altro tema, di nuovo legato alla questione del materialismo e strettamente connesso alla sua produzione. Secondo la sua concezione materialistica del rapporto tra uomo e linguaggio, lio un testo -io, e insieme un io con licenza, / punto cieco o semplice resto sillabico (-io) 21. Cos lei unisce in una semiotica materialistica la citazione da Peirce (Man is
19 Le due raccolte sono tradotte in italiano in P. Celan, Poesie, a cura di G. Bevilacqua, A. Mondadori, Milano 1998, pp. 245-345 e 507-687. 20 Cfr. I. Bachmann, Invocazione allOrsa maggiore, trad. it. di L. Reitani, A. Mondadori, Milano 1999. 21 D. Grnbein, Niemands Land Stimmen. In Tunneln der U-Bahn, in Schdelbasislektion, cit., p. 31: ein genehmigtes Ich,/ blinder Fleck oder bloen Silbenrest(-ich).

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a thought-sign), che compare in apertura di Lezione sulla base cranica, il suo secondo libro, con la citazione, che si trova allinizio del suo terzo libro, Trappole e pieghe (1994), da Della certezza di Wittgenstein: Strano che tutti gli uomini cui si aperto il cranio avessero un cervello. Luomo viene contrassegnato poi come la bestia alfabetizzata, come bestia di Aristotele, bestia-io22; e la lirica, intesa come espressione linguistica di questa natura, diventa una lirica materialistica, neurologica, biologica e anatomica: Ci che tu sei sta al margine/ di tavole anatomiche23. Potrebbe definire pi precisamente come si configura per lei il rapporto tra poesia, scienza della natura e teoria dellevoluzione? Nel suo saggio Frantumare il corpo lei ha identificato in Georg Buchner colui al quale riuscito di salva re larte nella fisiologia nel preciso momento in cui Hegel raffigurava il fantasma dalla morte dellarte, 24. In che senso lei ha parlato in alcune occasioni di Neuroromantik, romanticismo neurale? E come pu la lirica sopravvivere a questa mutazione? D.G. Prima abbiamo sempre parlato dellanima e del fatto che la parola psyche: ma una delle trasformazioni pi decisive del moderno apportate dalla scienza naturale il fatto che una volta per tutte il luogo dellanima stato collocato nel cervello. Gi dalla seconda met del diciannovesimo, e definitivamente a partire dal ventesimo secolo, il cervello stato qualificato come il luogo dellidentit delluomo, della coscienza, dunque anche di tutte le possibili patologie della coscienza. Ci che prima era diffusamente inteso come malattia dellanimo ora chiaramente qualificato come disfunzione cerebrale. come se gli uomini, considerati da un punto di vista letterario, come partecipanti al gioco della sensibilit, dellemotivit, fossero diventati i giocatori dellanalisi neurologica. Nel frattempo siamo diventati tutti un po neurologi: tutti gli uomini, probabilmente anche i pi naf, privi di unistruzione scientifica, sono oggi in un certo senso neurologi istintivi. Ormai argomentiamo tutti a partir e dal cervello, anche quando utilizziamo la parola cuore e le espressioni ad essa collegate. Questa trasformazione per me lelemento decisivo e bisogna assolu tamente che la letteratura la colga. Gottfried Benn, di nuovo, stato uno dei primi che hanno reagito a questo stato di cose, parlando di io cerebrale e arte cerebrale, quasi sempre rimandando al fatto che il luogo del confronto ormai il cerebrum. Cos si apre a mio avviso un nuovo spazio romantico, perch il cervello in linea di principio aperto, estremamente vasto, ancora ampiamente sconosciuto nelle sue dimensioni, e la coscienza difficilmente localizzabile: al di l di tutte le teorie che si costruiscono su aspetti specifici, non vi ancora una teoria coerente della coscienza. Non sappiamo precisamente come nasca la coscienza. Le teorie migliori oggi sostengono che vi sia un processo di emergenza improvvisa, ma questo non sufficiente, perch con neuroni, dendriti e sinapsi non possiamo ancora spiegare in modo pienamente valido come sorga la coscienza di un singolo uomo, che sia consapevole del proprio io e che sia quellio. Ci troviamo su una riva ignota: e questa per me la situazione romantica fondamentale. Il cervello linfinito. Il cervello il mare, uno degli elementi, e, per dirla con Emily Dickinson, The Brain is wider than the Sky . Il cervello pi grande del cielo e pi profondo del mare e, come conclude la Dickinson nella sua celebre poesia: The Brain is just the Weight of God25. Questa la cosa pi bella: il cervello quasi la misura di tutte le cose, nel cervello entra tut to, lintero ordine naturale, e anche linsieme delle rappresentazioni religiose. Pertanto credo che, nel momento in cui si diventa consapevoli di questo, si sia neuroromantici.

22 D. Grnbein, Portrait des Knstlers als junger Grenzhund. 6, ibidem, p. 100: Der Mensch, nun ja das alphabetisierte Tier; Id., Schdelbasislektion. 3, ibidem, p. 13 (Tier-Ich), trad. it. in D. Grnbein, A met partita, cit., p. 37; Id., Gesprch mit dem Dmon auf halbem Wege, in Nach den Satiren, cit., p. 215: Aristoteles Tier. 23 D. Grnbein, Schdelbasislektion. 1 , in Schdelbasislektion, cit., p. 11 (Was du bist steht am Rand / anatomischer Tafeln), trad. it. ibidem, p. 33. 24 Cfr. D. Grnbein, Den Krper zerbrechen, in Galilei vermit Dantes Hlle und bleibt an den Maen hngen. Aufstze 1989-1995, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1996, p. 76. 25 Cfr. E. Dickinson, Poesie, a cura di M. Bacigalupo, A. Mondadori, Milano 2004, pp. 354-356: La mente ha giusto il peso di Dio.

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I.T. Trova qualcosa di questo romanticismo neurale nel modo in cui stata festeggiato ovunque il successo del Progetto Genoma? D.G. Si trattato di un grande balzo in avanti. A questo proposito devo dire che sto scrivendo un lungo saggio sulla rivoluzione del genoma. Vi per un elemento pericoloso nel modo in cui viene accolto il progetto relativo al genoma umano, come se ora si potesse disporre della mappa assoluta di tutti i geni umani. Pericolosa lidea di avere in mano lelemento definito, finito, la mapp a definitiva. Contro gli argomenti dei ricercatori e dei tecnici della genetica io metto in campo sempre la neurologia, poich per arrivare alla spiegazione della coscienza il percorso infinitamente pi lungo. Alcuni sostengono il gruppo degli agnostici che non riusciremo mai a spiegare come effettivamente sorga la coscienza. Io sarei un po pi cauto; ma ritengo comunque che aver stabilito il piano fondamentale della costruzione genetica delluomo sia ancora il risultato pi modesto cui si possa giu ngere. Con questo non sappiamo ancora nulla sullessere delluomo. Abbiamo la formula assoluta e prossimamente potremmo anche essere in grado di produrre e riprodurre artificialmente gli uomini: ma non sappiamo ancora per niente che cosa definisca luomo, come venga fuori e che cosa sia questa sorta di sporgenza che chiamiamo coscienza.. Certamente la coscienza non distribuita dallo Spirito Santo sono un materialista e sorge piuttosto da una somma di connessioni neurali: ma ancora ignoto come ci avvenga. Vi ancora molto da indagare e la domanda come la poesia possa sopravvivere a questa mutazione. Credo che la poesia abbia trovato un territorio totalmente nuovo, aperto. Il nuovo Hlderlin star sul margine del cervello e guarder in questa nuova infinit. I.T. Il suo materialismo si lega spesso a una sorta di capovolgimento del cartesianesimo. In molti luoghi delle sue poesie spunta il nome di Cartesio: poesie che hanno titoli come Il cane di Cartesio26 e Meditazione cartesiana27, in cui il dualismo di anima e corpo viene attaccato e il cogito cartesiano smaterializzato si rovescia in un io impastato di sangue. Lei caratterizza il cogito e lIo penso come puro ematoma28, lo spirito come una macchina funzionalistica, materia computabile, e il testo-io come cane pavloviano, LUomo-macchina di La-Mettrie 29. Come descriverebbe questa sua fascinazione per Cartesio? D.G. pura archeologia della coscienza. Cartesio per me in un certo senso il Newton della filosofia della coscienza. Questo momento mi ha sempre colpito, il Discorso sul metodo per me uno scritto ineccepibile, un trattato esemplare, qualcosa di paragonabile agli scritti geometrici di Euclide o alla famosa meccanica di Newton: una pietra miliare della storia umana. Sicuramente molto distante dalla prospettiva odierna, e necessariamente da rivedere in molti punti: in ogni caso mi ha sempre affascinato questo momento di assoluta concentrazione su di un punto, laffermazione di un pensiero privo di presupposizioni. Cartesio per me il padre esemplare della filosofia pura. Cartesio uno che per la prima volta accantona tutte le tradizioni e che, senza apparati critici a portata di mano, senza libri, trovandosi in Germania, seduto in una capanna, in piena guerra dei trentanni, dovendo sopravvivere allinverno, inizia a ripensare puramente come filosofo tutte le categorie fondamentali, fino a che non giunge alla famosa formula Cogito ergo sum Formula oggi attaccata da molti lati, ma che gi mi affascina perch con essa Cartesio pronuncia una sorta di frase chiave: una frase che sta come una posizione assoluta nello spazio e che ora pu rispecchiarsi
26 Cfr. D. Grnbein, Der Cartesianische Hund , in Schdelbasislektion, cit., p. 91, trad. it. in Durs Grnbein, A met partita, cit., p. 81. 27 Cfr. D. Grnbein, Meditation nach Descartes, in Falten und Fallen, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1994, pp. 7879, trad. it. ibidem, pp. 207-209. 28 D. Grnbein, Die Leeren Zeichen. 5, in Schdelbasislektion, cit., p. 73 (war das Ich denke nur ein Blutergu), trad. it. ibidem, p. 51. 29 D. Grnbein, Portrait des Knstlers als junger Grenzhund. 12 , ibidem, p. 106: Pawlowscher Hund; LHomme-machine von La-Mettrie.

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da tutti i lati. Il secondo aspetto di Cartesio che mi interessa il fatto che si tratti di un buon esempio per il tentativo di scoprire direttamente il luogo e il significato filosofico della coscienza. In Cartesio c sempre stata la tesi che esista un organo speciale, la ghiandola pineale, in cui risiede lanima. Inoltre Cartesio un fisiologo, un materialista, anche se non puro: in lui c anche il salto, e naturalmente egli era ancora sufficientemente religioso per togliere le contraddizioni con una dose di deismo. Ma fondamentalmente Cartesio cerca sempre di argomentare in termini del tutto fisiologici e in questo, a quanto mi risulta, stato uno dei primi. Sebbene vi siano alcuni pensatori prima di lui ugualmente affascinanti, per esempio Giordano Bruno, trovo che Cartesio sia un role model per la situazione della filosofia moderna, potremmo dire un eroe: un eroe poetico. Cartesio continua a saltar fuori, in diverse fasi della mia vita, e ad affascinarmi sempre di nuovo. Ho un manoscritto interrotto, un lungo poema in versi dal titolo provvisorio Lunga lettera a Descartes. Si tratta di una sorta di monologo, in cui Cartesio si sveglia presto e inizia a percepire tutto intorno a s: il proprio modo di percepire e le cose che percepisce 30. Quanto a Il cane cartesiano, si tratta di un amalgama. un po la situazione del cane di confine, un po della vigilanza su s stessi, dellautolimitazione, ma anche molto concretamente la storia della vicenda delle due Germanie. In un senso un po pi ampio riguarda anche la vigilanza su di s lautolimitazione tipiche della coscienza delluomo moderno. Lidea che noi eredi di diverse forme di razionalismo saremmo un po tutti dei cani cartesiani. I.T. Ma questo va in qualche modo in una direzione opposta alla concezione cartesiana degli animali. D.G. una sorta di capovolgimento in effetti: del resto si sa che molti cartesiani hanno cominciato con il picchiare il loro cane. I.T. Forse la prossima domanda ci consentir di approssimarci ulteriormente a questa ambiguit. A proposito della sua scrittura, si potrebbe a mio avviso parlare da un lato di una sorta di dissoluzione scettica dellio; nei suoi testi lio si frammenta in una profusione di stimoli e sensa zioni31 e viene caratterizzato come fascio di percezioni nel senso humeano: Davanti allo schermo ero di nuovo soltanto ci che Hume / chiama a bundle of perceptions 32. Daltro lato lei, in una nota a Dopo le satire, parla anche di sua maest lIo come di qualcosa di inaggirabile, che sopravvive a qualunque tentativo di dissoluzione33. D.G. Naturalmente, quanto a sua maest lIo, si tratta di una forma ironica. Gi con Freu d sua maest lIo caduto dal trono e per me questa espressione ha la funzione di attuare unironizzazione assoluta. A un bambino si dice pi o meno: sei limperatore della Cina. I.T. Nonostante questo ho limpressione che una sorta di inaggirabilit resti. Per esempio, nellOde al diencefalo, lei scrive: Tutto sotto controllo, lingue, culti, satelliti, / solo una cosa hai sottovalutato, questo io34. Questa inaggirabilit, anche se potrebbe trattarsi di una illusione necessaria, non conduce a una posizione irriducibile al materialismo classico?
30 Cfr. D. Grnbein, Vom Schnee oder Descartes in Deutschland , Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2003, trad. it. in D. Grnbein, Della neve ovvero Cartesio in Germania, a cura di A. M. Carpi, Einaudi, Torino 2005. 31 D. Grnbein, Transit Berlin, in Galilei vermit Dantes Hlle und bleibt an den Maen hngen, cit., pp. 140141: berflle von Reizen und Empfindungen. 32 D. Grnbein, Niemands Land Stimmen. 5. Begegnen den Tag, in Schdelbasislektion, cit., p. 49: Vorm Schirmbild war ich wieder ganz was Hume/ a bundle of perceptions nennt. 33 D. Grnbein, Nach den Satiren. IV, in Nach den Satiren, cit., p. 223n: seiner Majestt das Ich. 34 D. Grnbein, Ode an das Dienzephalon, in Schdelbasislektion, cit., p. 133 (Alles im Griff, Flgkrper, Sprachen und Religionen, / Hast du nur eins unterschtzt, dieses Ich), trad. it. in D. Grnbein, A met partita, cit., p. 95.

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D.G. Non ho mai fatto mistero di non essere un materialista al cento per cento: anche se alla fine lo stesso fatto dellio potrebbe per me essere re -incluso nel quadro del materialismo. LIo per me solo la cifra del fatto che ogni uomo contiene un aspetto fortemente personale, che si estrinseca in questo o in quellaltro modo, su tutti i piani possibili: a un livello molto basso come ostinazione contro tutto, a livelli pi alti come agire cosciente, spirituale e individuale e come progetto di un mondo individuale e personale. Forse la pi bella definizione dellIo che mi sia venuta in mente : Ognuno nel suo proprio mondo, cos tanti mondi35. Parto dallidea che ogni uomo e questa per me la cifra per cui sta la nozione di io rappresenti un proprio mondo: un mondo in senso effettivo. Nel momento in cui sulla terra siamo quattro, sei miliardi di uomini, ci sono anche quattro, sei miliardi di mondi, diversamente qualificati. Alcuni di essi, per usare un termine teologico, sono mondi corrotti ma non per tutti cos altri sono abbuiati, tetri e bruciano do dio e tuttavia bisogna sempre pensare che ogni uomo orbita attraverso questa vita come una stella unica. Questa funzione -io va riconosciuta assolutamente a ogni uomo, anche quando si tratti, come afferma David Risman, di uomini eterodiretti, un fatto evidente per la sociologia. Dagli anni cinquanta si muove dallidea che gran parte dellumanit sia eterodeterminata, attraverso i media, i regimi totalitari o altro ancora. Anche a questi uomini si deve ancora accordare a ciascuno singolarmente questa riserva, questa differenza. Anche quando, in unadunata fascista, Hitler parla e ha davanti a s diecimila uomini, si deve sempre presupporre che nella testa di ognuno dei diecimila presenti abbia luogo un corso di pensiero totalmente diverso, sebbene disgraziatamente e questo , dal punto di vista politico, il grande pericolo visti dallesterno essi reagiscano e agiscano come uomini uniformati, eterodiretti. Ho sempre ritenuto e questa stata in fondo anche lesperienza del totalitarismo che in ogni singolo individuo vi sia sempre una quantit incredibile di risorse: in questo senso sono naturalmente un materialista scettico, non potrei mai del tutto dissolvere lIo, neppure nella definizione humeana, la pi nobile che ci sia, per cui noi risulteremmo quasi dalla somma delle nostre percezioni e dei nostri stimoli nervosi, e neppure nelle teorie sociologiche per cui noi saremmo determinati dal nostro milieu, giacch rimane sempre una differenza fondamentale. Tuttavia non cercherei di spiegare questa differenza in termini spiritualistici: probabilmente si tratta del risultato di tutte le determinanti, che alla fine culminano in ciascun singolo in una differenza. Per tornare a Hume, la sua definizione comunque molto buona, poich non si tratta di una definizione politica, bens epistemologica, con la quale in gran parte sarei daccordo. Dunque quanto pi consciamente percepiamo, quanto pi ci esponi amo a numerosi stimoli, tanto pi ci differenziamo: e naturalmente ci dipende dal grado di elaborazione. Forse ho una concezione piuttosto fenomenologica dellio: una delle pi belle definizioni dellio per me sempre il romanzo di Marcel Proust, la Recherche. Dal punto di vista letterario non c scrittore, vivente o morto, che abbia descritto un io in modo pi comprensivo di Proust. Mentre leggiamo sappiamo per che vi sono tantissimi altri io, simili a questo, che non saranno mai descritti e che rimarranno privi di parola: ci sono tantissimi Marcel, il mondo pieno di Marcel. I.T. una versione della monadologia, con la sua stretta relazione tra appercezione e io, appercezione e corporeit, sebbene in Leibniz vi sia, al fondo, una idealizzazione del corpo. D.G. proprio cos: lidea della monadologia ha avuto grande influsso su di me. Ma lio non affatto una monade senza finestre, piuttosto una monade con finestre. I.T. Vorrei ora venire a un altro tema, la presenza del classicismo nella sua poesia. A partire da Dopo le satire la classicit, ma forse ancor pi la letteratura tardoantica, gioca un ruolo inedito nella sua produzione precedente. Anna Maria Carpi, nellintroduzione alledizione italiana delle
35 Grnbein cita a memoria un verso di Inframince, in Schdelbasislektion, cit., p. 16, la cui versione originale : Jeder in seiner Welt unerkannt so viele Welten.

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sue poesie, parla di una svolta, una sec onda identit del poeta, che ora assume lidea classicista di unarte che superi il tempo. Anche in precedenza alcuni critici confrontandosi con le sue prese di posizione poetiche verso levoluzionismo, ad esempio nel Requiem per un uomo delle caverne36 avevano creduto di riscontrare nella sua opera una sorta di regressione verso la prima modernit. Che cosa significa per lei assumere poeticamente insieme levoluzionismo moderno e il classicismo? Come stanno assieme questi due momenti della sua arte? In che misura giocano come una sorta di compensazione per lo sbarramento dellorizzonte utopico del moderno? D.G. Non vedo un elemento regressivo, nemmeno nel Requiem per un uomo delle caverne , che una lunga poesia aneddotica e racconta come nel girovagare per la citt si possa improvvisamente ritrovare in un museo luomo primitivo dentro una teca. Non si tratta di affermare o negare al cunch, quanto piuttosto di stabilire una relazione tra vita urbana e musealizzazione delluomo di Neanderthal. In questa misura non c alcuna regressione e la poesia non fa appello ad alcunch: non si tratta del tentativo di rivitalizzare larte attraverso la barbarizzazione. Pi difficile la que stione per quanto riguarda la compensazione. Io sono presumibilmente un anti-utopista: per me la felicit sta indietro nel tempo. Quanto pi mi sviluppo, tanto pi mi devo ulteriormente sviluppare a partire dallantica pellicola dellumanit. Devo innanzitutto scoprire tutto ci che gi stato pensato, fatto, costruito, scritto e dipinto: devo comprendere chi sono. E non comprender mai chi io sia se mi proietto in avanti, perch so che davanti c il deserto. Il futuro il deserto. Il futuro il deserto assoluto. In primo luogo perch non ha bisogno di noi: non c alcun futur o che abbia bisogno di me. In secondo luogo perch aperto. Tutte le ideologie del futuro affermano e celebrano la perdita del passato come lapertura del futuro: danzano come barbari sulle macerie del passato. In terzo luogo perch il futuro riceve sempr e pi limpronta dellelemento anti -umanistico. Il futuro oggi viene sempre pi definito come congedo dalluomo. Pertanto credo che davvero ci troviamo a un punto posizione estremamente sensibile del processo storico. Non c mai stata prima una tale aggressione del futuro contro il passato. Questo il momento in cui io mi pongo esattamente e completamente con tutto il cuore dalla parte del passato. Ma non nel senso della regressione o della compensazione, piuttosto, nel senso di Benjamin, si tratta di una ricostruzione o di una redenzione. Una redenzione dei valori svenduti, delle biografie distrutte. Per chiudere, una redenzione del senso del passato: e il passato riceve senso solo nella misura in cui continua in me, finch gente come me trasporta, come Caronte, parti del passato con il suo traghetto. Per questo il pensiero utopistico il peggiore: il pensiero della science fiction. Lo spirito della science fiction il pi stupido, perch si ostina a immaginare scenari che verranno comunque superati dal futuro. Il futuro rider sempre della science fiction che gli uomini del passato hanno prodotto. I.T. Non trova per che vi sia, almeno in apparenza, una certa tensione tra lidea del neuroromanticismo e il momento che si fa carico di redimere il passato? Come crede che possa essere sciolto questo potenziale conflitto nella sua poetica? D.G. Posso giustificare la compresenza di questi due momenti, dato che anche per il neuroromanticismo il cervello funziona tanto meglio quanto pi funziona la memoria. Il cervello non solo una macchina, come ora se lo rappresentano i neofiti di Turing, non solo un computer qualsiasi, ma molto pi complesso, poich grandi parti di esso sono portate a sintetizzare sempre di nuovo contenuti del passato, ricordi. Ci che di vi di peculiare nel cervello non solo la sua competenza di calcolo, la capacit di padroneggiare ogni nuovo problema, ma piuttosto la capacit di porre le nuove questioni in relazione a tutto quanto gi conosciamo. Per questo mi affascina tanto la neurologia, la quale nel frattempo ha gi capito che non si tratta di un qualche livello astratto di intelligenza: luomo massimamente sviluppato invece quello dotato di una grande
36 Cfr. D. Grnbein, Requiem fr einen Hhlenmenschen, in Falten und Fallen, cit., pp. 111-114, trad. it. in D. Grnbein, A met partita, cit., pp. 223-227.

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consapevolezza, di una grande memoria. Di qui unaltra equazione: quanto pi grande la memoria, tanto pi grande il cuore, in senso classico. Un cuore grande, la nobilt danimo, la magnanimit: questa la vera utopia. I.T. Queste riflessioni mi fanno pensare, tra parentesi, ai testi jenesi di Hegel sulla filosofia dello spirito, dove, con accenti quasi materialistici, Hegel pone grande attenzione al rapporto tra animale e uomo, quindi stabilisce un legame profondo tra Io e memoria 37. LIo qui inteso come approfondimento e riflessione di quel pozzo di figure inconsce disarticolate in cui consiste la memoria, dalla quale, con immagini espressionistiche, fuoriescono ora un brandello, ora una testa insanguinata, ora una figura bianca D.G. Si tratta forse di quel passo della Fenomenologia dove Hegel dice che lo spirito un osso? Un passo incredibilmente curioso, in cui il filosofo cerca di qualificare losso dello spirito, losso del cranio: quasi cinque pagine surreali, dove Hegel, credo, vuole stabilire una connessione tra la coscienza individuale, la particolarit della coscienza e lanatomia. I.T. Il testo cui facevo riferimento di qualche anno prima (1805-1806), ma credo vi sia una connessione intima con le pagine della Fenomenologia (1807) che lei ha richiamato. Tornando invece alla questione del rapporto con lantichi t, ho notato che lei spesso gioca nei suoi testi con riferimenti allo stoicismo: cos, in Lezione sulla base cranica, il poeta, raffigurato come cane di confine, un cane pavloviano nella terra di nessuno della DDR, dice di s: Tuttavia rimasi stoico, con il mio territorio ben in vista38. E stoici sono anche, in Dopo le satire, limperatore Giuliano e il grillo, filosofo stoico che sta in silenzio sotto il sole mentre l fuori impera la lotta per la sopravvivenza39. E non mancano i rimandi al cinismo antico: mi sembra, in particolare, che la figura del poeta come cane di confine, vividamente ritratta in Lezione sulla base cranica, si sia avvicinata molto, in Dopo le satire, a quella del cane filosofico dei cinici40. Il poeta sarcastico cui si fa riferimento un osservatore cinico del tempo, nel senso di Diogene. D.G. una questione di cui dovremmo discutere a lungo. La stessa parola cinismo, in greco, deriva da cane. Il cinico , per cos dire, il cane tra i filosofi. Purtroppo la nozione di cinismo ha successivamente sofferto uno sviluppo mostruoso, tanto che oggi la parola ha una connotazione negativa. Cos, la coscienza cinica vista oggi come una coscienza deficitaria. Per questo finora ho evitato tale espressione e ho preferito parlare di sarcasmo. Il sarcasmo per me una posizione importante, anche se probabilmente si fonde con quella di cinismo. Tra le altre cose, il sarcasmo la capacit di mantenere sempre viva la rabbia per ci che accade. I.T. Dopo tante domande indirette vorrei ora chiederle come si rappresenta il rapporto tra poesia e filosofia. Identificando la sua poesia come neuroromantica, condivide in pieno anche lidea romantica della poesia come compimento della filosofia, come la pi alta conoscenza filosofica? Daltronde, ho limpressione penso per esempio al suo saggio su Nietzsche che lei veda un pericolo immanente a quella sorta di poeticizzazione della filosofia che oggi, attraverso Heidegger, diventata una tendenza importante. In un articolo su Nietzsche intitolato La radura della parvenza, pubblicato su Die Zeit, lei scriveva: In fondo, la causa della sua successiva catastrofe stato il

37 Cfr. G.W.F. Hegel, Filosofia dello spirito jenese, a cura di G. Cantillo, Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 70-71. 38 D. Grnbein, Portrait des Knstlers als junger Grenzhund. 7, in Schdelbasislektion, cit., p. 101: Doch blieb ich stoisch, mein Revier im Blick. 39 Cfr. D. Grnbein, Julianus an einen Freund , in Nach den Satiren, cit., p. 30; In der Provinz 3. Bhmen, ibidem, p. 11, trad. it in D. Grnbein, A met partita, cit., p. 241. 40 D. Grnbein, Gegen die philosophischen Hunde. Ein Veteran schlgt zurck, ibidem, pp. 43-44.

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legame insolubile tra la possessione retorica e il sogno di una filosofia somatica radicale 41. Crede che questa insolubilit valga anche dopo Nietzsche? D.G. Nella misura in cui tutto ci che scrivo in poesia, saggistica o prosa, pensato a partire dal presente, parlerei di una contraddizione aperta che vale assolutamente ancora oggi. Bisogna per attualizzare il discorso e, tornando alla parola chiave neuroromaticismo, credo che nelle sue pieghe stia nascosta anche la speranza che attraverso la scrittura e le arti si affermi sempre meglio lampiezza delle funzioni del cervello. Mentre comprendiamo sempre meglio come il cervell o percepisca, modellizzi, rielabori il mondo, abbiamo forse anche una chance per esprimere sempre meglio il mondo nella scrittura e nellarte. Lo ripeto: per me uno dei tentativi pi stupefacenti nel campo della prosa rimane sempre quello di Marcel Proust. Una delle possibilit effettive per mettersi sulle tracce del cervello quella di partire narrativamente dallintero arco della vita e insieme di tenerne il passo con metodo saggistico, riesaminando sempre di nuovo tutte le situazioni fondamentali in cui un uomo capita, comprendendo filosoficamente tutte le situazioni esistenziali. Alla fine per resta sempre una profonda contraddizione tra essere neurologico e essere espressivo. Ogni uomo lavverte e molti uomini se ne ammalano. Credo che la causa di mol te malattie non stia tanto in problemi familiari o di relazione, quanto, argomentando filosoficamente, in questa contraddizione fondamentale: Non mi posso esprimere compiutamente, ovvero, mentre mi esprimo, la gran parte di ci che sono va persa. Quest a per me una delle cause principali delle malattie psichiche e la caduta nella follia di Nietzsche legata al suo tentativo di non lasciar nulla dintentato per svilupparsi sia come filosofo sia come lartista che avrebbe tanto voluto essere, e che stato. La filosofia ha assunto per lui integralmente la forma dellarte. Nietzsche ha tentato ogni mezzo per esprimere tutte le sfaccettature possibili, tutti i possibili aspetti, tutti i possibili contenuti di pensiero, e sempre nel modo pi circostanziale possibile. La peculiarit della filosofia di Nietzsche il fatto che essa conserva lo stato di eccitazione di un pensiero che inizia. Non si tratta di una filosofia che prende le distanze, concepita come una lunga appendice di una eco che risuona in lontananza. Nietzsche si pone invece sempre come un diarista e per questo nella sua scrittura vi sempre limmediatezza retorica. Ma alla fine, quanto pi Nietzsche si attenne alla superficie, tanto pi grande divenne per lui la sensazione di un deficit: tanto pi profondamente egli dovette andare incontro al fallimento. I.T. Il rapporto tra filosofia e poesia quindi animato da una contraddizione immanente? D.G. Direi piuttosto, per riprendere una formula che una volta ho espresso in modo un po affrettato, che poesia = filosofia + coloritum decor. La poesia uguale alla filosofia ma con qualcosa in pi, un sovrappi di estetica. Ora questa relazione pu essere intesa nel senso del compimento solo da coloro per i quali lestetica gioca un ruolo importante. Nel frattempo, ho sperimentato che c una gran massa di persone, gran parte dellumanit, che pu vivere senza estetica. La poesia, allora, per me il compimento della filosofia o, per usare le parole di Novalis, che cito a memoria e che sottoscriverei, la poesia il reale, il reale veramente assoluto. Questo il nocciolo della mia filosofia. Quanto pi poetico, tanto pi vero42. I.T. Ma non vi sono anche aspetti che non possono essere tradotti da una lingua allaltra, e con questo una specificit che non pu condurre a una identificazione tout court di poesia e filosofia, a una sintesi senza residui, ma che porta piuttosto a un movimento incessante da un lato allaltro?

41 D. Grnbein, Die Lichtung des Scheins, Die Zeit, 35/2000: Am Ende war die Unauflsbarkeit von rethorischem Befangensein und der ertraumten radikalsomatischen Philosophie die Ursache der spteren Katastrophe. 42 Novalis, Fragment ber Poesie (1798): Die Poesie ist das echt absolut Reelle. Dies ist der Kern meiner Philosophie. Je poetischer, je wahrer, trad. it. di E. Pocar in Novalis, Frammenti, con una introduzione di E. Paci, Rizzoli, Milano 2001, p. 301.

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D.G. Vi sicuramente una gran quantit di aspetti che non sono traducibili e la specificit consiste proprio in questa sfrontata intraducibilit: altrimenti si finisce per fare della poesia e della filosofia veramente cattive. Credo sia molto grossolano il tentativo di scrivere troppo direttamente di filosofia come se fosse letteratura e di sovrascrivere la poesia come se fosse filosofia. Si pu solo, in modo indiretto, essere filosofici come poeti e essere poetici come filosofi: e forse i tentativi di comprimere tutto ci producono quel tipo di problema che capitato a Nietzsche (Venezia, ottobre 2000) [Gi apparso su La societ degli individui, n. 25, anno IX, 2006/1, pp. pp. 99 -124]

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Saggi e incursioni

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VITO M. BONITO MEMORIALE DEL SACRIFICIO


#1 Due lapocalisse. Uno la poesia. Due la rivelazione della poesia, la sua fine. Noi siamo da sempre nella rivelazione e nella fine. Lunica possibilit stare nelluno a partire dal due. La poesia solo limperfezione del coro, il senzarespiro sotto un sangue di stelle. Dopo la poesia pu non abitare solo nella poesia. Non-abitare la condizione pi estrema e naturale della poesia. La poesia, che non ha pi generi, physis. Origine, cominciamento, materia. Uno. Rhythmos, ferocia dellandatura, del battito. Pulsazione rivelazione pensiero morte. necessario dimenticare. Farsi prendere alle spalle dalla lingua, farsi verso, versare in uno stato di abbandono assoluto, senza principio, senza ricordo del principio. Si scrive solo davanti ai morti. Non davanti alla lingua. Si scrive, si ascolta nella violenza che la poesia. La violenza ritmo, transito. Il ritmo spazia il due nelluno. Lio due, dunque lacuna delluno dei morti, della poesia. Lirico, antilirico sono modalit impotenti e inutili del due. Rivelazione, fine sono il margine pi esatto e tragico del due. Due il principio della fine. Ultima luce della notte. L dove non ci sono pi finestre e sibila soltanto lestremo ascolto del sangue, la rosa nuda delludito e dellobbedienza. La questione dei generi, come quella dei luoghi poetici, cosa morta, vano assillo. la contemporaneit non ha luogo; pura dispersione e non contiene nulla. La lirica, la poesia lirica solo un non luogo a procedere. 98

Uno il rhythmos. Cosa ci finisce dentro, lio il noi il tu e il tre della persona, sol o forma di un ritmo, provvisoria cadenza e caduta. Fetore del quotidiano. Che si possa essere davvero incivili, e trascurare una volta per sempre la mestizia del nostro stare quotidiano, la nostra presunta innocenza di vittime, il lamento senza fine della nostra vanitosa accidia. La poesia deve essere per natura e non per accidente. Lorrore non dire io in poesia, lorrore non mandarlo a morte, per natura. Ed lo stesso per il tu il noi in tre della persona. Lorrore non sta nel dire. Lorrore sta nel non mandare a morte ci che si dice e il dire stesso. #2 Il perduto ci che nasce. Viene a noi nella genesi. La poesia nasce non venendo alla vita. La poesia il dolore innocente. Noi siamo il dolore innocente. Ci che la lingua poetica dice niente, perci la lingua poetica raccoglie ci che segreto, e ci che segreto semplicemente voce che si ripete prima di essere udita. La rivelazione vuota, il vuoto. Nasce da un rifiuto. Lorigine il rifiuto, come il dolore che ha per spazio tutto il pensiero. La lingua poetica deve nascere da un no senza equivoci, senza redenzione. E per questo deve compenetrarsi del disastro della nascita. La lingua poetica la potenza passiva che pu solo presentarsi nella forma vuota di un rifiuto a nascere, di una nascita dal rifiuto. La lingua poetica rivela il soffiato via che non ha pi nulla a che fare con il soffio di vita. Ma con una candela che si spegne. La lingua poetica il tremore dellinsonnia. La veglia sterminata e desertica che non fa ri cordare, n dimenticare. La lingua poetica, come linsonnia, non vede mai cominciare un altro giorno. Subisce la rivelazione; agonizza in un respiro inanimato, in una solitudine devastata. Nella lingua poetica non ci sono parole che contino pi di altre. Tutte sono dette nelluguaglianza in cui si consumano. Nessuna pu essere redenta, n essere ricordata pi di altre, n dimenticata dopo le altre. Nella lingua poetica si consuma ogni forma, ogni metamorfosi. Ogni forma perde forma ogni lingua una lingua, la sola lingua la lingua sola. 99

La lingua poetica opera servile e serve il nulla. Nella lingua poetica si capita, come un cane capita nel suo nessunluogo. Se la poesia toccasse la vita non ci sarebbe pi respiro. Per la vita. Se la poesia toccasse alla vita non ci sarebbe pi vita. Nella lingua poetica i morti risorgono morenti. I vivi non hanno importanza nella lingua poetica. I vivi sono indifferenti alla lingua poetica. La lingua poetica ci dimentica, ci ha dimenticato, da sempre. Ci ha dimenticato senza meraviglia, senza profondit, senza eternit. Ci che nascosto non pu essere custodito. Inermi, noi siamo il suo sacrificio; lasciati incustoditi dal segreto. A parlare invece di morire, a parlare mentre moriamo. La lingua poetica deve torna re allestrema tensione emotiva; mosso dalla bellezza della rivelazione deve produrre commozione. Deve servire la commozione. Servire la commozione essere esposti allestrema immediatezza, inerme, inattesa; la condizione di testimoni senza casa, senza patria. La lingua poetica, qui, innanzitutto perdita di se stessa, fioritura del residuo, saliva estrema che fa lume su un sacrificio perennemente in atto, in cui il sacerdote bela come un capro. Udire ubbidire.

#3 Ci che viene alla creazione viene per nascondere. La creazione lornamento che deve ri -velare il segreto. La poesia ci rende dei senzarespiro dentro un pensiero nascosto. La lingua poetica vede la sua precedenza, ne comprende il silenzio abissale, sincammina verso un rito della commozione. La commozione il luogo di una comunit immediata. La passione il luogo di una comunit immediata. Essere fuori di s, fuori del soggetto, la prima forma della comunit, dellessere in comune e dunque del non essere immune. La poesia rivelazione senza mondo. Anacronismo, amnesia, apnea. 100

La poesia miseria. Violenza. Violenza e meraviglia, doppia radice dellabisso. Stare qui, nel filo spinato che ci abbraccia, rendendoci cose di sangue nella compassione dei morti, degli andati. N dentro n fuori. L dove ancora respira il poema a morte, luce dellinermit, del fallimento, della vita disattesa. Senza redenzione, senza accordare redenzione, linermit della poesia pu aiutare gli umani a morire, a farsi canto della consumazione, odore della loro dissoluzione. Silenzio e fragilit riescono a sostenere il sacrificio di una scrittura che si allontana da s, dal proprio ronzio inabitabile. La luce dello sguardo deve cos retrocedere fino alla propria infermit, farsi inerme, voce indifesa. Un cammino di ritrazione, dentro il suono di una rima che piange le vite colpite. La parola sola, incapace di avvicinarsi a tanto mistero, a tanta lontananza, a tanto silenzio. La fatica delle parole deve ridursi al suo pi puro fallimento. Ci che resta alla lingua poetica arretrare, riconoscere limpronunciabile, la propria posizione indifesa - a difesa della propria finitezza. Luogo comune della nostra inermit. La lingua poetica un pensiero incompiuto, un pensiero che non sa, che entra nel lopacit e nel buio, l dove non c pi logos, l dove si avanza senza pi vedere. Perch resta solo linaudita sofferenza del pensiero. Qui tutto si perde la lingua fa silenzio, la luce fa silenzio, le forme fanno silenzio, il senso fa silenzio. Fare-silenzio, questa la lingua. In una perfezione di sonno e ferite. In una notte viva lo stupore sanguina. Sanguina mentre si espone e ammira la propria finitudine. La poesia drammaturgia acustica della distanza, nudit di una lingua che non ha pi sorelle e si allontana. Essere qui e ora distacco, addio. La lingua poetica non ritorno. La lingua poetica un esercizio sulla povert di mondo. La lingua poetica un esercizio sullagonia. La lingua poetica un esercizio sul sacrificio. La lingua poetica un esercizio contro la realt. La lingua poetica un esercizio contro la memoria. La lingua poetica un esercizio contro limmortalit. La lingua poetica un esercizio contro la poesia. 101

La poesia respiro a cui viene a mancare il respiro. La poesia accade nellirrespirabile, lirrespirabile. La poesia lassenza del pensiero. La lingua poetica il filo perduto dellamnesia. Un canto amnestico, un ritmo amnestico. Luce nuda, vuota. Il grado pi alto e freddo dellintransitivit del se nso, in cui accade solo un responsorio autistico. La lingua poetica sta di fronte al terrore, alla paura. Chi va alla poesia sta nella luce della nudit, della paura, della vergogna. La lingua poetica toglie. In questo scavare, accecare, sta la sua genesi. Dunque essa viene per togliersi. Tutto accade dove il corpo non ha pi pelle, il bianco non ha pi pelle. In unalba che non passa, come latto tremendo di una genesi. La lingua poetica un atto di inferiorit. Qui non si attende nulla, si accade nel lignoranza del linguaggio e della morte. Non ci sono figure nella lingua poetica. La sua nudit, la nudit che la lingua poetica , oltrepassa ogni figura. linaudito che si fa udito, in ascolto. E noi come cosa udita soffochiamo. La poesia deve uscire dal linguaggio. Morendo, esce dal linguaggio; morendo, si esce dal linguaggio. Chi scrive il tragos che muore dentro il proprio cambiare voce, dentro il proprio odore animale. Chiama lodore - chiama lorrore La lingua poetica compie un sacrificio. Deve compiere un sacrificio. Deve scendere nella luce sacrificale. Lalba l dove principia il sacrificio. Scendere nella luce sacrificale atto dobbedienza. Lobbedienza obbliga allascolto. Qui si d inizio la lingua.

#4 Uno sono i morti. Il ritmo.

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PAOLO FEBBRARO RISPOSTA ALLINCHIESTA SULLA POESIA LIRICA


Lirici sono quei componimenti poetici con cui si pu comporre un libro senza un progetto unitario preventivo, giocando sulla tensione che si crea fra leterogeneit di temi, forme e momenti e la riunificazione, laccostamento, la ritrovata sequenza. Un libro lirico quello da cui lindividualit o unit senti-mentale dellautore risulta dalla lettura, ma non ne un po astrattamente o banalmente presupposta. Difficilmente si pensa a un poeta lirico come a un compositore, sia riguardo alla creazione della singola lirica, sia riguardo al libro o addirittura allopera complessiva. Per la lirica, infatti, si pensa a facolt umane come lespressione, lintuizione, lispirazione, lempito, il frammento, il lampo. Nellimmaginario collettivo, il poeta lirico quello cortese, amoroso, idillico, simbolista, ermetico: tutte specificazioni ed elaborazioni di un momento supremo, di un accostamento puntiforme a una Verit sublime, a un disvelamento epifanico e altrimenti irrevocabile, inattingibile se non per verticalizzazioni improvvise e preterintenzionali. il vecchio tema dellenthousiasms, o furor, o invasamento, che per forza di cose non pu durare per molto tempo, e che lascia spossati e spo ssessati, davanti a unopera la poesia lirica che albeggia sul proprio foglio, davanti a s come in uno stato di grata stupefazione. Tutto ci riguarda la lettura romantica dellantichit, o meglio lamore romantico per larcaico, il genuino, lincorro tto, il profondissimo. A questo hanno reagito le avanguardie intellettuali, dallIlluminismo al secondo Novecento: storicismo e materialismo dialettico hanno voluto denudare luomo dei suoi miti creatori, lo hanno privato dei suoi contatti col divino (dell a sua partecipazione alla natura divina) e hanno messo in luce il funzionamento del linguaggio, per studiarlo partitamente e riprodurlo in maniera straniata. Di qui, lenorme parte che la teoria della poesia ha avuto negli ultimi due secoli. Ma di qui, per contrasto, anche laccurata follia poetica di Hlderlin, la polemica dellintelligentissimo Leopardi contro lintelligenza del progresso e della civilt, la rivendicazione di Keats a favore della consustanzialit fra Sonno e Poesia. Di qui allora la solitudine del lirico autentico e viceversa il gran successo mediatico delle avanguardie, prontamente riconosciute dagli intendenti e dai critici come compagne di strada della modernit razionalistica. E cos, i lirici sono diventati dei cani sciolti, dei marginali, degli attardati, o dei tradizionalisti. Umberto Saba, ad esempio, nella sua strana smania di canto a lungo stato salvato solo da una surrettizia lettura neorealistica. Perfino gli ermetici lirici puri, di tradizione simbolista, sono stati sto ricizzati come poeti etici, e dunque civili, visto che il silenzio era lunica forma di resistenza alla barbarie impadronitasi dallesterno del sano popolo italiano. Lettura, come si sa, resistenziale e virtuistica. Ora, io penso che un poeta lirico debba e possa ormai smettere di considerare la poesia come unapplicazione intensificata o straniata del funzionamento del linguaggio. La poesia non linguaggio: i linguaggi sono porzioni gergali, professionali o generazionali, di una lingua, sono specificazioni. E la poesia non pu essere, ad onta dei molti tentativi in questo senso, un linguaggio specifico e tanto meno professionistico. Devessere un riattingimento continuo delle potenzialit significative della lingua, un gioco producente che sfrutti lamb iguit dei segni e delle loro stratificate storie, riformulandoli, sposandoli fra loro in maniera cospicua e inedita, ma anche facendoli risuonare nella testa, per riattivarli se obsoleti, o talmente usurati da essere stati di fatto dimenticati. I sentimenti del poeta lirico devono imprimere nelle parole della lingua questa forza rigenerante e verificatrice, dei cui esiti pubblici lautore personalmente, con tutta la propria onest e onorabilit, responsabile. Non parlo affatto, come si vede, di una supposta verginit della lingua, come farebbe invece un letterato conservatore (cos come, in ambito storico-letterario, non parlo mai di canone o anticanone, ma di tradizioni, al plurale). La lingua non mai vergine, sempre frutto di 103

contaminazioni, di spinte: nasce gi sposata con immaginazione, storia, bisogno, corpo, in nozze plurime e feconde, spesso imprevedibili. E gli echi della poesia passata non sono n da coltivare n da temere: vanno semplicemente (semplicemente? forse la questione emotiva pi complessa e, appunto, personale) affettivizzati, avocati a s, tramandati in una loro ritrovata freschezza inventiva, che aderisce al presente e al futuro. Viceversa, le grammatiche artistiche (dalle Prose della volgar lingua al Manifesto del Futurismo ), sono pi o meno precettistiche e insistono erroneamente o sulla conservazione di un equilibrio passato o sullesigenza di liberarsi di esso, tutte riducendo la lingua a un funzionamento, o a un repertorio, o a una tecnica. Ecco perch se leggo tre tavole parolibere di Marinetti gi mi viene in mente il petrarchismo. Ma chi , o chi dovrebbe essere, un poeta lirico oggi? Una persona talmente libera da impacci o ricatti socio-politici da poter cercare in piena autonomia i propri limiti: quella disciplina, quelle costrizioni che aumentano gli attriti e producono maggiore potenza sentimentale ed espressiva. Le regole del gioco, senza le quali il gioco si liquefa: ma regole, ancora una volta, personalmente elette, e mutevoli di libro in libro, di componimento in componimento. E ancora: leggi, limiti e costrizioni non esterni, ma interni alla lingua: pedaggi amorosi, vorrei dire, alla madre che ci ha messi al mondo, che ci ha costretti a fantasticare, a essere liberi in quei modi possibili e non in altri. Il tutto, considerando che i freni sono fatti per essere morsi, e che amoroso qui vale come sentimentalmente orientato, anche nel senso di un confronto acceso, pieno di momenti di infelicit e irritazione. Solo cos, il poeta lirico oggi pu sentirsi svicolato da ogni altra esteriore responsabilit: deve rispondere al pubblico della propria abilit e pregnanza, deve crescere come uomo in altezza, vastit sentimentale e prensilit della lingua, sapendo che un pubblico limitato non affatto un pubblico passivo e acquiescente, come i molti cattivi versi che vengono scritti e pubblicati indurrebbero a pensare. Daltro canto, nessun mandato sociale specifico: neppure (come per i narratori) quello dellintrattenimento, o della traducibilit in altri media. Solo cos e in seconda battuta il poeta lirico (dunque non apoditticamente epico o drammatico) potr tornare ad essere un testimone e un interprete, parte attiva nel diverso atteggiarsi di un immaginario. La crisi mediatica e pubblicitaria, o addirittura storico-letteraria, della poesia lirica unottima occasione morale per scriverne sempre di migliore.

