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GIACOMO

LEOPARDI
(1798-1837)
La vita e il contesto storico
Napoleone Nasce un’ondata di
Napoleone è sconfitto
Bonaparte sale moti rivoluzionari
a Waterloo e si
al potere con il che sconvolgono
riunisce il Congresso
Colpo di Stato l’Europa
di Vienna

1797 1798 1808 1815 1816 1821


1819

Giacomo
Viene Inizia la Conversione Stringe Tenta la
Leopardi Subisce
istruito da produzione “dall’erudizi una forte fuga da
nasce nel un’infermità
precettori poetica su one al bello” amicizia Recanati
1798 a agli occhi
ecclesiastici, modelli con ma viene
Recanati
ma a dieci arcadico - Pietro scoperto
da una Abbandono
anni si illuministici Giordani Passaggio
famiglia della filologia
nobile dedica agli “dal bello
studi Impara in breve tempo il latino, greco e al vero”
autonomam l’ebraico, si occupa sia di lavori filologici che di
ente traduzioni di classici latini e greci
Avviene una forte
In Italia Mazzini sale al repressione dei
Napoleone potere e proclama la mazziniani
Bonaparte Giovine Italia
muore Anno Santo Un’epidemia
esiliato della Seconda di colera
sull'Isola di Chiesa un’ondata di sconvolge la
Sant'Elena cattolica moti penisola

1822 1823 1825 1827 1828 1830 1831 1833 1836-37

Riesce ad Torna a Soggiorna Torna a A Firenze Muore


Si
andarsene Recanati a Firenze Recanati a stringe a
stabilisce
da causa di amicizia Napoli
Soggiorna a Napoli
Recanati e Gli viene problemi con
a Pisa con
si reca a offerto un economici Antonio l’amico
Roma impiego Ranieri
presso un Accetta un
Compone lavoro Compone
editore e il Compone
A Silvia stipendiato e La
poeta accetta il Ciclo di
lascia Recanati Ginestra
Aspasia
È considerata come la
L’amore è una È una visione
più potente delle
tematica centrale della romantica
speranze e illusioni
poesia di Leopardi dell’amore
dell’animo umano
Nello Zibaldone nel
1819 il poeta
sottolinea l’effetto
La visione dell’amore di contemplazione
solitaria e di
Le prime poesie d’amore sono colme astrazione dalla
di malinconia, l’amore è sempre legato ad una realtà operato dal
condizione dolorosa, di perdita o di assenza pensiero amoroso
“Nei trasporti d'amore, nella conversazione coll'amata, nei favori che ne ricevi,
anche negli ultimi, tu vai piuttosto in cerca della felicità di quello che provarla, il tuo
cuore agitato, sente sempre una gran mancanza, un non so che di meno di quello che
sperava, un desiderio di qualche cosa, anzi di molto di più. I migliori momenti
dell'amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia dove tu piangi e non sai di
che, e quasi ti rassegni riposatamente a una sventura e non sai quale. In quel riposo
la tua anima meno agitata, è quasi piena, e quasi gusta la felicità. Così anche
nell'amore, ch'è lo stato dell'anima il più ricco di piaceri e d'illusioni, la miglior
parte, la più dritta strada al piacere, e a un'ombra di felicità, è il dolore”
-Zibaldone, frammento 142 del 27 giugno 1820
Il poeta diviene
Dopo la delusione per Roma, l’inappagato consapevole della
bisogno di amore trova espressione scissione
nel ripiegamento del desiderio verso i incompatibile
propri sogni tra ideale e realtà

