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Riva Claudio
Lʼoggetto della sociologia sono le forme delle relazioni di influenza reciproca che
avvengono tra gli uomini. Si ha società solo se e quanto più gli individui entrano in azione
reciproca. Da qui cosa intende Simmel per società: cerchia di individui legati lʼuno allʼaltro
da varie FORME DI RECIPROCITÀ.
La società è interazione ma non solo. Infatti oltre a “reciprocità” cʼè un altro elemento
fondante della sociologia di Simmel: sociazione.
La sociazione è il processo mediante il quale una forma di azione reciproca si consolida
nel tempo. Infinite azioni reciproche: scambiarsi uno sguardo, salutarsi, giocare, pranzare
insieme, sposarsi, essere grati o aggredirsi, allontanarsi (persino allontanarsi è azione
reciproca). In ciascuna di queste azioni reciproche ciascuno influenza lʼaltro E
VICEVERSA: ci si influenza SCAMBIEVOLMENTE.
Simmel rivolge particolare attenzione a forme di azione reciproca ad un primo sguardo
“minori” e “meno appariscenti” come lʼamicizia, gratitudine, fedeltà, la moda. Egli è
convinto infatti che grandi sistemi e organizzazioni pluriindividuali (come la società) siano il
protrarsi nel tempo di queste stesse forme poco appariscenti di azioni reciproche.
Protrandosi nel tempo acquisiscono una propria fisionomia ben definita e da azioni “di
poco conto” diventano grandi sistemi. Così la società si può vedere come il risultato di
azioni “minori” quali lʼamicizia, la gratitudine, la fedeltà, ecc.
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La sociologia è per Simmel una scienza che si occupa delle forme (scienza formale).
Descrive cioè le forme che le relazioni di reciprocità vanno ad assumere in situazioni e
tempi differenti, sedimentandosi in grandi sistemi o al contrario rimanendo effimeri e di
poca appariscenza.
Simmel considera quello che Musil definisce “aspetto spettrale dellʼaccadere”, ovvero la
tendenza, la piega verso cui normalmente un fenomeno, indipendentemente dai fatti che
di volta in volta cambiano, tende. In sostanza si tratta della famosa “forma”, una struttura
latente/nascosta che sta dietro gli stessi fenomeni, detta anche lo “spiritualmente tipico”.
Nel saggio sulle Metropoli, Simmel si occupa proprio dello spiritualmente tipico.
In questa opera lo spiritualmente tipico è lʼintersezione del sociale con lo psicologico
ovvero il modo con cui la configurazione psichica degli individui si modella in relazione agli
elementi sociali, dunque circostanti e li modella a sua volta.
Lo studio delle forme caratterizza lʼintera vita di Simmel, il quale riconosce che la vita è sia
un fluire incessante, sia un produrre forme in cui questo fluire si fissa e direziona. La vita
produce forme di relazioni, istituzioni, simboli, idee, prodotti della vita economica ed opere
artistiche: ovvero la cultura. Vi è una tensione tra lʼoggettività delle forme che la vita va
creando e il carattere fluido proprio della vita (il suo scorrere). Il prodotto di tale tensione
determina il mutamento culturale. La vita produce le forme ma, nel suo essere fluida e nel
suo scorrere, le scavalca (supera) allo stesso tempo. Da questa contraddizione emerge il
dinamismo della storia della cultura. E la sua tragedia (vedi pagina 4). Perchè tragedia?
Si ha tragedia perchè la vita stessa si può comprendere solo mediante le forme (simboli,
categorie, raffigurazioni) che, dato il loro ruolo di organizzare e far fluire in modo ordinato e
“previsto” la vita e il suo essere fluida, inevitabilmente o si contrappongono a lei (alla vita)
o la riducono, autocondannandosi al proprio superamento.
Se sia la comprensione ingenua sia quella scientifica del mondo avvengono mediante
costruzione di forme (simboli, concetti, narrazioni, schemi), che in quanto tali sono si
espressione della vita ma anche per forza una sua riduzione (semplificazione), allora un
sapere esaustivo è impossibile.
Simmel, e anche qui è stato fortemente criticato soprattutto dai sociologi americani, è
fortemente a-sistematico: non si può far altro che dare una direzione iniziale ad una via
infinitamente lunga, pretendere completezza sistematica e definitiva sarebbe solo una
auto-illusione.