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ANTONIO LORETO IL POETA UN UOMO CHE SCRIVE POESIE


Giosue Carducci, qualcuno lo ricorder, compil versioni dal poeta tedesco August von PlatenHallermnde. Una di esse si intitola La lirica:
A la materia lanima sappiglia, polso del mondo lazone; e a sorde orecchie spesso versa i canti lalta lirica musa. A tutti Omero sapre e svarati gli arazzi de la favola dispiega, lautor del dramma trascinando i volghi le scene eleva. Ma il vol del sacro Pindaro, di Flacco larte e, o Petrarca, il tuo librato verso, lento ne i cuori imprimesi, e a la plebe ardo sfugge. Grazia che pensa, non agevol ritmo di canzoncine intorno la teletta: non lieve sguardo penetra le loro alme possenti. Eterno vaga per le genti il nome, ma raro ad essi spirito saggiunge amico e pio che onori le gagliarde menti profonde.

Non orecchiabile ritmo di canzoncine davanti allo specchio, dunque, bens grazia che pensa. Questa contrapposizione, insieme a quella iniziale, tipicamente carducciana, tra narrazione e dramma da una parte e lirica dallaltra, contiene tutti i termini dellattuale dibattito sulla poesia lirica. In merito al secondo punto necessario rinviare allantologia curata da Enrico Testa, Dopo la lirica (Einaudi, Torino 2005): la poesia italiana degli ultimi quarantanni inclina a sottrarsi dai precetti del codice lirico. Codice che invece Guido Mazzoni vede ancora dominare sulla poesia degli ultimi tre secoli (Sulla poesia moderna, il Mulino, Bologna 2005), secondo una prospettiva di lungo periodo che sembra ben adottata e che tuttavia lo rende come presbite nei confronti del passato pi prossimo e del presente. Il discorso che egli conduce sulla canzone (intesa come forma principe della musica leggera), che a suo parere ha oggi in carico la funzione lirica (e quindi poetica), in una certa misura condivisibile, ma difetta nel non tener conto che molta poesia oggi prescinde perlopi dalla lirica, come si diceva con Testa. Non solo: anche non tiene conto che della lirica si danno modalit diverse, non tutte riconducibili ad una dimensione narcisistica ed egocentrica; rimando per questo a Giancarlo Alfano, che in S(f)oglie dellio. Forme di soggettivazione nella pi recente poe sia italiana (Nuova Corrente, LII, 135, 2005, fascicolo-antologia intitolato ai Nuovi poeti italiani, a cura di Paolo Zublena) porta, tra gli esempi, Allo specchio (passati i trentanni) di Marco Berisso (2002) recante una limpida neutralizzazione della prima persona grammaticale ma che per un taglio cronologico che fosse stato pi arretrante avrebbe potuto portare lAmelia Rosselli di Variazioni belliche (1964):

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Se nella notte sorgeva un dubbio su dellessenza del mio cristianesimo, esso svaniva con la lacrima della canzonetta del bar vicino. Se dalla notte sorgeva il dubbio dello etmisfero cangiante e sproporzionato, allora richiedevo aiuto. Se nellinferno delle ore notturne richiamo a me gli angioli e le protettrici che salpavano per sponde molto pi dirette delle mie, se dalle lacrime che sgorgavano diramavo missili e pedate inconscie agli amici che mal tenevano le loro parti di soldati amorosi, se dalle finezze del mio spirito nascevano battaglie e contraddizioni, allora moriva in me la noia, scombinava lallegria il mio malanno insoddisfatto; continuava laria fine e le canzoni attorno attorno svolgevano attivit febbrili, cantonate disperse, ultime lacrime di cristo che non si muoveva per s picciol cosa, piccola parte della notte nella mia prigionia.

Questa sorta di diegesi sillogistica attuata tramite un complesso trattamento delle strutture logico-sintattiche, a livello principalmente temporale e modale in cui la storia del soggetto (che, si noti, sovraesposto) si configura come un campo di possibilit, mostra bene che cosa la lirica (che tale ancora ) possa diventare, lontana da un discorso privato, dallesibizione di una storia personale o di una sua singola epifania. Rosselli ripeteva di frequente che la poesia deve trascender e lautobiografia del poeta, come in questa intervista rilasciata a Mariella Bettarini nel 1979 (e pubblicata ventanni dopo nei Quaderni del Circolo Rosselli del 1999): Nessuno ha voglia di scrivere di s, salvo che trasfigurando lesperienza e nascond endosi quanto pi possibile, dietro le scene, evitando addirittura la parola io. E spesso io ho avuto il problema di evitare la parola tu. Se parli a un tu in una poesia, tu parli se non a un tuo amore, certo a un tuo compagno o una tua compagna e il rapporto a due, dunque non necessariamente da pubblicarsi, anzi, da non pubblicarsi. Se il rapporto diventa plurale, si pu parlare di un discorso ad un pubblico; se non al plurale, tanto vale non farlo. Naturalmente non affatto vero che nessuno abbia voglia di scrivere di s, e anzi la tentazione, per la stessa Rosselli, sempre presente. Per vero che il soggetto pu raggiungere, anche senza nascondersi, una trasfigurazione che lo renda plurale, e che porti linteresse non sullesperienza ma ad esempio sulle condizioni dellesperienza (le condizioni sono un fatto sociale, collettivo, pubblico), o sulle sue condizioni di comunicabilit, di ripetibilit, di falsificabilit, di reversibilit, eccetera. In ogni caso, se vogliamo considerare in blocco il genere lirico, gi la discussione originata dal classico e classicamente parziale volume di Hugo Friedrich La struttura della lirica moderna (1956) aveva stabilito, con gli argomenti eliotiani di Alfonso Berardinelli (che a quel libro pose unappendice necessaria: Le molte voci della poesia moderna , 1983), che la poesia moderna non tutta lirica, e forse neppure nella gran parte (di quantit e di qualit parlando). Ma, ci che pi conta, il fatto da osservare che certa poesia (spesso la migliore per sui giudizi di valore chiedo qui immunit critica) non si misura neppure sulla contrapposizione tra lirica e anti-lirica, perch semplicemente si interessa ad altro che a mostrare o a celare il soggetto. Propongo tre brani da Il fiume (1987) di Corrado Costa:
[fiumi che perdono il senso della fiumit] restituiscono rive che non si oppongono immagini irriflesse / questi sono fiumi che perdono (per cos dire)

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la propria identit [UN NILO (per cos dire) perde la propria identit, se perde il senso del NILO / della NIHILI risale lentamente alle sorgenti del niente ci sono anche poemi che risalgono lentamente lungo poemi che scorrono in senso contrario verso le sorgenti del niente * Ho visto un fiume scorrere in un film muto nel film ho visto un pescatore che parlava del fiume pi va lontano pi aumenta la sua forza e il suo volume pi va lontano pi perde la sua forza e il suo volume verso un bassifondo, verso un grigio, un fuoco, va per terra appiattito e sperpera i suoi colori verso che foce va la parola fiume / che voce

chiaro che il lettore pu a buon diritto dire il soggetto c, il soggetto non c, et tertium come si sa non datur. Tuttavia potrebbe dire con lo stesso rigore logico il testo c, il testo non c, e in effetti su qu esto criterio si fondano altre classificazioni della poesia, ma la grande bipartizione rimane tra poesia lirica e poesia anti-lirica, non tra poesia metapoetica e poesia non metapoetica. Se mi si concede unottusit di servizio (almeno questa), non vedo pe rch, tra scrivente e testo, si debba privilegiare il primo. Senza contare che potremmo considerare la presenza o meno di un lettore: il lettore c, il lettore non c. Naturalmente tutto c, come scrisse argutamente W.V. Quine; il punto : si mostra, non si mostra. Mi limito a indicare come termini di categorizzazione i tre elementi cardinali della scrittura: mittente, messaggio, destinatario; trascurando gli altri tre perch complicherebbero il discorso senza aggiungere particolari apprezzabili. Ci che voglio suggerire che la centralit del soggetto, che sia accettata o respinta, un mito, la cui fondazione molto antica, certamente, ma che pure stata una fondazione, con tutta la corruzione e il fascino della sua storicit. A qualcuno potr certo venire in mente di leggere Omero alla luce del paradigma lirico/antilirico, ma Canta, o dea, lira dAchille Pelide (come traduce Rosa Calzecchi Onesti) un inno alla posizione non pertinente del poeta nelleconomia della dizione poetica: il po eta non si mostra, n si nasconde, e quasi quasi non neppure colui che canta (il fatto che sia il mito a metterci in guardia su un mito un fatto curioso, e vorrei sottolinearlo), e chiamerei in causa qui lopera di Nanni Balestrini, la cui epicit co mprende anche il suo tipico assemblare piuttosto che creare. Con un esperimento un po perverso, si potrebbe far cominciare La terra desolata , esemplare eccelso e citatissimo di poesia non lirica, con il verso My April is the cruellest month []. Certo qualcosa cambierebbe, ma che cosa davvero? Quali tra i discorsi e tra i derivati di quel poemetto cadrebbero? Che un testo abbia un fondamento lirico o meno pu interessare veramente poco, cio non servire a qualificare perspicuamente esso testo e loperazione poetica che lha generato. Ritorniamo comunque alla tesi di Mazzoni. Esiste un fenomeno che Antonio Gramsci osservava nei suoi Quaderni parlando di un poeta da lui non propriamente amato (Q. 17):

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LUngaretti ha scritto che le sue poesie piacevano ai suoi compagni di trincea del popolo, e pu esser vero: piacere di carattere particolare legato al sentimento che la poesia difficile (incomprensibile) deve esser bella e lautore un grande uomo appunto perch staccato dal popolo e incomprensibile: ci [] un aspetto del culto popolare per gli intellettuali (che in verit sono ammirati e disprezzati nello stesso tempo). E in una nota precedente (Q. 8): Uno degli atteggiamenti pi caratteristici del pubblico popolare verso la sua letteratura questo: non importa il nome e la personalit dellautore, ma la persona del protagonista. Lo si vede bene nella modalit corrente di consumo cinematografico: il fruitore medio non memorizza e non interessato a memorizzare il nome e la figura del regista, bens il personaggio, e il divo che lo interpreta (Toni Servillo, gi che si parla di divo, e naturalmente Giulio Andreotti, lasciano traccia maggiore che non Paolo Sorrentino). La poesia lirica ha spesso operato la concentrazione immediata di autore e personaggio (io biografico e io lirico) in un unico punto, quando pi quando meno riuscendo ad occultare (perfino al poeta stesso) i gradi di mediazione tra luno e laltro. Su questo terreno di concentrazione, che non coincide chiaramente e fortunatamente con quello della poesia e neppure della lirica, la canzone ha oggi sottratto gran parte della richiesta estetica precedentemente indirizzata alla poesia, e la soddisfa con un successo che sembra durevole e pieno. La sua posizione privilegiata si deve, com eviden te, ad unapparecchiatura produttiva, distributiva e fruitiva che si rende disponibile e indispensabile per innalzare e sfruttare al massimo grado quella quota narcisistica che compresa nella richiesta in questione, fino ad assumere forma di divismo. Li ndustria discografica fa s che la personalit del cantante sia visibile e perfino tangibile. Non si parla qui necessariamente di boy-band o di rocker patinabili. Il discorso pu valere anche per un riservato cantautore. Il piccolo peso del colto Francesco Guccini nella cultura odierna molto probabilmente maggiore di quello del citato Carducci, che un tempo fu vate e benefici del culto per lintellettuale, e che oggi sta tra le grigie polveri delle biblioteche e dei programmi scolastici (in quelli accademici lo si trova di rado). Che poi Guccini sia un gran carducciano, in alcune circostanze ai limiti del principio classico dellauctoritas, conta molto poco. Si distinguano le seguenti strofi (altra proposta perversa):
Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze Lungo i miei monti colorati in rame fumano nubi basse. un lavorare faticoso e pazzo da pentirsene un giorno Ecco a metterti in versi io mi strapazzo e non mimporta un corno.

La prima in Canzone dei dodici mesi (1972), la seconda appartiene a Intermezzo (ante 1887, vv. 113-116), poemetto da cui Guccini trae molta della sua materia: le stesse corde dellinvettiva e del sarcasmo proprie del testo di Carducci si toccano in Canzone delle osterie di fuori porta (1974) o ne Lavvelenata (1976) o in Cirano (1996). Nel caso particolare sopra riportato balza allocchio la stessa identica struttura epodica, con coppie di distici formati da endecasillabo e settenario a rima alternata, anche se sulla rima degli endecasillabi il cantautore si concede qualche libert sostenuta dal testo musicale. E ancora: un settenario come Falso del verso vano ( Intermezzo, v. 12), oltre ad avere la stessa identica trama tonica di fumano nubi basse, ad esempio, ha un simile gioco allitterante a coppie, e contiene, infine, elementi chiave della speculazione gucciniana: il dilemma vero-falso, il verso, la vanit del mestiere di poeta/cantautore (che per Guccini anche quella pi 108

generale delle fatiche umane). Ma insomma: Francesco Guccini raccoglie migliaia di ascoltatori con i suoi dischi e i suoi concerti, ascoltatori che vengono chiamati correntemente e sintomaticamente fans, magari ben contenti, finite le scuole, di non avere pi Carducci tra i piedi. ovvio poi che sul piano della qualit piano su cui Mazzoni correttamente non si muove il confronto tra Andrea Zanzotto e Paul McCartney (posto con malizia da Andrea Cortellessa) non regga (tra Leonard Cohen e il severo Davide Rondoni, per?). Quello che non regge pi, in assoluto, senza ponderazioni qualitative, la figura del poeta in quanto personaggio, il vate, ma anche, appena pi modestamente, il chierico, lintellettuale. Si parlato molto della scomparsa e della mancanza dei Pasolini, dei Fortini, dei Calvino; con loro scomparso il sistema culturale che li legittimava in quanto personalit pubbliche (ricordo un discorso di un paio di anni fa, ai tempi in cui Sanguineti ultima incarnazione di quella risma di intellettuali si candid a sindaco di Genova: auspicabile il ritorno allodio di classe, disse il gi novissimo: prima lo scalpore, poi il pronto rinculo di tacitazione, una fucilata coi germani della stampa a volare starnazzando per altre plaghe, e di odio di classe fu come non aver parlato mai). Prendo il Corriere della Sera di oggi (20 ottobre 2008), per una controprova che in realt non mi aspetto: il sommario promette: cultura: conoscere chi si ama? unillusione - di Paolo Giordano, a pagina 27. E a pagina 27 Giordano mantiene: Ci si sposa, s, per amore, ma anche per convinzione e, forse, per un po di stanchezza. Il brillante dottorando di Torino (la cui carriera accademica minacciata, come per molti, dal peggiore governo della Repubblica Italiana di cui abbia mai letto o avuto esperienza), diventato, forse suo malgrado, un cantante, dotato di fan e di patinature rituali, e in quanto tale ha titolo per scrivere sulle terze pagine: scrivere, beninteso, il suo pensiero sullamore. Molti poeti, anche tra i lirici, hanno mostrato nel secondo Novecento di aver compreso limpossibilit di farci partecipi del loro pensiero privato sullamore, o sulla perdita del padre, o simili. Altri canali si andavano deputando a tali cose, veicolate dalla produzione di personalitfeticcio, mirabilmente impaginate in Il mondo bello come le Spice che ballano e altre storie mitomoderniste terza e ultima sezione di Superwoobinda (1998) che si apre con Ciao, sono Aldo Nove, lo scrittore che piace, e in cui compare lamaro Marta Russo. Ma se il poeta rifugge la tentazione di rendersi feticcio, o gioca criticamente con esso, pu accadere che il feticismo della figura del poeta venga teorizzato in un libro interessante quanto discutibile: Il poeta un cavaliere Jedi. Una difesa della poesia (Fazi, Roma 2006) di Roberto Galaverni. Difesa parola chiave il poeta difende la lingua e difende se stesso dal brodskijano impero; poi, naturalmente, Galaverni difende questa difesa che viene dotata di una precisa intenzione dogmatica: esiste unautentica poesia, un vero poeta, una dimensione linguistica congeniale che si raggiunge per via di disincrostazione (cio di purificazione). Anche lesilio, che annunciato come posizione di lotta attraverso i nomi di Brodskij (appunto) e di Dante, assume piuttosto i toni di un rifugio turrito, aristocratico o monaco-clericale, la cui impronta religioso-cultuale palese quando lautore si affida, incautamente, alle parole di Adonis Il nostro compito quello di superare radicalmente ogni dogmatismo, soprattutto quello di tipo religioso, poich esso si dichiara depositario della Verit; pretende di conoscere non solo il passato e il presente, ma anche lavvenire. Per di pi convinto di possedere una parola insuperabile a commento delle quali Galaverni (apparentemente senza imbarazzo) si affretta a precisare che Adonis non parla della religione o del pensiero religioso, ma del loro scadimento nel dogmatismo e nella violenza ideologica. Personalmente non ho notizia di molte religioni senza dogmi e senza impalcature ideologiche (che in un altro passo vengono viste come violente per essenza), e in ogni caso la tentazione di far calzare la dichiarazione del poeta siriano alle tesi del Cavaliere Jedi, devo ammetterlo, forte. Soprattutto mi sembra che lazione demistificante auspicata per lautentico poeta galaverniano (decantazione dallinessenziale) sia di matrice profetica piuttosto che critica, il che potrebbe anche costituire una contraddizione in termini: 109

Prima di tutto una poesia se stessa, si definisce nella propria oggettivit; ed tutta evidenza, non nientaltro che quello che . Dunque non il suo prima e non il suo dopo, ma una configurazione inaudita la cui origine non basta a darne ragione []; un elemento anomalo e specialissimo, un elemento impossibile, una specie di piccolo miracolo di natura, in quanto di composizione e di qualit non commensurabile agli altri, dove lartificiale divenuto naturale pur senza perdere i suoi caratteri intenzionali e costruiti []. Qualche marxista nostalgico potrebbe far notare che lartificiale d ivenuto naturale sia di solito latore proprio di mistificazioni (o di miti, con Roland Barthes), e non basta comunque quellaggiustamento abbozzato in chiusura per sfumare limmagine che questo passo evoca: il vitello doro. Del resto anche il rapporto de l poeta con la realt-lingua un fatto non di poetica ma di natura e di destino, direi; e allora di qualit e di talento, di attitudini individuali e in quanto tali, anche soltanto in piccola misura, esclusive, eccezionali. Una vocazione, dunque? Parrebbe di s. Il poeta, questeletto. Che se un poeta vero, pu pure permettersi, senescendo, di riscrivere sempre la stessa poesia, come se continuasse ad aggirarsi su un territorio che stato proprio lui a scoprire e dissodare, godendosi ora, come un vecchio guerriero, i frutti del proprio raccolto (ch dopotutto ben oltre le tentazioni sempre troppo praticabili di una poesia politicamente la page, soltanto nella lingua che si gioca lonore di un poeta). E la lotta contro limpero? E lesilio? C pi della colonizzazione, qui, del posto al sole. O della terra promessa. Galaverni ci ripropone losservanza di un culto, e con coerenza sceglie un personaggio per definirne lofficiante (Gramsci, come altre volte, aveva visto pi lungo di quanto potesse immaginare). Io ho il sospetto, per tutto ci che ho cercato di mostrare sopra, che oggi questo non difenda granch la poesia.
Arido mondo, che non crede a nulla, n meno a le guanciate! Per disperazon fino Fanfulla mi s rifatto frate. Fra cavalier gerosolimitano, monta Bucifalasso, E contro ogni baron poco cristiano tiene, sfidando, il passo. [] Ahi fra Fanfulla; non son pi quegli anni, sfior la primavera: Non cantan pi cucli, i barbagianni guardan la tua bandiera.

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GIAMPIERO MARANO AUTOREFERENZIALIT


1. Laggettivo autoreferenziale, la cui applicazione non si limita ormai agli originari mbiti della logica e della linguistica, passato da tempo a designare uno dei bersagli preferiti e pi frequentemente evocati dallideologia aziendalista. Riesce per difficile circoscrivere loggetto che questa nuova o allargata accezione del termine dovrebbe denotare: la sua area semantica ha contorni talmente vaghi e sfumati che si pu comprenderlo soltanto in negativo, deducendolo dal suo contrario. L esemplificazione pi lampante di ci che non autoreferenziale viene forse offerta dalle trasformazioni strutturali che la scuola italiana ha conosciuto negli ultimi dieci-dodici anni. In nome della lotta allautoreferenzialit, accade infatti che mentre i dirigenti scolastici acquisiscono poteri sempre pi ampi di tipo manageriale a danno della democrazia assembleare, lapertura al mercato d luogo a fenomeni molto pericolosi come la sponsorizzazione degli istituti pubblici da parte di privati, avviando fra laltro un subdolo processo di erosione, nei princpi e nei fatti, della libert dinsegnamento. E dato che il movimento della societ e quello della cultura, per quanto non rozzamente sovrapponibili, sono sempre in qualche modo intrecciati, non deve stupire che si proclamino nemici dellautoreferenzialit anche alcuni critici letterari malgr soi impegnati sul fronte della ristrutturazione del genere pi refrattario al sistema della comunicazione: la poesia (la lirica). 2. Secondo Guido Mazzoni il passaggio dalla premodernit alla modernit, letteraria e non solo, cade nel cinquantennio compreso fra la seconda met del Settecento e la prima met dellOttocento, cio nella fase corrispondente alla rivoluzione industriale e al passaggio dalla civilt contadina a quella individualista e borghese. A questa transizione corrispondono da un lato il tramonto dei generi "alti" della tradizione, lepos e la tragedia, dallaltro laffermazione del romanzo, del dramma borghese e, appunto, della poesia lirica. Mazzoni ritiene che la poesia lirica, nella quale si generalmente portati a identificare la poesia tout court, interpreti bene la frammentazione della societ moderna, esibendo allo sguardo del pubblico esperienze personali che, in altre epoche, sarebbero state giudicate ininteressanti o inadatte a unopera seria: esperienze esposte in una forma solitamente breve e caratterizzata da uno stile eccentrico rispetto alla norma pubblica della tradizione. Nella poesia antica, e poi in una prospettiva di tipo classicista, il poeta tenuto a rispettare un insieme di regole, convenzioni e artifici indispensabili alla comunicazione. Anche quando parla in prima persona non arriva mai a pronunciare un monologo veramente solipsistico ma un discorso pubblico che rispetta le norme grammaticali della comunicazione collettiva (cos ancora Petrarca nel Trecento). Invece la lirica moderna si distingue in quanto genere dellindividuazione senza riserve, il genere proprio di unepoca in cui la letteratura ha perduto qualsiasi funzione pubblica. A partire dallet romantica, scrive Mazzoni, i poeti possono raccontare i dettagli effimeri delle proprie vite effimere con una libert confessoria, un pathos esistenziale, una seriet narcisistica inediti: a partire dal romanticismo anche possibile lirruzione, inconcepibile in epoche precedenti, del verso libero (la forma stessa dellio interiore emancipato, come lo definisce Marie Dauguet) non passibile di parafrasi, e del pome en prose. Nessun altro genere raffigura con tanta forza ed eloquenza lo stadio estremo dellindividualismo occidentale, conclude lo studioso. Il saggio di Mazzoni non delinea soltanto una storia della poetica moderna ma nello stesso tempo un testo militante che prende di mira, inevitabilmente date le premesse, le avanguardie storiche e le neoavanguardie: dirette eredi del romanticismo e del simbolismo, queste correnti sono accomunate dalla forma autoreferenziale e intransitiva della parola. Perci, a differenza del romanzo, la poesia moderna dividerebbe il pubblico tra llite degli iniziati e la gran massa dei profani: evidentemente, nota Mazzoni, una parte della cultura contemporanea d per scontato che si possa dire una verit universale chiudendosi in s. Quale sarebbe, allora, la via duscita da questa impasse autoreferenziale? In che modo la poesia pu 111

tornare a essere comunicativa? Schiacciata la lirica moderna sul solo ct solipsistico, lappannaggio dellesperienza comunitaria viene assegnato alla musica rock, che pure ha in comun e con la poesia degli ultimi duecento anni la fede in una verit ubicata in interiore homine, in esperienze asociali, in attimi isolati. Osservando come il peso "politico" del rock derivi pur sempre da un mandato sociale plebiscitario, Mazzoni si spinge anche oltre, sostenendo (sulla scia di Tondelli secondo il quale i pi grandi poeti degli ultimi decenni sono stati gli autori rock) che attualmente si sta verificando una metamorfosi irreversibile della cultura: non pi qualche intellettuale velleitario a elaborare la migliore critica dellesistente ma il sistema di opere, figure, intellettuali e generi che la comunicazione di massa ha prodotto e che funziona come una nuova cultura umanistica , cio come un corpus di testi e discorsi che ambiscono a spiegare o raccontare la vita umana in forme divertenti e istruttive, proprio come cercano di fare gli intellettuali e le opere della cultura tradizionale (corsivo dellautore). possibile ribattere alle tesi di Mazzoni almeno su quattro punti. a) Lumanesimo di massa non in grado di elaborare una credibile critica dellesistente. Come ha osservato Paul Zumthor, la carica rivoluzionaria e libertaria del rock ha avuto fine quasi subito (allepoca dello scioglimento dei Beatles, del ritiro di Bob D ylan e della morte di Jimi Hendrix), con la sua assimilazione da parte dellindustria discografica. Non si vede perch proprio la poesia debba incaricarsi di riesumare resti vecchi di quarantanni. b) Ravvisare lessenza della poetica tradizionale nella m imesi rituale della realt, contrapponendola al concetto di lirica come autoespressione, troppo parziale. Il realismo costituisce soltanto la fase di decadenza, di esaurimento della poetica occidentale, che in origine invece prevedeva, come chiariscono i dialoghi di Platone, limitazione della natura interna delle cose: perci uno dei momenti in cui la lirica moderna si avvicina di pi a questa visione proprio il simbolismo "censurato" da Mazzoni che lo considera lapoteosi del narcisismo in poesia. Inoltre il carattere documentario e testimoniale-mimetico rappresenta un aspetto del tutto secondario e accessorio rispetto allo scarto, alla tensione utopica e profetica verso un mondo altro dallesistente che la poesia in grado di configurare. c) La stessa visione della lirica moderna come produzione solipsistica di un io empirico che concepisce lo stile come espressione anarchica di s riduttiva; si tratta s, per dirla in breve, di individuazione, ma che non avviene certo senza riserve: anzi nella lirica moderna "riserve" e nuance sono importantissime, per non dire determinanti. d) Non solo inaccettabile la pretesa, ideologica come poche, di far quadrare il cerchio fra cultura umanistica e societ di massa, ma pi in generale va contestato il principio opportunista secondo cui la grandezza di unopera sia misurabile dalla sua capacit di ottenere, come scrive Mazzoni, unenergia politica da spendere nella lotta per legemonia adattandosi ai cambiamenti storici complessivi. 3. Sulla stessa falsariga di Mazzoni, ma in modo pi umorale e rapsodico, procede Alfonso Berardinelli. Da sempre Berardinelli rimprovera alla lirica moderna il fatto che, diluendo in un gergo vuoto e prevedibile tutta la sua carica iniziale di oscurit antagonista, si sarebbe lasciata inglobare proprio da quel sistema neo -borghese che intendeva fronteggiare, e in particolare dallindustria culturale come punta di diamante di tale sistema. Il ragionamento di Berardinelli sembra questo: se la chiusura non ha sortito alcun effetto ma anzi si rivelata una scelta controproducente, tanto vale allora abbandonare ogni abitudine solipsistica per spalancare porte e finestre al dialogo, e probabilmente anche qualcosa di pi, con il sociale. Poich il genere letterario chiamato poesia oggi il pi autarchico e autogeno e poich, secondo il critico, lenergia, la variet, lefficienza comunicativa dei nostri poeti si sarebbero indebolite, consigliabile il confronto non pi con maestri di cui si presume linesistenza o la scars issima auctoritas ma con il linguaggio degli articoli di giornale e delle canzoni, cio con quello che pi piace al pubblico, intoccabile feticcio dellera aziendalista. il cattivo pubblico, o il nessun pubblico, sentenzia

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infatti Berardinelli, che rende la poesia cattiva o nulla: dora in avanti anche i poeti, come gi i supermercati e le scuole, dovranno produrre unadeguata customer satisfaction 4. In realt, rivolgere alla lirica contemporanea laccusa di autoreferenzialit pretestuoso e (lo dimostra, del resto, lanalisi dello stesso Berardinelli nei suoi momenti migliori) filologicamente scorretto. Nellantologia di Enrico Testa viene registrata una tendenza in atto gi alla fine del Novecento, che appare contrassegnata da un movimento cos rapido e inquieto da far pensare che labituale distinzione tra lirico e antilirico, utile in passato, non sia qui pi produttiva. I molti e svariati autori che, sulla scia di Pasolini, Luzi, Giudici, ecc., partecipano a questo movimento fanno agire, sostiene Testa, un io per lo pi autobiografico, empirico e anche familiare, un identit post lirica che non sarebbe n labile n flebile ma attent a a quanto lo circonda e attestata sul confine tra proprio e improprio (detto per inciso: i risultati ottenuti da questo pi aperto io post lirico e post-moderno consistono spesso in una cattiva prosa versificata che lascia sconcertati per piattezza e conformismo). Anche nella riflessione di Roberto Galaverni esplicito il richiamo a unestetica modellata in senso non certo autoreferenziale e, con particolare riferimento a Vittorio Sereni, sul concetto di esperienza. Lesperienza, precisa Galaverni, un orientamento del poeta e della poesia in direzione del mondo, un abbassarsi e farsi ricettivi, un incontrarsi e anche un porsi in subordinazione (certo non un sottomettersi) alle sue indicazioni - e ci anche, o forse a maggior ragione, quando il mondo stesso si avvia verso la dissoluzione e i luoghi, le persone, la storia sembrano scomparire. Questo movimento verso il basso, verso la prosa e verso le cose comincia quasi quarantanni fa, quando Montale pubblica Satura: un lungo, amaro congedo da una splendida stagione di poesia che se ne andata per sempre. Dopo la lirica, dunque. Ma non necessariamente contro la poesia, perch abbassamento e ricettivit non significano, per Galaverni, automatico trionfo della mediocrit, del famigerato minimalismo inviso ad autori come Brodskij e Heaney. cos che il critico pu contrapporre alla "rinuncia" e alla chi usura ironica dellultimo Montale la poesia dei maggiori esponenti della "terza generazione" (Luzi, Caproni, Bertolucci, Sereni), per i quali luscita verso limpoetico corrisponde a un bisogno di reale comunicazione, di esperienza: non si d mai in questi poeti lequazione tra lavvertimento della pressione della realt e la depressione della poesia. 5. Le molteplici espressioni dellio lirico moderno vanno essenzialmente lette come il riflesso del conflitto con una societ che schiaccia e disintegra l individuo. Le ragioni storiche, psicologiche e culturali dello scontro non sono certamente venute meno oggi. Oggi, semmai, diventato enormemente pi confortevole illudersi del contrario, poich la morsa dellingranaggio al quale si ribellavano Baudelaire e Rimbaud si fatta asfissiante e praticare le alternative appare unimpresa molto pi ardua di quanto non fosse in passato. Luniverso del mercato e della comunicazione assomiglia a unallucinazione dickiana, alloperato di una divinit inferiore e mal evola che interpola false creazioni nel paesaggio permanente, e latente, voluto dal vero, ma lontanissimo, Dio (per usare, sia pure trasferite in altro contesto, le parole di Gabriele Frasca). Ma la percezione dellorrore non deve tradursi in rassegnazion e al cospetto del dualismo gnostico, dello iato fra essere e apparire, fra soggetto e mondo: Adorno ricorda che la punta che larte rivolge contro la societ a sua volta un fatto sociale, controspinta contro la spinta ottusa del body social. La resistenza sar tanto pi significativa se riuscir a non riprodurre, capovolti, gli stessi processi mentali che opprimono e annientano lindividuo: se, cio, la monade lirica sapr dischiudersi in direzione non del pubblico, cadaverico body social manipolato a piacimento dai poteri forti, ma di un significato collettivo anagogico (F. Jameson) ancora tutto da esplorare e collaudare.

Riferimenti bibliografici - G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, il Mulino 2005 - P. Zumthor, La presenza della voce. Introduzione alla poesia orale, trad. it. il Mulino 1984

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- A. Berardinelli, Poesia non poesia, Einaudi 2008 - E. Testa, Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000, Einaudi 2005 - R. Galaverni, Dopo la poesia. Saggi sui contemporanei , Fazi 2002 - P. K. Dick, Un oscuro scrutare, traduzione e postfazione di G. Frasca, Fanucci 1998 - T. W. Adorno, Teoria estetica, a cura di G. Adorno e R. Tiedemann, trad. it. Einaudi 1977 - F. Jameson, Linconscio politico, trad. it. Garzanti 1990

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SALVATORE RITROVATO QUEL CHE RESTA DELLA LIRICA


Il pensare a s, il parlare di s la pi inutile, e la meno generosa delle occupazioni (Ippolito Nievo, lett. a Attilio Magri, 26 maggio 1854)

Cera una volta la lirica, potrebbe cominciare cos la storia della poesia, oramai avviata a un a fase post-lirica. Successe tutto negli anni Sessanta. Se prima di allora si poteva azzardare unantologia di lirici nuovi, dopo, davanti al redde rationem della neoavanguardia, la lirica diventa una categoria da bypassare. Avanguardia vs lirica? Non credo alle facili contrapposizioni. Senzaltro segnano due stati temporali diversi della poesia: la prima guarda avanti, interiorizza il futuro, senza dialogarci, postulandolo; la seconda sostiene il valore essenziale del passato, l dove lautore incontra la tradizione e declina il suo mzigue. Luna smembra il corpo del poeta, lo dilania in una visione finale del suo estremo (inutile?) sacrificio; laltra ricuce ogni brandello in una visione critica (e talora criptica) di salvezza, o almeno in una sorta di viatico dellesperienza (come i grandi poeti del Novecento hanno insegnato) contro la discontinuit della storia. A rendere pi fragile il discorso lirico ora lo stesso strumento cui la poesia sottopone le sue riflessioni. Ricco di memoria e, nello stesso tempo, pronto a perdere del soggetto, e di quanto questi scrive, ogni traccia, il computer rende lio non pi un luogo presente di eventi incisi sulla carne, ma spazio fantasmatico di segni alfabetici derealizzati. Lio smarrisce la via tradizionale al vissuto, sostituendo la carta con lo schermo, la penna con il tasto, la mano con limpulso elettronico. Altro elemento da non sottovalutare lopaca mediocritas della lingua letteraria, nella quale diverse tradizioni giocano a confrontarsi e a rispecchiarsi liberamente, grazie anche alla immensa mole di traduzioni, dove prende forma, in vitro, il (cos detto) poetichese diretto libero (magari desunto dai testi delle canzoni), preso a modello antiletterario. Eppure, da pi luoghi si torna a ribadire che la lingua della poesia resta lingua del sentire, non della comunicazione; e in quanto tale appartiene allesperienza di tutti, non soltanto di una sagace lite. La comprensione della lirica risente, pertanto, del progressivo decostruirsi, ovvero sfogliarsi del soggetto poetico nelle diverse e contraddittorie pieghe della sua storia mortale, e non pu prescindere dalla concreta, singolare declinazione di emozioni, in parole. Quali parole? Leggiamo questi versi tratti da Le ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini:
Qui, nella campagna romana, tra le mozze, allegre case arabe e i tuguri, la quotidiana voce della rondine non cala, dal cielo alla contrada umana, a stordirla danimale festa. Forse perch gi troppo piena dumana festa: n mai mesta essa abbastanza per la fresca voce duna tristezza serena. [] Perci possono ancora le rondini cantarlo, gettandosi lievi nelle piazzette dei girotondi, dei canti puerili, dove le nevi si dissolvono in biancospini, pi pure, e questi si mutano per la dolce foga della semenza in rose, in gigli: ch confini

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le stagioni non vhanno, n incrina nuova esistenza lesistenza. [] O, se rondini volano, alte vanno a stridere su tetti di grandi case dove larte straripante dei secoli eletti scolora come in vecchie carte: e anche il loro garrito, se girano in cielo, smuore in diversi spazi, in un mitico scenario. E su di esso sbiadito

si chiude un cielo di memorie. In queste strofe, tratte dalla prima parte de Lumile Italia di Pier Paolo Pasolini, del 1954, ci piace seguire la voce e il volo delle rondini nel loro contesto urbano e naturale, fra tuguri e biancospini. Non credo siano immagini datate: le rondini, umilissima voce / dellumile Italia, non hanno lo stesso significato che avrebbero, per esempio, in un ode arcadica settecentesca, in quanto entrano in relazione con la storia che ne contraddice la presenza, e intanto ne rivaluta la necessit poetica. Le rondini che volano, alla fine degli anni Cinquanta, sopra i tetti di una citt o in una campagna, possono essere interpretate come un segno di resistenza alla sregolata urbanizzazione della periferia, ovvero come la protesta di un mondo semplice e contadino, e di una storia non ufficiale, contro la civilt dei motori, il tempo sordo degli affari, le occulte e minacciose coalizioni dei poteri, e cos via, in una parola contro quel che si ritiene il pr ogresso. Ma il valore, direi leroismo di questa immagine non si esaurisce qui. La poesia di Pasolini lirica perch presenta una certa forma del mondo e fa del mondo una possibilit di senso, ovvero (preciserebbe Jean -Luc Nancy) non gi una totalit di significati, ma di possibilit di significati. A distanza di anni (quando il tema dellumile Italia polit icamente perduto di fronte al processo di globalizzazione), la forza lirica consiste in una strana bellezza del verso: bellezza da intendere non come ingenua armonia, ma come rifiuto ad entrare in sintonia con gli ideali del tempi; contro questi ideali, fatti di false e subdole certezze, la lirica esalta, con lapparente innocenza della sua lingua, unaltra perduta armonia, quella della natura. In tal modo la lirica una grammatica che, pur marginale (probabilmente i frigoriferi rivoluzionarono i costumi degli italiani, in quegli anni, pi dellarrivo stagionale delle rondini), in grado di sfumare la dialettica del progresso erroneamente concepita come un teorema assiologico nuovo vs vecchio, futuro vs passato, facendone un avvicendamento fisiologico in seno alla lingua della poesia. Al contrario, quel che conta lesperienza fondamentale della lettura, la sua potenziale contemporaneit (e si sa che ogni lettura critica ben fatta pu rendere contemporaneo un autore del passato, la sua azione, il suo pensiero poetico). Leggiamo a proposito un passo dello Zibaldone di Leopardi sulla poesia di Orazio:
La bellezza e il diletto dello stile dOrazio, e daltri stili energici e rapidi, massimi po etici, giacch alla poesia spettano le qualit che son per dire, e soprattutto lirici, deriva anche sommamente da questo, chesso tiene lanima in continuo e vivissimo moto ed azione, col trasportarla a ogni tratto, e spesso bruscamente, da un pensiero, da unimmagine, da unidea, da una cosa ad unaltra, e talora assai lontana, e diversissima [] E quando anche queste cose non sieno niente n belle, n grandi, n vaste, n nuove ec. nondimeno questa sola qualit dello stile, basta a dar piacere allanimo, il quale ha bisogno di azione, perch ama soprattutto la vita, e perci gradisce anche e nella vita, e nelle scritture una certa non eccessiva difficolt, che lobbliga ad agire vivamente. E tale il caso dOrazio, il quale alla fine non poeta lirico che per lo stile (Zibaldone, 2049-2050).

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La lirica si lega allo stile, alle parole, alla lingua della poesia. Perci apparir falso lio poetico in atteggiamento lirico, ma autentico e vero, allorch la poesia riesce come, secondo Leopardi, accade nei versi di Orazio a tenere il lettore in continuo e vivissimo moto ed azione. La lirica si risolve in una forma che, di l dalla nota callida iunctura, impone una certa non eccessiva difficolt di lettura. Altrove Leopardi parla della rapidit e concisione dello stile che presenta allanima una folla didee simultanee, o cos rapidamente succ edentisi, che paiono simultanee, e fanno ondeggiar lanima in una tale abbondanza di pe nsieri, o dimmagini e sensazioni spirituali, chella o non capace di abbracciarle tutte, e pienamente ciascuna, o non ha tempo di restare in ozio, e priva di sensazioni ( Zibaldone, 2041). E si aggiunga: una parziale affrancatura classicistica di queste osservazioni avviene con lidentificazione di un versante esiste nziale del piacere della lettura, l dove lanimo del lettore ha bisogno di azione, perch ama soprattutto la vita (ibidem). Non facile perimetrare limportanza di Leopardi per la poesia del Novece nto, la quale subisce, quasi a ondate, il terremoto sussultorio delle avanguardie (le quali, tuttavia, non rinunciano del tutto a recuperare alcune caratteristiche della lirica, come la simultaneit). Quel che va rimarcato, senzaltro, la co mplessiva tenuta del concetto di lirica nel senso stilistico leopardiano, anche dopo il venir meno, nel Novecento, del soggetto alla fondazione del discorso letterario. A maggior ragione il soggetto avverte allora lesigenza di interrogarsi su lla sua natura, e in particolare sulla sua capacit di interdizione dei discorsi sul presente, muovendosi in un paesaggio testuale che non pone fine allesperienza, ma la colloca in un orizzonte di scritture marginali, minacciate dalla spettacolarizzazione della parola, dallenfasi della comunicazione. La po esia, in quanto opera artigianale, avulsa dai circuiti della grande produzione editoriale, riesce a contenere dentro di s, nella sua lingua lirica, forme e paradigmi lontani nel tempo, e di volta in volta circoscritti ad personam, dove il canone appare come un asse cartesiano sul quale ogni autore pu orientare una poetica, piuttosto che commisurare le proprie ambizioni. Venendo ai nostri anni, il Novecento si concluso, per la poesia italiana, con una messe abbondante di antologie. Fra queste Dopo la lirica di Enrico Testa registra una significativa perplessit sullaccezione di lirica, che sembra, pi che eclissata o addirittura negata dal dopo, impronunciabile senza. Al termine di contese e talora aspri dibattiti (ultima la tavola rotonda al convegno UrbinoPoesia diretto da Umberto Piersanti, 5-6 dicembre 2006, Dopo la lirica?, cui parteciparono Andrea Cortellessa, Roberto Galaverni, Daniele Piccini, Massimo Raffaeli e lo stesso Enrico Testa), appare ormai chiaro lantico fascino di una malintesa ambizione metafisica della lirica, fondata su una soggettivit piena e presente, che coltiva per quel suo plastico e direi fisico sapore, qual era propugnato da Leopardi, in autori oggi un po dimenticati come Betocchi e Cattafi, raffinati interpreti di una lingua lirica da decantare, pi che da cantare, e non cessa intanto di indicare, presso le nuove generazioni, combinandosi con altre tradizioni, nuovi itinerari: penso a Claudio Damiani, che in Sognando Li Po (Marietti, Genova, 2008) intreccia il suo passo intimo e creaturale, la lentezza oraziana del suo sguardo, con la ripresa assidua dellantica lirica cinese del periodo Tang; o, su un versante diverso, a Edoardo Zuccato, che ne I bosch di Celti (Il bosco celtico, Sartorio, Pavia 2008) affina la sua lingua espansiva e flu ttuante con un intarsio capillare sulle cadenze e le dinamiche linguistiche del dialetto. Poesia e lirica, dunque, si presentano come un binomio inscindibile. La lirica forse non che una metafora delle origini (classiche, mediterranee, musicali) della poesia, lideale sogno di una lingua che non comunica ma commuove, e ormai il solo genere che veramente resti ai moderni, dove si pensi, sosteneva Leopardi, alla perdita di epicit dei poemi eroici e nazionali ( Zibaldone, 4475). Sul piano teorico, tornare alla lirica, o a quel che resta della lirica, opportuno nella misura in cui si consapevoli della sua accidentata fortuna, a partire dalla sua difficile genesi rinascimentale, in margine alla poetica aristotelica della imitazione, come terza modalit fra epica e drammatica. Proviamo a ripercorrerne brevemente la storia.