Questa passione si trasforma in passione Giacomo Leopardi si


reale nel Ciclo di Aspasia, nato dall’amore appaga dell’imago, che
travolgente per Fanny Targioni Tozzetti non è reale e rivendica
la funzione consolatrice
L’amore vero fa sperimentare ad un dell’illusione nei
livello estremo di intensità la confronti del secol tetro
contraddizione dell’esistenza umana
L’atroce delusione diventa un
lucido distacco dalle illusioni
L’originalità di Leopardi sta del cuore
nell’esclusione di ogni atteggiamento
mistico-panteista già presente nella La potente illusione amorosa
tradizione letteraria italiana dà inoltre al poeta la forza di
una sfida estrema contro la
negatività del mondo
L’occasione della composizione fu Composto nel 1835, è il La poesia segna così
la delusione per la scoperta della componimento che il completo distacco
vera realtà della donna amata, Fanny chiude il Ciclo di Aspasia dal periodo giovanile
delle illusioni
A se stesso                                             
verbi con valore
Lettura di Vittorio Il poeta afferma la
esortativo
Gassman 1 Or poserai per sempre, scomparsa dell’amore
https://youtu.be/F 2 Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo, che era stato
0lhF2s_5s4 3 Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento, precedentemente cantato
4 In noi di cari inganni, Compare il contegno eroico,
apostrofe
espresso nel disprezzo verso quel se
5 Non che la speme, il desiderio è spento.
stesso che ha ceduto agli inganni
anafore 6 Posa per sempre. Assai
7 Palpitasti. Non val cosa nessuna enjambements
anastrofe 8 I moti tuoi, nè di sospiri è degna
9 La terra. Amaro e noia Ma il disprezzo è anche
riferito alla natura e alla
chiasmo 10 La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. forza malefica del destino,
11 T’acqueta omai. Dispera che come unico fine
La percezione
della vanità, che 12 L’ultima volta. Al gener nostro il fato dell’universo ha il male
prima generava 13 Non donò che il morire. Omai disprezza
noia, ora suscita un 14 Te, la natura, il brutto configurabile come
atteggiamento un’entità distinta dalla
15 Poter che, ascoso, a comun danno impera, natura, il fato malvagio
combattivo
16 E l’infinita vanità del tutto.
❖ Composto a Recanati nel 1819 e pubblicato nel
❖ Anticipa la “teoria del vago e
periodico bolognese “Il Nuovo Ricoglitore” nel
indefinito” e la “teoria del
1825, nei Versi del 1826 e nei Canti nel 1831
piacere”
❖ La poesia si articola in due momenti:
-il primo (vv.1-8) si avvia con una sensazione L’infinito
visiva e l’impedimento reale fa subentrare il
fantastico 1 Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
-il secondo (vv.8-15) vede l’immaginazione e questa siepe, che da tanta parte
scaturire da sensazioni uditive dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati infinito
↬ secondo la tradizione si tratta del monte 5 spazi di là da quella, e sovrumani spaziale
Tabor, nelle vicinanze di Recanati silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
↬ “mirando” non significa guardare la realtà il cor non si spaura. E come il vento
esterna, ma contemplare la realtà interiore odo stormir tra queste piante, io quello
costruita dall’immaginazione infinito
10 infinito silenzio a questa voce temporale
↬forte pausa che distingue i due momenti della vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
poesia e le morte stagioni, e la presente
↬lo stormire del vento è una sensazione acustica e viva, e il suon di lei. Così tra questa
che apre la mediazione sull’infinito nel tempo immensità s'annega il pensier mio:
15 e il naufragar m'è dolce in questo mare.
↬il suono delle imprese, delle azioni degli
uomini che il presente restituisce
polisindeti sinalefe
↬ il perdersi della coscienza individuale nel
mare dell’infinito provoca un senso di dolcezza
La poesia è contenuta nei Canti del Riporta un tema caro al poeta e
1831. Composta con molta probabilità a particolarmente presente in tutta la sua
Recanati, la poesia è datata 1820 composizione poetica: il ricordo
Alla luna
Invocazione alla luna, O graziosa luna, io mi rammento il termine
astro molto caro a Che, or volge l’anno, sovra questo colle possiede
Leopardi e suo confidente Io venia pien d’angoscia a rimirarti: un doppio
E tu pendevi allor su quella selva gli occhi, sigificato:
apostrofe allitterazione 5 Siccome or fai, che tutta la rischiari. metafora leggiadra
della l Ma nebuloso e tremulo dal pianto e benigna
Che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
metonimia chiasmo e Il tuo volto apparia, che travagliosa il monte
anastrofe Era mia vita: ed è, nè cangia stile, enjambements Tabor
10 O mia diletta luna. E pur mi giova
La ricordanza, e il noverar l’etate
Il componimento è Del mio dolore. Oh come grato occorre “etate” rende
facilmente divisibile in Nel tempo giovanil, quando ancor lungo il dolore
due parti, una prima in cui La speme e breve ha la memoria il corso, quasi
viene descritto un notturno 15 Il rimembrar delle passate cose, personificato
lunare e una seconda in Ancor che triste, e che l’affanno duri!
cui viene evidenziato il
grandissimo valore del La poesia sviluppa il rapporto tra uomo e paesaggio
ricordo come consolazione notturno senza trascurare il tema assai caro di quanto
un ricordo possa essere dolce e amaro per l’uomo.
Appartiene ai Grandi La poesia
Il Sabato del villaggio Idilli e composta nel indaga uno
settembre 1829 degli aspetti
La donzelletta vien dalla campagna, I fanciulli gridando della teoria
in sul calar del sole,
25 su la piazzuola in frotta, leopardiana
col suo fascio dell’erba; e reca in mano e qua e là saltando,
un mazzolin di rose e di viole, del piacere: il
fanno un lieto romore:
5 onde, siccome suole, piacere non è
e intanto riede alla sua parca mensa,
ornare ella si appresta fischiando, il zappatore, mai attuale ma
dimani, al dì di festa, il petto e il crine. è sempre
Siede con le vicine 30 e seco pensa al dì del suo riposo.
proiettato nel
su la scala a filar la vecchiarella, Poi quando intorno è spenta ogni altra face, futuro, ovvero
10 incontro là dove si perde il giorno; e tutto l’altro tace, il piacere è
e novellando vien del suo buon tempo, odi il martel picchiare, odi la sega
quando ai dì della festa ella si ornava, attesa del
del legnaiuol, che veglia piacere.
ed ancor sana e snella nella chiusa bottega alla lucerna,
solea danzar la sera intra di quei 35 e s’affretta, e s’adopra
15 ch’ebbe compagni dell’età più bella. di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba.
Già tutta l’aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l’ombre allusione al tema
giù da’ colli e da’ tetti, arcaismo per allitterazion
della
al biancheggiar della recente luna. la contadinella i
rimembranza
Or la squilla dà segno la campana
20 della festa che viene; face: luce
il crine: i capelli della chiesa
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
❖ Canzone libera in endecasillabi e settenari, raggruppati
Questo di sette è il più gradito giorno, in quattro strofe di lunghezza differente, la lirica, dal
pien di speme e di gioia: punto di vista contenutistico è divisa in due parti
40 diman tristezza e noia asimmetriche
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno. ❖ Nella prima parte de Il Sabato del villaggio (vv. 1-37)
troviamo la descrizione della vita paesana,
Garzoncello scherzoso, dell’atmosfera di un sabato primaverile che volge al
cotesta età fiorita termine, quando gli abitanti si preparano al successivo
giorno di festa
45 è come un giorno d’allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita. ❖ Nella seconda parte del componimento il poeta riflette
Godi, fanciullo mio; stato soave, sul fatto che è inutile attendere quel piacere che in realtà
stagion lieta è cotesta. non giungerà mai, mentre continueranno ad esser
presenti noia e tristezza
50 Altro dirvi non vo’; ma la tua festa
ch’anco tardi a venir non ti sia grave.
❖ L’invito che chiude il componimento, rivolto a un
ragazzo, è a non farsi cogliere dall’ansia di crescere,
similitudine metafore l’unica felicità possibile è l’attesa di un benessere a
venire che, però, si rivelerà illusorio quando sarà
raggiunto
al lavoro quotidiano
❖ Compaiono nel canto figure esemplari, simboli
della giovinezza, della vecchiaia e dell'infanzia
spensierata. Altre figure alludono alla quotidianità
della vita del mondo contadino
Il passero solitario onomatopea chiasmi
1. D’in su la vetta della torre antica,
2. Passero solitario, alla campagna metonimia
3. Cantando vai finché non more il giorno;
4. Ed erra l’armonia per questa valle. 24. Quasi romito, e strano
5. Primavera dintorno 25. Al mio loco natio,
6. Brilla nell’aria, e per li campi esulta, 26. Passo del viver mio la primavera.
7. Sì ch’a mirarla intenerisce il core. 27. Questo giorno ch’omai cede alla sera,
8. Odi greggi belar, muggire armenti; 28. Festeggiar si costuma al nostro borgo.
9. Gli altri augelli contenti, a gara insieme 29. Odi per lo sereno un suon di squilla,
10. Per lo libero ciel fan mille giri, 30. Odi spesso un tonar di ferree canne,
11. Pur festeggiando il lor tempo migliore: 31. Che rimbomba lontan di villa in villa.
12. Tu pensoso in disparte il tutto miri; 32. Tutta vestita a festa
13. Non compagni, non voli, 33. La gioventù del loco
14. Non ti cal d’allegria, schivi gli spassi; 34. Lascia le case, e per le vie si spande;
15. Canti, e così trapassi 35. E mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
16. Dell’anno e di tua vita il più bel fiore. 36. Io solitario in questa
37. Rimota parte alla campagna uscendo,
17. Oimè, quanto somiglia 38. Ogni diletto e gioco
18. Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso, 39. Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
19. Della novella età dolce famiglia, 40. Steso nell’aria aprica
20. E te german di giovinezza, amore, 41. Mi fere il Sol che tra lontani monti,
21. Sospiro acerbo de’ provetti giorni, 42. Dopo il giorno sereno,
22. Non curo, io non so come; anzi da loro 43. Cadendo si dilegua, e par che dica
23. Quasi fuggo lontano; 44. Che la beata gioventù vien meno.
❖ La poesia fu scritta nel 1829, nella stagione dei
45. Tu, solingo augellin, venuto a sera cosiddetti “grandi idilli”
46. Del viver che daranno a te le stelle,
47. Certo del tuo costume ❖ Il passero solitario è costruito su una
48. Non ti dorrai; che di natura è frutto similitudine tra il comportamento del passero e
49. Ogni vostra vaghezza. quello del poeta: come il passero trascorre
50. A me, se di vecchiezza solitario la primavera, cosi Leopardi trascorre,
51. La detestata soglia solo, incompreso e sentendosi estraneo nel suo
52. Evitar non impetro, luogo natale, la giovinezza
53. Quando muti questi occhi all’altrui core,
54. E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro ❖ La struttura della poesia è simmetrica: la prima
55. Del dì presente più noioso e tetro, strofa è dedicata al passero e alle sue abitudini
56. Che parrà di tal voglia? di vita, la seconda al poeta, la cui condizione è
57. Che di quest’anni miei? che di me stesso? assimilabile a quella del passero, mentre la terza
58. Ahi pentirommi, e spesso, svolge il confronto, opponendo la vecchiaia di
59. Ma sconsolato, volgerommi indietro. entrambi