Simmel riconosce di non poter nulla dinanzi allʼinfinito, se non cercare di dare una
direzione iniziale. Lʼinfinito di cui si parla è dato innanzi tutto dalla reciprocità che lega tutti
i fenomeni tra loro e che dunque può portare a qualsiasi via/strada/risultato, senza essere
previsto. La reciprocità rende le vie che un fenomeno può prendere infinite. Si parla di
infinito anche perchè la vita immancabilmente, grazie alla sua infinità di natura, fugge
dinanzi al pensiero (limitato) che cerca di afferrarla. Il pensiero interpreta le cose, il mondo,
da una prospettiva. Le prospettive però sono infinite, data la grandezza, lʼinfinità
grandezza, lʼincommensurabilità della vita. Dunque pensare ad un pensiero
sistematicamente perfetto e definito, nonché completo, che spieghi tutti i fenomeni della
vita è una illusione.
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Nellʼopera sulle Metropoli, Simmel analizza questʼepoca del fortuito, del volatile e del
transitorio. Egli ne delinea i tratti distintivi, essendo tale epoca una formazione storica. Il
punto di vista dal quale Simmel prende spunto è quello di indagare i movimenti con cui la
personalità si adegua alle forze ad essa esterne. Egli osserva dunque lʼesperienza
moderna che, a suo modo di vedere, coincide con lʼesperienza metropolitana.
Se le cose diventano sempre più colte e, in proporzione lʼuomo lo diventa sempre meno,
allora la società moderna dispone di un sapere che sovrasta le capacità di elaborazione
di ogni singolo individuo. Sta in questo punto la dissonanza della modernità. Oggi
potremmo aggiungere che in questo non solo cʼè la dissonanza della modernità ma
anche la potenzialità della sua catastrofe finale. Possiamo leggere i disastri nucleari ed
ecologici con il punto di vista di Simmel. E ne deriva che ci troviamo in una situazione in
cui i soggetti non sono capaci di comprendere e gestire responsabilmente ciò che loro
stessi hanno prodotto.
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I problemi più profondi della vita moderna nascono dalla pretesa dellʼindividuo di
preservare la propria indipendenza di fronte alle forze della società, della storia, della
cultura, della tecnica. Si nota dunque una resistenza dellʼindividuo per impedire dʼessere
livellato e dissolto allʼinterno di un meccanismo tecnico-sociale. Si vuole indagare riguardo
i movimenti con cui la personalità si adegua alle forze ad essa esterne.
Lʼindividuo metropolitano, psicologicamente parlando è caratterizzato da intensificazione
della vita nervosa, causata dal rapido e ininterrotto susseguirsi di impressioni esteriori e
interiori. La vita metropolitana è caratterizzata da un consumo di coscienza elevato a
causa del veloce accumularsi di immagini cangianti, contrasti, impressioni opposte che
richiedono ad intermittenza lʼattenzione. Eʼ qui il contrasto rispetto alla vita di campagna, di
provincia: il ritmo, che nelle metropoli è velocissimo.
La vita psichica metropolitana è caratterizzata dallʼintellettualismo, mentre quella di
campagna dalle relazioni affettive e dalla sentimentalità. La sentimentalità e la sensibilità
alle relazioni affettive si radicano nella parte inferiore della psiche e dunque nei suoi strati
meno consci così da determinare azioni abitudinarie. Lʼintellettualismo invece si radica
nella parte più conscia della psiche. Lʼintelletto è la forza interiore più adattabile a
differenza della sentimentalità che risulta conservatrice a causa del suo carattere
abitudinario. Lʼindividuo metropolitano, minacciato quotidianamente da discrepanze e
flussi contrastanti, crea un meccanismo per difendere la propria psiche. Egli infatti,
anziché con i sentimenti, reagisce con lʼintelletto. Dunque la reazione ai fenomeni viene
spostata verso quella parte della psiche meno profonda.
Lʼintellettualismo, questa risposta dellʼindividuo alla violenza della metropoli, si interseca
con altri fenomeni. Si vedrà lʼeconomia monetaria, ergo il denaro. Lʼeconomia monetaria
trova naturalmente un terreno fertile nelle metropoli.