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Solo alla fine del Settecento, quando lafflato ispirativo diventa pi importante dellimpegno prescrittivo, la lirica si configura come un genere pienamente moderno. lirico l io proiettato nello spazio di una vertiginosa espansione autobiografica con le illuminanti sospensioni sul proprio senso, ovvero sulla sua capacit di dire, a dispetto di ogni infingimento, io (sedendo e mirando io nel pensier mi fingo). In tal modo lirica si carica di un senso militante sc onosciuto alla tradizione, di cui destabilizza le fondamentali certezze retoriche. La letteratura moderna guarda al movimento continuo, e contraddittorio, dell oggid (quale si affacciava gi nel Seicento), e rifiuta distinto ogni assunzione dogmatica sulle classi dei valori letterari: non si tratta di rivalutare il passato, semmai di trasfigurarlo (donde la riscoperta leopardiana dellidillio) come forma della memoria. lirico il poeta che espone la propria soggettivit (piena o vuota, presente o assente) nel mondo, e supera la soglia cos definita Guido Mazzoni dellautobiografismo trascendentale in direzione di un autobiografismo empirico. Fraintendimenti, eccessi, sdilinquimenti sono previsti, come provano certi esiti languorosi del soggettivismo tardoromantico irrisi gi da Carducci; il quale tenter, per contro, di ridare vigore trascendentale a una soggettivit empirica pi riservata e (ad onta della sua investitura da vate!) appartata e discreta. Proprio agli anni di Carducci risale una prima significativa neutralizzazione semantica del termine lirica, che designa genericamente, non sostanzialmente, il cos detto sentire poetico, a prescindere dal suo valore e dal suo programma tecnico. (Non a caso, per suggerimento delleditore Treves, e con approvazione di Carducci, Lirica fu il titolo della raccolta desordio di Anni e Vivanti, che avrebbe preferito un pi ineffabile Per amore.) Se il romanticismo vedeva nella lirica le istanze di una nuova idea di poesia, il decadentismo ne sdogana, in ambigua polemica, la temperie pi sentimentale, tra chi elucubra, contro lirriver ente feticismo modernista, singolari Chimismi lirici, e chi risolve la lirica in accezione trans -storica, per designare la quintessenza ideale della poesia, la poesia pura. Non pi in discussione la forza soggettiva del poeta, ma quella della parola, che si afferma come labile ma perentorio obiectum, a rischio di smentire gli intenti del poeta. Quante opere poetiche non sono poesia, o, meglio, sono non-poesia! Non perch lautore non le abbia concepite, dal punto di vista retor ico, come poetiche, ma in quanto non realizzano lintuizione propria della poesia. Orazio lirico, celebre monografia di Giorgio Pasquali, pubblicata nel 1930, distingue fra lOrazio trascendentale, e pure allegorico!, delle odi e degli epodi, raccolte di metri lirici, e quello pi autobiografico ed empirico delle satire e delle epistole, in esametri: qui lirico non significa tanto autobiografico e soggettivo, quanto capace di suscitare nellanimo del lettore (tornano le parole di L eopardi) un movimento di emozioni e sensazioni che riportano alla vita. Negli anni trenta, giovani poeti scrivono legando le immagini in talora ardite e raffinate ellissi analogiche, fino a risultare incomprensibili a qualcuno, insomma ermetici. E nel 1942, a una ventina danni di distanza da Poeti doggi, in Lirici nuovi Luciano Anceschi propone un panorama della poesia contemporanea sulla base di una idea critica di liricit, capace di contrapporre allassurdo massacro della st oria un mondo introverso di simboli: lirica la parola (come t estimoniano, in un gioco di nostalgie mitiche e analitiche, le traduzioni di Salvatore Quasimodo) che derubrica la sua essenza simbolica dal dialogo diretto con la storia. In tali termini la struttura della lirica moderna supera il momento precipuamente soggettivistico delle origini romantiche, e valorizza una nuova forma di oggettivit: loggettivit della forma, la parola intesa come gesto verbale che non si compie fino in fondo, non ha finalit, e per rivela un mondo, o meglio una forma di mondo che mette in circolazione il senso, sottraendo (per esempio) il volo delle rondini al loro significato quotidiano, e proiettandolo suggerirebbe Franco Rella nello specchio paradossale e enigmatico (in quanto non pu non fare i conti con la storia) della bellezza. Ora, c il rischio che il formalismo cristallizzi la propriet testuale della po esia, avallando una nozione opaca di testo poetico. In tal caso, la lirica riapparir nuovamente come unipostasi decadente incapace di rappresentare lio nella situazione di unocculta regressiva incomunicabilit consumistica. Stampa, radio e soprattutto televisione inaugurano, con clamorosi (e drammatici) coup de thtre, lera dellomologazione e della globalizzazione, elargendo carit di provvisoria fama a chiunque abbia bisogno di sentirsi riconosciuto davanti a una platea di uomini-massa, in mezzo a una 118

anonimit irriducibilmente individualistica. Ecco dunque parola di Milan Kundera let lirica, ove per lirica si intende levacuazione spettacolare di un so ggetto che rimedia allo stress col narcisismo e al senso di colpa della coscienza con lansia di dire tutto, ovu nque, sempre. Nelle generazioni di poeti, nati intorno e dopo lultima guerra mondiale, gli a ccenni alla lirica si fanno pi rari e sfumati. Che cosa significa lirica? Come si usa oggi questa parola? In quale contesto appropriato usarla? Non suscita clamore applicarla come signum alla poesia del passato (penso al titolo di una recente e metodologicamente aggiornata antologia , Lirici europei del Cinquecento, a cura di G. M. Anselmi et alii, Rizzoli, Milano, 2003); ed possibile, altres, parlare di emozionanti accensioni liriche per la poesia di Seamus Heaney, per non dire della poesia di Derek Walcott o della Wislawa Szimborska. In Italia si concede cittadinanza, con qualche riserva, alla scrittura lirica che alla matrice solo in parte montaliana sovrimprime lesperienza di altri ma estri della terza e quarta generazione (da Sereni a Raboni), e fra resoconto e racconto, occasioni e depistaggi, vira in direzione di un empiriocriticismo autobiografico. Altro discorso richiederebbe la poesia di Zanzotto, che, da una essenziale profondit lirica, mira a raccogliere ogni segnale di crisi, ogni anomalia, e a interrogare il senso della sua incompiutezza. L io, che non protegge pi dal sovraffollamento percettivo, non pi sovrano assoluto del suo testo, come pu dirsi lirico? La sua voce solo espressione di un corpo a corpo con la parola, lattrito e il vuoto fra la coscienza e una sostanza inerte e permanente di parole. Occorre, pertanto, compulsare le nuove relazioni epistemologiche della poesia, onde riappropriarsi del concetto di lirica, per comprendere la fondazione della modernit, e verificare se e come esso abbia espletato le sue possibilit semantiche, mettendo in evidenza i diversi usi che ne comprovano la ricca articolazione storica. Inoltre, importante tenere distinti leventuale uso strumentale, materiale, tecnico dallanchilosi figurale della sua accezione originaria. La lirica non pu ricevere, oggi, alcuna definizione, non entra nei manuali, non segue schemi retorici, ma si affida istintivamente alle immagini, al loro movimento creativo. Lidentit dispersa, e dispersiva, del soggetto che ne ha declinato, per secoli, la forma singolare, pu dimostrarlo. Si tratta di spostare il punto di osservazione dal coacervo grammaticale del suo io, in cui crepe e ferite hanno lasciato profonde cicatrici, al territorio della lingua, al testo che pu stabilire, ma non ripristinare, una tensione lirica in re, nella forma autentica dello stile; e quindi di distogliere lattenzione dalla posizione della voce (in prima, in seconda o in terza persona, o finanche nella impersonale uno, che forse recita in vece di un popolo che manca, di un lettore di cui lautore introietta lassenza nel suo tu), e puntarla sulla costituzione della scrittura, sul suo prendere forma nella pagina, nello spazio in cui converge, da diversi punti dello spazio e del tempo, la comunit diffratta dei lettori, e si polarizza, entro un orizzonte illimitato di tradizioni, la struttura disaggregante e fluida del soggetto lirico, o post-lirico. possibile raggiungere, fuori del circuito propriamente abilitato alla discussione di questi problemi, una ragionevole soluzione alla querelle sulla lirica? Se un tempo essa forniva un discrimine tra la poesia moderna e la classica, oggi pare lecito dubitare della tenuta di quella soglia categoriale. Un effetto positivo raggiunto: almeno ci si interroga sulla lirica. opportuno evitare domande generiche e costruire dei limiti e dei piani concreti, pur modesti, di corto raggio, su cui ripensare la lirica. Il compito assegnatoci si sottrae facilmente, per diver se ragioni, allincontro con certe modalit proprie della letteratura di consumo, e recupera forme dantan, di nicchia, della sua tipologia, ma di straordinaria (e non supina o passiva) modernit. La forma -lirica si rivela come contenuto-lirica, da mettere forse tra virgolette entro (o contro) quella stessa poetica che ne aveva decretato, e ne decreta ancora la postumit, o la fine, e, dopo la perdita irreversibile della differente bellezza della Natura, non ne aveva compreso la crudele ma feconda ossessione, la sua n evrosi: E per quanto riguarda la mia nevrosi lirica, come tu dici, ha spiegato Zanzotto in una lettera a Berardinelli confermo che essa viene in buona parte dalla perdita di quella superiore bellezza naturale che si esaltava e continuava in questi luoghi nei

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quadri di Tiziano o di Giorgione o di Giovanni Bellini e aggiungo io nei quadri appassionati di mio padre che mi portava bambino a vederlo dipingere en plein air

Riferimenti bibliografici Giancarlo Alfano, S(f)oglie dellio. Forme della soggettivazione nella pi r ecente poesia italiana, in Nuova Corrente, n. 135, 2005, pp. 33-68. Luciano Anceschi, Lirici nuovi. Antologia di poesia contemporanea , Hoepli, Milano 1943. Gilles Deleuze, Critique e clinique, Minuit, Paris 1993. Hugo Friedrich, La struttura della lirica moderna , trad. di P. Bernardini Marzolla, con un saggio di A. Berardinelli, Garzanti, Milano 2002. Milan Kundera, Larte del romanzo , Adelphi, Milano 1988. Giacomo Leopardi, Zibaldone, edizione commentata e revisione del testo critico a cura di R. Damiani, 3 voll., Mondadori, Milano 1997. Jean-Michel Maulpoix, La voce di Orfeo. Saggio sul lirismo , Hestia, Cernusco 1994. Guido Mazzoni , Sulla poesia moderna , Il Mulino, Bologna 2004. Jean-Luc Nancy, Larte, oggi, in Del contemporaneo. Saggi su arte e tempo , a cura di F. Ferrari, Bruno Mondadori, Milano 2007, pp. 1-20. Giorgio Pasquali, Orazio lirico [1920], a cura di A. La Penna, Le Monnier, Firenze 1966. Franco Rella, Lenigma della bellezza , Feltrinelli, Milano 2007. Andrea Zanzotto, Le poesie e prose scelte , a cura di S. Dal Bianco e G. M. Villalta, con due saggi di S. Agosti e F. Bandini, Mondadori, Milano 1999.

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GIOVANNI TUZET I LIRICI DI CRIMISSA


1. Nellantica Crimissa, oggi Cir, nella Calabria estrema, si eseguivano delle composizioni liriche di particolare intensit. Chi cantava il testo era tenuto a portare qualcosa di rosso, un monile o una parte della veste, mentre i musici che lo accompagnavano, se numerosi, erano disposti in uno stretto semicerchio alle sue spalle e indossavano una tunica verde. Ci accadeva nel tempo delle celebrazioni, in occasione di feste e ricorrenze particolari, quando i luoghi prescelti erano ornati a dovere, con fiori ed essenze rare, preparando e accompagnando dei banchetti generosi dove il vino non mancava. Alle orecchie e agli occhi rapiti, la voce modulava i versi delicati e dolenti, le parole appassionate sorrette da musica, prevalentemente dalla lira e da piccoli strumenti a fiato, flauti. Non so se questo sia vero. Anzi, confesso che me lo sono semplicemente immaginato. Ma bello pensare che andasse cos e trarne una riflessione comunque solida. Pensare che territori aggrediti ai nostri giorni dal fuoco, dallillegalit e dalla trascuratezza morale fossero un tempo popolati di liriche rigogliose e soavi strumenti. E trarne una riflessione che si regga anche senza di loro, i lirici di Crimissa. 2. A monte di tutte le concrezioni storiche, di tutte le forme che il genere lirico ha preso in questa e in quella tradizione, prima ancora di tutti gli esiti felici o infelici, c unevidenza cristallina che non si deve dimenticare. Ed semplicemente la base musicale della poesia. Non c autentica poesia dove manchino il senso del ritmo, le sequenza musicale delle lettere, echi e assonanze, toni, picchi, pause, dissolvenze, ribattute, ritornelli, percussioni , silenzi. Lidea che la poesia si distingua dalla prosa per il semplice fatto che in certi punti va a capo anche se non chiaro perch pu andare bene se ne vogliamo una definizione strettamente formale, scheletrica e poco gradevole. Ma non basta prendere una sequenza qualsiasi di parole e interromperla arbitrariamente andando a capo. Cos non nascono le poesie (se non nel senso provocatorio in cui Dada sovvertiva la poesia, appunto (1)). Cos non ne spieghiamo la sostanza e il fascino. Chiunque abbia un minimo di sensibilit musicale sa che le note e gli spazi in una composizione musicale devono seguire una logica, un ordine a volte inspiegabile e spesso non codificabile. Ma pur sempre una logica. Certamente non possono prodursi a caso. Ogni genere musicale ha senza dubbio le proprie norme, pi o meno stringenti, da quelle severe di un Requiem quattrocentesco a quelle disinvolte del Free Jazz novecentesco. Ci non toglie che senza un qualche ordine, lasco e sovvertibile che sia, non c musica ma solo unaccozzaglia di suoni scomposta e fastidiosa. 3. Lo stesso vale per la poesia, abbiamo detto. E prima di noi lo hanno detto molte voci ben pi autorevoli, fra cui recentemente Alfonso Berardinelli. Il suo Poesia non poesia (Einaudi 2008) ha non solo diverse pagine dedicate alla poesia come tecnica e abilit, ma anche una parte che si concentra espressamente sul genere lirico ai nostri giorni. Berardinelli lamenta la trascuratezza tecnica e ritmica delle presenti generazioni. Leggere poeti italiani contemporanei quasi sempre esasperante. Non si capisce perch quella parola sta l, non si capisce perch dopo quella frase c quellaltra, non si capisce perch si va a capo (ma questo un vecchio problema della modernit), non si capisce perch il testo finisce a quel punto, non prima, non dopo. veramente strano che con tante scuole di scrittura creativa, nessuno sia riuscito, in questi ultimi dieci anni, a insegnare un minimo di tecnica utile (pp. 12 -13). Questo vale soprattutto per chi si cimenti nel poema. Quando luso del verso non offre una scansione pi netta, una vocalizzazione pi dinamica, allora le dismisure del poema rischiano di sprofondare nellinforme (mentre chi legge finisce per antologizzare e tagliare mentalmente allinterno del flusso) (p. 21). 121

La premessa implicita di queste giuste considerazioni la base ritmica e musicale della poesia, che la differenzia da altre forme di scrittura perfettamente legittime, per carit, ma diverse. In altri termini, si tratta dellesigenza formale che ogni autentica poesia dovrebbe soddisfare (ben altra cosa dal formalismo per cui basterebbe andare a capo per fare una poesia). Se questo vero, c un senso universale in cui la poesia non pu non essere lirica : intendo dire che non pu non avere una base e una dimensione musicale. Ammesso questo, per, i nodi vengono al pettine. Quello su cui la discussione ferve di pi se la poesia debba essere lirica in un senso pi stretto, in particolare, per quello che ci riguarda, in quel senso attestato nella nostra tradizione poetica. Lo stata, lo ancora e lo sar? Deve esserlo? O si tratta semplicemente di unopzione fra le tante possibili, come un piano tariffario fra i tanti delle compagnie telefoniche? Berardinelli suggerisce di distinguere poesia e genere lirico (p. 32): si pu essere (buoni) poeti anche senza essere lirici; la lirica della nostra tradizione non che un suo esito contingente, che non ci obbliga a una professione di fede. Poi si pu discutere, da critici, quanto di lirico ci sia in Zanzotto, se Pasolini abbia vinto il suo scontro con la tradizione lirica, se Celan custodisca il lume della lirica, se lultimo Montale valga quanto il primo, di meno o di pi, ecc. Certo che nessun bilancio, in poesia, sembra potersi accreditare come definitivo e implicare qualche imperativo per il futuro. Prima ancora di discutere del futuro, per, restiamo al presente e al passato prossimo. 4. Quale presente per la lirica? Nessuno, sembra suggerire una recente antologia di Enrico Testa. In Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 (Einaudi 2005), egli ha condensato una serie di riflessioni e di scelte sulla poesia italiana dellultimo Novecento. Con un taglio storico e prevalentemente concentrato sugli aspetti linguistici, ripercorre le tappe di quello che ai suoi occhi un superamento della lirica e della tradizione monologica dellio poetante, a favore di toni discorsivi, modalit narrative e teatrali, aperture dialogiche. Bene. Ma una chiave interpretativa va messa alla prova. Unipotesi di lettu ra e ricostruzione non ha altro valore che quello dimostrato rispetto ai suoi oggetti. Allora, il superamento della lirica una chiave interpretativa che ci permette di comprendere e apprezzare (meglio) gli autori di cui tratta? Qui, devo dire, qualche ca utela dobbligo. Nel senso che per diversi autori la lettura antilirica e linguistica calza a pennello. Per altri meno, molto meno. Leggere Luzi in chiave di superamento della lirica pare francamente troppo. Molto della sua poesia si perde se adottiamo (solo) una chiave interpretativa antilirica. Infatti Testa si guarda bene dal farlo. Ma allora si dovrebbe riconoscere che la chiave apre solo qualche porta, non un passepartout. Per fare qualche altro esempio, che autori come lallegorico Bandini o leni gmatico De Angelis siano inquadrabili in una dialettica di lirica/antilirica poco plausibile e poco fecondo. Il curatore stesso lo sa e diluisce quando occorre la ricetta interpretativa, in modo da fornire delle letture comunque vive e puntuali. Ma venia mo alle cose ultime e a quelle che si preparano. 5. Quale futuro per la lirica? Molti dei giovani autori e dei libri pi recenti sulla nostra scena sono tuttaltro che lirici. Faccio gli esempi un po a caso di Simone Cattaneo ( Made in Italy, Atelier 2008), Matteo Fantuzzi ( Kobarid, Raffaelli 2008) e Matteo Marchesini (I cani alla tua tavola , Atelier 2006). Sono diversi sguardi sul mondo, pi freddo e segretamente doloroso quello di Cattaneo, pi spigliato quello di Fantuzzi, pi teso e pensoso quello di Marchesini. Ma nessuno pu dirsi lirico in senso stretto (2). Anzi, proprio un rapporto sul mondo sembra essere quello cui tengono maggiormente: trasmettere una conoscenza del mondo in cui viviamo, delle sue storture delle sue miserie e della sua brutalit, ma anche delle pieghe di bellezza che vi sono conservate. Una conoscenza da trasmettere in versi per lo pi distesi,

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senza spezzature ed ermetismi (3). Niente di lirico, dunque, nel senso delleffusione soggettiva e dellafflato condensato in immagini poc o intelligibili ma decisive. Queste per sono solo tendenze in via di definizione, movimenti tellurici e non ancora terremoti. Piuttosto, il clima sembra essere quello di un bazar o di un centro commerciale dove tutte le preferenze e le pulsioni possono essere soddisfatte (4), perverse o tenerissime. Nellipermercato della cultura postmoderna possiamo scegliere di essere lirici cos come no? Possiamo essere lirici ma anche narrativi, politici, dadaisti o altro ancora? Tutte le scelte hanno uguale legittimit, come tutti i piani tariffari del telefono, acquistabili secondo le convenienze di ciascuno? solo una questione di gusti? Da un lato mi pare una buona cosa, che ciascuno possa poetare come crede e meglio riesce. Dallaltro vedo una conseguenza negativa di questo pluralismo: un abbassamento considerevole della criticit e delle soglie qualitative. Quando si lavora a progetti comuni, in pi persone, in un confronto e stimolo reciproco, diventano pi alti gli standard qualitativi. Ognuno pu farne lesperienza (5). Quando invece si lavora in proprio, come monadi che si accontentano di fare ci che gradisce lepidermide, gli standard si abbassano paurosamente. Ognuno per natura pi indulgente verso se stesso, si impegna di meno e si accontenta con meno (credendo nella virt della scelta personale, da cui riceve un sicuro appagamento). Fra unortodossa poesia di Stato e una disinvolta poesia da Ipermercato sceglierei comunque la seconda, ma solo come il male minore a cui cercare un rapido rimedio. 6. Possiamo poetare su tutto? Ad esempio sul fatto che tornando da Lamezia Terme mi hanno perso i bagagli a Fiumicino e che una signora accanto a me leggeva un libro Fantasy e quando si presa una gomma da masticare me ne ha offerta una e io lho rifiutata? Fo rse potrei sviluppare questultimo elemento, aggiungendo di avere pensato che quellofferta volesse dire qualcosaltro. Allora forse inizierei a costruire un testo interessante. Che comunque sarebbe ancora da mettere in versi, con i giusti tempi, i giusti ritmi e giusti suoni (6). Potrebbe anche uscirne un testo lirico, alla fine? Forse s, ma potrebbe essere interessante ed efficace anche altrimenti, diventando magari un testo la Enzensberger o la Szymborska, ironico, morale o metafisico. 7. In conclusione. Non voglio sostenere nessun estremismo lirico, n antilirico. Spero solo di aver diretto lo sguardo in direzioni interessanti e che gli interrogativi posti siano fecondi. I lirici di Crimissa non esistono pi, se mai sono esistiti. Ma ci ricordano due cose: primo, che senza musica non c nessuna poesia; secondo, che loro sono morti da un pezzo se mai sono vissuti e che la responsabilit della poesia nel terzo millennio nostra e solo nostra.
Note (1) E non si ancora capito abbastanza che le ragioni di Dada erano varie, per certi versi contrastanti e comunque limitate a un gesto di rottura: musealizzare Dada la cosa pi assurda (o pi Dada) che si possa fare. Sulle diverse ragioni che animavano i suoi fondatori, cfr. H. Ball, La fuga dal tempo (Campanotto 2006), bellissimo diario di una figura complessa e ingiustamente trascurata. (2) Se non Marchesini in alcune pagine che tendono al panico (nel senso dellaggettivo, ovviamente, non del sostantivo). (3) Leccezione, ancora, pu essere quella di Marchesini, che non disdegna affatto le forme chiuse. (4) Questo, volenti o nolenti, sembra essere lo scenario che emerge da Parola plurale, lantologia curata da G. Alfano, A. Baldacci, C. Bello Minciacchi, A. Cortellessa, M. Manganelli, R. Scarpa, F. Zinelli e P. Zublena (Sossella 2005). (5) Non so se il suo curatore pensasse anche a questo, ma certamente in questo spirito Lopera comune, nota e discussa antologia curata da G. Ladolfi (Atelier 1999). (6) Il problema, quando si prova a mettere tutto in versi, sono appunto i versi (Berardinelli, Poesia non poesia, p. 18).

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EDOARDO ZUCCATO LA POESIA LIRICA IN ITALIA OGGI. UN PUNTO DI VISTA PERSONALE


Malgrado la distanza cronologica dal Romanticismo, non azzardato sostenere che ancora oggi, nella mentalit diffusa, la lirica continui a rappresentare la poesia per antonomasia. Lespressione appassionata di un io esplicito o implicito se questo ci che intendiamo per lirica continua a essere il parametro di riferimento, il sogno e lobbiettivo della maggior parte dei lettori e, probabilmente, degli autori di poesia odierni. Si tratta, come noto, di uneredit romantica, che ribaltando le gerarchie neoclassiche stabil che lespressione breve, rapsodica, frammentaria di un soggetto fosse il vertice dellarte poetica, degradando invece a costruzioni retoriche le forme lunghe che per secoli erano state considerate lapice della perfezione. Ci non ha impedito, sia nellOtto che nel Novecento, che si praticassero le forme lunghe di varia natura (epiche, narrative, di impegno civile, ecc.), e tuttavia, forse anche per linflusso delle antologie scolastiche, che per ragioni strutturali privilegiano le composizioni brevi, con sempre maggior frequenza il libro medio di poesia contemporanea venne identificato con la raccolta di liriche piuttosto del poemetto o del poema. Il Novecento ha visto una radicalizzazione delle posizioni romantiche pi che un loro superamento. Le aree di scrittura eredi dirette del Romanticismo, pur con vari filtri, come lErmeti smo e il Neoorfismo, hanno accentuato il carattere frammentario, involuto e rapsodico dellespressione poetica, pur accogliendo alcune posizioni novecentesche, come la cancellazione di un io poetante esplicito nel caso di alcuni neo-orfici. Dice molto, co munque, il fatto che queste due correnti vengano considerate dalla critica come centrali nel Novecento italiano, malgrado (o forse grazie a) levidente epigonismo manieristico della seconda. Manierismo che ritorna anche nellestetica delle avanguardie, cio i movimenti che maggiormente hanno messo in dubbio la poesia lirica. Accogliendo le riflessioni della psicologia, della filosofia e della scienza contemporanee, le avanguardie hanno portato alle estreme conseguenze le intuizioni romantiche e simbolist e sullinstabilit, se non linesistenza, dellio. Se non c un io ben definibile, la sua espressione appassionata non pu che essere una mistificazione, unillusione prodotta dal linguaggio e dalle convenzioni. Soprattutto nelle avanguardie novissime, compito del poeta responsabile fu dunque non utilizzare ma smontare questi meccanismi per mostrarne il sostrato ideologico. Al posto dellespressione lirica si ebbe cos il gioco linguistico, il vortice mistilingue di parole disancorate da una realt, interiore o esteriore, dichiarata irraggiungibile. Sembra di essere molto lontani dal Romanticismo, ma in realt si sempre nei suoi dintorni, non solo per le inevitabili premesse simboliste di questo discorso (Mallarm in testa), ma anche per lidea schlegeli ana della poesia romantica come fusione e superamento di tutti i generi, da lui pensata soprattutto in riferimento al romanzo, ma che soggiace a molti fenomeni dallaspetto quintessenzialmente novecentesco, come ad esempio i Cantos di Pound o le idee strutturaliste e decostruzioniste di criture. La poesia italiana degli anni Sessanta e Settanta si sviluppata sopra un fondo teorico novecentistico, a volte inconsapevole, secondo cui il linguaggio non in grado di rappresentare il mondo (qualunque cosa significhino linguaggio e mondo, interiore o esteriore). Al mondo si pu solo alludere ironicamente, restando chiusi nella prigione della lingua (secondo le neoavanguardie), oppure si pu alludervi tragicamente, attraverso un linguaggio criptico sempre al limite dellincomprensibile e del gratuito (secondo i neo -orfici), oppure si pu alludervi frammentariamente, per sprazzi disarticolati (secondo la Linea Lombarda). Escluso dalla poesia, perch ritenuto impoetico o intrinsecamente impossibile, rimase qualsiasi discorso compiuto, con un capo e una coda riconoscibili, articolato con chiarezza sintattica e argomentativa. Una modalit di questo tipo fu ammessa, tuttal pi, per la polemica politica, come nei versi del Pasolini pi

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ideologizzato. Va detto, naturalmente, che diverse esperienze importanti rimasero estranee a queste idee basti ricordare la produzione coeva di Bertolucci e Luzi o la poesia in dialetto. Oggi la situazione molto diversa, aperta senza inibizioni ai modi di scrittura pi diversi. Non si pu negare, tuttavia, che lideologia di quel passato recente sia dura da smaltire, non solo per il fatto che i maestri di allora hanno provveduto e provvedono a riempire di loro seguaci gli ambienti editoriali e letterari. Il modo migliore per sfuggirvi, comunque, resta quello di varcare i confini nazionali, studiando le lingue straniere e scoprendo che i dogmi della nostra tradizione recente semplicemente non esistono. In Inghilterra e in Polonia, in Irlanda e in Scandinavia, in Nord America e nei Caraibi si sono scritte e si scrivono poesie di generi che in Italia erano stati dichiarati impossibili e fuori tempo. Che non solo sono possibili, come dimostrano Heaney e Strand, Herbert e Transtrmer, Walcott e Tomlinson e molti altri, ma sono anche piene del loro tempo pi di tanto modernariato da mercatino delle aggiornatissime poetiche dei nostri anni Sessanta e Settanta. Fa piacere notare che oggi i poeti pi giovani articolino la loro esperienza del mondo, pur nei modi pi vari, usando una lingua accessibile e, a parte qualche isola di ideologia teoricista, senza un eccesso di infingimenti manieristici. una poesia che, pur ancora in formazione, ha due elementi per me pregevoli, ovvero non rifugge a priori dalla sintassi comune, pensando ingenuamente, come facevano le avanguardie, che solo le distorsioni e i singhiozzi sintattici fossero poetici, e contiene un tasso di prosa adeguato per poter dare voce a una visione ampia del mondo, senza confinarsi nei giardinetti squisiti ma soffocanti delle stravaganze linguistiche. Certo, articolare in tal modo la propria esperienza del mondo non significa automaticamente renderla interessante, n produrre poesia di valore. In questo quadro di riflessioni, tutte discutibili, c una sola cosa sicura: che la poesia valida, destinata a durare nel tempo, dipende dallimportanza di quello che viene detto e dallefficacia con cui viene detto, efficacia che data dallesattezza sommata alla forza dellespressione. Lesattezza dipende dalla padronanza dellarte poetica , cio della lingua e della tecnica, che si pu imparare con la lettura e lesercizio, mentre la forza frutto della passione, che non si pu imparare o fingere. Come il coraggio di Don Abbondio, la passione, cio la motivazione profonda, uno non pu darsela. questa la ragione per cui molti poeti, ieri come oggi, invecchiano male. La grande poesia davvero tutta qui, e il resto contorno, commento, o, nei casi peggiori, moda e intrallazzo letterario. Ma passare dalla teoria ai fatti, hic opus, hic labor est.

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Lio nellavanguardia: il Mulino di Bazzano

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DANIELA ROSSI GLI ANNI DEL MULINO


Avanguardie poetiche a Bazzano Bazzano ( PR ) 67 settembre 2008

Nel mese di settembre ho curato Gli anni del Mulino, evento che il Comune di Neviano degli Arduini, con il patrocinio della Provincia di Parma e la collaborazione dellAssociazione Culturale Il Camino, ha organizzato nel luogo storico di Bazzano, dedicandolo alla neoavanguardia poetica e ai protagonisti degli anni del Mulino, in particolare ai poeti Corrado Costa e Adriano Spatola. Nel 2008 sono stati pubblicati due testi su questi poeti, Al miglior mugnaio saggio su Adriano Spatola a cura di Eugenio Gazzola (ed. Diabasis) e The Complete Films Poesia Prosa Performance antologia delle opere di Corrado Costa a cura di Eugenio Gazzola e Daniela Rossi (ed. Le Lettere), presentati allinterno dell evento. Gi nel titolo si voluto fare un omaggio ai protagonisti diretti dellesperienza del Mulino, di propriet di Corrado Costa e abitato da Adriano Spatola e Giulia Niccolai che negli anni settanta ottanta in quel luogo hanno dato vita al laboratorio di sperimentazione poetica pi importante della neoavanguardia e a un centro editoriale autogestito. L evento stato unoccasione per storicizzare quell a esperienza e stabilirne il collegamento con la sperimentazione poetica attuale e si articolato in diversi momenti: testimonianze di alcuni protagonisti di quegli anni, performances (Enzo Minarelli e Massimo Mori), materiali di documentazione fotografica e video, reading Poesie in azione di poeti di quel periodo e della nuova generazione, Nanni Balestrini, Milli Graffi, Giulia Niccolai con Giuseppe Caliceti, Rosaria Lo Russo e Lidia Riviello e il convegno di analisi critica e di ricostruzione storica Fantasmi Emiliani, con Andrea Cortellessa, Eugenio Gazzola, Niva Lorenzini e Maurizio Spatola, con interessanti interventi di poeti e critici. Nel corso delle due giornate sono emersi due aspetti fondamentali: il carattere dirompente ed innovativo di quella esperienza e la grande fecondit ed attualit di quella lezione artistica. I tre protagonisti (i fantasmi emiliani) del Convegno, Corrado Costa, Adriano Spatola e Patrizia Vicinelli (la cui antologia di prossima pubblicazione per Le Lettere), hanno rivelato molti tratti in comune: si tratta di poeti che si sono confrontati con una lunga e sedimentata tradizione culturale, per alcuni aspetti con una tendenza alla classicit. Infatti sotto la maschera ludica, trasgressiva, di radicale rottura con i canoni letterari ufficiali, vi una costante interrogazione sul ruolo e sul valore della poesia, fino a configurarla come opera totale, capace di valenze conoscitive e pratiche, erede della volont politica di trasformazione del mondo. Questa interrogazione appassionata si ricollegava intenzionalmente alle pi innovative esperienze di avanguardia di inizio XX secolo surrealismo anzitutto e insieme a ci che si stava producendo in quel momento in diverse aree culturali del mondo. Le Riviste, i Festival, gli eventi che in vari luoghi portavano la poesia in pubblico costituivano occasione per ulteriori stimoli e sollecitazioni da approfondire nel laboratorio del Mulino. La poliedricit degli interessi di questi poeti li portava naturalmente a contaminare la loro produzione con ci che di sperimentale si produceva in diversi ambiti, dalla pittura al teatro, dalla musica al cinema e alle nuove forme e linguaggi multimediali. Proprio in quel laboratorio emerse la consapevolezza del significato che a livello di massa assumevano linguaggi e nuove tecnologie e ci che questo poteva rappresentare per la sperimentazione artistica. Nelle due giornate a Bazzano, la presenza e il contributo di alcuni poeti e critici della nuova generazione ha testimoniato con grande evidenza che la migliore ricerca poetica contemporanea si collega strettamente alle lezione della neoavanguardia, proseguendo sia sul terreno della sperimentazione linguistica che in quello della contaminazione con i diversi linguaggi.

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In una diversa fase storica infatti, i poeti che oggi continuano la ricerca poetica lungo questa direzione, usano la poesia come preziosa riserva di senso rispetto alla banalit e allimpoverimento del linguaggio globale e mediatizzato.

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NIVA LORENZINI IL MULINO DI BAZZANO: SPAZIO PROTETTO DI DELOCALIZZAZIONE


Chi non ha conosciuto direttamente e negli anni giusti lesperienza della comunit di poeti e artisti che faceva capo al Mulino di Bazzano, e si limita come nel mio caso a leggere le cronache, le ricostruzioni storiche che restituiscono la fisionomia di unesperienza restata comunque, nellimmaginario del sentito dire, come leggendaria e irripetibile sempre il mio caso riceve limpressione di una vicenda sviluppatasi in uno spazio protetto, appartato, de limitato dai confini della casa-redazione abitata, a partire dal 70 e per dieci anni, da Adriano Spatola e Giulia Niccolai, e della corte rurale della propriet della famiglia di Corrado Costa. Di repubblica della poesia parla Eugenio Gazzola nella sua attenta, documentatissima indagine sulla nascita, lo sviluppo, la fine di quellesperienza di autogestione si potr definire cos in certa misura artigianale, di poesia e di plurime iniziative editoriali (1): ed la geografia dei luoghi, perfettamente ricostruita e raccontata, a catturare in primo luogo lattenzione, come se fosse, il luogo, non separabile dalle iniziative editoriali, dagli incontri, dalla vitalit stessa di quella fabbrica letteraria. Dir subito che mi colpisce, mi ha colpito, la coincidenza, e insieme la evidente discrepanza, tra quel bisogno di persistenza in una realt topograficamente, geograficamente perimetrata, periferica, localizzabile sino nelle coordinate fisiche dei colori, degli odori, dellincidenza della luce o del buio, dellalternarsi del ritmo stagionale e del rapporto interno -esterno (lesterno subito contiguo ai muri di casa), e il carattere delocalizzato, a pi livelli, sprovincializzato, cosmopolita, multimediale, internazionale, delle esperienze che vi trovarono un ancoraggio. Luogo di formazione e iniziazione, insomma, per alcune tra le figure di artisti pi delocalizzate e nomadi che sia dato conoscere. Luogo di sperimentazione assoluta, che richiedeva un trasporto totale, coinvolgente, quel Mulino (certo: Chi va al mulino sinfarina: ma in che modo, insomma?). Aveva naturalmente influito, sulla opzione per quel rifugio che si poneva fin da subito come tuttaltro che un buen retiro, una ben definita stagione storica, con le vicende legate alla chiusura di Quindici e la messa in crisi di posizioni ideologiche, e certa delusione o stanchezza di scelte direttamente impegnate (2). Il termine impegno non piaceva, si sa, a Spatola, e si potrebbe discorrere a lungo sulle motivazioni che gli facevano preferire la parola protesta: basterebbe riandare a quella sua recensione allo Pseudobaudelaire (1964) di Costa pubblicata sul Verri, 18, dicembre 1964, o ancora al suo intervento su Poesia apoesia poesia totale uscito su Quindici, n. 16, 1969, e accolto da un nugolo di polemiche per la messa in discussione dellesistenza stessa della poesia, o del suo divenire succube di una pratica mondana al servizio dellindustria culturale (se potessi aprire una parentesi, rinvierei anche alla recensione dedicata da Spatola, pochi anni dopo, nel 72, a Metropolis di Antonio Porta, dove vengono ribaditi i medesimi concetti). Ma torno al rapporto persistere delocalizzarsi. Sarebbe subito il caso di ricorrere a una intensa riflessione di Patrizia Vicinelli, quando, riferendosi a Corrado Costa e citandone una annotazione (Il luogo della poesia torna sempre fuori, anche se il poeta senza luogo), scrive: E il poeta a scegliere il territorio della sua nascita. A volte coincide, a volte no (3). Forse il Mulino di Bazzano stato per molti quel territorio: il territorio in cui era possibile avvertire il bisogno di mettersi in guardia dalla realt dissimile e troppo dissimulata per usare di nuovo parole di Patrizia che premeva dallesterno, e insieme per andare incontro, aizzati dagli schemi della memoria, dai contrasti delle ombre, alla propria fonte: che , per un poeta, quella che fa emergere il potenziale espressivo, lo rivela. Come era successo a Costa, alla sua prorompente gigantesca energia creativa: un ermeneuta e argonauta silenzioso lo definiva Patrizia - , abitante delloasi doro della permuta necessaria nel fare poetico. Delocalizzarsi, dicevo. E a vari livelli. Vorrei riprendere brevemente quellosservazione. Spatola avvertiva, come molti suoi compagni di vita al Mulino di Bazzano, innanzitutto il bisogno di uscire 129

definitivamente dai territori della letteratura protetta, e dagli spazi claustrofobici della pagina scritta, aprendo la scrittura alle interferenze con le esperienze verbovisive e fonetiche. Conosciamo tutti lapprodo al testo insieme teorico e documentale Verso la poesia totale , edito nel 69 da Rumma, Salerno, e poi rivisto e aggiornato per ledizione definitiva del 78 stampata da Paravia, Torino. E per Spatola (come per Costa, p er la Niccolai o la Vicinelli) totale significava esposta al coinvolgimento della mente, del pensiero, del corpo: un pensiero visivo, propriamente, che si spinge a indagare gli stessi meccanismi di formazione del linguaggio, e giunge a condensare, rendere fisiche, le parti elementari della lingua, le lettere, le sillabe, in permutazioni e combinazioni ideogrammatiche, smontando le strutture della sintassi e ripensando le basi grammaticali della lingua stessa. Lo fa, dicevo, anche Patrizia Vicinelli, di cui mi sto in questi giorni occupando, portando la sua scrittura collagistica a uno straordinario impatto visivo. Ma io vorrei ora soffermarmi su unaccezione pi ritagliata delle possibilit di delocalizzazione della parola, quella che maggiormente mi interessa approfondire. Cosa intende Costa quando scrive che il poeta senza luogo? E cosa intende Spatola quando si sofferma a considerare un materiale spento, stopposo, inerte, o quando si applica alla riduzione delle possibilit comunicative della parola sino ad accogliere le strutture antinomiche, rovesciando ogni affermazione nel suo contrario, o azzerando ogni riferimento semantico? Pu essere utile ripartire dalla recensione a Porta. Scriveva nel 72 sul Verri, arretrando da Metropolis a Cara, la raccolta di Porta uscita nel 69: In Cara il materiale lessicale povero, spento, stopposo [sue quelle parole che citavo prima]: si presenta come insostituibile, e la sua scarna e amorfa evidenza ne garantisce lautenticit. Non un elogio della rid uzione, dellabbassamento: sono piuttosto parole da artista visivo, che sa trattare la parola come materia, appunto, e come materiale duso, fatto corporeo. Aggiunge, Spatola, una precisazione che va ascoltata con il massimo di attenzione: in Cara scrive la poesia stessa a negarsi come istituzione privilegiata, attraverso un accurato appiattimento delle valenze culte del linguaggio, ma soprattutto attraverso limpaginazione schematica e rigida, nella quale la frammentariet turbolenta dei riferimenti al mondo si risolve in predicazione visiva. Conclude definendo Cara nullaltro che un interminabile elenco di azioni, un elenco che, in quanto ritmo elementare, mima nella lettura, nella voce, il gesto. Siamo gi nei pressi di unintuizione delle possibilit performative della parola, su cui intendo brevemente ritornare tra poco. Se ci fosse tempo, ci si potrebbe soffermare sulla produzione visiva di Antonio Porta approntata negli anni 63 -64 e analizzata qualche anno fa da Vincenzo Accame (4), per ribadire come Spatola aveva visto giusto. Lo colpisce laspetto gestuale (come lo colpiva gi nella recensione dedicata, sempre sul Verri n. 27, 1968, a , a. A, di Patrizia Vicinelli). Il fatto che il gesto destruttura, rompe la fissit della lettera, dinamizza la scrittura, la delocalizza, insomma, nellaccezione plurima che sto usando per la parola, di spazio fisico e spazio verbale, spazio strutturale. Ci che Spatola, come Costa, si propone di attuare, la destrutturazione del linguaggio, lintroduzione di un disordine controllatissimo eppure esplosivo, nelle giunture della sintassi, la liberazione della lettera dallo schema grafico e tipografico e la poesia dalla separatezza che le preclude linterferenza con le arti, il teatro, la musica, il cinema. Entrambi vogliono dilatare lo spazio della scrittura, esporla al contatto con la voce, provocarne la dicibilit investigando le zone del non detto, delle rifrazioni, del doppio, fino a rendere udibile, visibile lo fa poi soprattutto Costa anche il vuoto, lafasia. Mi sto accostando di nuovo alla delocalizzazione. Quella che Spatola sperimenta in Zeroglifico fino dal 65, piegando la singola lettera a aggregazioni fortuite, e riconsegnando il linguaggio desemantizzato alla sua radice visiva e fonica. Luigi Ballerini parlava di parole troppo avvicinate ai nostri occhi, e dunque delocalizzate dalla posizione che consentirebbe di percepirle secondo unottica tradizionale (5). Viene cos azzerato, dalla prospettiva deformata, il contenuto del frammento alfabetico insieme con ogni possibile valenza semantica. A che scopo, ci si pu chiedere? Allo scopo di indagare i modi di fondare nuove situazioni comunicative, riproducendolo a vita, incessantemente, di fase in fase, quellesperimento, e oscill ando tra poesia concreta e poesia 130

lineare per consentire operazioni di rimontaggio, fino alla dilatazione della parola oltre i confini del soggettivo e oltre il perimetro della pagina, per affrontare l urto dei nuovi frammenti. Lo si pu verificare a partire da Diversi accorgimenti, la raccolta del 75, fino alla Piegatura del foglio dell83, che rasenta allegorie da fine della storia. curioso, sorprende, che la delocalizzazione passi attraverso la presenza fisica, corporea, concreta di una parola-oggetto, trattata come materiale da destrutturare. Come capita in Considera prima di tutto la posizione delle cose , un testo davvero utile per suffragare il nostro punto di osservazione. Sono cose mangiate e smangiate dal tempo dalla noia dal freddo, quelle che occupano le sei sezioni del testo, e lo sguardo che tenta di focalizzarle occhio sbarrato e smarrito tra lampi dentro la retina, e per mette a nudo dettagli, smagliature del tessuto, erosione della parete / che lascia polvere e calcinacci briciole fossili. La materia si sbriciola e sgretola alla pari della parola che la rappresenta, con espressionismo visivo e sonoro (becchetto della stanza affamata digrignare di pioggia, si legge qua e l). Sono operazioni datate? Certo appartengono a una fase storica in cui ci si poneva pi che oggi il problema della datit, della percezione, degli approdi della fenomenologia. Ma non per niente datato occuparsi della performativit della parola, del suo ibridarsi, metamorfosarsi nel segno che la veicola. Per verificare ed quello che, mi pare, conta davvero, se siano possibili nuove modalit enunciative, nuove prospettive di contatto, comunicazione. Se li si indaga sotto questottica, la maggior parte dei testi di Spatola, perlomeno sino da Sterilit in metamorfosi pubblicato il 6 maggio 64 su Malebolge (e inserito poi nel 66 nell Ebreo negro), mette a nudo un accumulo di parole-oggetto di forte impatto figurativo, che puntano sulla ripetizione, protratta ossessivamente, sino a che scattano combinazioni inedite, secondo i modi di una scrittura visuale non separabile dai lavori di poesia concreta. Non si fidavano, Spatola, Costa, la Niccolai, la Vicinelli, di chi detiene una visione privata e privilegiata del mondo. Quel mondo che a Patrizia, nella pagina dedicata a Costa, appare invece insaziabile, in senso ampio, che coinvolge ad un tempo vita e scrittura, oltre che pronto a tradire le aspettative. Patrizia lo affrontava con choc linguistici improvvisi e stridenti, spiazzando il lettore, con la sua scrittura che sabota e aggredisce lo spazio chiuso, castrante, della morte indotta, e delocalizza la parola, tra inconscio e memoria, mescolando registri e variazioni timbriche, codici linguistici e figurativi, tra rinvii e successioni incessanti (Non c arrivo non c sosta scriveva non c partenza, ma il succedersi senza tregua). A Patrizia interessava torno di nuovo alla pagina su Costa la fedelt a una vocazione, a un destino, situato ai margini scriveva di una realt dissimile e troppo dissimulata, da affrontare con un corpo a corpo che la smascheri e la riveli, tramite ribaltamenti tematici e scrittura di attriti, antimelodica, tipica della sua scrittura, che su questo puntava pi che sulle associazioni incongrue e apparentemente causali, sulle modalit ripetitive, segmentate, dellesistere, o sulle sparizioni, le assenze, le prospettive ribaltate che punteggiano i testi di Spatola o in maniera diversa quelli di Costa. Scriveva Guglielmi, riferendosi a Spatola: scrittura poeti ca come luogo di una continua formazione e deformazione di s, di unidentit sospesa, di una instabilit provocata, ottenuta rinnovando ogni volta i processi possibili di associazione, facendo convivere stilizzazione e sorpresa, stacchi e scarti tonali, a un passo dalla pittura, dalle sue tecniche (6). Questa la sfida, che tutte le riassume; una sfida vitale, per nulla indebolita dal tempo e dalle stagioni. Mi capita cos, in chiusura del percorso delocalizzato, di pensare a un recentissimo libretto di Balestrini, dal titolo che si presta mirabilmente alluopo, Sconnessioni. (7) incandescenti parafasie, disartrie sintattiche, codici guasti, ne costituiscono, secondo il prefatore Gualberto Alvino, lidentikit. Occorrerebbe soffermarsi soprattutto sui Cronogrammi, che inviano la percezione di un mondo la cui massa plastico-sonora lacerata, sminuzzata, in sconnessioni anche grafiche, nelle poesie visive proposte a fianco di quelle lineari, ove prendono corpo gli snodi sensibili dei frammenti. A me pare che si potrebbero ora offrire in dedica, in offerta votiva, quelle Sconnessioni, ai Mani e ai Penati del Mulino di Bazzano. 131

Note. (1) Eugenio Gazzola, Al miglior mugnaio. Adriano Spatola e i poeti del Mulino di Bazzano , Edizioni Diabasis, Reggio Emilia, 2008. (2) Della rivista Quindici uscito di recente unampia antologia, Quindici. Una rivista e il Sessantotto, a cura di Nanni Balestrini, con un saggio di Andrea Cortellessa, Feltrinelli, Milano, 2008. (3) Patrizia Vicinelli, Corrado Costa, Il luogo della poesia torna sempre fuori, anche se il poeta senza luogo, in Incontri 2000. Mensile di Bologna e dellEmilia Romagna, III, 5, maggio 1989, ora in Corrado Costa, The Complete Films. Poesia Prosa Performance , a cura di Eugenio Gazzola, con unantologia multimediale di Daniela Rossi, Firenze, Le Lettere, fuoriformato, 2007, pp. 295 -297. (4) Faccio qui riferimento a Antonio Porta, Poesie visive, a cura di Vincenzo Accame, in Avanguardia, 12, 1999, pp. 5-29. (5) Cfr. Luigi Ballerini, La piramide capovolta: scritture visuali e davanguardia , Marsilio, Venezia, 1975. (6) Guido Guglielmi, Il foglio piegato di Spatola , in il verri, 4, dicembre 1991, fascicolo monografico Omaggio a Spatola, pp. 49-56. (7) Nanni Balestrini, Sconnessioni, a cura di Gualberrto Alvino, Fermenti Editrice, Roma, 2008.