❖ Il tema principale è la lacerazione tra la gioia di


anafora metafore
vivere e l’angoscia generata dalla riflessione
sulla realtà, si articola principalmente proprio
apostrofi attraverso il contrasto tra la vecchiaia , vissuta
come “detestata soglia” (v. 51) ed il rimpianto
della giovinezza, considerata “il tempo
migliore” (v. 11) e come tale associata alla
primavera
21. Vecchierel bianco, infermo,
Canto notturno di un pastore 22. mezzo vestito e scalzo,
23. con gravissimo fascio in su le spalle,
errante dell’Asia 24. per montagna e per valle,
25. per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,
1. Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, 26. al vento, alla tempesta, e quando avvampa
2. silenziosa luna? 27. l’ora, e quando poi gela,
3. Sorgi la sera, e vai, 28. corre via, corre, anela,
4. contemplando i deserti; indi ti posi. 29. varca torrenti e stagni,
5. Ancor non sei tu paga 30. cade, risorge, e piú e piú s’affretta,
6. di riandare i sempiterni calli? 31. senza posa o ristoro,
7. Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga 32. lacero, sanguinoso; infin ch’arriva
8. di mirar queste valli? 33. colá dove la via
9. Somiglia alla tua vita 34. e dove il tanto affaticar fu vòlto:
10. la vita del pastore. 35. abisso orrido, immenso,
11. Sorge in sul primo albore 36. ov’ei precipitando, il tutto obblia.
12. move la greggia oltre pel campo, e vede 37. Vergine luna, tale
13. greggi, fontane ed erbe; 38. è la vita mortale.
14. poi stanco si riposa in su la sera:
15. altro mai non ispera. 39. Nasce l’uomo a fatica,
16. Dimmi, o luna: a che vale 40. ed è rischio di morte il nascimento.
17. al pastor la sua vita, 41. Prova pena e tormento
18. la vostra vita a voi? dimmi: ove tende 42. per prima cosa; e in sul principio stesso
19. questo vagar mio breve, 43. la madre e il genitore
20. il tuo corso immortale? 44. il prende a consolar dell’esser nato.
45. Poi che crescendo viene, 69. E tu certo comprendi
46. l’uno e l’altro il sostiene, e via pur sempre 70. il perché delle cose, e vedi il frutto
47. con atti e con parole 71. del mattin, della sera,
48. studiasi fargli core, 72. del tacito, infinito andar del tempo.
49. e consolarlo dell’umano stato: 73. Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore
50. altro ufficio piú grato 74. rida la primavera,
51. non si fa da parenti alla lor prole. 75. a chi giovi l’ardore, e che procacci
52. Ma perché dare al sole, 76. il verno co’ suoi ghiacci.
53. perché reggere in vita 77. Mille cose sai tu, mille discopri,
54. chi poi di quella consolar convenga? 78. che son celate al semplice pastore.
55. Se la vita è sventura, 79. Spesso quand’io ti miro
56. perché da noi si dura? 80. star cosí muta in sul deserto piano,
57. Intatta luna, tale 81. che, in suo giro lontano, al ciel confina;
58. è lo stato mortale. 82. ovver con la mia greggia
59. Ma tu mortal non sei, 83. seguirmi viaggiando a mano a mano;
60. e forse del mio dir poco ti cale. 84. e quando miro in cielo arder le stelle;
85. dico fra me pensando:
61. Pur tu, solinga, eterna peregrina, 86. — A che tante facelle?
62. che sí pensosa sei, tu forse intendi 87. che fa l’aria infinita, e quel profondo
63. questo viver terreno, 88. infinito seren? che vuol dir questa
64. il patir nostro, il sospirar, che sia; 89. solitudine immensa? ed io che sono? —
65. che sia questo morir, questo supremo 90. Cosí meco ragiono: e della stanza
66. scolorar del sembiante, 91. smisurata e superba,
67. e perir della terra, e venir meno
68. ad ogni usata, amante compagnia.
92. e dell’innumerabile famiglia; 119. la mente; ed uno spron quasi mi punge
93. poi di tanto adoprar, di tanti moti 120. sí che, sedendo, piú che mai son lunge
94. d’ogni celeste, ogni terrena cosa, 121. da trovar pace o loco.
95. girando senza posa, 122. E pur nulla non bramo,
96. per tornar sempre lá donde son mosse; 123. e non ho fino a qui cagion di pianto.
97. uso alcuno, alcun frutto 124. Quel che tu goda o quanto,
98. indovinar non so. Ma tu per certo, 125. non so giá dir; ma fortunata sei.
99. giovinetta immortal, conosci il tutto. 126. Ed io godo ancor poco,
100. Questo io conosco e sento, 127. o greggia mia, né di ciò sol mi lagno.
101. che degli eterni giri, 128. Se tu parlar sapessi, io chiederei:
102. che dell’esser mio frale, 129. — Dimmi: perché giacendo
103. qualche bene o contento 130. a bell’agio, ozioso,
104. avrá fors’altri; a me la vita è male. 131. s’appaga ogni animale;
105. greggia mia che posi, oh te beata, 132. me, s’io giaccio in riposo, il tedio assale?
106. che la miseria tua, credo, non sai!
107. Quanta invidia ti porto! 133. Forse s’avess’io l’ale
108. Non sol perché d’affanno 134. da volar su le nubi,
109. quasi libera vai; 135. e noverar le stelle ad una ad una,
110. ch’ogni stento, ogni danno, 136. o come il tuono errar di giogo in giogo,
111. ogni estremo timor subito scordi; 137. piú felice sarei, dolce mia greggia,
112. ma piú perché giammai tedio non provi. 138. piú felice sarei, candida luna.
113. Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe, 139. O forse erra dal vero,
114. tu se’ queta e contenta; 140. mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
115. e gran parte dell’anno 141. forse in qual forma, in quale
116. senza noia consumi in quello stato. 142. stato che sia, dentro covile o cuna,
117. Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra, 143. è funesto a chi nasce il dí natale.
118. e un fastidio m’ingombra
❖ Il canto fu composto tra il 1829 e il 1830 e fu pubblicato per la prima volta nei Canti del 1831