Economia monetaria e dominio (dunque utilizzo esclusivo) dellʼintelletto si corrispondono
profondamente. Entrambi hanno in comune un atteggiamento di neutralità oggettiva con
cui si trattano uomini e cose, un atteggiamento che il più delle volte da giustizia formale
diventa durezza senza scrupoli. Lʼuomo puramente intellettuale è indifferente alle relazioni
affettive e a tutto ciò che è propriamente individuale dato che da questi conseguono
reazioni che non possono essere affrontate con intelletto logico. Le relazioni affettive tra
persone si basano sulla individualità di ciascuno, mentre quelle intellettuali non
considerano minimamente lʼindividualità, operando come se gli individui fossero numeri
che interessano solo in base al rendimento che assicurano. Così, lʼabitante metropolitano
si rapporta con fornitori e clienti, con schiavi e con padroni, o con simili instaurando
relazioni intellettuali. In un sistema più ristretto, cerchia ristretta, le relazioni prenderebbero
inevitabilmente una piega affettiva che va oltre il calcolo prestazione - controprestazione.
In condizioni più primitive, dove comunque esiste un rapporto (e prima ancora una
corrispondente figura) tra produttore e cliente, il produttore conosce il cliente che ordina la
merce. Qui avviene un conoscersi reciproco. Nella metropoli si produce non tanto per quel
cliente o per quellʼaltro cliente, ma per vendere, più in generale, senza conoscere
direttamente e senza instaurare legami e relazioni con chi compra. Da qui deriva che nelle
metropoli entrambi, compratore e produttore, operano con una spietata oggettività
derivante dal loro esclusivo calcolo intellettuale. Non si può dire se sia lʼeconomia
monetaria - il denaro/la moneta a determinare il dominio dellʼintelletto o il contrario.
Sicuramente si pongono lʼuno allʼaltro in un rapporto di reciprocità così da alimentarsi a
vicenda.
Lo spirito moderno diventa sempre più calcolatore. Il denaro ha contribuito a rendere
lʼindividuo incapace a distinguere il valore qualitativo delle cose. Lʼindividuo moderno
utilizza il denaro, lʼequivalente universale, per valutare le cose e la valutazione è solo ed
esclusivamente quantitativa, spietatamente oggettiva.
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Nella metropoli lʼindividuo gode di una libertà personale non paragonabile a nessuna altra
situazione. Riguardo alle libertà personali cʼè da distinguere in due tipologie di situazione.
In una cerchia relativamente stretta di persone, chiusa allʼesterno, vi è una forte coesione
interna. Questa è così forte da limitare le possibilità di azione dei singoli, mediante limiti
severi da rispettare ed entro i quali muoversi. Al crescere della cerchia, al crescere del
numero die partecipanti, nello spazio, nei contenuti di vita, i confini iniziano ad essere
meno netti e dunque le libertà individuali aumentano, permettendo a ciascuno sempre più
alti livelli di specificità. La libertà dellʼabitante metropolitano è comunque relativa dato che
egli è sempre vincolato da un sistema superiore, e dunque deve rispettare tecniche,
sottostare a strutture, idee, concetti. In questo senso quindi, il blasé è libero in confronto ai
giochi di pregiudizi e “da paese” che dominano la città di provincia limitandola ancora di
più. Agli occhi del contadino il blasé è la persona più libera al mondo.
Leggere lʼintroduzione: libertà vuol dire felicità? Non è detto. Il blasé è solo, indifferente
nonostante attorno abbia una infinità di persone.
La libertà va intesa non solo come libertà di movimento e assenza di pregiudizi e chiusure
(tipiche della città di provincia). Il seguire le proprie leggi, quelle della propria natura (e qui
sta la libertà) risulta evidente e persuasivo a noi e agli altri solo quando lʼesprimersi di
questa nostra natura, le sue connotazioni, si distinguono effettivamente da quelle degli
altri. Ergo solo la nostra inconfondibilità, il nostro aderire ad una nostra natura diversa
dalle altre, comprova che viviamo in un modo non impostoci da altri.
(Se la metropoli è la forma di cerchia sociale più differenziata e ampia allora il
cosmopolitismo è la sua “esasperazione”. )
Le città ergo le metropoli sono i luoghi dove avviene la divisione del lavoro più sviluppata.
Si ricorda lʼesistenza a Parigi del così detto quatorzième - francese di “quattordicesimo”,
colui che, identificabile mediante un cartello apposto sul portone di casa, si rendeva
disponibile per situazioni “di emergenza” in cui ci si trovava in tredici a tavola e mancava il
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