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ROSARIA LO RUSSO
Vorrei proporre alcune considerazioni sulla collocazione di Patrizia Vicinelli allinterno della ricerca vocale sperimentale e della poesia davanguardia di quel contesto storico -culturale. Apparentemente, infatti, il linguaggio e la versificazione di due poetesse come Amelia Rosselli e Patrizia Vicinelli, non hanno quasi nulla a che vedere con le scomposizioni fonico-semantichesintattiche che caratterizzano la scrittura e la scrittura orale degli autori e di altre autrici di quel periodo e dei contesti culturali legati allavanguardia fra gli anni 60 e gli 80. Paradossalmente ci che fa avanguardia nella testualit delle due migliori poetesse di quel periodo la rilettura riscrittura del genere principe della tradizione, lepico. Con La libellula e Non sempre ricordano e I fondamenti dellessere si assiste alla ri-nascita dello stile epico ma dal punto di vista di uneroina. Chi dice io, fra moltissime difficolt radicali, un attante, un personaggio donna che intende affrontare di petto la sua sfolgorante entrata nellagone letterario. Loperazione pi tradizionale possibile si riconfigura come ricerca estrema, come esperimento con la vita scriveva Amelia Rosselli - oltre che con la scrittura. La voce il vessillo lacerato e lacerante di questurlo tragicomico, del risultato sconvolgente di questa doglia per partorire il S poetante. LIo femminile che dice il S vivente-poetante uno scandalo mortale, ovvero da scontarsi con la morte, un tab atavicissimo viene infranto dalla donna che canta lepos. Non poteva che immolarsi alla ricerca questandrogina goffa e leggera, questa parodia svolazzante della Chimera, questo maschio mancato che osa cercare il Graal. Lattante di Vicinelli-Rosselli un Cavaliere antico che sfida la morte perch osa vivere, un Samurai kamikaze che non arretra di fronte al suo destino di apripista. Loralit intrinseca ed estrinseca di queste poetiche avanguardisticamente scritte ad alta voce il rinascimento epico delle nostre autrici, un rinascimento al quale noi poetesse successive dobbiamo moltissimo. Non esisterebbe il mio Comedia la parodia tragicomica del S che nasce alla scrittura poetica senza queste due donne che hanno saputo far compiere alla storia letteraria un passo avanti significativo, pari a quello delle loro pi famose e pi riconosciute colleghe statunitensi. Lelemento vocale, la teatralit del poema, non gioco fonico, non estemporaneit: questione vitale, fondante. Denota la necessit dellautorappresentazione del S per poter esistere consapevolmente sulla scena letteraria. Non si pu non tener conto del fatto che la poesia delle donne in Italia fino alla fine dellOttocento, e oltre, stata poesia sentimentale, occasion ale, e perlopi superfluamente dimitazione. E Patrizia Vicinelli, come la oramai studiatissima Amelia, sar finalmente da studiare tenendo conto del valore filologico oltre che fonologico della sua testualit, come un poeta vero insomma, non come un fen omeno estemporaneo, come si tende purtroppo a limitare, forse anche perch lei stessa, forse per insicurezza (stava osando molto e lo sapeva, e certe cose fanno paura) recitava le sue parole velocissimamente, forse inconsapevole della loro solidit sotto la voce.

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GLI AUTORI

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I tradotti

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JOHN ASHBERY

E ALTRI, PIU' VAGHE PRESENZE vengono composti dal mlange di vita e spazio nel punto in cui noi siamo del tutto rivelati nelle fenditure a forma di losanga. Perch si sostiene che tali strutture siano inclini a preoccupazioni meramente estetiche, come mulini a vento su una pianura immensa. Al che si replica che non vi sono altre questioni che queste, mezzo spiaccicate nel fango, che emergono dall'attimo che tutti viviamo, imparando a farcelo piacere. Niente sonetti su questa estrema lingua di terra, niente ciottoli, niente piante. Estendere la propria vita tutto il giorno sulla pietra sporca di chiss che piazza, inconsapevoli tra gli ameni affondi del vento, luce e ombra, come uscire dal coma che un Paese bianco, affascinante, pronti a perdere il ricordo principale in un incontro alla luce delle torce sotto la fine ritorta delle scale.

[da And Others, Vaguer Presences , Houseboat Days (1977)]

* LA BAMBOLA SERIA I generi della cosa importano pi della singola cosa, anche se lo specifico di supremo interesse. Giusto? Mentre ogni particolare precipita dalle Cascate del Niagara in una botte, ci si potrebbe chiedere ad ogni buon conto: da dove viene ci? Dove va la mia preoccupazione? Quel che indossavi svanito insieme ad altri concetti. Sono stesi sulla ringhiera della passerella della fabbrica contro un cielo azzurro dove sono incollate nuvole rozze di carta bianca. Dov' che l'est tocca l'ovest? Al tramonto si pu scegliere tra due sorrisi: discreto o serio. Qui, nel migliore dei mondi possibile, questo basta.

[da The Serious Doll, Houseboat Days (1977)]

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* PIOGGIA NELLA ZUPPA La pioggia sgoccia sulle cime degli alberi. Giorno piovoso. S, un giorno di quelli. Un po di sofferenza umana. Qualche malcontento. Se il Sig. Zuppa resta nella sua scodella, gli soffier sopra. Altrove si rammendano calzini. Luovo da rammendo grande come una casa. Tutta questa meno-che-immensa felicit forse giova alla vita altrove, in mezzo alla palude. Forse. Ma noi la vediamo dalla cima, come una cupola triangolare, e a noi pare a posto. I monociclisti sono dispiegati in forze, aprono la strada verso la Prossima Cosa Interessante che di sicuro sar sparita quando io e te ci arriviamo. Non conto ledera che si inerpica sul comignolo, che arrivata in cima e savviluppa, assurdamente. Mi piacerebbe portare una zattera gi in spiaggia, entrare in acqua fino alla vita e salirci sopra. Ma chiaro, niente a questo mondo stato fatto per me. Non tiriamo n coppe n bastoni, le campane vanno in giro in citt e concludono qualcosa di rilievo. Io sopporto di starmene a sopportare, sopportando, tutto qui. Buon giorno Sig.ra Smith. La sua figliola carinissima.

[da Rain in the Soup, Your Name Here (2000)]

* SBOCCHI DI SANGUE Ineluttabile come un cane che abbaia, musica di seconda mano plana lungo cinque piani di scale ed esce per strada, mettendo a posto cuciture, controllando il trucco nello specchietto. Nella camera oscura, gioviali quanto mai, i dentisti guadagnano tutti i soldi. Non lo sapevo, allora. Dei bambini sono usciti a dirmi, in tono misurato, che i prezzi sono ottimi sul lungomare, che l'aria salsa arrossa le gote. Impetuosamente segnate dai fortunali, le nuove silhouette reggono pochi lavaggi. Inforca gli occhiali e leggi l'etichetta. Ferma la mazza! Romperebbe i ranghi prima del culo. 137

Si comprato una camicia color Lago di Sam Rayburn, ocra imbrattata di ceppi d'albero e movimenti di terra. I prigionieri al picnic non mancano mai di godere del muschio che se ne distacca in ondate che continuano a ingrossarsi, innescando una nostalgia sanguinante per un'ipotenusa che non mai stata.

[da Bloodfits, Your Name Here (2000)]

*** DUE ESEMPI DALLE DECOSTRUZIONI DEGLI ANNI 50 -60 da Soundings (1925) di A. Hamilton Gibbs S, disse Nancy, ma non ho capito non sono sicura di capire, ora. Vorresti dire? Ma quello non matrimonio. Lei rabbrivid. morte!

III La porta dello studio sbatt. Ciao, cara! disse Cornelia. Sei tornata presto. [] Coshai preso? Lultimo di Wells, Tono Bungay. Che titolo straordinario! esclam Cornelia. Lo ripet due volte. Cosa significa? Nancy rise. Oltre a varie altre cose, significa che non far un bel nulla finch non lo finisco. per questo che sono rientrata cos presto. Ho fatto una scappata da Brentano per dare unocchiata e prendere qualcuno dei numeri di natale, e mi caduto locchio su una pila di questi. Ne ho preso uno al volo e sono venuta dritta a casa. Ah, tra laltro, c un telegramma per te. Vedi? Indic il tavolo. Cornelia apr il foglio di carta azzurra e grezza che era un telegramma francese.

* da Idaho (scritto nel 1956 e pubblicato nel 1962) di John Ashbery Cosa significa????????????? Carol rise. Oltre a varie altre cose, finch non lo finisco. per questo che una scappata da Brentano. prendere qualcuno dei una pila di questi. Ne ho preso uno al volo.. - Ah, tra laltro, c un teleVedi? Indic il tavolo. Cornelia apr il foglio di carta grezza che un telegramma fran. #################### La bocca delle erbacce 138

matrimonio. Rabbrivid. una morte! II La porta dello studio sbatt. Ciao, cara! disse Cornelia.

[Traduzioni di Damiano Abeni]

Notizia. Una notizia bibliografica completa sullautore leggibile su: http://en.wikipedia.org/wiki/John_Ashbery.

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VOLKER BRAUN

TESTO DI UN SOGNO Siedo tra file di poltrone quasi vuote in una sala di teatro o di cinema, il buio consueto, sullo schermo scorrono i titoli di coda, una serie di slogan sopra le teste di una massa di uomini BLOCCATA DA UNA CATASTROFE / DA UNA RIVELAZIONE. Attendo inchiodato alla sedia il seguito della vicenda che saltata o era stata montata male (rivolgo questa considerazione ironica alluomo che mi siede accanto), mentre vengono tolti i catenacci alle porte e la donna seduta accanto a me si alza e gli spettatori sfollano cupi dai loro palchi come se avessero visto abbastanza e perso ogni pazienza nei confronti del proiettore. Tento di alzarmi per partecipare anchio al divertimento, non avevo in effetti mai guardato il film come tale, mi ero piuttosto goduto leffetto che produceva, smarrimento o indignazione. Ma non mi riesce, limmagine della massa, nel suo sfocarsi, mi avvince a s, gli arti sottratti alla forza di gravit, insensibili alla fradicia aria di calce che soffia dallo schermo. Sopra le poltrone, come durante le prove, stanno ora tesi lunghi teli grigi, coperti di sabbia somigliano a trincee. Alle sponde sono ancora appoggiati fucili. Una maschera cerca il mio volto con la pila, e mi accorgo contento che sono io a conoscerla, una bella donna bionda della Rungestrae, diciannove anni. Si tratta di un interrogatorio, che un appuntamento segreto, che un interrogatorio, o della mia esecuzione, PRESO INSIEME, APPESO INSIEME, come posso dimostrare di esser stato soltanto spettatore. Gli spettatori hanno da tempo abbandonato la sala. Mi viene intimato dalla sua rude giovinezza di spogliarmi, cosa che prendo a fare impacciato, mentre lei si siede sulle mie ginocchia, il suo giovane volto verso di me, le braccia nude poggiate sulle mie spalle. Senza aprir bocca mi fa capire che mi concesso ancora un desiderio. Incassa la mia risposta spontanea con un sorriso, ma immediatamente maccorgo di non aver colto la seriet della situazione. L davanti la storia finita e qui nella diciassettesima fila io d un qualcosa di me. La sensazione che la vita si trasformi in pornografia, o che altro mai questo, quando non vi sono pi lotte. Col rischio di essere scortese mi domando cosa sarebbe davvero desiderabile. I soliti desideri: 1. che la storia non ci fosse mai stata. 2. che non avesse ancora avuto inizio. 3. la pi insolita delle speranze che la storia andasse avanti. Che le immagini imparassero a muoversi. Perch adesso, dopo la sua fine, mi interesserebbe davvero. Ma la ragazza mi legge un altro desiderio sulle labbra e si muove calma sulle mie ginocchia, e questo ora il mio appuntamento o la mia esecuzione, cui d il mio assenso, provando al contempo timore per il momento in cui (anche questo) sar finito. Guardo fisso lo schermo, un cielo chiaro, lapertura di una fossa. Ora vedr tutto da questo lato, come dire, dallal di l, penso con gioia dubbiosa: sotto, in fondo, eppure in vita. Forse la storia proceder a ritroso. Forse rimarr una falla come nella mia coscienza. Forse la sabbia, che ora si scatena sotto i passi di qualcuno, mi toglier la vista e mi chiuder la bocca. Questo non muta di nulla la brama con cui attendo / temo il prosieguo. Con un sospiro di sollievo sento poi iniziare gli spari del film che riprende e mi meraviglio, dopo il primo colpo andato a segno, che non vi sia dolore. Dopo il secondo o il terzo colpo mi risveglio, nella certezza insolita e fantastica di un nuovo giorno.

* LA VITA POSTUMA Allegro guardavo ancora al giorno Quando Jastram(*) mi imprigion sulla poltrona La testa riversa, legati I capelli. Il gesso grond quindi freddo sulla fronte A colmare pesante le palpebre Le labbra nude si abbandonarono distese 140

Nello spessore della coperta, con sussulti dintesa Finch il peso aderendo Tir gi il mento. Solo attraverso Le nari sbuffava La vita ancora un poco

Mi perdevo. Rovente Asciugava la mia maschera di morte. Io Sedevo immobile Nel mondo, trattenendo un singulto Poich qualcuno mi pensava (pensavo io) E riuscivo ad abituarmi allidea

Il lungo tempo dopo di me. Vidi Da unombra che gettavo Che non ero scomparso del tutto Bens ricordato dalle donne O dagli alberi che avevo servito Sicch stavamo l ancora avvinti Come si fondono le ombre. Ero dunque Morto in un mondo Che non conoscevo, perch il giornale Che ora chiedevo Non era ancora arrivato, soltanto lorror e Di oggi BILD RENDE STUPIDI mi stava davanti agli occhi Gli alberi cime secche nel cemento Le donne serie con sguardi spudorati E un dolore nello scheletro Teso fin nelle braccia, lo descriveva Un terrore lo aveva colto Perch mutato somigliava a se stesso: Era ben chiaro, TU SEI STATO QUI Nulla mancava di quel che un tempo sapevo I miei pensieri ora solidi La materia di cui sono i progetti Il futuro prodotto a mano, quale noi lo facevamo Mi circondava meraviglioso / atroce, REALT. Era il paradiso Era linferno Sentivo ora fisso su di me lo sguardo dei posteri E sorridevo sereno PIENO DI SPERANZA Nelloscurit, un pazzo Dalla preistoria, che conobbe la speranza In segreto, un sorriso da Monna Lisa Nel Louvre torturava le mie labbra E malgrado tutto rimasi immobile Seduto nella prigione del gesso A piccolezza naturale, serbando ogni minima ruga 141

Intorno alla bocca, che sapeva LA CATASTROFE ERA PRIMA, nella vita Quindi il mio cuore batt pi veloce di paura. E Jastram diede alle tempie il segnale Che veniva a prendermi. Potevo attendere ancora. Ecco nella mia mano la maschera rigida.

(*) Jastram: Jo Jastram, scultore a Kneese, Meclemburgo. L'episodio si svolse nella Pasqua del 1988. Seconda versione del 1996.

* IL TUMULO Cesare dal tumulus(*) vide lontano La battaglia sul mare navi barbare sudore di paura Di un grande che fa la storia Era dunque Questione di coraggio e lance falcate Che strappavano i pennoni insieme alle vele di cuoio BELLUM GALLICUM la solita guerra del golfo Davanti agli occhi delle truppe di terra al cinema sulla costa E la bonaccia Cos nascono gli imperi / Io li vidi cadere Stando sulle sue ossa sul bunker del Fhrer Grotewohlstrasse nellaltra Germania Limprovviso vento di terra nei corridoi Un battito di palpebre della storia contro laccecamento Sbandandoesitando IL BALLO SUL MURO Picchi del muro con piccoli martelli Larmata popolare stava a guardare, lesercito dei senza lavoro, Un minuto nel Mio tempo

(*) Il tumulus di Tumiac, nel golfo di Morbihan, Bretagne. Alberga le ossa di un uomo altolocato (5000 a.C.). L'improvviso vento di terra: dalla poesia La svolta, 1988.

* PLINIO SALUTA TACITO (*) Perch Plinio se ne and in mezzo alla catastrofe Quando la nube si lev in forma di pino Bianca e sporca come gli elementi che scagliava in aria Come uomo dagli interessi scientifici La cosa gli parve degna di essere osservata da vicino Chiese i suoi sandali e fece mettere delle quadriremi In acqua e col vento a favore punt Al Vesuvio fango e pomice incandescente 142

Perch non rimase a distanza sicura Al suo tavolo di cartografo a Miseno Conosceva la vera natura del sollevamento Innocuo verdeggiare su fino alla cima, i contadini Insediano la loro speranza nella cenere Appena la memoria si raffredda e pu calcolare Come sai, i prezzi delle terre sono saliti ancora Scrive Plinio il Giovane a Nepote Perch limperatore impone ai candidati Di acquistare suoli e terreni prima di essere eletti Una dimora nellimpero ville di campagna sul vulcano I rischi della corsa politica su piste di cenere, perch Volle saperlo con esattezza Si affrett L dove altri fuggivano, dritto verso il pericolo Dettando di getto tutte le configurazioni della sciagura Mentre il mare si ritraeva e precipitavano blocchi di roccia Nell'intera sua Storia naturale (37 volumi) Ha predetto la rovina e la fine del mondo Ridotta ora alla sua Un uomo che ha i miei anni e una curiosit insaziabile Si fece portare nel bagno, mangi tranquillo e si distese Nellorrore, pesante Il respiro per la corpulenza Perch io rimasi in mezzo alla catastrofe Del mio secolo La rivoluzione tradita Con tutti i traditori che lo volevano sapere La cosa mi parve degna ecc. ecc. Ci si pose dei cuscini Sul capo e li si leg, a riparo dalle pietre che cadevano Conoscevo la vera natura del sollevamento Con bandiere rosse piantate fino alla cima, gli OperaiE-Contadini raspano nel fango delle promesse Ho descritto (a volumi) il tramonto Un sorso dacqua fresca solo di quando in quando E ora sar soltanto la mia fine Mentre prendo un bagno e mi cibo Delle scorie di unaltra catastrofe The Triumph of the West, written by J. M. Roberts Osservato da vicino un evento naturale Finch i detriti si ammassano davanti alla porta Perch non resisto Nella sicura mia speranza al mio scrittoio Bastava solo scuotersi ogni tanto la cenere Di dosso, per non venire sepolti Il rullo compressore dello sviluppo mozzafiato Che gli serr la gola La cenere di Auschwitz La nube scura in forma di fungo Scagliata dal terreno, perch continuo lesercizio Nella fredda lava della rivoluzione Nel fango del Nilo della civilt Nella carcassa di un auto a quattro porte tra i gas di scarico di Napoli 143

(*) Plinio: Nelle sue Epistole, Plinio il Giovane racconta a Tacito della morte di suo zio Plinio il Vecchio durante l`eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.

* ADDIO A KOCHBERG (*) I contadini ballano Attorno al patibolo Da cui pende il partito, la glebaglia si Diverte Manifesti a Praga in primavera ARRIVATA. NOI ANCHE. DEUTSCHE BANK La cara stanza delle utopie Rilascia l'ospite all'assurdo SI DEVONO conservare TUTTI I RAPPORTI IN CUI LUOMO UN SERVO Me ne stavo con la mia carretta a Zeutsch Un piede sul freno un piede sul gas I rami scricchiavano e le foglie Si agitavano E UN ESSERE MISERABILE

(*) Settembre 1990. Il patibolo con appesa la SED [Partito Socialista Unitario Tedesco ] si trovava nella sala da ballo della locanda Al Leon dOro.

* Materiale XV: SCRIVERE NEL TRITATUTTO(*) In una stalla lunga 100 metri Il letame arriva fino al soffitto MLLER MATERIALI MICKEL CARTA DA MACERO Sigillati su pancali Opera del parroco Weskott raccattata Dalle zolle rivolte del commercio statale Nei pressi di Espenhain il PANE PER IL MONDO I campi irrorati dellalta cultura Quali vie traverse dello spirito Negli stomaci vuoti, carne di carta Quanti volumi della REPUBBLICA DEI DOTTI Reclam, Lipsia, formano un pasto Ai libri si pu anche dar fuoco Ma la cosa non ha alcun valore nutritivo E intralcia lattivit dei teatri dopera PERCH TACCIONO I POETI si vergognano Dei loro manoscritti dal puzzo Di stato che finisce nel tritatutto CONQUISTE a prezzi di realizzo 144

SOCIET CHIUSA un film della DEFA Quali vie traverse della storia Per una boccata daria, quanti stati Si devono mandare al macero per un resto d`aria respirabile La letteratura che giace per la strada Pu conservarla, ma chi la legge A Hiddensee la pagina della cultura sproloquia Sul POTERE DELLA PAGINA DELLA CULTURA Nel silenzio del mare, mi vergogno Di aver lottato con porci Che ritenevo miei avversari, miei compagni Contro i quali mi schierai traditore fedele Nella corazza scintillante delle parole NESSUN POTERE PER NESSUNO SIAMO UGUALI Ingannato dal loro scavare eroico Nella merda, che era la storia Ed ebbro del letame, che era il potere Nella periferia operaia LANDA DEI PORCI Quali lotte nel porcile e lesultare Alla fratellanza nel liquame A occhi aperti Biermann lo doveva mandar gi Nella buca accanto fino a gustarlo Porci che scrivono rapporti HA LA SUA RESIDENZA NELLA MENSA DEL BERLINER ENSEMBLE E SI FECE PORTARE DA ME UNA COCA COLA Grugnendo al tavolo della mia cena Viscidi maiali in servizio e funzione Che battaglie per far stampare quel letame Autorizzato, rilegato e recapitato Agli affamati di fame di verit Venire alle mani per il lavoro della testa Delle non persone, che lavevano in appalto T = TROTZKI nella cassaforte di Suhrkamp Il lavoro della testa, spaccargli il cranio SOSTIENE LA MORTE DELLE IDEE (FONTE: IM Saint Just) Oppure GUEVARA e il parto della sua testa Luomo nuovo sotterrato sulla scena NON PARE OPPORTUNO FAVORIRE UNULTERIORE DIFFUSIONE DELLE IDEE DI B. PRESSO LE MASSE Si pu anche dar fuoco al teatro ecc. Chi li raccoglie i morti nel testo Marciti nella fossa comune della letteratura Quando il figlio legge non odi ma incartamenti Le letture suggerite dallEnte Gauck Il pastore che ha fatto bottino delle confessioni HAMLET SENZA SEGRETI / LEI PU RICHIEDERE I NOMI E pi nessun pensiero per la fame nel mondo Mentre un terzo scende dal pulpito E chiede un FUOCO D`ARTIFICIO per il vescovo Schorlemmer lusignolo di Wittenberg La pagina della cultura lo arrostisce a fuoco lento 145

Lotta nellimmondizia dei media, per pura miscredenza Che pasti, fastfood sul Kudamm Dov la risoluzione NOI PROTESTIAMO CONTRO LA CITTADINANZA A BIERMANN Firmato firmato Niente pi latte GERMANIA per i bambini di Cuba Luomo nuovo non pu ancora invecchiare Quali vie traverse della facezia Per giungere alla ferita, quante risate Mi tocca strappare per un attimo di terrore.

(*) Al parroco Martin Weskott che ebbe lo spleen proficuo, dopo la svolta del 1990, di raccogliere con dei camion i libri ammassati davanti alle porte di Lipsia, portandoli nelle stalle di Katlenburg.

* LA BAIA DEI DEFUNTI(*) Abitata dalle stagioni e dai flutti salati, la baia il punto di raccolta dei defunti. Vi vengono sospinti dalle loro vite fallite e da rigagnoli, dalle loro barche schiantate, la cui chiglia spunta dai fondali. A memoria d'uomo giacciono qui ammucchiati, piccole dune di sabbia chiara come ossa, e solo controvoglia, sprofondando, fanno posto ai nuovi arrivati che gli vengono gettati sopra. Infatti, non sono sepolti. Aspettano, finch tengono ancora insieme ossa o pensieri, di essere traghettati sulle isole, che solo i felici raggiungono. Questa smania prende noi tutti immediatamente quando approdiamo qui. I felici sono quelli che, nella vita o nella morte, finiscono per aver ragione. Ho vissuto questo trionfo: quando noi falliti, molto tempo dopo essere affondati, fummo portati in alto dalla storia che ci dava ragione. Ebbri, stavamo estasiati nell'insperato flutto. Le spiagge popolate da sereni, a milioni! Ma nel riemergere, l ci batteva contro una rabbia amara. Sguardi ostili ci rifiutavano indesiderati. Cosa avevamo da rimproverarci. Qual era il nostro crimine? Aver voluto cambiare il mondo che fu poi spazzato via. Ora ci rispondeva una risata di scherno. Noi eravamo i traditori che gli avevamo dato speranza. Era il destino di molti morti, allorch la storia, che li aveva visti vincitori, non esisteva pi. Ora eravamo noi la feccia. Pazzo mondo: ora eravamo noi, che lo avevamo combattuto, i colpevoli della sua esistenza. Ridevamo a singhiozzi nella broda. Ma la salvezza si avvicin, ci si costruiva un ponte per le isole. Andate, si diceva (tutti conoscono queste voci), andatevene con la vostra speranza. Confessate di essere morti e traditi. Lo eravamo, infatti. Respiravamo avidamente. rossa, insanguinata, abiuratela. Seppellite questa bandiera. Non cambier mai nulla . E voi farete parte dei felici che escono di scena tra gli applausi. Ascoltavamo le parole, cos leggere, e guardavamo le isole. L avremmo trovato quiete. Potremmo metterci una pietra sopra. Ci sentimmo ridere e un gorgoglio rotol per la baia. I morti guardavano verso l'alto con occhi morti, il fiato ormai da tempo sospeso. Si, dicemmo, fu un errore. Ed eravamo gi dall'altra parte. Ma non lo fu sin dall'inizio e non per sempre. Come, voi infelici, non volete farvi salvare. Non a questa condizione, non a questo prezzo. Questo dicemmo, accorgendoci, mentre ancora ridevamo, di star scendendo pi gi, sul fondo, tra i perduti, i non scoraggiati, e questo perch voi lo sappiate.

(*) Da una leggenda bretone su La baie des Trepasss. Per Hans Mayer.

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* MATERIALE XVI: COLONIA PENALE(*) ... per restare nella stagione del mio pensiero Wole Soyinka IL CAPITALE DIVENTA PIU' SICURO DI S leggo a colazione Nel sole del Sud KRUPP SI MANGIA THYSSEN Si prepara una SCALATA E` di nuovo lecito, dice Lord Dahrendorf, Parlare senza vergogna di capitalismo Per il resto della vita il brodo primordiale dello sfruttamento Ora ci sono 20 gradi nel deserto Non conoscevamo Lalternativa SOLE O CARRIERA Perch cera lavoro per tutti Lagerfeld nemmen o Lo stilista sulla sua collina a Marrakech LA MIA VITA LHO PASSATA TUTTA A FUGGIRE LA REALTA NON SONO POI CIECO SO QUEL CHE SUCCEDE ORRIBILE MA NON LO GUARDO MI GODO IL LUSSO DI ESSERE IL CENTRO DEL MIO MONDO PENSARE PROPRIO QUEL CHE EVITO NON VOGLIO ESSERE LA MIA VITTIMA E QUELLA DEGLI ALTRI IO SONO IL RISULTATO DI QUEL CHE DECIDO DI ESSERE Dice tormentato da depressioni e ragazzi di vita I bengalesi in vesti leggere Abbandonati nellinverno tedesco PROFUGHI DELLECONOMIA E nessun brindisi di gala a Knigs Wusterhausen Sui giornali con le dita dei piedi amputate La lebbra che prospera NEL NULLA DELLE PERIFERIE Ho detto sfruttamento si dice emarginazione SENZA VERGOGNA per le armi semantiche della sinistra Mi godo il lusso, la linea di confine ... ecc. Bandiere naziste al Berliner Ensemble NOVANTA SOFFIATI DAL VENTO Il RAPPORTO DISTESO con la storia tedesca Goldstcker il profugo di Praga, quando la primavera Venne travolta dai carri armati Torna a casa riabilitato dallautunno Dopo ventanni di cure t ermali a Brighton Quando le stagioni passano di moda: Ora possiede una casa in esilio A Praga-Barrandov, quartiere del socialismo Nei colori sfaldati della Repubblica Ceca Il suo volto umano la smorfia del capitalismo DOPO OGNI LIBERAZIONE LATTRAVERSAME NTO DEL DESERTO Deriso dai carrieristi sedentari Nel sole freddo della democrazia Lo vedo rimuginare sul testo decifrato di Kafka Dopo la sua terza metamorfosi in un criminale 147

La prima fu un incidente sul lavoro UN APPARECCHIO CURIOSO Legge Goldstcker Ero un suo sostenitore Ci troviamo da qualche parte nel deserto alle porte di Vienna Lho adoperato Stava per troppo in alto Durante la pulizia e fin negli ingranaggi COLPEVOLE ride OGNUNO FUOR DI DUBBIO COLPEVOLE Non conosceva per la condanna Non aveva letto la Colonia penale ABBIAMO UN GIOCATTOLO PER LEI PROFESSORE Tirarono fuori qualcosa come giganteschi occhiali Con una montatura da infilare sul capo LEI PROBABILMENTE SA DOVE LA PORTIAMO MA LE REGOLE SONO REGOLE Da allora Stavo nel buio e mi accorsi del mondo Correva lanno 51 e si gridava Slawa Stalino Mi fecero comparire, e cantilenai la mia parte Slnski sapeva che era la fine Perch, Goldstcker, questo naturalismo Il filologo IN FUNZIONE MORTIFERA CI ERAVAMO ABITUATI A TROVARE LA VERITA DALLA NOSTRA PARTE Quella che la macchina Scrive sulla pelle paziente Dopo la grazia mastic riforme Un agrimensore che entra ed esce dal castello PER NON APPROFONDIRE IL SOLCO TRA DIRIGENZA E POPOLO Tentai di spiegare a queste teste calde Che era prematuro parlare di primavera Il convegno su Kafka la sua vendetta su Stalin PER UN REALISMO SENZA PARAOCCHI Gysi ministro e stercorario ufficiale Smascher la metamorfosi di Gregor Samsa In un sostenitore dellOccidente VOGLIONO SOSTITUIRE IL PUGNO DI FAUST CON UN DITINO MALATO A Weimar la citt dei classici con forno crematorio NE...NESSUNA RONDINE DI UNA NUOVA balbett Kurella PRIMAVERA UN PIPISTRELLO Mentre la primavera Veniva travolta dai carri armati E Goldstcker ancora una volta criminale Lettura tetra NON FACILE LEGGERE LO SCRITTO LO DECIFRI CON LE TUE FERITE Forse aiuta la terapia dellesilio nella stazione termale di Brighton Il discorso di Dubcek, lunghe pause, interruzioni Il suo respiro pesante quando dice NORMALIZZAZIONE Il nostro secolo strano, scrive Mickel, 60 anni A Mayer, 90, che somiglia al XVI Ha visto inizio e fine di una Rivoluzione pensata in grande Assistevo disarmato Dopo la campagna in Boemia All'esecuzione delle mie idee 148

Nel Teatro Nazionale gremito Quando la Storia aveva ancora senso Nonsenso Ora Ci sono 30 gradi sulla piazza Venceslao Goldstcker arrotato dalla verit Nelle ferite NON CALLIGRAFIA PER SCOLARETTI NON DEVE CERTO UCCIDERE SUBITO Dopo la terza metamorfosi nel criminale Che fece storia Nel vincitore Della storia che si volatilizzata ancora un sostenitore di questo apparecchio Perch, Goldstcker LUNIFORME DAVVERO TROPPO PESANTE PER IL DESERTO CERTO dice MA SIGNIFICA LA PATRIA Si volge verso la macchina E si distende da esperto sotto gli erpici E mette in moto lingranaggi o Nel deserto che la storia Per leggere la sentenza sul suo corpo IO CREDEVO MA LERPICE NON SCRIVE PERFORA SOLTANTO E VIBRANDO SOLLEVA IL CORPO EVIDENTEMENTE LA MACCHINA VA IN PEZZI COME STATO NELLA VITA NESSUN SEGNO DI REDENZIONE DA SCOPRIRE IL PUNTERUOLO DACCIAIO TRAPASSA LA FRONTE

(*) Sulla sua collina a Marrakech siede invece Saint Laurent. Goldstcker: Eduard G., intellettuale cecoslovacco. Il testo di Kafka Nella colonia penale risale al 1914; Kafka si giustific con il suo editore: A spiegazione di questultimo racconto aggiungo che non solo esso penoso, ma piuttosto ed era alquanto penosa l'epoca comune a noi tutti e a me in special modo, e la mia epoca penosa persino da pi tempo ancora.

[Da Tumulus, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1999. Versione italiana di Enrico Donaggio e Peter Kammerer]

Notizia. Una notizia bibliografica completa sullautore leggibile su: http://en.wikipedia.org/wiki/Volker_Braun.

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LINA DE FEIRA Il primo componimento che ho scelto di tradurre anche quello che apre il libro, che raccoglie poesie scritte tra il 1967 e il 1987, si divide in sei sezioni, e si apre con unintroduzione di Jos Prats Sariol, scritta a la Habana e datata marzo 1987. Lo st esso Prats Sariol fa notare lintenzionale omissione delle maiuscole e della punteggiatura da parte dellautrice, che permette al lettore di cercare nella sua voce il ritmo interno in ogni sequenza, e che da forma ad un universo e ad un dedalo di identit in ogni angolo retto dei propri versi e in ogni immagine. Assolutamente estranea alle avanguardie, le sue opere, da Casa que no exista (che le fece vincere il premio David nel 1967) in poi, tendono verso forme classiche proprie della poesia cubana, vi si leggono anche echi di Nicols Guilln e di Jos Mart. De Feira ci presenta comunque una Cuba fatta di esterni in camera lenta e sorprendenti itinerari interni narrati con la semplicit del paesaggio riflesso nel Malecn. La poetessa cubana Lina de Feira nasce a Santiago di Cuba (1945). Qui presento una traduzione inedita delle sue poesie reliquia de carretera, no est en los animales, las cosas transparentes, Indio e no hemos vivido que en el envs. *La traduttrice ringrazia la poetessa per aver gentilmente concesso a lei e a lUlisse il permesso di presentare le sue composizioni nella versione italiana. Annelisa Addolorato

RELIQUIA STRADALE nellalbero stagionato la caduta frondosa le misurate erbacce di settembre le ali ocra dellinsetto volante che colpiscono la rugosa solitudine parassita lavida formica che elabora miti sul tempo e la trasformazione delle ossa umane e intorno a loro il cane che cerca le radici adatte a una lenta stanchezza la frutta acida che dimora sulla terra spaccata dalla secca e la minima impercettibile ombra che in passato mi ha protetto estendendosi, terribilmente affaticata, come grigia falda nel precipizio mentre la memoria sbadiglia.

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* NON NEGLI ANIMALI Non negli animali il segno la doppiezza delle acque sembra completare lacrostico della vita fluisco con i miei antenati mentre larcobaleno danza sul freddo degli eschimesi povero oblio dellorgano per preparare la morte simile. In ogni impronta digitale il tempo nomina il suo accento e la sua spaventosa violenza sui fiori vergini. mi rimangono poche storie da raccontare con verosimiglianza. trasgredite le barriere della pelle e del sangue mio nonno continua a perdonarmi la trasgressivit perch sono tanto brava con i cruciverba. ho trovato la parola pi complessa della vita e solo il sole Il patetico sole che filtra nuvole e nemici premia la mia fronte frustrata da grandine e pioppi silenziosi.

* LE COSE TRASPARENTI le cose trasparenti i saggi pi chiari della mia vita. mia sorella per esempio che come diogene con la sua lampada e il resto. e giovanni senza terra che si avventurava per trovare la parte corruttibile del mio cuore per proteggerlo dalle comuni bestie rapaci. e il critico censore quel bel tipo che donava alla mia vita impiccagioni e frustate affinch nessuno mi facesse temere luragano dalla mano secca del colpo. rifaccio il conto: quando lamore e la citt diventano difficili al punto che non c rivelazione ma piuttosto opposizione a tutte le muraglie questo lunico credito che mi resta 151

i miei tre oggetti (come nessun altro) davvero memorabili.

* INDIO I la prima favola. nelle sue mani largilla si muoveva come corpo duomo e aveva il sorriso delluccello marino e la fronte oppressa dai pesci ingenui alimentava percussione e magia con le pietre di costa e i granchi transumanti. e questo indio del Nuovo Mondo dicono che gettasse il bastone del raccolto come se attraversasse la nuca della terra e il seme cadesse, come trappola. e se rimaneva tempo gli piaceva fare lo sciocco tra la luna e la notte e lodore delloceano vicino alla conquista. fino al momento della violenza e le stelle smisero di essere cadenti quando discesero il cardinale e suo figlio dalla vela tumultuosa. e prendendo largilla vergine per il bordo caldo spezzarono lo stampo della storia e diedero lezioni dal vivo sullarte di moltiplicare il fuoco. e perch lindio fosse la prima terra di dolore del futuro contadino della patria obbligarono a schiacciargli le ossa perch neppure perch neppure il vento perch neppure il vento li portasse perch neppure il vento li portasse ai mari vicini. II Hai chiesto dellindio che aspirava tabacco nelle mie narici attraverso la voragine dellalbero della morte? 152

pensa alla vita del grande Toa. e lacqua come fluisce nel muschio piegato da pietra criminale: questo il tetto dellindio. Oh, tu re delle spedizioni che devi imparare a ridere come un uomo che aspetta il dorso dello specchio. sotto lacqua c lindio: guarda la pietra affilata nota la fronte del cadavere raccogli il cuore doro.

* SIAMO SOLO CRESCIUTI AL CONTRARIO siamo solo cresciuti al contrario con lossessione di vedere laltro lato della luna abbiamo inventato la nostra vita a quella latitudine e adesso accade come sempre: il nostro mare nostrum ci consuma. dallequilibrio della terra emerge il nostro cordone ombelicale e rimangono indietro il mar dei sargassi e le citt. Liv Ullman divide la sua bellezza per negare il silenzio mentre i bestiari continuano a morire a causa di unincontenibile eredit. il capo di Caupolicn (*) un madrigale che ordisce il fuoco e ogni lamento duomo che vaga nel sogno. come i fal vichinghi sulla riva della costa alza il mio amore e il mio annichilimento sui miei simili perch la barbarie si pu trovare nel petalo pi oscuro e nessuno prevede gli orrendi crimini nella sua borsa di sangue corpulento ma sempre il cavallo alato si alimenta derba protetta e incandescente.
(*) Capo mapuche, peruviano.

[Traduzioni di Annelisa Addolorato. Poesie tratte dallantologia poetica A mansalva de los aos, La Habana 1990.] 153

JOZEFINA DAUTBEGOVIC

SELIDBA (IL TRASLOCO) Od mene se oekuje strana odluka napraviti red baciti viak stvari prilikom seljenja Biti ona koja e ih imenovati jednu po jednu (Ne mogu se oteti dojmu kako se tako vjeba izdaja) Moram uprijeti prstom uzeti svojom rukom i odstraniti Sretnu suknju u kojoj sam ila zubaru i ginekologu cipele koje su same znale put do kue jednu zavjesu iza koje smo bili tako dobro zatieni od radoznalih svjetiljaka Tvoj dotrajali demper marke Pierre Cardin to si kao izbjeglica dobio preko Crvenog kria na dar zajedno s pismom punim dobrih elja od jedne francuske obitelji koja se (kako delikatno) nije htjela potpisati da te ne obvee zahvalnou Kako je strano biti onaj koji upire prstom Onda poslije gledati kako radnici Gradske istoe odvoze sve uspomene melju ih zajedno s tuima i stavljaju u javnu spalionicu iznad koje e se nekoliko trenutaka kasnije vinuti u zrak siv stup dima (na to li me to podsjea) Due naih stvari padat e ponovno na nas u obliku gradskog smoga Donosim smrtnu presudu Osjeam se kao delat Ne znam bi li to pomoglo da preko lica navuem crnu kapuljau kao i ostale ubojice kako me stvari ne bi prepoznale.