❖ La metrica comprende sei strofe di diversa lunghezza, composte in endecasillabi e settenari


liberamente rimati

❖ Leopardi non parla in prima persona, ma affida le sue riflessioni a un pastore, un uomo semplice e
ingenuo proveniente da una terra lontana e non ben definita, il quale analizza filosoficamente la sua
infelicità e quella universale, facendosi portavoce del tedio e dello sgomento provati da ogni uomo di
fronte a un’esistenza dolorosa di cui non si comprende il significato; l’infelicità si configura come una
caratteristica tipica dell’uomo di ogni tempo e di ogni condizione

❖ La luna, appare distante, gelida e muta: infatti, non risponde mai agli angosciosi interrogativi posti dal
pastore, apparendo totalmente indifferente alle sofferenze dell’uomo. Altri interlocutori sono gli
animali, il gregge, cui Leopardi chiede come mai non provi tedio quando giace in riposo sull’erba.
Il tedio è, secondo Leopardi, un sentimento che nobilita l’uomo in quanto dotato di ragione e lo
distingue dagli animali, anche se gli impedisce di sentirsi appagato.

❖ Al termine del componimento emerge che non solo per l’uomo la vita è fonte di sofferenza, ma per
qualunque creatura vivente venga al mondo. L’universo resta un enigma indecifrabile, in cui l’unico
elemento certo è la morte

❖ Lo stile del componimento Canto notturno di un pastore errante dell’Asia è quello tipico dei grandi
canti del 1828-30, con molti termini “vaghi e indefiniti”, ritmo fluido, struttura sintattica chiara, ma è
assente la memoria delle illusioni giovanili

enjambements allitterazioni anafore apostrofi


Dialogo della Natura e di un Islandese
Un Islandese, che era corso per la maggior parte del mondo, e soggiornato in diversissime terre;
andando una volta per l'interiore dell'Affrica, e passando sotto la linea equinoziale in un luogo non mai
prima penetrato da uomo alcuno, ebbe un caso simile a quello che intervenne a Vasco di Gama nel
passare il Capo di Buona speranza; quando il medesimo Capo, guardiano dei mari australi, gli si fece
incontro, sotto forma di gigante, per distorlo dal tentare quelle nuove acque. Vide da lontano un busto
grandissimo; che da principio immaginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali
veduti da lui, molti anni prima, nell'isola di Pasqua. Ma fattosi più da vicino, trovò che era una forma
smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non
finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; la quale guardavalo
fissamente; e stata così un buono spazio senza parlare, all'ultimo gli disse.
Natura. Chi sei? che cerchi in questi luoghi dove la tua specie era incognita?
Islandese. Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della
mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa.
Natura. Così fugge lo scoiattolo dal serpente a sonaglio, finché gli cade in gola da se medesimo. Io sono
quella che tu fuggi.
Islandese. La Natura?
Natura. Non altri.
Islandese. Me ne dispiace fino all'anima; e tengo per fermo che maggior disavventura di questa non mi
potesse sopraggiungere.
Natura. Ben potevi pensare che io frequentassi specialmente queste parti; dove non ignori che si
dimostra più che altrove la mia potenza. Ma che era che ti moveva a fuggirmi?
Islandese. Tu dei sapere che io fino nella prima gioventù, a poche esperienze, fui persuaso e chiaro della
vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali combattendo continuamente gli uni cogli altri per
l'acquisto di piaceri che non dilettano, e di beni che non giovano; sopportando e cagionandosi
scambievolmente infinite sollecitudini, e infiniti mali, che affannano e nocciono in effetto; tanto più si
allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio,
deliberai, non dando molestia a chicchessia, non procurando in modo alcuno di avanzare il mio stato, non
contendendo con altri per nessun bene del mondo, vivere una vita oscura e tranquilla; e disperato dei
piaceri, come di cosa negata alla nostra specie, non mi proposi altra cura che di tenermi lontano dai
patimenti. Con che non intendo dire che io pensassi di astenermi dalle occupazioni e dalle fatiche
corporali: che ben sai che differenza e dalla fatica al disagio, e dal viver quieto al vivere ozioso. E già nel
primo mettere in opera questa risoluzione, conobbi per prova come egli e vano a pensare, se tu vivi tra gli
uomini, di potere, non offendendo alcuno, fuggire che gli altri non ti offendano; e cedendo sempre
spontaneamente, e contentandosi del menomo in ogni cosa, ottenere che ti sia lasciato un qualsivoglia
luogo, e che questo menomo non ti sia contrastato. Ma dalla molestia degli uomini mi liberai facilmente,
separandomi dalla loro società, e riducendomi in solitudine: cosa che nell'isola mia nativa si può recare
ad effetto senza difficoltà. Fatto questo, e vivendo senza quasi verun'immagine di piacere, io non poteva
mantenermi però senza patimento: perché la lunghezza del verno, l'intensità del freddo, e l'ardore estremo
della state, che sono qualità di quel luogo, mi travagliavano di continuo; e il fuoco, presso al quale mi
conveniva passare una gran parte del tempo, m'inaridiva le carni, e straziava gli occhi col fumo; di modo
che, né in casa né a cielo aperto, io mi poteva salvare da un perpetuo disagio. Né anche potea conservare
quella tranquillità della vita, alla quale principalmente erano rivolti i miei pensieri: perché le tempeste
spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla, il sospetto degl'incendi,
frequentissimi negli alberghi, come sono i nostri, fatti di legno, non intermettevano mai di turbarmi. Tutte
le quali incomodità in una vita sempre conforme a se medesima, e spogliata di qualunque altro desiderio e
speranza, e quasi di ogni altra cura, che d'esser quieta; riescono di non poco momento, e molto più gravi
che elle non sogliono apparire quando la maggior parte dell'animo nostro è occupata dai pensieri della
vita civile, e dalle avversità che provengono dagli uomini.
Per tanto veduto che più che io mi ristringeva e quasi mi contraeva in me stesso, a fine d'impedire che
l'esser mio non desse noia né danno a cosa alcuna del mondo; meno mi veniva fatto che le altre cose non
m'inquietassero e tribolassero; mi posi a cangiar luoghi e climi, per vedere se in alcuna parte della terra
potessi non offendendo non essere offeso, e non godendo non patire. E a questa deliberazione fui mosso
anche da un pensiero che mi nacque, che forse tu non avessi destinato al genere umano se non solo un
clima della terra (come tu hai fatto a ciascuno degli altri generi degli animali, e di quei delle piante), e certi
tali luoghi; fuori dei quali gli uomini non potessero prosperare né vivere senza difficoltà e miseria; da
dover essere imputate, non a te, ma solo a essi medesimi, quando eglino avessero disprezzati e trapassati i
termini che fossero prescritti per le tue leggi alle abitazioni umane. Quasi tutto il mondo ho cercato, e fatta
esperienza di quasi tutti i paesi; sempre osservando il mio proposito, di non dar molestia alle altre creature,
se non il meno che io potessi, e di procurare la sola tranquillità della vita. Ma io sono stato arso dal caldo
fra i tropici, rappreso dal freddo verso i poli, afflitto nei climi temperati dall'incostanza dell'aria, infestato
dalle commozioni degli elementi in ogni dove. Più luoghi ho veduto, nei quali non passa un dì senza
temporale: che è quanto dire che tu dai ciascun giorno un assalto e una battaglia formata a quegli
abitanti, non rei verso te di nessun'ingiuria. In altri luoghi la serenità ordinaria del cielo è compensata
dalla frequenza dei terremoti, dalla moltitudine e dalla furia dei vulcani, dal ribollimento sotterraneo di
tutto il paese. Venti e turbini smoderati regnano nelle parti e nelle stagioni tranquille dagli altri furori
dell'aria. Tal volta io mi ho sentito crollare il tetto in sul capo pel gran carico della neve, tal altra, per
l'abbondanza delle piogge la stessa terra, fendendosi, mi si è dileguata di sotto ai piedi; alcune volte mi è
bisognato fuggire a tutta lena dai fiumi, che m'inseguivano, come fossi colpevole verso loro di qualche
ingiuria. Molte bestie salvatiche, non provocate da me con una menoma offesa, mi hanno voluto divorare;
molti serpenti avvelenarmi; in diversi luoghi è mancato poco che gl'insetti volanti non mi abbiano
consumato infino alle ossa. Lascio i pericoli giornalieri, sempre imminenti all'uomo, e infiniti di numero;
tanto che un filosofo antico non trova contro al timore, altro rimedio più valevole della considerazione che
ogni cosa è da temere. Né le infermità mi hanno perdonato; con tutto che io fossi, come sono ancora, non
dico temperante, ma continente dei piaceri del corpo.
Io soglio prendere non piccola ammirazione considerando che tu ci abbi infuso tanta e sì ferma e
insaziabile avidità del piacere; disgiunta dal quale la nostra vita, come priva di ciò che ella desidera
naturalmente, è cosa imperfetta: e da altra parte abbi ordinato che l'uso di esso piacere sia quasi di tutte le
cose umane la più nociva alle forze e alla sanità del corpo, la più calamitosa negli effetti in quanto a
ciascheduna persona, e la più contraria alla durabilità della stessa vita. Ma in qualunque modo,
astenendomi quasi sempre e totalmente da ogni diletto, io non ho potuto fare di non incorrere in molte e
diverse malattie: delle quali alcune mi hanno posto in pericolo della morte; altre di perdere l'uso di
qualche membro, o di condurre perpetuamente una vita più misera che la passata; e tutte per più giorni o
mesi mi hanno oppresso il corpo e l'animo con mille stenti e mille dolori. E certo, benché ciascuno di noi
sperimenti nel tempo delle infermità, mali per lui nuovi o disusati, e infelicità maggiore che egli non suole
(come se la vita umana non fosse bastevolmente misera per l'ordinario); tu non hai dato all'uomo, per
compensarnelo, alcuni tempi di sanità soprabbondante e inusitata, la quale gli sia cagione di qualche
diletto straordinario per qualità e per grandezza. Ne' paesi coperti per lo più di nevi, io sono stato per
accecare: come interviene ordinariamente ai Lapponi nella loro patria. Dal sole e dall'aria, cose vitali, anzi
necessarie alla nostra vita, e però da non potersi fuggire, siamo ingiuriati di continuo: da questa colla
umidità, colla rigidezza, e con altre disposizioni; da quello col calore, e colla stessa luce: tanto che l'uomo
non può mai senza qualche maggiore o minore incomodità o danno, starsene esposto all'una o all'altro di
loro. In fine, io non mi ricordo aver passato un giorno solo della vita senza qualche pena; laddove io non
posso numerare quelli che ho consumati senza pure un'ombra di godimento: mi avveggo che tanto ci è
destinato e necessario il patire, quanto il non godere; tanto impossibile il viver quieto in qual si sia modo,
quanto il vivere inquieto senza miseria: e mi risolvo a conchiudere che tu sei nemica scoperta degli uomini,
e degli altri animali, e di tutte le opere tue; che ora c'insidii ora ci minacci ora ci assalti ora ci pungi ora ci
percuoti ora ci laceri, e sempre o ci offendi o ci perseguiti; e che, per costume e per instituto, sei carnefice
della tua propria famiglia, de' tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue viscere.
Per tanto rimango privo di ogni speranza: avendo compreso che gli uomini finiscono di perseguitare
chiunque li fugge o si occulta con volontà vera di fuggirli o di occultarsi; ma che tu, per niuna cagione,
non lasci mai d'incalzarci, finché ci opprimi. E già mi veggo vicino il tempo amaro e lugubre della
vecchiezza; vero e manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie gravissime; e questo tuttavia non
accidentale, ma destinato da te per legge a tutti i generi de' viventi, preveduto da ciascuno di noi fino nella
fanciullezza, e preparato in lui di continuo, dal quinto suo lustro in là, con un tristissimo declinare e
perdere senza sua colpa: in modo che appena un terzo della vita degli uomini è assegnato al fiorire, pochi
istanti alla maturità e perfezione, tutto il rimanente allo scadere, e agl'incomodi che ne seguono.
Natura. Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? Ora sappi che nelle fatture, negli
ordini e nelle operazioni mie, trattone pochissime, sempre ebbi ed ho l'intenzione a tutt'altro che alla
felicità degli uomini o all'infelicità. Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io
non me n'avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so;
e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E
finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei.
Islandese. Ponghiamo caso che uno m'invitasse spontaneamente a una sua villa, con grande instanza; e io
per compiacerlo vi andassi. Quivi mi fosse dato per dimorare una cella tutta lacera e rovinosa, dove io fossi
in continuo pericolo di essere oppresso; umida, fetida, aperta al vento e alla pioggia. Egli, non che si
prendesse cura d'intrattenermi in alcun passatempo o di darmi alcuna comodità, per lo contrario appena
mi facesse somministrare il bisognevole a sostentarmi; e oltre di ciò mi lasciasse villaneggiare, schernire,
minacciare e battere da' suoi figliuoli e dall'altra famiglia. Se querelandomi io seco di questi mali
trattamenti, mi rispondesse: forse che ho fatto io questa villa per te? o mantengo io questi miei figliuoli, e
questa mia gente, per tuo servigio? e, bene ho altro a pensare che de' tuoi sollazzi, e di farti le buone spese;
a questo replicherei: vedi, amico, che siccome tu non hai fatto questa villa per uso mio, così fu in tua
facoltà di non invitarmici. Ma poiché spontaneamente hai voluto che io ci dimori, non ti si appartiene egli
di fare in modo, che io, quanto è in tuo potere, ci viva per lo meno senza travaglio e senza pericolo? Così
dico ora. So bene che tu non hai fatto il mondo in servigio degli uomini.
Piuttosto crederei che l'avessi fatto e ordinato espressamente per tormentarli. Ora domando: t'ho io forse
pregato di pormi in questo universo? o mi vi sono intromesso violentemente, e contro tua voglia? Ma se di
tua volontà, e senza mia saputa, e in maniera che io non poteva sconsentirlo né ripugnarlo, tu stessa, colle
tue mani, mi vi hai collocato; non è egli dunque ufficio tuo, se non tenermi lieto e contento in questo tuo
regno, almeno vietare che io non vi sia tribolato e straziato, e che l'abitarvi non mi noccia? E questo che
dico di me, dicolo di tutto il genere umano, dicolo degli altri animali e di ogni creatura.
Natura. Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest'universo è un perpetuo circuito di produzione
e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla
conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in
dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera da patimento.
Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel
che distrugge, non gode, e a poco andare è distrutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi
sa dire: a chi piace o a chi giova cotesta vita infelicissima dell'universo, conservata con danno e con morte
di tutte le cose che lo compongono? Mentre stavano in questi e simili ragionamenti è fama che
sopraggiungessero due leoni, così rifiniti e maceri dall'inedia, che appena ebbero forza di mangiarsi
quell'Islandese; come fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno. Ma sono
alcuni che negano questo caso, e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che l'Islandese parlava,
lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia: sotto il quale colui diseccato
perfettamente, e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato nel museo di
non so quale città di Europa.
❖ Questo dialogo viene scritto nel 1824 e compare nella prima edizione delle Operette morali nel 1827