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IL TRASLOCO Da me ci si aspetta una decisione tremenda fare ordine buttar via le cose superflue al momento del trasloco Essere quella che le chiamer per nome una dopo laltra (Non riesco a sottrarmi allimpressione che in questo modo si compia un tradimento) Devo puntare il dito afferrare con la mano e mettere da parte Quella gonna fortunata con la quale andavo dal dentista e dal ginecologo quelle scarpe che da sole conoscevano la strada fino a casa la tenda dietro la quale eravamo protetti cos bene dai lampioni curiosi Quel tuo consumato maglione Pierre Cardin che da profugo hai ricevuto in dono dalla Croce rossa insieme alla lettera piena di buoni auguri da parte di una famiglia francese che non ha voluto (che delicatezza) firmarsi per non obbligarti alla gratitudine Com tremendo essere colui che indica col dito Poi guardare come gli operai della nettezza urbana portano via tutti i ricordi li macinano insieme a quelli degli altri e li portano allinceneritore sopra il quale qualche attimo pi tardi si alzer una colonna grigia di fumo (cosa mi ricorda tutto questo?) Le anime dei nostri oggetti ricadranno su di noi sotto forma di smog urbano Emetto condanne a morte Mi sento come un boia Non so se sarebbe daiuto mettermi in testa un cappuccio nero come gli altri assassini affinch gli oggetti non mi riconoscano.

* NA GRANINOM PRIJELAZU (AL VALICO DI FRONTIE RIA) Lipanj je a ve je vrue Kolona se smotala kao zmija na suncu i pravi se mrtva 155

Izmeu mene i druge strane isprijeila se rijeka eljezni most carina i jo kojeta ali to drugo je samo u mojoj glavi Vraam se iz domovine a ne znam ni zato sam ila Stalno mi se ini kako moram makar povremeno provjeriti je li sve onako kako sam ostavila Neobino drvo u gradskom parku rascijepljeno na dvoje koje procvjeta ljubiastim grozdovima im uje da sam doputovala Sve sam vieno pospremila Za puste dane koji su neizbjeni Glavom naslonjena na prljavo staklo ekam strpljivo jer mi nita drugo ne preostaje Cariniku sam sumnjiva to nosite pita i gleda me duboko u oi usporeujui moju lijepu fotografiju i prazno lice Ispod lagane haljine nemam skoro nita ako izuzmem malo sala koje mi se godinama taloilo oko struka dok sam ekala da zaivi Daytonski mirovni sporazum Nosite li neto nedoputeno pita glasom koji ne trpi odlaganje nosim kaem ali nije za carinjenje O tome ja odluujem govori i drugom rukom nervozno kucka po mojim ispravama Pokazujem mu nebo iznad nas vunaste i mirne nebeske ovice na plavoj podlozi modru crtu brda to se itavim putem namjerno vue meni iza lea da mi pojaa grinju i onaj osjeaj koji iseljenici zovu lijepim imenom nostalgija Najsumnjivije su ove klimakterine babe govori odlazei u metalnu kuicu jer mu je za razliku od Sizifa stigla smjena.

AL VALICO DI FRONTIERA giugno ma fa gi caldo La colonna si arrotolata come una serpe al sole che fa finta di essere morta tra me e laltro lato si frapposto il fiume il ponte di ferro la dogana e chiss cosaltro ancora che soltanto nella mia testa

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Sono stata nella mia patria ma non so nemmeno perch ci sono andata mi sembra sempre di dover almeno ogni tanto controllare se tutto cos come lho lasciato Quellinsolito albero nel parco cittadino spaccato in due che fiorisce a grappoli viola appena sente che sono arrivata Tutto quello che ho visto lho messo da parte per le giornate deserte che sono inevitabili Con la testa appoggiata al vetro sporco aspetto paziente perch non mi rimane nientaltro Al doganiere sono sospetta Che cosa sta portando mi chiede e mi guarda dritto negli occhi confrontando la bella fotografia e il viso vuoto Sotto il vestito leggero non ho quasi niente eccetto un podi ciccia che negli anni mi si depositata sui fianchi mentre aspettavo che venisse siglato laccordo di pace di Dayton Sta portando qualcosa di vietato mi chiede con una voce che non tollera obiezioni certamente gli dico ma non da tassare Di quello decido io dice e con laltra mano batte nervosamente sui miei documenti Gli mostro il cielo sopra di noi lanose calme pecorelle celesti su fondo azzurro la linea blu delle montagne si trascina apposta per me lungo tutta la strada alle mie spalle per rendere pi intenso il mio tormento e quella emozione che gli emigrati chiamano con il bel nome di nostalgia Sono le pi sospette queste vecchie in menopausa dice andando nella casetta di metallo perch a differenza di Sisifo gli arrivato il cambio.

* KUPOPRODAJA (LA COMPRAVENDITA) Ja prodajem kuu sa svime onime to se pod kuom podrazumijeva Ti kupuje samo krov nad glavom Ja prodajem tavan pun golubova i snopova svjetla koje se ispod crjepova provlae u utim trakama ti kupuje prostor pogodan za suvine stvari Ja prodajem sve veere s prijateljima njihove zvonke glasove Ti kupuje dovoljno kvadrata da moe smjestiti 157

moderno dizajniranu talijansku kuhinju Ja prodajem pogled na ljubiasta brda i trideset godina sunevih izlazaka pomnoeno s 365 dana u godini ne raunajui prestupne ti kupuje prozor okrenut istoku Ja prodajem mjeseevo mlijeko njegovo taljeno srebro proliveno po susjednim krovovima Ti kupuje samo natkriven balkon pogodan za suenje rublja O spavaoj sobi neu govoriti iz pristojnosti A mogu lako pretpostaviti to bi ti kupio Prodajem takoer nervozne zvukove svojih potpetica koje su ile tamo - ovamo tamo - ovamo gore - dolje dolje - gore dok sam ekala njegove korake uz stepenice u sobi za dnevni boravak Ti kupuje dobro ouvan parket od hrastovine i pita me koliko kotaju uspomene po kvadratnom metru?

LA COMPRAVENDITA Io vendo la casa con tutto quello che per casa si intende Tu compri solo un tetto sopra la testa Io vendo la soffitta piena di piccioni e fasci di luce che a strisce gialle si insinuano tra le tegole tu compri uno spazio adatto per gli oggetti superflui Io vendo tutte le cene con gli amici le loro voci sonore Tu compri abbastanza metri quadri dove poter sistemare una cucina italiana dal design moderno Io vendo la vista sulle colline viola e trentanni di raggi di sole moltiplicati per 365 giorni allanno senza contare quelli bisestili tu compri una finestra rivolta a est Io vendo latte di luna il suo argento fuso versato sui tetti dei vicini Tu compri soltanto una veranda adatta per asciugare i panni

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Della camera da letto non voglio parlare per educazione Ma posso facilmente supporre quello che tu compreresti Vendo anche il suono nervoso dei miei tacchi che andavano avanti e indietro avanti e indietro su e gi gi e su mentre aspettavo i suoi passi per le scale nel soggiorno Tu compri il parquet di quercia ben conservato e mi chiedi quanto costano i ricordi a metro quadro? [Da Il tempo degli spaventapasseri. Traduzione di Neval Berber.]

Notizia. Jozefina (Krajnovi) Dautbegovi nata nel 1948 a unjari nei pressi della citt di Derventa (Bosnia Erzegovina). Ha conseguito una laurea in lettere e storia a Slavonski Brod (Croazia). Fino allinizio della guerra vissuta e ha lavorato a Doboj (Bosnia-Erzegovina). Ha diretto la casa editrice Druga svjetlost ed stata redattrice della rivista culturale Znaenja. Allo scoppio della guerra, nel 1992, fuggita in Croazia dove tuttora vive. Attualmente lavora come archivista presso il Centro di documentazione museale, per il quale, tra 1996 e 2000, ha diretto la rivista specialistica Informatica Museologica. Scrive poesia e prosa e collabora con numerose riviste letterarie e giornali. Ha vinto diversi premi letterari. Le sue opere sono state incluse in varie antologie in Croazia e allestero. I suoi lavori sono stati tradotti in inglese, francese, tedesco, polacco, svedese, sloveno, macedone e italiano. Fa parte dello Hrvatsko drutvo pisaca (Societ croata degli scr ittori), del Centro P.E.N. in Croazia e del Drutvo pisaca B i H (Societ degli scrittori della Bosnia -Erzegovina). Pubblicazioni: emerike, poesie, Druga svjetlost, Doboj 1979. Druga Svjetlost, coautrice dellantologia del circolo letterario di Doboj , Doboj 1984. Uznesenje, poesie, Druga svjetlost, Doboj 1985. Od Rima do Kapue, poesie, Druga svjetlost, Doboj 1990. Ruak s Poncijem, poesie, Meandar, Zagreb 1994. Prizori s podnog mozaika, poesie, Hrvatska sveuilina naklada, Zagreb 1997. Boja televizija, poesie, Drutvo hrvatskih knjievnika, Zagreb 2001. Vrijeme vrtnih straila, poesie, Buybook, Sarajevo 2004. Razliite ljubavi, raccolta di poesie, Konzor, Zagreb 2004. ovjek koji je kupovao kuu , racconti, Profil, Zagreb 2006.

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MICHAEL KRGER

MEDITAZIONI A CIELO APERTO Osservare pur sempre qualcosa, ma non sufficiente J.H.Fabre 1 Il chiarore finalmente disposto ad aprirsi alloscurit, come comanda una meccanica superiore. Dal bosco mi giunge la tosse secca dei caprioli, nel crepuscolo bronzeo si sciolgono gli ultimi legami. Non ci sono regole cui potersi attenere, ecco il messaggio che viene dalla furia del tempo. Sopra di me, nel cielo dinfanzia, un elicottero, o guerra o archeologia, fa lo stesso. Una volta qui era abitato: a volte nelloscurit salta ancor fuori qualcuno dal bosco con le sue antiche ossa scricchiolanti. Il terreno ha accumulato calore. Il ricordo procede a salti per non scottarsi i piedi. 2 Quando il papavero scolora e la lavanda sfuma nellincerto, quando la societ segreta delle talpe ha un raduno e la venerabile scienza del contraddire cede al bisogno di riposo, quando allangelo custode della soglia sfugge di mano la spada arrugginita, quando il coro delle api lascia il giardino per arrivare puntuale alla prova, quando i grandi illuministi nel mio libro smettono le barbe e diventano misantropi speranzosi nella luce delle lucciole ecco che io, troppo stanco per meditare ancora sulla natura del male, mi metto a guardare i pipistrelli che leggono la mano alla notte che si sottrae pudica e nulla svelano sul suo futuro. 4 Al piede del colle che la mia casa 160

passano le antiche vie del pane e dei grani traverso campi girasoli soia frumento, e ai margini cespi di rose, al crocicchio, perch i pellegrini per vie traverse trovino la via di ritorno dalla galera della fede. Niente qui deve accadere, qui ci sono: nuvole allorizzonte come un bagaglio smarrito, lolivo che grava sul muro, assediato dalla cava che ricorda lacanto, e ovunque si fa esercizio per smetterla coi lamenti. A mezzod il mondo vuoto. Non parla. Non vuol dire pi niente. Si prepara in silenzio alla sua metamorfosi. 5 Poco fa stavamo ridenti sotto i candelabri dei pini ammirando largento del gelo che veste i rami, ed ecco improvvisa la nebbia. Sempre pi incompleto era adesso il cielo, ai nostri occhi le immagini si fondevano. Come fumo era latmosfera, impenetrabile e soffice. Noi fermi, impiantati, ad aspettare il giudizio. 6 Il quotidiano gioco dei falchi della torre, una visione che si forma e distrugge nellinterspazio daria fra le acque, che si forma e distrugge. Abbracciare anche loro, catturare con legoistico filo della traiettoria un mondo che va sempre pi lontano. Agostino ride. Io vivo in tre mondi: in questo, allombra del gelso; nel mondo dei miei pensieri (it was the world in which I walked) e nel mondo dei libri in cui leggo ci che accadeva quando per breve tempo io conducevo la vita di un uccello. 7 Cento volte esegue il rigogolo la sciagura della maestria. Poi chiss dove si precipita, un frego giallo nelluniverso, che mai pi guarisce.

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8 La natura, abbiate pazienza, scrive una poesia: con la rima caccia alla lepre un tremito di paura sotto il pelo, e infine le regala come tana una notte. Un tempaccio. La pioggia parla da folle, i lampi danno enjambements perfetti. La poesia venuta non male. La richiedono per raccolte e antologie di vecchio stile. Se non c altri a prendere la parola o a richiamare a s, si pu recitare sotto voce. Usa parole semplici, lepre, gufo, poligono, temporale, olmo, io. (Ma anche la natura come poetessa ha dovuto fare lesperienza che le sue parole semplici conducevano vita propria e spesso dicevano ci che a lei, la natura, andava contro pelo). 12 Notturno. Alto sullorizzonte un uccello. Vede la lepre volare traverso il prato, il tempo taglia la corda. Un topo fra le erbacce immortali. Vede ogni formica, la mobile somma dellinsonnia. Vede uccelli pi piccoli il cui chiasso tiene desti i muri. Vede anche noi, animali distinti in posizione eretta cui sta a cuore la verit. Vede che spalanchiamo la bocca. Un discorso non si pu pi fare. 13 Il temporale ci sbatte le ciliegie nellerba, la loro ineffabile dolcezza. La mattina un giorno di ardesia, gradazioni di grigio che mostrano la pelle delle cose in unaltra luce. Tempo per passare nellaltro tempo. A mezzogiorno in cortile il cinema dombre, anche il mio pugno in gioco. E i passeri, parole alate, preparano in letizia il discorso funebre sullestate che se ne sta andando. Se non ci fosse, prima di sera, la monotona liturgia della pioggia, si potrebbe perdere la fede. 162

14 Basse volano le rondini. In alto, dove i falchi esercitano il cerchio perfetto, non c pi niente da cavare. Un bambino dice: una volta vorrei vedere Dio in piccolo, e incrocia due dita. 15 Non abbiamo pi nulla da imparare, ecco il risultato di un congresso dallaltra parte del mondo. Nessuno sapeva se rattristarsene, lavevano tutti previsto. Rondini, esili come aghi di bussola, restano per giorni nellaria. Noi falliamo in tutto, o quasi. Non possiamo impedire che il fiume porti la luce verso la foce, e di notte su occhi e bocca ci sbattono insetti se stiamo l sgomenti nella notte dallaltra parte della veglia. Grazie a Dio abbiamo solo una pallida idea di ci che siamo. Sarebbe la fine.

PARLA IL SATURNINO Ogni porta della mia casa, laperta e la nascosta, solo un transito verso il lutto. La mia tristezza dimora con me nei locali oscurati, gatto artritico e pappagallo pressoch calvo che predica in dodici lingue strane il Cantico dei cantici dellinanit. Quanto a me parlo poco e di rado mi sposto, lorecchio mi pi prossimo della lingua cos incline a tradire. Quanto durata la Grecia, la Grecia antica, e Roma? Quando si scioglieranno i poli? Ho mai amato? Non lo so pi. Il ricordo indossa un manto tempestato di stelle che copre tutto, anche lamore. [Da Unter freiem Rimmel, Suhrkamp Frankfurt am Mail, 2007. Traduzione di Anna Maria Carpi.] 163

Notizia. Michael Krger poeta, saggista e narrat ore. Vive a Monaco dove dirige la casa editrice Hanser e la rivista Akzente. Della sua trentennale produzione in prosa sono usciti in Italia Perch Pechino (Torino 1987), La violoncellista (Torino 2002), La commedia torinese (Torino 2007), mentre la sua poesia presente da noi nelle due antologie Di notte gli alberi (Roma 2002) e Poco prima del temporale (Milano 2005). Una pi ampia scelta (1976-98) data in tedesco da Archive des Zweifels, Francoforte 2001. Queste poesie appartengono allultima raccolt a Unter freiem Rimmel, Francoforte 2007.

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RICARDO MENNDEZ SALMN

CONTINENTE Y CONTENIDO Es verdad que basta un humilde cuenco de barro para contener el llanto de toda una vida. Pero quin se atrevera a beber tanta pena.

CONTENENTE E CONTENUTO vero che basta unumile ciotola di fango per contenere il pianto di tutta una vita. Per chi si azzarderebbe a bere tanta pena.

* UN AMOR IMPOSIBLE Una vez am a una mujer que hablaba otro idioma. No nos separaron el tedio, la distancia ni los heraldos del tiempo. Fue culpa de las palabras. Porque en su lengua la muerte era el muerte y el sol era la sol, aunque el golpe de gracia, como siempre, nos lo dio la vida, que tena gnero neutro. UN AMORE IMPOSSIBILE Una volta ho amato una donna che parlava unaltra lingua. Non ci separarono il tedio, la distanza n gli araldi del tempo. Fu colpa delle parole. Perch nella sua lingua la morte era il morte e il sole era la sole, anche se il colpo di grazia, come sempre, ce lo diede la vita, che aveva genere neutro.

* COSAS QUE HE ROBADO PARA TI El verde de la paleta de Velzquez. Los brazos de la Venus de Milo. Lo que Homero (por pudor o decepcin) [se call de Penlope. El libro II de la Potica de Aristteles. El ltimo mordisco de Bela Lugosi. Uno de los ojos de Ana de Mendoza, [princesa de boli. El corazn de las tinieblas. La solucin a la cuadratura del crculo. El secreto de Cagliostro. Las huellas de Neil Armstrong, all lejos, [donde la Luna. COSE CHE HO RUBATO PER TE Il verde della tavolozza di Velzquez. Le braccia della Venere di Milo. Ci che Omero (per pudore o delusione) [tacque di Penelope. Il Libro II della Poetica di Aristotele. Lultimo morso di Bela Lugosi. Uno degli occhi di Ana de Mendoza, [principessa di Eboli. Il cuore delle tenebre. La soluzione della quadratura del cerchio. Il segreto di Cagliostro. Le impronte di Neil Armstrong, laggi, [sulla luna. 165

Lo que Miguel ngel soaba al contemplar [bloques de mrmol. Las fuentes del Nilo. Las tijeras de Dalila. Gotas de Chanel n. 5 en el escote de Marilyn.

Ci che Michelangelo sognava contemplando [blocchi di marmo. Le sorgenti del Nilo. Le forbici di Dalila. Gocce di Chanel n 5 sulla scollatura di [Marylin. La partida de nacimiento de Leopold Bloom. Il certificato di nascita di Leopold Bloom. Los versos que Rimbaud concibi en Abisinia. I versi che Rimbaud concep in Abissinia. Los pulmones de John Coltrane. I polmoni di John Coltrane. Las medidas de Afrodita. Le misure d Afrodite. Lo que Sancho no se atrevi a escribir de Don Ci che Sancho non os scrivere di Don [Quijote. [Chisciotte. El cigarro que Ernesto Guevara no pudo fumar Il sigaro che Ernesto Guevara non pot fumare [en Bolivia. [in Bolivia. Todos los relojes, Tutti gli orologi, cada minuto, ogni minuto, la tirana del Tiempo. la tirannia del Tempo.

* LUCES DE SIRIO Todo cuanto sucede en el tiempo provoca nostalgia. De las estrellas, apenas si vemos otra cosa que viejas fotografas LUCI DI SIRIO Tutto quanto accade nel tempo provoca nostalgia. Delle stelle, quasi non vediamo altro che vecchie fotografie.

* DIE ABWESENHEIT Henos aqu, sufriendo de penelopismo en silencio, intercambiando prpados y dientes que antao fueron armas para el amor y hoy slo son paraguas contra el miedo. Henos aqu, gozosos de vocear cierta marchita carnalidad, felices de incorporar un misterio para devolver un secreto. Y, sin embargo, como frescos en una pared, nos agrietamos y llenamos de moho, aunque jams lleguemos a despegarnos. Reda de primavera, la noche duele en cada sombra que el planeta acuesta bajo el imperio del sueo. DIE ABWESENHEIT Eccoci qui, a soffrire di penelopismo in silenzio, a scambiarci palpebre e denti che un tempo furono armi damore e oggi sono solo ombrelli contro la paura. Eccoci qui, entusiasti di gridare una certa sfiorita carnalit, felici di contenere un mistero per diffondere un segreto. E, tuttavia, come affreschi su un muro, ci crepiamo e riempiamo di muffa, anche se mai arriviamo al punto di staccarci. Riso di primavera, la notte duole in ogni ombra che il pianeta corica sotto limpero del sogno. 166

No toda infelicidad merece respeto. lamos y rosas, carne de doncella sobre el roco.

Non qualsiasi infelicit merita rispetto. Pioppi e rose, carne di damigella sopra la [rugiada. El aire jadea una estacin oculta Laria ansima una stagione occulta mientras se anuncia la primera cosecha mentre si annuncia il primo raccolto de la eternidad. delleternit. Cuando el hombre, a travs de sus trabajos y [das, ha buscado lo ms difcil, obstinadamente, hueso contra piedra, sabe que en la hora de su triunfo no ver las estrellas como en los almanaques de la niez, sino que admirar su huella en el teatro de lo inconmovible. Y as, circundado de miseria, cuntas veces, al ladearse para esquivar el aliento de la burda materia, habr logrado respirar la fragancia de los arquetipos. S, la memoria se traga antes el cuerpo que el [nombre. Los smbolos de la vida verdadera son los smbolos de la vida perdurable: nios, meteoros, panteones. Por eso debemos ofrecer a la fatalidad nuestro mejor costado, sin astucias ni escrpulo, como quien tiende una naranja a un mendigo. Termino ya. Esta ausencia lo llena todo. La paradoja es su reino, su anatoma, su encarnadura. Sentados junto a ella, a orillas de su destino, nos avergonzamos como homicidas ante la orfandad de una criatura. Poco importa. Ajena a la horma del asombro humano, despus nos regalar las cosas ms calladas y [tristes. Y no existir consuelo alguno. Quando luomo, attraverso le sue opere e [giorni, ha cercato limpresa pi ardua, ostinatamente, osso contro pietra, sa che allora del suo trionfo non vedr le stelle come negli almanacchi dellinfanzia, ma ammirer invece la sua orma nel teatro dellimmutabile. E cos, circondato di miseria, quante volte, spostandosi per schivare il respiro della bruta materia, sar riuscito a respirare la fragranza degli archetipi. S, la memoria inghiotte prima il corpo che il [nome. I simboli della vita vera sono i simboli della vita perpetua: bambini, meteore, panteon. Per questo dobbiamo offrire alla fatalit il nostro miglior costato, senza astuzie n scrupolo, come chi tende unarancia a un mendicante. Concludo. Questa assenza riempie tutto. Il paradosso il suo regno, la sua anatomia, la sua incarnitura. Seduti accanto ad essa,sulla riva del suo destino, ci vergognamo come assassini davanti allorfanit di una creatura. Poco importa. Aliena alla forma dellumano stupore, dopo ci regaler le cose pi silenti e tristi. E non esister consolazione alcuna.

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* TRES INSTANTES EN ITALIA I. Cierta tarde, en los Ufizzi, susurraste: Los ojos de las estatuas son manantiales sellados. II. Otra vez, ante el palacio Grassi, me dijiste: Viv la infancia mirando al ro. Todo, a orillas del Arno, lo conoc al revs. Ver en pie este palacio, es como asomarse al espejismo de mi niez. TRE ISTANTI IN ITALIA I. Un pomeriggio, agli Uffizi, sussurrasti: Gli occhi delle statue sono sorgenti sigillate. II. Unaltra volta, davanti a Palazzo Grassi, mi [dicesti: Ho vissuto linfanzia guardando al fiume. Tutto, sulle sponde dellArno, lho conosciuto al contrario. Vedere in piedi questo palazzo, come sporgersi sul miraggio della mia [infanzia. III. Lultima notte, prima di andartene, scrivesti su un vecchio numero del [Corriere della Sera: Le termiti sono i giorni; la fede nellamore, un pezzo di legno.

III. La ltima noche, antes de marcharte, escribiste sobre un nmero atrasado del [Corriere della Sera: Las termitas son los das; la fe en el amor, un pedazo de madera.

* EDAD Mis manos nacieron desnudas y secas, despojadas de verdad, dos pginas en blanco. La edad las ha ido poblando de palabras y surcos, lecciones impuestas o aprendidas con agrado, frgiles tientos de rapsoda. Algn da, cuando viejo, mis nietos se dejarn acariciar por ellas, y sospecho que llevarn en el pelo toda la belleza del mundo. ET Le mie mani nacquero nude e secche, spogliate di verit, due pagine in bianco. Let le ha popolate poco a poco di parole e di solchi, lezioni imposte o apprese con piacere, fragili tocchi di rapsoda. Un giorno, da vecchio, i miei nipoti si lasceranno accarezzare da esse, e sospetto che porteranno nei capelli tutta la bellezza del mondo.

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* KINDERTOTENLIEDER I. No supimos que eras un ngel hasta que seguiste flotando en la memoria una vez tu sangre se hubo evaporado. II. Los nios que mueren sin ver el mar. Los nios que mueren antes de que sus dientes florezcan. Los nios que mueren sin pronunciar palabra alguna. Los nios que pasan del blando prlogo de la placenta al negro eplogo de la tierra sin leer lo que estaba escrito en el libro. III. Yace mi hijo en tierra como yaciera Patroclo a los pies de Aquiles: florecido, hermoso, fluvial pero derrumbado. No tengo aqu escudo con el que combatir, Troya sobre la que derramar mi ira o dioses a los que maldecir. Slo vergenza de seguir vivo. IV. Algunos pueblos entierran a sus nios con bolos de plata en los prpados y espliego bajo la lengua, para que paguen a su cicerone en el otro mundo y esparzan en derredor suyo un rico aroma a verano. Nosotros los escondemos en cofres sellados, sepulcros hermticos, fatdicas catedrales de silencio desde donde llorarlos sin que ellos nos oigan ni vean. Qu humillacin siento ante tan horribles casas. KINDERTOTENLIEDER I. Non abbiamo saputo che eri un angelo finch non hai continuato a galleggiare nella [memoria una volta che il tuo sangue era evaporato. II. I bambini che muoiono senza vedere il mare. I bambini che muoiono prima che i loro denti fioriscano. I bambini che muoiono senza pronunciare parola alcuna. I bambini che passano dal delicato prologo della placenta al nero epilogo della terra senza leggere ci che stava scritto nel libro. III. Giace mio figlio in terra come giaceva Patroclo ai piedi di Achille: florido, bello, fluviale ma atterrato. Non ho qui scudo con cui combattere, Troia su cui riversare la mia ira o divinit da maledire. Solo vergogna di restare vivo. IV. Alcuni popoli seppelliscono i propri bambini con oboli dargento sulle palpebre e lavanda sotto la lingua, affinch paghino il loro cicerone nellaltro [mondo e spargono dietro di essi un ricco aroma destate. Noi li nascondiamo in casse sigillate, sepolcri ermetici, fatidiche cattedrali di silenzio da cui piangerli senza che essi ci ascotino o vedano. Che umiliazione sento davanti a cos orribili 169

[dimore. V. Al nacer pesa tan poco que el fiel de la balanza apenas se mueve. Pero al partir es el fiel de la cordura el que se rompe. V. Alla nascita pesa cos poco che lago della bilancia si muove appena. Ma alla dipartita lago del buon senso quello che si rompe.

* LA VIDA PRIVADA DE LOS OBJETOS Contemplo este abrecartas que un alumno agradecido insisti en regalarme, LA VITA PRIVATA DEGLI OGGETTI

Contemplo questo tagliacarte che un allievo riconoscente ha insistito per [regalarmi, el busto de Scrates que hered de mi padre, il busto di Socrate che ho ereditato da mio [padre, el reloj de pared que hace cuatro generaciones lorologio da muro che da quattro generazioni [escancia [mesce la uva del tiempo... luva del tempo Y comprendo que todos estos objetos E comprendo che tutti questi oggetti habrn de sobrevivirme. sono destinati a sopravvivermi. No siento pena por ello. Non provo pena per questo. Algo me dice Qualcosa mi dice que sera como enojarse contra el viento che sarebbe come arrabbiarsi con il vento [porque nos despeina. [perch ci spettina. De la vida privada de los hombres he aprendido a sospechar a cada instante, maana y noche, ladinamente, como un zorro entre zorros. De la vida privada de los objetos slo s que existe y es eterna, y que cuando el ltimo hombre muera todava una antorcha en un poblado desierto parpadear bajo las estrellas, remota e implacable, obstinada, pura, de nadie. Della vita privata degli uomini ho appreso a sospettare ad ogni istante, giorno e notte, dissimulatamente, come volpe tra volpi. Della vita privata degli oggetti solo so che esiste ed eterna, e che quando lultimo uomo morir ancora una fiaccola in un villaggio deserto osciller sotto le stelle, remota e implacabile, ostinata, pura, di nessuno.

[Traduzione di Matteo Lefvre]

Notizia. Ricardo Menndez Salmn nato a Gijn nel 1971. Oltre e prima che poeta, uno dei narratori pi brillanti ed interessanti del panorama spagnolo contemporaneo. Collabora altres alle pagine culturali di El Comercio

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e allimportante supplemento culturale dello storico quotidiano ABC. Ha pubblicato le raccolte di racconti Los caballos azules (2005) e Gritar (2007), nonch i romanzi La filosofa en invierno (1999), Panptico (2001), Los arrebatados (2003) e La noche feroz (2006). Il suo quinto romanzo, La ofensa (2007), ha ottenuto diversi importanti riconoscimenti ed stato recentemente tradotto in Italia da Marcos y Marcos (Loffesa, 2008), editore che dovrebbe presto pubblicare anche lultimo romanzo dellautore, Derrumbe (2008). la prima volta che si pubblicano in Italia alcune sue poesie.

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DENIS ROCHE

LA POESIA INAMMISSIBILE, DEL RESTO NON ESISTE AFFATTO

Idee su una lettura dimostrativa particolarmente rapida

I La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto. Chi, di loro almeno, mai timed Mai inesauribili interi galloni dacqua enterdEntrati (entered) interdetti, gonfa gonfagalop Gonfiando la mia fredda pazienza infilando la porta Stretta, limpersonale nastro dellinsoddisfazione. Guardiola, piolo che fa il pallone, i due soffocano I belli come i brutti sembrano esultare dopo Tutta la polvere, la calamita, il sontuoso pasto, Laccensione, la stiratura dei mantelli dei re magi Dopo tutto il movimento in avanti e in dietro dei malloppi Alla loro eterna stabilit. Come Gobineau che analizza La durata, limpermeabilit, la sete dalterazione ai Piedi della scogliera di Terranova. Cos mi piacer Lo stupefacente ginocchio tremolante delle vite corte e Mi spinger fino a far finta

II La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto. Lho lasciata una setti mana fa Dicendo: questa vita vissuta delle nubi tra di noi E ripetendo che egli il minerale del tempo del vento Guardo dalla finestra di questo nuovo fiammante Ahim, vaso, discarica, rigonfiamento gigantesco richiamo Io risalgo, senza darmi troppa pena, lo spesso Tappeto di sentieri stretti, confusi, oleaginosi Sughi di sana invidia che si infilano natica dopo natica Con la sciarpa agitata dal parapetto dello scorso Agosto. tutto inutile. Comunque. Il Marmo sorge e sottrae tutto al fiato. E Lei sorride perch chiaro che non pu Pi fare nientaltro. Se non, evidentemente buttarmi In testa qualche vivanda la cui volgarit non Far che accrescere il mistero.

III La poesia inammissibile. Del resto non esiste 172

affatto. A partire da questo sprazzo di una Fram di una fragilit corporea, che pi per derivdi Una Francese, che, per disgusto, sar persino arrivata a Staccarmi con un colpo di scalpellino dal suo strato. Dal Suo mucchietto di elastici (un vaso di Uzs non basterebbe), e con le sue orbi forbici da Labbro superiore. La presa era salda: strappati I calzoni allimprovviso succedono cos tante Cose che tutto sembra come se una lepre schizzasse fuori In maniera precipitosa e facesse una scoperta Nella frazione di secondo in cui affonda. In mezzo al Sangue quando tutto finito e si strilla: Andiamocene, gente bagorda! Andiamocene, gente bagorda. E dato che Era tutto piacevole, i desideri e i rimorsi, il Manzo, con le zampe tagliate, crolla proprio intorno alle pozze

IV La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto. E qual il trucco del mio cervello? Saliti di buon gusto, a tamburellare sulla pesante armatu Larmeggiare piagnucoloso che queste pretese individuali al Lapostrofe finale, al magio, allo sciamano mangione. E tutto questo per il contatto con la mano di una svenuta. La stabilit eterna. Lelefantiasi rifiori Rifluirebbe solo a brocche intere la condotta inalterabile, i bei poeti, i pentoli poeti, I cintati poeti, [chiose e forchiuse] se la squaglierebbero Schizzerebbero senza colpo ferire verso laria aperta del Lo stagno del quadro del pittore di Barbizon. Specchi dacqua, ragni dacqua, crescioni di ieri E di oggi, e per se stessi fondali di Gaume E letti di luci riempiti di elmi fracassati Di stoviglie e di rondini che non fanno

V La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto, senza pantofole, Saffo senza pantofole di vaio Cenerentola: mucchietti di cenere O meglio il Setaccio, lenorme setac cio di ventilazione a gambe Aperte. Metafora edullinumidire alla fine laria E Catarifrangente il gigante buono. Oh; oh, please, non Cancellate la lapidaria iscrizione. Nota per Lerezione familiare, la bolla papale subito di seguito in E che poi tutto questo non porta a nulla: la poesia O non il coniglietto ammaccato. Chi me lo 173

Dir, o non lo dir, un bugiardo o non Un bugiardo, e che dire di questo o delle Vostre sciocchezze se Hegel, nato Arcimboldo, non ci Capisce niente o pioco? Ironia, canne Vegetali del boschetto di arbusti di cui un giorno Sarai fatta malgrado i miei scritti, ori che tutto questo e la mia Febbre e il mio spaventoso incoerente e miserabile Delirio! E allora, desiderio o meno, in pi come eroe Preso per le zampe

VI La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto, la schiena tranquillamente contro gli opercoli Lapertura come cancello, cascata, pasto, o anche La scapola quando la vedevo per la prima volta Memento, aggiogata, troppo allettata dalla prospettiva Di questa impotenza, intelata, con laria abbastanza prossima. 3 righe nel sonno e vedevo finalmente apparire montato sopra i figuranti anfigorici un lendine Della landa dei Baskerville: lacqua sciabordava ma Senza che labituale dismisura del racconto avesse afferrato Lelettore completamente in ginocchio vuol dire chiamare il Sire, compitare lordine del giorno, di questa giornata fissa Mentre lacqua sciaborda debolmente sul ciglio del sen tier o e allo stesso tempo lambiente intorno ci Procura soddisfazioni e giochi sillabici. Che io Non capisco. E tu, abile vivisezionatrice. E la poesia, palazzo per bulimici. Abitacolo per non essere niente. E dire che la biologia potrebbe risolvere ogni cosa!

VII La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto. E anche tu puoi essere soltanto ammesso da Saint-Cloud alle Tuileries giavellotti che bucano il guanciale. Impiccagioni in mezzo alle felci Il sole contrastava il progetto che ci abitava ed era tutto. Poeta, passa di l: la Vedi che carogna stava cavalcando? Che enigma inventarsi per il torneo di un re che Suona ininterrottamente i sonagli, inebetendo, temporeggiando? Dove sta il gioco, riesci a indovinare che qui la Gesticolazione, Lancillotto, lo spesso sottomano assorbente dell Anemone per sua abitudine, la ghiandaia le cui piume Porteranno meglio degli Atlanti con i sandali di lana Versano sulla carreggiata, versa pianti, versa Si riversa la pioggia a dirotto, e i versivermi mangiano il tuo dire 174

Farfugliando ancora riguardo alle preoccupazioni che causavi. E Questi versivermi stavano meglio quando non restava Proprio pi niente, farabutto!

VIII La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto. E niente porta a credere che con il suo Cappello di pelle lucida lui se la caverebbe meglio, n Che Esiodo marcirebbe con maggiore facilit, campagnolo O no, il passaggio episodico delle ossifraghe solleva Tante variet di arie, tante arie per flauto Per canne traverse, tanto vale dire che non si riesce Pi a distinguere lilota dalla matelote di Cancale Lossifraga e la gleba in soluzione nel tuo fertile Flusso, inamidante di bassa lega, n la stampa n Latto del calafatare possiedono in s abbastanza sconsideratezza da rendere equilibrata la lotta. Persino lo stagno di Thodore Rousseau sembrava aver subito Qualche cambiamento. Era diventato impeccabile. Lalbero si toglieva la polvere e la lordura E noi, crostini di vento e di allucinazione, Noi ci facevamo il bagno nudi

IX La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto, anche diventata familiare quanto non possibile. E questa frase con un cric e Delle bucce con il maiale fresco/Tutto univoco Tutto come fratturato davanti a me, davanti alla mia improbabile (per lultima volta) immaginazione, c lingiuria dei parassiti del clan poetico La mano delle pi cerimoniose, gorgheggi di erbiVori, in fin dei conti, sembra dire quella che ieri Mattina ho portato a spasso di piacere in piacere carnale E di piacere damare in piacere dessere. Come raso e dire che odioso sono come bosco ceduo Come spino, come stella di misura, come acquitrino A frasi scarne o panciute, malate in ogni Caso. Spuntino per la carogna che scrive che dice Che lei e che si deve guardare tutto questo mentre si Fa. Ma a issare il verde dei regimi Pi di quanto si doveva verso la corrente in basso Tu ed io ce ne sbattiamo delle bambinate

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X Non metto in dubbio che tutto questo possa essere abbastanza interessante se solo me ne ricordassi in maniera adeguata, e se solo fossi abile nel raccontarlo. Ma tutto quanto assomigliava troppo ad un sogno al sogno di chiunque non a un sogno mio troppo insignificante e insieme troppo banale per aver lasciato un ricordo durevole per importare molto (XIX secolo).

XI La poesia inammissibile. Del resto non esiste affatto e mi propongo di mettere a tacere le grida di caccia Che non mostrano un solo osso, che no-al quale gli occhi Grigio-blu scintillanti richiamano il piacere della clip. Richiamano il brusco pendio della scogliera Di fronte alle paludi di questa sempiterna posizione. Dunque una morte e il paesaggio di gesso e laria ci Capita a piacimento e quando lei se ne and Tutto quello che era sembrato cos brillante e cos prima di arrivare lei divenne triste e il Fanale potrebbe passare di mano in mano che il Personaggio del sole e lelio che ti porta via Il naso non finirebbero per confondersi che in una nuChin questa nuova forma di viale di alberi O in una nuova forma di discorso dato che la poesia etismo dice A. Breton, dato che la poesia nutrir l non c un equivalente contento [Da La poesia inammissibile, del resto non esiste affatto. Da: Le mcrit, Paris, Seuil, 1972. Traduzione di Michele Zaffarano.]

Notizia. Per una bio-bibliografia completa dellautore si veda: http://fr.wikipedia.org/wiki/Denis_Roche.

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BORIS RYIJ Su un sacco da viaggio sotto larco nero tutta la notte un sassofonista ha suonato, mentre un ubriacone su una panchina del parco, steso un foglio di giornale, s addormentato. Diventer musicista anchio e, se non morr, in camicia bianca con un fiocco nero nelle notti al vento suoner. Perch dorma lubriacone, sorridente, sotto il cielo, fino in fondo tracannato, dormi, non ti preoccupare di niente, c solo la musica e nientaltro. 1997

* Dal gabbio ripassato, dal cortile di fabbrica, dai poliziotti, per una decina danni m' venuto appresso un misero delinquente con laccetta. Io lo evitavo per quanto potessi, mi tenevo alla larga dallo scontro: lui gironzolava nei pressi del portone, io me la filavo da dietro. Ho temuto la rissa per una decina danni, come qualsiasi poeta che rifletta. ... Da solo ho intagliato bastoni nunchaki e mi sono fuso un casse-tte. Le spalle rilassate, appena flesso, come un fuoristrada cingolato gli vado incontro adesso e la gente si fa di lato. Sputate le cicche, fino al dolore espiro fumo di tabacco, sul pugno il tatuaggio Olja leggo con la coda dellocchio. E quanto pi la distanza ogni istante saccorcia fra me e lui, tanto pi diventa affascinante 177

sulla mia testa laureola. 1997

* Bandiere rosse, blu le panchine. In mezzo alla parlata di Sverdlovsk bevevamo birra nel giardino dedicato a Majakovskij. Dove sono le giostre con laltalena, gli autodromi e i motodromi: seduti a gambe incrociate, noi ci godevamo il panorama. Vive bene la provincia, arde di quattro tramonti. Serrati alle maturande nellabbraccio se ne vanno i tartari Ardak e i Marat. I tempi sono grandi, solidi. Per il gomitino di qualcuno pare abbia urtato la clessidra. Oddio, si sparsa la sabbia! Le piste di automobili e moto si sono messe a vorticare su se stesse. Alla decima curva i mozzi sono volati al diavolo in cento pezzi. Bellezza, tu mi devi voler bene, il tempo fa presto a finire, e gi oggi ho la sensazione di non avere voglia di vivere.

* AUTUNNO Il raccolto della rapa dal campo completo e cavolo e barbabietola sono stati portati via. Sullo sfondo di cieli dispiegati venuta la prima neve, e al cuore malinconia. Io andavo dietro la neve, riflettendo su Dio sa che, le betulle mi seguivano. Lazzurro si fondeva con largento, argento e azzurro si fondevano.

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* Un ragazzetto col berretto grigio restare, se stesso, per farla breve. Fra la verit e linvenzione vagare sulle foglie cadute di settembre. Scegliendo una panchina, lungo i viali alberati bighellonare, quella, alla quale per sempre futuro e passato avremo incollato. Partiremo e torneremo qui esattamente. Quanto ho amato i quadri malinconici, dellautunno i postumi tratti, dove nelle pozze blu ci sono le bacche di sorbo selvatico, e i versi da met riga vengono scritti. Siccome il loro inizio ha smesso di echeggiare, non ha lasciato niente che sia stato imparato a memoria. Come la pioggerella sul cornicione ha smesso di picchiare, o forse semplicemente non cera. Ma il ragazzino c stato, cos sembra, almeno, che si passava il palmo lungo il volto, taceva, e appuntava versi sul quaderno, nei quali le righe tendevano verso il fondo.

* Io strofiner con la mano lo specchio e vedr lautunno oltre la schiena. E inquieta la mia quiete, e la felicit altra felicit non arreca. A terra cade il fogliame, ma prima volteggia a lungo. E non ha senso cercare parole per celebrare questo lutto. Sul flauto ha finito di risuonare lestate per lubriaco chiacchierone, adesso suona il silenzio per il poeta che ha smaltito la sbornia. Verso lo specchio mi far pi avanti e coprir con me stesso tutta la mia pena, ma in quel preciso istante il vento mi si schianter dietro la schiena.

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Il giardino riempir tutto lo specchio, il viso del poeta si dissolver. E le foglie riprenderanno a staccarsi, a posarsi di nuovo e a volteggiare. 1999

* La camicia a quadrettini, a righe le brachette con la morte-compagna di classe a braccetto cammino per la strada, scambiandomi baci mentre vado. Rimbombano i camion e le fabbriche fumano. Lo Stige locale fa dondolare i rifiuti. Le acacie fioriscono. Le barchette avanzano. Distribuisco sigarette ai passanti e sorrido, e d avvertimenti, e anche accendere posso. In prossimit dellabisso il tuo fiocco bianco su uno sfondo blu naviga. E su ogni balcone si asciuga qui una maglietta, qui un palt, qui non so. Il tuo paparino ti chiama, amica, ti rampogna e, carogna, impreca, frocio fottuto, alla finestra dopo averci veduto. Addio, perdona. Quando suoneranno le trombe anche il porco castrato tirer fuori fra i denti, dopo il mio nome, un fumo verdastro. Avvicinandoti alle spalle di nascosto, con entrambe le mani mi tapperai sotto le nuvole gli occhi, il respiro trattenendo, e mi domanderai: chi sono? E ci sar la musica, e strepiteranno le trombe, e la prima neve coprir le mie labbra e i fiori morti. -Angelo mio, sei tu.

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* Non serve niente, lasciate il tavolo e casa vostra e che so, dautunno, il sorbo selvatico fuori della finestra. Non serve un cavolo, lasciate il sorbo selvatico vicino alla finestra, e poi sul tavolo un bicchiere di vino. Non serve un cazzo, oltre alle sigarette, e che il vicino accenda come un pazzo Vertinskij di prima mattina. Che delle rose, farabutto, biascichi oltre la parete: io sono semplice, come un biglietto da tre rubli, voi siete meglio, voi complicati. Solo la casa e il tavolo, davvero, il dolore alla spalla, il sorbo, e di quel che passato la memoria, ecco tutto, toto.

* Sulle foglie secche non ho vagato con mio figlio per mano, dietro le nuvole, trovando pace, non sono andato, non ho camminato per viali, ma per cortili. Solo nelle canzoni ho sofferto e amato. E ha ragione, probabilmente, Irina: ho letto i libri di qualcuno, ho bevuto molto e non ho visto mio figlio per settimane. Mi sono stati dati di qualche diavolo dunque da una generosa mano sconosciuta i sogni con le nuvole in volo, con un riso infantile, con le foglie cadute.

* Ti porter il Lego dallOlanda, e col Lego costruiremo una corte imperiale. Si pu far tornare una persona, restituire gli anni, 181

e lamore, ma che dico, ancora manca un pezzo al finale. Io me ne sono andato per sempre, ma torner, comunque, viagger con te verso le rive dorate. Oppure per lestate affitteremo una dacia qualunque, e poi vedremo, faremo i conti con la nostra moneta. Vivremo l aspettando la neve e poltrendo. E se poi non combineremo niente, perch siamo a corto, ti mander, figlio, il Lego dallOlanda, tu lo prenderai e ci costruirai una corte.

* Al limite fra il sonno e la veglia al meglio ti vedr, Serga, e su di te fisser lo sguardo per un po. Dove eravamo? Con chi ci siamo battuti? Che cosa abbiamo perduto? Che cosa trover io sulla tua tomba oltre a cera una volta? Cerano una volta, si davano sempre al pestaggio di Lcha Scarafaggio. ... Eppure un giorno, ubriachi io e te finimmo abbracciati e cammina cammina sullo sfondo di marzo arrivammo al cinemateatro. Era un vivere, o un vivacchiare? Era un morire. Era in una sala vecchia come il cucco, dove passavano film di schifo, tu sputasti, andasti via, mentre io me lo cuccai fino in fondo. Fisso lo schermo come un idiota. Vorrei, Serga, sbucare alle tombe di famiglia, sbattendo la porta, ombra nel nostro giardino pubblico.

* Ecco la bandiera rossa con la falce sul condominio, e il cielo celeste. Com facile nascere uomini, in particolare se stessi.

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Lui metteva la radio in vista alla finestra e la musica suonava. Usciva in cortile nudo fino alla vita e ogni volta attaccava a parlare di questo, di quello, dei lager di Ivdel, Tagil, e garantiva della sua parola, dava da accendere, si faceva voler bene, e cantava la Pugava. Delle rose, le rose, le rose, le rose, le rose. Non alzare le spalle, ma grati e sorridi attraverso le lacrime: ci insegnavano la morte in un cortile vuoto agli urli di una radiola. E fedeli a questo tema complesso, ancora adesso, scappati da scuola, allombra ombre stiamo.

*
A A. P. Sidorov, narcologo

La luce blu nel corridoio dospedale, la luce lunare oltre la finestra ospedaliera. Bisogna pensare alla cosa pi banale, bisogna pensare alla cosa pi elementare. Lo zingaro in astinenza da tre giorni, non c modo di aiutare lo zingaro. Dal rubinetto fai scrosciare lacqua arrugginita, e non dormi, e tutta la notte ti aggiri per il corridoio d ospedale illuminato da una luce molto blu, alla finestra ti sporgi. Quanto poco al mondo sei stato, possibile che non te ne importi? (Finisco un libro triste, dimenticato da un altro nella fretta. E la musica di Grieg accenno coi denti finti). S, me ne frego, ma capita a volte. Comunque pu capitare che io chiuda gli occhi per un istante, e dopo li riapra, e allora,

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afferrandomi le ginocchia con le braccia, sulla morte seriamente rifletto, fissando ottuso la parete di faccia che ha sopra disegnate le betulle di un boschetto.

* Quando porto la bottiglia alle labbra per la pura sbornia, per il puro bere, divento simile a un trombettiere di gesso, di quelli che se ne stavano in giro sparsi nei campi di pionieri, dove di notte si facevano i racconti sui sadici, il fumo, la lettura dei Conti di Montecristo... Dove mettere adesso tutto questo ciarpame, tutta questinfanzia con le torture e il sangue dal naso, il diavolo sa di chi la faccia con una bella spaccatura sul sopracciglio, la lama conficcata nel parapetto, tutto questamore negato, tutta questa solitudine mia? [Traduzione dal russo da Annelisa Alleva]

Notizia. Ragazzo ventenne dal viso magro e una lunga cicatrice sulla guancia sinistra, veniva da Ekaterinburg (che dal 1924 al 1991 si chiamata Sverdlovsk), una citt di provincia nella regione dei monti Urali, molto lontana dalle capitali Mosca e San Pietroburgo. La cittadina divenne tristemente nota, perch l fu giustiziato lultimo zar russo, Nicola II, con tutta la sua famiglia. Nel maggio 2001 Boris si impiccato nella casa dei genitori, e sono stati loro a ritrovarlo. Quindici giorni dopo avrebbe dovuto andare a ritirare un premio letterario importante a San Pietroburgo, il premio Palmira del Nord, che ha ritirato il padre al suo posto. Qualche mese pi tardi avrebbe compiuto ventisette anni. Il premio seguiva a un altro importante, lAntibooker, che si d a artisti controcorrente, e che gli aveva dato la notoriet. Era figlio del direttore dellIstituto Accademico di Mineralogia della su a citt, e di una dottoressa. Ha lasciato una moglie, Irina, e un figlio, Artm. Aveva studiato e si era laureato lui stesso in ingegneria, ma soprattutto scriveva. Beveva troppo, e aveva cercato di superare il vizio del bere accettando unampolla sottocutanea, che provocava rigetto allalcool. Quel che colpisce a prima vista lestrema musicalit delle sue poesie, che ha radici nella poesia classica russa (Aleksandr Pukin, Aleksandr Blok, Sergej Esenin), come nelle canzoni di cantautore (Bulat Okudava, Alla Pugava, Vladimir Vysockij). Vi espresso un forte disagio nei confronti del presente, un sentimento dinadeguatezza a starvi dentro, e di conseguenza un forte desiderio di evasione nel p assato idilliaco dellinfanzia e in un futuro di morte. Boris si descrive spesso alluscita dal cinema, frastornato dal contrasto con la luce del mondo reale: in giro per la citt, sul tram, oppure, pi spesso, in un giardinetto pubblico, seduto su una panchina, o anche circondato dal fogliame autunnale. La sua una poesia ossessiva, fatta di temi ricorrenti: tenera, aspra, scanzonata, molto seducente. Le liriche fanno quasi rima una con laltra, si rimandano una allaltra, si ripetono come la proiezione di uno stesso film con qualche variante; risuonano, si propagano come onde acustiche, o onde di un lago appena turbato dalla caduta di un sassolino. Catturano grazie a una semplicit assai colta e sofisticata che il loro autore riesce a raggiungere con uno stile fatto di poche parole, poche pennellate sicure, e che sembra evocare a tratti la vita ultraterrena, postuma, seraficamente musicale,

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aurorale, nella quale evidentemente questi si proiettava fin da vivo. La pellicola fra s e il mondo, che lui voleva oltrepassare, scavalcare, rompere per raggiungere una vita altra, dove passato, presente e futuro si sarebbero ricongiunti, forse la provincia nella quale era nato e sempre vissuto. Ekaterinburg, protagonista della sua poesia, allo stesso tempo minacciosa e soffocante, stava stretta al poeta, che pure la amava e ne fece il suo teatro. Lambiente che ci descrive prevalentemente maschile, violento; allinterno di questo mondo, che si pretenderebbe ciecamente solidale e cameratesco, oppure nemico, le donne diventano poste in palio, pretesto di complicit o rivalit. La realt di Ryij visiva, fatta di schermi cinematografici, insegne, tatuaggi, linguaggio malavitoso da hooligan, teppista moderno, e malinconica, retrospettiva, piena di rimpianto. Boris, unico figlio maschio dopo due sorelle, cresciuto vezzeggiato in casa da tutti. La musica a cui fa riferimento quella dei musicisti di strada, delle canzoni orecchiate dalla radio di un taxi, canticchiate fra i denti da un passante, trasmesse da un cattivo altoparlante in un luogo pubblico, ma anche musica seria, di Grieg o di Bach. La sua poesia proiettata fuori, allesterno, non da camera. Il linguaggio, fatto di una combinazione di timbro alto, colto, e basso, di strada, incanta per lestrema maturit stilistica, per la forza comunicativa, per la ricchezza e loriginalit delle rime. Pi di trentanni fa il professor Angelo Maria Ripellino tenne un corso monografico su Aleksandr Pukin, che si concludeva con Una lezione di lessicografia. La prima della sfilza di parole prese dall ambiente teatrale, circense, cinematografico, marionettistico : Ryij. Scrive Ripellino: Ryij significa rossiccio, fulvo. Per nel gergo del circo ryij il pagliaccio che si chiama in italiano augusto, o ppure Tony. Il rossiccio, perch spesso laugusto porta una parrucca rossiccia. quel pagliaccio al quale, come Jurij Olea ha scritto in un famoso pezzo, sprizza acqua dalla parrucca e si accende il naso come una lampadina elettrica. quello vestito in maniera trasandata: i calzoni larghi, spesso con una bombetta sulla parrucca; il pi stracciato, il pi ridicolo, il pi goffo. Rossiccio era anche David, colui che suona la cetra per il re Saul, e che poi diventa lui stesso re. Brodskij era rosso di capelli, e Anna Achmatova lo chiamava ryij. Quindi c una tradizione ebraica di cantori rossicci, di pagliacci rossicci, e di poeti. I poeti russi lo chiamano semplicemente Boris. Oggi Boris diventato una leggenda, molti leggono i suoi versi nei libri o in internet e lo apprezzano. Il suo migliore amico, Oleg Dozmorov, lo rimpiange e ripassa a mente la pianta di tutte le case in cui ha abitato lamico, tutte le cucine in cui ha mangiato insieme con lui; lamica Elena Tinovskaja lo vede in sogno e c i parla, gli chiede perch lo ha fatto. Boris le risponde che pentito, ma ormai tardi, non si pu tornare indietro. Di Boris Ryij (1974 -2001) sono uscite cinque raccolte di versi, di cui solo la prima mentre lui era in vita: I vs takoe, (E cos via, 2000, SPb.), Na cholodnom vetru, (Al vento freddo, 2001, SPb.) Stichi, (Versi, 2003, SPb.), Opravdanie izni (La giustificazione di una vita, Ekaterinburg, 2004, comprendente versi, prosa e lettere), la scelta di versi Tipa pesnja (Tipo canzone, M., 2006). Nella presentazione al secondo volume, uscito postumo, Sergej Gandlevskij, che lo aveva conosciuto, lo descrive come un ragazzo magrolino, elegante, amante di s pur con diffidenza, una specie di giovane DArtagnan, affabile e attraente.(1) Boris Ryij stato tradotto in inglese, francese, italiano, olandese. La sua prima traduzione uscita sul semestrale Smerilliana, n.1, 2003, a cura di Annelisa Alleva. anche presente nellantologia Poeti russi oggi di Scheiwiller (Milano, 2008), sempre a cura di Annelisa Alleva. Note. (1) S. Gandlevskij, Pamjati Borisa Ryego (Alla memoria di Boris Ryij), in Na cholodnom vetru, Pukinskij Fond, Sankt Peterburg, 2001, p. 5 -6.

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RAOUL SCHROTT

ANGEDAIR landeck, 1.7.93 Das gedicht ist ein raum. An seiner stelle schneidet sich die achse des augenblicks mit der einer geschichte. Wenn man so will, ist es deshalb nie greifbar, weil es diesen ort konstruiert, wo sich die parallelen nicht treffen. Mangels anderem in den worten zuhause.

ANGEDAIR landeck, 1.7. 93 La poesia uno spazio. Nel luogo in cui lasse dellattimo si interseca con quella storia particolare. Se si vuol dire cos, per questo che non mai catturabile,per ch costruisce questo luogo l dove le parallele si incontrano. In mancanza daltro nelle parole a casa.

* III wie eingebrannt auf dem karbonpapier des blickes die strae vom fenster aus die stecknadelkpfe der laternen die blaue stichflamme aus dem schorstein der karbidfabrik das grlen der soldaten wenn sie hinaus zur kaserne torkeln als htte ich diese stadt auswendig gelernt wie man ein gesicht zur kenntnis nimmt mit einem kopfnicken ohne dass es mehr zu sagen hat ein einfacher durchschlag des spiegelbildes auf der fensterscheibe vor der evidenz von husern und gebuden eine blaupause auf die man rechts unten am rande den nachtrag einer rckkehr kritzelt man hat die wnde mit den schritten ausgemessen und den geruch des asphalts im sommer der eine zweig der quitte der ber die zaunlatten hngt und wo die farbe von der mauer blttert ist was zuhause ist die tautologie der ordinaten einer existenz ihr grundri gleich ob in zoll oder zentimetern genommen beschreibt diese abszisse nicht in die nacht geschnitten sind die ste des kastanienbaums dort wo sie sich drngen eine landkarte nur fr den mastab der augen und den spann der hand aber malos und leer in ihrer konsonanz

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III come marcata a fuoco sulla carta carbone dello sguardo la strada dalla finestra le capocchie di spillo delle lanterne la fiamma blu a dardo dalla ciminiera della fabbrica di carburi lo sbraitare dei soldati quando si allontanano verso la caserma barcollando come se avessi imparato a memoria questa citt come si prende nota di un volto con un cenno del capo senza avere altro da dire una semplice copia dattiloscritta dellimmagine riflessa sul vetro della finestra davanti allevidenza di case ed edifici una copia cianografica su cui si scarabocchia a destra in basso sul margine il poscritto di un ritorno si sono misurate le pareti con i passi e lodore dellasfalto in estate quel ramo del melo cotogno che pende sopra le assi dello steccato e dove si sfalda il colore del muro quel che a casa la tautologia delle ordinate di une sistenza la sua proiezione orizzontale indifferente se misurata in pollici o centimetri non descrive questascissa sono intagliati nella notte i rami del castagno l dove si affollano una carta geografica solo per la misura degli occhi e il collo della mano per smisurata e vuota nella sua consonanza

* HOTEL VESUVIO, neapel, 21.6.93 Der ort des gedichtes. Als wre zu lokalisieren an einer stelle, einer sttte, wie das Troia Schliemanns, in den einzelnen schichten einer grabung. Zuunterst aber zieht sich das stratum des griechischen durch die sprachen wie ein band von verkohlten mauerwerk. Die kontur der worte, ihre rnder. Fr die auguren war die ffnung, die sie gleich ob in den himmel oder die haut schnitten, das templum, auerhalb dessen die welt ein tescum war.

HOTEL VESUVIO, napoli, 21.6. 93 Il luogo della poesia. Quasi si potesse localizzarlo in un punto, in un posto, come la Troia di Schliemann, nei singoli strati di uno scavo. In fondo per lo stratum del greco si snoda 187

attraverso le lingue come un nastro di muro carbonizzato. Il contorno delle parole, i loro margini. Per gli auguri era lapertura , che incidevano indifferentemente nel cielo o nella pelle, il templum, allesterno del quale il mondo era un tescum.

* IV die schwaden von angebranntem l vom abzug der hotelkche unten beien in den schwielen des abends und seine schwelende schlacke sintert vom glasdach des aufzugs den orthodoxen kreuzen der fernsehantennen hinter den angelehnten jalousien stochert der mann gegenber das essen aus den zhnen und das schmierige phosphoreszieren des fernsehschirms legt sich blau ber die nacht in der sich die lippenbewegungen nur schlecht synchronisieren auf die sirene einer alarmanlage die keiner mehr hren will ein orakel der lethargie das schrill mit der batterie leer luft es ist das einzige erleuchtete fenster in diesem hinterhof ein emblem des sommers wie der weie teller auf dem tisch und das salz die gegen die rippen gespreizte hand ist das einzige was sich kalt anfhlt und der feuchte wind vom meer bringt wenn dann nur die asche patroklos auf dem scheiterhaufen er entfacht den brand in der esse des sommers seine hitze wie ein sto in den rcken um 2 uhr morgens achilles drben greift nach der bierflasche und kratz sich an der ferse: das sirren der mcken

IV le nuvole di fumo dolio bruciato dal camino della cucina dalbergo in basso addentano i calli della sera e bruciando senza fiamma le sue scorie sinterizzano dal tetto a vetri dellascensore verso le croci ortodosse delle antenne televisive dietro le gelosie accostate luomo l di fronte stuzzica il cibo dai denti e luntuoso fosforeggiare dello schermo televisivo si stende azzurro sopra la notte in cui i movimenti delle labbra sincronizzano solo a stento sulla sirena di un impianto dallarme che nessuno pi vuole ascoltare un oracolo della letargia che stridulo funziona con la batteria scarica lunica finestra illuminata in questo cortile interno un emblema dellestate come il piatto bianco sul tavolo e il sale 188

la mano spiegata contro le costole lunica cosa che appare fredda al tatto e il vento umido dal mare porta quando poi solo la cenere di patroclo sulla catasta di legna egli accende il rogo nel camino dellestate la sua calura come un colpo nella schiena alle 2 del mattino achille di l allunga la mano verso la bottiglia di birra e si gratta il tallone: il ronzio delle mosche

* CASA DI ROSA, anacapri, 14. 6. 1992 Was der dichter hier offensichtlich verSucht, ist seinen privaten liebschaften eine historische dimension abzugewinnen. Merken wir dabei an, wie erstaunlich seine ortskenntnis und das ma seines astronomischen wissens auch immer sein mgen, dass wir es hier mit einer weiteren rhetorischen figur, der hyperbel, zu tun haben. Er bertreibt; die idylle ist arkadisch und nicht einmal das haus das seine.

CASA DI ROSA, anacapri, 14. 6. 1992 Quello il poeta qui tenta palesemente di fare ottenere una dimensione storica per i suoi amoretti privati. Osserviamo che, per quanto sia la sua conoscenza del luogo e la misura del suo sapere astronomico possano essere sorprendenti, qui ci ritroviamo alle prese con unaltra figura retorica, liperbole. Egli esagera; lidillio arcadico e la casa non neppure la sua.

* XVIII i die grne glasnaht am flaschenhals kippt fast mit dem wind rote sthle blaue das trapez des tisches zwischen boje und buchrcken und der arm des golfes trgt die lichter wie ein ober das tablett deine finger unter 189

soviel haar steckst sie hoch und reibst die augen die vitriolrnder an den handflchen des weins gelb schwarz und rot jours effeuills den daumen zwischen den seiten und an dem rostigen draht der wsche leine drehen sich die klammern schwingen sich hoch wie zinn soldaten bis zu dem punkt von dem sie sich wieder fallen lassen

XVIII i la verde linea di vetro sul collo della bottiglia quasi si rovescia con il vento sedie rosse azzurre il trapezio del tavolo tra la boa e il dorso del libro e il braccio del golfo sorregge le luci come un cameriere il vassoio le tue dita tra tanti capelli li punti in alto e sfreghi gli occhi i margini al vetriolo sui palmi delle mani della vite giallo nero e rosso jours effeuills il pollice tra le pagine e sul filo arrugginito della corda per il bucato girano le mollette si slanciano in alto come soldatini di piombo fino al punto da cui si lasciano cadere di nuovo

* HOTEL VOUZAS delphi, 11.7.93 Das ereignis der musen. Sie waren die tchter der erinnerung und ihr name leitet sich von seiner verwandschaft zum wissen und sinnen ebenso ab, wie er sich auf die inspiration, den wahn und das reden in zungen des orakels zurckfhren lt. Nach Plutarch waren sie die gleich und zugleich seienden, die triade der musen auf ihrem berg Helikon, um ihre quelle Hippokrene, in ihrem hain. Man verehrte sie erst oben auf ihrem gipfel, bevor man ihnen unten im tal von Askra ein heiligtum baute und sie 190

schlielich mit dem kult Apollos nach Delphi verlegte, zur Kastalischen Quelle. Sie verdrngten dort die statue der Gaia von ihrem platz, der gttin der erde, aus der Hestia hervorgegangen war.

HOTEL VOUZAS delphi, 11.7.93 Levento delle muse. Erano le figlie del ricordo e il loro nome deriva dalla sua affinit sia con il sapere e il meditare, sia con l ispirazione, la follia e il parlare per bocca delloracolo. Secondo Plutarco si trattava di quelle che sono le stesse e allo stesso tempo, la triade delle muse sul loro monte Elicona, intorno alla loro fonte Ippocrene, nel loro boschetto sacro. Inizialmente furono venerate lass sulla loro vetta, prima che si edificasse loro un santuario in fondo alla valle di Ascra e infine le si spostasse insieme al culto di Apollo a Delfi, alla fonte Castalia. L allontanarono dal suo posto la statua di Gaia, la dea della terra, da cui era derivata Estia.

* XXXI Das balkongelnder ragt senkrecht in die schlucht diese staubige kerbe vollrer oliven bis zur bucht von itea und jeden blick nach unten quittierte der anus mit einem zucken als ich zum essen hinauf zur terrasse ging war das rechteck der zierleisten im gang wie ein rahmen um einen spiegel und fr zwei augenblicke berraschte es mich nicht einmal nur das wei der wand im korridor zu sehen und nicht die grimasse meines gesichts ein trompe loeil im raffiniertesten sinn des wortes im spiegel dagegen mit seinem gebleckten lcheln in der schrunde des mundes hinab bis zum kinn liegt nichts von der aufrechten anmut der kuroi die distanziert die lust in sich ergehen lassen wie auch die vasen nur die berhrung der schenkel zeigen nicht das eindringen des geschlechts von sich abgewandt wie hermes einst und dann janus unter dem roten balken eines ornaments und schweigend ebenso entzwei aber teilte die kastalische quelle den efeu der beiden felswnde links rhodini die rosige rechts 191

flemboukos die brandnarbe der sonne auf der wange und nur im brunnenhaus rann wasser aus drei lwenkpfen jetzt aber war es gesperrt und der felsen mit beton ausgegossen aus dem baugerst quoll eine wolke von wespen und stritt sich um das rinnsal und den ocker der algenfetzen wollte man daraus schpfen und sie stachen auch mir auf den mund einmal und ein zweites mal auf den handrcken wie zum hohn gott! Was fr ein gesicht und ich hatte davon getrunken wre mir der hals wahrscheinlich auch noch geschwollen

XXXI La balaustra del balcone si erge perpendicolare nella forra questa tacca polverosa colma di olive fino alla baia di itea e ogni sguardo verso il basso lanus lo ricambiava con un sussulto quando salii alla terrazza per pranzare il rettangolo delle modanature era avviato come una cornice intorno a uno specchio e per due secondi non mi sorprese neppure vedere solo il bianco della parete nel corridoio e non la smorfia del mio viso un trompe loeil nel senso pi raffinato della parola nello specchio invece con il suo sorriso digrignante nella fenditura della bocca gi fino al mento non v nulla della grazia diritta dei kuroi che distanzia lasciar fluire in s il piacere come anche i vasi mostrano solo il contatto delle cosce non la penetrazione del sesso distolto da s come ermete un tempo e poi giano sotto la trave rossa di un ornamento e in silenzio ma egualmente separando la fonte castalia divise ledera delle due pareti rocciose a sinistra rhodini la rosata a destra flemboukos la cicatrice del sole sulla guancia e solo nel chiosco lacqua scorreva da tre teste leonine adesso per era chiuso e la roccio ricoperta di beton dallimpalcatura sgorg una nuvola di vespe e attacc briga per il rigagnolo e locra dei brandelli dalga si voleva attingerne ed esse punsero anche me sulla bocca una volta e una seconda sul dorso della mano come per scherno dio! che viso e se io ne avessi bevuto probabilmente il collo mi si sarebbe anche gonfiato [Da Hotels. Traduzione di Riccarda Novello.]

Notizia. Raoul Schrott (1964), cresciuto a Tunisi e Landeck, ha studiato a Innsbruck, Norwich, Parigi e Berlino. Ha pubblicato, tra gli altri libri, i romanzi Finis terrae (1995), Tristan da Cunha (2003), i volumi di poesia Hotels (1995), Tropen (1998), Weissbuch (2004), i racconti Khamsin (2002), l'antologia Die Erfindung der Poesie (1997) e la raccolta di saggi Handbuch der Wolkenputzerei (2005). Ha ottenuto diversi premi letterari,

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tra cui il Leonce un Lena Preis (1995) e il Peter-Huchel Preis (1999). Autore di numerose traduzioni, dall'epos di Gilgamesh a Derek Walcott, ha in corso di traduzione una nuova versione dell'Iliade, e nel 2007 ha reso pubblica una nuova tesi sulla questione omerica.

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Letture

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VINCENZO BAGNOLI

CINQUE CANZONETTE

DREAMING ormai soltanto in sogno ci parliamo e qualche volta mi abbracci il tuo corpo lo sento ma riesco mai a vederlo tocco limpronta il peso la pressione un calcolo sottile di tensori unalgebra che cerco di tenere a mente dopo quando poi mi sveglio questo il desiderio che mi resta il calcolo spietato di un valore la ripida ricerca di una cifra?

* EASYRIDING londa liquida dei giorni lontani ha Il suono leggero di un arpeggio su una chitarra a dodici corde e lungo il fiume past the shady trees c ancora lombra di me in agguato quello che fui dovrei essere stato il tempo perso le voci smarrite i miei ricordi le spine e un rancore

* DAYS OF RADIANCE (PSEUDOSONETTO) dal cielo dei gemelli il sole incendia gi sopra i tetti e sopra allasfalto laria appassita di queste giornate di primavera affogata nellafa fra ozono e smog Dopo i perduti giorni del sole del sale dellamarezza dope le prime notti dellestate verranno i tramonti pieni di luce smagliante del colore dei pianeti e di costellazioni ammiccanti ad altri luoghi e a un altro cielo terso sgombro dai cumulonembi sereno alla bellezza di un sorriso atroce intorno la rovina di ogni cosa

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* APPUNTI PER UNA PRATICA DELLA LOTTA DI CLASSE


(per D.C. e V.F.)

si sovrappongono nella memoria i giorni prima e dopo del solstizio la luce breve le ore a precipizio verso Il buio il tempo senza storia il desolato permafrost dei giorni nuovi lattenta paura al mattino il grigio cenere di alba e cemento e anche lazzurra carezza sugli occhi dellombra dei grattacieli caduta sun incidente dauto suburbano pioggia continua e sonno smarrito stupida fretta di andare al tuo posto malinconia di casa galleggiante nellodore di arance e di merende la voce opaca la nebbia bagnata la triste ottusit del giorno pieno delle altre facce alla fine di tutto sorprese dal freddo fuori alla scuola lattesa lunga di un giorno di festa che durer poi per tutta la vita per arenarsi nel vuoto nellansia e nel rammarico torbido denso di tutto il lavorare senza senso della fiumana scorsa pi avanti di essere rimasti senza storia e senza parole come un bambino in mano solo la fatica fatta

* XV LAMA (SEMISONETTO TAINTED) Lorizzonte oltremare spesso tetro nelle giornate pi azzurre incupisce e c uno sguardo malvagio nellombra dove la luce del giorno sparisce Fra alba e tramonto dal cuore Oscuro delle foschie e dei raggi taglienti mi lancia torbide occhiate assassine ripete mute minacce inquietanti Di notte sorge Marte fra i vapori della bassa atmosfera stella rossa che arde di orrendi sanguigni bagliori Torcia diabolica rivolta in basso ammicca alla rovina alla miseria umana e brucia di auspicio nefasto 196

Notizia. nato nel 1967 a Bologna, dove vive. Ha suonato in una rock band, lavorato per periodici ed emittenti locali. Ha svolto attivit di ricerca e didattica all'Universit e scritto saggi e monografie di critica letteraria (Contemporanea, Esedra 1997; Lo spazio del testo, Pendragon 2003). tra i fondatori di /Versodove/, rivista di letteratura, e attualmente lavora come redattore per la societ editrice il Mulino. Ha pubblicato le raccolte 33 giri stereo LP (Gallo & Calzati 2004), FM onde corte (Bohumil 2007) e Deep Sky (dif 2007).

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MARCO BALZANO

1 *** cosa dirtela a fare la sofferenza di non riuscire a fuggire con lei una ragazzetta da niente, contenta di bivaccare tra chiostri e baretti del centro, piena di tempo da regalarmi, pronta ad avermi a vedermi pi ricco pi colto persino pi alto di quello che sono. Che conta che a salvarmi di nuovo non stato lamore che tu mi hai insegnato quando fuori era notte e avevo paura degli orologi appesi sui muri ch dirtelo che lei ti ha trasformato in arpia per lunghi minuti lunghi come una via tutta dritta perch dirtelo ancora che quello che mi distrugge non il peccato che coviamo nel cuore ma la morte dellideale la salvezza meschina che crediamo nella morale.

2 ***
Ad Annette

e se dun tratto si autodistruggesse il tempo e da ingorgato sulle spalle con tutti i suoi futuri si polverizzasse via, lui e il suo balordo sovrasenso che non intendo io e che tanto meno tu, e a rimanere fossimo noi due, senza mondo senza pi distacco danni senza lidiozia dellesperienze: se succedesse questo, dico se insorgesse un misero giorno darmistizio scambiato come pace eterna non come rinvio del precipizio: se succedesse tutto questo, ti ripeto non sarebbe gi qualcosa, baciare i tuoi ventanni senza tradimento inebriarmi io come essenza di rosa come incenso di chiesa alacre da strozzare la gola? e tutto intorno in quel giorno che mi tramonta addosso gi solo che lo scrivo tu sola e in giro niente n le tue n le mie di conoscenze: e se non ti spaventi, gi che fingo non ci vorrei nemmeno dio, n il tuo n il mio a terrorizzarmi col suo tempo senza fine 198

dopo il mio di tempo che stato solo corrosione. 3 *** oh lei di nuovo sulle mie tempeste temporali! Giovinezza che mi apre la porta della sua casa per aria con in bocca diffusa una musica che non si canta Giovinezza un volto di donna che danza superba nella sua posa finge sapienza nella parola scatta di colpo e mi parla sicura come fosse lei dio solo io scaglio dentro i burroni che non hanno domani il tempo che ti divora nella vertigine delle mie mani lallora. Ogni altra che ti cammina di fianco non sar vagabonda non potr fare niente, ogni altra conta e riconta con te gli spicci di tempo che mancano i centesimi che ti avanzano per ritrovare il senso che va via rinunciando.

4 *** sbalordito quando sar tardi per strade alle spalle fatte vuote davanti ai passi trascinati una lanterna in lontananza dove ancora tu ti affollerai fresca di danza e di entusiasmi in facce e strette che non sono pi intatta di me come non fossi stato come non avessi mai sfiorato niente ma pure quella camminata sar svelta e in fretta, senza una parola che mi avanza i tempi si faranno tutti prigionieri sulla bocca corde i ricordi attorno al collo e io non sapr farti ribellione.

5 *** e io che mi credevo ape insettuzzo grazioso nei suoi salti di fiore in fiore i miei giorni 199

affondare lago nei colori dei pistilli e poi di nuovo dentro il cielo capace di sorridere allamore che capita per caso. E invece in ogni vita inciampo se per un attimo di fuoco il capo lo nascondo dentro un seno inevitabilmente il giorno dopo mi ci perdo nel pensiero di restare un languore mi delude affolla la memoria una nostalgia che non so dire in me incapace di volare

6 *** aiutami tu che conosci a memoria le linee della mia mano le rughe malcerte che covo sotto i capelli, intorno agli occhiali. Aiutami tu che conosci le tane dove assopiscono le bestie pi stanche ad accettare i giorni incinghiati negli orologi quelli dove si impara il tempo senza scrivere necrologi quelli dove si perdona il momento della ruggine che opaca per sempre.

7 *** finita la festa di Giovinezza mi ha messo la vita sotto alla camicia al posto del cuore un orologio a cuc: ogni ora si aprono porte e con la voce di belzeb la bestiolina si sporge e mi sfotte lo senti, lo senti che arriva la morte?

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8 *** quando sar la carne solo un peso morto da strascinare per le strade non penser lo stesso che davvero cera un senso. Se pure lho desiderato per tutti gli anni attorcinati nella luce che il corpo di baleno si schiantasse in unacqua sconosciuta di lavacro io non creder lo stesso che pace esploda nel finale che Vecchiaia che imbavaglia sia un porto naturale. [da Chiodo scaccia chiodo ]

Notizia. Marco Balzano (Milano, 1978), vive e insegna a Milano. Ha scritto di letteratura e filosofia per riviste e raccolte collettanee. Sue poesie sono apparse su riviste e antologie e, nel 2007 presso LietoColle, ha pubblicato la raccolta Particolari in controsenso (premio Gozzano 2007, Segnalazione premio Montano 2008), con prefazione di Giampiero Neri. Per Marsilio appena uscito lo studio critico I confini del sole. Leopardi e il Nuovo Mondo (gi premio Tesi di laurea Giacomo Leopardi del Centro nazionale di studi leopardiani). Nel 2006 ha vinto il premio Nuove lettere. redattore della rivista Che libri.

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MASSIMO BOCCHIOLA

PADRI E FIGLI 1 - MEMORIA DI JOHN KIPLING (DA RUDYARD KIPLING) Il 15 luglio 1915, per decreto di Sua Maest Re Giorgio, viene costituito ufficialmente il 2 Battaglione delle Guardie Irlandesi. Il 16 agosto il battaglione parte da Brentwood Station per essere imbarcato a Southampton, sullAnglo -Canadian e sul Viper. Il 30 agosto c il primo, storico incontro del 2 con il suo gemello, il 1 Battaglione delle Guardie: avviene in Francia, nella regione di Calais. Il 25 settembre nella medesima regione incomincia la battaglia di Loos. Il 27 settembre il battaglione entra in combattimento insieme a tutta la brigata cui appartiene. la sua prima azione di guerra, la prima dalla formazione. Tra il 27 e il 30 il battaglione perde 324 effettivi, di cui 101 dispersi. Tra i dispersi del giorno 27, mentre partecipava a unazione dassalto delle Guardie Scozzesi, si conta il sottotenente John Kipling. Ferito e mai pi ritrovato. In conclusione dichiarato morto. Suo padre, Rudyard Kipling, registra la scomparsa del figlio verso pagina dieci del suo libro The Irish Guards in the Great War . La vita di suo figlio terminata ma invece il libro va avanti, continua con la storia del 2 battaglione fino alla fine della Grande Guerra. Proprio allinizio Kipling aveva scritto la frase: in quel periodo era fortunato chi sopravviveva integro per tre mesi. Una semplice constatazione di realt, ma anche una profezia a posteriori sul destino del figlio. Il sottotenente John Kipling non sopravvive neppure per tre giorni. Tutto si compie prima della fine del capitolo intitolato 1915: Loos e il primo autunno . Per il libro continua e al termine della guerra, prima che il battaglione, ridotto dalle perdite a poco pi che una compagnia, venga sciolto, i suoi soldati sono ancora giovani come allinizio, nellestate del 15 il perch troppo facile da capire, ma conviene ripeterlo lo stesso: i loro predecessori erano tutti morti, tutti morti e come dallinizio, scrive Kipling, per tutta la guerra hanno conservato la fama di essere un battaglione happy: ma questo gi sarebbe molto pi difficile da capire, non si potrebbe capire se il padre Rudyard, avendo scritto un libro sullassenza mortale dalla Grande Guerra del figlio John caduto, non incontrasse (forse) negli occhi degli ultimi ragazzi del 2 Guardie Irlandesi occhi infinitamente pi invecchiati dei loro anni, occhi pervasi e velati lamore fraterno per quelli che se ne sono andati prima di loro, il ricordo e il dolore della loro bellezza, della bellezza spezzacuore dei giovani, la loro presenza.

PADRI E FIGLI 2 - UCCIDERE ED ESSERE UCCISI (DA CHARLES REZNIKOFF) Nel Sud degli Stati Uniti, una sera alla fine dellOttocento un cavallerizzo da fiera annuncia il suo spettacolo davanti alla tenda dentro dorme suo figlio che non ha neanche sei anni e sa gi cavalcare. Ma poco dopo arriva la polizia: una madre del luogo accusa lartista di avere molestato la sua bambina; dopo uno scambio cadenzato di insinuazioni e risposte difensive ( Had he given her a dime? Yes. What for? To buy ice cream .) gli agenti chiedono al sospettato di seguirli. Da solo nella sua tenda, dove e ntrato per prendere la giacca, luomo pensa: mi linceranno, mio figlio rester solo; e cos, nella disperazione, taglia la gola al bambino. Gli agenti intervenendo lo bloccano mentre cerca di suicidarsi al medesimo modo. Nella stessa epoca e nella stessa regione del mondo, uno dei figli del dottor Warren, padre molto severo, manifesta un carattere ribelle. A quattordici anni scappato a lavorare a New Orleans; a meno di sedici lascia di nuovo la scuola e va a Los Angeles ospite di un fratello maggiore. A diciassette suo padre lo frusta perch gli ha rubato una carrozza per portare gli amici alla partita.

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Solo allalba (The night was cloudy and it was raining a little ) i vicini trovano il cadavere del dottore due fucilate, alladdome e al cuore; e il capo fracassato da un bastone tutto corrispondeva, tutto va al posto giusto: la mancanza di emozione del figlio, le orme delle sue scarpe uguali a quelle dellassassino; e il fucile, il fucile del padre che ha sparato, poi ritrovato in stalla, la canna torta e ammaccata e imbrattata dei suoi capelli e del suo sangue. Quindi il bilancio di sangue dovrebbe ritornare in parit Crono divora i suoi figli, Zeus sventra suo padre; Agamennone sgozza Ifigenia per sete di guerra, Fraate strangola Orode per appetito di trono. E invece si capisce sempre (si capisce sempre) come i figli in essenza agiscano per difendersi. Anche se Agamennone accampa lattenuante che Ifigenia sia femmina, e lo costringa il Fato; anche se il cavallerizzo accampa lattenuante quasi non men o odiosa che a suo figlio, lui in carcere, non toccherebbero che povert e disperazione peggio, accampa linganno plenario di un fallito suicidio. In quanto a Rudyard Kipling, scavare non conviene, forse non nemmeno giusto: una trama complessa e ragioni sottili riescono quasi sempre soggiogate dal peso della realt pi la realt pesa e pi le ragioni si assottigliano; secondo il detto orientale, la gallina non sta mai sotto luovo.

Notizia. Massimo Bocchiola nato e vive a Pavia. Ha tradotto una settantina di opere di narrativa di numerosi autori, fra cui Thomas Pynchon, Paul Auster, Martin Amis, Joseph OConnor, Irvine Welsh. Fra i poeti Simon Armitage, Blake Morrison e lo stesso Paul Auster. Insegna traduzione letteraria allUniversit di Pavia e allo IULM di Milano. Ha pubblicato tre libri di versi: Al ballo della clinica (Marcos y Marcos, 1997), Le radici nellaria (Guanda, 2004) e Mortalissima parte (Guanda, 2007).

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GHERARDO BORTOLOTTI

DA TECNICHE DI BASSO LIVELLO . 2006-2007

117-118 117. Mentre vecchie conoscenze si perdevano nel corso di cicli di acquisti, di mode musicali, decidevamo di trascorrere le nostre vacanze in paesi del terzo mondo a bassissima sindacalizzazione. In tangenziale, le prospettive del nostro futuro si infittivano di occasioni da sprecare, rimpianti in potenza e ragionamenti superficiali sullo stato delle cose. 118. Nelle giornate meno fortunate, eravamo costretti a riscoprire le nostre vere intenzioni, i gusti mediocri con cui avevamo sognato il futuro, il successo, le conquiste impossibili. Nonostante le nostre opinioni avessero il vantaggio dellirrilevanza, ci pesavano nel cuore. Per quanto parlassimo, per quanto fornissimo pareri e giudizi, si accumulavano negli anni, accanto agli affetti, ai ricordi di particolari incongruenti.

288-289 288. Nonostante la maggior parte delle politiche in corso fosse delegata ad organismi sovranazionali non democraticamente eletti, bgmole si dotava di opinioni sulla guerra, sul debito dei paesi in via di sviluppo, sullimmigrazione clan destina. Percepiva, tuttavia, e specialmente quando non capiva la sequenza delle notizie del telegiornale, una contraddizione, collocata in un punto non identificabile dellalbero delle argomentazioni, una qualche petizione di principio troppo arrischiata, come, per esempio, che ci che sapeva del mondo, anche se minimo nella sua estensione, fosse comunque valido, utile, veritiero. 289. Stagioni di sogni diversi, tristi, comunque raccolti attorno a qualche persona che manca, a qualche cosa che vorremmo indietro. Andavamo in ufficio, dopo notti passate tra mobili comprati a rate, impiallacciati, prodotti in serie. La soluzione di un giro di frasi che volevamo dire, ce la portava via la sveglia.

4-5 4. Ai margini della periferia, bgmole chiudeva cicli di progresso stagionali, fatti di acquisti e piani di integrazione di piccoli problemi quotidiani (lemicrania, il mutuo, lestrazione del plusvalore). In certe settimane, e specialmente la mattina, era attraversato dalla lucida volont di qualcun altro. 5. Addestrati, da vecchie strategie di marketing, a preferire la versione facile delle cose, scoprivamo con astratto stupore i consumi esperti, le morti premature. Mentre le modelle dei cartelloni 204

pubblicitari introducevano argomenti esoterici nei tempi morti dei nostri tragitti urbani, ci rivolgevamo al futuro e aspettavamo che il sogno si interrompesse.

152-153 152. Segni di vita da regioni remote della nostra persona, abbandonate da anni, invase da equivoci mai risolti, scene di vecchie serie televisive, espressioni idiomatiche tipiche di persone che ci hanno amato. Ci capitava di percorrere, nelle mattine meno serene della nostra carriera da impiegati, da collaboratori coordinati e continuativi, da consulenti a progetto, ampie distese di rifiuti psichici, di scorie di sistemi di desideri a cui eravamo stati addestrati nei giorni della giovinezza quando, come esponenti di un mercato malleabile e privilegiato, venivamo iniziati alla superficialit e allarroganza. Diversi disegni totemici, leggibili solo dalle alte zze di una campagna di marketing, attraversavano lentroterra dei nostri acquisti, dei nostri gusti e delle cosiddette inclinazioni personali. 153. Guardando la televisione, eve sprofondava in livelli sempre pi impersonali della sua attenzione, dove associazioni di idee coatte, generate dalle argomentazioni dei commentatori televisivi, o dalle trame degli spot dei profumi, come movimenti di zolle continentali spostavano grandi masse di immaginario, lungo i fronti delle sue opinioni. La metamorfosi continua delle apparenze, la catastrofe semiotica in corso, la richiamavano a regioni interne del suo ricordo, della sua coscienza, mentre i muscoli del viso, nella mezza luce dello schermo, iniziavano a rilassarsi.

251-252 251. In attesa di qualche cosa di indefinito e, in seconda battuta, della morte, eve arrivava al venerd sera ed allinizio del week -end guardando dallauto i cartelloni pubblicitari, pensando agli acquisti che avrebbe voluto fare. 252. In occasione delle nostre capitolazioni, di fronte alla paura, alla pigrizia, aprivamo dibattiti di pochi minuti circa la natura meschina del nostro animo, linadeguatezza del nostro carattere rispetto alle grandi sfide del terzo millennio. Linizio del telegiornale offriva spesso nuovi spunti di discussione e le sedute venivano aggiornate a date fittizie (a quando avremmo smesso di fumare, a quando avremmo messo al mondo un figlio).

33-34 33. Arrivati alla questione della verit, o del bene, preferivamo cambiare discorso e rivolgerci ad un esperto. Il silenzio pomeridiano aveva confini lontanissimi. Ne riecheggiava qualche rombo indistinto, qualche ricordo di un primo amore, di unidea profondamente sbagliata sul mondo. 34. Affascinato dalle tradizioni minori dellindustria culturale, kinch seguiva gli scaffali del supermercato studiando la differenza tra le etichette, la disposizione delle confezioni. Partecipava, 205

dopo cena, a brevi seminari sulla propria impreparazione ad affrontare la vita, le distinte fattispecie della politica internazionale, la differenza tra tempo libero ed orario salariato.

175-176 175. Tentavamo di ricapitolare i punti di minor tenuta della nostra versione delle cose; cercavamo di approntare argomentazioni plausibili per superare anche i pomeriggi pi estranei, le trasmissioni televisive pi corrotte. La mattina, al suono della sveglia, ritrovavamo la naturale sensazione di dolore che ci accompagnava da anni. 176. Ai piedi della democrazia, sparsi nei nostri appartamenti termoautonomi, in ufficio, nei parcheggi dei centri sportivi, cospiravamo per sconfiggerla senza saperlo. Avevamo opinioni su molti soggetti che non ci riguardavano e, la sera, ci riunivamo attorno a qualche equivoco, come il telegiornale, i programmi di attualit, e prendevamo atto di ci che era in corso, di niente.

Notizia. Per referenze bio-bibliografiche sullautore, si consulti: http://bgmole.wordpress.com.