❖ Viene evidenziato per la prima volta, il passaggio di Leopardi da una concezione positiva e benefica
della Natura a quella contraria di Natura matrigna, crudele e indifferente

❖ Prendendo spunto da un'opera del filosofo illuminista francese Voltaire, in cui il filosofo parla delle
minacce naturali, quali gelo e vulcani, a cui sono sottoposti gli islandesi, Leopardi sviluppa l'idea di un
Islandese che viaggia, fuggendo la Natura. Ma giunto in Africa, in un luogo misterioso ed esotico,
incontra proprio colei che stava evitando, con la forma di una donna gigantesca dall'aspetto "tra bello e
terribile"

❖ La Natura interroga l'Islandese sulle ragioni della sua fuga. La spiegazione dell'uomo è un lungo
monologo in cui egli ripercorre le sue concezioni sulla condizione umana: un'articolata riflessione che
lo porta a comprendere l'ineliminabile infelicità dell'esistenza. Inizialmente ritiene che la sofferenza
nasca dai rapporti umani. Ma il dolore può nascere anche dall'esterno, quindi inizia a credere che
l'individuo soffra perché valica i limiti assegnati dalla Natura. Infine comprende che la sofferenza è
insita nell'uomo, caratterizzato da un piacere mai realizzabile del tutto, e non può essere eliminata.
La vera causa dell'infelicità è la Natura, che crea e poi tormenta gli esseri viventi. Questa ha assegnato
all'uomo il desiderio insaziabile di piacere che non solo è irraggiungibile nel corso di una vita intera,
ma a volte è anche dannoso e debilitante