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ANNA MARIA CARPI

7 A Norberto Bobbio. Un fax dal presente DOMANI IN LIBRERIA la riedizione di un vecchio libro Sulla vecchiaia. Lui defunto ma ancor vivo il nome. Ne rester pu darsi qualche immagine, le tre che lui ha ripreso da un altro morto che venuto prima, quasi un secolo fa. Noi siamo, dice, dentro lesistenza come una mosca dentro una bottiglia: si sbatte qua e l, se non c il tappo e se ha fortuna forse ne potr uscire. O siamo come un pesce nella rete, pi guizza pi simbroglia il disperato, la fine certa. La terza prigionia il labirinto, qui n mosche n pesci, qui c luomo: con la ragione forse pu trovare, pi indietro che in avanti, vie duscita, poich, lui dice, la libert donde siamo venuti. Natura, civilt, o tremanti ricordi di famiglia? Cosintende? Per nel labirinto non siamo soli, dice: lavorare con gli altri, tenere i nervi a posto, a che il luogo diventi sopportabile. E se poi, alla fine, in fondo ai tempi, qualcosa apparir che da noi non dipende, non lo sappiamo lui non lo esclude. Anche in lui un brandello di quella fede che non tiene pi? Con gli altri, dice. E dove sono gli altri? In questi ultimi anni qui non c pi nessuno in carne ed ossa: fasci di nervi a nudo, fino a sera, poi nella folla, al supermercato, nei prezzi, nei colori delle merci, e a casa la TV e lora di cena, 207

e non pensare, consumar qualcosa nella fretta che uccide. Poi notte. La ragione per pochi, i pochi forti. E com basso il premio: un luogo sopportabile. Eppure ognuno di noi piccoli ogni tanto non osa ma vorrebbe sapere che sar, che ne sar di lui dopo la morte. Dio? Ma anche Dio forse, come la ragione, soltanto per pochi.

*** Da H.Mueller, Shakespeare in viaggio (1969): (Shakespeare in viaggio/ da Stratford a Stratford/ via Londra/ Nel cuore pulsa la bramosia dellepoca/ Nel sangue la stanchezza/ di pi tardi. /Ghermire il sole/ Salto nellombra). SHAKESPEARE che torna a Stratford dopo Londra. Odia la strada, quella polvere, i pioppi, odia lepoca sua e gli idioti del tempo e il vai e vieni. Non vede lora che si faccia sera. Non ho pi niente, pi nemmeno un cuore. Non ho immaginazione, desiderio di averla, solo questo. Nel sangue una tardiva amara stanchezza, voglia dombre, voglia del soffitto sopra il suo letto e di guardare il muro. NON C PIU NULLA fuori. Bianco e nebbia. Io giaccio in una stanza, stanza altrui, ammalata non grave, sul divano. Gli amici al tavolo. tacciono, parlano. Delle cose pi varie. Morire, lentamente, in compagnia e che girandosi non trovino pi il corpo: dov andato? Dissolto. Non ero la mia carne. Io rido 208

dalle Fiandre, dai boschi di Mont Noir, dalle mura di un borgo nella neve, da una spiaggia su unisola in autunno, lacqua era gelida, ma io ho fatto il bagno fra i detriti e gli uccelli, e quando verr inverno per un po sar a casa negli alberi l fuori. Nessuno invochi: torna.

Notizia. Anna Maria Carpi, autrice di romanzi (Racconto di gioia e di nebbia 1995, E sarai per sempre giovane 1996, Il principe scarlatto 2002, Un inquieto batter d'ali. Vita di H.v.Kleist 2004) e di poesia (A morte Talleyrand 1993, Compagni corpi 2004, E tu fra i due chi sei 2007). traduttrice della lirica tedesca del '900: di H.M.Enzensberger,di H.Mueller, di D.Gruenbein, K.Drawert, H.Hartung.

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BIAGIO CEPOLLARO

DA LE QUALIT (work in progress, 2007- ) 1. Lagitarsi entro cose che pure non incombono n premono n chiaramente sono ai confini del corpo eppure premono e tolgono laria eppure sono una richiesta perentoria di soluzione ad un problema senza termini un problema nellinsieme vitale per continuare

- mentre punti gli occhi al cielo sapendo che soluzione delluna viene -se vienedallaltro dallalto dal centro

2. mi piacerebbe ora attingere lasciar entrare o salire anche solo lasciar deviare da traiettorie fin qui impensate non importa vedere non importa sapere cosa cera stato prima e da dove viene e perch mi piacerebbe che una di queste impensate accadessero: sarebbe improvviso calore nelle mani stando seduto su di un raggio di sole scivolato dalla grata sarebbe starmene cos 210

-in pace 5. ora che mi sciolgo in queste nuvole tra due parentesi di pomeriggio ora che mi fondo ai confini con queste ore vedendo voi in me e me in voi come pu la miopia e insieme il vederci da lontano farci e averci fatto anche senza saperlo- del bene. Corre ai margini dellocchio questa vita sfocata e con lei la mente che brilla fuori fuoco

8. talvolta nella doccia lacqua scorre con una piccola promessa di rinnovamento. locchiata verso il corpo in verticale a scorgere il trattamento del tempo sui muscoli sulle giunture in verticale una veloce ricognizione dellusura non devo pi fare niente. piuttosto richiesto un leggero aggiustamento per la stagione un potare di pensieri fino allarte del profumo acuendo in unica nota una musica troppo discorde finch con chiarezza risuoni dalla parte che non si vede

10. la maglia tiene caldo eppure non ne basta una a far pensare 211

ad altro per strada si lamentano come se il freddo fosse risalito alla superficie delle mani dopo esser stato affondato col peso dun sasso. la mano che si screpola sposa gli occhi allarmati ma n la maglia pi pesante n il cerchio che riporter lestate persuade.

12. cos debole che di per s la pioggia non farebbe rumore se non fosse per le auto che la pressano e la moltiplicano in microscopiche cascate allincontrario tra il primo suono indistinto e il chiaro clamore che subito torna allindistinto ricade una calda coperta di silenzio questo ritmo feroce di metallo e acqua che sembra non finire mai sta diventando una nenia una ninna-nanna: il corpo si stende e si ferma non sa che fare: attendere qualcosa oppure tagliar corto ed uscire (o se visto dalla parte della pioggia entrare)

14. qualcosa di non toccato pur con la pelle che si scava come se andando avanti nella storia a disfarsi fosse proprio la storia 212

non saprei come chiamare questo sorriso che mi si apre per la luce fredda che stamani nessuno qui si aspettava in lei si scioglie ogni cosa come se il passato fosse davvero passato e nella piazza il futuro liquefatto e placido nel lago che non c

11. unaltra volta forse si prender le mosse da un punto pi alto fin qui stato risalire a colpi dorgoglio confuso con lidea da proporre quella volta non ci sar bisogno di voltarsi indietro e nemmeno di guardare troppo avanti ci che ci sar la cura nel fare, lintuizione del propizio, labbraccio o la parola secca- basteranno e baster la pioggia se piover e il sole se far caldo la strada deserta o il rombo della gomma sullasfalto

[Nota. La numerazione dei testi provvisoria.]

Notizia. Per referenze bio-bibliografiche sullautore, si consulti: www.cepollaro.it.

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RENZO FAVARON

PI VICINA Ho alzato le braccia al cielo. Credimi: poco. Gli occhi, quelli, no. E lo so cosa c'era. Eppure non niente, credimi, che io lo sappia. Il giorno continua, toglie, aggiunge, non mai lo stesso. Dice e tace pi di quanto dovrebbe o solo il richiamo tra carezza e parola e nulla cos necessario come spremere una goccia Lo so, quegli occhi tempo di aprirli o di prolungare lo sguardo pi in l, dove un corpo dorme in attesa che qualcuno lo scorga o lo risvegli con il fiore. Questo: essere una candela sola non appena laltra si spegne. Piano lo dico: falso amore se chiede piet o rifugio. Davvero: se non uguaglianza. Il giorno toglie e aggiunge pi di quanto dovrebbe, ci vuole distanti perch io possa sentirti pi vicina?

* ESCO Accendo la sigaretta. Spengo la radio. Prendo lombrello. Esco. Ho perso, trovando. Sei morta? Sei viva? Chiudo lombrello. qui, al petto, che piove. Rientro. Accendo la radio. Perdendo, ho trovato. Sei viva? Sei morta? 214

La pioggia non cessa. Qui, a casa, apro lombrello. Sono fradicio. Mi confido. Senza dire una parola solo con il respiro.

* CONTA POCO Si sta al proprio posto anche se non noto. Conta poco, nulla il numero, la posizione della tessera o se resta uno spazio vuoto. Linterpretazione solo ai fini della riuscita, il fingere perfetto se non fosse che reggere il male la cosa essenziale. Dio mio, di quanto poco si parla: qualche comandamento appena. La fiducia, prima di scoprire che non ne vale la pena?

* LABITUDINE Oggi. Non si pu dire. Bisognerebbe cominciare. Ma da dove? come se fosse troppo tardi o troppo presto. I bambini dormono. Lei pure. E labitudine, nemmeno labitudine daiuto. Oggi. Non si pu dire. Di pi non cera. Bisogna cominciare, anche se si perso il filo. Con le mani bucate, pi che vuote. questa la ricompensa. Non il frutto, n lillusoria parola 215

di colei che fu soffio. * LE RUGHE Guarda il palmo della mano. Le rughe. Dove mi trovo ora? Qual il punto dintersezione? Guarda: corta la pi lunga. Breve il tempo che ci separa. La pala del mulino chi pu fermarla? Guarda: c una ruga pi sola. La riconosci? Non necessario. Sar pi chiara se un giorno saprai perdonare

* CHE PRIMAVERA Una rondine. Due iris. Che primavera . Non pi la pianura. Si direbbe una svista o che lo sguardo non fosse pi lo stesso. Pazienza. C qualcosa da fare. Sempre. Una casa da svuotare. Unaltra da riempire. Poco o molto. Non si pu dire. Solo una rondine. Due iris. Oggi. La pienezza.

* COS DENTRO Non sono i giorni dispari. Luned ha le corna, due lingue e occhi di blatta. 216

Mercoled ride a crepapelle, addita come in direzione di quello che balla a quattro zampe sotto gli occhi ammutoliti della luna, declassato da stella a zolfanello. Venerd quando si crolla di schianto e tutto gi glissato - la scena vuota e in fretta, nessun testimone, quasi i giorni pari non fossero che una chimera e potresti essere morto o come uno che cammina sulla neve senza lasciare impronta. Tu, cos dentro che non sei nemmeno per la pi piccola onta.

Notizia. Renzo Favaron nato nel 1958 a Cavarzere (Ve), vive e lavora a San Bonifacio (Vr). Dopo un'iniziale plaquette in lingua, nel 991 pubblica in dialetto veneto Presenze e cnparse. Poesie e note dell'autore sono apparse in varie riviste e antologie. Per le edizioni Pulcinoelefante ha pubblicato varie plaquette di poesia. Altri libretti d'artista con Quaderni di Orfeo e Il ragazzo innocuo. Nel 2003 uscito Testamento (Lietocolle), seconda raccolta in dialetto veneto. Ha inoltre pubblicato due romanzi brevi: Dai molti vuoti (2001) e la Spalla (2005). Del 2006 Di un tramonto a occidente (Lietocolle) e del 2007 Al limite del fertile, raccolte in lingua. Ha partecipato a numerosi festival di poesia e rilascato interviste alla radio.

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MARIO FRESA

Sono la pietra che ha mani bianche e traina il mondo. Io la terra del mare saggiamente so contare: ridisegnando, in un istante, la forma dei destini. Finire nei frantumi significava, infatti: accendersi, perfezionare il dono dellintesa. Sapr fingere il tuo sguardo, allora? Il fiume sar pronto a perdonare. Ma qui tu chiamerai tranelli: tu chiamerai le immense moltitudini degli occhi. Ma senza vincere: senza volere: senza tanto disturbo per quella luce che separa le dita dagli odori, il suono dai movimenti veri.

* Tu sei nel mondo intero e nella grazia. La dolce coralit degli occhi insegna: risvegliarsi e corrompere gli acuti grattacieli. Io non distinguo; cado ai piedi dellinfanzia. Precisione degli sbagli. C una visione di fedelt, di un odorare silenzioso che ricade come fuoco tra le spalle e che gi imbroglia la forma dellattesa. Permetti che sia questa la risposta? Sulla porta segreta i corpi annunceranno nuovi nodi e nuove resistenze: ma tu non hai lasciato che una distratta veglia, una povera cena, un paradiso.

* Lanima cade nella vetrata quando muoiono, dincanto, le parvenze. Era il poema violento della vista: ma ti accorgevi allora di non essere che un inesatto gesto, un sonno tutto lieve che scuoteva le dimore.

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* e che ha disdetto il programma metafisico degli occhi: e il linguaggio comune, sempre; la guerra un imbarazzo di voglie e di sentenze. Come daccordo, allora, la vera unione vuole collezionare incanti e belliche fatture. Allora il nuovo soffio poi ridipinge il fondo provvisorio degli eventi. Ma non vuoi mica primeggiare, salta, finisci: la fuga cominciata e il nodo si frantuma.

* Si avverato il tuo castigo e il sale eternamente affiora. S, le condanne, lincrociarsi di serali vittorie per governare quei giganti; fermamente sembrava un cominciare di rinnovate fiabe, quel continuo disturbo di pensiero.

* Le gambe simulavano disordine e bellezza: di l da questi tuoi confini si rimava e si cuciva. In quella nuova manciata daria bianca si apriva il divenire e si mostrava in una confessione vera.

* La profezia ci sorvegliava gli occhi. Poi la casa fronteggiava i piedi ansiosi, la nave solitaria del frastuono: Entra, dicevi, finisci la tua mania per sempre: questo ballo che ci muove distrattamente, vicino a queste dolci tue muscolature: il tormentoso volgersi di quel destino.

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* Il fiume attraversava quel sorriso con una fine destrezza vieni: e il lavoro di entrare e di riempire significava, infatti: sciogliere i nodi e imprigionarsi al cielo.

* Tu mi chiedevi un dono, un orologio per contare le formiche degli assalti, le feste vinte da un angelo leggero: una ressa dintrovabili parole che invitava allingegnoso salto nel buio. Cos la sera di cristallo scivolava nellardire: io ti guardavo ansiosamente stringere la mano dei penultimi confini.

* Non altro fuoco, non altro profumo che il tuo sonno. Un cos vasto prezzo sai camminare e prendere? Sai camminare e perdere? Ti lascer quel sangue e quel destino. Ti lascer il coltello dellattesa. Adesso, ascolta: la scatola perfetta degli errori cade nel piatto e poi rimescola i registri, la dolce seduzione delle cene. [Sculture (2007)]

Notizia. Mario Fresa nato nel 1973. Ha pubblicato due libri di poesia, Liaison (2002, con la prefazione di Maurizio Cucchi) e Luomo che sogna (2004), e due plaquettes: La dolce sorte (prose poetiche, 2006) e Il bene (2007). Suoi testi poetici sono apparsi su numerose riviste, tra le quali Paragone, Semicerchio, Gradiva, La clessidra, Specchio della Stampa , Capoverso, La Mosca di Milano, Le voci della luna, Il Monte Analogo, Il Banco di lettura, Erba dArno, Larea di Broca. presente in varie antologie, tra cui Nuovissima poesia italiana (a cura di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, 2004), Mosse per la guerra dei talenti (a cura di Marco Merlin, 2007), Da Napoli/ Verso. Almanacco di poesia contemporanea (a cura di Stelvio Di Spigno e Antonio Spagnuolo, 2007), Il corpo segreto (a cura di Luigi Cannillo, 2008). in uscita presso LietoColle una sua nuova raccolta poetica, Alluminio, con la prefazione di Mario Santagostini. Altre sue poesie sono in corso di pubblicazione sull Almanacco dello Specchio .

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JACOPO GALIMBERTI

IL SACCO (Gott mit uns) Avevamo dormito coi cavalli in una sala altissima con dipinti uomini nudi. Alle prime luci siamo andato in citt, io, quattro spagnoli e un fante del Gonzaga. Eravamo al terzo giorno, dappertutto cadaveri e carcasse marce o carbonizzate. Entriamo in una casa, c' una donna. Gli alabardieri del Borbone iniziano ad appiccare il fuoco a tutto e a violarla, anch'io. All'improvviso ce n' uno che crolla Un ragazzo, avr forse avuto la tua et, uscito dalla dispensa e gli ha infilato una forca nel collo urlando: Luterani assassini , Avevo appena armato l'archibugio, morto sul colpo, credo. Sua madre s'alza e cerca di fuggire. L'abbiamo presa e legata a testa in gi. Poi l'abbiamo aperta, come un maiale. L'alabardiere morto nel pomeriggio. Cos, in estate, raggiungerai a piedi l'Elbe e le milizie dell'Elettore... Quando avevo la tua et sono partito da Lbeck, ero stanco di spaccarmi la schiena al porto, come mio padre. Capisco la tua fretta. La vita del soldato anche fatta di soddisfazioni e grandi amicizie. Tu mi spieghi che l'Elettore noto per pagare in tempo e per pagare bene. Dopo trent'anni di campagne una cosa la so: non ci sono Papi, Duchi o Elettori che paghino bene, e in tempo. Comunque, sappi che ci saranno poi delle sere che sei magari di stanza in un villaggio dove i contadini hanno perduto il senno, ci saranno sere in cui il sangue nero ti soffoca e andrai a domandare a Dio per quale motivo ti lascia uccidere e fino a quando, in battaglia, sar con te. Il mestiere delle armi non per chi indugia, anche tu compierai azioni di una ferocia oggi inimmaginabile. Ma quando, arrivata la bella stagione, farai il tuo sacco e ti metterai in viaggio, avrai la mia benedizione. 221

E l'archibugio. * LA BICICLETTA Due uomini a volto coperto sono usciti dai faggi e si sono messi in mezzo alla strada. Uno aveva una Walther P38, che era poi la pistola della Wermacht. Ci hanno fermati e ci hanno fatto scendere dalla bicicletta. Quello pi alto mi ha detto: adesso vai fino in paese, a piedi, e di' che pap stato condannato dal tribunale del popolo di Opera. Perch ha chiesto le retate di Natale. E perch un capitalista. Pap si era tolto il cappello, piangeva, s'era seduto per terra. Io mi sono voltato e ho iniziato a correre. Il ministero alla fine degli anni '70 mi aveva mandato alla Brera per capire che aria tirava. Prendo un caff al bar di fronte ai cancelli. C' un grassone in ciabatte e canottiera, beve un bianchino, si accende una sigaretta. Il barista gli versa da bere e dice: bella la pensione eh, Ronzon? ma non bertela.... Lui ride, chiede un altro bicchiere si riavvia il riporto. Ora, io non voglio dire niente contro l'Amnistia, ci mancherebbe. Altrimenti saremmo ancora qui a spararci addosso. Per non eravamo in aprile o in maggio. L'estate era gi quasi terminata.

* Quando la milizia privata dellarcivescovo ha sfondato il portone del convento femminile di clausura, Laura si presa una sberla, perch non voleva dire dove si trovasse la biblioteca. Imprecando, i soldati hanno iniziato a gettare le bibbie e gli jubilate in un piccolo rogo. Poco dopo, le sorelle sono state riunite 222

in malo modo nel chiostro per la lettura di una grida: dora innanzi, laico o r eligioso che verr trovato in possesso di libri o documenti contenenti traduzioni in lingue volgare delle Sante Scritture Quando una sorella sente impiccagione sviene. Il soldato fa un ghigno, arrotola la pergamena e scandisce ad alta voce: firmato: Arcivescovo Carlo Borromeo. Laura chiusa nella sua cella. Sono tre giorni che non si reca al desco. Da ieri rifiuta lacqua. La badessa venuta a dirle che stamani larcivescovo ha promesso delle bibbie in latino, pur sapendo che nessuno al convento sa leggerlo. Laura si morsica le braccia, si muove come un ossesso, urla, sbava. Forse la badessa lha capito: sorella Laura impazzita perch erano diciassette anni che non vedeva un uomo.

* Alle due di notte del 14 giugno 1787 Franois Brier e due gemelli bretoni sono in piedi dentro un fosso asciutto. Dopo neanche unora, sulla mulattiera arriva luomo dello stampatore ginevrino. In un francese incomprensibile spiega loro il contenuto delle ceste. Una cosa per chiara: si tratta di letteratura filosofica. In una bettola a nemmeno dieci miglia da Parigi Franois, completamente ubriaco, si fa coinvolgere in una rissa. I due bretoni, quando arrivano i soldati, si sono gi eclissati. Gli controllano le ceste, restano sbalorditi: La Monaca di Diderot, Thrse Philosophe con le celebri stampe erotiche, Mirabeau, De Sade e addirittura sessanta copie del Dizionario filosofico di Volterre. Franois sa bene che per il suo reato 223

ci si potrebbe fare ventanni di carcere, ma sa altrettanto bene che le prigioni di Parigi sono piene. Forse se la caver con il taglio di una mano.

* LOSTE DELLA LOCANDA DEL CERRINO Dopo una settimana tra la vita e la morte Michelangelo tornato alla locanda. Sembra un mostro. I sicari gli hanno reciso un orecchio e il naso. Ha perso quasi tutti i denti. Sullocchio si messo una benda nera da bucaniere. Loste gli dice che deve ringraziare Iddio perch tre uomini armati fanno un morto seduto. Michelangelo impugna il bicchiere di terracotta e si va a sedere sui gradini rotti davanti alla locanda. Il legno ancora macchiato del suo sangue. Gli grida dentro, con accento milanese, spaccone, che non ha da ringraziar nessuno, ch i Tommasoni lo vogliono vivo. Adesso torner a Roma, pagher lammenda e lomicidio di Campo Marzio sar mondato. In fondo alla scalinata sintravede il porto e un galeone spagnolo allancora. Loste esce scalzo, siede con lui sui gradini. Pensa che Michelangelo uomo donore: stato cavaliere di Malta e a Roma dava del tu a nobili e cardinali. Poi, pittore di grande ingegno. Ogni cosa cade verso il basso rapita dal bisogno di tornare al riposo, nel seno della Terra. Ma il ritratto che Michelangelo gli ha fatto al Pio Monte 224

a fianco a Sansone lo vedranno i suoi figli e i figli dei suoi figli.

* I GOMITI I gomiti sono sfuggiti a Policleto, ad Alberti a Dior rincagnati dietro ignari delle pastoie di un canone morale ed estetico. Ce li si pu guardare, di sbieco, con concupiscenza. Un quadrato di pelle dove il sipario fallisce, dove l'immaginazione non aderisce in toto all'immaginario.

* Perch qui, tutta la mattina, nel letto a me a fianco rimani? Non so, in autunno, dove lavorer, che lingua indosser, o se imminente e dilania. Qualche ora, addosso, mi ancoro. Cos un morso nei miei minuti ti affranca? Si. O forse questa smania di presente solo voglia di te.

* LA MACCHIA Una macchia bagnata, biancastra. Il panico. Subito a chiamare un'amica. Guardami negli occhi. Quando ti alzi e te ne vuoi andare 225

basta che chiudi. Stai attento alla porta, sembra chiusa a volte, ma non lo . C' qualcosa in frigor e fai pure colazione, se vuoi. Guardami: non fare cazzate. Nel salottino le maschere africane e l'odore del rum rovesciato sul tappeto al rientro. Una caccola di fumo, che mi sono intascato, la foto del festeggiato, la tenda bucata ma con le nappe. Fuori nevicava. scappata al lavoro e mi ha lasciato l, da solo. Che coraggio. In questa macchina vietato fumare. Dal finestrino. Fa freddo, lo so. Da quanto sei in citt? Hai gi qualche amico o amica forse... Il frigor: vuoto, il latte scaduto. Una dozzina di yogurt magri, una Coca light. Faceva il pane in casa. Il gattino giocava con un filo che mi pendeva da un bottone della giacca. La storia con il mio ex finita da un anno. Ma sono ancora innamorata, il che non piacevole, hai ragione... Non balli? Conosci il festeggiato almeno? Una stanza celeste con il baldacchino. Uscendo ha alzato il riscaldamento, per me. Ho rovesciato la bottiglia d'acqua a fianco al letto. Ci siamo addormentati abbracciati ubriachi sotto una gigantesca luna di legno intarsiato.

* I SOLDI Adesso, fra uno o due anni ho finito. Mi laureo. Ma con una laurea in antropologia cosa faccio? Un lavoro di merda, in un call center o gi di l. Il che mi impedirebbe persino di continuare la mia attivit militante. Una via d'uscita ci sarebbe, solo che un casino. Nel vero senso della parola. Ho delle amiche che affittano un posto. 226

Dividono le spese si prostituiscono. Guadagni relativamente bene, guarda, in strada non ci finisci quasi mai. Fai tutto su internet. Poi, certo, devi fare un minimo di selezione. Intanto faccio un corso di cucina, magari riesco a trovare un lavoro a met tempo. Non so se sarei in grado fare un mestiere del genere, eh, forse avrei schifo. Comunque ci penso, dopo la laurea vedremo, no? Grazie per i soldi.

* LA CLINICA Il bello di stare in una metropoli che in periferia ci sono cliniche che fanno esperimenti. Giugno: si iscritto sul sito ma non l'hanno chiamato. Ora li contatta lui. Ricever un plico in una busta raccomandata. Entrano cos. Egregio, testare un medicinale per la lotta contro i tumori. Quattro settimane di degenza, poi due passaggi di controllo (10 min.) a distanza di tre e sei mesi. Lo studente prenderebbe quattro volte lo stipendio di sua madre, salderebbe i debiti di un anno e ci sarebbe anche spazio per una settimana al mare, in settembre. Questo medicinale gi stato testato in Germania su 49 pazienti: 2 hanno accusato saltuarie emicranie 2 attacchi di panico 1 svenuto Animali: con dosaggio 150 volte superiore a quello che Le sar somministrato, un cane di taglia media deceduto. Una gatta gravida ha perso i cuccioli. Da quando mesi fa in Florida tre cavie sono morte i salari si sono raddoppiati. adesso che non trovano, adesso che hanno i media addosso. Va a vedere alcuni forum: la stessa societ che fa le pomate che usa per la dermatite... Tocca inavvertitamente lo schermo: 227

guarda incantato la propria impronta digitale. Si fa un caff, porta dentro i panni, c' aria di temporale. Tira su col naso, sente il muco partire dietro gli occhi, poi nella gola, poi se lo immagina scivolare in un buco e percorrere un budello cieco e tortuoso. Domani chiede al suo ragazzo un parere. sotto la doccia, s'insapona, s'asciuga, prende il tronchesino, si taglia le unghie dei piedi.

* LE DUE PROFETESSE Ma guarda te che roba! Tappati il naso e raccogli i bicchieri, andiamocene. Anezca pulir. Ma quelle erano due... hai visto anche tu come hanno ridotto... Sono gi a fare colazione adesso. Come, e non si vergognano? La capa vuole che pulisca Anezca, nuova, ora che s'abitui. Si, siamo un quattro stelle ma tu non lasci una stanza in quello stato! Il materasso da buttare, guarda. L'anta aperta, un odore acre, pesante si alza verso la finestra con un ronzio. Una chiazza, due, tre, le lenzuola appallottolate creano un ansa. L'odore greve l, quello pi grosso ritto. Sono due camioniste? Senti adesso bisogna dirglielo: devo apparecchiare per il pranzo. Non glielo puoi andare a dire tu? Cazzo sono venute a fare qui 'ste due? avvolto in una culla, acciambellato nella conca bagnata, tra la federa lacerata e il muro. Come offerto sul guanciale, un massiccio groppo di merda. 228

* La placca adriatica impatt. Questi sassi si sradicarono a un crampo millenario incominciando a aggredirsi, a fondere. Vennero poi trasportati dai dorsi dei ghiacciai o rasi al suolo dilavati da piogge di zolfo. Morsi ora da una muta verde, i cavalloni protraggono le loro ernie segrete montandosi o franando in schiume glabre, su un letto di scisti. Con gesto grande i primi licheni si inerpicarono su questi scogli in secca sotto un cielo livido di monsoni. Con il treno entriamo nella montagna. Nel tunnel pare di sapere da sempre che tra i crepacci torneranno le danze immense e i corteggiamenti dei cetacei.

* LA POLVERE E L'ASTEROIDE Il pulviscolo atmosferico freme artigliato da vortici e vomeri d'aria, ma conserva immutato un orgoglio di nube. Come memore di un'et dell'oro di un proprio gesto inaudito e dimenticato. Questo Icaro sminuzzato decade, e senza mito s'addiziona ai lacerti che coprono il pavimento. L'intruglio arido ne mutua unambigua maest: pesa poco pi dell'aria, avr volo incerto e anfibio. Se la coltura incomincia a minacciarmi, 229

con un soffio spavaldo la caccio alle periferie della camera. I ramponi pelosi lasciano, la coltre polverosa caracolla indifferente, sbanda e altrove si rimonta. Ma poi ho guardato la notte e il sole passare sotto, a chi sta pi in l. Questi stessi granelli di polvere, nel Cretaceo, si alzarono unanimi, e per anni tennero la Terra ferma in una notte bruna. E poi, come una palla, questa stella pass ad altri.

Notizia. Jacopo Galimberti nato a Pavia nel 1981 ma fino a settembre 2005 sempre vissuto tra Monza e Lissone, con leccezione di un lungo soggiorno a Copenhagen. Dopo aver terminato il Liceo ha fatto, a Milano, studi universitari in sociologia, antropologia e storia dellarte. Allo scadere dei 25 anni, tuttavia, ha deciso di lasciare lItalia e dopo aver abitato a Parigi e a Dublino ora nuovamente nella capitale francese dove prosegue gli studi in storia dellarte e lavora. Scrive poesia, prosa e saggistica di carattere storico (nel 2009 esce un suo libro su Lucio Fontana scritto con Silvia Bignami), molti dei suoi tesi sono su internet. Nel 2008 ha vinto il premio Renato Giorgi (sezione B).

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AMOS MATTIO
Uomini e donne tipificati, a infornate uniformi. Tutto il personale di un piccolo stabilimento costituito dal prodotto di un unico uovo bokanovskificato. Novantasei gemelli identici che lavorano a novantasei macchine identiche [] Adesso si sa veramente dove si va. (A.Huxley, Il mondo nuovo, 1932)

IL MONDO NUOVO Stacco pezzi di rugiada, raccolti sottopelle, come avanzi di musica sbiadita, sugli accordi pi commoventi, scivolati su lacrime di treno e angosce tutte notturne, lontane vite intere. Lo sporco ha il sopravvento e lacqua guasta sotto gli occhi, asciutti stracci stropicciati, verdi rigati con fatica in grigio. Poco di quei ricordi si nasconde sotto le unghie, in mezzo ai denti per un giorno, inutile memoria ingenua, sopraffatta continuamente: punizioni e pulizie mentali, soffi fuligginosi e polvere per spegnere i respiri, le sinapsi tra il cuore e il mondo interno. Scuro labisso si fa allegro in tanti scoppi colorati, sprazzi tra i caroselli, risate preconfezionate, piatte. Un sogno si fa reale, un alfabeto senza domande, un mondo nuovo, nel buio, senza angosce.

* ACCIAIO IN STRISCE Preme leggero un soffio di aria e un profumo, sullacciaio di un giorno vivo, tra le ruote lucide e il mondo, sui binari che affilano la strada in strisce e spigoli sconnessi. Cigola leggera, sopra i giunti, molle 231

tra gli interstizi e trova spazio per un pensiero, poi la voce, tra gli ingranaggi, e un sospiro tutti notturni in mezzo a passi che si affrettano, ammucchiati in fondo alle fessure, allombra. Poi un calcio li disperde e il vento riprende le alchimie tra le rotaie, il tempo di una sosta, e spinge dentro il metallo, un urlo, per rubare spazio ai rumori, un sogno e farli deragliare: un soffio che scivola sui bordi, perso in grani di silenzio e polvere per fare altre parole. Restano frammenti tra le voci, stucco azzurro sulle crepe, tra gli istanti.

* GRINZE DI TERRA: VARIAZIONE I (pulci di terra) Vivo tra le rughe di un enorme animale, in una piega che sa di gelsomino, profumata con spezie e bergamotto, colorati in macchie giustapposte, tenui nellocchio socchiuso, via del Corso tra mille luci, pullulare di spettri e vellutini, sciarpe di seta trasparenti e lana antica del Kashmir, pashmina, intrise di altri odori, e lingue diverse, una Babele tirata a lucido, una piazza non ancora avvizzita sui lumini giocosi delle feste. Intanto dormono tutti, altrove pulci di terra, colorate.

* IL FERMACARTE Un quadro e una finzione, un bacio scomposto allimprovviso, il tempo di mordere la fiamma e il labbro e scendere in silenzio il buio 232

per piaghe famigliari: un arco, un abside e una pala sacra, nascosta dalla luce, rampe, pilastri e contrafforti attorno a un mondo di cartone. Tremano con lo stoppino, alberghi che vivono mezzora, i tratti del fermacarte, immenso per una notte, ritagliato un varco tra le ombre, mostro cinese orrendo, con le braccia attorno alla gola e al segreto nascosto nei riflessi: il sogno di vivere uno specchio, nelle sequenze e primi piani, a tratti, senza respirare. Un soffio muove la notte e sfoca le mani dei giganti: tempo di prove silenziose al buio

* (LANIMA E LA SCOGLIERA) Un sasso e la scogliera: aspetta ancora non si mosso il vento la fine del gioco. Intanto lerba cresciuta ad ogni estate e poi la sabbia, il sale e la luce pi bassa allorizzonte. E ferma in bilico sul mare e osserva lacqua ogni giorno. Sempre uguale, laspetta tra le onde, un sasso insieme agli altri per salire ancora verso il cielo, azzurro riflesso che si specchia. Aspetta lora del tramonto, per cambiare angolazione al mondo, un salto, lanima di mare, un sasso.

* IL TRUCCO, VARIAZIONE I La vita una signora triste che canta sottovoce e intanto si trucca gli occhi con ombretto pesante, denti forti e labbra carnose, disegnate e bianche 233

di rossetto. Con la mano tiene uno specchietto e con laltra asciuga una guancia e cancella le sbavature un fazzoletto contiene i capelli, ricci da spazzolare, prima di scendere dal treno. Locchio si ostina a lacrimare: lei ride per farlo smettere, poco convinta, ma si quieta e lei pu continuare, assorta, per non pensare, sulla luce che illumina le ciglia, nere e lucide. Sorride e smette di cantare, il tempo del fazzoletto, dei capelli e unaltra tratta cotonata, al buio.

* IL TRUCCO, VARIAZIONE II La voce sussurrata: gli occhi aperti nello specchio, bianchi di ombretto e madreperla, grandi la inseguono nellombra. Con le mani carezza le labbra e corregge le sbavature; una matita ripassa i contorni e copre parole e debolezze, un sogno e cipria sulle guance. Un canto sostiene sottovoce un blando ricordo di oltremare, azzurro che scivola dagli occhi, al buio. Lo asciuga un fazzoletto, chiaro come le labbra, attento che il trucco non scolori lungo le guance, opache e lisce legno levigato. Un tratto completa il sopracciglio, arcuato attorno al volto. Lo smalto degli occhi si asciugato, e brilla nella penombra, con il trucco, bianco.

* POESIE DEL DISINGANNO: IL VIZIO DI SISTEMA ritorno su s stesso, 234

piano inclinato che riporta verso il fondo tutti i resti dellesistenza, scorie allitterate e in rima, escoriazioni, memorie, storie, carie trascurate da sempre, ricoperte con smalto rosso, speranze e attese disilluse, ricerche e dispersioni destinate a un fondo anticipato. Il dissesto non ha memoria, e risale al mesozoico, alla deriva dellincoscienza: a un asse spostato di un centimetro su mille. Un vizio di sistema, un difetto di fabbricazione: le misure sono adulterate, la poltiglia sul fondo un incidente, da passare al setaccio, mentre scende altra fuliggine confusa sul piano inclinato, su un paesaggio plasmato da un peccato originale.

* ANOMALIA DAUTUNNO Trema appena, aggrappata nel folto dei rami con le mani strette alla vita, alla gola distesa e nuda, e la linfa comunica tra i vasi, osmosi di sangue e clorofilla parole in ostrogoto, in turco, armeno ladino e gallurese, e voci interne ed interiori, mentre il vento parla tra i rami, e incanta le belve di Acheronte e le accompagna lontano ad appassire, mute allombra di un piede, in terra. Verde tra i rami rimasta, con gli occhi socchiusi ad osservare un cielo abbacinante, grigio man mano pi spazioso, grande e parla sottovoce indifferente alla stagione. Trema appena, nella divisa estiva, sorda ad altri richiami, bizzarra foglia dautunno sempre verde.

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* SOLO AL MONDO Dettaglio innaturale, un aguzzo spigolo nellombra, un cornicione risparmiato dal tempo, sfuggito al primo sguardo, frettoloso di chi non pu fermarsi, istante dopo istante, fluido, viscido di Anassimandro, e prosegue sfregando il mondo con mano pesante, grigiamente, assente. Lo spigolo lo osserva andare, incredulo, e respira polvere di terra consumata, passata, coi secondi, andata. solo al mondo, relitto sopravvissuto, gli occhi che brillano nel buio, solitarie macchie di luce; li socchiude incerto tra la gioia e la speranza di un altro passaggio. Intanto regna sullombra, aguzzo.

Notizia. Amos Mattio, nato a Cuneo il 4 luglio 1974, vive a Milano. Si occupa di consulenza editoriale nellambito della narrativa in lingua inglese, di traduzioni e di comunicazione. Dal 2008 segretario organizzativo della Casa della Poesia di Milano. Presente nellantologia Nuovissima Poesia Italiana (Mondadori, 2004), nel 2004 ha vinto il concorso Lietocolle Opera Prima, da cui con il volume Bestie e dintorni (Lietocolle, 2004), menzionato al Premio Montano nel 2005. Nel 2007 stato tra i vincitori del premio Cetona Verde. Tra i lavori recenti, il testo narrativo per levento tra parole, musica e immagini Il fiocco magico (Cuneo , 2008), il recital di poesia e musica Bestie e dintorni e un romanzo.

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ANTONIO PRETE LORA DI COMPIETA


Now, as desire and the things desired Cease to require attention ... (W.H.Auden, Horae Canonicae)

Ora che il desiderio abbassa la vela, e viene con un tepore di piume la sera, ora che il corpo si allontana da se stesso cercando il respiro delle piante, ora che il giorno un numero cieco nel labirinto dei numeri ciechi, mostrami la trama di quel che stato, la filigrana del vento nelle parole, mostrami delle stelle, del loro moto, la musicale, pensosa geometria.

Quel che separa dal grido della rondine una strada di polvere nera, dove camminano pensieri gi sfiammati, dove quel che accaduto ha il passo duna nuvola rossa che si spegne.

In questa privazione di celeste, che torpida mancanza dellestremo, in questa nebbia che separa il corpo dagli altri corpi ed arida implosione della gioia, ora che gli angeli nellombra col liuto dalle corde spezzate e le chiome raccolte in nastri blu mi guardano con un sorriso denigma e di stupore, in questo arido giardino del silenzio, fai sentire il tuo passo sul tappeto della sera, il tuo passo che sorvola i secoli e sa labisso dellinesistenza.

Che io possa ancora inventare la luna, chio possa incorniciare i sogni col respiro ondulato di un giorno ubriaco del suo azzurro. Marzo 2008

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* CAVALLI VEGLIAVANO LE PORTE DELLE CASE Cavalli vegliavano le porte delle case sospirando una nenia. Da un sassofono soffiava un vento di albe marine e un leone passeggiava inquieto conversando da solo. Due rosse nuvole sinseguivano sbattendo sulle persiane. Venne un silenzio chera vertigine di cieli dischiusi. Dal vuoto non sgorgava una parola. Sul fondo della strada poteva ora apparire langelo del giudizio.

* SUL SILENZIO Congiungere lalfabeto e il moto delle stelle, nel cuore della sillaba avvertire il battito del tempo che si curva nellirreversibile, scorgere nel cristallo della parola il lampo dellaccadere e il suo vanire. questo il sogno della poesia? Forse, di l da questo c solo la rosa imprigionata nella sua apparenza, lazzardo della lingua e la sua impotenza.

* ROSA DELLINFINITO Un fagiano, l improvviso sfrascare, il volo verso la linea dei lecci. Quale nodo o legge lo accorda al vortice infiammato di un astro che deflagra e sinabissa? Che cosa unisce, nellombra della sera, il passo del ragazzo allurlo dellonda 238

sulla scogliera, al sonno del cane sul viale, allimpeto del vento nel faggeto? Dallorigine gettati nel mondo, siamo respiro del tempo, diceva, del suo transito verso loltretempo, mentre si sfoglia e profuma la rosa dellinfinito, e vola senza posa.

* CORTEO MERIDIANO Corpi diafani, leggeri, camminavano su un tappeto bianco chera daria e di nuvole, e in mezzo a loro animali dogni specie, con passo leggero, antilopi, gazzelle, zebre, cervi, giraffe, bisonti, tigri, bufale, daini, leoni, tutti fuori dal loro ambiente naturale, non cerano savane n foreste n fiumi intorno, andavano piano verso lorizzonte, dove un sole rosso indugiava su una linea di deserto, poteva essere un pomeriggio destate, si sentiva solo il suono dei passi, soffici, lievemente cadenzati, accordati tutti in un solo ritmo, in alto volavano stormi di grandi uccelli bianchi, al centro della folla peregrinante appariva un carro dorato condotto da quattro cavalli che avevano criniere bianche su dorsi brunolucenti, e sul carro, in trionfo, una donna bellissima vestita di verde che rinviava come dei riflessi di luce anchessa verde, la luna, mi dicevo nel sonno, chiaro, la luna, la portano solennemente verso lorizzonte, cos dicevo, o pensavo, mentre anchio entravo nella folla di uomini leggeri e di animali che portavano in trionfo la luna, la portavano verso il lontano orizzonte.

* MARINA Il tempo, sulla riva, selce, alga, orlo danfora, scheggia di conchiglia, frammento dosso, polvere di vita, vento donda che fruga nello scoglio, quieta ombra di nuvola che plana sulla sabbia. Lontano, il lampo duna cresta in fu ga verso lorizzonte. Lapparenza nel cuore dellistante.

Notizia. Antonio Prete insegna Letterature Comparate allUniversit di Siena, dove dirige anche la Scuola Dottorale LInterpretazione. nato a Copertino, nel Salento. Allattivit di saggista e critico ha sempre unito quella di narratore e di traduttore (ha tradotto testi di Baudelaire, Mallarm, Valry, Rilke, Jabs, Machado, Celan, ecc.). Ha curato edizioni di classici (Leopardi, Baudelaire, Gide) e ha pubblicato numerosi saggi di critica e teoria letteraria,

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in gran parte usciti presso leditore Feltrinelli, a Milano. A due grandi autori, Leopardi e Baudelaire, ha dedicato numerosi studi, tradotti anche in altre lingue. Ha tenuto corsi, lezioni e conferenze in molte Universit straniere. stato professeur invit presso il Collge de France nel 2006 e presso lEcole Normale di Lyon nel 2008. Ha diretto la rivista di poesia e teoria del linguaggio poetico il gallo silvestre . Saggi Il pensiero poetante , Feltrinelli, Milano 1980 e successive edizioni. Il demone dellanalogia. Da Leopardi a Valry: studi di poetica , Feltrinelli,1986. Prosodia della natura . Frammenti di una Fisica poetica , Feltrinelli, Milano 1993. Nostalgia. Storia di un sentimento , Cortina, Milano 1992. Lalbatros di Baudelaire , Pratiche, Parma 1994. Lospitalit della lingua. Baudelaire e altri poeti , Manni, Lecce 1997. Finitudine e infinito. Su Leopardi , Feltrinelli, Milano 1998. Sottovento. Critica e scrittura , Manni, Lecce 2001. Il deserto e il fiore. Leggendo Leopardi , Donzelli, Roma 2004 I fiori di Baudelaire. Linfinito nelle strad e, Donzelli, Roma 2007 Trattato della lontananza , Bollati Boringhieri, Torino 2008 Narrativa Le saracinesche di Harlem, Lobliquo, Brescia 1988. Limperfezione della lun a , Feltrinelli, Milano 2000 Trenta gradi allombra, Nottetempo, Roma 2004 Un anno a Soyumba, Manni, Lecce 2008 Lordine animale delle cose, Nottetempo, Roma 2008 Poesia Menhir, Donzelli, Roma 2007

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GABRIELE QUARTERO

SUL NON DIRE LE COSE Non forse cos interessante n tantomeno attendibile, ogni ragionamento fatto per essere scardinato. La sua grammatica un sistema doloroso, labirintico: e davvero siamo qui-ora-noi; in questo iato? proprio ora-noi-qui nellatto di ma le parole sarebbe meglio lasciarle per una volta stare. Sempre l a rimestare, nel gi detto. che personalmente non mi fido. Non sarebbe forse interessante dire di una vita incalzante, parallela, che viene celata? Anche alle parole. Delle tante bugie preferisco quelle non dette.

* Ora tutto sembra semplice, steso in parole piane; ma i silenzi che di tanto in tanto sintromettono possono anche spaventare: esiste un passo pi rapido, dove tutto gi deciso, ci si acquieta in una meteorologia soporifera. Nel restante tempo abbiamo una speranza che non si pu per saggiare, non con questa misura ma spesso poi quel che distante ritorna, qualcosa vuol pur dire: al rientro tutto si ingrigia le auto in coda rallentano dove piuttosto non siamo, oppure apparteniamo ad altrove, neanche noi possiamo dire quanto manca a , oppure se, e se c questo termine spesso negato. Unaltra nebbia ha voluto fermare 241

il ricordo, nello smarrimento, nel punto di fuga, l tra le case in fondo alla prospettiva che indifferente aspetta.

* IMPURIT Non cercando di liberarmi da ogni zavorra, questo io scrivo, in modo sciatto anche, ma soltanto quando mi riesce. Limpurit sottintesa nel gesto, nella condizione. Fossimo fatti daltro non rischieremmo neppure ci che resta sulla carta ci grazierebbe ogni volta. Eppure il tempo grava noi dun segno tremolante, non possiamo farne a meno. A volte ci nascondiamo, ma si sa dove trovarci.

* OGNI CATASTROFE Il libro sul comodino (aperto) qui di seguito riportiamo: meglio no. Le pagine: tutto gi accaduto e ci negata ogni forma di controllo. E pensiamo a frutta appassita intima natura dei nostri appartamenti (sopra a un vassoio, l, a portata di mano) Il giorno dopo: le dita tengono il conto (un poco infantili) di ogni catastrofe. 242

Ora: questo cielo oppure terra? Il libro lo dice certamente.

* Ogni cosa lo sai ha un limite lo riconosci anche in fotografia, con le tue unghie che ne indagano il margine bianco, infilandosi dove la carta kodak si solleva in unorecchia di trascuratezza e tu sempre pi separi la patina lucida dalla carta spoglia ma bianca e porosa come il cuore morbido segreto di ogni nostra parola. Purtroppo si rivela essere un atto da pazzi lo sappiamo non esiste un dietro n tantomeno un dentro alla cosa: del resto anche le poesie possono essere vere o false, relativamente. Tu di te non dire mai niente.

* I SOTTODEI Facciamo oggi per una volta anche di noi un andarsene a braccetto con il caso che vuole di noi quel che sembra E che non sembri opportuno che non sempre serva il deviare la circostanza il fare in modo da il fino a che il perdersi dietro a scuse ancora non diciamo, perch di noi conosciamo bene 243

ci che non ci precisa: loro ci muovono, comunque; sanno di noi molte cose. Senza orrore affrontiamo, intrusi, un altro giorno flebile; tutto quellesser contenti del qui dellora ci brucia. Poco importa. Per una volta si sta nel mezzo, si guarda altri naufragare.

* CREPUSCOLO Si trattava dice quasi certamente di equivoco, nel parlarsi, due voci fra loro inconfondibili pronunciavano le stesse espressioni, lo stesso effetto in chi ascoltava sonnecchiando, dopo pranzo. Ora di fuori il bosco incupisce in uno sparo: due mondi diversi o piuttosto la stessa voce sdoppiata? E che talvolta lorecchio si perda cullato dal dolce riflusso e torni a riudire il tramestio della cerca, il rimpianto il vociare che separiamo netto in due toni, dentro a noi e, meno silenzioso, di fuori non cosa infrequente, del resto.

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OGNI CITT ILLUMINATA Guarda il pav scivola via nel gorgogliare delle grondaie e il viale fradicio saccende febbricitante si specchia dentro a ogni fanale, a volte il pav sibilante, stridente sotto a sabbia e ghiaia sotto a pneumatici viscidi dentro a insegne piangenti il pav si snoda in squame di rettile, nella pioggia battente. Ora quando tutto ha fine oltre i vetri di questa pensione la citt riprende il suo salmodiare di basso profondo respiro denso di ogni citt illuminata a tarda notte dove tutto si tuffa e perde identit e non ci conosce pi.

* TRAMONTARE e questo lamento domestico dietro a finestre come il cigolare lento di gru nel cantiere, in cielo, quando s a fine giornata la litania si infila nelle case sul tintinnare di posate su tovaglie a fiori si sovrappone al telegiornale quanto basta a smorzare la buona consuetudine familiare e rendere incerto il parlare. Poi bruciare ogni cosa comune e spezzare il pane in un rosso acceso inghiottendo la lontananza fatta dali.

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Si vorrebbero spiegazioni, senza tralasciare le ferite. Qual il senso di un apprezzamento che non centri con quella vita? Circondati da insinuazioni tanto vere quanto pericolose. C molta ironia nel non afferrarlo, nel farsi caricatura piena di quella vita, cos grassa e spietata da ridurre ogni pulsione a denominatore comune. Nessuna poesia se non nel vizio della prosa.

Notizia. Gabriele Quartero (n. Vercelli 1972), si laureato in letteratura inglese con una tesi di traduzione del Phyllyp Sparowe di John Skelton. Ha lavorato come grafico e attualmente insegna alla scuola media.

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MICHELE SOVENTE

CAVEC ANEM llusemo ru cane nun me f st maje fermo quia maxime canis cupit ossa ubique nitentia pecch famelici sono sempre quelli che alla specie canina appartengono e la notte sine die eos ad inferos pellit dato che il fiuto di un alano o di un bulldog sammsca cu tutte i ffetenzie ri luche oh quanta e quale dilagante lordura la loro linfa vitale et panis angelicus putredo urbium pro canibus est in aeternum in aeternum e tutto chsto st a ddcere ca facnno u paro e u sparo i cunte nun tornano maje cu ati pparole insomma sono i cani a governare dovunque (pax canibus naturaliter sit!) sfruculinno tutte i cristiane ca pi vvie pnno ncuntr e sngo prpeto assaje chlli bbestie ch i rrcchie appuntute come lance come lame che nel cervello irrompono e scardulano i ffantasie atque in phantasmate voluptas vivit - phantasma libidinosum- e tu ca c a panza per aethera iaces caveas lunam caveas riguardati bene dai mefitici raggelati riflessi lunari tu statte bbuno attinto a tutto chllo ca te corre apprisso int u scuro mettendo per quanto puoi a tacere le malsane perfide voci quae de imis alacriter ascendunt saltus facientes mbino allrdemo sunno po cu chlla faccia i cazzo ca tarretruve tu e i cane maje cchi cane i te cave focum caveas cinerem cave caliginem essendo il tuo centro la tenebrosa bocca dei fottuti straripanti cani pirci vistete i tanta revozzine pe tutto chllo ca nun saje a ssi pure cane si ppure tu e ncuorp a tte facnno bbbuuuhhh! mantieniti a regolare distanza pirci cavecanem

* LE LINEE le linee sincontrano si allontanano gli occhi in un dondolio d insegne su un pendio con pietre immobili parole pi o meno mormorate urlate fatte a brandelli via via che esalano i cervelli tra brusche impennate

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* ARITMIE tacciano una buona volta le nebbiose fantasticherie che come bollicine di cocacola si confondono con le amnesie ottusa questa vita sola per lunari cicli per eresie senza senso: e tu ascolta se puoi il cuore e le sue aritmie

* IL FATO ogni volta che vado al cinema come se aggiungessi inganno a inganno e illusione a illusione visto e considerato che lumana ragione un campo di mine dove tutto esplode perch il fato fa e disfa trame sopraffine

* I DESIDERI E LE OMBRE implacabilmente i desideri vanno verso gli inferi come carovane dombre e le ombre ferme stanno al centro dellimpero dove vane ombre senza tregua si moltiplicheranno

* LE RIPETUTE PAROLE le perse occasioni le circostanze fuoricentro e tutto quello che non ha senso dentro il budello dei giorni: buie stanze successione di sedie e televisivi 248

schermi che fluttuano tra fantasmi quasi vivi anzi ossessivi e maschere che sussultano le ripetute parole le contraddizioni al freddo su disselciate strade colpite da folate di vento lampi e tuoni

* RUDERI FLEGREI vedersi stanchi rivedersi profili malcerti dietro ruderi flegrei rigenerati dalla luce sentirsi superstiti

* I NUMERI i numeri scandiscono gli anni il senso delle cose quante superfici scivolose quanti malanni

* FINTE E FINZIONI inesorabile affabile moltiplichio di finte e finzioni a tu per tu con i doppi o tripli salti mortali e nel turbinio del deserto dove il ghibli disperde illusioni

* ESALTARSI SMEMORARSI farsi portare per mano da quinte immaginarie e affidarsi a racconti con molte tinte esaltarsi smemorarsi

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* TRA SFACELO E RESISTENZA battuto il chiodo ribattuto di sbieco per non cedere alle insidie tenendosi calmi e fermi riproiettando su schermi traslucidi il nascosto sfacelo confusi nella ressa di spot si addensano marce merci che non fanno godere che tuttalpi fanno cadere sulle apparenze fallaci di una cronaca millimetricamente bucata bacata dire di come fino in fondo la resistenza pu aiutare a immaginare il futuro non impresa da poco perch ai margini c la paura di perdersi per tornanti e con sussulti si rivelano frutteti messi a dura prova e si nasconde dietro dirupi la luna nuova fiutato il pericolo di una imminente catastrofe rifiutato il patto terribile con chi sa solo fingere pur di moltiplicare simulacri controfigure bubbole chimismi sofismi il punto debole nella catena infinita delle associazioni sar forse lo spreco?

[inediti]

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IMMOBILISMO E BRADISISMO Custodisce Baia nel mare il Palazzo Imperiale, liburne anfore di statue, si confonde il marmo con l'acqua che riscrive silenzi, beata abrade i nomi di dominae poeti viaggiatori. Fumo zolfo vapori moltiplicano l'aria, di vesti remote ruote i laghi Fusaro Lucrino Averno risuonano, sospeso nella randagia voce di Plinio, di Virgilio Capo Miseno. Formiche vespe ragni nel folto si muovono di foglie, di mattoni, la memoria in nicchie inciampa e colombari. Da segrete muffe consunta, le viscere gonfie di rovine, d'ossa, nulla, null'altro che l'oblio desidera Cappella? Sogna il turismo Bacoli, sogna Monte di Procida l'America. D'altro parla il tempio di Serapide a Pozzuoli con le sue colonne inquiete. Abbondavano una volta qui miele e mirtilli. "Olim...", fluttuando prende un'ombra a raccontare, mentre tutto il fuoco in fondo nuove bocche spalanca. Diletti miei phlegraei campi infetti dove sine die l'immobilismo si allea con il bradisismo!

* PARE Pare larga, dai contorni sfrangiati, lunga e ottusa e sciabordante pare la spiaggia, ai margini dell'occhio, cieca la sabbia e stralunata pare; stordite acrobazie lungo la ruota del caso che s'inceppa e fa vittime squisite. Inaccessibile la pista delle infinite lune e intatta, in fondo, pare, l che silenzioso appare il desiderio: e il raggio della ruota, ora che 251

tutto vertiginoso pare, mi assale ben centrale. [Da Cumae, Marsilio 1998]

SPARTO Sparto gne ghiurno u ppane e a fantasia, u ppane r u sbari senza timpo atturno a macchie i mure, macchie janche e scure, rinta nu fujafuja i mscole, i palmme. Sparto i nmmere, i carte, ce v natanno, nata vita pe cap quanno furnsce u zero, add accummnza u bl.

* DIVIDO Divido ogni giorno il pane e la fantasia, il pane del vaneggiare atemporale intorno a macchie sui muri, macchie bianche e nere, in un viavai di mosche, di farfalle. Divido le cifre, le carte, ci vuole un altro anno, unaltra vita per capire quando muore lo zero, dove attecchisce il blu.

* DVIDO Cotidie divido panem et phantasmata, panem sine die fingendi, circum parietum maculas, in sempiterna muscarum fuga papili onumque. Numeros cotidie ego divido et chartas, alius oportet annus, alia vita ad intelligendum quando vanescat nihilum, ubinam caelum surgat. 252

* CARBONES Silenter ardent carbones in vastite autumnalibus vel hiemalibus fluctibus anxietatis et strident vagae alae vagantes trans fenestras dum fervent in memoria amores quos pungit silentium et fugiunt carbones de carcere ad alias facies vel figuras.

* GRAVNE Jrdeno chiano i ggravne quanno llautunno o llimberno spanne llnne i na pena e scille sscano a lungo p i ssnghe r i ffinste tramnte ca jarde llammore ra narriccurdo a nato e r u carcere p u munno a cerc ati cristiane, ati fjeno i ggravne.

* CARBONI Ardono in silenzio i carboni nei vasti flutti dellansia dautunno e dinverno e vaghe ali randage stridono fra le finestre mentre fervono nella memoria gli amori che il silenzio trafigge e dal carcere fuggono verso altre facce o figure crepitando i carboni. [Da Carbones, Garzanti 2002]

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Notizia. Michele Sovente vive nei Campi Flegrei, a Cappella, dove nato nel 1948. Insegna all'Accademia di Belle Arti di Napoli. Ha pubblicato sette libri di poesia: L'uomo al naturale (Vallecchi, 1978), Contropar(ab)ola (Vallecchi, 1981), Per specula aenigmatis(Garzanti, 1990), Cumae (Marsilio, 1998), con il quale ha vinto il Premio Viareggio, Carbones (Garzanti, 2002) e Carta e formiche (Centro di Cultura Contemporanea Napoli c', 2005), Bradisismo( Garzanti, 2008). Nel 1990, per Radiotre da Per specula aenigmatis stato tratto il radiodramma In corpore antiquo, con la regia di Giuseppe Rocca. Nel 2001 la Giuria del Premio Elsa Morante-Comune di Bacoli, presieduta da Dacia Maraini, ha assegnato un riconoscimento speciale alla sua attivit poetica. Nel 2004 per l'Editrice Dante & Descartes nella collana Napoli in trentaduesimo ha pubblicato due prose con il titolo Zolfo. Suoi articoli e versi sono apparsi su giornali e riviste, tra cui Alfabeta, Poesia, Linea d'ombra, Corriere della Sera, Paragone, Nuovi argomenti. presente in varie antologie. Attualmente, per Il Mattino di Napoli cura la rubrica settimanale Controluce.

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BIANCA TAROZZI

LA SIGNORA DI PORCELLANA I Ieri notte ho sognato che la bella signora dal vestito svolazzante viola, di porcellana, l'esile dama stile Novecento che trattiene con gesto elegante il cappello -- regalo che mia madre ebbe da suo fratello nel Quaranta -si era rotta. Mia figlia per errore l'aveva rotta e poi risistemata lasciandola appoggiata alla sua nicchia. E la figura quando la toccavo si sgretolava, e infine davanti ai poveri pezzi inaggiustabili, leggeri, fragili, sparsi, piangevo: "Sei cattiva, cattiva!" le dicevo. Mia figlia mi guardava, non capiva il mio dolore. "Il regalo della nonna!" E le additavo, l, la bella donna di porcellana in pezzi. La volevo attaccare con la colla ma mancavano i pezzi - ed il frammento che avevo in mano, ecco, ancora lo sento: leggero, cavo.

II

Questo sarebbe giugno? Le giornate buie, adagiate sotto un tanfo di nuvole...e stamane il sole, come a fare uno sberleffo, ha brillato un minuto e poi ha smesso. Mi fan male le ossa dapertutto, non riesco a respirare, ormai la febbre salita a trentotto. Ed cos da giorni, da domenica. Sto male...e non mi riesce di restare distesa a riposare. Il telefono. Mi alzo con fatica. 255

Lorraine da Londra - pessime notizie. Jane - un'amica - in coma all'ospedale (la dovevo vedere qui in agosto...) Lorraine mi chiede di telefonare al marito, se posso. David? Ma io quasi non lo conosco! Lo avr visto tre volte in vita mia! " a casa, gli ho parlato. All'ospedale c' sua sorella Irene. Ora lo trovi se gli vuoi parlare." III David in mio onore aveva imparato a memoria, in italiano, - lingua a lui poco nota - per intero "Tanto gentile e tanto onesta pare". Un bel pensiero. Quanti anni fa? Eppure ora lo sento scandire senza accento, scandire con puntiglio, con amore quelle antiche parole. Il resto l'ho scordato. Dov'eravamo? A York? Ma Jane non l'ascoltava. Rosemary - la bambina - saltellava qua e l sul prato. Erano i primi passi. La casa era minuscola, minuscolo il giardino. Nel soggiorno posata sul ripiano del camino una mia cartolina, una veduta fiorentina di colli e di cipressi. Amici. Certo, ero amica di Jane - a Scottish rose - castana, occhi pervinca, una bellezza semplice e maestosa bella come una rosa quando bella. Conosciuta a Victoria, poi rivista in Italia con Rosie, amica sua. Oh la pazza allegria di quell'incontro! Tutto era nuovo e semplice per noi: incontravi qualcuno e ci parlavi e diventavi amica per la vita! E quella volta poi com'era andata ? Vennero a casa mia a Bologna e Jane Gardner si compr una seta colore dei suoi occhi. 256

Se l'era avvolta intorno: "Come sto?" Ah, non pareva figlia di mortali! E cos, sempre, la ricorder.

Qualche anno dopo la rividi a Kensington; ci scambiavamo i libri: Tolstoi, Salinger, "Storia di un pellegrino"...parlavamo con grande seriet: "Nella mia vita c' gi qualcuno..." "Dimmi, credi in Dio?" "Ci credo." "Anch'io.." "Ma in chiesa no, non vado." E mi parl di David: "Quando andrai a Cambridge lo vedrai. Sii gentile con lui, but not too kind."

Faceva l'infermiera, come Rosie. Oh Rosie, non potresti esser cambiata! Sempre trasparir dal caro viso la perfetta allegria, tu generosa di te, del tuo sorriso! E Jane, pi dolce, meno folle, pi quieta nelle cose tutta la vita ha avuto una sorella un'altra Scottish rose.

IV

Al telefono David mi risponde quietamente: "It 's so kind of you to phone. Your voice is very clear, as if you were here, very near." Ma Jane? Jane se ne andata in pace, quietamente, andata, trapassata "a few minutes ago". Non siamo tristi, dice, soffriva troppo. "We are not sad" (No, non dobbiamo. Faremo come lei voleva... .. ci ritroveremo)

strano...strano... io che non ho un parente di cui valga la pena di parlare sono vicina a questo sconosciuto proprio in questo minuto, nel minuto successivo al trapasso, in ospedale 257

di Jane (Tanto gentile e onesta pare... che gli occhi non l'ardiscon di guardare...)

E il vestito di seta? L'avr messo certo per David - ma era viola, azzurro o ciclamino? Adesso lo confondo con l'altro, color vino e gonfiato dal vento della dama, della mia statuetta in porcellana, intatta, sul ripiano. S, ci vedremo presto, dico a David. Vi abbraccio, vi aspettiamo...

V Jane, eri tu la signora del sogno? Ero io, siamo noi? Ma che ne stato dei vestiti di seta, della vita che vedo ora, in un lampo passare, in una raffica di vento? Dimmi, che cosa uccide? l'amore che brucia? Sono i figli? E per questo sgridavo la bambina nel sogno, poverina, che non capiva cosa aveva fatto? Jane eri tu? Ho promesso a me stessa, che s, che avrei provato a rimettere insieme tutti i pezzi che avevo, che ho trovato, e vorrei farlo adesso quando ormai mi impossibile distinguere nella vita, la gioia dal dolore: ogni cosa un a fondo di fioretto che mi colpisce al petto, un po' a sinistra. S, vi aspetto, vi aspetto, David Matthew Rosemary Toby.

* LA TENDA ROSSA Dietro la tenda rossa uno stanzino: due gatti addormentati nella cesta, le scale strette, senza una finestra, 258

due porte in alto: sbarrata quella a destra. Se sollevi la spranga e apri la porta irrompe il cielo nella scala smorta.

* LUMINI Unamica mi ha detto che in Giappone i vasti cimiteri hanno lumini per ricordare a chi passa i bambini mai nati, per ricordare quel dolore. Ma brillano i lumini nella notte? E giocano tra loro e con i raggi della luna, fantastici folletti? Mentre il trifoglio sbianca al loro lieve passo e la luna tremula raccoglie le lacrime stillanti delle foglie.

Notizia. Bianca Tarozzi insegna Lingue e Letterature Anglo-Americane allUniversit di Verona. Ha scritto alcuni libri di critica (su Robert Lowell, Jean Rhys e Henry James), ha curato varie antologie (Elizabeth Bishop, Emily Dickinson, Richard Wilbur e A.E. Housman) e ha scritto libri per bambini. Le sue poesie sono raccolte in Nessuno vince il leone (1988), La buranella (1996), Anchio vissi in Arcadia (1996), Prima e dopo (2000), Oggetti della memoria (2002), La casa di carta (2006), Il teatro vivente (2007).

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GIACOMO TRINCI

PINOCCHIO CLONE monologo davanti al pezzo di legno

1. - ero di legno e volli farmi segno di fame, furia, di bisogno e fango; ero una forma senza alcun contegno, che mente, inventa il vero; poi minfango nel sogno di ogni sogno e allora impegno ogni sgambetto altrove e l rimango. rimango dove non mi vuole il mondo, dove rimane il clone vagabondo. scappo per campi, per campagne guaste, immaginando sempre il mio scampare come un vivere nuovo quelle vaste estati dellinfanzia, il vuoto mare. legno, mio pegno, qui mi son rimaste le avare meraviglie del sostare. voglio tornare in te, mio segno torto, disdegno, gioco, giogo nato e morto. questo dico al mio legno dal mio letto, dove sogno il mio clone disinvolto che salta il verde mondo, e nellabbietto mi fa risvoltolare e mi fa accolto dove quello che devo fa difetto, e diletto impiccato il suo risvolto. l la quercia grande, l lappeso allaria, al vento che mi fa conteso. da l mi prese in mano ogni destino, con te volle farsi tua marionetta. figura di vendetta, burattino, eccesso dogni furia, ogni disdetta. oh sogno del mio sogno che mattino, cos mi accolse la tua canzonetta buona, corretta, in fiaba rivestita, di buona moraluzza travestita. al ramo della quercia, il segno amaro della vita impiccata mi travolse: e la corsa, e la notte, e il tempo avaro e i rimorsi, la fuga che mi avvolse, le norme corteggiate, il germe caro dogni ripudio che lestremo colse; 260

tutto questo contenne il mio patire nella vita trascorsa, e il suo vanire. non diventare niente, non volerlo. ripudiare il ripudio consacrato. essere come lerba, e il cielo berlo. umile nostro che nasci sul prato, e vivi rimanendo senza averlo, senza averlo il perdono del tuo stato; accoglimi alla fine, fammi santo, chicco di senape, seme di pianto. le mafie, gli assassini, i finanzieri. cera una volta tutto questo rutto. se semini raccogli ogni tuo ieri. e via consigli, e quote, e inganni, e tutto. e poi, vedrai. ed eri e poi non eri. ogni volta caduto dentro il flutto. poi via, di nuovo nella giostra fitta. di corse e smanie di costanza afflitta. e qui, di poi nel letto. nevicava. da solo vivo quella morte andata. a volo nel silenzio che mi lava. nuda mi lava sul prato la fata. quando in fiore il mio tronco sospirava. ed ero in vita, ed ero senza data. nel sonno un ondulato mare derba. sogno nel sogno la mia nave acerba.

2. cos ti dissi quello che, passato, gi passato nuovo nel ridirlo. che scappavo, saltavo ogni fossato, e via, e via, senza pi contraddirlo, nel racconto intricato ero affondato; per anelare al fatto, circuirlo. per ricompensa a te, cos mentivo. di giro in giro, vento fuggitivo. avvolto tutto, incartocciato in tana ed affondato sempre pi nel fondo, tutto buge, tutto febbre lontana, mi rigiravo intorno tondo tondo. perdono fata mia, secca fontana, datemi lacqua voi, dal vostro mondo. mi sembr di gridare, vuoto, al vento. in cerca, invano di un dissolvimento.

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e nel racconto aggirante la vita, pi del mio farmi era il disfarmi sugo di verit, sborra e ferita. sbraito e declamo, fingo di distrarmi per poi ridire intorno, e lei sparita, ricomparsa continua ad ingannarmi, punto di verit nel contraddetto. la tua mano mi tiene dentro il letto. e pi mi cresce duro fra le gambe. pi dico, pi mi scoppia di piacere. pi tocchi, pi mi tira, pi mi lambe il discorsino, le false maniere. -persi la strada, oh!quellombre strambe! e loro sempre dietro- nel cratere della menzogna mi sfinivo intanto. il membro, il legno, in rugiadoso pianto. voglio fiaba che in aria si confermi, voglio eterno di vento ed altri modi. allora mi fissai dentro i tuoi schermi, nel tuo video flippato, nei miei chiodi fissati legno a legno nel tenermi. ti vidi fatta mente, in puri nodi fissai la mole del racconto ancora. cera una volta, dove cera allora. mi chiamasti fratello del viaggio e che il mio babbo prima della notte ci avrebbe poi raggiunti nel villaggio fioco e fitto dimmaginate rotte. della gioia sentii lurlo selvaggio salir col tempo le passate lotte; e volli prender poi la via del bosco incontro a chi nel giorno non conosco. sentii raspar lontano tra le frasche, e in un viale, curvo, il Volpe vidi, mentre ancora con lombre sue fuggiasche lottavo duro, come dentro i nidi del sogno chi, incurante di burrasche, allimmagine loro si confidi. con burocratica mestizia venne a me davanti e pi non si contenne. voce spalmata di fastidi e stanca, con scienza vana stropicciava in mano la mano; tutto quello che mi manca adocchia, scruta, rubrica nel vano suo quaderno, o nota, o blocco, e lanca sua malconcia lo segue piano piano: 262

ha figura di Gatto, di misfatto, trascinato nel luogo di ricatto.

3. nel freddo mondo mi trovai ridesto; nel trito rito, nellimpiglio dato, avevo l davanti il Volpe, il resto di malizia sconsigliata, e legato gi sentivo il suo retorico gesto al mio di pi retorico guastato. lorecchio mi si appese alla sua lingua, si arrese alla mia fame che simpingua. non guadagno, perdo, rimango e vado, aggiornati pinocchio di saggezza, salta tutto, risolvi grado a grado, tutto crudele, tutto tenerezza, cos convinto non mi persuado, cos ben saldo a pezzi, lorridezza del suo dire, del loro mi conquista, feroce avvampo e squaderno la lista. nella lista o catalogo minzeppo dei loro buggerati, lulteriore; da loro avvinto dove pi minceppo. il catalogo questo disonore, ed io ci casco, quanto pi mi zeppo di fandonie fondute, di stupore di elenco, madamina; sar ricco! letica lepica corda a cui mimpicco. - potresti forse! -, s potrei davvero, diventerei pi ricco, assai pi lercio, macch morale, niente pi pensiero. e tutto guadagnato quel che smercio, la merda che rivendo, un ministero, e gi sogni di gloria e locchio guercio vede quel che non vede lonest, quella noia virtuosa che non ha. mia minima miseria, umano zero! cos mi riducesti a creder certe le invenzioni di un Volpe menzognero; ed ecco ancora farsi in me sofferte le antenne in tentazione del pensiero, del mio pi mio, smembrato in un lacerto. la sua menzogna era di vero fatta, di falso vero attacco di mignatta.

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scavo e non trovo, fata, e mi smaialo, strappo le lacrime, sfondo pi a fondo; ma niente, no, pi niente. pi gi calo, ma non trovo che altro luogo di mondo, che terra da scavare; mentre esalo lultimo fiato, il fiat, ecco mi mondo della speranza estrema al tribunale per denunziar linganno ed il mio male. seggio, legge, mi ascolti, norma in atto. mi privi, mi derubrichi, raccatti quel che dico pi mio nel dolce fatto umano, universale, nei suoi tratti. cos deliro avanti il manufatto delle cose composte nei misfatti; cos dico, ridico dei principi, somma di somme nei pi freddi stipi. ripresi quella strada ansioso e lesto, come chi ritornato da un gran sogno a saltare si appresta ogni pretesto, per giungere col dove il bisogno lo vuole e la ragione e il germe onesto dogni fare di cui non mi vergogno. pioveva fitto e intorno era un pantano, ma a me sembrava solo un canto umano.

4. dunque ritrover, dunque non pi, dunque il mammo, la babba tenerezza, quello che non esiste, che mai fu, ma che un giorno gi stato di allegrezza, dunque quel che inoltrato di laggi, materia bassa, madre di bellezza, dunque ritrover nel pozzo abisso la casa bianca, il termine che fisso. ho fatto il cane. docchio punta e cruna. fammi docchio, pinocchio, per le trame faine della notte ad una ad una. affmati, affamato dalle brame, cos che stilla di piet nessuna venga a bagnare il tuo secco fogliame. disumnati, scrllati supremo, cos acutizzeremo, cos avremo. costretto ad occhi, il lampo del peccato sfiora specchia risfoglia il cupo libro, complice sfida a guardia del suo prato. 264

viver di testa! in questo che mi sfibro. ma di testa non basta, derubato il mondo, i l trucco dogni segnalibro. cattivo coi cattivi, piscio ai venti. trucchi ed imbrogli, bando ai sentimenti. fingo di mi faccio comemi traccio. conforme a quello che comanda, dono me stesso, e quello che pi mio disfaccio. cancello dio nel fungo del perdono. la pioggia lava il sangue, mi sfilaccio, in pura brama sciolgo il laccio e introno. penso alla Musa sgorbia, a quellintrusa, la penso qui, mentre mi fa le fusa. per tutto era un silenzio cos fondo di cieli, nuvolette, valli e prati, che quel sussurro approfondiva il mondo nel sospeso passare dei passati, e tutto stringe un nodo furibondo di eventi che fioriscono agitati. mi proposero in patto prostituto con tanto di ricchezze, me perduto. un patto, un sangue guasto di licenza, una concussa concussione insana, e retta corruttela, e la clemenza, la clemenza fra noi, la nuda tana dove ci ritroviamo in conoscenza. rendici pinocchino la lontana nostra cara amicizia di rifiuti, generoso ricambia i nostri aiuti. dunque era questo il patto con Melampo. questa storia di cani, agguati e ladri mi sospingeva dunque senza scampo a rivestirmi dei panni leggiadri del tradimento, in questo vile campo di vessazioni e sospetti di padri ringoiati in padroni, e maccollai anche il collare stretto daltri guai. mio marmo morto, fata, mare amaro. su cui non venni, su cui venni tardi, e persi il tempo in altro, e resi avaro tutto il pensare, il dire coi riguardi. fingiamo di, dicevo, e dentro baro, nascondo il mondo vero nei ritardi dei nessi e compromessi, dei negozi, dei negoziati amari, e dentro gli ozi.

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5. unaltra fine si prepara intanto. dove mi trovo gente che trangugia, si ammazza di lavoro, affanna affranto il minuto di tregua, lo grattugia spietato in s ravvolto, non compianto. si sfamano affamati e non indugia labuso nel suo balzo sopra ognuno. li vedo, e in una morsa li accomuno. chi opprime stato oppresso e lo rivende. fa pagare la quota del suo male sullaltro che a sua volta lo raccende per un tempo futuro, acuto sale. catena infetta, merce che si svende. la babelica luce escrementale di quel che resta di umano martirio marca la trama del giorno in delirio. ecco la cosa disolate rose, ma che rosa non ma disonore, Paese delle Api industriose. febbre del fare, ricopri-tumore, foglia di fico; fare che antepose al tutto, che vivendolo lo smuore del tutto, foglia di fare per fare e per disfare, e niente pi sostare. un indistinto pidocchiante mare desserini minuscoli in combutta di s con s, nel s confabulare su questo ed altro, e quello che pi frutta; di s con s, febbricolante andare per straducole sfatte in una strutta animazione danimali andati: in parti, particelle dinfuriati. poi mi fissasti sempre pi stordita. mi volevi nel crescere e morire. insisti nel tuo segno con le dita. legno immaturo che non pu tradire il s con altro, duno in altra vita, soppone, mi resiste nel finire. - oh, se potessi ritornar di legno -, ti dissi rifuggendo ogni disegno. fiato e corsa, mio mondo eterno amato, corro allinferno intorno ed attraverso, corro per campi, dentro un bianco prato, 266

per lucciole di notte, duniverso, per strade, rade piante, sul selciato, mentre mia vita se ne va allinverso. lintruglio umano mi accalappia intero, o forse in parte inocula il suo siero. i gendarmi scatenano un mastino, simmerda anche la fiaba maledetta. via fiato, sensa pi fiato e destino, nella melma dogni strada disdetta. zampe, zampette, ingoiami mattino, per vicoletti, strade di vedetta. via polvere, via me, levata dietro, la corsa fu ingoiata e il gioco tetro. Lucignolo stravidi: fine, asciutto, fatto di notte, cupo, re dintrico. Lucignolo perch dal vizio strutto, e del vizio alla caccia, pan mendco. lamico della notte era distrutto da brame oscure, era il mio pi, il mio amico. oh quanto labbracciai, lo tenni stretto, lui povero tra i poveri, difetto.

6. ma no. si va dove si piscia il viaggio, dove il buco destina la sua voglia, dove il dove pi dove, ed pi maggio. intanto leva il vento ogni sua foglia dentro il germoglio, primavera oltraggio. ed lodore prima della soglia, che muove l, lontano, sopra i monti, ed oltre, ed altro, e vividi tramonti. quante gioie ha il poema che descrivo, che salva me dal pozzo del reale quanto pi nel reale mi deprivo. quanto pi sale il calcolo del male, tanto pi disinnesco quel che vivo dalla catena finta di morale. ecco un lume lontano, un lumicino, un fantasma di carro nel mattino. io dietro, io loro, ed oh che bel paese!, mi dicevo succhiando la bellezza nel rito del pensiero, delle attese. ed a quel vento nella prima brezza delle parole, musica e contese, sentii venire a me come unebbrezza 267

di nuovo, di stupore rinnovato. di volta in volta sempre nuovo nato. - non vuoi sentire il nudo paradiso? non vuoi venire dove non c posto perch non serve il posto, ed ogni viso si cancella in vacanza e vien deposto in un divertimento che indiviso? l tutto sciolto, tutto decomposto. smisurata lentrata della gioia. senza passaggi, senza giorni, e noia. lasciai quello che vissi per lignoto. campi di notte, buio di paese, dimenticato verde, volto noto di olivi trapassati in giorno e mese, mi siete qui davanti nellimmoto attraversare dei ciuchini, e offese luci di stelle. addo, pi mia contrada! mentre lerbetta silenziosa e rada. viva la pste della festa a nolo! tutto lustrato a giorno, un videogioco. eccomi dentro nel grande crogiolo. di niente virtuale e corto e fioco. Gerusalemme Roma Atene Polo Milano due Milano tre nel fuoco, tutto ridotto tutto qui ristretto. E tutto niente, e il cazzo vuoto retto. non ha posto chi triste e non bivacca. chi intellettuale fiuta la stronzata. chi caca il dubbio e in dubbio non si stracca. chi tace e non acconsente landata. godete labbondanza della vacca, che pi sadempie a fuoco di guardata. godete il pi staccato dal suo meno, come il vento staccato dal suo freno. - Padre lercio che sei nei fieli, vieni pi guercio, vieni in fondo a tutto, losco tinietta nella vena, entra nei reni, rimetti a noi lo schermo, il video fosco, come noi lo ridiamo senza freni ai nostri simili nel buio fosco, facci dantenne, facci di tentacoli, prometti di prometterci miracoli.

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7. voglio tornare legno torto, segno corto di mia disperazione e gioco, scoglio damore, pelle daltro, pegno, mangiafuoco e furore col suo fuoco; tu sei la mia bambina, quel disdegno che offrivi a me per farmi degno, e fioco ti chiamavo e chiamo come di nuovo ancora senza fiori laspro rovo. questa citt deserta ed affollata dice laddo ai tuoi giorni, senza te disfatti, fatti e chiusi nella grata di questo pozzo, abisso di perch; senza risposta rispondevi andata, adesso qui pi non rispondi a me, adesso qui con me pi non difendi, fuori di te, cos che non comprendi? orribile citt di nati morti di nani che si vogliono giganti, di guerre e paci e di scambiati torti, mostri loquaci e muti, senza canti, ma chiassi inutili, progetti corti; fata senza pi fato vieni avanti, guarda questo pinocchio disgraziato, cresciuto fatto duomo e ritagliato. voglio tornar buratto, burattino, o forse ancora prima, quercia e bosco, quando alla notte ed alle stelle, fino in fondo al risveglio che non conosco duomo, ma di figlio, amoroso uncino di fole, di buge a cui riconosco pi vero dogni vero cuore e buccia. profondo come il ventre in cui si accuccia. ed io finzione partorita in mare, col pescecane a bocca spalancata, tergiversai nel cupo abbandonare dogni aiuto la fuori, e una spanciata di mare mi sput l dentro,a fare ventre di me stesso, notte affondata. e me con me, feci di me reale. viscere notte, sfiato danimale. addo mondo potere, addo mia vita posseduta daltri, qui sono solo infine, ed infinita di sortita sar la vita mia, non daltri il volo, 269

non daltri il mio sfinire che mi svita. privo di padri, madri, non mi arruolo. io non mi avvito, mi stacco da tutto, rintano me nel me, mi fo distrutto. mi ritrovai a pregare di salvarmi da quello che mi salva, dalla cieca forza di farmi, e solo di disfarmi pregavo dentro quellenorme teca, di tornare minore, dincontrarmi con te, mio derelitto legno, e bieca vidi una luce fonda in fondo al buco, al buco della notte dove sbuco. una bambina bianca a luce fioca contava i chicchi di una sabbia fine; e dissi tutto con la voce rca: il disastro delluomo, le rovine, tutto contenni in quello che ti invoca, quello che sai, conosci, dalle brine del tempo, dei giorni umani sospinti e risospinti addosso a morsi vinti.

8. una bambina muta mi parlava col suo silenzio nel silenzio fondo. poi scomparve e quel lume mi lasciava pi fioco che se fosse fioco il mondo; la vocina di bimba trascinava dietro a quel che spariva il passo tondo del mio tornare legno, pino, bosco, del mio farmi sformato lume fosco. alberi miei compagni, vi ritrovo, dicevo in lagni in sgambetti provati, abbatto distruggo le teste duovo borghesi dementi, i destini andati; vi racconto le storie che rinnovo contro la Storia e gli ordini impestati. poi persi tutto: parola, discorso, il tempo, il muro, e di paura il morso. e sprofondai mostruoso nel mio mostro, solo parola e canto senza testo. abbandonai ogni delirio vostro nel delirante abbraccio del contesto. e presi il mio delirio, addo dinchiostro, lo staccai dal convenuto e richiesto. Madre Bambina batteva la voce 270

nelle orecchie, pi dentro quel che cuoce. ed io damore e guerra torno a voi. eccomi peste, falso, inetto, guasto; eccomi voi, me, tutti, prendo il poi, lo strangolo nellimmediato fasto acuto disarmonico che vuoi. un quando di ch armonico ch vasto mi liquida da tutto e mi scompone, nel mondo che invariato si dispone. senza che sfiati, spirito, il tuo lutto. libero scardino. libero mi sfo. vado rifatto. come non lo so. Fine.

Notizia. Giacomo Trinci nato a Ramini, in provincia di Pistoia, nel 1960. Poeta e traduttore, ha pubblicato i volumi Cella (1994), Voci dal sottosuolo (1996), entrato tra i finalisti del Premio Viareggio, Telemachia (Marsilio, 1999), entrato tra i cinque finalisti del Premio Viareggio, Resto di me (Aragno, 2002), Autobiografia di un burattino (Fondazione Nazionale Carlo Collodi-Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, 2004). La cadenza il canto. Poesie scelte (Via del Vento, 2007), Senza altro pensiero (Aragno, 2008). Ha inoltre preso parte con una serie di versioni poetiche al volume della Biblioteca di Repubblica Poesia Araba a cura di Francesca Corrao (2004). Ha tradotto Adonis, Agrippa d'Aubign e Suor Juana de la Cruz. Collabora ad Alias, Stilos e Antologia Vieusseux.

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SIMONE ZAFFERANI

METAFISICA DOMESTICA
fossi una parete vorrei per me la campitura larga e sicura della setola, labbraccio disteso del colore che in espansione si rafforza. Non il segno puntiforme che solo a distanza svela di s la forma. Forse il punto va pi diretto al punto e in un istante tocca il punto nevralgico oltre il muro. Eppure io vorrei il gesto che va e ritorna, che si sofferma, che riempie finch non satura il colore. (frainteso forse nellintercapedine ma preso tutto, e vivo, e in estensione)

* forse dovrei ascoltare tutto il rumore del mondo, cos a lungo da diventare rumore; entrare in ogni serratura dove la chiave gira o sinceppa, stare su ogni piatto o coltello, in ogni motore che accelera i giri, in ogni sirena. Essere ogni saracinesca che decide la fine del giorno, ogni respiro dalbero - la pi pura forma di vita, quella che assorbe e rimanda e non trattiene. Ascoltare senza fare senza esserci, fino a diventare rumore stesso e non sentire pi. Essere allora n dentro n fuori ma l dove si sosta, senza attese.

* da questo lessico condominiale come dai lampi di involontaria luce, riconosco coloro che mi hanno abitato. Di notte sono spifferi, un freddo improvviso un passaggio furente (molti transiti in me, molte immaginazioni in una; io sono il valico, sono la guardia, lufficio oggetti smarriti) . Il gusto, lumore, il modo di attraversare il giorno, tutto in condivisione con un consesso vigile. Nessun idioma mio (se parlo perdo consistenza). Non mi appartengono le occasioni e nemmeno questansia evanescente. Io testimonio il passaggio delle nuvole al macero, io sono il corteo di chi mi fa e mi disfa. 272

* oggi avrei accettato ogni invito pur di non lasciarmi ciondolare in questi viali, in questa falsa luce, falsa promessa di primavera che si sfalda e mi scansa. Oggi avrei amato qualunque penombra, mesti sussurri, le confidenze da coinquilini, e come recinto un corpo di cui anchio fossi recinto.

* distratto da me stesso, in contumacia cado silenziosamente a filo come una spada, come il tempo. Verticalmente esatto su tutti gli adempimenti, vuoto e concreto procedo a misura di palmo. Come una perfetta stesa di panni fiduciosa nel sole, e nellaria fitta di voci di prima estate, ripeto il necessario, vado replicando. Ma sotterraneamente pullula la vita al varco e chiede documenti di me che non rilascio. A patti col mio silenzio scende un sogno di granoturco e lontanissime tese reti dalloro. (mi splende addosso quellaltra vita che passa di fianco)

*
Siamo solo separate da uno specchio. M. Haruki

dicono i venti che in quel pomeriggio dinverno tra i due qualcosa successe, o qualcosa successe a qualcosa; si sciolse un ghiacciaio, e altrove, in un altrove dellemisfero, una minuscola luce si accese e in un abitacolo nacque un pianeta (fu, credo, in un angolo tra una via del quartiere e un abbraccio assente, che era stato assente troppo a lungo). Chiesero gli astri, e chi altri abitava il cosmo, se quello fosse un avvento. Qualcuno disse: accade perch deve accadere. Un vento dasteroidi port una canzone, diceva 273

e quanto dura leternit?. Dopo un freddissimo commiato, i due si voltarono di spalle e presero strade diverse, e giunsero a diversi numeri civici delluniverso. Fu chiaro che se si fossero rivisti non sarebbe stato in quella galassia, in quelletere delle mortificazioni e dellinsufficienza, ma forse in un punto non tracciabile su carta dove avvengono meravigliose fluttuazioni.

* esiste unaltra stanza perch ora la vedo. Stava in una mora del pensiero in un apprendistato essenziale alla sua forma. Esiste perch ci passo davanti e la ricordo come una parte di me che non sapevo. (sogno spesso di scoprire nuove stanze in case che ho abitato, come cellule recuperate alla vita. Vi si arriva per anfratti improvvisi che svelano passaggi, malcerte strettoie, sono legami da leggere in filigrana) Cos mi riconnetto, cos mi ritrovo pi vasto eppure atteso in ogni parte, come una gemmazione necessaria questa stanza appena creata che alita gi di vita e chiede luce.

* sembra che prima della morte si torni in unalba serena, unaura quieta, lattiginoso acquitrino di memoria, si torna vicini al bambino ancora stupito, in un molto impressionabile affetto senza cognizione della permanenza. Per questo, pressati dalla morte, pi agevolmente si ricorda linizio della vita e non il resto (il resto essendo solo distrazione da se stessi, da quellavvio luminoso di biancospino). Lultima presa quella di noi che prendiamo in braccio noi stessi bambini perch quel dolore acerbo trovi una sospensione nel soffio in cui passa la vita come aria fresca, carica di promesse da mantenere. Quel barlume di eterno la fiducia che si vorrebbe dare, avere tornando indietro e che adesso 274

noi diamo a noi stessi, in una prodigiosa luce di cristallo. (Forse per questo di una cosa conclusa, comunque sia andata, diciamo che perfetta).

* ci sono giorni che il cielo fa cos male che ci vorrebbero pareti celesti, una traslazione orizzontale e che il suolo sinnalzasse fino a una pressione impazzita dove la mente non sia altro che una farfalla costretta a una pausa del volo. Giorni che laria urta, che il respiro offende e la luce stilla miraggi insopportabili. Nel punto della febbre pi nascosto ci si raccoglie, custodi di se stessi ma senza risorse. Al chiuso ma esposti al vento.

* un po sono impazzito e un po no, un po ho pregato. Un po sono rimasto con il giallo dautunno nei capelli e i palmi delle mani aperti ad ogni irrequietezza. Un po ho tremato, entrando nel freddo, ho portato la luce. La cosa pi ardua sempre attraversare fissando il solco e tenerlo vivo e non solcare. Un po sono impazzito e un po no -non del tutto fedele e sommamente fedele alla pazzia.

Notizia. Simone Zafferani nato a Terni nel 1972 e vive a Roma. Sue poesie sono apparse nelle riviste Smerilliana, Poeti e poesia, Atelier. Nel 2004 uscito il suo primo libro di poesia Questo transito danni (Casta Diva, 2004), vincitore del premio Lorenzo Montano 2006 per lopera edita. Ha inoltre pubblicato saggi e recensioni di letteratura italiana del Novecento.

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