❖ Dopo il lungo monologo dell'Islandese interviene la Natura, che ribalta la posizione dell'uomo: questa
è totalmente insensibile al destino degli esseri da lei creati, ma agisce meccanicisticamente secondo un
processo di creazione e distruzione, che coinvolge direttamente tutte le creature
La Ginestra la serpe, e dove al noto
Kai; hjgavphsan oiJ a[nqrwpoi ma`llon to; skovto" h]
cavernoso covil torna il coniglio;
to; fw`"
fur liete ville e colti,
E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce*
25 e biondeggiàr di spiche, e risonaro
(Giovanni, III, 19)
di muggito d’armenti;
fur giardini e palagi,
Qui su l’arida schiena
agli ozi de’ potenti
del formidabil monte
gradito ospizio; e fur città famose,
sterminator Vesevo,
30 che coi torrenti suoi l’altero monte
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
dall’ignea bocca fulminando oppresse
5 tuoi cespi solitari intorno spargi,
con gli abitanti insieme. Or tutto intorno
odorata ginestra,
una ruina involve,
contenta dei deserti. Anco ti vidi
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
de’ tuoi steli abbellir l’erme contrade
35 i danni altrui commiserando, al cielo
che cingon la cittade
di dolcissimo odor mandi un profumo,
10 la qual fu donna de’ mortali un tempo,
che il deserto consola. A queste piagge
e del perduto impero
venga colui che d’esaltar con lode
par che col grave e taciturno aspetto
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
faccian fede e ricordo al passeggero.
40 è il gener nostro in cura
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
all’amante natura. E la possanza
15 lochi e dal mondo abbandonati amante,
qui con giusta misura
e d’afflitte fortune ognor compagna.
anco estimar potrà dell’uman seme,
Questi campi cosparsi
cui la dura nutrice, ov’ei men teme,
di ceneri infeconde, e ricoperti
45 con lieve moto in un momento annulla
dell’impietrata lava,
in parte, e può con moti
20 che sotto i passi al peregrin risona;
poco men lievi ancor subitamente
dove s’annida e si contorce al sole
annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
75 della barbarie in parte, e per cui solo
50 son dell’umana gente
si cresce in civiltà, che sola in meglio
le magnifiche sorti e progressive.
guida i pubblici fati.
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
Così ti spiacque il vero
che il calle insino allora
dell’aspra sorte e del depresso loco
55 dal risorto pensier segnato innanti
80 che natura ci diè. Per questo il tergo
abbandonasti, e volti addietro i passi,
vigliaccamente rivolgesti al lume
del ritornar ti vanti,
che il fe palese: e, fuggitivo, appelli
e procedere il chiami.
vil chi lui segue, e solo
Al tuo pargoleggiar gl’ingegni tutti,
magnanimo colui
60 di cui lor sorte rea padre ti fece,
85 che se schernendo o gli altri, astuto o folle,
vanno adulando, ancora
fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
ch’a ludibrio talora
Uom di povero stato e membra inferme
t’abbian fra se. Non io
che sia dell’alma generoso ed alto,
con tal vergogna scenderò sotterra;
non chiama se né stima
65 ma il disprezzo piuttosto che si serra
90 ricco d’or né gagliardo,
di te nel petto mio,
e di splendida vita o di valente
mostrato avrò quanto si possa aperto:
persona infra la gente
ben ch’io sappia che obblio
non fa risibil mostra;
preme chi troppo all’età propria increbbe.
ma se di forza e di tesor mendico
70 Di questo mal, che teco
95 lascia parer senza vergogna, e noma
mi fia comune, assai finor mi rido.
parlando, apertamente, e di sue cose
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
fa stima al vero uguale.
vuoi di novo il pensiero,
sol per cui risorgemmo
Magnanimo animale
non credo io già, ma stolto, Costei chiama inimica; e incontro a questa
100 quel che nato a perir, nutrito in pene, congiunta esser pensando,
dice, a goder son fatto, siccome è il vero, ed ordinata in pria
e di fetido orgoglio l’umana compagnia,
empie le carte, eccelsi fati e nove 130 tutti fra se confederati estima
felicità, quali il ciel tutto ignora, gli uomini, e tutti abbraccia
105 non pur quest’orbe, promettendo in terra con vero amor, porgendo
a popoli che un’onda valida e pronta ed aspettando aita
di mar commosso, un fiato negli alterni perigli e nelle angosce
d’aura maligna, un sotterraneo crollo 135 della guerra comune. Ed alle offese
distrugge sì, che avanza dell’uomo armar la destra, e laccio porre
110 a gran pena di lor la rimembranza. al vicino ed inciampo,
Nobil natura è quella stolto crede così qual fora in campo
che a sollevar s’ardisce cinto d’oste contraria, in sul più vivo
gli occhi mortali incontra 140 incalzar degli assalti,
al comun fato, e che con franca lingua, gl’inimici obbliando, acerbe gare
115 nulla al ver detraendo, imprender con gli amici,
confessa il mal che ci fu dato in sorte, e sparger fuga e fulminar col brando
e il basso stato e frale; infra i propri guerrieri.
quella che grande e forte 145 Così fatti pensieri
mostra se nel soffrir, né gli odii e l’ire quando fien, come fur, palesi al volgo,
120 fraterne, ancor più gravi e quell’orror che primo
d’ogni altro danno, accresce contro l’empia natura
alle miserie sue, l’uomo incolpando strinse i mortali in social catena,
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de’ mortali
125 madre è di parto e di voler matrigna.
150 fia ricondotto in parte 255 su l’arenoso dorso, a cui riluce
da verace saper, l’onesto e il retto di Capri la marina
conversar cittadino, e di Napoli il porto e Mergellina.
e giustizia e pietade, altra radice E se appressar lo vede, o se nel cupo
avranno allor che non superbe fole, del domestico pozzo ode mai l’acqua
155 ove fondata probità del volgo 260 fervendo gorgogliar, desta i figliuoli, B 3
così star suole in piede desta la moglie in fretta, e via, con quanto
quale star può quel c’ha in error la sede. di lor cose rapir posson, fuggendo,
Ben mille ed ottocento vede lontano l’usato
anni varcàr poi che spariro, oppressi suo nido, e il picciol campo,
dall’ignea forza, i popolati seggi, 265 che gli fu dalla fame unico schermo,
240 e il villanello intento preda al flutto rovente,
ai vigneti, che a stento in questi campi che crepitando giunge, e inesorato
nutre la morta zolla e incenerita, durabilmente sovra quei si spiega.
ancor leva lo sguardo Torna al celeste raggio
sospettoso alla vetta 270 dopo l’antica obblivion l’estinta
245 fatal, che nulla mai fatta più mite Pompei, come sepolto
ancor siede tremenda, ancor minaccia scheletro, cui di terra
a lui strage ed ai figli ed agli averi avarizia o pietà rende all’aperto;
lor poverelli. E spesso e dal deserto foro
il meschino in sul tetto 275 diritto infra le file
250 dell’ostel villereccio, alla vagante dei mozzi colonnati il peregrino
aura giacendo tutta notte insonne lunge contempla il bipartito giogo
e balzando più volte, esplora il corso e la cresta fumante,
del temuto bollor, che si riversa che alla sparsa ruina ancor minaccia.
dall’inesausto grembo
280 E nell’orror della secreta notte E tu, lenta ginestra, che di selve odorate queste
per li vacui teatri, campagne dispogliate adorni, 300 anche tu
per li templi deformi e per le rotte presto alla crudel possanza soccomberai del
case, ove i parti il pipistrello asconde, sotterraneo foco, che ritornando al loco
come sinistra face già noto, stenderà l’avaro lembo
285 che per vóti palagi atra s’aggiri, su tue molli foreste. E piegherai
corre il baglior della funerea lava, 305 sotto il fascio mortal non renitente
che di lontan per l’ombre il tuo capo innocente:
rosseggia e i lochi intorno tinge. ma non piegato insino allora indarno
Così, dell’uomo ignara e dell’etadi codardamente supplicando innanzi
290 ch’ei chiama antiche, e del seguir che al futuro oppressor; ma non eretto
fanno 310 con forsennato orgoglio inver le stelle,
dopo gli avi i nepoti, né sul deserto, dove
sta natura ognor verde, anzi procede e la sede e i natali
per sì lungo cammino non per voler ma per fortuna avesti;
che sembra star. Caggiono i regni intanto, ma più saggia, ma tanto
295 passan genti e linguaggi: ella nol vede: 315 meno inferma dell’uom, quanto le frali
e l’uom d’eternità s’arroga il vanto. tue stirpi non credesti
o dal fato o da te fatte immortali.
❖ La lirica fu composta da Leopardi nel 1836 nella villa Ferrigni di Torre del Greco (davanti
all’abitazione si ergeva il Vesuvio) e apparve postuma nell’edizione dei Canti
del 1845, pubblicata da Ranieri a Firenze

❖ Forma metrica: canzone composta di sette strofe libere, con 183 endecasillabi e 134
settenari variamente alternati; ciascuna strofa è chiusa da rima e da verso endecasillabo

❖ E gli uomini... la luce: il versetto evangelico sottolinea la polemica contro le idee dell’epoca (vv. 80-
83): gli uomini che seguono le concezioni spiritualistiche e ottimistiche preferiscono la menzogna (le
tenebre) alla verità (la luce), cioè alla consapevolezza della propria tragica condizione.

❖ Libertà vai sognando: il verso ne ricorda uno analogo della Commedia di Dante (Purgatorio, I, 71:
Libertà va cercando, ch’è sì cara)

❖ La quarta strofa del canto (vv. 158-201) con un’arcana visione di spazi cosmici, ripropone
l’inquietante
consapevolezza di una solitudine desolata, di un mondo umano piccolo e limitato se confrontato con
la vastità dell’universo. La contemplazione di questo vuoto affascinante e terribile è tutt’altro che
idillica, ma vuole affrontare razionalmente il mistero dell’universo. Ne deriva una ripresa polemica del
poeta contro la visibile assurdità delle ideologie ottimistiche, che credono l’uomo signore
dell’universo e “favoleggiano” sulle divinità che scendono sulla terra, per conversare con gli uomini.]
[La quinta strofa (vv. 202-236) sviluppa la similitudine fra la rovina di un formicaio devastato dalla
caduta d’un pomo e la distruzione di Ercolano e Pompei. La natura, nella sua assoluta indifferenza,
non si cura dell’uomo come non si cura delle formiche: un pomo schiaccia un formicaio, l’eruzione
vulcanica distrugge prospere città.]
Sostiene che l’unico Nei confronti della realtà È convinto che la
rimedio all’infelicità assume un atteggiamento conoscenza filosofica del
umana possono essere titanico vero sia fonte di
l’immaginazione e le insoddisfazione perenne
illusioni
Sottopone la sua
Esalta la fanciullezza
epoca a forti critiche
e la memoria

Il pensiero
Si scaglia
In lui è forte la Vede il progresso contro i
componente pessimistica e materiale e tecnologico luoghi
differenzia tra in senso negativo comuni
accettati,
pessimismo Polemizza contro i falsi contro i
pessimismo
cosmico miti progressisti delle Critica le pregiudizi
individuale
forze liberali moderate ideologie e gli
consolatorie stereotipi
pessimismo Aderisce al sensismo e al
storico materialismo illuministici contemporanee mentali
Afferma la superiorità
della poesia antica su
quella moderna
La natura è fonte È contro i
d’ispirazione in romantici italiani,
quanto offre si schiera con i
suggestioni al poeta La poetica classicisti

La poesia si
Prendendo
nutre di
Poetica del tuttavia le
immaginazione
“vago e distanze dal
e ricordo
indefinito” classicismo
accademico
Può essere definito
un classicista
romantico
Concepita
Sono come un
Piccoli Idilli La Ginestra
caratterizzati
da un
linguaggio
I Canti testamento
spirituale
III fase
colloquiale e I fase
(1830-1837) Polemica
dalla poetica (1818-1823)
contro la
del “vago e II fase
Canzoni religione e
indefinito” (1828-1830) Ciclo di Aspasia l’ottimismo
Brevi composizioni progressista
poetiche in cui il Caratterizzate Grandi Idilli
poeta esprime e da un impianto
racconta esperienze classicistico, un
emotive e Ricco di
linguaggio Alimentati dal polemica
soggettive aulico, dal pessimismo contro il
pessimismo cosmico e presente
storico, dal caratterizzati da
titanismo e dalle un linguaggio
tematiche civili misurato, dalla Poesia anti
libertà metrica e idillica,
da un equilibrio linguaggio
tra il “vero” e semplice e stile
l’immaginazione spezzato
Opere in prosa
Lo Zibaldone Le Operette morali
Consiste in una I frammenti sono Le riflessioni del Sono prose di
raccolta organizzati o in poeta sono argomento
vastissima di numerazione esposte attraverso filosofico
riflessioni progressiva o invenzioni successive alla
personali e di cronologicamente fantastiche e fuga da Recanati
carattere tipologie
letterario discorsive diverse Pervase dal
Come la teoria del pessimismo
Nella quale piacere, del suono, cosmico
Composte
troviamo della visione, della
con prosa
importanti teorie ricordanza, la
limpida e
presenti nelle poetica del bello e
rigore Attraverso il distacco
varie del “vago e
intellettuale ironico, Leopardi
composizioni indefinito”
poetiche contempla la condizione
tragica dell’uomo
Strumenti extratestuali
per lo studio
-Vita di Leopardi: Treccani Scuola
www.youtube.com/watch?v=EGv6Dngor7E&list=PLin_MS066MLyjv-Elplwt71aatVBoXUV8
www.youtube.com/watch?v=jdDExjY3c98&list=PLin_MS066
MLyjv-Elplwt71aatVBoXUV8&index=2

-Zibaldone, l’amore secondo Leopardi: https://books.google.it/books?

-Leopardi e l’amore: https://www.lacooltura.com/2017/05/giacomo-leopardi-lamore/

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